Amministrare al femminile – III edizione Codigoro, 15 marzo 2014, Sala conferenze Biblioteca Bassani Lastoriadelledonne Micaela Gavioli, Archivio e Biblioteca UDI Ferrara La storia serve a darci radici e identità (individuale e collettiva) e a collocarci nel fluire degli eventi in modo consapevole: il contesto in cui viviamo è prodotto di processi storici di cui tenere conto per orientarci nel presente e progettare il futuro. In un regime democratico, dove ogni cittadino ha il diritto di esprimersi, associarsi ed elaborare proposte, conoscere la storia è indispensabile per tutte e tutti, e lo è ancor più per i “decisori politici”. Conoscere la storia diventa pertanto un dovere civico. Per questo motivo anche la “storia delle donne” è fondamentale per chi riveste un ruolo pubblico: non riguarda solo le donne ma ci offre una dimensione complessa e uno sguardo sul passato e sul presente. La storia studia il passato ( fatti e azioni degli esseri umani, a livello individuale o in forma organizzata) ma non è una scienza esatta perché i fenomeni di cui si occupa non si verificano in base a leggi universalmente valide ed è impossibile conoscere tutti i fattori che incidono (i fatti storici possono essere spiegati ex-post ma non è possibile prevederli. Si tratta comunque di una disciplina scientifica (ιστορίη = indagine, ricerca) che affronta grandi interrogativi (Perché? Come? Quando?) che segue metodi rigorosi e vive di ricerca continua. Per fare storia occorrono: • • DOCUMENTI: fonti (qualsiasi testimonianza dell’agire umano) su cui si elaborano le interpretazioni: fonti scritte, orali, iconografiche, sonore, su qualsiasi supporto. È necessario che siano conservati (archivi) e accessibili (ordinati, inventariati). Servono pertanto risorse umane e monetarie. RICERCATORI: soggetti che conducono l’indagine (decidono cosa studiare) in base agli interrogativi che ritengono più rilevanti rispetto al tema della propria ricerca. Gli storici hanno quindi una grossa responsabilità. Un tempo la storia era “storia politica” mentre oggi studiamo la storia in modo molto diverso: sono cambiati i documenti su cui si studia e gli interrogativi che muovono gli storici e le storiche. Un profondo cambiamento è stato introdotto dalla scuola delle “Annales”(rivista Annales d’histoire économique et sociale, fondata nel 1929 da alcuni storici francesi tra i quali Marc Bloch e Lucien Febvre) che si fa portavoce della nouvelle histoire propone una conoscenza storica attenta ad aspetti sociali, economici, culturali, antropologici e non solo politici e istituzionali (histoire événementielle). La nuova storia si basa sull’utilizzo di una pluralità di fonti (non solo quelle istituzionali) e richiede una pluralità di approcci e conoscenze mutuati da altre discipline sociali (economia, diritto, sociologia, antropologia, psicologia, linguistica, semiologia, ma anche geologia, climatologia, chimica).es. storia del paesaggio, distribuzione dei terreni, storia della famiglia). Cambia anche la prospettiva temporale: non interessa il tempo breve del singolo evento, ma il tempo lungo della mentalità, delle trasformazioni economiche e sociali, delle stagioni, del clima. La storia delle donne nasce grazie alle nuove metodologie e approcci introdotti nella ricerca storica (specie diritto, economia, antropologia) e sulla spinta “politica” del movimento neofemministra degli anni ’70 del XX secolo e al suo intento di delegittimare l’ordine “patriarcale” dominante. Le donne infatti con il vecchio metodo di ricerca storica non risultavano presenti nei fenomeni istituzionali ma nella vita reale sono state sempre incidenti. La logica patriarcale informa di sé anche i saperi: la storia non contempla le donne, se non marginalmente. Questa svalorizzazione giustifica e riproduce la loro svalorizzazione nel senso comune del presente. Affermare la dignità delle donne come soggetti nel presente (vedi in Italia conquista dei diritti civili) impone di ri-scrivere la storia con questa consapevolezza e rivoluzionare il sapere storico alla luce della soggettività femminile nel passato. Obiettivi della storia delle donne sono: • • • Rendere visibile la presenza delle donne nel passato come soggetti. Reintegrare le donne nella storia: non importa fare una storia separata, con storie di donne singole/donne illustri già presenti nel passato. Nel passato esistevano donne illustri ma venivano presentate come eccezioni che confermavano la regola. Storicizzare il genere come costruzione sociale e culturale e non un dato naturale immutabile nel tempo; la differenza uomo/donna è naturale ma il