SOCIO MOROSO ED ESCLUSIONE – 22 maggio 2014

FRANCESCO CIRIANNI
L'ESCLUSIONE DEL SOCIO MOROSO O PER CAUSE STATUTARIE:
TECNICHE DI ATTUAZIONE.
Bologna 22 maggio 2014
-IESCLUSIONE DEL SOCIO MOROSO
norma di riferimento art. 2466 c.c.
ARTICOLO N.2466
Mancata esecuzione dei conferimenti (1).
[I]. Se il socio non esegue il conferimento nel termine prescritto, gli amministratori diffidano il
socio moroso ad eseguirlo nel termine di trenta giorni.
[II]. Decorso inutilmente questo termine gli amministratori, qualora non ritengano utile
promuovere azione per l'esecuzione dei conferimenti dovuti, possono vendere agli altri soci in
proporzione della loro partecipazione la quota del socio moroso. La vendita è effettuata a rischio e
pericolo del medesimo per il valore risultante dall'ultimo bilancio approvato. In mancanza di
offerte per l'acquisto, se l'atto costitutivo lo consente, la quota è venduta all'incanto.
[III]. Se la vendita non può aver luogo per mancanza di compratori, gli amministratori escludono
il socio, trattenendo le somme riscosse. Il capitale deve essere ridotto in misura corrispondente.
[IV]. Il socio moroso non può partecipare alle decisioni dei soci.
[V]. Le disposizioni dei precedenti commi si applicano anche nel caso in cui per qualsiasi motivo
siano scadute o divengano inefficaci la polizza assicurativa o la garanzia bancaria prestate ai sensi
dell'articolo 2464. Resta salva in tal caso la possibilità del socio di sostituirle con il versamento del
corrispondente importo di danaro.
L’esclusione del socio costituisce una causa di scioglimento del rapporto sociale, per impulso della
società, quale manifestazione di un potere discrezionale che la legge riconosce in capo ad essa.
***
natura del termine per il versamento dei decimi e sua derogabilità
Un socio si intende moroso quando non abbia effettuato il versamento dei decimi mancanti
all’integrale liberazione della partecipazione sottoscritta nei termini indicati dagli Amministratori a
seguito di richiesta degli stessi, con precisazione che intendendosi i termini per il versamento fissati
nell’interesse della società (e non del socio) non varrebbe ad evitare la morosità l’eventuale
diverso (e più lungo) termine di versamento indicato al momento nella delibera di aumento del
capitale o al momento della sottoscrizione (Cacchi Pessani che cita Campobasso, Spolidoro,
Ferrara; contra Bianca) questo perché gli amministratori hanno il potere/dovere di richiamare i
decimi mancanti quando sia necessario ed opportuno sulla base delle esigenze della società con una
valutazione di natura gestionale che solo a loro spetta (Cacchi Pessani);
1
a meno che, come a me sembra possibile, la delibera stessa non precisi che il termine è stabilito
anche nell’interesse del socio.
***
PROCEDIMENTO:
-
diffida: diffida ad eseguire i versamenti dovuti entro 30 giorni – ATTO DOVUTO pena
inefficacia degli atti successivi
-
vendita a rischio e pericolo: decorsi i 30 giorni gli Amministratori possono vendere agli altri
soci la quota;
o gli Amministratori procederanno alla vendita solo qualora non ritengano utile
promuovere l’esecuzione: il procedimento di vendita–esclusione è, pertanto,
facoltativo per gli Amministratori che possono decidere di agire per l’inadempimento
ove ritengano vi siano buone possibilità di successo in relazione al patrimonio del socio
moroso;
o per Tassinari gli Amministratori potrebbero anche valutare che è opportuno attendere
sviluppi futuri ed, entro certi limiti temporali, soprassedere alle fasi successive
-
la vendita è effettuata:
o a rischio e pericolo del socio
o per il valore risultante dall'ultimo bilancio approvato
-
vendita all’incanto: deve essere consentita dallo statuto altrimenti non è possibile
(normalmente non è mai prevista in relazione ai limiti alla circolazione delle partecipazioni che
nelle Srl a base personale sono molto frequenti)
-
esclusione del socio e riduzione capitale
COROLLARIO: Il socio moroso non può partecipare alle decisioni dei soci.
***
VENDITA A RISCHIO E PERICOLO - Vendita ai soci
La vendita ai soci è il primo e spesso il più importante passo per gli Amministratori devono
compiere, analizziamone gli elementi salienti:
1) CHI VENDE:
Sono gli Amministratori a procedere alla vendita della partecipazione del socio moroso;
la norma affida agli stessi un potere che, a seconda delle ricostruzioni, individua una sostituzione
legale, o gli amministratori come organi di giustizia ovvero come dei mandatari ex lege del socio.
Cosa succede se gli Amministratori sono anche soci ? possono vendere a se stessi ? di questo si è
occupata la massima I.I.8 del Triveneto dando risposta positiva, nello stesso senso lo studio CNN
24-2006/I, che, ovviamente, raccomanda molta attenzione alla trasparenza del procedimento che gli
2
amministratori dovranno porre in essere; sicuramente utile sarebbe una clausola statutaria che
ribadisca la facoltà degli amministratori di contrarre con se stessi confermando il mandato.
La posizione di conflitto di interesse in cui si trovano gli Amministratori sarà più delicata a seconda
della soluzione che si da al problema della determinazione del prezzo di vendita come presto
vedremo.
Comitato Triveneto Massima I.I.8 (ART. 2466, II COMMA, C.C. E CONFLITTO DI
INTERESSI - 1° pubbl. 9/04) La disposizione del secondo comma dell’art. 2466 c.c., nella parte in
cui autorizza gli amministratori a vendere le quote del socio moroso per il valore risultante
dall’ultimo bilancio, autorizza anche i medesimi amministratori a contrarre con se stessi qualora
intendano acquistare dette quote nella qualità di soci o rappresentanti di enti soci. Non si applica
in ogni caso l’art. 2475-ter c.c..
2) A CHI SI VENDE
I destinatari sono gli altri soci in proporzione della loro partecipazione; ci si chiede quale sia il
significato di questa espressione ed in particolare se gli altri soci devono necessariamente acquistare
tutti in proporzione alla partecipazione vantata (in assonanza a quello che alcuni avevano ipotizzato
in relazione al disposto dell’art. 2482 quater) ovvero se sia possibile che all’acquisto procedano
solo alcuni soci.
Sicuramente gli amministratori dovranno mettere tutti i soci in condizione di acquistare una parte
della partecipazione posta in vendita in proporzione a quella da ciascuno vantata, ma questo non
impedisce che all’acquisto possano procedere solo alcuni dei soci e non altri, dovendosi ritenere
operante un meccanismo simile a quello previsto per gli aumenti di capitale per i quali sia stata
prevista la prelazione sull’inoptato di cui al II comma dell’art. 2481 bis e ciò nonostante che detta
ultima norma configuri tale ulteriore offerta ai soci come eventuale necessitando di un’espressa
previsione nella decisione che delibera l’aumento.
In realtà nella nostra fattispecie il collocamento presso i soci è prioritario rispetto a qualsiasi altro
meccanismo e si può passare alla fase successiva del percorso individuato dal legislatore solo in
mancanza di compratori di tutta o parte la quota del socio moroso.
Ne consegue che la vendita a rischio e pericolo può comportare la ridefinizione delle proporzioni
in cui soci partecipano alla società 1 .
A mio avviso un’apposita previsione statutaria potrebbe anche consentire, in queste ipotesi, che
gli amministratori possano collocare “l’inoptato” presso terzi non soci “concordemente
individuati dai soci” riprendendo la previsione del II comma dell’art. 2473 in tema di recesso
richiamato per l’esclusione “volontaria” dall’art. 2473 bis.
3) A CHE PREZZO SI VENDE
Quello del prezzo di vendita è un aspetto molto delicato e parte sin dall’individuazione del compito
degli amministratori: ci si chiede se gli amministratori debbano offrire la quota agli altri soci (ed
eventualmente ai terzi come visto sopra) ad un prezzo pari a quello risultante dall’ultimo bilancio
1
F. Tassinari Commento all’art. 2466 in Commentario Maffei Alberti; S. Cacchi Pessani Commento all’art. 2466 in Commentario
alla Riforma del Diritto Societario diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari.
3
(che può essere anche infrannuale, ma deve essere un bilancio, quindi composto da stato
patrimoniale, conto economico e nota integrativa e deve essere approvato dai soci) ovvero se gli
Amministratori debbano comunicare ai soci un invito ad offrire ad un prezzo non inferiore a
quello risultante dall’ultimo bilancio approvato.
Parte della dottrina accogliendo un’interpretazione letterale, ritiene che il valore di bilancio sia un
prezzo imposto 2 quale sanzione per il socio che si è reso moroso e per evitare che gli
amministratori possano avere discrezionalità nella determinazione dello stesso (si ricordi che nel
sistema previgente si riteneva che gli amministratori fossero responsabili verso il socio per non aver
fatto tutto quanto possibile per vendere al meglio la partecipazione); questa dottrina evidenzierebbe
quindi una scelta del legislatore di segno diametralmente opposto a quella effettuata per la SPA
dall’art. 2344 che prevede che le azioni del socio in mora nei versamenti debbano essere vendute
“per un corrispettivo non inferiore ai conferimenti ancora dovuti”.
