CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA SOMMARIO I NTRODUZIONE di Nello Martini 3 L’esperienza di Regione Lombardia di Walter Bergamaschi 5 L’assistenza primaria in Emilia-Romagna di Imma Cacciapuoti, Cure primarie H24: il quadro nel Veneto di M. Cristina Ghiotto 14 di Andrea Vannucci, 18 Motivazioni e logica di questo Convegno LE ESPERIENZE REGIONALI Le cure primarie nella Regione Toscana Andrea Donatini, Antonio Brambilla, Tiziano Carradori Paolo Francesconi 9 L A GOVERNANCE Antonio Gaudioso 22 24 29 33 36 40 43 46 di Germano Bettoncelli 50 di Giulio Marchesini 54 58 62 65 Il management delle Direzioni Aziendali di Valerio Alberti Indicatori di perfomance e di esito di Fulvio Moirano Gestione a budget per la sanità territoriale di Enrico Desideri Il ruolo del medico di medicina generale di Giacomo Milillo Gli aspetti organizzativi e gestionali di Angelo Lino Del Favero La struttura e le competenze necessarie di Mariadonata Bellentani Cosa cambia per le aziende farmaceutiche di Massimo Scaccabarozzi Empowerment e governance: i significati di Alessio Terzi, L E AREE MODELLO DELLA CRONICITÀ OSPEDALE-TERRITORIO La broncopneumopatia cronica ostruttiva Il banco di prova della malattia dibetica Reggiani Le criticità legate alla cura dell’osteoporosi di Ovidio Brignoli L’artrite reumatoide e il ruolo del Mmg di Silvano Adami Lo scompenso cardiaco e l’approccio Ebm di Aldo Pietro Maggioni IN COLLABORAZIONE C ON : Accademia Nazionale di Medicina COORDINAMENTO S CIENTIFICO: Nello Martini COORDINAMENTO EDITORIALE: Stefania Ledda PROMOZIONE : Valentina Calandrone Febbraio 2014 direttore responsabile ROBERTO NAPOLETANO vice direttore Roberto Turno Allegato al numero odierno di Sanità reg. Trib. Milano n. 679 del 7/10/98 1 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA I NTRODUZ IONE Motivazioni e logica di questo convegno di Nello Martini * I l riordino dell’assistenza territoriale e della Medicina Generale, previsto dall’art. 1 del Decreto Balduzzi (Legge 189/2012), rappresenta in linea di principio un passaggio cruciale del riassetto del Servizio Sanitario Nazionale, che va letto e contestualizzato complessivamente tenendo conto del patto per la salute, della riorganizzazione della rete ospedaliera, del rinnovo della Convenzione con la Medicina Generale e delle altre iniziative normative e di contesto. L’implementazione delle cure primarie H(12)-24 si basa sul principio della “presa in carico della cronicità” attraverso l’istituzione di forme associative della Medicina Generale (AFT-UCCP – Case della Salute) preferibilmente di tipo poli-professionale. Le novità del progetto politicoistituzionale delle cure primarie H24 scaturiscono da alcune considerazioni di fondo: - l’ospedale si fa carico attualmente di circa il 30% della cronicità in regime di ricovero e cura con uno spreco enorme di risorse economiche e umane; - la Medicina Generale tradizionale e l’assistenza territoriale sono basate sul rapporto “singolo medico – singolo paziente”, che porta necessariamente a una medicina difensiva e che non può farsi carico della complessità della presa in carico della cronicità; - peraltro l’assenza di una forte Questo primo Convegno Nazionale sulle cure primarie H24 intende avviare un approfondimento del progetto politico-istituzionale, delle esperienze regionali, dei sistemi di governance e di performance e di alcune aree modello della presa in carico della cronicità struttura assistenziale nel territorio da un lato alimenta la gestione di una parte rilevante della cronicità da parte degli ospedali e dall’altro contribuisce all’intasamento dei Pronto Soccorsi. Le cure primarie H(12)-24 rovesciano questa logica, promuovendo la medicina di iniziativa, adottando linee guida, una cartella clinica condivisa e un sistema di valutazione della performance basata sugli indicatori di processo e di esito, rovesciando i controlli tradizionali basati essenzialmente sul monitoraggio delle prescrizioni farmaceutiche del singolo medico o su indicatori di perfomance delle ASL secondo il modello “a silos”. Non sono peraltro da sottova- lutare le implicazioni sociali del processo di cambiamento indotto dalle strutture associate delle cure primarie, per cui il singolo cittadino non avrà più il “proprio” medico di famiglia ma dovrà rivolgersi a una struttura complessa in cui l’unicità del rapporto con il medico è data dalla condivisione della cartella clinica e del percorso assistenziale: si tratta di un passaggio delicato che va costruito, assecondato e seguito per non indurre fenomeni sorebound. In questa fase, che possiamo considerare lo stato nascente delle cure primarie H24, vi sono questioni di fondo e scelte strategiche che sono al centro del dibattito politico, delle Regioni e delle professioni (in particolare da parte delle associazioni sindacali della Medicina Generale). Le questioni e le scelte fondamentali possono essere così riassunte: - quali il ruolo e le competenze rispettivamente del Ministero, delle Regioni e della Convenzione con la Medicina Generale zione e la organizzazione delle cure primarie? - quante rapporto tra AFT – UCCP e distretto? - come integrare nelle nuove strutture le forme associative attualmente esistenti? - quali criteri e metodologia per la integrazione nelle nuove strutture degli specialisti, degli * Direttore Ricerca e Sviluppo, Accademia Nazionale di Medicina, Roma Febbraio 2014 3 I QUADERNI DI ACCADEMIA - - - - 4 infermieri, delle unità amministrative in collegamento con l’Azienda Ospedaliera? come avviene il finanziamento? come verrà definito il budget – per quota capitaria o secondo altri parametri? quali saranno i criteri, la professionalità e le procedure per la nomina del coordinatore? è prevedibile una quota del finan- ziamento attribuibile al raggiungimento di indicatori di performance (payment by performance)? - quale ruolo e quale endorsement da parte delle associazioni dei pazienti? Si tratta in generale di un processo di trasformazione molto complesso su cui insistono le differenti variabili politico – istituzionale – pro- fessionale – sociale del processo assistenziale. Questo primo Convegno Nazionale intende avviare un approfondimento e un’analisi sul progetto politico-istituzionale, sulle esperienze regionali, sui sistemi di governance e di performance e su alcune aree modello della presa in carico della cronicità (asma/BPCO – diabete – osteoporosi – artrite reumatoide). Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA LE ESPERIENZE REGIONALI L’esperienza di Regione Lombardia di Walter Bergamaschi * L’ aumento della fragilità e della cronicità sta determinando anche in Lombardia un considerevole aumento dei costi di gestione e richiede un adeguamento delle risposte assistenziali sia sul piano clinico, sia su quello organizzativogestionale. I dati di Regione Lombardia (RL) indicano che i malati cronici sono in costante aumento (circa 3,2 milioni in Lombardia nel 2013, pari al 31,8% della popolazione assistita) e rappresentano ben il 79,6% della spesa sanitaria per attività di ricovero e cura, specialistica ambulatoriale e consumo di farmaci. All’interno di questo gruppo di pazienti sta sempre più aumentando anche il numero di persone in condizione di cronicità socio-sanitaria (anziani non auto- persone affette da dipendenze da sostanze, ecc.), stimabili in circa 600.000. Il trattamento delle persone con cronicità è ancora oggi molto legato all’assistenza ospedaliera: in alcuni presidi ospedalieri i pazienti cronici arrivano a coprire più del 90% della casistica e spesso il paziente cronico si rivolge alle strutture ospedaliere, in particolare al PS, anche per richieste che potrebbero trovare risposta a livello territoriale. Intervenire oggi sulla “cronicità”, malati complessi, spesso anziani Il nuovo paradigma del “prendersi cura” è attualmente in fase di sperimentazione in Regione Lombardia in ambito sanitario, con il modello CReG (Cronic Related Group) dedicato ai pazienti in condizioni di cronicità e nei quali incidono più patologie. Lo stato di salute di queste perma in larga misura anche da determinanti personali, non biologici e da fattori di contesto che interagiscono fra loro in maniera dinamica e condizionano la capacità di accesso alle cure (fattori di rischio, status economico e socio-familiare, ecc.). Si tratta di malati che si rivolgono a numerosi specialisti e una corretta integrazione della cura. La mancata integrazione tra operatori sanitari porta spesso a inutili ripetizioni diagnostiche o terapeutiche, con ripercussioni notevoli anche sul piano della spesa sanitaria. La tipologia dei bisogni derivanti da situazioni di cronicità richiede quindi un cambio di paradigma e l’evoluzione da un modello di cura basato sull’erogazione di prestazioni - tipico degli ospedali e del un modello centrato sulla presa in carico “proattiva” e integrata del paziente cronico, la continuità di assistenza ospedale-territorio e percorsi dedicati di cura o di accesso ai servizi sanitari. Il sistema sanitario lombardo già da tempo si sta muovendo in questa direzione. L’ospedalizzazione in regime di ricovero, erogata dai circa 200 presidi ospedalieri pubblici e privati accreditati si è signi10 anni, mentre sono aumentate le attività svolte in regime ambulatoriale. La Regione ha avviato una revisione del modello di governance del sistema sanitario, secondo una visione strategica che mira a incidere sui meccanismi di promittenza e produzione, lungo