1900 - 1950 DONNE di Alessandra Spada La storia delle donne in Alto Adige – Südtirol continua ad essere un ambito poco esplorato e scarsamente affrontato nel contesto storiografico locale. Il fondamentale contributo dato dalle donne, con la loro vita e il loro agire, alla costruzione del tessuto civile, sociale, economico, politico di questo territorio continua a restare prevalentemente sommerso sotto un fitto velo di silenzio e di non conoscenza che rischia di diventare quasi imbarazzante se messo a confronto con i numerosi studi e le varie ricerche promosse su queste tematiche in altri contesti geografici sia italiani che internazionali. È noto che l’Alto Adige – Südtirol non brilla per la presenza di Istituzioni preposte a promuovere lo studio e la ricerca storica e neppure la neo istituita Università di Bolzano ha contribuito ad invertire questa tendenza. Non è infatti previsto al suo interno nessun Istituto di Storia che potrebbe fungere da volano allo sviluppo della ricerca storica. Questo stato di cose finisce con il rendere ancora più faticoso un percorso storiografico incentrato su un’ottica di genere in grado di attivare un processo di svelamento sul ruolo avuto in passato dalle donne in questo territorio. Poco dunque è stato fatto in questo ambito e se di recente qualche breccia si è aperta lo si deve soprattutto all’impegno di alcune singole ricercatrici storiche locali che, grazie alla 58 42 57 loro passione, sono riuscite a svelare alcuni aspetti, seppur parziali, di storia delle donne, facendo così intuire la grande ricchezza di informazioni racchiuse in fonti d’archivio ancora inesplorate e soprattutto le elevate potenzialità finora inespresse da questo filone di ricerca. Questo discorso vale per il passato ormai lontano, ma vale allo stesso modo anche per il passato più recente. Dovendo soffermarmi in questo lavoro sul periodo che va dal 1900 al 1950, su un passato quindi relativamente recente e sul quale molto è stato scritto e vasta è la bibliografia di riferimento, emerge subito, utilizzando categorie storiografiche di ge- nere e volendo focalizzarsi sul ruolo avuto dalle donne nella realtà locale in questa fase storica, che ancora poco è emerso e che molta è la ricerca da promuovere anche solo per ricostruire un quadro generale di riferimento. All’inizio del secolo scorso vengono al pettine, in tutta Europa e anche in Italia, alcuni dei nodi cruciali che riguardano la “questione femminile” e che diventano argomento di dibattito, di confronto e di rivendicazione da parte di donne1 . Già nella seconda metà dell’Ottocento, con il Congresso di Parigi del 1878 o quello di Berlino del 1896, si inaugura una lunga stagione di incontri internazionali di donne con delegate designate dalle varie associazioni femminili dei diversi paesi che proseguono a cadenze regolari anche durante il primo decennio del 1900. Nascono un po’ ovunque movimenti e associazioni femminili che pongono all’attenzione dell’opinione pubblica una serie di questioni cruciali che riguardano la tutela e i diritti delle donne. Ad esempio nel 1904 viene fondato in Italia il Consiglio delle donne, un’importante associazione femminile che aderisce all’international Council of Women, con lo scopo di coordinare le lotte a favore del voto femminile. In Inghilterra, sempre nello stesso anno Emmeline Pankhurst, leader del movimento delle suffragette, fonda l’Unione sociale e politica femminile che si batterà per il diritto di voto avendo una notevole influenza anche sulle suffragiste italiane. In questo periodo conosce inoltre un grande sviluppo anche la stampa politica delle donne che diventa un importante veicolo per diffondere gli scritti delle principali esponenti dei movimenti. L’attenzione dell’editoria nei confronti delle questioni e delle tematiche femminili consente di diffondere testi quali quelli di Charlotte Perkins Stetson e di Ellen Key, fondamentali per la definizione di linee di pensiero