La dottrina preferibile 3 ritiene che il valore risultante dall’ultimo bilancio approvato sia un
“minimo legale”, una base al di sotto della quale non è possibile scendere per consentire alla
società di recuperare i valori su cui ha fatto affidamento ai fini dell’integrità del capitale. Opinare
diversamente comporterebbe che nel prezzo di vendita sarebbe vietato tener conto
dell’avviamento, che dal bilancio non emerge (ove non acquistato), sia di tutti quei valori
contabilmente non espressi, ma spesso molto rilevanti, con evidente danno per il socio (danno che
sarebbe poi amplificato nel caso si accogliesse la tesi della vendita anche della parte di quota già
integralmente liberata) ed inoltre non sarebbe in sintonia con il successivo potenziale incanto che
detti valori potrebbe invece realizzare, quasi che il legislatore avesse, in qualche modo, voluto
avvantaggiare gli altri soci.
Se la tesi qui negata fosse corretta sarebbe difficile sostenere l’ammissibilità di un collocamento
“privato” della partecipazione del socio moroso a terzi “concordemente individuati dai soci”
sopra accennata.
4) COSA SI VENDE
Oggetto di vendita sarà la quota del socio moroso;
cosa accade se il socio sia già titolare di una partecipazione già integralmente liberata (sottoscritta
in sede di costituzione o acquistata da chi aveva già versato l’intero) e la incrementi sottoscrivendo
un aumento di capitale del quale abbia provveduto a versare solo il 25% ?
Dovrà essere venduta solo la porzione non liberata o l’intera partecipazione ?
La risposta al quesito non è pacifica e vede schierati autorevoli sostenitori da entrambe le parti 4 .
Sulla risoluzione della questione hanno influenza alcuni elementi che devono essere coordinati:
-
la rilevanza del socio nella srl riformata
2
S. Cacchi Pessani Commento all’art. 2466 in Commentario alla Riforma del Diritto Societario diretto da Marchetti, Bianchi,
Ghezzi, Notari.
3
F. Tassinari Commento all’art. 2466 in Commentario Maffei Alberti; CNN 24-2006/I
4
CNN 5396/I, Masturzi Commento all’art. 2466 in Commentario Sandulli - Santoro
4
-
la natura unitaria della partecipazione nella srl riformata che prevede che ogni socio sia titolare
di un’unica quota e che sia vietata la standardizzazione delle partecipazioni in srl (salvo il
caso della startup innovativa)
-
il fatto che, in conseguenza di quanto sopra, non sia ammissibile il recesso parziale nella srl,
come invece nella spa (salvo ritenere ammissibile una previsione statutaria che lo consenta)
-
la discussione sulla divisibilità della quota 5
-
il fatto che nella ricostruzione astratta della riforma la SPA è la società in cui i soci investono,
mentre la SRL è quella in cui i soci si scelgono per le loro caratteristiche individuali il cui venir
meno può portare anche all’esclusione o al recesso (a seconda che sia data ai soci la facoltà di
estromettere chi non risponde più al canone predeterminato o di uscire se detto canone non è più
rispettato)
-
il fatto che se si arrivasse all’esclusione con annullamento dell’intera partecipazione (e non solo
della parte “in mora”) si dovrebbe corrispondere denaro al socio per il valore da lui
correttamente pagato (con possibile applicazione delle regole ex art. 2473 bis in tema di
esclusione volontaria come vedremo) e invece l’art. 2466 prevede che, in questa ipotesi, al socio
nulla è dovuto perché la società trattiene le somme riscosse.
tesi dell’indivisibilità
Per Ferri 6 (e la dottrina tradizionale formatasi prima della Riforma) dall’unicità della quota non può
che farsi discendere che sia in caso di vendita che in caso di esclusione con riduzione del capitale
occorra procedere sull’intera partecipazione non essendo possibile procedere diversamente,
altrimenti si arriverebbe all’assurdo di rendere possibile l’acquisto della partecipazione venduta allo
stesso socio moroso in quanto titolare solvente di un’altra quota. (in realtà dal tenore dell’art. 2644
che impone agli amministratori di offrire in vendita la quota agli altri soci sembra possibile evitare
tale circolo vizioso).
Neanche la divisibilità della quota, qualora affermata, potrebbe essere di aiuto ad una diversa
soluzione perché un inadempimento parziale non sarebbe idoneo a dividere la quota.
Tesi della divisibilità
A questa ricostruzione può essere opposto:
a) gli istituti di cui ci stiamo occupando sono tesi alla tutela dell’effettività del capitale sociale e
una scelta che pretendesse di vendere o escludere il socio per l’intera quota avrebbe sicuramente
un impatto maggiore sul capitale; in particolare in caso si arrivi all’esclusione occorrerebbe
affrontare e risolvere il problema della liquidazione della porzione integralmente liberata che
non potrebbe sottrarsi alle regole previste dall’art. 2473 bis per l’esclusione volontaria e quindi:
la parte liberata dovrebbe essere rimborsata al socio moroso da parte dell’acquirente, oppure
tramite utilizzo di riserve disponibili (non essendo possibile, per questa parte, la riduzione
5
M. Maltoni La partecipazione sociale in Caccavale – Magliulo – Maltoni – Tassinari La Riforma della Società a Responsabilità
Limitata.
6
G. Ferri jr. Le Società in Trattato Vassalli
5
del capitale sociale) e solo la parte non liberata potrebbe essere oggetto di riduzione del
capitale sociale.
Tuttavia dalla lettura della norma non si ha l’impressione che il legislatore si sia posto in
un’ottica così complessa ma si sia più semplicemente limitato e disciplinare la sorte di ciò che
non è stato liberato senza particolari sovrastrutture concettuali.
b) Neanche l’unicità della quota (sicuramente condivisibile) può però essere troppo esaltata al
punto da ritenere la stessa assolutamente indivisibile; come la migliore dottrina 7 ha dimostrato
la quota pur unica e non standardizzabile (eccezion fatta per il caso della startup innovativa) è
naturalmente divisibile (salvo diversa previsione dell’atto costitutivo) e quindi non esiste un
impedimento concettuale alla sua divisione in due porzioni distinte (liberata e non).
Se è sicuramente inammissibile distinguere tra parte liberata e non liberata di un’unica
partecipazione acquisita nell’ambito di un unico evento genetico (costituzione della società,
acquisto, aumento capitale) - (vedi pero Valzer in nota 8 ) - non è altrettanto eretico distinguere
tra porzioni nascenti da diversi eventi (costituzione, acquisto, aumento capitale); porzioni che
vanno si a formare un unicum, ma conservano ciascuna il proprio DNA sotto l’aspetto dei
rapporti contrattuali da cui sono sorte ed anche della liberazione dei decimi. A conferma di ciò
si può notare che per dottrina prevalente la sottoscrizione di un aumento di capitale fa sorgere una
nuova obbligazione e non comporta una modifica di quella precedentemente assunta
consentendo, quindi, di tenere in qualche modo distinte le posizioni.
In conclusione ritengo che sia la vendita che l’esclusione debbano essere riferite solo alla porzione
di quota rimasta non liberata non potendo il (pur innegabile) principio di unicità della
partecipazione comportare il trascinamento anche della porzione di già liberata.
***
ESCLUSIONE E RIDUZIONE DEL CAPITALE
Se con la vendita a rischio e pericolo (e con il successivo eventuale incanto) gli Amministratori non
riescono a cedere tutta o parte la quota in oggetto non resta che procedere all’esclusione del socio ai
sensi del III comma dell’art. 2466.
Procedimento
Organi competenti
7
M. Maltoni La partecipazione sociale in Caccavale – Magliulo – Maltoni – Tassinari La Riforma della Società a Responsabilità
Limitata.
8
CNN 101-2014/I ricorda che: “recentemente è stata avanzata una soluzione diversa (da parte di A. VALZER, La mancata esecuzione dei conferimenti, sub art. 2466, in S.r.l., Commentario Dolmetta –Presti dedicato a Portale, Milano, 2011, 233 ss.), secondo la quale dovrebbe procedersi alla riduzione solo della parte relativa ai centesimi non liberati, mentre i centesimi versati andrebbero ad accrescere proporzionalmente il valore delle quote degli altri soci. La tesi si fonda sull’osservazione che non vi sono ragioni per mutare il vincolo di destinazione impresso su risorse già imputate a capitale e che comunque restano investite nel patrimonio sociale, andando ad incrementare il valore patrimoniale della partecipazione degli altri soci ‐ ma attuando così una riclassificazione di parte del patrimonio da valore indisponibile senza l’opposizione dei creditori a valore disponibile (sul punto, v. anche le riflessioni di BUSI, S.p.a.‐
s.r.l. Operazioni sul capitale, Milano, 2004, 412 ss., ove si osserva che, per la riduzione relativa alla parte di capitale già liberata dall’escluso dovrebbe ritenersi applicabile l’opposizione dei creditori ex art. 2445 cod. civ.). “ 6
la dichiarazione di esclusione è di competenza dell’Organo Amministrativo, ma la decisione di
ridurre il capitale deve essere adottata con decisione dei soci. 9
***
Riduzione del capitale (disciplina applicabile)
L’esclusione prevista per il socio moroso è ben diversa da quelle prevista dall’art. 2473 bis per i
casi di “esclusione volontaria” sia per i presupposti, nell’una inderogabilmente definiti dal
legislatore (la mora nei versamenti) nell’altra volontariamente stabiliti dai soci, ma ancor più nelle
conseguenze: l’esclusione ex art. 2473 bis non consente mai di procedere alla riduzione del capitale
sociale nemmeno se i soci tutti lo volessero, quella ex art. 2466 impone alla società di procedere
alla riduzione del capitale in misura corrispondente alla partecipazione annullata (ergo: al suo
valore nominale) trattenendo le somme riscosse che, a questo punto, devono essere appostate a
riserva non contribuendo più a formare il capitale;
Nulla è dovuto al socio escluso.