due direttrici principali: • da un lato il completamento di un modello a rete per l’assistenza ospedaliera; • to organizzativo in grado di consolidare lo spostamento dell’asse di cura dall’ospedale al territorio. Il percorso avviato in Lombardia per il governo della cronicità * Direttore Generale Assessorato alla Sanità Regione Lombardia, Milano Febbraio 2014 5 I QUADERNI DI ACCADEMIA promuove quindi l’evoluzione del sistema sanitario dal classico paradigma della “medicina d’attesa”, adatto alla gestione delle malattie acute, al nuovo paradigma della medicina d’iniziativa (proattiva), più consono alla gestione di malattie croniche. Il nuovo modello assistenziale che la Regione intende realizzare, anche mediante un Piano Strategico dedicato alla cronicità attualmente in fase di sviluppo, è un modello centrato sulla persona – e non sulla malattia o sulle strutture – secondo una visione sistemica capace di ricomporre in una programmazione unitaria e integrata l’attuale frammentazione dei servizi forniti alla persona affetta da condizioni croniche (pur se già numerosi e di elevata qualità in Lombardia). Il Piano che la Regione sta disegnando persegue una piena integrazione e “continuità di sistema” tra i soggetti della rete dei servizi, finalizzata a promuovere la continuità individuale lungo le varie fasi del percorso di cura – dalla promozione della salute alla prevenzione, alle cure ospedaliere o territoriali – con parallele ricadute anche sulla riduzione dei consumi sanitari e il contenimento della spesa. L’obiettivo è garantire al malato cronico il miglior compenso clinico, ritardare il danno d’organo, le acuzie, le invalidità e/o disabilità. A tal fine, la strategia regionale di governo della cronicità si è orientata a migliorare l’organizzazione del processo di produzione-fruizione del servizio di cura al paziente cronico, non tanto con interventi di tipo strutturale sulle componenti hard dell’organizzazione (tecnologie e strutture), quanto piuttosto con innovazioni di tipo funzionale sul processo del servizio e sulle risorse umane. In altre parole, accanto a interventi di natura istituzionale, in grado di incidere sui meccani- 6 smi di programmazione, produzione, finanziamento e controllo del servizio erogato, è possibile implementare integrazioni di tipo funzionale tra i vari ambiti di servizio, sviluppare nuove competenze o ruoli professionali in grado di facilitare l’accesso ai servizi e garantire una presa in carico “proattiva” e omnicomprensiva dei malati cronici, avvalendosi eventualmente di servizi aggiuntivi per una buona gestione clinico-organizzativa della malattia. Particolare importanza viene data anche allo sviluppo di una relazione di cura tra il medico e la persona malata, che veda nel malato stesso la chiave di successo per la prevenzione e la cura delle condizioni croniche (self management, empowerment del paziente). Il Piano Strategico per la cronicità che si sta sviluppando in Regione Lombardia integra interventi di sanità pubblica (promozione, prevenzione e attenzione ai determinanti di salute) con la presa in carico territoriale del sistema delle cure primarie e con aspetti clinici del livello ospedaliero durante le fasi di riacutizzazione delle malattie croniche. Per quanto riguarda la rete ospedaliera, la Lombardia è impegnata al completamento del sistema in rete già avviato, attraverso l’attribuzione di un ruolo più preciso ai diversi presidi esistenti, con ospedali di riferimento e ospedali di rete all’interno di bacini di utenza omogenei. Particolare attenzione va posta alla fase ospedaliera di riacutizzazione della malattia cronica. Stiamo sviluppando la capacità dell’organizzazione ospedaliera di riconoscere all’accesso il malato cronico e di avviarlo verso percorsi strutturati diversamente in funzione dei diversi bisogni associati a diversi livelli di gravità. Gli ospedali sono organizzati per l’accesso di casi acuti, ma il malato cronico può avere bisogno di risposte diverse anche all’interno di una classica struttura ospedaliera. Per la gestione post-acuta del paziente dopo la dimissione dall’ospedale, Regione Lombardia ha regolamentato la modalità di assistenza delle cosiddette “cure subacute”, definendo anche dei requisiti strutturali e organizzativi di accreditamento. Si tratta di una modalità di assistenza indirizzata a pazienti, per lo più anziani e cronici, caratterizzati da instabilità clinica, che possono essere dimessi dall’ospedale ma non rientrare subito al proprio domicilio per la complessità del quadro clinico. È una modalità di “presa in carico” in un contesto di ricovero protetto, di pazienti affetti da postumi di un evento acuto o da scompenso clinicamente non complesso di una patologia cronica. Le cure subacute richiedono, per ogni paziente, la formulazione di un piano di trattamento che porti a conseguire degli specifici obiettivi. Il CReG Per quanto riguarda la rete territoriale, il nuovo paradigma del “prendersi cura” è oggi in fase di sperimentazione in Regione Lombardia in ambito sanitario, con il modello CReG (Chronic Related Group), una modalità innovativa di presa in carico delle persone affette da malattie croniche, finalizzata ad assicurare la continuità del percorso assistenziale. Avviata con DGR IX/937 del 1° dicembre 2010 in 5 ambiti territoriali indicati nella Tabella 1, la sperimentazione CReG è stata disciplinata con DGR n.1479 del 30.03.2011 e da successive disposizioni regionali. La sperimentazione riguarda alcune patologie croniche principali (BPCO, scompenso cardiaco, diabete, insufficienza renale cronica, ipertensione e cardiopatia ische- Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA Tabella 1 - Sperimentazione CReG in 5 ASL (dati 2013) ASL N° pazienti arruolati % N° MMG in CReG % BG 21.789 (51,7%) 206 (30,3%) CO 17.280 (73,9%) 107 (28,9%) LC 11.921 (67,8%) 75 (35,2%) MILANO 6.699 (54,8%) 51 (4,7%) MILANO 2 5.786 (39,8%) 45 (11,9%) Totale 63.475 60% 484 (17,7%) mica) e coinvolge al momento attuale 63.475 pazienti (circa il 60% dei pazienti attesi) e 484 MMG (Tabella 1). Obiettivo della sperimentazione è verificare se una organizzazione dell’assistenza territoriale su base budgetaria, simile quindi a quella dei DRG ospedalieri, può migliorare la qualità di cura (a risorse economiche sostanzialmente invariate), conseguentemente a una miglior presa in carico del paziente da parte del MMG. Il modello CReG si fonda su quattro pilastri: 1. un sistema di classificazione degli assistiti in funzione della cronicità, che identifica i pazienti affetti da patologie “croniche” (mono o poli-patologici), tramite algoritmi che “leggono” i flussi informativi istituzionali (BDA, banca dati assistito) utilizzando “traccianti” quali il consumo di farmaci, la specialistica ambulatoriale, i ricoveri e/o le esenzioni per patologia. Questo sistema di classificazione pone le sue radici nei primi anni 2000, quando presso alcune ASL lombarde nacque e si consolidò l’esperienza della BDA, che rappresenta la riconduzione a ogni singolo assistito di tutti i fenomeni sanitari che lo riguardano. Ogni paziente viene classificato in base al suo tipo di cronicità, Febbraio 2014 cioè allocato a una Classe CreG che corrisponde a una patologia o ad associazioni di due o più patologie croniche prevalenti. Il processo di classificazione genera dei cluster di “malati cronici” clinicamente significativi e omogenei per assorbimento di risorse assistenziali; 2. un sistema di remunerazione che, in analogia col sistema dei DRG, assegna una tariffa a ogni raggruppamento omogeneo di patologia (o pluripatologia). La cosiddetta tariffa di responsabilità è una quota predefinita di risorse che viene corrisposta a un unico soggetto gestore. In analogia col sistema a DRG, la remunerazione è, quindi, predefinita e corrisposta al gestore per la presa in carico territoriale del paziente. La Regione ha potuto sviluppare queste tariffe grazie alla disponibilità di flussi informativi centrati sul paziente (BDA), che consentono di stimare la tipologia/quantità di risorse sanitarie consumate in un determinato periodo di tempo, per ogni classe CReG; 3. il piano assistenziale individuale, che tiene conto delle co-morbilità e degli scenari “reali” di consumo descritti da un “elenco prestazioni attese” (EPA), periodicamente fornito dall’ASL al gestore per ogni Classe CReG. I pazienti cronici, affetti da più patologie, non seguono con elevata compliance i PDTA, per varie ragioni, e spesso effettuano prestazioni o assumono farmaci non correlati al problema clinico prevalente. Pur se linee guida e PDTA restano un riferimento per il singolo MMG nella pratica clinica, partendo dalle “prestazioni attese” oltre che dalla storia individuale, il MMG definisce un piano individuale di cura, personalizzato per ogni paziente. Il modello CReG non si fonda quindi su PDTA teorici che definiscono il percorso di cura per una singola patologia in condizioni ”ideali”, ma fotografa l’assistito nella sua condizione reale di bisogno attraverso l’EPA, che rappresenta l’insieme delle prestazioni più probabili per le diverse Classi CReG. Alcune differenze tra PDTA ed EPA sono illustrate nella Tabella 2; 4. una modalità di presa in carico omnicomprensiva dei malati cronici. Il CReG prevede la gestione attiva dei pazienti attraverso un nuovo soggetto gestore individuato dall’ASL (oggi cooperative di MMG), che si occupa di coordinare e di vigilare sul percorso di diagnosi e cura definito nei piani