IL PARTITO REPUBBLICANO STATUNITENSE: EREDITÀ STORICHE E PROSPETTIVE FUTURE Alia K. Nardini1 Introduzione Prima di tutto una precisazione: l’etichetta “Partito Repubblicano”, per quanto imperfetta, rimane la più appropriata per guardare a quanto accade politicamente “a destra” negli Stati Uniti oggi (in opposizione a ciò che accade “a sinistra”, tra coloro che si ritrovano - in toto o in partes - nelle decisioni e nella figura politica di Barack Obama). Definizioni quali “destra americana” male catturano questo insieme eterogeneo di concezioni della politica, della morale e dello spirito statunitense – per non aggiungere che “destra americana” è un termine sovente collegato (seppur forse non del tutto propriamente) al paleoconservatorismo, che vede associarsi alla fede nel libero mercato (fede intesa in senso procedurale, non concettuale) una notevole cautela in politica estera (posizione a volte altrettanto impropriamente definita “isolazionismo”). Similmente scorretto sarebbe considerare correnti maggioritarie e rappresentative i tea parties, o il neoconservatorismo di Charles Krauthammer o di Robert Kagan. Per quanto indomite (e resistenti al tempo), nonché fondamentali per comprendere alcuni focali nodi della storia contemporanea statunitense (l’11 settembre per i neoconservatori, e la crisi economica del 2008 per i tea parties), queste ultime posizioni restano minoritarie - seppur ancora estremamente influenti - nel panorama politico e sociale statunitense. Pertanto, sarebbe più opportuno parlare di Partito Repubblicano, con uno sguardo a ciò che potrà accadere nelle presidenziali 2016. Se sul fronte democratico acquista sempre più peso l’ipotesi della candidatura di Hillary Clinton, per i Repubblicani il quadro è più complicato. Il periodo di riflessione seguito alla sconfitta del 2008, così come il rise and fall dei tea parties, hanno portato in seno al partito una ridiscussione non soltanto della linea ufficiale da adottare, bensì della stessa idea di conservatorismo. In altre parole, è fondamentale per il Grand Old Party decidere al più presto verso cosa intenda dirigersi, quale identità intenda perseguire, nel terzo millennio. È opportuno preservare e concentrarsi sulla tradizione, riprendendo il conservatorismo classico di Weaver e Kirk? O seguire gli spunti populisti, stabilendo un filo diretto con il “sentimento popolare” sui temi che maggiormente influenzano la vita quotidiana dei cittadini – le tasse, la salute, le unioni omosessuali? O ancora, sviluppare in un’ottica realmente liberale le riflessioni economiche della cosiddetta corrente libertaria di Ron Paul, assurta a nuova popolarità con suo figlio Rand? E come far convivere il non-interventismo in politica estera che quest’ultima componente raccomanda, con posizioni altrettanto storicamente ancorate – e politicamente ancora influenti – come il neoconservatorismo, che crede in un’America eccezionalista, unilaterale e proattiva in campo internazionale? E quale è il ruolo dei valori in tutto questo? Sarebbe opportuno abbracciare il prescrittivismo etico, o una maggiore libertà individuale? Questi quesiti non sono importanti soltanto per comprendere la politica statunitense, peraltro fondamentale nel suo formare gli equilibri geopolitici nel mondo, oggi come sempre. Attraverso l’analisi degli spunti elencati, si possono affrontare le eterne questioni che ogni movimento “a destra” si trova Alia K. Nardini è professore associato presso lo Spring Hill College, Bologna, dove è titolare dell’insegnamento di scienza della politica e di storia contemporanea. Socio fondatore ed adjunct fellow del Centro studi Tocqueville Acton, collabora con la Fondazione Magna Carta e con l’Istituto di Politica. Si occupa prevalentemente di relazioni internazionali, di just war theory e del pensiero politico statunitense. 1 ad affrontare, in Italia e nel mondo. Tutto ciò si inserisce perfettamente nel dibattito che la Fondazione Magna Carta si è impegnata a promuovere negli ultimi undici anni2. IL PARTITO REPUBBLICANO STATUNITENSE: LE COMPONENTI Il Partito Repubblicano fu formato nel 1854 da esponenti politici Whig e da Democratici contrari alla schiavitù, per contrastare l’espansione nell'Ovest del sistema schiavistico degli Stati del Sud. Trattandosi di una coalizione eterogenea, che racchiude componenti storicamente ed ideologicamente diverse, è fondamentale soffermarsi prima di tutto sulle sue parti costituenti. Si tratta di molteplici correnti di pensiero – definitesi negli anni Trenta, diffusesi attraverso la nuova borghesia imprenditoriale e rafforzatesi nel sostegno della gente comune dell’East Coast in piena espansione – che culminarono nel 1964 nell’appoggio al candidato presidenziale Barry Goldwater, attraverso la cui nomination il Partito Repubblicano andò a consolidare quei suoi tratti caratterizzanti che ancora oggi lo contraddistinguono: governo limitato, libero mercato, responsabilità individuale, una difesa nazionale forte e il richiamo ai tradizionali valori americani3. i. Il conservatorismo È opportuno vedere il conservatorismo come una delle componenti – seppure quella prevalente – all’interno del Partito Repubblicano statunitense oggi. Come notò accuratamente Joseph Bottum, il conservatorismo nacque in Europa sul finire del Diciannovesimo secolo in reazione ai principi razionali, liberali ed universali ribaditi con forza dalla Rivoluzione Francese4. Se il liberalismo di matrice illuminista si proponeva di cambiare la realtà sociale costruita dalla Chiesa, per sostituirne le virtù cristiane con le nuove qualità borghesi, il conservatorismo mirava piuttosto a recuperare e riproporre una realtà preesistente che aveva ancora molto di valido da insegnare. Secondo Bottum, la variante statunitense del conservatorismo è un ibrido: seppur allarmata del dissolversi delle virtù tradizionali alla base dell’esperimento americano, deve la sua nascita ad un esperimento rivoluzionario: la guerra americana per l’indipendenza, che unisce lo spirito reazionario del conservatorismo europeo a quello progressista tipicamente statunitense. Questa dottrina presenta inoltre chiari rimandi al pensiero di Edmund Burke, quali la difesa della proprietà privata, la libertà economica e la contrarietà ai monopoli statali5, sebbene la centralità della tradizione britannica per il conservatorismo statunitense non sia universalmente accetta all’interno di questo movimento (come dimostrò la contrapposizione negli anni Cinquanta e Sessanta tra Russell Kirk da un lato, in opposizione ad Arthur Schlesinger Jr. e Clinton Rossiter6). Nella sua forma odierna, il conservatorismo statunitense si riconferma unico e caratteristico in relazione a tre temi fondamentali: non ammette che le istituzioni possano sapere che cosa è meglio per l’individuo; nutre un profondo ottimismo verso il futuro; ed assume un carattere decisamente più populista, più indirizzato alla gente comune (secondo il M. MOVARELLI, Think tank all'italiana. Storia della Fondazione Magna Carta: dieci anni di attività tra ideali e politica, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2013. 2 A.K. NARDINI, Lo Spirito del Conservatorismo Americano: Valori e Politiche. Intervista a Lee Edwards, «Nuova Storia Contemporanea», n. 3, 2007. 3 J. BOTTUM, “Social Conservatism and the New Fusionism”, in P. BERKOWITZ (a cura di), Varieties of Conservatism in America, Stanford (CA), Hoover Institution Press (Stanford University), 2004. 4 Si veda in proposito E. BURKE, Further Reflections on the Revolution in France, a cura di D.E. Ritchie, Indianapolis, Liberty Fund, 1992. 5 C. ROSSITER, Conservatism in America, New York, Alfred A. Knopf, 1955; A. SCHLESINGER Jr., The New Conservatism in America. A Liberal Comment, «Confluence», 2, dicembre 1953. 6 motto put people first)7. Peter Berkowitz così riassume l’“unicità” del conservatorismo statunitense: un pensiero altamente composito, che va dalla libertà economica allo Stato minimo, dal diritto inconfutabile alla proprietà privata, ai costrutti normativi e legali che influenzano gli usi e costumi dei cittadini, spaziando dall’autonomia morale del singolo ad un sistema di valori come progetto per l’individuo8. ii. Il conservatorismo classico e i paleoconservatori Nato negli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale, il conservatorismo classico assunse un carattere innovativo rispetto alla destra americana propriamente detta – la Old Right di Albert J. Nock, definita da un’impronta maggiormente isolazionista e laicista. I suoi esponenti vennero dapprima identificati come nuovi conservatori (new conservatives, da non confondere con i neoconservatives), per sottolineare il loro contrapporsi con correnti più tradizionaliste come appunto la Old Right. In seguito, il movimento poté vantare tra le proprie file intellettuali del calibro di Russell Kirk, Richard Weaver, Robert Nisbet, Peter Viereck, John H. Hallowell – e, seppur soltanto in parte, il fusionista Frank Meyer. Il conservatorismo classico si affermò in contrapposizione con l’allora vigente progressismo: per i conservatori, l’uguaglianza andava intesa esclusivamente come “equality of all citizens before the law” -un principio enunciato già nella Dichiarazione d’Indipendenza, che i liberals erano colpevoli di aver sovvertito con l’idea di uguaglianza orizzontale ed il sostegno alla nozione di redress9. La teoria politica conservatrice criticava inoltre le eccessive intrusioni nella sfera privata del liberalismo progressista, opponendosi in modo particolarmente strenuo alle politiche “socialiste” del New Deal rooseveltiano che in seguito vennero riprese ed ampliate nella