e di strategie operative. All’inizio del Novecento il suffragio femminile diventa dunque una questione importante vivacemente dibattuta anche in Italia e la discussione si fa particolarmente accesa in ambito femminista contemporaneamente alla proposta di legge per il suffragio alla donna, presentata in Parlamento nel giugno 1904 dal deputato Mirabelli a nome dell’estrema sinistra. L’Unione Femminile apre un’inchiesta sul diritto di voto. Una petizione stesa da Anna Maria Mozzoni e fatta circolare, per raccogliere adesioni, fra i raggruppamenti femministi di tutta Italia, suscita grande interesse e attenzione (la petizione, presentata in parlamento, verrà discussa nel febbraio 1907 e respinta). Si tratta del primo dibattito, su scala nazionale, intorno al suffragio femminile. Le adesioni giungono numerose da diverse parti d’Italia e si forma un Comitato Nazionale pro suffragio sotto la presidenza di Giacinta Martini Marescotti. La discussione si accende soprattutto fra socialisti e femministe: sorgono anche in Italia nuovi giornali femministi come “La vita” e “Eva moderna”; una socialista, Carmela Bancelli, fonda ‘’L’alleanza’’ con lo scopo di unire socialisti e femministe nella campagna comune per il diritto di voto alle donne. Bisogna tener presente che alle spalle di questo fervore di dibattiti e discussioni attorno alle proposte di suffragio femminile, ci sono gli anni segnati dalle trasformazioni socio-economiche post-unitarie che vedono la donna chiamata ad assolvere funzioni che, nella vastità della loro portata, non ha precedenti: si pensi ad esempio al massiccio inserimento delle donne nell’industria in via di espansione e all’inserimento della donna, in qualità d’insegnante, nella scuola istituita dallo stato unitario. In questo contesto il movimento emancipazionista sorge e si sviluppa anche in Italia, esplicando la sua attività sia a livello di elaborazione teorica, sia attraverso interventi tesi ad incidere direttamente sul tessuto sociale mediante la costituzione di Leghe. In questa realtà in via di espansione e di mutamento si presenta nella donna, a livello collettivo, l’esigenza di ridefinire la propria identità in maniera conforme al nuovo ruolo che va assumendo nella società post-unitaria. Nel 1903 Maria Pasolini nell’Introduzione al Catalogo di alcuni libri sulla questione della donna scriveva: “La questione femminile c’è e non può fare a meno di esserci, perchè ha radice nell’ordine sociale economico della società nostra, che, mutando, ha fatto mutare anche la condizione della donna ( ... ). Ora giova soprattutto discutere tali questioni, perchè abituandoci a osservare i mutamenti che si annunziano o che sono avvenuti, dizionale di donna”. Infatti “La donna nuova è sempre collocata nella cornice della famiglia e la sua identità si costruisce a partire dalla ridefinizione del suo essere madre e moglie”3 . La nuova condizione socio-economica che si va delineando nella società spinge le donne non solo a rivendicare i propri diritti, ma le porta anche ad istituire direttamente numerose associazioni di carattere filantropico atte ad attivare strutture di servizio a favore delle lavoratrici madri, delle madri nubili e dei loro fanciulli dando così origine ad un impegno che costituirà la base della nascita dello stato sociale. Infatti è proprio sotto la spinta dell’associazionismo femminile e emancipazionista che nascono i primi provvedimenti normativi e i primi servizi incentrati sull’aiuto alle madri ed ai bambini che porterranno all’introduzione in Italia, nel 59 prepariamo l’animo ad affrontarli, a piegare la consuetudine ai fatti nuovi”2 . E’ bene osservare che questa necessità di ridefinire la propria identità in maniera conforme alla nuova condizione della donna, non si definisce, in questo periodo, come rottura della tradizione, ma assume per lo più i connotati di “una mera forma di modernizzazione del costume che lascia inalterata la sostanza del concetto tra- 1910, della Cassa Nazionale di Maternità come struttura previdenziale a sostegno delle madri-lavoratrici durante il congedo per puerperio4 . Questo fervore di iniziative e di lotte portate avanti dalle donne all’inizio del secolo un po’ in tutta Europa sembra però non avere riflessi altrettanto vivaci e incisivi nel Tirolo meridionale, che pare toccato solo marginalmente da questo fenomeno. Va però anche 57. Carl Moser, Sommernachmittag (Pomeriggio d’estate), 1906. 