assistenziali individuali. Il gestore deve garantire al paziente tutte le prestazioni extra-ospedaliere (follow-up e monitoraggio della persistenza terapeutica, specialistica ambulatoriale, protesica minore, farmaceutica), oltre a una serie di servizi aggiuntivi per una buona gestione clinico-organizzativa della malattia. Nella fase attuale, le cooperative di medici si avvalgono di un sistema informativo sviluppato da Lombardia Informatica per le esigenze del progetto CReG e di un “centro servizi” che supporta il MMG nel coordinamento di varie pre- 7 I QUADERNI DI ACCADEMIA Tabella 2 - Differenze tra PDTA ed EPA (Elenco Prestazioni Attese) PDTA EPA Su base clinica Sulla base dell’evidenza storica dei consumi Supporta l’approccio clinico alla patologia Finalizzato al benchmark Riguarda la singola patologia Orientato al paziente classificato dal CReG Valido per ciascun singolo paziente Acquista attendibilità con l’aumento dei pazienti monitorati stazioni e servizi dedicati al paziente, anche col supporto della telemedicina. L’attuale assetto organizzativo per l’erogazione del CReG è illustrato in Figura 1. Gli attori principali del modello sono: - pazienti: il paziente viene informato di questa nuova possibilità di presa in cura e accetta deliberatamente di prendere parte al CReG sottoscrivendo un “patto di cura” col MMG; - MMG: raggruppati in cooperative, garantiscono la regia del percorso, l’integrazione delle diverse tappe dello stesso, oltre a rappresentare il punto di riferimento clinico costante per i pazienti, con un call center/centro servizi che in questa fase è attivo per 12 ore al giorno; - ASL: funzioni di indirizzo, coordinamento e controllo di tutti gli attori coinvolti nella gestione della patologia, oltre che di controllo delle risorse e di verifica dell’adeguata erogazione dei LEA per i pazienti arruolati nel CReG; - Regione: la Regione contribuisce a definire le regole del gioco, ha sviluppato gli algoritmi Sperimentazione Figura 1 - Gli attori del CReG CReGin Lombardia per classificare i pazienti e per individuare l’EPA ed è il garante istituzionale della correttezza di gestione della sperimentazione. L’analisi dei risultati della sperimentazione CReG ha fornito indicazioni per azioni di sviluppo del disegno “CReG”, che saranno sperimentate nel 2014 nelle stesse ASL, e che riguarderanno: -il sistema di remunerazione, con la corresponsione al gestore CReG di una “quota di responsabilità” per ogni paziente arruolato, a remunerazione dei costi effettivi di presa in carico, propedeutica all’evoluzione verso un sistema basato sulla corresponsione al gestore dell’intera tariffa CReG; - la validazione del sistema di classificazione isorisorse del CReG; - l’integrazione dei flussi informativi CReG; - la sperimentazione di modelli organizzativi alternativi di erogazione del servizio CReG, nelle stesse ASL, in scenari alternativi di erogazione (a livello distrettuale/ospedaliero); - la valutazione della reale efficacia del modello CReG in diversi scenari di erogazione. Regione ASL ASL Centro servizi Centro servizi Gestore CReG (MMG) Gestore CReG (MMG) Gestore CReG (MMG) Erogatori Gestore CReG (MMG) Pazienti cronici 8 Centro servizi Centro servizi Sempre nel 2014 saranno condivisi criteri per le modalità di controllo previste dalle ASL e il monitoraggio dei dati di arruolamento e di consumo dei pazienti gestiti in CReG, al fine di misurare, tramite indicatori di processo, risultato e di esito, la percentuale di adesione ai percorsi programmati e l’impatto clinico-organizzativo del CReG. Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA L E ESPERIENZE REGIONALI L’assistenza primaria in Emilia-Romagna di Imma Cacciapuoti *, Andrea Donatini *, Antonio Brambilla **, Tiziano Carradori *** I rilevanti cambiamenti dei popolazione, dell’assetto socio-economico delle co- (1), associati alla rimodulazione in atto nella rete dell’assistenza ospedaliera, alla riarticolazione delle funzioni e dei ruoli delle medesime strutture, impongono altrettanto rilevanti cambiamenti nel modo di fornire l’assistenza primaria, orientando il sistema verso una nuova centralità dell’integrazione sanitaria e sociale, tema principale delle politiche di interventi di salute pubblica nell’area dell’assistenza primaria è fortemente legata a politiche di sviluppo dei servizi e delle attività assistenziali che prevedano una forte integrazione nella rilevazione dei bisogni e della programmazione, nel disegno e nell’erogazione dei servizi, degli interventi sociali e degli interventi in area sanitaria (2). È quindi indispensabile prevedere una organizzazione che faciliti una visione integrata, sanitaria e sociale, degli interventi. In questo contesto, il ridisegno delle relazioni tra l’assistenza ospedaliera, la continuità dell’assistenza nelle cure primarie e nelle cure specialistiche, permetterà di sostenere il percorso di sviluppo La Regione Emilia-Romagna ha da tempo intrapreso un percorso di ridefinizione dei servizi territoriali, per la presa in carico complessiva delle persone, attraverso la prossimità delle cure, la continuità assistenziale, l’accesso ai servizi sanitari e il coinvolgimento delle comunità dell’assistenza intermedia valorizzando i livelli di integrazione. Le cure primarie devono inoltre assumere un ruolo maggiormente incisivo utilizzando strumenti quali la medicina d’iniziativa, il case management e la presa in carico globale del paziente fragile. Questo consente alle équipe professionali coinvolte di assumere pienamente il ruolo di erogatore della maggior parte dei servizi per i target di popolazione individuati e di responsabilità per i livelli assistenziali che garantiscono anche cure complesse. L’assistenza primaria in Emilia-Romagna La Regione Emilia Romagna ha da tempo intrapreso un percorso di mirato a garantire la presa in carico complessiva delle persone, anche attraverso la prossimità delle cure, la continuità assistenziale, la facilitazione dell’accesso ai servizi sanitari e socio-sanitari e il coinvolgimento delle comunità nei processi di programmazione, monitoraggio e valutazione dei risultati. All’interno di questa visione – che pone la persona e la sua comunità al centro della programmazione ed erogazione dei servizi – il Distretto è stato riconosciuto ambito ottimale per garantire una risposta assistenziale integrata, sia gli strumenti e delle competenze professionali (3). Il principio di integrazione interprofessionale e tra reti assistenziali (cure primarie, sanità pubblica, salute mentale e servizi sociali degli Enti Locali), è stato ulteriormente rafforzato dal Piano Sociale e Sanitario 2009–2011 e nel recente aggiornamento per il 2013– 2014. La Regione ha inoltre costituito in ogni Azienda USL i Nuclei di Cure Primarie (NCP), team multidisciplinari che coinvolgono * Salute, Regione Emilia-Romagna ** Politiche per la Salute, Regione Emilia-Romagna *** Direttore Generale Sanità e Politiche Sociali, Assessorato Politiche per la Salute, Regione Emilia-Romagna Febbraio 2014 9 I QUADERNI DI ACCADEMIA Tabella 1 - L’evoluzione del sistema delle cure primarie nella Regione Emilia-Romagna 1999 DGR 1235/1999: piano sanitario regionale per il triennio 1999/2001 Istituzione dei Dipartimenti di cure primarie in ambito distrettuale 2000 DGR 309/2000: assistenza distrettuale. Approvazione linee guida di attuazione PSR 1999/2001 Costituzione dei Nuclei di Cure Primarie, équipe multiprofessionali che, attraverso una maggiore integrazione dei professionisti che operano in un determinato ambito territoriale, migliorano il coordinamento e la qualità dei servizi erogati 2006 DGR 1398/2006: accordo integrativo regionale per i rapporti con i medici di medicina generale Sviluppo organizzativo dei Nuclei di Cure Primarie, quale strumento di valorizzazione dell’assistenza primaria e delle funzioni del Medico di Medicina Generale 2007 DGR 2011/2007: direttiva alle Aziende Sanitarie per l’adozione dell’atto aziendale, di cui all’art. 3, c. 4, della L.R. 29/2004: indirizzi per l’organizzazione dei Dipartimenti di cure primarie, di salute mentale e dipendenze patologiche e di sanità pubblica Definizione delle aree di responsabilità del Direttore di Distretto e del Dipartimento delle cure primarie separando le funzioni di valutazione del bisogno e programmazione dei servizi da quelle di organizzazione gestione dei servizi 2008 Delibera Assemblea Legislativa n. 175/2008: piano sociale e sanitario 2008–2010 Integrazione sanitaria e socio-sanitaria nel Distretto. Il sistema delle cure primarie e la rete dei servizi 2009 DGR 427/2009: linee di indirizzo regionali di attuazione del PSSR 2008/2010 per l’ulteriore qualificazione delle cure primarie attraverso lo sviluppo delle professioni sanitarie assistenziali Delinea i modelli organizzativi che fanno riferimento alle reti integrate di servizi, alla medicina d’iniziativa, al disease e al case management, per erogare un’assistenza adeguata ai bisogni di salute espressi 2010 DGR 291/2010: indicazioni regionali per la realizzazione e l’organizzazione funzionale delle Case della Salute Porta a compimento il sistema delle cure primarie, definendo gli aspetti principali che caratterizzano la Casa della Salute, sede unitaria di erogazione dei servizi territoriali 2013 Indicazioni attuative del piano sociale e sanitario regionale per il biennio 2013/2014 Si concentra sulla definizione di alcune scelte di riferimento che orientano la programmazione territoriale per gli