Great Society di Lyndon Johnson. Le dottrine liberal venivano inoltre accusate di aprire – seppur non intenzionalmente – la strada al ritorno dei totalitarismi di stampo europeo, secolarizzando lo Stato e soppiantando le gerarchie e le istituzioni tradizionali con eguaglianze livellanti e con il conformismo. La figura centrale del conservatorismo classico è indubbiamente Russell Kirk. In particolare, la sua opera A Conservative Mind ebbe il merito di conferire al movimento conservatore vigore, coerenza ed identità. Kirk si proponeva non soltanto di spiegare, ma di riattualizzare i principi alla base del conservatorismo statunitense, cogliendone la saggezza atemporale che aveva saputo e sempre sarebbe stata in grado di guidare gli americani verso il futuro. Come nota Mark C. Henrie, A Conservative Mind presenta una componente tradizionalista, ripresa dalle opere dei grandi autori del pensiero britannico e statunitense – da Burke a Santayana, come afferma il suo sottotitolo10; tuttavia, appaiono elementi innovativi, che permettono di trascendere le leggi naturali e di ricondurre le questioni politiche a problemi religiosi e morali (e non viceversa)11. Secondo il conservatorismo classico, libertà significa mantenere al minimo l’intervento dello Stato, pur restando la centralità e l’autorevolezza della sfera sociale. Citando ancora Henrie, lo statista conservatore è come un giardiniere, il cui compito è quello di J. MICKLETHWAIT, A. WOOLDRIDGE, La Destra Giusta – Storia e geografia dell’America che si sente giusta perché è di destra, Milano, Mondadori, 2005, p. 368. 7 8 P. BERKOWITZ, Varieties of Conservatism in America, cit., p. xiv. La puntualizzazione è di F. S. MEYER, In Defense of Freedom and Related Essays, a cura di W.C. Dennis, Indianapolis (IN), Liberty Fund, 1996, p. 144. 9 10 R. KIRK, A Conservative Mind. From Burke to Santayana, Chicago, Henry Regnery, 1953, p. 3. M.C. HENRIE, «Understanding Traditional Conservatism», in P. BERKOWITZ (a cura di), Varieties of Conservatism in America, cit., p. 5. 11 creare determinate condizioni in cui particolari beni sociali possano -o meno- fiorire secondo la loro natura12. Al governo spetta unicamente il compito di vigilare sul modello esemplare di accortezza e assennatezza dei Padri Fondatori, di modo che l’ambito sociale si strutturi in maniera congeniale con i valori che costituiscono il bene per l’uomo. Nella trattazione del conservatorismo statunitense, compare talvolta il termine “paleoconservatorismo”, come ad identificarne una sottocorrente. Secondo alcuni studiosi, l’idea di paleoconservative richiama semplicemente ad un conservatore in età avanzata, fermo su posizioni particolarmente rigide e reazionarie (il riferimento è sovente al lavoro di Robert Nisbet)13. Vi è in realtà un altro modo di intendere il paleoconservatorismo: come argomenta David Frum, i paleoconservatori non sono altro che gli eredi della Old Right e del Senatore Robert Taft. Secondo Frum, il movimento vide la luce nel 1986 ad un incontro della Philadelphia Society, attraverso le dichiarazioni sprezzanti di Stephen Tonsor nei riguardi del neoconservatorismo. Si sviluppò in seguito dalle pagine della rivista Chronicles di Thomas Fleming ed attraverso l’aggressivo giornalismo online di Justin Raimondo e Llewellyn Rockwell. Pur mantenendosi su posizioni di rigido isolazionismo in politica estera, i paleoconservatori (tra cui Frum annovera Patrick Buchanan, Robert Novak, Llewellyn Rockwell, Samuel Francis, Jude Wanniski, Paul Gottfried, Justin Raimondo ed altri ancora) sono definiti sdegnosamente dallo studioso neoconservatore come «nazionalisti, populisti, razzisti, protezionisti nei confronti dell’industria americana e profondamente religiosi»14. iii. Liberali classici e libertarians All’interno del Partito Repubblicano, sono le correnti libertarie e i liberali classici coloro che più si sono occupati di sviluppare l’indagine economica. Tali persuasioni recuperano ed approfondiscono quelli che reputano i principi fondamentali dell’economia di mercato: la necessità di garantire la proprietà privata, il rispetto della libera iniziativa ed il giudizio positivo sul capitalismo. I liberali classici riprendono gli ideali illuministi della tradizione europea, ispirandosi alle opere di Adam Smith, John Locke e Charles-Louis de Montesquieu; aderiscono rigorosamente al liberalismo della scuola austriaca, facendo propri gli insegnamenti di Friedrich A. Von Hayek e Ludwig Von Mises15, pur non tralasciando l’eredità dei Padri Fondatori – in particolare Thomas Paine e Thomas Jefferson. Il pensiero liberale classico, in linea con gli insegnamenti di John Locke, ammette l’esistenza di uno Stato minimo che garantisca il diritto alla vita e il rispetto della proprietà privata (secondo il concetto di natural rights); propone inoltre la tutela della libera iniziativa, mantenendo sempre il singolo, e non le istituzioni, al centro della vita sociale ed economica del paese. In economia, è favorevole al laissez faire di hayekiana memoria, al capitalismo ed al libero mercato; condivide la condanna al socialismo come esposta dall’economista austriaco, individuando nella pianificazione dell’economia statale centralizzata il primo passo verso il totalitarismo, che sostituisce la pluralità delle libere iniziative economiche del singolo con un unico obiettivo arbitrariamente imposto dal governo. I seguaci di Hayek e Mises mantengono per quanto possibile un’impronta scevra da contenuti religiosi ed etici: la libertà proposta è di tipo formale, non sostanziale, in quanto è vantaggiosa per l’uomo – e non perché riflette M.C. HENRIE, “Understanding Traditional Conservatism”, in P. BERKOWITZ (a cura di), Varieties of Conservatism in America, cit., p. 19. 12 13 Si veda ad esempio S. FRANCIS nel suo “The Paleo Persuasion”, American Conservative, 12 dicembre 2002. 14 D. FRUM, “Unpatriotic Conservatives”, National Review, 7 aprile 2003. Un’esauriente esposizione delle dottrine di questi autori si trova in R. CUBEDDU, Il liberalismo della Scuola Austriaca: Menger, Mises, Hayek, Napoli, Morano, 1992. 15 un particolare modello di good life. Il mercato suggerisce autonomamente comportamenti economici razionali, coincidendo con un sistema economico efficiente, e rappresenta il modo migliore per promuovere il benessere sociale senza risvolti contenutistici. Il capitalismo, sempre e comunque al centro dell’analisi del liberalismo classico, è pertanto l’incarnazione di una teoria di mercato “che funziona” in quanto rispettosa di determinate regole. A differenza del liberalismo classico, i libertari riprendono una originale riformulazione del proprietarismo come diritto naturale, caratteristica della filosofia di John Locke: ovvero, si acquisisce legittimamente la proprietà unendo il proprio lavoro a quello che in natura un uomo, ed uno solo, può possedere. Il proprietarismo si fonde con la possibilità, che fu ancora dell’homesteader, di vantare diritti di proprietà legittimi su quanto il pioniere ha per primo occupato e fatto fruttare. In questo senso, come nota Carlo Lottieri, le origini del libertarismo “sono essenzialmente americane e questa teoria politica sarebbe impensabile senza quella decisiva valorizzazione dell’individuo e della sua libertà che è al cuore stesso della tradizione statunitense”16. Altri importanti capiscuola del libertarismo sono gli economisti liberali del diciannovesimo secolo Frédéric Bastiat e Gustave de Molinari17, nonché l’opera di Ayn Rand, esule russa, scrittrice di romanzi di grande successo nei quali vige un forte individualismo unito ad un dichiarato ateismo. La scelta assume un ruolo fondamentale nel pensiero libertario: contrariamente al conservatorismo tradizionale, il quale sostiene che l’uomo possa essere in qualche modo educato a compiere il bene, secondo i libertari l’azione virtuosa deve sempre essere libera18. Tutte le relazioni umane devono dunque essere di natura volontaria e consensuale, mentre l’uso della forza o della violenza è permesso unicamente in seguito ad un’aggressione, vale a dire in difesa della propria persona o proprietà. Come nota Murray N. Rothbard, State coercion […] is viewed by the libertarian as a pseudo-order which actually results in disorder and chaos. State-imposed order is ‘artificial’ and destructive of the harmony provided by following the natural order. Economic science has long shown that individuals, pursuing their own interests in the marketplace, will benefit everyone. The free market has been shown to be the only genuine economic order, while state coercion hampering that market only subverts genuine order and causes dislocation, general impoverishment and, eventually, economic chaos19. Per i libertari, come era stato per la Old Right di Nock e Chodorov, la guerra invece innesca un meccanismo di emergenza, il quale a sua volta consente allo Stato di disporre di un potere inutile e pericoloso -potere che diverrebbe poi difficoltoso revocare, una volta sventata la minaccia. Pertanto, i libertarians riprendono gli insegnamenti di John Stuart Mill, il quale affermava l’illegittimità di ogni tipo di coercizione e controllo da parte dello Stato sulle persone -fosse esso di natura concreta o esercitato attraverso la morale collettiva- tranne che nel caso del l’autodifesa della stessa nazione20. Citando ancora C. LOTTIERI, Il Pensiero Libertario Contemporaneo. Tesi e Controversie sulla Filosofia, sul Diritto e sul Mercato, Macerata, Liberilibri, 2001, p. 35. 16 17 F. BASTIAT e G. DE MOLINARI, Contro lo Statalismo, Macerata, Liberilibri, 1995. 