Ci si interroga sulla natura della riduzione del capitale imposta dall’art. 2466 e sulle regole ad essa
applicabile, se cioè la stessa rientri nel novero delle riduzioni reali e quindi nella previsione dell’art.
2482 con le dovute conseguenze in tema di opposizione dei creditori e relativi termini, ovvero se la
stessa debba essere considerata dovuta essendo la società obbligata ad adottare i provvedimenti
relativi con conseguente applicazione delle regole dettate dagli art. 2482 bis e 2482 ter pur con i
dovuti correttivi 10 .
A me sembra di dover aderire a tale ultima tesi: dal tenore della norma e dalle caratteristiche tutte
del fenomeno della morosità si ricava l’impressione che il legislatore detti un percorso obbligato
che deve essere inderogabilmente intrapreso così come nei casi di riduzione del capitale per
perdite.
Ne consegue che gli amministratori dovranno senza indugio convocare l’assemblea per
procedere alla riduzione del capitale nella misura del valore nominale della partecipazione non
liberata, presentando una relazione che descriva non tanto la situazione patrimoniale della società
(che se non vi sono elementi ulteriori qui non viene in gioco) ma le cause ed il procedimento
dell’esclusione; ovviamente in questo caso non è possibile ipotizzare altri “opportuni
provvedimenti” stante l’obbligatorietà del procedimento. 11
9
Vedi CNN 101-2014/I: “Nel dichiarare l’esclusione, tuttavia, l’amministratore non può dare atto “dell’avvenuta riduzione del capitale sociale”, in quanto la modificazione statutaria interverrà solo successivamente, ad opera della decisione dei soci verbalizzata ed iscritta ex art. 2436 cod. civ. Non è espressamente affrontata, in dottrina, quale sia la sorte della partecipazione sociale nell’arco di tempo che va dall’esclusione alla riduzione del capitale sociale: per Trimarchi (op. cit., 452) essa resterebbe “quiescente”. L’organo amministrativo ha il dovere di fare in modo che questo lasso di tempo sia ridotto nella massima misura possibile (ZANARONE, op. cit., 424, ritiene necessario “che l’esclusione sia immediatamente seguita dalla riduzione del capitale in misura corrispondente”). “
10
G.A.M. Trimarchi Le riduzioni del capitale sociale
11
Nello stesso senso CNN 101-2014/I: “La deliberazione di riduzione del capitale ex art. 2466 cod. civ. è una riduzione obbligatoria, cui si applica analogicamente il disposto dell’art. 2446 cod. civ. (in questo senso, prima della riforma, SANTINI, Della società a responsabilità limitata, in Commentario Scialoja‐Branca, Bologna‐Roma, 1992, 103; NOBILI‐SPOLIDORO, La riduzione di capitale, in Trattato delle s.p.a. diretto da Colombo e Portale, Torino, 1993, 454; dopo la riforma NOBILI, La riduzione del capitale, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G. F. Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, vol. 3, Torino, 2007, 344 ZANARONE, op. cit., 424): così, sarà necessaria una relazione dell’organo amministrativo, corredata dalle osservazioni dell’organo di controllo, se esistente, mentre non si ravvisa l’esigenza della redazione di una situazione patrimoniale (TRIMARCHI, op. cit., 450).” 7
Ipotizzare una diversa soluzione e quindi l’applicazione delle regole dettate in tema di riduzione
reale comporterebbe di dover coordinare l’obbligatorietà dell’azione degli amministratori con le
conseguenze dell’eventuale opposizione fatta da un creditore. Cosa accadrebbe in questa ipotesi ?
posto che la riduzione è obbligatoria, ma che l’eventuale opposizione la bloccherebbe quali
sarebbero le conseguenze ? lo scioglimento della società ? Mi sembra che non sia stato questo
l’intento del legislatore quando ha previsto il meccanismo dell’art. 2466 allo stesso modo di quello
previsto dall’art. 2344 per la SPA. A sostegno della tesi qui accolta si può notare che in un altro
caso di riduzione obbligata e cioè quello relativo all’annullamento delle azioni proprie acquistate
in violazione dei limiti di legge, l’art. 2357 IV comma richiama espressamente il procedimento
previsto per la riduzione per perdite dall’art. 2446.
***
IL DIVIETO DI PARTECIPARE ALLE DECISIONI DEI SOCI
L’art. 2466 IV comma prevede che Il socio moroso non può partecipare alle decisioni dei soci.
Da questa norma sorgono, tra le altre, 4 questioni:
1. il socio moroso può intervenire in assemblea ?
2. nel caso in cui la morosità sia limitata a una porzione della partecipazione la
sospensione del diritto di partecipare alle decisioni dei soci è totale o limitata alla
parte non liberata ?
3. cosa ne è dei diritti particolari ex art. 2468 III comma ?
4. la partecipazione del socio moroso si computa nel quorum costitutivo ?
1) il socio moroso può intervenire in assemblea ?
su questo aspetto se da una parte vi è chi ritiene che la dizione del IV comma dell’art. 2466 (Il socio
moroso non può partecipare alle decisioni dei soci), diversa rispetto a quella dettata per la SPA dal
combinato disposto degli artt. 2344 e 2370 12 , sia dovuta alla possibilità per la SRL di adottare
decisioni in forma non collegiale e che quindi tale dizione non sia decisiva nell’impedire al socio in
mora nei versamenti l’intervento in assemblea che continuerebbe a spettargli (massima I.B.24
Triveneto 13 ), dall’altra la dottrina che sembra maggioritaria14 ritiene che la nuova dizione comporti
che al socio moroso sia inibito anche l’intervento in assemblea.
Tale conclusione è, come vedremo, invero strettamente connessa con quella che si darà alla
successiva domanda circa il computo dei quorum in assemblea.
12
La previsione dell’art. 2344 (il socio in mora nei versamenti non può esercitare il diritto di voto) va letta unitamente al I comma
dell’art. 2370 (Possono intervenire all’assemblea coloro ai quali spetto il diritto di voto), intendendosi per “colui cui spetta” come
colui alla cui azione è connesso il diritto di voto, con la conseguenza di ritenere inibito l’intervento in assemblea all’azionista
moroso.
13
I.B.24 - (QUORUM COSTITUTIVI E DELIBERATIVI IN PRESENZA DI SOCI MOROSI – 1° pubbl. 9/09 – motivato 9/11) La
disposizione di cui al comma 4 dell’art. 2466 c.c., in forza della quale il socio moroso non può partecipare alle decisioni dei soci,
deve essere interpretata, nel caso di decisione assembleare, nel senso che detto socio ha comunque il diritto di intervento in
assemblea e, se intervenuto, di essere computato tra i presenti. Nelle decisioni assembleari, dunque, la partecipazione del socio
moroso deve essere computata per il calcolo del quorum costitutivo, mentre non deve essere computata per il calcolo delle
maggioranze e della quota di capitale richiesta per l’approvazione della deliberazione.
14
Tassinari, Zanarone, Perrino, Magliulo, CNN 973-2013/I
8
2) nel caso in cui la morosità sia limitata a una porzione della partecipazione la sospensione
del diritto di partecipare alle decisioni dei soci è totale o limitata alla parte non liberata ?
In risposta a questa domanda non può che condividersi la massima I.B.25 del Triveneto
I.B.25 – (DIRITTO DI VOTO DEL SOCIO TITOLARE DI UNA PARTECIPAZIONE
INTERAMENTE LIBERATA CHE INCREMENTI LA MEDESIMA CON UNA QUOTA PER LA
QUALE VENGA MESSO IN MORA CON I VERSAMENTI – 1° pubbl. 9/09 – motivato 9/11)
La disposizione di cui al comma 4 dell’art. 2466 c.c., in base alla quale il socio in mora con i
versamenti non può partecipare alle decisioni dei soci, deve essere interpretata nel senso che tale
diritto è sospeso per l’intera partecipazione, anche nel caso che la stessa sia stata inizialmente
liberata integralmente e successivamente incrementata con una quota per la quale si sia verificata
la mora nei versamenti.