anni 2013 e 2014 2013 “Un nuovo approccio allo sviluppo della rete dei servizi di assistenza primaria e la realizzazione degli Ospedali di Comunità in regione EmiliaRomagna”, pubblicazione nel 2014 È stato definito il modello clinico-organizzativo degli Ospedali di Comunità, unità di ricovero sanitario territoriale costituite da moduli che possono essere collocati all’interno di Case della Salute o all’interno di strutture ospedaliere che riorganizzano una parte delle funzioni assistenziali diversi professionisti e rappresentano la soluzione migliore per fornire risposte coerenti ai bisogni assistenziali, in particolare modo per i pazienti affetti da polipatologie di tipo cronico. Attualmente tutti i MMG e i PLS aderiscono ai 214 NCP attivi a livello regionale. La rete assistenziale distrettuale della Regione Emilia-Romagna si sviluppa su quattro aree, che pur avendo tutte finalità di assistenza generale alla popolazione, si rivolgono in modo specifico a target di popolazione con bisogni di salute differenziati, ma con un approccio 10 trasversale e integrato che vede al centro i bisogni del singolo cittadino: 1. servizi territoriali, forniti da sanità pubblica, cure primarie e medicina generale, salute mentale, per la promozione della salute e l’erogazione delle cure; 2. cure intermedie (4), rivolte prevalentemente a cittadini non autosufficienti o che comunque necessitano di assistenza domiciliare o residenziale; 3. servizi a sostegno della comunità, erogati da enti locali, terzo settore, associazioni dei pazienti e loro familiari, che contribui- scono a formare e sostenere la rete assistenziale territoriale dei caregivers; 4.cure ospedaliere, sempre più destinate al trattamento dei soli problemi sanitari acuti. In questo contesto è necessario un approccio gestionale della medicina d’iniziativa che ci impone di sviluppare programmi assistenziali trasversali che integrino le attività di tutti gli operatori coinvolti nei processi di assistenza (territoriali, ospedalieri, dei servizi sociali, associazioni di volontariato e associazioni dei pazienti) e che intervengano prioritariamente su: Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA - promozione della salute e attività di prevenzione individuale e collettiva - identificazione delle persone fragili (sviluppo di modelli predittivi) e loro presa in carico - sviluppo delle cure intermedie -percorsi assistenziali per le principali patologie croniche (PDTA), con particolare attenzione alla gestione integrata delle situazioni complesse e delle multimorbilità - profili integrati di cura (PIC); ad esempio programma Leggieri, programma Alzheimer - programmi educativi (patient-education) e di supporto al self-management del paziente e della famiglia e di auto-mutuo-aiuto (AMA), formazione “paziente esperto” per il supporto all’auto-cura. Le azioni per sostenere il cambiamento Il completamento della rete delle Case della Salute Le strategie e i programmi innovativi della Regione Emilia-Romagna hanno portato a sviluppare luoghi e modelli assistenziali per favorire ulteriormente l’accesso all’assistenza primaria. In particolare, la Regione sta investendo nella realizzazione della rete delle Case della Salute (CdS), strutture sanitarie e sociosanitarie polivalenti e polifunzionali, che si prendono cura delle persone fin dal momento dell’accesso, con la collaborazione dei professionisti e la condivisione di percorsi assistenziali, favorendo lo sviluppo della gestione integrata delle patologie croniche, secondo le logiche della medicina di iniziativa, proprie del chronic care model, oramai validato a livello internazionale. Le indicazioni regionali per la realizzazione strutturale e l’organizzazione funzionale (DGR n. 291/2010) definiscono la CdS come un presidio del distretto, la cui gestione complessiva è affida- Febbraio 2014 ta al Dipartimento di cure primarie, che comporta l’erogazione in una stessa sede fisica di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie, favorendo, anche attraverso la contiguità spaziale dei servizi e degli operatori, l’unitarietà e l’integrazione dei livelli essenziali di assistenza. Nel suo ambito vengono messi in relazione i professionisti dei dipartimenti territoriali (cure primarie, sanità pubblica, salute mentale) con i professionisti del sociale e di varie branche specialistiche; le relazioni organizzative tra i diversi setting assistenziali sono di norma raccordate dall’infermiere, secondo i principi del case-management, mentre i profili di cura definiti dai professionisti (le reti cliniche) sono erogati all’interno della rete organizzativa. Per tenere conto anche delle caratteristiche orogeografiche del territorio e della densità della popolazione sono state individuate diverse tipologie di CdS (grande, media, piccola). Attualmente le CdS attive in Regione sono 56, mentre quelle programmate sono 60 per un totale di 116 strutture. Le strutture esistenti sono al momento riferimento per una popolazione superiore alle 800.000 persone, pari a un quinto della popolazione regionale. Per realizzare compiutamente i contenuti assistenziali propri della CdS, stiamo sviluppando sinergie e modalità di approccio ai problemi di salute che coinvolgano, nell’ambito di una comunità locale, le reti del sistema sociale, del terzo settore e delle organizzazioni dei cittadini, in quanto l’efficacia degli interventi potrà essere garantita da una governance inclusiva di tutte le risorse. Occorre, inoltre, sviluppare nella CdS gli aspetti che riguardano l’accoglienza e l’orientamento ai servizi e la modalità di lavoro in team interprofessionali, al fine di rendere stabili quelle modalità di integrazione che facilitano l’accesso ai servizi e la continuità dei pro- cessi assistenziali, in modo che il passaggio tra le diverse aree di intervento dei servizi sia preoccupazione dell’organizzazione e non delle persone e delle loro famiglie. Il contesto unitario fornito dalla CdS permette, infatti, un uso integrato di competenze e di risorse professionali, al fine di attivare nei cittadini processi di consapevolezza su scelte salutari e realizzare interventi proattivi di prevenzione su gruppi di popolazione omogenei per fattori di rischio legati all’età, a stili di vita o a condizioni patologiche. Lo sviluppo delle cure intermedie Con l’obiettivo di perfezionare e migliorare la capacità di risposta dell’area dell’assistenza primaria, è in corso una ridefinizione degli assetti assistenziali per intensità di cura. Stiamo quindi definendo e sviluppando l’area delle cure intermedie. Le cure intermedie sono costituite da un’area di servizi integrati, sanitari e sociali, residenziali e domiciliari, erogati nel contesto dell’assistenza primaria, che hanno l’obiettivo primario di massimizzare il recupero dell’autonomia e di mantenere il paziente più prossimo possibile al proprio domicilio. I servizi sono erogati sulla base di una valutazione multidimensionale del paziente, che sostiene un piano integrato e individualizzato di cura. Le cure intermedie si occupano di pazienti complessi e non autosufficienti o in alternativa al ricovero ospedaliero, o come completamento di un percorso diagnosticoterapeutico-riabilitativo iniziato in ospedale. Gli Ospedali di Comunità Gli Ospedali di Comunità (OsCo), strutture intermedie residenziali territoriali, sono finalizzati a ottenere specifici obiettivi sanitari, attraverso modelli assistenziali intermedi tra l’assistenza domiciliare e l’ospedalizzazione, in particolari ti- 11 I QUADERNI DI ACCADEMIA pologie di pazienti che prolungherebbero, senza particolari utilità, la durata di un ricovero ospedaliero o potrebbero essere trattate appropriatamente anche al di fuori dell’ospedale, ma non a domicilio. I pazienti eleggibili al ricovero in OsCo sono riconducibili essenzialmente a due tipologie: a. pazienti, prevalentemente anziani provenienti da struttura ospedaliera, per acuti o riabilitativa, clinicamente dimissibili da ospedali per acuti, ma non in condizioni di poter essere adeguatamente assistiti al proprio domicilio; b. pazienti fragili e/o cronici provenienti dal domicilio o dalle CRA, per la presenza di una instabilità clinica (ad es. riacutizzazione di patologia cronica preesistente o monitoraggio dell’introduzione di presidi medici invasivi o nuovo evento destabilizzante, ecc.). La durata media della degenza attesa deve avere una durata limitata, non superiore alle 6 settimane. Tra gli obiettivi primari del ricovero, deve essere posto anche l’empowerment di pazienti e caregivers, attraverso l’addestramento alla migliore gestione possibile delle nuove condizioni cliniche e terapeutiche e al riconoscimento precoce di eventuali sintomi di instabilità. L’assistenza all’interno degli OsCo è erogata in moduli assistenziali di 20 postiletto a gestione infermieristica. L’assistenza medica negli OsCo è garantita dai MMG curanti dei pazienti ricoverati o da altro personale medico individuato dall’Azienda Sanitaria, che si coordinano con il personale infermieristico della struttura. L’assistenza medica notturna e pre-festiva e festiva viene garantita dal Servizio di Continuità Assistenziale, salvo accordi locali. Gli strumenti predittivi di rischio di ospedalizzazione e di fragilità La condizione di fragilità, che anticipa l’insorgenza di uno stato più 12 grave e irreversibile, dovrebbe essere individuata precocemente, con strumenti di valutazione multidimensionali e fortemente predittivi, che integrino