18 G. PARABOSCHI, Leo Strauss e la Destra Americana, Roma, Editori Riuniti, 1993, p. 6. M.N. ROTHBARD, “Frank S. Meyer: the Fusionist as Libertarian Manqué”, in CAREY (a cura di.), Freedom and Virtue: the Conservative/Libertarian debate, cit., pp. 104-105). 19 G.W. CAREY, Freedom and Virtue: the Conservative/Libertarian debate, Lanham (MD), The Intercollegiate Studies Institute, 1984, p. 3. L’opera di Mill citata da Carey nel testo è J.S. MILL, Utilitarianism, Liberty and Representative Government, New York, E.P. Dutton &Co., 1950, p. 96. 20 Rothbard, «il pensiero libertario sostiene che la violenza debba limitarsi esclusivamente alla difesa dei diritti della persona e della proprietà, a fronte di un’aggressione violenta»21. iv. La New Right È opportuno identificare il formarsi della New Right con un movimento di protesta diffusosi a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. Presente in fase embrionale già dal periodo dall’Amministrazione Johnson, la New Right incarnava l’opposizione a quello che reputava fosse un consistente declino della moralità nella società statunitense, riflettendo le preoccupazioni della gente comune per i cosiddetti “temi sociali”: l’aborto, la preghiera nelle scuole, la pornografia, l’uso di droghe, le devianze sessuali, la volgarizzazione degli intrattenimenti di massa. In questo senso, la “nuova destra” rappresentò il prodotto dei traumi subiti dal cittadino medio negli anni Settanta e Ottanta: dai genitori che assistevano inorriditi alla distribuzione dei contraccettivi nelle scuole, ai credenti che con la legalizzazione dell’aborto vedevano perpetrarsi l’uccisione di innocenti con il consenso ufficiale dello Stato22. Se queste erano le questioni di importanza primaria per la gente comune -e dunque per l’elettorato che verrà poi direttamente chiamato a sostenere la candidatura di Reagan- tra le personalità più importanti della New Right il pensiero politico assumeva toni maggiormente strutturati, seppur mantenendo inalterate le proprie caratteristiche distintive di pragmatismo e progettualità. In particolar modo, è rilevante il lavoro svolto da Arthur Laffer, il quale formulò poi la linea ufficiale del Partito Repubblicano durante l’Amministrazione Reagan, che trovò in lui una importante guida intellettuale. Con le intuizioni che lo portarono all’omonima Curva, Laffer argomentò che soltanto una drastica riduzione nella tassazione degli imprenditori e della grande industria avrebbe rilanciato l’economia e l’occupazione negli Stati Uniti. Altri leaders della New Right, come Jerry Falwell e Pat Robertson, si espressero in maniera sistematica ed articolata su temi di politica estera, in particolar modo riguardo all’anticomunismo, guadagnandosi così l’appoggio dei neoconservatori e del conservatorismo tradizionalista chiedendo una linea forte oltreoceano affinché l’America riacquistasse prestigio sullo scacchiere internazionale. L’appellativo “New Right” richiama ad una dimensione intellettuale, ed è dunque in quest’ottica che viene correttamente riferito alla baseline dottrinale che appoggiò la candidatura alla presidenza di Ronald Reagan negli anni Ottanta. Oggi, la New Right presenta una propria concezione degli affari pubblici che si distingue per il costante riferimento all’Amministrazione Reagan come periodo di rinascita dei valori dell’Occidente, e soprattutto modello per la società americana. Le organizzazioni che maggiormente incarnano il credo della New Right oggi sono l’American Values di Gary Bauer; e la Heritage Foundation fondata da Paul Weyrich ed Edwyn Feulner, di cui Jim DeMint è oggi presidente, che mira ancora oggi promuovere i valori di libertà e crescita economica nel mondo23. La New Right dunque trascende il personaggio di Reagan, che pur ne combatté alcune battaglie, scostandosi dal pensiero più definito e populista della religious right e del conservatorismo sociale ed incarnando un M.N. ROTHBARD, “Frank S. Meyer: the Fusionist as Libertarian Manqué”, in CAREY (a cura di.), Freedom and Virtue: the Conservative/Libertarian debate, cit., p. 96. 21 G.H. NASH, The Conservative Intellectual Movement in America Since 1945, Wilmington (DE), Intercollegiate Studies Institute, 1996, p. 331; e G. PARABOSCHI, Leo Strauss e la Destra Americana, cit., p. 14. 22 G. BAUER, Our hopes, our dreams; a vision for America, Colorado Springs, Focus on the Family Publishing, 1996; L. EDWARDS, The Power of Ideas. The Heritage Foundation at 25 Years, Ottawa (IL), Jameson Books, 1997; ed E.J. FEULNER, D. WILSON, Getting America Right. The True Conservative Values Our Nation Needs Today, New York, Crown Forum, 2006. 23 credo politico-valoriale nel quale una gran parte dell’America Repubblicana non fatica affatto a riconoscersi. v. La destra religiosa All’interno del variegato e multiforme mondo della coalizione Repubblicana, meritano una trattazione a parte quelle correnti che si concentrano specificamente sull’attuazione dei valori religiosi all’interno del panorama politico odierno. Si tratta della destra cristiana e della destra religiosa, quest’ultima composta in maggioranza da cristiani evangelici -pentecostali e non- ma in parte minore anche da protestanti, cattolici e ortodossi24. Prima del movimento oggi comunemente noto come religious right, i cristiani evangelici ed in generale i fedeli più tradizionalisti d’America si identificavano prevalentemente nella sinistra Democratica. Certo, era presente sin dagli anni Quaranta all’interno della coalizione Repubblicana uno sparuto gruppo di credenti, non molto organizzato politicamente e poco significativo sotto il profilo dell’ascendente elettorale; ciò che tuttavia accomunava personalità quali Carl McIntire, Billy James, Edgar G. Bundy e Fred Schwarz era prevalentemente il loro anticomunismo25. La politica restava per questi pensatori un affare sporco e corrotto, troppo mondano per i veri devoti. Con il passare degli anni, le varie battaglie per i diritti civili, i movimenti di liberazione della donna, le proteste giovanili ed il ritorno alla ribalta di religioni di nicchia furono interpretati da un numero sempre maggiore di fedeli come segnali di malessere per la società civile. Quando poi nel 1973 la decisione della Corte Suprema nel caso Roe vs. Wade permise di fatto l’aborto alle donne entro i primi tre mesi di gravidanza, e l’allora Presidente Jimmy Carter annunciò pubblicamente che era compito dello Stato tutelare il diritto della donna ad abortire (nonostante la propria personale disapprovazione verso tale pratica), una consistente parte della Chiesa cristiana abbandonò la sinistra statunitense avvicinandosi al Partito Repubblicano. Negli anni Settanta, l’attivismo sociale di nuovi personaggi quali il televangelista Jerry Falwell26 e l’operato di altri esponenti della destra evangelica come Morton Blackwell andarono ad integrare le dottrine della destra religiosa, conferendole una dimensione più marcatamente populista. Nel 1976, Falwell fondò la Moral Majority, insieme a Blackwell ed al battagliero giornalista Paul Weyrich. La Moral Majority assunse il carattere di un gruppo lobbistico: un’alleanza che si dichiarava a favore della tutela per la vita (e dunque anti-abortista), sosteneva la famiglia come istituzione tradizionale, e proponeva una linea forte di difesa nazionale. Questo movimento andò ad ampliare il lavoro impostato dallo stesso Weyrich con la Heritage Foundation,. Entrambe queste organizzazioni conobbero una crescente fama, ampliandosi e rafforzandosi sino a costituire pochi anni più tardi la base della New Right reaganiana. Con la candidatura presidenziale di Pat Robertson nel 1988, ebbe luogo la definitiva compattazione della destra religiosa americana. Sostenuto abilmente dalla geniale opera organizzativa dell’attivista politico conservatore Ralph Reed e dalla fondazione della sua Christian Coalition nel 1989, Robertson raccolse intorno a sé un fronte robusto grazie al suo passato da televangelista, alla sua visione fortemente conservatrice della politica, ed alle sue conoscenze imprenditoriali. William Martin Chavanne paragona l’opera aggregatrice compiuta dalla candidatura di Robertson sulla destra religiosa M. LIENESCH, Redeeming America: Piety and Politics in the New Christian Right, Chapel Hill (NC), University of North Carolina Press, 1993. 24 25 F. SCHWARZ, You Can Trust the Communist (to be Communist), Upper Saddle River (N.J.), Prentice Hall, 1960. 