In questo ambito la unitarietà della partecipazione non può in alcun modo essere superata, il
socio è titolare di un’unica partecipazione cui sono connessi diritti patrimoniali ed amministrativi, il
divieto di esercitare alcuni di essi non può che essere relativo all’intera quota, non essendo nella
SRL nemmeno ipotizzabile l’ipotesi del voto disgiunto.
3) cosa ne è dei diritti particolari ex art. 2468 III comma ?
I diritti amministrativi riservati ad un socio ex art. 2468 III comma che in qualsiasi modo possano
influire sui processi decisionali e gestionali della società che sono o possano essere rimessi alla
decisione dei soci restano sospesi;
si intendono pertanto sospesi i diritti inerenti la nomina e la revoca degli amministratori,
l’assunzione di particolari decisioni inerenti la gestione della società, il diritto di veto relativo a
particolari atti gestori, ecc..
4) la partecipazione del socio moroso si computa nel quorum costitutivo ?
Ci si chiede che influenza ha la partecipazione del socio moroso sui quorum assembleari ed in
particolare sul quorum costitutivo;
posto che il socio non può votare, cosa accade se lo statuto della società prevede un quorum
costitutivo dell’assemblea tale che senza la presenza del detto socio non sia possibile nemmeno
aprire i lavori ?
la situazione si complica ulteriormente se, come ritengo, il socio moroso non ha nemmeno diritto
di partecipare all’assemblea.
La dottrina prevalente ritiene applicabile alla fattispecie il III comma dell’art. 2368 dettato in tema
di SPA:
III]. Salvo diversa disposizione di legge le azioni per le quali non può essere esercitato il diritto di
voto sono computate ai fini della regolare costituzione dell'assemblea. Le medesime azioni e
quelle per le quali il diritto di voto non è stato esercitato a seguito della dichiarazione del soggetto
al quale spetta il diritto di voto di astenersi per conflitto di interessi non sono computate ai fini del
calcolo della maggioranza e della quota di capitale richiesta per l'approvazione della
deliberazione 15
15
Si veda anche l’art. 14, quinto comma, del T.U.F., dispone che “le partecipazioni per le quali non può essere esercitato il diritto di voto sono computate ai fini della regolare costituzione dell’assemblea”. 9
Ma a fronte di un medesimo richiamo diverse sono le letture che di questa norma vengono date:
da una parte abbiamo la dottrina prevalente 16 che ritiene che la previsione per la quale le azioni del
socio moroso (e comunque tutte le azioni cui il diritto di voto spetta, ma non può essere esercitato)
sono computate ai fini della regolare costituzione dell'assemblea comporta che le stesse vadano
poste al denominatore in cui si traduce il quoziente costitutivo andando quindi a far parte del
capitale sul quale la verifica della presenza di tale quorum deve essere effettuata, anche alla luce
dell’esigenza di astratta conoscibilità in qualunque momento, da parte di ciascun socio, della
propria ed altrui possibilità di influire sulla valida costituzione dell’assemblea, a prescindere da
ogni vicenda soggettiva e contingente.
Conseguenza di tale posizione è che, non potendo il socio partecipare all’assemblea in virtù del
combinato disposto degli articoli 2343 e 2470 c.c. 17 la sua assenza potrebbe comportare, in caso di
partecipazione particolarmente rilevante o di quorum costitutivi particolarmente elevati,
l’impossibilità di procedere financo all’apertura dei lavori assembleari. Impossibilità che,
peraltro, potrebbe essere vista come fisiologica e non particolarmente rilevante stante la brevità dei
tempi di espletamento delle procedure per risolvere la “crisi” dovuta alla mora a fronte,
tuttavia, della salvaguardia dell’esigenza di evitare uno sconvolgimento degli assetti societari
discendente da una temporanea impossibilità di votare di un socio.
Dall’altra parte abbiamo chi ha rilevato 18 che il tenore letterale dell’art. 2368 è teso ad evitare che
la mancanza del socio moroso possa rendere più difficile raggiungere i quorum necessari per
costituire l’assemblea e deliberare.
La norma creerebbe, quindi una “finzione giuridica” che consente di considerare le azioni del socio
moroso comunque presenti in assemblea (a prescindere dal materiale intervento dello stesso) al
fine di consentire l’apertura dei lavori assembleari. La ratio sarebbe, appunto, quella di rendere il
socio moroso quanto più innocuo per la vita sociale sterilizzandone la partecipazione che sarà,
appunto, considerata presente per la costituzione dell’assemblea, ma non influirà ai fini del calcolo
del quorum deliberativo.
Conseguenza di questa lettura è, tuttavia, che stante la “necessaria” presenza in assemblea delle
azioni del socio moroso vi sia la possibilità che decisioni rilevanti vengano assunte con il voto di
una minoranza esigua, sconvolgendo, quindi, gli assetti societari che la prima lettura di cui sopra
tende invece a salvaguardare.
Con riferimento alla Srl ha preso espressa posizione la Commissione dei Notai del Triveneto 19 ,
che, nel riconoscere comunque al socio moroso il diritto di intervento in assemblea, ha ritenuto
che, nelle decisioni assembleari di Srl, la partecipazione del socio moroso deve essere computata ai
fini del calcolo del quorum costitutivo solo se lo stesso è intervenuto, in assemblea.
16
Per tutti Tassinari in Commentario Romano al Nuovo Diritto delle Società”, Padova 2010, sub artt. 2368 – 2369
17
La previsione dell’art. 2344 (il socio in mora nei versamenti non può esercitare il diritto di voto) va letta unitamente al I comma
dell’art. 2370 (Possono intervenire all’assemblea coloro ai quali spetto il diritto di voto), intendendosi per “colui cui spetta” come
colui alla cui azione è connesso il diritto di voto, con la conseguenza di ritenere inibito l’intervento in assemblea all’azionista
moroso.
18
Busi “Assemblea e decisioni dei soci nelle S.P.A. e nelle S.R.L.” p. 739
19
COMITATO TRIVENETO DEI NOTAI IN MATERIA DI ATTI SOCIETARI - Massima I.B.24 - (QUORUM COSTITUTIVI E
DELIBERATIVI IN PRESENZA DI SOCI MOROSI – 1° pubbl. 9/09 – motivato 9/11) La disposizione di cui al comma 4 dell’art.
2466 c.c., in forza della quale il socio moroso non può partecipare alle decisioni dei soci, deve essere interpretata, nel caso di
decisione assembleare, nel senso che detto socio ha comunque il diritto di intervento in assemblea e, se intervenuto, di essere
computato tra i presenti. Nelle decisioni assembleari, dunque, la partecipazione del socio moroso deve essere computata per il calcolo
del quorum costitutivo, mentre non deve essere computata per il calcolo delle maggioranze e della quota di capitale richiesta per
l’approvazione della deliberazione.
10
Se così fosse il socio moroso avrebbe la facoltà di “ricattare” la società impedendole di assumere
decisioni importanti (ed anche vitali).
In sostanza si potrebbe sostenere che, a fronte di uno statuto che richieda un quorum costitutivo
particolarmente elevato o comunque tale da richiedere la necessaria partecipazione del socio in
mora alla decisione, la stessa non potrebbe essere validamente adottata se non in presenza dello
stesso socio moroso che, ovviamente, avrebbe tutti i motivi per non partecipare alla riunione
bloccando così le decisioni della società anche in merito, ad esempio, alla riduzione del capitale
necessaria per completare il procedimento di esclusione.
A tale problema si potrebbe porre rimedio ricorrendo alla previsione di decisioni “non
assembleari” nelle quali è sufficiente che tutti i soci siano informati del processo decisionale anche
se non esprimono alcun voto, soluzione, peraltro, non sempre risolutiva stante la previsione del IV
comma dell’art. 2479 che richiede la necessaria delibera assembleare per i casi di cui ai nn. 4 e 5 del
II comma del medesimo art. 2479 e la possibilità che il socio moroso, titolare di oltre un terzo del
capitale sociale, porti all’estremo il suo ostruzionismo richiedendo sistematicamente l’adozione
della decisione assembleare, salvo poi non partecipare alla riunione;
in alternativa si potrebbe evitare di prevedere quorum costitutivi ma stabilire solo quorum
deliberativi (ovvero quorum costitutivi coincidenti con quelli deliberativi calcolati sul capitale, ad
esempio: “l’assemblea delibera con il voto favorevole della maggioranza del capitale”); in questa
ipotesi, infatti, la questione che ci occupa non si pone nemmeno essendo indubitabile che, non
potendo il socio concorrere alle deliberazioni, la sua partecipazione non può essere calcolata al fine
del raggiungimento del quorum deliberativo.
Non è chi non veda che tutte le soluzioni proposte non sono del tutto soddisfacenti portando con
se problemi altrettanto gravi di quelli che intendono risolvere.