rapporto è codificato, è una costruzione culturale che diventa anche sociale. Inizialmente la storia delle donne rilegge il passato secondo un modello di spiegazione basato sulla dialettica tra dominio del genere maschile e oppressione di quello femminile (riscontrata nel presente): si tratta di un modello fuorviante, con dei limiti, rigido, che si presta a stereotipi e rischia di essere una rivisitazione della differenza sessuale naturale e dunque a-storica. Nella storia la differenza naturale tra uomini e donne viene tradotta in una suddivisione di ruoli e attribuzioni di mansioni e spazi (famiglia/privato, politica ed economia/spazio pubblico) squilibrata e gerarchica a favore del genere maschile. Norme, usi e rappresentazioni avvallano questa gerarchia perché permette di mantenere l’ordine sociale attraverso la stabilità della famiglia (fattore fortissimo di stabilità sociale). E’ più utile invece il concetto di storia di genere: una storia che evidenzia come si sono codificati, mantenuti, rivisitati o modificati i rapporti tra i generi sui diversi piani (norme, comportamenti, rappresentazioni simboliche e loro articolazioni e ambiguità interne). In tal modo la storia di genere consente di leggere la storia di tutti in modo diverso e ci mostra anche come questa codificazione viene contrastata e negoziata (comportamenti individuali, associazioni e movimenti collettivi). La storia delle donne è “Una storia di relazioni, che chiama in causa tutta la società, che è storia dei rapporti tra i sessi, e dunque anche degli uomini” (George Duby e Michelle Perrot, curatori di Storia delle donne in Occidente, Laterza) La Rivoluzione Francese (spartiacque fondamentale nel rapporto cittadino-stato) definisce in modo inedito il rapporto tra individuo e Stato, introducendo il concetto di “cittadinanza” che si ritroverà in tutto l’Occidente. Cittadino è colui che percepisce un reddito (quindi paga le tasse), porta le armi per difendere lo Stato, è autonomo/indipendente per la propria sopravvivenza. Le DONNE pertanto ne rimangono ESCLUSE. Più forte del diritto è la differenza naturale: le donne (da Aristotele in poi) sono considerate inferiori fisicamente, deboli di pensiero; il loro “luogo naturale” è la famiglia, dove dipendono da un uomo (padre, fratelli, marito), non possono portare armi, non possono lavorare se non per integrare il reddito del capofamiglia. Le donne sono quindi di supporto al ruolo maschile. In Italia leggi e codici dalla fine del Settecento in poi ricalcano questo modello. Il Codice Pisanelli (Codice civile dell’Italia unita, 1865) mantiene l’autorizzazione maritale introdotta dal Codice Napoleonico, che impedisce alle donne di gestire i propri beni economici e, ritenute incapaci di giudizio autonomo, vieta loro di testimoniare ai processi, di esercitare alcune professioni (es. avvocatura), e naturalmente di votare. Gli studi di genere rilevano che questo assoggettamento è una forma di controllo sul potere (non debolezza) delle donne, che è quello di procreare (es. la difesa di onore e moralità delle donne della propria famiglia è una difesa del patrimonio familiare e garanzia di ordine nella società): quando fa comodo(c’è interesse), si può derogare a questo “status” di minorità. Nel Codice Pisanelli le nubili sono “emancipate” all’età di 21 anni: non possono votare, ma possono lavorare, perché senza un marito devono mantenersi. In questo periodo infatti in Italia c’è bisogno di manodopera a basso costo: le donne sono lavoratrici ideali, poste nei gradini più bassi della produzione, possono essere licenziate quando si sposano, quindi non vengono professionalizzate e svolgono sempre le mansioni più squalificate (e meno pagate). A causa della necessità di alfabetizzazione del paese (è introdotto l’obbligo scolastico) c’è bisogno di maestre, un lavoro accettabile perché vicario a quello di madre: alle donne vengono affidate le classi inferiori, dove la retribuzione è più bassa: non essendo cittadine a pieno titolo non possono educare alla cittadinanza ma devono limitarsi ad insegnare le nozioni di base. Sul lavoro femminile si inizia a legiferare alla fine del XIX secolo, ma si tratta di “progetti che di fatto tentano di ridisegnare gli ambiti di intervento delle donne più che difenderle e tutelarle dallo sfruttamento” (Annarita Buttafuoco, Cosa succede alla famiglia se la donne lavorano). Nel 1902 viene emanata al Prima legge importante per la tutela delle lavoratrici madri dove, in realtà, si riafferma il ruolo prioritario delle donne nella famiglia. Si tutela la famglia, non la donna: si escludono le donne dal