indicatori molteplici, sanitari, sociali e socio-sanitari. È in fase di progettazione il Modello Predittivo Regionale di fragilità, modello di analisi dei bisogni della popolazione, finalizzato a riconoscere le condizioni potenziali di fragilità, stratificato per le diverse variabili (determinanti sociali, sanitarie, ecc.) e per orientare le azioni più appropriate di intervento. Sono già attive, in Regione, alcune esperienze pilota di sviluppo di Modelli Predittivi di fragilità e di presa in carico del cronico-fragile: - AUSL di Parma, in collaborazione con l’ASSR\Jefferson University sull’Indice di Rischio di Ospedalizzazione (RHO) - Ausl di Bologna per il progetto “Sostegno alla fragilità e prevenzione della non autosufficienza” - Ausl di Ravenna “Epidemiologia nominativa della fragilità”. La CdS è luogo privilegiato per intervenire in modo proattivo sulla fragilità, che meglio riesce a utilizzare le informazioni che verranno dai Modelli Predittivi e per progettare strategie di interventi pesati sulla base delle reali esigenze dell’utente, tenuto conto delle risorse della comunità disponibili in quello specifico territorio. presenta l’operatore di riferimento che si fa carico di identificare, valutare e monitorare il bisogno assistenziale della persona (DGR 427/2009). Gli ambulatori infermieristici per la gestione della cronicità e gli Ospedali di Comunità rappresentano uno sviluppo strategico del sistema delle cure territoriali, dove si eroga medicina di iniziativa rivolta a target specifici di cittadini, in stretta connessione con MMG, specialisti, assistenti sociali, associazioni di pazienti e di volontariato e la rete dei servizi. In Emilia-Romagna sono stati previsti setting e attività (DGR 427/2009 e 291/2010) per valorizzare gli apporti professionali e garantire risposte appropriate ai bisogni di assistenza infermieristica dei cittadini attraverso l’uso di metodologie e strumenti di pianificazione per obiettivi e la definizione di percorsi assistenziali integrati. L’ambulatorio infermieristico è uno dei luoghi elettivi per il supporto all’autocura e di educazione terapeutica del paziente e del caregiver, per attività di prevenzione ed educazione alla salute e al sostegno della partecipazione della comunità. La necessità di avere professionisti adeguatamente preparati ad affrontare nuove competenze richiederà l’istituzione di percorsi formativi dedicati, come ad esempio per la gestione della cronicità e fragilità. La valorizzazione del ruolo degli infermieri nelle cure territoriali Il processo di riqualificazione dell’assistenza territoriale necessita di scelte organizzative che definiscano con precisione le competenze e i ruoli professionali, con la finalità di fornire al cittadino la risposta più appropriata nel setting assistenziale più adeguato. L’infermiere è figura indispensabile dell’organizzazione territoriale per la gestione dei soggetti affetti da patologia cronica, in quanto rap- Monitoraggio e valutazione della qualità dell’assistenza erogata In Emilia-Romagna, dal 2008 dopo una fase sperimentale presso l’AUSL di Parma durata circa due anni, l’assessorato politiche per la salute, fornisce ai NCP uno strumento, il Profilo di Cura, che utilizzando metodi epidemiologici, confronta, per ogni NCP, le pratiche assistenziali sulla base di indicatori di qualità del servizio offerto. I profili forniscono informazioni per valutare, in maniera retrospettiva, i Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA percorsi assistenziali intrapresi dai pazienti e avviare percorsi di miglioramento. I Profili sono stati accolti e accettati dai MMG molto positivamente. Lo strumento non è infatti stato percepito come un “controllo”, probabilmente anche grazie alla scelta di non includere dati di spesa, ma come uno strumento di supporto ai professionisti. Il Profilo rappresenta uno strumento di stimolo della discussione tra professionisti e di promozione del lavoro di gruppo all’interno del NCP per migliorare l’accesso e la qualità delle prestazioni e realizzare forme di assistenza specifica per le patologie croniche. In aggiunta alla elaborazione dei Profili, la Regione ha attivato anche un Osservatorio regionale sulle cure primarie finalizzato a racco- Febbraio 2014 gliere annualmente, mediante una rilevazione on-line, una base di dati funzionale all’analisi dell’evoluzione dell’assistenza primaria e del ruolo dei professionisti e delle loro forme organizzative nella Regione EmiliaRomagna. L’Osservatorio favorisce un processo di benchmarking interaziendale attraverso l’attivazione di un confronto e discussione tra le AUSL della Regione. Bibliografia 1. World Health Organization 2013, “The European health report 2012”: http://www.euro.who.int/__data/ assets/pdf_file/0003/184161/TheEuropean-Health-Report-2012,FULL-REPORT-w-cover.pdf. 2. Starfield B. Primary care: An increasingly important contributor to ef- fectiveness, equity, and efficiency of health services. Sespas report 2012. Gac Sanit 2012; 26 (Suppl 1): 20–26. 3. Legge Regionale 2/2003, L.R. 27/2004, L.R. 29/2004, DGR 86/2006, DGR 2011/2007. 4. Rikkert MG, Parker SG, van Eijken MI. What is intermediate care? BMJ 2004; 329: 360–361. - Intermediate Care Review Project, 2013, South Kent Coast Clinical Commissioning Group. - Garasen H, Windspoll R, Johnsen R “Intermediate care at a community hospital as an alternative to prolonged general hospital care for elderly patients: a randomized controlled trial”, BMC Public Health, 2007; 7: 68. - Maximising Recovery, Promoting Independence: An Intermediate Care Framework for Scotland Monday, 2012;ISBN: 9781780458991. 13 I QUADERNI DI ACCADEMIA LE ESPERIENZE REGIONALI Cure primarie H24: il quadro nel Veneto di M. Cristina Ghiotto * L - a progressiva cronicizzazione delle malattie ha messo in luce la necessità di ripensare l’assistenza primaria, evidenziando: territorio un punto di riferi- il monitoraggio della relazione diagnostica-terapeutica con il paziente, spesso frammentata tra competenze specialistiche diverse; - la necessità di garantire un monitoraggio continuo nel territorio e l’integrazione funzionale tra la realtà ospedaliera e quella territoriale, tra la dimensione sanitaria e quella sociale. In Veneto si è assistito a una progressiva diffusione delle forme associative della medicina di famiglia, sviluppo che ha assunto nel corso del tempo connotati ben precisi: - il quadriennio 2001–2004 si è caratterizzato per uno sviluppo “spontaneo” delle forme associative monocomponenti (ovvero tra medici di famiglia); - il quadriennio 2005–2008 ha assistito, invece, alla attivazione di forme più complesse sebbene in via sperimentale, quali le Unità Territoriali di Assistenza Primaria (cosiddette UTAP) con prevalenza della componente della medicina di famiglia ma con il coinvolgimento, via via stata rilevata l’importanza di Il concetto di continuità, articolato nelle tre dimensioni di continuità informativa, continuità gestionale, continuità relazionale, è stato assunto già dal 2004 come obiettivo prioritario della Regione per migliorare la qualità dell’assistenza offerta più rilevante, della componente infermieristica, dei collaboratori di studio e degli specialisti ambulatoriali interni, avviando un obiettivi di salute da perseguire; - il quadriennio 2009–2012 ha sediffusione spontanea e/o sperimentale di forme associative, più o meno evolute, a uno sviluppo programmato, avviando ne sul territorio e prevedendo sempre più un coinvolgimento multiprofessionale. Alle Aziende ULSS è stata, infatti, richiesta una prima elaborazione di piani aziendali per il potenziamento dell’assistenza primaria, con aggiornamenti in progress ed è di salute, da misurare con opportuni indicatori. Tuttavia, pur avendo assistito al progressivo diffondersi delle forme associative e in particolare delle medicine di gruppo e delle UTAP, rimane ancora limitata l’esperienza di esercitare la professione del medico di famiglia in équipe ovvero attraverso una reale attività in team. Questa, infatti, rappresenta la modalità di lavoro atta a: - garantire, attraverso l’interdisciplinarietà e la multiprofessionalità, il coordinamento clinico, assistenziale ed educativo necessario per affrontare i bisogni di salute nella loro globalità; medico e paziente che si esplipercorso di cura, nella condivisione degli obiettivi di salute e delle azioni, dei ruoli e delle responsabilità per raggiungerli; - sostenere e implementare sistemi di cure integrati per superare la frammentazione dei servizi e delle prestazioni, in una logica di integrazione tra ospedale e territorio, tra sanitario e sociale, attraverso la realizzazione di percorsi assistenziali integrati. Parallelamente in Veneto è andata via via accrescendosi l’importanza attribuita all’integrazione tra ospe- * Dirigente Unità Complessa Assistenza Distrettuale e Cure Primarie, Regione Veneto 14 Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA dale e territorio al fine di garantire la continuità dell’assistenza, prevedendo da un lato l’istituzione di Dipartimenti funzionali ospedaleterritorio, dall’altro diffondendo la necessità di definire percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali condivisi per rendere sempre più cogente detta integrazione. Le dimissioni protette si sono confermate l’ambito privilegiato in cui l’integrazione è venuta a realizzarsi; la definizione di obiettivi trasversali sul budget dell’ospedale e sul budget del territorio ha supportato