La norma del III comma dell’art. 2368 dettata in tema di Spa va in realtà a disciplinare un quadro
diverso da quello della Srl, non solo perché il legislatore presuppone una compagine sociale più
ampia ed articolata in cui la mora di un singolo socio potrebbe non essere così significativa, ma,
soprattutto, perché nella Spa in seconda convocazione non sono previsti quorum costitutivi per
l’assemblea ordinaria (e per alcune decisioni non è nemmeno possibile una diversa previsione
statutaria); in questo quadro il problema del computo delle azioni del socio moroso spesso
nemmeno si pone, come ha rilevato nell’unica sentenza di merito in materia di azioni proprie e
quorum assembleari il Tribunale di Roma 20 : le azioni proprie devono essere calcolate nei quorum
costitutivi e deliberativi dell’assemblea solo nei casi in cui il legislatore fissa specificamente
determinati quorum costitutivi ovvero deliberativi al fine della valida formazione della volontà
assembleare.
L’applicazione alla Srl di una norma come l’art. 2368 III comma dettata in un quadro diverso,
nonostante sia sostenuta dalla maggior parte degli autori, deve essere rimeditata al fine di
verificare se non sia possibile ricavare all’interno della, pur scarna, disciplina della società a
responsabilità limitata un’autonoma regola da applicare al caso del socio moroso, nella
convinzione che, dopo la riforma del 2003, non sia più possibile leggere la Srl con gli occhiali
della Spa, ma occorra cercare, innanzitutto, soluzioni coerenti con il codice genetico della nuova
Società a Responsabilità Limitata.
20
Trib. Roma 19 luglio 2012 in Riv. Not. 2013 p. 164, relativa al noto caso della Salini Costruzioni S.p.A.
11
A noi sembra che ciò possa essere fatto partendo dal testo stesso della disposizione del IV comma
dell’art. 2466: Il socio moroso non può partecipare alle decisioni dei soci.
La norma non fa richiami e non ammette deroghe e se letta nell’ambito della Srl riformata e
quindi della maggiore rilevanza che viene riconosciuta ai soci ed ai rapporti tra gli stessi (e
l’esclusione sia legale che per cause statutarie ne è una prova), alla maggiore (e quasi naturale)
incidenza di ciascun socio sugli assetti societari, sembra portare in una direzione diversa dalle
soluzioni individuate in sede di Spa al cui il testo non fa mai richiamo.
Il socio in mora nei versamenti non può partecipare alle decisioni dei soci e quindi non può, in
alcun modo, essere in condizione di influenzarne o condizionarne il relativo procedimento.
Dal IV comma dell’art. 2466 sembra anzi potersi ricavare un principio generale che impedisce a
chi è inadempiente nel versamento dei decimi di poter, in qualsiasi modo, influire sulle decisioni
societarie e di essere computato al fine dell’adozione delle stesse.
Ne consegue che nella Srl la quota del socio moroso non deve essere computata nel calcolo del
quorum costitutivo 21 perché il socio moroso non potendo partecipare in alcun modo alle decisioni
dei soci deve essere escluso anche dalla relativa base di calcolo (denominatore) del quorum
costitutivo 22 .
Qualora si sostenesse che il socio moroso resta tale sino all’annullamento della sua
partecipazione questa lettura risulterebbe essere l’unica coerente con la disciplina dell’esclusione
del socio in mora prevista dal III comma dell’art. 2466 che prevede che Il capitale deve essere
ridotto in misura corrispondente: posto che, per la dottrina preferibile, la riduzione di capitale a
valle dell’esclusione deve essere deliberata dall’assemblea dei soci secondo le norme dettate dagli
artt. 2482 bis e 2482 ter c.c. accogliere la tesi del necessario computo della quota del socio moroso
nel denominatore del quorum costitutivo comporterebbe accettare la possibilità di un corto circuito
per cui la società è obbligata a procedere ad un’operazione che le è materialmente impossibile senza
la collaborazione dello stesso, e ciò nell’ipotesi non residuale, ma frequentissima, di Srl a ristretta
base sociale con un socio titolare di almeno la metà del capitale.
Si noti che nella Spa, nel cui ambito è dettato l’art. 2368, questo problema non si pone non essendo
prevista dall’art. 2344 la necessità di alcuna delibera assembleare per la dichiarazione di decadenza
del socio moroso e l’acquisizione delle azioni in favore della società stessa,.
Nella Srl, pertanto, la partecipazione del socio moroso non impedirà mai la costituzione
dell’assemblea né lo stesso dovrà essere coinvolto nell’assunzione delle decisioni non
assembleari e le maggioranze dovranno essere calcolate al netto della sua quota:
si ipotizzi una Srl con 4 soci uno al 51%, uno 10%, uno al 20% ed uno al 19% in cui il socio
portatore del 51% del capitale sia moroso per l’intera partecipazione ed il cui statuto riporti la
previsione dell’art. 2479 III comma (costitutivo 50% e deliberazione a maggioranza assoluta del
capitale in assemblea e nei casi di cui ai numeri 4 e 5 del II comma con il voto favorevole di almeno
la metà del capitale sociale);
se quanto detto sopra è corretto, il socio moroso non potrà intervenire in assemblea, la stessa sarà
comunque validamente costituita e delibererà con il voto favorevole della maggioranza del
capitale al netto della partecipazione del socio moroso anche in sede “straordinaria”.
21
22
Sanfilippo in SRL – Commentario a cura di Dolmetta e Presti sub. art. 2479 bis p. 831
Cian in Trattato delle Società a Responsabilità Limitata diretto da Ibba e Marasà p. 78
12
Posta comunque la delicatezza della questione è opportuna una previsione statutaria tesa a
dettare una chiara disciplina della materia.
***
RIDUZIONE CAPITALE E SUA RICOSTITUZIONE IN PRESENZA DI SOCIO MOROSO
Ci si è chiesti cosa accada se la società si trovi nella condizione di dover procedere alle operazioni
sul capitale ex artt. 2482 bis e 2482 ter ed uno dei suoi soci si trovi ad essere in mora nei versamenti
dei decimi;
sicuramente sarà possibile procedere ai sensi dell’art. 2466, ma i tempi richiesti per completare il
procedimento ivi previsto potrebbero essere troppo lunghi ed incompatibili con l’esigenza della
società di rimuovere quanto prima la causa di scioglimento intervenuta stante anche l’obbligo per
gli amministratori di procedere “senza indugio” ad attivare l’adozione degli opportuni
provvedimenti idonei a superare lo stato di crisi.
In questa ipotesi - ferma restando la legittimità e doverosità della riduzione (o azzeramento) del
capitale in conseguenza delle perdite - si pone il problema della compatibilità della situazione in cui
una parte del capitale non sia liberata con il disposto del II comma dell’art. 2481 23 che impedisce
l’esecuzione del deliberato aumento se le partecipazioni precedentemente emesse non siano state
interamente liberate. Orbene al termine del procedimento previsto dall’art. 2466 il problema può
dirsi risolto, ma prima che tale procedimento sia compiuto la questione resta aperta e l’unica strada
percorribile sembra essere quella che i soci “virtuosi” si facciano essi stessi carico del versamento
dei decimi mancanti surrogandosi nei diritti della società verso il socio inadempiente.
Si tratta sicuramente di una soluzione “sgradevole” che diventa ancor più “fastidiosa” se si tiene
conto che, per effetto del versamento dei soci virtuosi, il socio moroso cessa di essere tale
riacquistando, quindi, il diritto di partecipare alle decisioni dei soci, di esprimere il voto, di
esercitare i diritti particolari eventualmente spettantigli ed, addirittura, di sottoscrivere
l’aumento che verrà deliberato per riportare la società “in bonis”; purtroppo questa sembra
essere l’unica possibilità per procedere alla ricapitalizzazione della società. 24
Ovviamente la società dovrà aver cura, per evitare il ripetersi della situazione, di subordinare la
sottoscrizione dell’aumento all’integrale liberazione delle partecipazioni sottoscritte, magari
concedendo un termine per la sottoscrizione e non pretendendo che la stessa avvenga
immediatamente in sede di assemblea così come, ormai, ritenuto ammissibile anche dalla
giurisprudenza della Cassazione
Non appare possibile superare l’impasse semplicemente sostenendo che quando la riduzione per
perdite azzera il capitale si sarebbe raggiunto lo stesso risultato dell’art. 2466 residuando solo un
diritto di credito nei confronti del socio moroso per i decimi non versati, perché, comunque, la
società ha ricevuto meno di quanto doveva essere versato dai soci a titolo di investimento e la
norma non sembra consentire aggiramenti sostituendo il materiale versamento con un credito di
incerta realizzazione.
23
[II]. La decisione di aumentare il capitale sociale non può essere attuata fin quando i conferimenti precedentemente dovuti non
sono stati integralmente eseguiti.
24
In questo senso anche CNN 921-2013/I “Laddove, invece, si intenda procedere immediatamente a tale aumento, senza dover attendere l’esito dei rimedi ex art. 2466 c.c., poiché è necessario che le quote siano interamente liberate, i soci dovranno versare quanto ancora dovuto dal socio moroso mediante adempimento del terzo.“
13
- II ESCLUSIONE PER CAUSE STATUTARIE
ARTICOLO 2473 bis
Esclusione del socio (1).
[I]. L'atto costitutivo può prevedere specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa del socio. In
tal caso si applicano le disposizioni del precedente articolo, esclusa la possibilità del rimborso
della partecipazione mediante riduzione del capitale sociale.