26 J. FALWELL, Falwell: An Autobiography, Lynchburg (Va), Liberty House, 1997. all’azione unificatrice che Barry Goldwater ebbe sul Partito Repubblicano nel 1964: dalla sconfitta di Robertson era infatti nata una coalizione di credenti più robusta, e pronta a giocare un ruolo sempre più fondamentale nel delicato sistema di pesi e contrappesi del panorama politico americano27. La partigianeria di Newt Gingrich al Congresso negli anni Ottanta e le irriverenti trasmissioni radiofoniche di Rush Limbaugh negli anni Novanta rafforzarono ulteriormente l’identità e la compattezza della comunità cristiana statunitense. Ancora oggi, la destra religiosa si adopera all’interno della politica americana, facendo pressione sul Partito Repubblicano in relazione a temi come l’eutanasia, la ricerca sulle cellule staminali, l’insegnamento dell’intelligent design, la preghiera nelle scuole e l’interruzione di gravidanza (tema tornato alla ribalta con il dibattito sull’Obamacare), impegnandosi concretamente per reintrodurre i valori della fede nella società moderna28. vi. I conservatori sociali I conservatori sociali rappresentano la vera middle class del Partito Repubblicano. Essi sono meglio descritti come attivisti, piuttosto che intellettuali, che condividono le apprensioni del conservatorismo riguardo alla vita pubblica, mobilitandosi in merito a questioni concrete con grande spirito partecipativo ed entusiasmo viscerale. Le battaglie di questo movimento, caratterizzate da un atteggiamento intransigente ed assolutista, sono principalmente incentrate sul diritto alla vita, ribadito in opposizione al fronte abortista e ai gruppi favorevoli all’eutanasia; sulla difesa della famiglia, minacciata dalle unioni omosessuali; e sul diritto all’istruzione religiosa nelle scuole, attraverso la fondazione di istituti privati il cui compito è quello di diffondere i principi ispiratori del conservatorismo sociale nella cultura politica. I principi del conservatorismo sociale sono al meglio illustrati in riferimento all’attivista politica cattolica Phyllis Schlafly, autrice del libro A Choice, not an Echo, scritto a sostegno della candidatura presidenziale di Barry Goldwater alle elezioni politiche del 1964. Schlafly, fondatrice dell’Eagle Forum – un’organizzazione conservatrice impegnata in numerose campagne sociali – dedicò inoltre gran parte della propria carriera politica all’opposizione all’Equal Rights Amendment; fu proprio grazie all’assidua azione di contrasto di Schlafly che questo emendamento non venne ratificato nel 1980. Schlafly sostenne come una politica che ignorasse le differenze di genere avrebbe potuto portare un giorno l’America a reclutare le donne per l’esercito, permettere l’aborto a spese dei contribuenti, o legalizzare i matrimoni omosessuali – tutte eventualità a cui l’attivista si opponeva fortemente, allora come adesso 29. L’impegno politico di Schlafly è certamente esemplificativo dello spirito del conservatorismo sociale, che mira a diffondere i suoi principi ispiratori nella cultura politica, creando e mobilitando attivisti che combattano energicamente la progressiva corruzione della società americana. vii. Sarah Palin e i Tea Parties Sin dalle elezioni presidenziali del 2008, si è avuto modo di assistere ad una riscossa del conservatorismo sociale, che tuttavia merita menzione a parte nella novità rappresentata da Sarah Palin; e all’emergere di un impegno populista e popolare più marcatamente attivo nella sfera economica: i Tea parties: 27 W. MARTIN CHAVANNE, With God on Our Side. The Rise of the Religious Right in America, New York, Broadway Books, 2005. 28 A. GISOTTI, Dio e Obama. Fede e politica alla Casa Bianca, Cantalupa (To), Effatà, 2010. P. SCHLAFLY, A Choice, not an Echo, Alton, Pere Marquette Press,1964; e della stessa autrice, Feminist Fantasies, con prefazione di Ann Coulter, Dallas, Spence Publishing Company, 2003. 29 Il conservatorismo sociale di Sarah Palin non disdegna i temi etici, spaziando dal sostegno alla pena di morte e l’opposizione all’interruzione di gravidanza (privilegiando la posizione pro life a quella pro choice, reputata eccessivamente moderata) alla contrarietà alle unioni omosessuali. Altro elemento centrale della sua visione politica sono le proposte energetiche: fu lei a portare nella campagna elettorale 2008 lo slogan «drill, baby, drill» così criticato a sinistra, ma poi realizzatosi nelle trivellazioni approvate da Obama in Alaska e Golfo del Messico. nel 201030. I sostenitori di Palin sono solitamente ultraconservatori: bianchi, in gran parte evangelici, che credono nella famiglia, nei valori tradizionali e nello Stato minimo. Nonostante la sconfitta elettorale in occasione della sua candidatura alla vicepresidenza nel ticket del 2008 con John McCain, Palin è ancora estremamente popolare negli Stati Uniti: basti citare che la sua autobiografia, Going Rogue, balzò in vetta alle classifiche con più di 700mila copie vendute solo nella prima settimana di pubblicazione31. Fedele all’eredità di Rush Limbaugh e Glenn Beck, con il suo entusiasmo e la sua partigianeria, Palin è ancora in grado di mobilitare un consistente numero di seguaci, come l’appuntamento alla Conservative Political Action Committee (CPAC) del 2012 a Washington, e il suo lancio dell’omonimo SarahPAC, hanno ampiamente dimostrato32. A differenza di Palin, il lavoro dei Tea parties si svolge in ambito prevalentemente economico, concentrandosi sulle intrusioni del governo in ambiti che non sono ritenuti di sua competenza, e sulla conseguente perdita di libertà dei cittadini. L’uso del termine “Tea Party” venne rilanciato alla Borsa di Chicago, in seguito all’appello di Rick Santelli della CNBC a ribellarsi agli aiuti concessi a coloro che avevano sottoscritto mutui rischiosi, e si trovavano in condizione di non poter pagare. I Tea partiers, al di là dei loro costumi del XVIII secolo e dall’ostentazione della bandiera americana, ribadiscono la loro volontà ad essere ancora una volta, come da tradizione statunitense, «indipendenti»: indipendenti dal governo, dalla burocrazia e dall’intervento invasivo e omologante dello Stato nella propria vita privata33. Il movimento antitasse e la lotta contro l’ampliamento dello Stato sociale non sono d'altronde affatto nuovi alla tradizione conservatrice: da Nock a Nisbet, hanno rappresentato i capisaldi su cui si è modellato il conservatorismo classico, ancora oggi immensamente influente nel panorama intellettuale statunitense. Ciò nonostante, durante il periodo immediatamente successivo all’elezione di Barack Obama, questi temi erano passati in secondo piano, restando di esclusivo dominio dei libertari del Cato Insitute e della destra di Justin Raimondo, o del «paleoconservatorismo». Il ritorno di tematiche quali l’intromissione dello Stato nella sfera individuale, le pretese di burocratizzazione da parte di un apparato pubblico invasivo e omologante e l’illegittimità della sempre più elevata pressione fiscale hanno tuttavia riconquistato spazio nel dibattito pubblico, in particolar modo tra le fasce della classe media dimostratesi più responsabili nella spesa e meno inclini al rischio negli investimenti di capitale, che si sono trovati tuttavia penalizzati di fronte al sostegno concesso dallo Stato ai meno fortunati, nel tentativo di ripresa da una crisi economica che non sentivano di aver contribuito ad alimentare34. 30 J.M. BRODER, Obama's Shift on Drilling, «The New York Times», 31 marzo 2010. D. BALZ e J. COHEN, Palin Particularly Popular Among Fans of Limbaugh and Beck, «The Washington Post», 30 novembre 2009; e S. PALIN, Going Rogue. An American Life, New York, HarperCollins, 2009. 31 M. HENNEBERGER, CPAC 2012: Sarah Palin, motivator-in-chief, «The Washington Post», 12 febbraio 2012; e L. BOERMA, Palin still has a place among conservatives - but it's not the White House, «CBS News», 16 marzo 2013. 32 M. RESPINTI. L'ora dei "Tea Party": diario di una rivolta americana, Chieti-Milano, Solfanelli, 2010; e S. MAGNI, It's Tea Party time. Individuo e Stato nell'America contemporanea, Roma, Fondazione Magna Carta, 2011. 33 34 M. BARONE, Tea Partiers Embrace Liberty, not Big Government, «The Examiner», 1 aprile 2010. Vero è che in Sarah Palin e nei Tea Parties si identificano rispettivamente circa il 10% e il 17% degli americani, con un consistente margine di overlap tra i due gruppi; dunque non si tratta di numeri che potrebbero fare la differenza all’interno degli equilibri di partito, né tantomeno a livello nazionale. Si tratta comunque di un appoggio che, una volta concesso, potrebbe influire sulle dinamiche elettorali, come accadde per la New Right per Ronald Reagan ed in una certa misura (anche se non del tutto assimilabile nei principi) con la destra religiosa per George W. Bush. Sopra tutto, il fenomeno dei Tea Parties è stato in grado di infondere energia, creatività politica ed entusiasmo tra le file dei Repubblicani, permettendo l’identificazione nel partito di quella parte di elettorato che non trovava soddisfazione nei rappresentanti moderati di centro come John McCain35. Seppur spesso tacciati di aver provocato inutile tensioni all’interno del Grand Old Party, e considerati sempre più marginali nel panorama politico statunitense36, i tea parties seguitano a combattere le loro battaglie, sostenendo che ogni opposizione interna al Partito Repubblicano rappresenti un’occasione di crescita per dare ai Repubblicani la possibilità di migliorare e “curare dall’interno” le proprie mancanze. vii. I neoconservatori I neoconservatori di prima generazione furono perlopiù intellettuali newyorchesi, provenienti da famiglie ebree o cattoliche che si riconoscevano nel pensiero liberale centrista appartenente alla tradizione euro-americana (Locke, Tocqueville, Paine). Sino agli anni Settanta si erano identificati, pur non senza difficoltà, nel Partito Democratico di Wilson, Truman e Kennedy; furono tuttavia il loro risoluto anticomunismo e la critica decisa alla Great society a portarli all’emarginazione dal loro stesso partito, sospingendoli gradatamente a destra sino al loro ingresso, negli anni Ottanta, nella coalizione che appoggiò la candidatura alla presidenza di Ronald Reagan. L’anticomunismo rappresentò per i neoconservatori il punto di partenza per tutta una serie di riflessioni riguardanti la politica estera. La mancanza di patriottismo che questi studiosi avevano riscontrato negli USA durante e dopo la guerra in Vietnam esemplificava a loro parere il decadimento dell’orgoglio nazionale; inoltre, le palesi contraddizioni insite nelle politiche di détente confermavano come il mondo della politica non fosse sempre pronto ad agire per difendere gli interessi degli Stati Uniti. L’America non aveva ancora compreso che la lotta contro il comunismo non rappresentava soltanto una contrapposizione tra interessi strategici, economici e militari; era piuttosto una battaglia tra bene e male. Si trattava di un conflitto tra i valori fondanti dell’esperimento americano – primo tra tutti la libertà – e l’Unione Sovietica, che rappresentava esattamente l’opposto: il controllo e la pianificazione statale a scapito del progresso e dell’avanzamento individuale37. Per queste ragioni, il neoconservatorismo accolse la fine della guerra fredda con malcelato stupore. I membri di questa persuasione, che – come Irving Kristol – in virtù del loro passato trotzkista ai tempi del college si erano dedicati ad analizzare e criticare le storture del sistema sovietico, non potevano capacitarsi del fatto che improvvisamente (e pacificamente) l’URSS fosse implosa, giungendo a non costituire più un pericolo38. Una volta divenuta palese la sconfitta del comunismo, i neoconservatori insistettero sul fatto che, seppur il grande nemico dell’America si era disgregato di 35 M. BARONE, Tea Partiers Bring Energy, Change and Tumult to GOP, «The Examiner», 15 marzo 2010. “I see a Tea Party whose influence is gradually declining, not increasing”. M. BALL, Weak Tea, «Democracy», n. 32, primavera 2014. 