lavoro notturno e da alcuni lavori a rischio e si prevede l’astensione dal lavoro per 1 mese dopo il parto. Avanzano, nel XX secolo, le rivendicazioni femministe, che chiedono diritto di cittadinanza (suffragio compreso) in virtù dell’apporto indiscutibile alla vita del paese: proprio per il “valore aggiunto” della maternità si ritengono le donne in grado di “prendersi cura” anche della collettività. Le donne, nella vita concreta, acquisiscono comunque nuova consapevolezza di sé. (Maura Palazzi, Donne sole: soria delle donne dell’800 e la loro capacità imprenditoriale). La storia di genere vede nel Novecento un periodo di veloce accelerazione. Nel ’900 ci sono state, nonostante tutto, rivoluzioni positive: […] penso alla donna che dopo secoli di repressione è riuscita a venire alla ribalta (Rita Levi Montalcini) Durante le guerre mondiali, le donne sostituiscono gli uomini in famiglia e sul lavoro. Si dimostrano capaci di autonomia. Nel primo dopoguerra viene abolita l’autorizzazione maritale (1919). Nemmeno il regime fascista, che pure rafforza potentemente il patriarcato insito in leggi e costumi, riesce ad arginare i cambiamenti in atto, nonostante avesse sviluppato un particolare sistema repressivo, inteso a controllare la sessualità delle donne, il loro lavoro e la loro partecipazione sociale. - Codice Rocco 1930: L’aborto è definito crimine con la stirpe e contro lo Stato Decreto Serpieri (ministro dell’agricoltura): il lavoro agricolo delle done ha un coefficiente del 60% rispetto al 100% degli uomini. Tale decreto è rimasto in vigore fino agli anni ’60 del ‘900. La politica “antifemminista” del regime fascista è ben visibile in quattro ambiti: la politica riproduttiva, quella per la famiglia, quella per il lavoro e l’organizzazione politica. (Victoria De Grazia). I dati sulla presenza delle donne nella Resistenza, e le modalità con cui vissero questo periodo, ci dicono che nonostante la repressione normativa la coscienza di sé e del proprio genere aveva compiuto un percorso significativo, grazie anche ai movimenti femministi. - 70.000 donne organizzate nei Gruppi di Difesa della Donna 35.000 partigiane, che operavano come combattenti; 20.000 donne con funzioni di supporto; 4.563 arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti; 2.900 giustiziate o uccise in combattimento; 2.750 deportate in Germania nei lager nazisti; 1.700 donne ferite 623 fucilate e cadute; 512 commissarie di guerra. (dati ANPI) Il risultato più importante fu la conquista del DIRITTO DI VOTO. La battaglia per il suffragio femminile durava da oltre 70 anni. • • • 1867 Proposta di legge per i diritti civili e politici alle donne presentata dall’on. Salvatore Morelli. 1877 e 1906 Anna Maria Mozzoni presenta al Parlamento italiano una mozione per il suffragio femminile. Il diritto di voto alle italiane è concesso nel 1945 ed esercitato per la prima volta nel 1946. Il suffragio femminile ha una portata rivoluzionaria: rompe la separazione tra sfera pubblica e sfera privata (e dunque la gerarchia tra i generi) perché riconosce il valore delle donne come individue singole (Anna Rossi Doria, Diventare cittadine: analisi di costume). Di questo le donne (intellettuali ma anche donne “comuni”, come si ricava da molte testimonianze) erano ben consapevoli ma il decreto sul voto alle donne passò, a livello istituzionale, quasi sotto silenzio (si definì il voto un dovere, non un diritto) forse proprio per il suo potere dirompente. Addirittura ci si accorse solo a ridosso delle prime consultazioni (amministrative del 1946) che non era stata sancita l’eleggibilità delle donne (suffragio passivo) e si rimediò all’ultimo momento con un altro provvedimento legislativo (nuovo atto 1946). A dispetto dei vissuti soggettivi (le donne erano orgogliose di votare e parteciparono in massa alle consultazioni, specialmente al referendum istituzionale e all’elezione dell’Assemblea Costituente), i pregiudizi sul suffragio femminile e sulle donne in politica erano fortissimi. Nel senso comune si insisteva sull’aspetto del “dovere” di voto (un dovere aggiunto a quelli di moglie e madre) per le donne. In realtà Il contributo delle elette alla Costituente (21 in tutto, circa 2-3%) incise molto sul testo costituzionale. Dal punto di vista legislativo la Costituzione pone le basi per la parità tra uomo e donna (pur sempre ricordando la “essenziale funzione familiare” della donna, art. 37) e infatti dal 1946 in poi l’elenco di provvedimenti che applicano il principio di parità sono moltissimi. Nel secondo dopoguerra si ottengono - Parità sul lavoro Servizi per le donne lavoratrici