invece gli aspetti gestionali (es. uso delle risorse, volumi di attività, efficienza, ecc.). Il concetto di continuità, articolato nelle tre dimensioni di continuità informativa, continuità gestionale, continuità relazionale, è stato assunto già dal 2004 come obiettivo prioritario della Regione per migliorare la qualità dell’assistenza offerta. Infatti l’esperienza sviluppata in Veneto nell’ultimo decennio può essere riletta secondo le dimensioni-chiave della continuità dell’assistenza, ovvero: -relativamente alla continuità informativa, che presuppone la conoscenza del paziente e una efficace/efficiente trasferibilità delle informazioni, si sono avviati processi di costruzione di flussi informativi strutturati, di sistemi informativi integrati tra le varie componenti aziendali/ regionali, potenziando la capacità di “rendicontazione” quale supporto delle metodiche di audit clinici e organizzativi; - con riferimento alla continuità gestionale, che presuppone la condivisione di obiettivi e procedure oltre che la capacità di co-gestione dei casi, sono stati avviati processi di definizione di percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali, promuovendo l’organizzazione in team multiprofes- Febbraio 2014 sionali, sviluppando figure perno per l’assistenza (es. case manager); - per quanto concerne la continuità relazionale, che si fonda sulla stabilità della relazione e sul concetto di “affiliazione”, si è valorizzato il rapporto di fiducia tra paziente-medico, implementando sistemi di “contattabilità” del medico di famiglia nell’arco delle 12h e promuovendo metodi di partecipazione del paziente al proprio percorso di cura. È però con il nuovo Piano SocioSanitario Regionale 2012–2016 (recepito con LR n.23/2012) che viene delineata la cornice per lo sviluppo delle cure primarie nel Veneto, introducendo il concetto di “filiera dell’assistenza” per rappresentare l’articolazione di strutture che concorrono con gradualità a rispondere ai bisogni di cura, tutelando ciascuna fase del percorso di presa in carico della persona (Figura 1). Si tratta di favorire una visione unitaria della persona che deve trovare corrispondenza in una organizzazione che ragioni e dialoghi verso un percorso di presa in carico convergente, verso obiettivi condivisi e costruito per tappe complementari. Ciò richie- Figura 1 - Percorsi assistenziali e filiera dell’assistenza Assumere un approccio per processo assistenziale significa raggiungere i bisogni ovunque si manifestino Domicilio Ospedale Assistenza primaria Strutture residenziali Cure palliative Assistenza specialistica Strutture di ricovero intermedie (H di Comunità, Hospice e URT) Cure domiciliari Bisogni di assistenza DISTRETTO: la filiera dell’assistenza Assistenza primaria Assistenza specialistica Cure domiciliari Cure palliative Assistenza residenziale (Centri di servizio) Assistenza in strutture di ricovero intermedie OBIETTIVI: • Garantire un riferimento certo per il rilancio • Dare una risposta H24 7 gg su 7 • Realizzare una presa in carico integrata e coordinata • Garantire la continuità dell’assistenza • Perseguire l’uniformità assistenziale e l’equità nell’accesso ai servizi Esiti sulla salute 15 I QUADERNI DI ACCADEMIA de la messa a punto di strumenti a supporto della continuità di cura e che divengano essi stessi elemento di continuità nell’organizzazione. In termini operativi il nuovo quadro programmatorio prevede l’implementazione in modo diffuso, su tutto il territorio regionale, delle Medicine di Gruppo Integrate, forme associative più evolute, esito del perfezionamento e consolidamento dei processi di sperimentazione avviati nel corso degli anni. Si tratta cioè di radicare stabilmente un modello organizzativo che propone una rimodulazione dell’offerta assistenziale non solo in termini di accessibilità (ampliamento degli orari di apertura degli studi medici), ma anche rispetto al conseguimento di specifici obiettivi di salute. Nella gestione integrata della cronicità il medico/pediatra di famiglia rappresenta il principale referente e corresponsabile della presa in carico, in grado di svolgere la funzione di accompagnamento dei pazienti, con l’obiettivo di conseguire la migliore adesione ai percorsi assistenziali, nel pieno coinvolgimento dei pazienti stessi. Questo approccio presuppone una medicina di famiglia organizzata e coadiuvata da personale infermieristico, personale di supporto e amministrativo, una collaborazione funzionale con gli specialisti territoriali e ospedalieri, la messa a punto di un sistema informativo integrato. Più in dettaglio, nel modello veneto, le Medicine di Gruppo Integrate sono team multiprofessionali, costituite da medici e pediatri di famiglia, specialisti, medici della continuità assistenziale, infermieri, collaboratori di studio e assistenti sociali, che: - erogano un’assistenza globale, cioè dalla prevenzione alla palliazione, continua, equa e centrata sulla persona; - assicurano un’assistenza H24, 7 gg su 7; -sono parti fondamentali ed 16 essenziali del Distretto sociosanitario e assumono responsabilità verso la salute della Comunità. L’aggettivo “integrate” vuole porre l’enfasi su più orizzonti di senso, ossia: - confermare la bontà del modello integrato socio-sanitario quale peculiarità del sistema veneto; -ribadire che l’integrazione è elemento indispensabile per garantire la presa in carico globale della persona; - affermare che il modello organizzativo-funzionale deve essere caratterizzato dalla multiprofessionalità; - riconoscere che questo modello organizzativo è integrato nel Distretto socio-sanitario; - valorizzare la necessità di integrare e coinvolgere tutte le risorse della Comunità. È opportuno sottolineare, in particolare, come uno degli elementi di criticità del sistema sia rappresentato dalla difficoltà di inserire il medico di continuità assistenziale in attività effettivamente “in continuità e coerenza” con i processi clinico-assistenziali. Questo aspetto richiede un maggiore coinvolgimento dei medici di continuità assistenziale nelle attività diurne finalizzato a realizzare un modello di presa in carico H24 dei bisogni per una popolazione di riferimento (che potrebbe essere quella di una Medicina di Gruppo Integrata o più efficientemente di una Aggregazione Funzionale Territoriale). In ogni caso, ciò impone di superare vincoli organizzativi e formativi ossia legati alle competenze specifiche. Infatti l’obiettivo dichiarato e condiviso dell’H24, 7gg/7 non risiede soltanto nella garanzia di una copertura oraria, ma anche nell’intensità assistenziale con cui vengono garantiti servizi, prestazioni e risposte. Già oggi la conti- nuità assistenziale garantisce una copertura oraria complementare alla medicina di famiglia, ma i bisogni dei pazienti, specie se multiproblematici e complessi, necessitano di una presa in carico globale e continuativa nelle 24 ore. Va quindi potenziato il collegamento tra i diversi professionisti che operano in uno stesso territorio, per uno stesso bacino di popolazione, professionisti che oggi paiono lavorare in contesti attigui ma paralleli, che forse in alcune realtà organizzativamente più evolute, sono connessi da un sistema informatico per lo scambio di dati e informazioni ma di rado hanno aree di attività in comune, di incontro e di confronto. Per questo la costituzione dei team deve avere come obiettivo quello di assicurare una presa in carico del paziente nel suo contesto di vita (qualsiasi questo sia), in modo continuativo sia dal punto di vista professionale sia temporale. Considerato che l’organizzazione delle cure primarie e la conseguente offerta di servizi e prestazioni sanitarie e socio-sanitarie condiziona gli esiti di salute, il consumo appropriato di risorse e il grado di soddisfazione dei cittadini, è indispensabile utilizzare strumenti, approcci e modelli organizzativi per implementare il governo clinico nelle cure primarie, tenendo conto di peculiarità e criticità dell’assistenza territoriale. Ciò richiede: - di rafforzare la struttura distrettuale con particolare riferimento alla sua dimensione organizzativa e alla sua dimensione clinico-assistenziale, privilegiando da un lato un’organizzazione trasversale e dall’altro un approccio fondato su percorsi assistenziali; - reinterpretare il ruolo del medico di famiglia quale responsabile della salute dell’assistito in tutti i contesti di vita (domiciliare, Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA residenziale in struttura protetta o ambulatoriale). I servizi distrettuali in questa logica sono funzionali a garantire la risposta migliore ai bisogni di salute in stretta sinergia con il medico di famiglia; - adottare un approccio di lavoro per percorsi assistenziali che rappresentano lo strumento più efficace per affrontare la cronicità in quanto consentono di mantenere una visione complessiva del problema (dalla prevenzione, alla diagnosi, alla cura e riabilitazione), con la finalità di verificare e monitorare i risultati conseguiti e ottimizzando l’impiego delle risorse in modo equo e trasparente. In sintesi: l’organizzazione distret- Febbraio 2014 tuale in questa visione diventa funzionale a semplificare i percorsi degli assistiti e renderli più efficaci. Azioni e fatti concreti per dare operatività all’investimento sul territorio diventano allora: - organizzare i servizi secondo una visione di filiera dell’assistenza, individuando le risorse appropriate per ciascuna fase del percorso assistenziale; - conoscere gli assistiti e saperli stratificare sulla base della complessità; - potenziare i sistemi informativi e i sistemi di valutazione della performance, in termini di qualità, equità e appropriatezza, al fine di misurare e rendicontare periodicamente sui processi e sui risultati conseguiti anche in termini di salute, quali strumenti a supporto del miglioramento e delle attività di programmazione strategica; - investire sulla formazione, quale leva del cambiamento, una formazione continua e sul campo, adeguata in tema di organizzazione, di gestione e di progettualità. Il modello veneto, capitalizzando quindi l’esperienza prodotta nell’ultimo decennio, si avvia a costruire un territorio “di e per tutti” ovvero in grado di essere effettivamente punto di riferimento per l’assistito, implementando modalità di lavoro condivise e funzionali alla continuità della presa in carico, punto cardine della filiera dell’assistenza territoriale. 