sole 18 giugno

Il Sole 24 Ore
Mercoledì 18 Giugno 2014 - N. 165
5
Il rischio Argentina
Il messaggio tv della «presidenta»
«Il nostro Paese ha vocazione a pagare»
Esclusa un’insolvenza del debito ristrutturato
DOPO LA SENTENZA DELLA CORTE USA
La bocciatura di Standard & Poor’s
L’agenzia abbassa il rating di due gradini
a CCC- e con outlook negativo
Buenos Aires sfida i fondi Usa
Risparmio.Rischi di nuovo contenzioso legale
Kirchner: è un’estorsione, continueremo a rimborsare chi ha aderito al concambio
Roberto Da Rin
L’Argentina ha «vocazione a pagare» ed è escluso «un
default del debito già ristrutturato». A reti unificate, con le
sue straordinarie doti di comunicatrice, la presidenta Cristina Fernandez de Kirchner è intervenuta in tv. Ventotto minuti in cui la primera dama ha ripercorso la storia argentina degli ultimi 20 anni, tra amnesie
(collettive) e inganni (individuali), parole smarrite e ritrovate nel labirinto della memoria di un Paese che produce cibo per 400milioni di persone
ma fatica sfamare una parte
dei suoi 40milioni di abitanti.
La presidenta ha definito
«un’estorsione»l’annunciodella Corte suprema americana
cheimponeaBuenosAiresilpagamento di 1,3 miliardi di dollari agli hedge funds per bond in
default, ma ha confermato il rispetto della prossima scadenza
dei rimborsi, il prossimo 30 giugno, per 900 milioni di dollari.
E ha sottolineato che «la volontà di negoziare del Paese è ampiamente dimostrata», riferendosi al 92% dei creditori che
hanno accolto i concambi del
2005 e del 2010.
Un messaggio mirato a rassicuraregli argentinie la comunità internazionale, allarmati
dall’idea diun altrodefault, prefigurato tutta la giornata di ieri
dai siti dei principali giornali
di Buenos Aires. Ciononostante, è giunto in serata un segnale
negativo proprio dalla stessa
comunità internazionale: Standard & Poor’s ha abbassato di
due gradini, con outlook nega-
tivo, il rating del Paese portandolo da CCC+ a CCC-, citando,
come ragione, «il maggior rischio di default».
La presidenta ha ribadito che
il governo porterà avanti «tutte
le strategie necessarie affinchè
chiha avutofiducianelPaesericevai proprisoldi», ha«confessato»dinon esserestatasorpresa dalla decisione della Corte
americana e, seguendo uno
schemadialetticoben collaudato, ha precisato che quello che
l’Argentina affronta «non è un
problema finanziario o giuridi-
VERSO IL NEGOZIATO?
Gli analisti prevedono che
il governo argentino
avvii subito una trattativa
per scongiurare lo spettro
di un default tecnico
co, si traduce nella convalida di
un modello di business su scala
globale» che potrebbe portare
a «tragedie inimmaginabili».
In altre parole la Fernandez ha spostato l’asse del problema verso i meccanismi
della finanza internazionale
che impoveriscono e indebitano alcuni Paesi.
Intantoproprioieriè stataavviata l’udienza finale dell’arbitrato Icsid promosso dagli obbligazionisti italiani che non
hanno aderito al concambio,
riunitinellaTask forceArgentina (Tfa), contro il Paese sudamericano.Perla Tfa«l’Argentina viene ora decisamente richiamata alle sue precise re-
sponsabilità e, nell’eventualità
non dovesseadempiere aquanto stabilitodal Tribunale, si troverebbe a confrontarsi con un
default tecnico e con serie difficoltàdiaccessoaimercati finanziari internazionali; tutto ciò in
un momento in cui sono invece
necessari ed attesi cospicui investimenti nel Paese».