ARTICOLO 2473
….
[III]. I soci che recedono dalla società hanno diritto di ottenere il rimborso della propria
partecipazione in proporzione del patrimonio sociale. Esso a tal fine è determinato tenendo conto
del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso; in caso di disaccordo la
determinazione è compiuta tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale, che
provvede anche sulle spese, su istanza della parte più diligente; si applica in tal caso il primo
comma dell'articolo 1349.
[IV]. Il rimborso delle partecipazioni per cui è stato esercitato il diritto di recesso deve essere
eseguito entro centottanta giorni (2) dalla comunicazione del medesimo fatta alla società. Esso può
avvenire anche mediante acquisto da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro
partecipazioni oppure da parte di un terzo concordemente individuato da soci medesimi. Qualora
ciò non avvenga, il rimborso è effettuato utilizzando riserve disponibili …
L’esclusione esiste solo nella SRL non nella Spa (anche se nella Spa è possibile ottenere risultati
non dissimili prevedendo azioni riscattabili in particolari ipotesi)
PRINCIPI GENERALI IN TEMA DI ESCLUSIONE 25
1. I casi di esclusione devono essere specifici e quindi individuati in modo preciso ed
oggettivo; vanno quindi evitate formule generiche tipo “giusta causa”: la giusta causa
accompagna la causa specifica non è essa stessa causa specifica e ciò indipendentemente
dalla soluzione che si accolga circa il requisito della giusta causa come previsto dall’art.
2473 bis (e cioè se lo stesso debba sussistere perché una causa specifica sia legittima o se sia
da considerarsi giusta qualsiasi causa specifica che i soci abbiano deciso in inserire nello
statuto).
2. I casi di esclusione, se collegati ad un inadempimento da parte del socio degli obblighi
assunti verso la società sono giustificati solo in presenza di inadempimento di non scarsa
importanza in ossequio al principio generale dettato in tema di contratto dall’art. 1455 c.c..
3. L’esclusione può essere prevista anche per fattispecie di semplice impossibilità
sopravvenuta della prestazione o incolpevole perdita di requisiti senza che si debba
necessariamente configurare un comportamento colposo o doloso del socio da escludere.
25
In parte tratti da Luca Barchi “L’esclusione del socio nella società a responsabilità limitata” relazione presentata al Raduno
Invernale dei Notai d’Italia a Cortina nel febbraio 2005 e poi pubblicata in Notariato 2/2006 p. 149 ss.
14
4. La disciplina statutaria deve essere completa e precisa.
5. La delibera di esclusione deve essere adeguatamente motivata e deve sempre indicare gli
specifici fatti che ne sono alla base.
6. L’esclusione deve essere comunicata con mezzi idonei ad assicurarne la conoscenza da
parte del socio escluso.
7. Deve essere lasciato un congruo periodo di tempo al socio escluso per formulare le proprie
difese.
8. Il socio escluso non può votare (perché in conflitto di interessi) sulla sua esclusione
(opportuna una previsione statutaria)
9. Non è possibile ridurre il capitale per il caso dell’esclusione volontaria (cosa, peraltro,
abbastanza strana se si pensa che, dopo la Riforma la società può ridurre il capitale
liberamente senza bisogno di dare giustificazione alcuna, fermo restando il rispetto dei
termini per l’opposizione dei creditori)
***
Tranne il caso del socio moroso non esistono nella SRL casi di esclusione automatica nemmeno
la dichiarazione di fallimento (come invece prevede l’art. 2288 per le società di persone).
Tuttavia è possibile prevedere nello statuto casi che determinino automaticamente l’esclusione del
socio (es: fallimento, interdizione, scomparsa), ma è più che opportuno valutare con attenzione
insieme ai soci l’inserimento di tali cause “automatiche” perché non lasciano alla società la
possibilità di scelta costringendola a liquidare il socio quand’anche la stessa (ed i soci) si trovi in
condizioni di scarsa liquidità (o di difficile accesso al credito) creando difficoltà che potrebbero
portare anche allo scioglimento dell’ente.
PROCEDIMENTO
Il legislatore non disciplina il procedimento di esclusione, facendo richiamo delle nome sul recesso
per alcuni aspetti;
si tratta di un vuoto che lo statuto deve colmare non potendosi considerare ben fatte delle norme
per il funzionamento della società che tacciano sul punto.
Competenza
Nel silenzio del legislatore ed in presenza di differenti posizioni in dottrina lo statuto dovrà
individuare chi è competente a deliberare l’esclusione, che, a mio avviso, in assenza di espressa
previsione statutaria, non possono che essere i soci con una loro decisione (anche se vi è chi ritiene
che tale potere spetti agli Amministratori in assonanza con quanto previsto per le cooperative, ma in
queste è tutto il procedimento di ingresso ed uscita dei soci che è rimesso all’Organo
Amministrativo) e ciò anche perché sembra naturale che, si ripete in assenza di una – sicuramente
15
legittima – previsione statutaria, una decisione che ha potenzialmente grandi effetti sugli assetti
proprietari e patrimoniali della società sia rimessa ai soci.
Diritto particolare di decidere l’esclusione
E’ Dubbio se si possa far rientrare la competenza a decidere sull’esclusione tra i diritti particolari ex
art. 2468 III comma attribuendo ad uno o più soci il potere di decidere dell’esclusione o meno di
un socio (nei casi in cui sia facoltativa). Nonostante la prima risposta istintiva sia per la negativa un
più attenta riflessione potrebbe portare a conclusioni diverse se, come sembra intuirsi
dall’evoluzione della dottrina dopo la riforma, si dia una lettura ampia della dizione “diritti
riguardanti l’amministrazione della società”, posto che è, come detto, sicuramente legittimo che
la competenza e decidere sull’esclusione sia affidata all’Organo Amministrativo.
Società con 2 soci
Salvo espressa previsione statutaria non ritengo che vi sia competenza del Tribunale nel caso di
società composta da 2 soli soci (come è invece previsto per le società di persone).
***
Intervento in assemblea
In assenza di espressa previsione normativa lo statuto dovrà disciplinare anche l’intervento del
socio nell’assemblea che decide sull’esclusione: se la sua quota si computa o meno nel quorum
costitutivo, se non se ne debba tener conto in quello deliberativo (per evitare al socio “infedele” di
bloccare la decisione in suo danno).
Posto che la dottrina ancora si interroga sull’efficacia - immediata al momento della dichiarazione
di esclusione o posticipata a quello della liquidazione - dell’esclusione, lo statuto dovrà disciplinare
la sospensione dell’esercizio dei diritti amministrativi per il socio escluso fino al
perfezionamento del procedimento.
***
trasferimento della quota, “ostruzionismo dell’escluso” e mandato agli amministratori
La partecipazione del socio escluso, così come per il caso del recesso, dovrà essere offerta in
acquisto agli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni oppure potrà essere acquistata da
parte di un terzo concordemente individuato da soci medesimi.
Nell’ipotesi che si proceda alla vendita della partecipazione ai soci o a terzi si pone il problema
dell’impasse che si può creare in caso di atteggiamento ostruzionistico del socio che si rifiuti di
addivenire alla stipula del relativo atto di cessione. Il legislatore qui non riproduce la norma dell’art.
2466 che attribuisce agli amministratori il potere di vendere la quota del socio moroso, ne consegue
che un atteggiamento di rifiuto del socio escluso porrebbe la società nell’alternativa di scegliere tra
intraprendere il procedimento ex art. 2932 c.c. (con tutte le conseguenze legate ai tempi e modi di
un procedimento di cognizione) ovvero rinunciare alla vendita e procedere alla liquidazione
16
mediante utilizzo delle riserve disponibili (sempre che ve ne siano a sufficienza non essendo
possibile, come detto, ridurre il capitale).
In queste ipotesi è ammissibile, e consigliabile, che lo statuto preveda un mandato agli
amministratori (con facoltà di contrarre anche con se stessi per il caso che siano anche soci)
per procedere alla cessione della partecipazione in nome e per conto del socio escluso al prezzo
determinato secondo il procedimento che lo statuto dovrà precisare ovvero stabilito dal giudice in
caso di (più che probabile) contenzioso sul punto.
Mandato e nuovi soci
Qualche dubbio è stato avanzato sull’efficacia del mandato contenuto nello statuto anche nei
confronti di coloro che divengano soci durante societate e, quindi, non abbiano sottoscritto l’atto
costitutivo, ritenendosi che, ammettendo tale efficacia, si finirebbe per attribuire all’autonomia
statutaria la possibilità di agire sulla sfera giuridica di terzi in difetto di una loro espressa
manifestazione di volontà. 26
Condivisibile nel senso dell’ammissibilità di tale mandato e della sua efficacia anche per i soci
sopravvenuti è la posizione di chi ha fatto notare 27 che i soci che entrano a far parte della
società si assoggettano a tutte le disposizioni dell’atto costitutivo ed a quelle previste nelle sue
modifiche, legittimamente adottate nel rispetto delle regole organizzative stabilite,
indipendentemente da un’espressa accettazione delle stesse.