58. Fabbrica di tessuti Moessmer a Brunico, fondata nel 1894. 59. Cernita dell’uva, Lana 1906. 43 sottolineato che le ricerche in questo settore sono scarse e che sarebbero necessari maggiori studi e approfondimenti prima di poter esprimere delle considerazioni definitive sulla condizione delle donne nel nostro territorio all’inizio del 1900. Sicuramente anche sul territorio dell’attuale Alto Adige – Südtirol c’erano delle donne impegante nell’associazionismo di tipo filantropico fin dalla metà del 18005 . Non si tratta però tanto di donne attente alle questioni dell’emancipazionismo, quanto piuttosto di donne di estrazione nobile e borghese che agivano per fini umanitari a sostegno di bambini e fanciulle poveri. Risale ad esempio al 1846 la nascita a Bolzano dell’associazione femminile per l’asilo infantile nella Pfarrgasse (la sede dell’asilo fu successivamente trasferita prima alla Mauergasse e poi alla Hintergasse, attuale via Vintler). L’asilo era gestito da un comitato formato da una quindicina di signore e presieduto, all’atto della fondazione, dalla contessa Luise von Hendl. Le quindici donne del comitato avevano il compito di reperire, ciascuna in una diversa zona di Bolzano, i fondi necessari alla gestione dell’asilo. Il fine perseguito dal comitato era quello di assistere i bambini, dai tre ai sei anni, che non potevano essere seguiti dai propri genitori e quello di insegnare ai bambini i primi rudimenti del leggere e dello scrivere. A gestire concretamente l’asilo furono chiamate le suore appartenenti alla Congregazione di Zams. Successivamente l’associazione estese la propria azione sociale anche alle fanciulle che avevano superato il sesto anno di età se orfane o abbandonate e povere. Presidenti dell’associazione femminile per l’asilo infantile Cont.ssa Luise von Hendl Bar.ssa Elise Kofler nata Bonomo Bar.ssa Anna von Eyrl nata von Hafner Bar.ssa Amelia von Eyrl nata Gattenburg Bar.ssa Rosa Riccadonna nata von Ferrari 1847-1852 1852-1896 1896-1901 1901-1926 1926-1939 60. Elisabethinum, 1925. disposte ad accogliere le ragazze. Le donne associate erano più di 500. Nel 1852, la moglie dell’arciduca Rainer, Elisabetta, elargì all’associazione i mezzi per acquistare un edificio (Elisabethinum) in modo da poter fornire alle ragazze una prima accoglienza. Nel 1848 parte delle signore che avevano dato vita all’asilo infantile decisero di istituire anche un Frauenverein, un’Associazione delle donne per l’educazione delle fanciulle, con lo scopo di assistere le ragazze povere di Bolzano, Gries e Dodiciville, dopo il compimento degli studi elementari, per preservarle dai pericoli morali e dalle difficoltà materiali e per prepararle ai lavori domestici. Il comitato, presieduto dalla contessa Anna von Sarnthein e formato da 24 componenti, si impegnava, oltre che nella raccolta di fondi, anche nella ricerca di famiglie 61. Baronessa Amelie von Eyrl. 44 Anni La gestione dell’edificio fu affidata alle suore di carità di San Vincenzo che avevano il compito di assistere le ragazze e di insegnare loro a “cucire, ricamare, lavare, rammendare, confezionare, lavorare d’uncineto, servire a tavola e fare tutte le faccende di casa”. 