«Un default tecnico in questo caso non dipenderebbe
dall’obiettiva incapacità della
RepubblicaArgentinadi onorare i propri debiti, ma dalla volontà di evitare rischi legali e
tecnici connessi a tali obblighi» conclude la Tfa.
L’ipotesi più probabile, secondo gli analisti interpellati
dal Sole 24 Ore, è che il governo
diBuenosAiresavviiunatrattativa, scongiurando un default
doppiamentepreoccupante:innanzitutto per l’instabilità in un
momento così critico nei mercati internazionali. E poi per il
messaggioparadossale:cadrebbe in default un Paese che ha ristrutturato il proprio debito.
Il capo gabinetto della Casa
Rosada Jorge Capitanich e il
ministro dell’Economia Axel
Kicillof andranno nei prossimi
giorni in Parlamento per «dare
spiegazioni» in merito alla posizione del governo argentino
dopola sentenza della Corte suprema Usa sugli holdouts, al fine di «spiegare la portata del
procedimento di ristrutturazione del debito e della sentenza americana». Un mese di passione, quindi. E non solo per i
mondiali, come gli argentini
avrebbero sperato.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
AFP
Nicola Borzi
«Un’estorsione».
Così il presidente
argentino
Cristina Kirchner
ha reagito alla
sentenza della
Corte suprema
americana in un
messaggio
televisivo a reti
unificate
Bond ancora sotto quota 50
Prezzi delle nuove obbligazioni «par» argentine emesse in seguito alla ristrutturazione del 2005. In euro
2006
2007
2008
2009
2010
50
40
30
20
10
Strade inesplorate
per la Bce
u Continua da pagina 1
l caso più studiato è quello
del Giappone che a partire
dagli anni 90 introdusse a
più riprese stimoli monetari,
inclusitassid’interessenegativi su buoni del Tesoro a brevissimo termine. I risultati furono modesti, sino alla nuova
combinazione di misure monetarie e fiscali adottate dal
governo Abe, i cui risultati di
lungo termine sono peraltro
ancora sub judice. La Banca
del Giappone, tuttavia, non si
èspintasinoallaremunerazione negativa delle riserve.
Viviamo,dunque,inuno degli infrequenti momenti in
cui i precedenti storici ai quali rifarsi sono molto pochi.
Uno di essi fu, appunto, l’abbandono della convertibilità
aurea nel 1931. L’altro si verificònel1971,conlafinedelsistemadicambifissicreato aBretton Woods nel 1944. Sia negli
anni 30 sia negli anni 70 i responsabili della politica economica navigarono a vista, in
condizioni mai prima sperimentate, provando, imparando dagli errori, aggiustando
empiricamente la rotta a mano a mano che la navigazione
procedeva in acque sconosciute.Èprobabilechesaràcosìanchenei mesi eannia venire. Una banca centrale diversa da ogni altra sin qui conosciuta affronta un problema,
la deflazione, che non si presentava dagli anni 30 e che fu
alloragestito,con poche eccezioni, da banche centrali di
cui cultura e strumenti si eranoforgiatinell’ossessionedella lotta all’inflazione.
Il poco che la storia può insegnare di fronte a una situazione di tale novità è che gli
esitisono, perdefinizione, poco prevedibili. Ciò è tanto più
vero quanto lo strumento che
più oggi cattura l’attenzione, i
tassi negativi, non sarà probabilmente quello decisivo. Le
altre misure adottate e quelle
I
lasciate intravedere «se necessarie» sono destinate a essere le più incisive, ma sono
anch’esse poco sperimentate.
In che misura e con quali tempiarriveràilcreditoallepiccole e medie imprese? E queste
saranno in grado di utilizzarlo? Se fosse necessario andare
oltre, come si adatteranno alla realtà europea strumenti
utilizzati negli Stati Uniti?
Dobbiamoaspettarci chele risposte arrivino attraverso un
processo di apprendimento,
anchedall’errore,ediprogressivo adattamento.