36 Tra tutti, N. PODHORETZ, The Culture of Appeasement, «Harper’s Magazine», n° 255, ottobre 1977; e il notissimo J.J. KIRKPATRICK, Dictatorship and Double Standards, «Commentary», novembre 1979. 37 38 G. DORRIEN, Imperial Designs: Neoconservatism and the New Pax Americana, New York, Routledge, 2004, p. 14. fronte alla netta superiorità economica, militare e culturale degli Stati Uniti, questo non voleva certo dire che le sfide fossero terminate. Come affermarono William Kristol e Robert Kagan, gli equilibri internazionali apparivano relativamente stabili e favorevoli agli Stati Uniti: ma la mancanza di una nuova minaccia definita e concreta all’orizzonte non significava affatto che gli USA potessero concedersi una «pausa strategica di riflessione»39. Terminata la guerra fredda, il vero pericolo per l’America era il declino della forza, il tentennamento della volontà, la confusione riguardo al ruolo degli Stati Uniti nel mondo. Durante la presidenza Clinton, il neoconservatorismo diede voce al proprio disappunto per il modo in cui si stava sviluppando la politica estera statunitense, definendola «una delle fasi più disastrose […] per la concezione del ruolo dell’America nel mondo»40. L’internazionalismo liberale si era affermato tra i Democratici dopo gli anni di passività in politica estera che avevano caratterizzato l’ultima fase della guerra fredda, sostenendo la necessità di intraprendere azioni militari multiple sullo scacchiere mondiale: Somalia, Haiti e Bosnia, peraltro interventi prettamente umanitari e non riconducibili al perseguimento dell’interesse nazionale o della sicurezza americana. Secondo il neoconservatorismo, gli Stati Uniti erano tenuti a proiettare il loro potere oltreoceano non solo in difesa dei diritti umani, come argomentavano i Democratici, ma anche per salvaguardare i propri interessi economici, politici e strategici. Inoltre il multilateralismo sottoscritto dall’Amministrazione Clinton nel rapportarsi alle strutture soprannazionali portava il Presidente all’inerzia e alla contrattazione con i regimi tirannici. Il multilateralismo voleva distruggere la potenza americana, ridurla in tanti pezzi cosicché l’America potesse entrare a far parte di una struttura globale di cui sarebbe stata solo un altro docile componente41. In merito al dibattito allora vigente riguardante la missione americana nel mondo, Irving Kristol intervenne in modo quasi presciente (era il 1996) chiedendosi dove potesse celarsi il nuovo nemico degli Stati Uniti, quel nemico che avrebbe dovuto unire tutti i fronti politici affinché rispondessero alla chiamata del destino42. Thomas Donnelly, anch’egli con un certo grado di premonizione, scrisse sul Weekly Standard nell’ottobre del 2000 che l’attacco alla USS Cole di quell’anno, alle Khobar Towers nel 1996 e al World Trade Center nel 1993 (lo stesso World Trade Center che verrà poi colpito l’11 settembre) erano tutti parte di «una strategia ben coordinata e a lungo termine, con la quale si intendevano perseguire scopi manifestamente politici, condivisi da nemici dell’America che agivano in modo risoluto ed erano disseminati in più paesi»43. Per cui, pur non sapendo esattamente come e quando tale minaccia si sarebbe concretizzata, era necessario creare un «ambiente strategico» all’interno del quale l’America potesse conservare la capacità di difendersi44. Bill Kristol, dalle pagine della rivista Foreign Affairs, auspicava l’instaurarsi di una «egemonia benevola e globale» che mantenesse la preminenza strategica e ideologica degli Stati Uniti nel mondo45. 39 R. KAGAN e W. KRISTOL , The Present Danger, «The National Interest», n. 59, primavera 2000. R. KAGAN, The Clinton Legacy Abroad, «The Weekly Standard», 15 gennaio 2001; J. KIRKPATRICK, Where Is Our Foreign Policy?, «Washington Post», 30 luglio 1993; e P. WOLFOWITZ, Clinton’s First Years, «Foreign Affairs», gennaio/febbraio 1994. 40 41 C. KRAUTHAMMER, The Unipolar Moment revisited - United States world dominance, «The National Interest», inverno 2002. 42 I. KRISTOL, A Post-Wilsonian Foreign Policy, «The Wall Street Journal», 2 agosto 1996. 43 T. DONNELLY, America at War, «The Weekly Standard», 30 ottobre 2000. 44 R. KAGAN e G. SCHMITT, Now May We Please Defend Ourselves?, «Commentary», luglio 1998. 45 R. KAGAN e W. KRISTOL, Toward a Neo Reaganite Foreign Policy, «Foreign Affairs», luglio-agosto 1996. Con l’11 settembre, la storia confermò che i pericoli che i neoconservatori andavano paventando esistevano realmente ed erano pronti a colpire l’America. In collaborazione con il think tank American Enterprise Insitute e al gruppo di pressione Project for the New American Century, la proposta neoconservatrice per un nuovo e più centrale ruolo dell’America nel mondo fu pianificata, diffusa, ed infine adottata dall’Amministrazione di George W. Bush nella National Security Strategy del 2002. Come già aveva sostenuto il Presidente la sera dell’11 settembre, la fase in cui l’America si trovava all’inizio del Terzo Millennio segnava l’inizio di una guerra ideologica contro un nemico malvagio. Le nuove minacce erano costituite dal terrorismo e dal caos geopolitico, a fronte dei quali era necessario preservare ad ogni costo la pace, anche attraverso la guerra preventiva. Al fine di proteggere la nazione, non si esitava a legittimare una politica estera «vigorosa», che sollecitava il cambio di regime nei paesi non democratici46. In base alla sua posizione, per così dire, “privilegiata” nella seconda Amministrazione Repubblicana, il neoconservatorismo è stato accusato di ogni cosa e del suo contrario: dal voler spingere la Presidenza Bush verso la guerra per velleità militaristiche o per interessi personali (accusa, quest’ultima, dalla quale dovette difendersi in realtà soltanto Dick Cheney per i suoi legami con Halliburton); a tramare improbabili “cabale” o “complotti” a favore di Israele, linea suffragata dall’origine ebraica di molti neoconservatori (qui rientra la polemica sul controverso lascito del filosofo tedesco Leo Strauss)47. Accuse che, in ogni caso nulla tolgono all’influenza notevole che questi studiosi hanno esercitato sulla politica estera statunitense dall’11 settembre in poi, tracciando una “terza via” tra l’internazionalismo liberale e il realismo politico: il realismo democratico, che coniuga una pragmatica tutela dell’interesse nazionale con la difesa e la diffusione delle nozioni alla base dell’esperimento americano: freedom, democracy and free enterprise48. MUTAMENTI NELLO SCENARIO POLITICO STATUNITENSE Seppure le vittorie di Barack Obama, nel 2008 come nel 2012, siano state in realtà poco sorprendenti (in entrambe le occasioni, i sondaggi davano Obama in netto vantaggio per circa 11 dei 12 mesi antecedenti al voto49), i deludenti risultati elettorali hanno aperto una crisi profonda tra le file dei Repubblicani. Le varie componenti del Partito, tutt’altro che concordi tra loro, hanno mancato di convergere su una linea d’azione coesa, in grado di produrre figure carismatiche che guidassero il Grand Old Party attraverso il terzo millennio. Alla vigilia del 6 novembre 2012, per i Democratici il quadro era tutt’altro che roseo. L’economia aveva assistito ad una lenta, troppo lenta ripresa, male rispondendo ai massicci stimoli che i contribuenti avevano concorso a finanziare; questo aveva reso le iniziative del Presidente (lo stimulus bill tra tutti) altamente impopolari. La disoccupazione era ancora alta. A tutto questo si erano aggiunti gli aiuti federali concessi ad alcuni grandi colossi (Citigroup, JPMorgan Chase e General Motors), e i National Security Strategy (NSS) del http://www.whitehouse.gov/nsc/nss/2002/index.html. 46 settembre 2002 sul sito della Casa Bianca A.K. NARDINI, «L’Influenza di Leo Strauss», in ID., Neoconservatorismo Americano. Ascesa e Sviluppi, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2009, pp. 75-94. 