62. La “Freie Politiche Frauenorganization” a Lienz nel 1910. Davanti a destra Maria Ducia. Come si può notare, l’impegno profuso da queste donne è ben distante e si propone scopi diversi rispetto alle richieste e alle rivendicazioni avanzate dalle donne in altre zone d’Europa e d’Italia. Se dunque l’attività di queste donne di stampo prevalentemente nobile e borghese, liberale e cattolico, si configura come apolitico, umanitario e mirante in primo luogo a fornire un’educazione e una formazione alle ragazze povere, è invece possibile ritrovare anche in Tirolo qualche traccia di sussulto emancipatorio e rivendicazionista sul versante socialdemocratico6 . Nel 1910 le donne socialdemocratiche di Lienz fondarono la prima “Freie Politische Frauenorganisation” del Tirolo, nell’istituzione della quale ricoprì un ruolo importante Maria Ducia. Nel 1912 fu convocata a Innsbruck la prima conferenza provinciale delle donne (Landesfrauenkonferenz) e fu istituito un comitato provinciale di donne (Frauenlandeskomitee) che si proponeva, fra le altre cose, una formazione politica per le donne, l’abolizione del paragrafo 30 della legge sulle associazioni che prevedeva il divieto per le donne di partecipare ad associazioni politiche e l’introduzione del diritto di voto per le donne. Maria Ducia divenne la principale referente di questo comitato provinciale di donne e promosse una serie di incontri e di dibattiti in tutte le maggiori località del Tirolo tedesco, che portò, già nel 1912, alla nascita di comitati locali a Hall, Fortezza, Schwaz e Merano. Anche il numero delle iscritte aumentò rapidamente da 90 a 600 donne. Nel 1913, a una giornata delle donne, organizzata a Innsbruck per rivendicare il diritto di voto alle donne, parteciparono anche i comitati di Kufstein e Bolzano. La battaglia delle donne socialdemocratiche austriache, che aveva portato anche in Tirolo le istanze che le donne stavano dibattendo a livello Europeo e internazionale, ottenne il suo primo grande successo nel 1918 con l’introduzione del diritto di voto alle donne. Nel 1919 l’impegno politico a favore delle donne di Maria Ducia fu premiato con la sua elezione nel Consiglio regionale Tirolese (Tiroler Landtag) insieme a altre due donne socialdemocratiche e a tre donne dell’area cristiano-sociale. Nel frattempo però gli esiti della prima guerra mondiale avevano por tato a un mutamento dello scenario geo-politico e istituzionale della par te meridionale del Tirolo (a sud del Brennero), che venne staccata dall’Austria e annessa all’Italia. Il passaggio fu sancito a livello internazionale con il trattato di pace sottoscritto il 10 settembre 1919 a Saint Germain. Questo passaggio compor tò per le donne di questo territorio anche la perdita del diritto di voto faticosamente raggiunto dalle austriache. In realtà anche nell’Italia dell’immediato dopo guerra la questione dell’emancipazione e del diritto di voto alle donne continuava ad essere molto presente: l’esperienza della guerra aveva infatti consentito alle donne di sperimentare modelli di vita che andavano ben oltre il ruolo di spose e di madri, loro tradizionalmente assegnato dalla società, e le aveva rese quindi più consapevoli del loro ruolo di cittadine, di lavoratrici, di utenti di servizi, di consumatrici. Questa for te consapevolezza della propria autonomia trovò finalmente espressione nel Parlamento italiano nel luglio del 1919 quando venne approvata la legge sulla capacità giuridica della donna, che cancellava definitivamente l’autorizzazione maritale, ancora richiesta per alcuni atti. Con questa legge la donna veniva ammessa a tutte le professioni, eccetto quelle giurisprudenziali, diplomatiche e militari. Sempre nel luglio del 1919 la Camera approvò inoltre, a larga maggioranza (174 sì, 55 no), la legge sul suffragio universale femminile, precisando però che per il voto politico occorreva attendere due legislature. Questa legge non venne mai attuata poiché la legislatura si chiuse in anticipo, prima che il Senato potesse votarla. Quando se ne tornò a discutere, alcuni anni dopo, il clima era ormai mutato, così come cambiato era lo scenario politico. Nel 1922 il nazionalista Acerbo presentò un progetto di legge che, ignorando la legge del ’19, propose di escludere le donne dal voto politico e, per quel che riguardava il voto amministrativo, di riservarlo solo a determinate categorie: le madri e le vedove dei caduti in guerra, le diplomate, le abbienti, quelle che sapevano leggere e scrivere. Ma non se ne fece più nulla poiché, nel frattempo, era salito al potere il fascismo e con il suo avvento iniziò un processo di rimozione della vivace stagione del primo femminismo, il regime condannò infatti tutte le pratiche sociali connesse con l’emancipazione femminile come il voto e il lavoro extra-domestico. Mussolini intervistato nel 1922 dal giornalista francese Maurice De Valeffe dichiarò: “non darò il voto alle donne.... La donna deve ubbidire”, concetto da lui ribadito nel 1931: “La donna deve obbedire ... La mia opinione della sua parte nello Stato è in opposizione a ogni femminismo. Naturalmente essa non deve essere schiava, ma se io le concedessi il diritto elettorale mi si deriderebbe. Nel nostro Stato essa non deve contare.”7 L’obiettivo del regime era dichiaratamente quello di riportare le donne al focolare domestico, confinar le al loro destino di madri e restaurare l’autorità patriarcale. È all’interno di questo orizzonte che si collocavano le varie disposizioni che ri45 guardavano le donne, via via emanate nel mascolinizza, la rende sterile, la induce a corso del ventennio. considerare un intoppo la maternità, conIl 6 maggio 1923 venne varata la legge di corre alla corruzione dei costumi, inquina riforma scolastica voluta dal ministro Giovan- la vita della stirpe. In più aumenta la disocni Gentile che prevedeva, fra le altre cose, cupazione maschile e riduce l’autostima anche l’istituzione del Liceo femminile con il dell’uomo. L’abolizione del lavoro femminile fine di “impartire un complemento di cultura deve essere la risultante di due fattori congenerale alle giovinette che non aspirano né vergenti: il divieto sancito dalla legge, la riagli studi superiori né al conseguimento provazione sancita dall’opinione pubblica. La di un diploma professionale”. L’obiettivo donna deve tornare sotto la sudditanza asche il ministro si proponeva con l’istitu- soluta dell’uomo, padre e marito: zione di questo Liceo non era quello di sudditanza, quindi inferiorità spirituale, culfornire alle ragazze una formazione che turale, economica. Il principio va rafforzato le consentisse di inserirsi nel mondo del modificando i programmi d’istruzione femmilavoro ma - come sottolineato da un gior- nile, con severe sanzioni contro gli affronti nalista dell’epoca, Giuseppe Pochettino, al pudore e alla modestia”8 . sul “Popolo d’Italia” - quello di creare una L’opera di persuasione affinché le donne scuola d’élite che preparasse “la donna aspirassero al massimo a essere “reginelle nel quale la natura e la ragione la vogliono, la donna cioè che, entrando domani nella società, vi prenderà il suo posto d’onore senza ur ti, senza rancori perché prenderà il posto di regina della casa, quello che veramente le compete”. Con un successivo decreto del 9 novembre 1926, le donne vennero escluse dall’insegnamento di italiano, lettere classiche, storia e filosofia nei licei classici e scientifici e nelle classi superiori degli istituti tecnici. Nel 1927 furono dimezzati per decreto i salari femminili e nel 1929 aumentarono dal 30 al 50 per cento le tasse scolastiche per le studentesse delle scuole medie e dell’università. Il ministro Gentile si adoperò per escludere del tutto le donne dall’accesso alla Scuola normale superiore di Pisa (dapprima con un decreto, poi, nel 1932, inserendo la clausola 63. Giovani Italiane a Bressanone, 1939. limitante nel nuovo statuto della Normale, che verrà modificato solo nel 1952). piccolo regno della casa” cominciava sui Nel 1933 si decise di licenziare le donne banchi di scuola. A tal scopo si faceva apsposate; nel 1934 un regio decreto vietò prendere alle bambine il Decalogo della alle donne di partecipare