Parità nella famiglia Diritto al controllo sulla sessualità e all’autodeterminazione nella maternità Riconoscimento della violenza sessuale come reato contro la persona e non contro la pubblica morale (Codice Rocco, 1930). Su questo hanno inciso l’azione delle associazioni di massa femminili (UDI e CIF soprattutto), ma anche quella delle elette nelle istituzioni, che lavorarono a favore delle donne, sia a livello nazionale che locale. Sappiamo però che le leggi da sole non fanno la storia e il cambiamento non si misura solo su di esse. Il “gender gap” in Italia è altissimo sia nel lavoro retribuito che in quello di cura (non retribuito, ma indispensabile in assenza di una rete efficiente di servizi alla persona), nella rappresentanza politica. Le donne sopravanzano gli uomini solo nell’istruzione: ma quale autostima possono avere se, pure preparate e competenti, sono svalutate nella società? Le principali conquiste per le donne in Italia dall’inizio del XX secolo 1945 Aumenti salariali femminili e riduzione delle ore lavorative Prime richieste del voto femminile Ammissione delle donne a esercitare tutte le professioni Abolizione dell’autorizzazione maritale per gestire beni economici Durante il regime fascista le leggi sono per lo più repressive. Il Codice penale Rocco del 1930 contiene norme significative sulla disparità di trattamento tra uomini e donne Diritto al voto amministrativo per mogli e madri dei caduti in guerra o a alle “medaglie d’oro al valore” Nasce l'ONMI (Opera Nazionale Maternità e Infanzia) Decreto legislativo sul suffragio universale, anche femminile 1946 Decreto per l’eleggibilità delle donne 1946 La Costituzione repubblicana sancisce l’uguaglianza fra i sessi 1948 Entra in vigore la Costituzione 1950 Legge a Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri 1956 Le donne possono accedere alle giurie popolari col limite massimo di tre su sei e ai tribunali minorili Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui. Si chiudono definitivamente le case di tolleranza Viene istituito il Corpo di polizia femminile 1915-1918 1919 1922-1944 1925 1958 1959 1968 Divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa di matrimonio Le donne possono accedere a tutti i pubblici uffici senza distinzione di carriere né limitazioni di grado L'adulterio femminile non è più considerato reato 1970 Legge sul divorzio 1971 1976 Si cancella l'articolo del Codice civile che punisce la propaganda di anticoncezionali e punisce i trasgressori con il carcere Legge che tutela le lavoratrici Sono istituiti gli asili nido comunali Riforma del diritto di famiglia Legge che istituisce i consultori familiari Prima donna ministro (Tina Anselmi, Lavoro e previdenza sociale) 1977 Legge di Parità fra uomini e donne in materia di lavoro 1978 Legge sull'interruzione di gravidanza, riconfermata poi da due referendum (1981) 1979 Prima donna presidente della Camera (Nilde Jotti) 1981 Il motivo d'onore non è più attenuante nell'omicidio del coniuge infedele 1983 La Corte costituzionale stabilisce la parità tra padri e madri per i congedi dal lavoro 1984 Si costituisce la Commissione nazionale per la realizzazione delle pari opportunità 1986 1989 La commissione nazionale per la parità uomo e donna elabora il «Programma azioni positive»: aziende e sindacati devono tutelare accesso, carriera e retribuzioni femminili Le donne sono ammesse alla magistratura militare 1991 Si approva la Legge delle Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro 1992 Si approva la Legge di “Azioni positive per l'imprenditorialità femminile” 1993 Per la prima volta vengono introdotte le "quote rosa" nelle elezioni degli enti locali. Di fatto, un terzo della composizione delle liste va al sesso sottorappresentato (cioè le donne). Per le elezioni nazionali, viene introdotta l'alternativa obbligatoria di uomini e donne per il recupero alla Camera dei deputati Annullamento di tutti gli interventi legislativi del 1993 1963 1975 1995 1996 2000 2003 2004 2009 Le Norme contro la violenza sessuale puniscono lo stupro come delitto contro la persona e non contro la morale Prima ministra per le Pari opportunità (Anna Finocchiaro) Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città Modifica dell'art. 51 della Costituzione: tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizione di eguaglianza La legge sulle elezioni dei rappresentanti al Parlamento europeo prevede che nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati Legge contro lo Stalking (atti continui di persecuzione su persona) (a cura di Federica Danesi)
© Copyright 2024 ExpyDoc