17 I QUADERNI DI ACCADEMIA LE ESPERIENZE REGIONALI Le cure primarie nella Regione Toscana di Andrea Vannucci *, Paolo Francesconi ** I mutamenti del Sistema Sanitario toscano I modelli culturali e organizzativi della sanità pubblica stanno diventando inadeguati nei confronti dei cambiamenti profondi della società e a fronte del mutato quadro economico. La Toscana possiede un sistema sanitario che viene, a ragione, reputato avanzato. Gli indici di salute, la mortalità per le principali cause, gli indicatori di esito sono stati in costante miglioramento negli ultimi due decenni, ma anche qui i modelli di tutela della salute ed erogazione dei servizi, se pur ripetutamente razionalizzati, riorganizzati, territorializzati, non saranno più adeguati se non ci sarà la capacità di mutarli. La sanità toscana si è trovata a far fronte a una riduzione consistente ziaria proprio quando il bisogno socio-sanitario della popolazioè generare più “valore” per la popolazione con le risorse di cui disporremo. Senza un pensiero costruire accettabili condizioni di equilibrio tra diritti e risorse, medicina e sanità, modelli e organizzazioni, domanda e offerta, conoscenze e prassi. La Delibera della Giunta Regionale Toscana 754 del 10 agosto 2012 “Azioni d’indirizzo alle Aziende e La Casa della Salute (CDS) è il nuovo modello per la sanità territoriale toscana. I cittadini possono avere un presidio territoriale integrato e organizzato per la presa in carico della domanda di salute e di cura e che garantisce i livelli essenziali di assistenza socio-sanitaria agli altri Enti del SSR attuative del DL 95/2012 e azioni di riordino dei servizi del Sistema Sanitario Regionale” è nata dalla consapevolezza della necessità di questo profondo cambiamento e quindi di interventi strutturali in tempi ria del Sistema Sanitario e la sua salvaguardia, ma, al tempo stesso, studiati per non compromettere le prospettive di lungo periodo. Il cambiamento riformatore necessario per rinnovare il sistema sanitario regionale e per assicurare ai cittadini i loro diritti costituzionali è costruito sulla coerenza tra i vari interventi e ha come obiettivi: - lo sviluppo dell’intero sistema e non una somma di interventi nali e organizzativi aziendali; - la ricerca dell’appropriatezza delle prestazioni e un incentivazione a produrre quelle a più alto valore per la salute dei cittadini; - la sistematica azione di corre- la stretta interconnessione delle cure, nei vari contesti dove esse vengono erogate: gli ospedali, il territorio, le strutture residenziali; - la riorganizzazione delle attività di prevenzione individuale e collettiva; - il cambiamento strutturale di quei servizi di supporto ad alto valore aggiunto (le centrali 118, i i processi di gestione dei farmaci, dei dispositivi medici, così come degli altri beni e servizi); - un sistema di gestione tecnologica dell’informazione e della comunicazione unico, unitario e condiviso. L’evoluzione delle cure primarie Se, come sta accadendo, i bisogni di salute dei cittadini toscani sono più numerosi e più complessi è perché, secondo i più recenti dati ISTAT, la frequenza complessiva delle patologie croniche tende a diminuire soltanto leggermente mentre la popolazione continua * Coordinatore Osservatorio qualità ed equità, Agenzia Regionale di Sanità della Toscana (ARS) ** Responsabile Settore Sanitario dell’Osservatorio di Epidemiologia, Agenzia Regionale di Sanità della Toscana (ARS) 18 Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA a invecchiare in modo consistente (oggi i cittadini toscani con più di 75 anni sono circa 460 mila, supereranno il mezzo milione entro 6 o 7 anni). L’insieme di questi fattori rende sempre più necessaria, al fianco di servizi ospedalieri organizzati per rispondere agli eventi acuti, l’attuazione di un sistema di cure primarie che risponde a una domanda sempre più complessa e in continua crescita. I territori, organizzati in Toscana in 34 zone-distretto, già adesso provvedono, con la rete dei loro servizi sanitari e sociali, a fornire risposte sostanzialmente appropriate e graduate in rapporto al bisogno. Tuttavia in una fase così dinamica di crescita e, soprattutto, di mutamento dei bisogni sanitari è indispensabile un intervento di riorganizzazione delle risposte territoriali, volto a favorire l’integrazione dei servizi in sedi nelle quali sia possibile offrire una risposta multi-professionale e continuata consistente. È necessario rivedere il bilanciamento tra cure ospedaliere e territoriali, grazie allo spiegamento e all’interconnessione di risorse fisiche e professionali. La distribuzione dell’offerta dei servizi sul territorio in Toscana ha svolto un ruolo storico importante, ma adesso deve tener conto sia dei cambiamenti socio-economici sia di quelli della medicina. L’ancor permanente dicotomia organizzativa tra ospedale-territorio è però in corso di superamento, sostituita da una comune visione delle varie tappe che costituiscono il percorso clinico di cura di un paziente perché il cambiamento demografico e la nuova epidemiologia delle malattie cronicodegenerative hanno reso manifestamente inadeguate le logiche di cura basate sugli interventi sui singoli eventi, aprendo all’idea e alla prassi dei percorsi diagnostici-te- Febbraio 2014 rapeutici-assistenziali/riabilitativi, in cui le varie tappe, dal territorio all’ospedale e viceversa, sono snodi fluidi e integrati del sistema e non “isole” difficili da raggiungere e da cui ripartire. Non è sensato programmare e pianificare cure primarie e servizi territoriali, se non connessi a un modello coerente di rete ospedaliera e di servizi residenziali, quali quelli destinati alle cure intermedie e a quelle riabilitative. Così come non è possibile alcuna prassi senza conoscenze cliniche ed esperienze assistenziali comuni o, perlomeno, reciprocamente note. L’assenza di ciò costituirebbe un fattore limitante l’utilizzo delle migliori opportunità per i pazienti e per chi li deve assistere. Da qui la necessità d’incoraggiare il lavoro di team con strumenti culturali, tecnologie e meccanismi finanziari adeguati per ottenere la cooperazione tra professionisti delle UCCP operanti nelle Case della Salute e quelli degli ospedali; la condivisione tra loro di protocolli clinico-terapeutici e assistenziali/riabilitativi e la comunicazione pianificata tra ospedale e Case della Salute-UCCP. L’organizzazione di tutta l’assistenza per i cittadini con malattie croniche si orienta in Toscana alla “medicina d’iniziativa”, basata sul chronic care model. L’obiettivo è di arrivare a una copertura del 100% degli assistibili in Toscana entro i prossimi due anni. Un modello di assistenza da non perdere neanche durante gli eventuali passaggi in ospedale, se riusciamo a sviluppare bene un’integrazione delle competenze delle varie professionalità che, pur specializzate in attività diverse (cure intensive, progressive e riabilitative) e operanti in sedi diverse, possono costituire un team che attua un’assistenza centrata sul paziente e sui suoi specifici, talvolta complessi ma sempre interconnessi, bisogni sanitari e sociali. Fin dal 1978, con la legge istitutiva del SSN, si prevedeva di articolare le Unità Sanitarie Locali in Distretti e in queste aree programmare il livello dei servizi sanitari e sociali di base, un obiettivo però ancora oggi scarsamente raggiunto e poco consolidato. Le esigenze di programmazione nel Distretto socio-sanitario e l’applicazione del Decreto Legge 158/2012, poi approvato dal Parlamento, e dell’Accordo Integrativo Regionale per la Medicina Generale richiedono di superare il concetto indifferenziato dell’area distrettuale e di procedere a una sua suddivisione in aree di distribuzione dei servizi territoriali che preveda sul territorio sedi dove vengano erogati servizi a valenza comunale (le Case della Salute), intercomunale e aziendale. Questo modello organizzativo evita la dispersione di risorse finanziarie e professionali, garantendo ai cittadini, in modo uniforme, i livelli essenziali delle prestazioni preventive, curative e riabilitative. I criteri adottati in Toscana, come guida per la rimodulazione dei servizi territoriali, sono la definizione dei livelli di assistenza da garantire nei territori, in base alla loro popolazione residente, alla conformazione geografica, alla dislocazione storica dei servizi con l’indicazione dei tempi di realizzazione. Si mantiene inalterata l’offerta complessiva ma al tempo si ricerca una riduzione dei costi favorendo, attraverso le nuove forme di erogazione del servizio previste dall’Accordo Integrativo Regionale della Medicina Generale (Aggregazioni Funzionali Territoriali e Case della Salute), una governance clinica che consente un uso più appropriato delle risorse. 