a concorsi da pre- Piccola Italiana. sidi e direttori d’istituti e scuole d’istruzione Il quadro ideologico di riferimento che ispimedia e tecnica e nel settembre del 1938 rava la politica fascista nei confronti delle venne emanato il decreto che limitava le donne si rifaceva dunque a un modello soassunzioni femminili negli impieghi pubblici ciale che confinava la donna entro le mura e privati al 10% dei posti di lavoro. di casa e faceva di lei una perfetta madre e Nel frattempo era uscito il libro La politi- moglie. Va però tenuto presente che, se da ca della famiglia (1937), di Ferdinando un lato il regime agiva reprimendo i vaLoffredo, con prefazione di Bottai, ministro lori di libertà individuale e politica e cerdella Cultura popolare, che riassumeva in cava di relegare l’attività delle donne enmodo chiaro il punto di vista del fascismo tro la sfera privata, dall’altro la ricerca sulle donne: “la donna è inferiore, ha meno del consenso e la forte esigenza di conintelligenza dell’uomo, può trarre soddisfa- trollo sociale sul territorio por tarono il zione solo dalla famiglia. Il lavoro la regime fascista ad elaborare un proget46 to politico di attenzione verso la donna e a creare nuovi tipi di organizzazione sociale che consentissero di soddisfare il desiderio di impegno pubblico delle donne. Nacquero così numerose organizzazioni femminili: i fasci femminili, l’Onmi, la federazione di donne fasciste, le massaie rurali. Inoltre nelle biblioteche, nelle scuole, nelle colonie fu assorbito ed ebbe formazione tutto un personale femminile, quello che poi preparava e organizzava le donne che apparivano nelle piazze e nelle manifestazioni trasmettendo spesso un’immagine di moder nità. Queste donne, per lo più appar tenenti alla media borghesia, anche se non ebbero rilevanza a livello nazionale e non intaccarono la visione politica che il fascismo aveva del ruolo della donna, svolsero sicuramente un ruolo di un certo rilievo a livello locale, soprattutto nei centri di provincia. I provvedimenti attuati dal regime fascista a livello nazionale sia per quanto concerne le disposizioni legislative che l’organizzazione sociale di controllo del terrirorio ebbero le loro ricadute anche sul neo-annesso territorio altoatesino. In Alto Adige però l’attività politica nei confronti delle donne si intrecciò costantemente con la questione della lingua e con la necessità di “italianizzare” la popolazione di questo territorio. A tale scopo si sviluppò presto una politica attenta all’infanzia e alla maternità, cioè ai bambini e alle madri, individuati come soggetti privile- 64. Protesta delle madri contro l’abolizione della scuola tedesca davanti alla Sottoprefettura in via della Rena a Bolzano il 3 novembre 1923. giati per un’opera di italianizzazione. “penetrazione linguistica” passava dunque Emblematica in questo senso fu l’attività attraverso l’educazione infantile alla quale svolta dall’O.N.A.I.R (Opera Nazionale As- venne riservato un occhio di particolare risistenza Italia Redenta), istituita ancor guardo, tanto che a formare le maestre prima dell’avvento del fascismo, nel 1919, d’asilo vennero chiamate le sorelle Rosa e per volontà della Duchessa d’Aosta allo Carolina Agazzi che avevano sviluppato un scopo di assistere - con provvedimenti moderno metodo pedagogico. Ben presto diretti principalmente all’infanzia e alla accanto agli asili e alle scuole rurali, l’ONAIR maternità – le popolazioni delle nuove assunse anche la gestione di corsi di ecoProvince, duramente provate dalla guer- nomia domestica (taglio e cucito, cucina, ra. L’Opera si proponeva di raccogliere ecc.) rivolti alle donne. Queste scuole eradenaro e oggetti (indumenti, viveri, me- no “utilissime come aiuto da offrire alle podicinali, giocattoli) nelle diverse città ita- polazioni ed ottimo mezzo di liane e si avvaleva di due Comitati Regio- completamento culturale della lingua, tannali, uno a Trieste per la Venezia Giulia e