Nell’inevitabile incertezza
della (quasi) "prima volta", la
storia offre, malgrado tutto,
due punti fermi. Il primo è la
consapevolezza che la deflazione è un pericolo da evitare
anche a costo di prendere rischi non del tutto calcolabili:
la Bce fa bene a correrli. Il secondopunto fermo èla consapevolezza che non ci si deve
aspettarechelapoliticamonetaria da sola, con strumenti
vecchi o nuovi, possa risolvere tutti i problemi. Non fu così
negli anni 30, non sarà così
nell’Europa di oggi. La Bce ci
salverà probabilmente dal radicamento delle aspettative
di caduta dei prezzi, intanto ci
sta regalando tempo che va
usato bene, soprattutto in Italia.Labonacciadopolatempesta dei debiti sovrani è il momento non solo per riparare
la nave ma anche per rafforzarla ristrutturandola. Il caso
ventennale del Giappone, riluttante alle riforme, dimostra che senza di esse poco
possono la larghezza monetaria e fiscale. Sappiamo sin
d’ora che il puntare tutto e solo sulla Bce e sul "convincere"
Bruxelles a concedere sforamenti di qualche decimo di
punto nel rapporto disavanzo/Pil ci farà perdere un’ulteriore, forse ultima, occasione
per rilanciare un’economia e
una società catatoniche da oltre un ventennio.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
l rischio concreto per molti
è di tornare in un incubo già
vissuto, nel quale i propri risparmi – o meglio, ciò che ne è
rimasto dopo il pesante "taglio
dicapelli" già subìto– si trasformino di nuovo in carta straccia.
Il paventato nuovo default argentino andrebbe a penalizzare
soprattutto i risparmiatori che,
dopo il crack del 2001 da 95 miliardi di dollari, avevano ridato
fiduciaa BuenosAires. Ilcollasso costò all’Italia 14 miliardi di
dollari. Il 92% dei 450mila investitoriitaliani coinvolti aderì alle due Offerte pubbliche di
scambio volontarie avanzate
dall’Argentina nel 2005 e 2010,
ricevendonuovititoliperunvaloreparial30%diquelloinvestitoneivecchi bond.Proprioqueste obbligazioni, che nelle ultimesedutehannosegnato untracollo, sarebbero coinvolte
dell’effettodomino diun nuovo
mancato pagamento.
I meno esposti sarebbero invece i risparmiatori che hanno
aderitoallaTaskForceArgentina (Tfa). Secondo una nota della Tfa, associazione che fa capo
all’Abi e che tutela oltre 50mila
bondholderitalianicheattendono il rimborso da Buenos Aires
di2miliardididollari,ladecisione con cui la Corte suprema
Usahabocciatol’appellodiBuenos Aires contro gli hedge fund
che hanno respinto l’offerta di
ristrutturazione del debito «costituisce un precedente positivopericreditoriintitoliargentini,peraltrolasciando inalteratii
diritti degli obbligazionisti ricorrentialtribunalearbitraleIcsid. È giunta in concomitanza
dell’avvio dell’udienza finale
dell’arbitrato promosso dagli
obbligazionisti italiani. Il tempopertrovareunasoluzionenegoziataeragiàscaduto.Oral’Argentina deve accelerare in
quest’unica direzione».
Ma un nuovo crack rischia di
riaprireanche ilmai sopito contenzioso tra risparmiatori coinvolti nel default del 2001 e le
banche intermediarie dei Tangobond.Secondol’avvocatoLetizia Vescovini del foro di Modena, che ha patrocinato alcuni
investitori, in caso di mancato
pagamentodellecedoledei titoli offerti dalle Opvs del 2005 e
del 2010 «si riaprirebbero i ter-
I
L’EDITORIALE
di Gianni Toniolo
Chi aderì alle Opvs
del 2005 e 2010
torna nell’incubo
2011
2012
2013
2014
mini per agire nei confronti
dell’Argentinaperilmancatorispetto del piano di ristrutturazione: chi ha aderito a quelle offerte potrebbe valutare di agire
nuovamente verso Buenos Aires, ricordando però che in tribunalele azioni contro l’Argentina son sempre state rigettate
per difetto di giurisdizione. Bisognerebbevalutareseuneventuale nuovo default riapra anche i termini per agire nei confronti delle banche che hanno
collocato l’investimento».