47 48 C. KRAUTHAMMER, Democratic Realism. An American Foreign Policy for a Unipolar World, Washington D.C., AEI Press, 2004. RCP Poll Average : General Election: McCain vs. Obama. http://www.realclearpolitics.com/epolls/2008/president/us/general_election_mccain_vs_obama-225.html, e RCP Poll Average : General Election: Romney vs. Obama. http://www.realclearpolitics.com/epolls/2012/president/us/general_election_romney_vs_obama-1171.html. 49 consistenti bonus per gli executives e i grandi manager che Obama non era riuscito ad evitare50. Sulla riforma sanitaria, la maggioranza era divisa: non vi era alcuna concordanza sull’eventualità di una public option, così come sulla possibilità di stanziare fondi per le interruzioni di gravidanza, o sugli importi delle sanzioni – se mai ce ne dovevano essere – per i cittadini che non si fossero assicurati. L’Obamacare si era dimostrata infinitamente più costosa di quanto stimato, proprio come avevano previsto i Repubblicani; la qualità del servizio era drammaticamente calata; e, ancor più grave, la riforma era stata imposta al Congresso tramite la reconciliation, un procedimento con cui i Democratici avevano sospeso la regola che richiedeva la maggioranza relativa al Senato, accontentandosi di una maggioranza semplice per approvare la proposta. A quattro anni dal lancio della green economy, era oramai palese che le promesse dell’Amministrazione Democratica di garantire all’America un approvvigionamento energetico più pulito, sicuro, nazionale e a buon mercato non potevano essere mantenute, quantomeno non nella loro forma originale, come d’altronde aveva dimostrato la decisione del Presidente Obama di finanziare la costruzione della prima centrale nucleare su suolo statunitense dopo tre decenni, nonché di aprire alla trivellazione offshore la costa atlantica, l’Alaska e parte del Golfo del Messico51. Il disastro ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon nell’aprile 2010, nonostante la National Oil Spill Commission voluta da Barack Obama per investigare la questione, non aveva che peggiorato la situazione, concludendo che prevenzione e reazione al disastro ambientale erano state del tutto insufficienti, ma che per il Presidente era «impossibile rinunciare alle trivellazioni»52. In politica estera, dopo il trionfo di una nuova America multilaterale in Libia (trionfo che, beninteso, negli Stati Uniti non aveva suscitato gli stessi entusiasmi che in Europa53), la Dottrina Obama “della mano tesa” ed il reset con Mosca sembravano in realtà rappresentare soltanto una predisposizione al multilateralismo e al dialogo che non giovava affatto ai rapporti con l’Iran, la Russia o la Corea del Nord, penalizzando invece le relazioni con Israele54. Tutto questo si tradusse nel rapido calo dei consensi per i Democratici alla vigilia del 6 novembre 2012: la popolarità per il lavoro svolto da Obama si assestò stabilmente al di sotto del 50% dal luglio 2011 al febbraio 2012, in seguito ad un abbassamento tra i più rapidi e drastici della storia politica statunitense nel picco luglio-agosto 2011 (il calo fu del 10% in meno di un mese55). Indubbiamente, i Democratici erano stati artefici della loro stessa impopolarità. Ciò nonostante, il Partito Repubblicano non si era dimostrato in grado di capitalizzare sul disappunto popolare, né di sfruttare il consenso ottenuto nelle elezioni di midterm 2010, per tramutarlo in un sostegno duraturo per il proprio partito. Le difficoltà dei Democrats non erano dunque riconducibili a quell’«analisi di coscienza» che lo scienziato politico David Frum esigeva dai Repubblicani all’indomani delle elezioni del novembre 200856.La litigiosità al Congresso e l’incapacità di lavorare in vero stile bipartisan, come 50 M. TAIBBI, Obama's Big Sellout, «Rolling Stone», 10 dicembre 2009. J. MASON, Obama Ups Nuclear Investment for Climate Fight, «Reuters», 16 febbraio 2010; e J.M. BRODER, Obama's Shift on Drilling, «The New York Times», 31 marzo 2010. 51 Deep Water.The Gulf Oil Disaster and the Future of Offshore Drilling, gennaio 2011. https://s3.amazonaws.com/pdf_final/DEEPWATER_ReporttothePresident_FINAL.pdf 52 A.J. KUPERMAN, A Model Humanitarian Intervention? Reassessing NATO's Libya Campaign, «International Security» 38, n. 1, estate 2013. 53 D.J. FEITH, S. CROPSEY, The Obama Doctrine Defined, «Commentary», luglio 2011; e L.H. GELB, The Elusive Obama Doctrine, «The National Interest», n. 121, settembre/ottobre 2012. 54 President Obama Job Approval, «Realclearpolitics», http://www.realclearpolitics.com/epolls/other/president_obama_job_approval-1044.html 55 56 D. FRUM, How the GOP Can Rise Again, «Newsweek», 26 gennaio 2009. poi divenne evidente in occasione dello shutdown del settembre/ottobre 2013, alienarono ulteriormente le simpatie degli elettori verso il Grand Old Party57. Al Partito Repubblicano mancava un’identità unitaria, una direzione in cui muoversi, mentre la linea ufficiale e la leadership del partito erano sempre più contese tra i conservatori come Mitt Romney, i social conservatives dei Tea Parties e Sarah Palin, i liberali classici come Paul Ryan, i neoconservatori à la McCain, e i libertari di Rand Paul – che aveva nel frattempo raccolto con successo l’eredità del padre dopo la fallita candidatura alle primarie 2008. Come nota Mark Gerson, in questo quadro le elezioni del 2012 non potevano venire lette come un momento preciso di insuccesso per i Repubblicani. Si confermarono altresì all’apice di una tendenza preoccupante, che durava da quasi vent’anni. Nelle ultime sei elezioni presidenziali, quattro erano state vinte dai democratici (due da Clinton e due da Obama rispettivamente), con una media di 327 ECV contro 210. Romney aveva conseguito risultati particolarmente scarsi tra i cosiddetti millennials (i giovani tra i 18 e i 29 anni), e i latinos – «il futuro demografico del paese», per dirla con Gerson58. In tale senso, la posizione Repubblicana “tradizionalista” – che si opponeva fortemente alle unioni omosessuali, e vedeva l’immigrazione come piaga, piuttosto che come risorsa – aveva penalizzato fortemente il Grand Old Party. Erano pertanto emerse nuove fratture all’interno del partito: l’organizzazione Republicans for Immigration, per fare un esempio, fondata dall’ex Segretario per il Commercio dell’Amministrazione di George W. Bush Carlos Gutierrez, che si proponeva di fornire appoggio politico a candidati Repubblicani che offrano soluzioni concrete per cambiare il sistema statunitense nell’ambito dell’immigrazione, attraverso il riconoscimento ufficiale dei confini degli Stati Uniti, la legalità, la dignità degli individui, e politiche che rispondano alle necessità economiche del nostro pese nel ventunesimo secolo59. Emblematico è stato inoltre il caso del Repubblicano Richard Tisei, da 26 anni Rappresentante al Congresso nel Massachusetts, che recentemente ha chiamato i propri colleghi a riconsiderare la questione dei matrimoni omosessuali «in nome della libertà, che dovrebbe essere il punto cardine del Grand Old Party», denunciando un partito «ancora impantanato nel diciannovesimo secolo»60. I Repubblicani appaiono oggi dunque profondamente divisi. Le indecisioni sulla leadership riflettono disaccordi più profondi in merito a numerose tematiche, che spaziano dall’immigrazione alla politica estera alle questioni etiche. Quale dunque la via da percorrere? L’America si trova oggi ad affrontare nuove sfide: il basso potere d’acquisto dei salari, la perdita dei cosiddetti blue collar jobs (il lavoro operaio manuale), l’aumento esponenziale dei costi della sanità e dell’istruzione universitaria, il ruolo delle minoranze etniche e l’immigrazione irregolare, il collasso delle strutture familiari tradizionali (con i problemi di assistenza agli anziani e alla prole che ne conseguono)61. Urge inoltre che il Grand Old Party prenda atto delle nuove tendenze demografiche, in cui giovani e latinos sono sempre più preponderanti (numericamente) e partecipativi (politicamente) alla vita del paese. Fermo restando che i La disapprovazione verso il congresso è al di sopra del 70% dal 9 febbraio 2010 (Congressional Job Approval, «Realclearpolitics», http://www.realclearpolitics.com/epolls/other/congressional_job_approval-903.html); la colpa è attribuita ai Repubblicani: J. WILLIAMS, Republicans to blame for the public's disgust with Congress, «The Hill», 30 dicembre 2013. 57 M. GERSON & P. WEHNER, How to Save the Republican Party. A Five Point Plan, «Commentary», Single Issue Magazine – January 1, 2013. 58 59 http://www.republicansforimmigrationreform.org 60 L. MECKLER, Gay Republican Candidate: GOP Must Back Gay Marriage, «Wall Street Journal», 20 marzo 2014. M. GERSON & P. WEHNER, How to Save the Republican Party. A Five Point Plan, «Commentary», Single Issue Magazine – January 1, 2013. 61 conservatori non possono certo abbandonare la loro eredità storica per considerazioni finalizzate ad acquisire mero consenso elettorale, un Partito Repubblicano miope nei confronti dell’immigrazione sarà sempre più impopolare tra i latinos62. Per questo, il Grand Old Party dovrà andare ben oltre la House Standards for Immigration Reform, proposta nel gennaio 2014: per bocca della stessa Heritage Foundation, un’iniziativa costosa, iniqua, e inattuabile, che si riconferma poco più che una riedizione della dannosa e biasimata proposta del 1986 [IRCA], che non funzionò allora, e mai potrà funzionare adesso 63 Economia Seppure il partito di George W. Bush sia stato ritenuto il responsabile della crisi finanziaria ed economica che nel 2008 ha investito l’America, accusato di non aver posto alcun limite alle speculazioni delle banche in nome del libero mercato, Barack Obama ha dovuto scontare la lentezza e l’incostanza della ripresa. L’America viene percepita dai suoi cittadini sempre più in balia dei prestiti esteri, finanziariamente dipendente della Cina64. In un momento così delicato, è emersa tuttavia la competenza dei Repubblicani, culminata nella proposta Path to Prosperity di Paul Ryan: il leader della commissione bilancio alla Camera argomentava come lo stimulus bill avrebbe aumentato la spesa con finanziamenti a pioggia, senza creare effettivamente posti di lavoro, e proponeva in alternativa una sostanziale ristrutturazione del sistema del welfare, nonché i tagli alle tasse