to più impor tante in quelle zone l’altro a Trento per la Venezia Tridentina. alloglotte”10 . L’ONAIR, una organizzazione Ben presto, accanto alle previdenze e alle istituzioni di carattere assistenziale, si manifestò l’esigenza politica di trasmettere alle nuove Province una “coscienza nazionale”: l’Opera estese così il proprio campo di attività al settore dell’Istruzione primaria e cominciò, con l’autorizzazione del ministero, a sovvenzionare asili infantili. Il suo obiettivo primario divenne quello di “aiutare gli italianissimi delle nuove provincie a liberarsi della vernice austriaca e a orientare la loro mentalità, i loro interessi verso l’Italia”9 , come affermava l’Ispettrice Guli nella sua Relazione del corso di perfezionamento per le educatrici dell’infanzia dell’Alto Adige, tenutosi a Bressanone nel settembre 1923. E per raggiungere questo scopo l’Opera aveva intuito “la grande efficacia dell’azione esercitata sull’infanzia specialmente nelle zone in cui prevalgono gli slavi e i tedeschi e dove è indispensabile incominciare 65. Raccolta di firme contro l’italianizzazione dalla penetrazione linguistica”. La delle scuole. costituita prevalentemente da donne, si rivolgeva dunque sì all’infanzia, ma fin da subito pose la sua attenzione anche al mondo femminile, istituendo corsi che tenessero esposte le giovani alla lingua italiana, poiché si era consapevoli del fatto che era in primo luogo attraverso le donne che la lingua veniva trasmessa ai figli e che quindi soprattutto attraverso di loro passava il processo di italianizzazione della popolazione. Alle donne, come depositarie della madrelingua, e che quindi avevano il delicato compito di trasmettere la lingua alle generazioni future, si appellarono con ancora maggior forza anche gli esponenti di spicco del mondo politico e culturale sudtirolese, non appena divennero chiari i propositi di italianizzazione della popolazione di lingua tedesca da par te del regime fascista. Il grido si levò alto dalle pagine del “Landesmann” e del “Volksbote” 11 , a firma del canonico Michael Gamper, che pubblicò l’appello rivolto alla popolazione sudtirolese dai deputati Dott. Reut-Nicolussi, Dott. von Walther, Conte Toggenburg, Dott. Tinzl con un comunicato del 26 ottobre 1923 che così citava: “ Compaesani! La Gazzetta Ufficiale n. 250 oggi giuntaci contiene il Regio Decreto del 1. ottobre 1923, n.2185, che già in questo anno scolastico introduce l’italiano come lingua di insegnamento in tutte le nostre scuole elementari a partire dalla prima classe. 400 scuole tedesche sono destinate a soccombere. Tutto il mondo, non esclusa l’Italia, saprà valutare la nostra profonda indignazione per questo gravissimo colpo che viene inferto nei confronti di un popolo. Nessun Paese ha offeso con simile durezza i sentimenti più sacri di nuovi concittadini. Ciò che tutti noi oggi proviamo e che si impone alle nostre labbra, non può essere qui riferito. Compaesani! Adesso è necessario più che mai mantenere la maniera tedesca e la parola tedesca per i figli e i nipoti!” 47 Note 1 Per chi fosse interessato ad approfondire le questioni legate al primo femminismo si consiglia la lettura di PIERONI BORTOLOTTI F., Alle origini del movimento femminile in Italia 1848-1892, Torino 1963; PIERONI BORTOLOTTI F., Socialismo e questione femminile in Italia 1892-1922, Milano 1974; ROSSI-DORIA A., La libertà delle donne, Torino 1990. 2 PASOLINI M., Introduzione al Catalogo di alcuni libri sulla questione della donna, “Biblioteca storica Andrea Ponti. Catalogo e serie fissa “. La questione femminile, par te I, fase III, Roma 1903. Cit. in Buttafuoco A., “Sprezza chi ride”. Politica e cultura nei periodici del movimento di emancipazione in Italia, in “Nuova DWF”, n.21, Roma, 1982, pp. 7-34. 3 BUTTAFUOCO A., “Sprezza chi ride”. Politica e cultura nei periodici del movimento di emancipazione in Italia, in “Nuova DWF”, n. 21, Roma, 1982, pp. 22 e 18. 