Unariaperturadicuiparlaanche l’avvocato David Giuseppe
Apolloni del foro di Perugia,
espertodiTango bond:«Lasentenza 27875 del 2013 della prima
Sezione Civile della Cassazione
in materia di bond Cirio stabilisce la solidarietà passiva tra società emittente e intermediario
2
miliardi
Rimborsi attesi da Tfa con Icsid
Task Force Argentina rappresenta
50mila piccoli investitori italiani
per il danno all’investitore: il
principio può essere esteso anche ai bond argentini. Chi ha
aderito a Tfa ha convenienza ad
attenderel’esitodellodo.Consiglio comunque a tutti i bondholder di mandare una raccomandata alla banca intermediaria
per interrompere il termine decennale della prescrizione, anche se ritengo che, per il principio dell’obbligazione solidale
sancito dalla Cassazione, l’atto
di messa di mora della Tfa contro l’Argentina valga anche nei
confronti delle banche coinvolte.Tra l’altrolaprescrizione potrebbenonessereancorascattata anche per chi non ha ancora
avanzato la messa in mora della
banca intermediaria perché, secondo alcune sentenze di merito, il termine decennale non decorrerebbe dal dicembre 2001,
quando l’Argentina dichiarò la
sospensione dei pagamenti, ma
dal febbraio/marzo 2005, quandoconl’OpvsBuenosAires certificòchenon avrebbe più pagato», conclude Apolloni.
[email protected]
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Domande & Risposte
Gli scenari possibili
per i detentori di bond
Showroom: Via B. Verro 33/6 Milano
T. +39 02 84894381 [email protected]
www.eleventy.it
1
2
L’oggetto
della disputa
Le conseguenze
per gli investitori
Qual era il contenzioso
all’esame della Corte suprema
americana e che cos’ha deciso?
Tutto nasce dal default
sovrano argentino da quasi
100 miliardi di dollari nel 2001.
Nel 2005 e nel 2010 Buenos
Aires ha offerto un
concambio, con i nuovi bond
quotati intorno a 30
centesimi, dunque con una
perdita secca del 70% per gli
investitori. L’offerta ha
comunque avuto oltre il 90%
di adesioni. Da allora
l’Argentina ha iniziato a
pagare cedole sui nuovi bond
ma non sui vecchi. Alcuni
fondi americani che non
avevano aderito al concambio
hanno presentato ricorso agli
organi giudiziari Usa
chiedendo il rimborso delle
obbligazioni. Dopo vari gradi
di giudizio, la Corte ha dato
ragione ai fondi e obbligato il
Governo argentino a pagare
oltre 1,3 miliardi di dollari
prima del prossimo rimborso
dei nuovi bond, previsto per il
30 giugno.
In che maniera la decisione
della Corte Usa può influenzare i
detentori di bond argentini?
In teoria i risparmiatori
italiani che non hanno aderito
al concambio (sono poco
meno di 50mila) potrebbero
trarre giovamento dalla
sentenza americana, perché
accoglie il principio secondo
cui gli «holdout» devono
essere rimborsati.
Quanto agli italiani che
invece hanno aderito alla
ristrutturazione (sono circa
400mila) e che in questi anni
hanno ricevuto regolarmente
le cedole dello Stato
argentino, la sentenza
americana può rappresentare
nel breve termine un
ostacolo, perché vieta il
rimborso dei bond
ristrutturati se prima non
verranno pagati gli
«holdout». Infine, il rimborso
di tutti gli holdout costerebbe
15 miliardi di dollari e
rischierebbe di innescare un
nuovo default dello Stato
argentino, con danni per tutti.