Né può essere opposta la mancanza di forma per il rilascio del potere rappresentativo posto
che per la cessione di partecipazioni la forma è libera essendo quella rafforzata dettata ai soli
fini pubblicitari.
L’introduzione successiva a maggioranza e i diritti dei soci preesistenti
Necessità del consenso di tutti i soci
Qualche dubbio maggiore deve invece aversi sulla legittimità (o meglio sull’efficacia)
dell’introduzione nello statuto di una clausola siffatta con delibera assunta a maggioranza e non
con il consenso di tutti i soci, e ciò non tanto per coloro che divengano soci in seguito all’adozione
di detta clausola (che per quanto detto sopra non possono che ritenersi vincolati a tutto quanto
previsto nei patti sociali), ma per i soci preesistenti e non consenzienti a tale decisione.
Una decisione di questo tipo, che incide nella sfera giuridica di ciascun socio, è dubbio che possa
essere adottata a maggioranza e possa produrre effetti anche per i soci dissenzienti.
Ad alimentare il dubbio è la posizione assunta da una recente giurisprudenza del Tribunale di
Milano 28 in tema di clausole tag-along e drag-along: i giudici ambrosiani hanno ritenuto che dette
clausole possano essere introdotte nell’atto costitutivo solo con il consenso di tutti i soci e non a
maggioranza.
Nello stesso senso si erano già espressi i colleghi del Triveneto 29 30
26
27
28
CNN 212-2008/I
Magliulo
Trib. Milano 25 marzo 2011 in RDS 3/2011
29
massima H.I.19 ‐ (LIMITI DI VALIDITA’ DELLE CLAUSOLE STATUTARIE CHE OBBLIGANO DETERMINATI SOCI A CEDERE LE PROPRIE AZIONI NEL CASO IN CUI ALTRI SOCI DECIDANO DI ALIENARE LE LORO ‐ 1° pubbl. 9/06) Le clausole statutarie che impongono a determinati soci, ad esempio i soci di minoranza, l’obbligo di cedere ad un giusto prezzo (comunque non inferiore al valore 17
Orbene, se si ha presente che per parte della dottrina dette clausole sono riconducibili al contratto di
mandato, si comprende come si imponga un doveroso atteggiamento di prudenza.
Pur provando un certo fastidio per le posizioni che sembrano far risorgere dalle generi le teorie dei
diritti individuali dei soci e della conseguente necessità di votazioni unanimi, sembra opportuno,
anche nella nostra ipotesi, accogliere la tesi più prudente e richiedere il consenso di tutti i soci per
l’introduzione del mandato agli amministratori ad alienare la partecipazione del socio escluso.
Inefficacia e non invalidità
Va tuttavia chiarito che, anche accogliendo l’indirizzo desumibile dall’orientamento della corte
milanese, l’introduzione a maggioranza della clausola che preveda il mandato ad alienare non sia
invalida, ma semplicemente inefficace nei confronti di coloro che (pur essendo soci) non
abbiano ad essa consentito trattandosi non di violazione di una (inesistente) regola unanimistica,
ma di carenza di legittimazione a disporre. 31
***
LA LIQUIDAZIONE MEDIANTE UTILIZZO DELLE RISERVE DISPONIBILI
Non diversamente dal recesso questo metodo comporta l’accrescimento della quota degli altri soci.
Importante è qui ricordare che non sono disponibili e quindi non utilizzabili per lo scopo le riserve
che non possono essere liberamente distribuite ai soci quand’anche utilizzabili per aumento di
capitale e per copertura delle perdite e quindi:
- la riserva legale
- le riserve da rivalutazione monetaria
- le riserve “statutarie”
sono invece utilizzabili:
- le riserve di utili distribuibili
- le riserve formate da versamenti a fondo perduto e a “patrimonio”
Non sembrano utilizzabili, salvo diversa indicazione dei soci che le hanno effettuate, le poste
formate da versamenti in conto “futuro aumento capitale” trattandosi in realtà di somme non
definitivamente acquisite al patrimonio sociale sino alla delibera di aumento cui sono connesse.
determinato ai sensi dell’art. 2437 ter c.c.) le loro azioni nel caso in cui altri soci, nell’esempio quelli di maggioranza, decidano di alienare le loro sono legittime a condizione che siano adottate con il consenso di tutti i soci. Per rendere opponibile tale clausola ai terzi acquirenti delle azioni è necessario che la stessa sia pubblicizzata nelle forme previste dall’art. 2355bis c.c. 30
I.I.25 ‐ (LIMITI DI VALIDITA’ DELLE CLAUSOLE STATUTARIE CHE OBBLIGANO DETERMINATI SOCI A CEDERE LE PROPRIE PARTECIPAZIONI NEL CASO IN CUI ALTRI SOCI DECIDANO DI ALIENARE LE LORO ‐ 1° pubbl. 9/06) Le clausole statutarie che impongono a determinati soci, ad esempio i soci di minoranza, l’obbligo di cedere ad un giusto prezzo (comunque non inferiore al valore determinato ai sensi dell’art. 2473 c.c.) le loro partecipazioni nel caso in cui altri soci, nell’esempio quelli di maggioranza, decidano di alienare le loro sono legittime a condizione che siano adottate con il consenso di tutti i soci. Dette clausole sono opponibili ai terzi acquirenti in quanto risultanti dal testo di statuto depositato nel registro delle imprese. 31
E. Malimpensa “Introduzione durante societate di riscatto e drag along” nota a Trib. Milano 25 marzo 2011 in RDS 3/2011
18
***
intervento del Notaio
Per la comunicazione della modifica della compagine sociale al Registro delle Imprese, stante
l’efficacia che l’art. 2470 attribuisce allo stesso in seguito all’abolizione del libro soci, non si può
che ritenere trattarsi di atto soggetto ad iscrizione ai sensi del IV comma dell’art. 11 del D.P.R. 7
dicembre 1995 n. 581 (Regolamento di attuazione dell'art. 8 della l. 29 dicembre 1993, n. 580, in
materia di istituzione del registro delle imprese di cui all'art. 2188 del codice civile) che prevede:
“L’atto da iscrivere è depositato in originale, con sottoscrizione autenticata, se trattasi di scrittura privata non depositata presso un notaio. Negli altri casi è depositato in copia autentica. L’estratto è depositato in forma autentica ai sensi dell’art. 2718 del codice civile.” e quindi per il necessario intervento notarile.
VALORE DI LIQUIDAZIONE
Valore di mercato = valore reale comprensivo dell’avviamento
Legittimità di criteri di determinazione del valore da liquidare al socio escluso in maniera
difforme dal valore di mercato: su questo punto occorre esaminare le conclusioni cui si è giunti in
tema di recesso e vedere se le stesse sono applicabili al caso dell’esclusione.
Conclusioni raggiunte in tema di recesso
Per il caso del recesso buona parte la dottrina (per tutti Massima n. 74 Milano) ritiene che il rigido
riferimento al valore di mercato sia ineludibile solo per le cause di recesso previste quali
inderogabili dall’art. 2473, essendo possibile, invece, per le cause volontariamente e liberamente
introdotte dai soci prevedere criteri liberamente stabiliti dall'atto costitutivo o dallo statuto, anche
in totale deroga rispetto ai criteri di liquidazione fissati dalla legge per le cause legali di recesso;
per le cause legali, invece, stante la mancata riproduzione della norma dettata dall’art. 2437 ter in
tema di SPA si ritiene che sia possibile solo individuare, tra i tanti possibili (patrimoniale,
reddituale, misto), il metodo tecnico da utilizzare per meglio determinare il valore reale ai fini del
recesso, a patto, però, che detto metodo sia coerente con la realtà economica della società e non
da questa completamente disallineato (come sarebbe nel caso di utilizzo di un metodo solo
reddituale in una società che si limita a gestire beni immobili di sua proprietà o di quello solo
patrimoniale in una società di servizi che, per definizione, è bene che non abbia beni in proprietà) 32 .
32
in questo senso con molta chiarezza la sentenza, inedita, del Tribunale di Arezzo del 20 novembre 2005: “non pare che si possa dubitare della legittimità di una clausola dell'atto costitutivo che si limiti ad individuare un metodo di calcolo del valore effettivo del patrimonio aziendale e dell'avviamento nell'ambito dei vari criteri elaborati al riguardo dalla dottrina aziendalistica. Tale possibilità, però, non deve essere diretta a disattendere il principio legale del valore effettivo, bensì a precisarne i criteri di determinazione tra i tanti possibili. Invece dà senz'altro adito a dubbi una eventuale pattuizione, e quindi la scelta di un metodo, che escludesse dalla valutazione alcune componenti (quali ad esempio l'avviamento ovvero che prevedesse il rimborso del solo valore di libro o addirittura del solo valore nominale). Non a caso infatti per la s.r.l. il legislatore non ha previsto una disposizione analoga a quella dell'art.2437 ter c.c. né la stessa è ad essa estensibile atteso che una siffatta norma appare funzionale ad un tipo di società in cui la posizione individuale del socio appare più' sfumata. Nella s.r.l. invece tale posizione è oggetto di maggiore interesse da parte del legislatore poiché, ad esempio, il valore di avviamento è automaticamente da esso incluso nel computo del valore spettante al socio 19
Applicabilità all’esclusione delle conclusioni in tema di recesso
Da qualcuno 33 si è sostenuto che le conclusioni raggiunte in tema di recesso convenzionale possano
essere utilizzate anche nei casi dell’esclusione volontaria: se i soci sono liberi di stabilire i casi nei
quali un socio può essere escluso, allo stesso modo saranno liberi di stabilire criteri di
determinazione del valore di recesso svincolati dal “valore di mercato” previsto per i soli casi di
recesso “legale” essendo la norma di riferimento il medesimo art. 2473 c.c. che disciplina il recesso.