4 Cfr. BUTTAFUOCO A., Questioni di cittadinanza. Donne e diritti sociali nell’Italia liberale, Siena 1995, p. 20. 5 Cfr. PANTOZZI G., Le istituzioni storiche dell’assistenza bolzanina, Città di Bolzano, Bolzano 66. Telegramma di protesta delle madri sudtirolesi alla Regina contro l’abolizione dell’insegna- 2001. 6 Su questo argomento e sulla figura della somento nella madrelingua, 1923. cialdemocratica tirolese Maria Ducia cfr. Solderer G. (Hrsg.), Das 20. Jahrhunder t in Südtirol. E nel lungo commento a seguire, il ca- e meranesi che si incontrarono con il Abschied vom Vaterland, Band I, Bozen 1999, nonico Gamper ricorre alla retorica della ministro dell’istruzione Giovanni Gentile p. 83 e M AYR A. , Maria Ducia – eine “mamma” che per secoli ha trasmesso e con il Capo di Gabinetto del Presidente sozialdemokratische politikerin (1875-1959), in KÖFLER G., HOFMÜLLER G., Beiträge zur Tiroler ai figli la madrelingua tedesca che ora dei Ministri Goffredo a cui consegnarono Frauenforschung. Innsbruck 1989, pp. 161-182. non verrà più insegnata a scuola crean- le quasi 50.000 firme raccolte per il ri- 7 Benito Mussolini, in LUDWIG E., Colloqui con do estraneità all’interno del contesto fa- pristino della scuola tedesca. Com’è noto Mussolini (1931) in DE GRAZIA V., Le donne nel fascista, Venezia 1993, p. 311. miliare: “Non più una scuola tedesca – questa richiesta non ebbe seguito e fu regime 8 Cfr. Il Novecento delle italiane. Una storia ansignifica: l’insegnamento impartito ai vo- reso obbligatorio per tutta la popolazio- cora da raccontare, Roma 2002, p. 113. stri figli non avviene più nella lingua che ne scolatica del territorio l’insegnamen- 9 AGRESTA GULI A., Relazione del corso di perfela mamma insegna loro, nella quale an- to solo nella lingua italiana. Questa mo- zionamento per le educatrici dell’infanzia dell’Alto Adige, in “Schola”, a.I, n.1-2, novembreche voi, i vostri genitori e nonni avete bilitazione delle donne, come mai era dicembre 1923, p. 16. appreso. I vostri figli non devono più seguire accaduto prima, aveva sicuramente cre- 10 Riassunto dell’attività dell’Opera Nazionale la formazione in quella lingua che in Pro- ato in loro la consapevolezza di una cer- Assistenza Italia Redenta – Comitato Regionale di Trento. Dal novembre 1919 al 32 dicemvincia si parla non solo da alcuni secoli, ta forza e soprattutto aveva permesso di bre 1923, in “Schola”, a.I, n.1-2, novembrema da più di un millennio”. L’appello fu dare vita a una rete di rapporti sul terri- dicembre 1923, p. 71. subito colto dalle madri che il 3 novem- torio su cui si inserirà, di lì a poco, l’atti- 11 Cfr. 27 ottobre 1923, p. 1 e “Volksbote”, 1. 1923, p. 1. bre 1923 si ritrovarono numerosissime vità delle “Katakombenschulen”, anch’es- Novembre 12 Cfr. “Landesmann”, 3 novembre 1923, p. 1 e (dalle 700 alle 1000 donne) davanti alla sa basata in gran parte sul lavoro e l’im- “Volksbote”, 8 Novembre 1923, p. 1. sottoprefettura per chiedere il mantenimento della scuola tedesca. 12 Si trattò probabilmente della prima grande manifestazione organizzata dalle donne sul ter ritorio altoatesino. Non soddisfatte dalle risposte del Sottoprefetto, inviarono anche un telegramma a Mussolini e alla regina Elena a cui chiesero di intervenire per il ripristino della scuola tedesca. Contemporaneamente organizzarono su tutto il territorio altoatesino una capillare raccolta di firme che, all’inizio di dicembre, furono por tate a Roma da una delegazione di tre donne bolzanine 48 pegno delle donne. Come si può notare, nel ventennio fascista, anche in Alto Adige, sia sul fronte italiano che su quello tedesco, con destini che spesso si incrociavano fra loro, le donne da un lato divennero oggetto della retorica di propaganda, e dall’altro assunsero ruoli, anche di rilievo, all’interno del tessuto sociale territoriale. Ma è una storia, quest’ultima, in gran par te ancora da raccontare e che meriterebbe maggiori approfondimenti.
© Copyright 2024 ExpyDoc