tanto amati dall’elettorato statunitense65. Alle critiche avanzate dai conservatori si sono sommati gli attacchi degli economisti libertari ad un modello eccessivamente “socialista” o “europeo” (termini che per gli americani hanno da sempre una connotazione negativa), i quali imputavano allo Stato di occuparsi non solo della tutela dei diritti dei cittadini, come suo dovere; bensì di promuovere attivamente l’uguaglianza sociale attraverso un piano di eccessiva quanto ingiusta redistribuzione delle risorse. In un clima simile, non si poteva che assistere al ritorno del commentatore radiofonico Rush Limbaugh, il quale attraverso il suo show ha infiammato gli animi, paventando la possibilità che l’America, terra della libertà, divenisse un paese assistenzialista, burocratico e totalitario, in contrasto con la propria storia e tradizione. Tutto ciò ha anche contribuito ad aumentare la popolarità del Senatore del Kentucky Rand Paul, che con la sua proposta di meno tasse, meno leggi, e parziale libertà sui temi etici, si rivela tuttora estremamente popolare, specialmente tra i giovani66. In generale, sull’economia i Repubblicani appaiono eccezionalmente compatti riguardo alla linea da seguire, con conseguente beneficio per l’intero Partito. Particolarmente rilevante è stata l’approvazione del Bipartisan Budget Act del dicembre 2013, redatto dallo stesso Ryan in collaborazione con la Senatrice Democratica Patty Murray, che ha dimostrato non solo la solidità delle 62 J. HARWOOD, For G.O.P., Hard Line on Immigration Comes at a Cost, «New York Times», 7 marzo 2014; THE HERITAGE FOUNDATION IMMIGRATION AND BORDER SECURITY REFORM TASK FORCE, House Standards for Immigration Reform Nearly Identical to Flawed Senate Bill, Heritage Foundation, Backgrounder #2881 on Immigration, 11 febbraio 2014. 63 M.D. CHINN, American Debt, Chinese Anxiety, «New York Times», 20 ottobre 2013; e K. RAPOZA, By The Time Obama Leaves Office, U.S. No Longer No. 1, «Forbes», 23 marzo 2013. 64 J. MCCAIN, Real Stimulus Plan, 2 febbraio 2009 (http://www.cbsnews.com/htdocs/pdf/RealStimulus.pdf?tag=contentMain;contentBody); e P. RYAN, The Path to Prosperity, Fiscal Year 2013 Budget Resolution http://paulryan.house.gov/uploadedfiles/pathtoprosperity2013.pdf 65 C. MARINUCCI, Republican Rand Paul fires up a Berkeley crowd, «San Francisco Chronicle», 20 marzo 2014; C. WALLACE, Sen. Rand Paul on top congressional issues; pivotal moment in the battle over gay marriage, «Fox News», 24 marzo 2013. 66 posizioni Repubblicane in materia di economia, ma anche la disposizione del Grand Old Party ad operare in accordo con i rivali di sempre, nell’interesse del paese. Sanità Negli ultimi anni, uno dei più grandi dibattiti che ha coinvolto milioni di americani ed ha valicato i confini del paese per annoverare accorati proseliti e strenui oppositori anche in Europa, è stata la riforma sanitaria (Affordable Care Act) presentata da Barack Obama nella campagna elettorale 2008 e approvata il 23 marzo 2010. L’ObamaCare, come viene spesso definita, era partita con motivazioni condivise da molti cittadini: dare un volto più umano alla sanità americana, fornendo cure a chi ancora non poteva permettersele, contrastando lo strapotere delle compagnie assicurative e tutelando coloro che erano stati fino a quel momento pesantemente discriminati a causa dell’età, del genere e delle preexisting medical conditions. A quattro anni dalla sua approvazione, il dibattito sull’Affordable Care Act è tuttavia ancora irrisolto. Ad ogni studio che ne dà un giudizio complessivamente positivo, si contrappone una valutazione negativa67: mai un insieme di dati era stato così polarizzato nelle sue interpretazioni. Il primo errore di Barack Obama è stato in realtà un errore di comunicazione: ai cittadini era stata garantita la possibilità di mantenere invariati i propri piani assicurativi, ipotesi che non si è poi concretizzata, generando la battaglia per portare al Senato la discussione sul Keep Your Health Plan Act del 2013. I costi delle assicurazioni sono saliti alle stelle, le liste d’attesa si sono prolungate e la scelta e qualità dei servizi è divenuta più scarsa. Il drastico calo di approvazione nei confronti della riforma (solo il 40% degli americani era favorevole alla versione finale del testo, e tuttora solo il 38% degli americani approva la riforma68), è stato contrastato dalla Casa Bianca con una controcampagna di informazione volta a riguadagnare consensi, iniziativa che tuttavia si è rivelata solo marginalmente efficace. Alla base della questione, le divergenze sulla stessa nozione di salute. Negli Stati Uniti infatti, permane il contrasto tra la nozione di salute come bene, sostenuta dai Repubblicani; e quella di salute come diritto, sottoscritta dal Presidente con l’appoggio del fronte liberal e di quello progressista. Secondo la maggioranza dei cittadini statunitensi, la salute è un bene individuale, e come tale va perseguito e protetto attivamente. Come nella famosa parabola dei talenti, l’aver ricevuto quantità disuguali di un certo bene non deve risultare nel disinteresse degli uomini verso di esso: ogni persona deve prendersi cura della propria salute giorno per giorno e può (“può”, non “deve”) tutelarsi dagli imprevisti con un’assicurazione privata, a propria misura e scelta autonomamente all’interno di un libero mercato. Secondo molti Democratici, come d’altronde per gli europei, la salute è invece un diritto di ogni cittadino. E trattandosi di un diritto comune a tutti, è giusto che ognuno contribuisca a priori a finanziare l’erogazione dei servizi volti alla sua tutela, a prescindere dalle proprie necessità. È proprio la diseguale “distribuzione” delle condizioni di salute, spesso fuori dal controllo del singolo individuo, a richiedere l’intervento dello Stato affinché esso garantisca l’accesso di ogni persona alle cure di cui ha bisogno. Per il positivo, la coverage della Casa Bianca su http://www.whitehouse.gov/healthreform; e E. EMANUEL, Progress with Caveats, «The Wall Street Journal», 21 marzo 2014; in negativo, The Care Against Obamacare, http://www.gop.com/news/research/the-case-against-obamacare/; e J.C. GOODMAN, A Costly Failed Experiment, «The Wall Street Journal», 21 marzo 2014. 67 Public Approval for Healthcare Law, «Realclearpolitics», http://www.realclearpolitics.com/epolls/other/obama_and_democrats_health_care_plan-1130.html 68 Queste convinzioni non appaiono conciliabili nel breve periodo. Indubbiamente, i Repubblicani hanno ragione su due aspetti: difficilmente un sistema sanitario totalmente pubblico è economicamente viabile in America, se non accettando un deficit consistente in perenne aumento; inoltre, l’obbligo di acquisto dell’assicurazione individuale è una manovra estremamente impopolare – e forse persino incostituzionale. Ciò nonostante, i Democratici ribadiscono con forza un concetto basilare: non è accettabile che situazioni pregresse (le pre-existing conditions) implichino spese assicurative esorbitanti, o nei casi peggiori – che in passato erano tantissimi – l’essere effettivamente tagliati fuori da qualsiasi assistenza medica. Seppur su questa riforma l’America sia spaccata (più della metà del paese non approva la logica dell’Obamacare, reputandola eccessivamente costosa, poco efficace, e soprattutto contraria allo spirito ed alla libertà individuale che appartengono alla tradizione della nazione), i cittadini sembrano tuttavia concordare sul fatto che a tutti debbano venire fornite le cure di base: quantomeno quelle necessarie alla sopravvivenza. Su questo punto, i Repubblicani hanno dovuto trovare una linea comune, per decidere “cosa tenere e cosa buttare” dell’Affordable Care Act. Si attende nei prossimi mesi la controproposta del Grand Old Party – che sembra sarà orientata sull’espansione delle high risk insurance pools, sull’incentivazione degli health savings accounts e la possibilità per le piccole imprese di acquistare piani assicurativi cumulativi per i loro dipendenti – nonché di dare la possibilità ai cittadini di acquistare l’assicurazione sanitaria al di fuori del proprio stato di residenza69. Green economy Uno dei punti di forza della campagna elettorale di Barack Obama era stata la green economy, che «attraverso fonti energetiche pulite e sicure» avrebbe «condotto l’America verso l’indipendenza energetica». La green economy avrebbe ridotto l’emissione dei gas serra dell’80% entro il 2050, contribuito alla creazione di 5 milioni di nuovi posti di lavoro, rilanciato l’industria automobilistica statunitense attraverso la produzione di nuove vetture ibride e avrebbe permesso entro dieci anni di risparmiare più petrolio di quanto gli USA al momento importino da Venezuela e Medio Oriente70. Tra gli obiettivi non dichiarati, ma certamente rilevanti, il progetto avrebbe inoltre permesso al paese di rinsaldare la frattura con la comunità internazionale (in particolar modo con l’Europa), che sin dalla mancata ratifica del Protocollo di Kyoto preme affinché gli Stati Uniti adottino una condotta più attenta al risparmio energetico ed alle fragilità dell’ecosistema mondiale71. Ciò nonostante, i progressi nell’ambito dell’efficienza della green economy in quanto fonte di rinnovamento economico e come strategia di potenziamento dell’occupazione sono stati definiti “modesti” dalla stessa Amministrazione Democratica72. Le valutazioni complessive sono ancora in sospeso, articolate su principi difficili da isolare e quantificare, causa l’assenza di standard e di dati precisi riguardanti la natura, entità e crescita della green economy a livello regionale73. All’indomani della sconfitta elettorale del 2008, il Partito Repubblicano aveva già intuito la necessità di presentare un programma che rilanciasse l’immagine di un’America ecologicamente attenta. R. COSTA, House Republican Leaders craft their vision for an alternative to health-care law, «The Washington Post», 16 marzo 2014; e L. FOX, A Republican Alternative to Obamacare Is a Risky Proposition, «U.S: News», 17 marzo 2014. 