Questa tesi, per quanto affascinante, deve essere valutata con molta prudenza se non altro perché il
socio che recede compie una manifestazione di volontà nella consapevolezza delle previsioni
statutarie in tema di liquidazione della quota, mentre il socio escluso subisce la decisione della
società che potrà discendere, come detto, anche da fatti di cui lui stesso non abbia colpa ed
addirittura in maniera automatica. Una tale differenza di prospettiva non può non essere tenuta in
conto, in assenza di una chiara norma sul punto, nella valutazione della legittimità di clausole
statutarie che comportino uno scostamento dei valori di liquidazione dal valore “reale”.
A conclusioni più sicure e positive, e quindi per l’ammissibilità anche nel caso dell’esclusione, deve
giungersi in relazione all’introduzione nello statuto di clausole che si limitino ad individuare il
miglior metodo (tra i tanti possibili) di valutazione del valore “di mercato” della partecipazione
in coerenza con l’attività effettivamente svolta dalla società.
***
Premio di maggioranza e diritti particolari
Problema diverso è quello se nella valutazione della partecipazione del socio escluso si debba tener
conto:
a. dell’eventuale “premio di maggioranza” conseguente alla particolare entità della
partecipazione oggetto di esclusione;
b. della eventuale valutazione dei diritti particolari spettanti al socio escluso;
Anche in assenza di una espressa disciplina statutaria, sembra difficile non tener conto di tali
elementi ai fini di una valutazione che sia “equa” e ciò soprattutto per il caso in cui la
partecipazione venga acquistata solo da alcuni dei soci o da terzi non soci;
se è vero che la previsione dell’acquisto proporzionale in capo agli altri soci sembra idonea a
“sterilizzare” i “vantaggi” della partecipazione ceduta anche nel caso, peraltro piuttosto raro, di
receduto, senza che occorra un'apposita clausola dell'atto costitutivo al riguardo. Nelle s.r.l., dunque, per le ipotesi di recesso legalmente tipizzate, la previsione di criteri pattizi di determinazione del valore di rimborso della quota del socio receduto che si dimostrino penalizzanti per quest'ultimo e che si traducono poi in un vero e proprio impedimento di fatto all'esercizio del diritto di recesso e che quindi violano nella sostanza il criterio legale, non possono considerarsi legittime. Ma la valutazione se il metodo prescelto possa tradursi in un criterio punitivo e quindi penalizzante per il socio receduto deve essere fatta con riferimento alla vita concreta della società e dunque non solo alla sua tipologia specifica e al suo oggetto sociale in astratto, ma alla sua vita operativa e gestionale. In conseguenza, se la scelta di un metodo di liquidazione quale appunto il criterio patrimoniale semplice già in astratto può andar bene e riflettere pienamente il valore di mercato della quota per una società statica, con grosse immobilizzazioni patrimoniali, si rivela inadeguato, perché appunto punitivo, per la valutazione di una società strettamente operativa con poco patrimonio e una grossa circolarità di crediti e di affari. In conclusione è pienamente legittima la scelta di un metodo di liquidazione in statuto, purché però il metodo prescelto sia effettivamente quello adeguato alla vita concreta della società alla luce dei fattori innanzi indicati e sia quello che in astratto meglio rifletta, considerato il particolare tipo di società a cui debba essere applicato, il valore di mercato della quota.” 33
Luca Barchi “L’esclusione del socio nella società a responsabilità limitata” relazione presentata al Raduno Invernale dei Notai
d’Italia a Cortina nel febbraio 2005 e poi pubblicata in Notariato 2/2006
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ambulatorietà dei diritti particolari attribuiti al socio escluso, tale “sterilizzazione” non avviene
nelle ipotesi in cui acquisto proporzionale non vi sia.
Appare, quindi, legittima ed estremamente opportuna, una previsione statutaria che disciplini se
ed in quali ipotesi nella valutazione della quota del socio escluso si debba tener conto del “premio
di maggioranza” o dei “diritti particolari” ad esso spettanti 34 .
***
ESCLUSIONE E CLAUSOLA PENALE
Un interessante questione che si accompagna a quella dell’esclusione è stata posta fin dai primi
tempi di applicazione della Riforma del 2003 da chi 35 ha sostenuto l’ammissibilità della previsione
di una penale a carico dei soci esclusi per cause riconducibili all’inadempimento (non essendo,
ovviamente possibile ipotizzarla per i casi in cui un socio si trovi nella condizione di essere escluso
per cause o stati a lui non imputabili).
In queste ipotesi sarebbe possibile prevedere nello statuto clausole che accompagnino quelle di
esclusione e che prevedano l’obbligo di corrispondere una somma (determinata o determinabile) a
carico del socio che si sia reso inadempiente ad obblighi particolarmente rilevanti nei confronti
della società e che per questo sia stato escluso (si pensi al divieto di concorrenza o di divulgare
informazioni riservate relative alla clientela o a particolari tecnologie) e ciò al fine di evitare che il
socio “infedele” possa intanto capitalizzare il valore della propria partecipazione e poi, al
temine di un lungo e difficile giudizio, rispondere (forse) per il proprio inadempimento.
La penale dovrebbe, infatti, essere compensata (per espressa previsione statutaria) in tutto o in
parte con la somma dovuta a titolo di liquidazione della quota.
La proposta è interessante e sicuramente condivisibile nelle sue linee di base, ma richiede alcuni
approfondimenti:
A) Gli artt. 1382 – 1384 c.c. ricostruiscono la penale come anticipata determinazione del
risarcimento del danno svincolata dalla prova dello stesso, ma, comunque, sempre riducibile da
magistrato; ne consegue che per la dottrina tradizionale un danno deve esserci non essendo
prevista nel nostro ordinamento una “sanzione civile” 36 e, pertanto, la stessa non potrebbe operare
nei casi di inadempimento “senza danno” che cioè non ha avuto modo di arrecare alcun danno alla
società sebbene idoneo a legittimare l’esclusione.
Soltanto accogliendo la tesi dell’ammissibilità di una penale con funzione punitiva 37 sarebbe
possibile sfruttare appieno le potenzialità di simili clausole.
B) La compensazione ipotizzata potrebbe avvenire solo nel caso in cui si utilizzino le riserve
disponibili per liquidare il socio escluso, non essendo possibile che a compensare siano gli
acquirenti della partecipazione (salvo particolari casi di accordi transattivi tra i soci tutti, la società e
l’escluso la cui legittimità dovrà essere attentamente verificata caso per caso).
34
Per un’ampia disamina delle posizioni in argomento si veda CNN 2012-2008/I e la dottrina ivi citata
35
ci si riferisce in particolare Luca Barchi “L’esclusione del socio nella società a responsabilità limitata” relazione presentata al
Raduno Invernale dei Notai d’Italia a Cortina nel febbraio 2005 e poi pubblicata in Notariato 2/2006 p. 149 ss.
36
Cass. 19 gennaio 2007 n. 1183
37
in questo senso Cass. 17 ottobre 1985 n. 5122, Magazzu, Sacco-De Nova
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C) Posto che la liquidazione del socio deve avvenire nel termine di 180 giorni previsto dall’art.
2473 e che la compensazione deve avvenire tra debiti certi, liquidi ed esigibili, non è detto che in
caso di impugnativa relativa alla penale i tempi coincidano e che, quindi, la compensazione possa
operare.
D) La determinazione di una penale non è sempre agevole: se si stabilisce una penale in misura
fissa, la stessa potrebbe essere eccessiva od irrisoria rispetto al danno e comunque la clausola
necessiterebbe di una costante “manutenzione” per adeguarla al costo della vita ed al valore della
società; se si stabilisce una penale in misura percentuale rispetto al valore della partecipazione allo
stesso modo potrebbe scaturirne un valore eccessivo o irrisorio.
In entrambi i casi si potrebbe prevedere la risarcibilità del danno ulteriore perdendo però molti dei
vantaggi della clausola penale oltre che l’effetto “punitivo” sperato.
E) Ci si deve porre poi il problema dell’introduzione della clausola nello statuto della società: se la
si considera un negozio autonomo rispetto alla clausola di esclusione occorrerà che la stessa venga
accettata da tutti i soci, se invece, come a me pare più corretto, la si considera un elemento
accessorio alla clausola di esclusione allora mutuerà la disciplina di quest’ultima e potrà essere
introdotta o soppressa a maggioranza
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