69 70 B. OBAMA e J. BIDEN, New Energy for America, http://www.barackobama.com/pdf/factsheet_energy_speech_080308.pdf 71 Si veda tra tutti E. MACASKILL, Europeans Angry After Bush Climate Speech “Charade”, «The Guardian», 29 settembre 2007. R.M. BLANK, Measuring the Green Economy, U.S. Department of Commerce, Economics and Statistics Administration, aprile 2010. http://www.esa.doc.gov/sites/default/files/reports/documents/greeneconomyreport_0.pdf 72 M. MURO, J. ROTHWELL, D. SAHA, Sizing the Green Economy. A National and Regional Green Jobs Assessment, Brookings Institution,2011. http://www.brookings.edu/~/media/series/resources/0713_clean_economy.pdf. 73 Questo, aveva argomentato Karl Rove, sarebbe stato utile anche nel più ampio quadro di conquista dell’elettorato giovane e colto, impegnato da sempre per le cause ambientaliste e per questo ostile al Grand Old Party schierato con le grandi corporations74. Alcuni esponenti Repubblicani si erano dunque impegnati nell’elaborazione di una critica costruttiva della green economy nella forma presentata da Barack Obama, suggerendo nuove strade da percorrere. Non mancando di ricordare le storiche iniziative dei conservatori a favore dell’ambiente (come il Clean Air Act del 1990, che affrontava il problema delle piogge acide), David Frum argomentò a favore di esenzioni fiscali per le industrie che adottassero una condotta rispettosa dell’ambiente, e per l’introduzione di nuove tasse per coloro che invece lo danneggiassero75. Tra tutte, fu rivoluzionaria la sua proposta per l’introduzione a livello nazionale di una carbon tax, che all’epoca destò enormi controversie nel Grand Old Party. Oggi, i Repubblicani si sono sempre più impegnati a favore dell’ambiente: più della metà dei Governatori che hanno introdotto nei loro stati politiche più attente all’ambiente negli ultimi anni sono Repubblicani (16, per l’esattezza). L’argomentazione a favore dell’ambiente, tuttavia, non propone l’impegno ecologico come valore morale, ma lo collega ai vantaggi economici e al progresso: come ha affermato il Senatore Lindsey Graham, Possiamo metterci in coda, o prendere il comando. I paesi che si metteranno in coda avranno un prezzo da pagare; mentre le nazioni che assumeranno la guida nella creazione della nuova green economy mondiale realizzeranno enormi guadagni76. È in aumento nel partito anche il sostegno all’ipotesi della carbon tax (che penalizzerebbe le aziende che emettono sostanze pericolose che contribuiscono all’effetto serra), specie se in affiancamento a bonus fiscali per le aziende stesse; e il sostegno ad investimenti in ricerca e infrastrutture “verdi”, a condizione vengano scorporate dal gettito fiscale, e dunque non richiedano nuove imposte o vadano a gravare sul deficit di bilancio77. Si attende tuttavia una proposta comprensiva da parte dei Repubblicani per una nuova green economy. Relazioni internazionali e sicurezza nazionale Sino ad oggi, è stato relativamente semplice per il Grand Old Party evidenziare le (peraltro numerose) incoerenze dell’internazionalismo liberale di Obama, a partire dal ritiro in Iraq e Afghanistan (in entrambe i casi, svoltosi in totale aderenza con il progetto di George W. Bush), che ha lasciato situazioni di disequilibrio e non certo nuovi baluardi di democrazia in Medio Oriente; alla già citata promozione del regime change in Libia, mascherata dietro le pretese di intervento umanitario; al più generale approccio della «mano tesa», mirato a rinsaldare i rapporti con i paesi MENA dopo la primavera araba, e le relazioni con la Russia – scenari a cui oggi peraltro si guarda con tutt’altro che ottimismo. Altri nodi irrisolti sono il problema della persistenza del Patriot Act e la questione della sicurezza/privacy, specialmente dopo lo scandalo Datagate (qui la critica alle iniziative Democratiche è 74 K. ROVE, A Way Out of the Wilderness, «Newsweek», 24 novembre 2008. D. FRUM, «Goal Four: Green Conservatism», nel suo Comeback: Conservatism That Can Win Again, New York, Doubleday, 2008. 75 L. GRAHAM (R-SC), Press Conference, 4 novembre 2009. http://thinkprogress.org/climate/2009/11/04/174478/grahamgreen-economy/; e Republicans Want Green Energy Economy, «Wordpress», 5 aprile 2013. 76 NATIONAL GOVERNORS ASSOCIATION, Clean and Secure State Energy Actions: 2011 Update, NGA Center for Best Practices, 1 febbraio 2012, http://www.nga.org/cms/home/nga-center-for-best-practices/center-publications/page-eetpublications/col2-content/main-content-list/clean-and-secure-energy-2011.html; e S. STROMBERG, How to get Republicans to go green, «The Washington Post», 15 giugno 2011. 77 avanzata in modo particolarmente efficace da Rand Paul78); il difficile rapporto con Israele e la mancanza di soluzioni all’orizzonte per il conflitto palestinese79; e infine l’uso dei droni, (UAV), per operazioni di intelligence/sorveglianza, così come per il targeted killing80. Cavallo di battaglia dell’analisi Repubblicana degli equilibri internazionali si riconferma la gestione dei rapporti con il Cremlino, specie in seguito alla recente crisi in Crimea. Secondo i neoconservatori, così come per molti altri esponenti del Grand Old Party, la guerra fredda non si è mai realmente conclusa e Mosca resta un pericoloso elemento in grado di destabilizzare la comunità internazionale, che lavora per mantenere la dipendenza energetica dell’Europa dalla Russia ed il controllo politico sui nuovi Stati indipendenti un tempo parte dell’URSS – parere peraltro condiviso anche da Zbigniew Brzezinski, ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Carter e sostenitore di Barack Obama nelle ultime elezioni presidenziali81. La mancata soluzione della crisi siriana, con Putin che dalle pagine del New York Times rimproverava all’America di essere eccessivamente bellicosa e unilaterale – proprio in occasione della commemorazione dell’11 settembre – sembrano confermare che rispetto alla Russia Obama ha spesso dovuto fare un passo indietro82. Come conclude Jonathan Tobin, «Obama è più interessato a gestire la ritirata strategica dell’America dallo stato di superpotenza mondiale, che a mantenere la credibilità statunitense in ambito geopolitico»83. Se però nella critica a Obama i conservatori sostanzialmente convergono, è nell’ambito della linea d’azione che emergono le differenze più marcate. Sul ruolo dell’America nel mondo, i libertari/non interventisti si collocano da un lato, raccomandando cautela; mentre i neoconservatori e i conservatori reaganiani sono per una presa di posizione decisa, che tuteli e promuova l’eccezionalismo americano oltreconfine. In particolare, Marco Rubio sostiene una politica estera forte, modellata sull’eredità del 40mo Presidente statunitense84, mentre i neooconservatori intimano di abbandonare il declinismo obamiano, perseguendo piuttosto la promozione della democrazia e il regime change, in una contrapposizione apparentemente inconciliabile con il non interventismo di Rand Paul85. Conclusione Se da un lato i Repubblicani sono chiamati a prendere atto del crescente anacronismo di alcune delle loro analisi, specialmente in merito ai temi etici, che li distanziano dal cuore pulsante del paese, è urgente trovare al più presto una linea unitaria, in particolar modo per quanto riguarda la politica estera e l’opposizione all’Affordable Care Act – linea che può soltanto scaturire dalla consapevolezza dell’eredità dei Padri Fondatori e della tutela della Costituzione statunitense, a prescindere dalle A.K. NARDINI, Datagate. Nuove tecnologie, nuovi problemi, «Rivista di Politica», n. 4, 2013; e R. CARROLL, Rand Paul denounces NSA surveillance in fiery speech to Berkeley crowd, «The Guardian», 20 marzo 2014. 78 I. LEIBLER, Candidly Speaking: Obama-Netanyahu rift is unbridgeable, «The Jerusalem Post», 9 marzo 2014; e Washington reportedly fears collapse of peace talks, «Times of Israel», 23 marzo 2014. 79 80 H. OFEK, The Tortured Logic of Obama's Drone War, «The New Atlantis», n. 27, primavera 2010 81 M. MOLINARI, Intervista a Zbigniew Brzezinski. L’Occidente Deve Armare la Georgia, «La Stampa», 13 settembre 2008. 82 V. PUTIN, A Plea for Caution From Russia, «The New York Times», 11 settembre 2013. 83 J.S. TOBIN, Putin’s Crimes and the Kosovo Precedent, «Commentary», 17 marzo 2014. M. RUBIO, Making Putin Pay, «The Washington Post», 20 marzo 2014; e C. JOSEPH, Marco Rubio’s Reagan Moment?, «The Hill», 21 marzo 2014. 84 Cfr. C. KRAUTHAMMER, Decline Is a Choice - The New Liberalism and the end of American ascendancy, «The Weekly Standard», v. 15, n. 5, 19 ottobre 2009; e R. PAUL, On Diplomacy, «The National Interest», 16 gennaio 2014. 85 . divisioni politiche. Se sull’economia e la green economy la linea appare dunque già tracciata, in ambito internazionale, sul welfare, l’immigrazione e l’Obamacare sembrano prospettarsi sfide più complesse e importanti all’orizzonte. Far convivere anime diverse in uno stesso schieramento politico si sta rivelando straordinariamente difficile, ed attendere le primarie per le presidenziali del 2016 per un ulteriore confronto interno potrebbe essere deleterio. I Repubblicani hanno bisogno al più presto di trovare una guida, per forgiare una nuova, più comprensiva identità.
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