19 I QUADERNI DI ACCADEMIA Il nuovo modello affronta una sfida molteplice: passare dalla semplice erogazione dei servizi a una presa in carico effettiva dei bisogni socio-sanitari, facilitando l’accesso dei cittadini ai servizi territoriali; sviluppare l’approccio proattivo e tempestivo nell’assistenza ai malati cronici; razionalizzare la tipologia dei servizi offerti dall’Azienda Sanitaria; potenziare l’integrazione e lo sviluppo innovativo dei ruoli dei professionisti sanitari nella rete dei servizi sociali e sanitari. Tutto ciò con il coinvolgimento dei MMG e dei pediatri di famiglia nell’organizzazione dei servizi sanitari territoriali, con una responsabilità diretta nella gestione e nel possesso di strumenti di comunicazione fra ospedale e territorio, per garantire la continuità di assistenza, soprattutto per i malati cronici. Dai Presidi Territoriali Integrati alle Case della Salute Il Presidio Territoriale Integrato (PTI) è la struttura socio-sanitaria nella quale molti professionisti, tra loro integrati, erogano prestazioni di salute alla popolazione. L’Unità Complessa di Cure Primarie (UCCP) è “l’aggregazione strutturale multi-professionale di cui fanno parte i medici di medicina generale insieme ad altri operatori del territorio, sanitari, sociali e amministrativi che opera, nell’ambito dell’organizzazione distrettuale, in sede unica o con una sede di riferimento” (DGRT 1231/2012 – AIR MMG). In particolare possono essere ricompresi in tale definizione i presidi territoriali che erogano prestazioni ai cittadini e che, nell’arco di una settimana “tipo”, ospitano le seguenti tipologie di professionisti: - MMG (con eventuale presenza di pediatri di famiglia) 20 - medici di alcune specialità (fisicamente presenti o in teleconsulto) - infermieri (siano essi dipendenti da AUSL o da altro datore di lavoro) - personale amministrativo (siano dipendenti da AUSL o da altro datore di lavoro) - assistenti sociali e/o operatori socio-sanitari (siano essi dipendenti AUSL, comunali o in cooperativa, ecc.). La Casa della Salute (CDS) è il nuovo modello per la sanità territoriale toscana. I cittadini possono avere un presidio territoriale integrato e organizzato per la presa in carico della domanda di salute e di cura e che garantisce i livelli essenziali di assistenza socio-sanitaria (DGR 625/2010). La CDS si identifica con l’UCCP citata nel Decreto Balduzzi del 2012. È un edificio o porzione di esso che ospita un insieme poliprofessionale, il cui formato base è costituito da almeno MMG, infermieri, amministrativi, specialisti (o servizio di telemedicina specialistica, es.: tele ECG) e personale sociale (assistente sociale o operatore socio-sanitario). La CDS diventa l’unità di base della produzione socio-sanitaria nel territorio. Al 3/12/2012 è stata condotta un’indagine in Toscana per verificare quali PTI, esistenti e funzionanti, avessero le caratteristiche per essere definiti UCCP e quindi CDS. Dei 54 PTI censiti, 11 ospitavano un solo MMG e 7 due MMG e avevano una popolazione in media di 1522, pertanto non sono stati considerati, a differenza dei restanti 36, in possesso dei requisiti per essere definiti quali UCCP/CDS. Realizzare le AFT e le UCCP, estendere progressivamente la sanità d’iniziativa e il chronic care model, contenere le liste di attesa: questi gli aspetti-chiave degli accordi che l’assessore regionale al Diritto alla Salute Luigi Marroni ha siglato con i rappresentanti dei medici. Gli accordi toscani con i medici di famiglia e con gli specialisti ambulatoriali convenzionati sono stati i primi in Italia stipulati dopo l’approvazione della legge Balduzzi sulle cure primarie. Il ruolo dei medici di famiglia, le AFT e le UCCP La Delibera di riorganizzazione del Sistema Sanitario toscano 1231/2012 ha affidato un ruolo fondamentale all’assistenza sul territorio, coinvolgendo i MMG e quelli di continuità assistenziale (guardie mediche) per essere più vicini alla salute dei cittadini ed evitare il ricorso improprio all’ospedale. Dai medici di famiglia toscani passerà un pezzo importante della razionalizzazione del SSR. Si impegneranno sul terreno dell’appropriatezza, sia nell’area del farmaco sia in quella della diagnostica, con piena disponibilità a collaborare sul fronte della ricetta elettronica. Organizzandosi nelle AFT garantiranno l’erogazione delle prestazioni mediche a livello territoriale come e meglio di quanto oggi fatto dal medico singolo e coordineranno tra loro interventi e budget di spesa. Ogni AFT avrà un medico coordinatore (eletto) che s’interfaccerà con l’Azienda Sanitaria per il governo delle cure primarie sul territorio e i rapporti con l’ospedale. Tra le mansioni vi è la contrattazione con l’Azienda degli obiettivi di budget, intesa come la definizione degli obiettivi assistenziali e delle risorse necessarie al loro raggiungimento e la discussione dello stesso all’interno dell’AFT. In quest’ottica, la produzione di una reportistica a supporto della Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA programmazione e del controllo delle attività dell’AFT gioca un ruolo importante. Sarà da ripensare profondamente il ruolo del Distretto, sempre meno impegnato nell’erogazione diretta e sempre più nell’esercizio di un ruolo di middle management. In tutta la Toscana sono in fase di costituzione almeno 100 AFT. Ogni AFT avrà un bacino di circa 30mila abitanti e sarà costituita da circa 20–25 MMG e 5–6 medici di continuità assistenziale. In alcune AFT (una per ASL) si sperimenterà l’assistenza H16: i medici della continuità assistenziale assicureranno l’assistenza fino alle ore 24 e il monte ore recuperato sarà utilizzato in attività diurne. I professionisti delle UCCP assicureranno una presenza quasi continua nelle CDS, con un obiettivo prima di tutti: affrontare in maniera integrata i problemi dei malati cronici. Una sede unica consente di offrire un luogo ri- Febbraio 2014 conoscibile ai cittadini per le loro necessità assistenziali. Anche parte della diagnostica sarà erogata direttamente nelle UCCP: si potranno eseguire alcuni esami negli studi medici e sarà potenziata l’attività di ecografia di primo livello. Attualmente le UCCP sono poco più di 30, ma entro un anno arriveranno a essere circa 50. La sanità d’iniziativa e la riduzione delle liste d’attesa La sanità d’iniziativa non aspetta il cittadino in ambulatorio o, peggio, in ospedale, ma gli “va incontro” prima che le patologie insorgano o si aggravino, puntando anche sulla prevenzione e sull’educazione, basandosi sull’interazione proficua tra il paziente (reso più informato e attivo con opportuni interventi di formazione e addestramento) e il team multi-professionale di medici di famiglia, infermieri e ope- ratori socio-sanitari. Tutti i MMG dovranno aderire alla sanità d’iniziativa, prevista dagli accordi siglati recentemente. Quanto fatto in via sperimentale fin dal 2010 e parziale (il 40% della popolazione toscana) andrà a regime per tutta la popolazione toscana nei prossimi tre anni. Per i medici di famiglia saranno fissati obiettivi precisi e poi saranno pagati in base ai risultati ottenuti. Per ridurre le liste di attesa della medicina specialistica, l’accordo prevede anche l’aumento delle prestazioni erogate, con un numero di ore aggiuntive di attività specialistica programmata: in caso di superamento dei tempi d’attesa le Aziende potranno dunque avere a disposizione un pacchetto aggiuntivo di ore. Sono inoltre previsti programmi di formazione/informazione, rivolti ai medici prescrittori e cioè i medici e i pediatri di famiglia, per migliorare l’appropriatezza delle loro prestazioni. 21 I QUADERNI DI ACCADEMIA L A GOVERNANCE Il management delle direzioni aziendali di Valerio Alberti * D a molti anni l’OMS ha individuato nello sviluppo dell’assistenza primaria la strategia più importante nell’evoluzione dei servizi sanitari. La rilevanza di questo orientamento trova particolare motivazione in due grandi problemi di sanità pubblica: a. la crescente prevalenza all’interno della comunità di soggetti affetti da patologie cronico-degenerative con il conseguente forte impatto assistenziale e la necessità di una loro presa in carico; tale situazione appare sempre più rilevante anche alla luce del progressivo indebolimento delle reti informali di sostegno (famiglia, nucleo parentale); b. la necessità di sviluppare incisive politiche di prevenzione/ promozione della salute in tempo conseguentemente lo stato di salute della popolazione assistita. I due grandi temi sopra riportati sono presenti in tutte le programmazioni centrali, regionali ma anche aziendali, a testimoniare la piena consapevolezza della loro portata strategica sulle politiche di sanità pubblica. A fronte di ciò, un’assistenza territoriale così concepita ed evocata stenta a decollare nonostante il L’assistenza territoriale richiede di intervenire su una molteplicità di dimensioni, quali una maggiore strutturazione dei processi di assistenza e degli assetti organizzativi e una governance sistemica realizzarsi di due condizioni quali: - l’indubbia crescita di servizi anche di elevata intensità assistenziale presenti in molte anni fa impensabili (su questo si osserva che notevole è la differenza nella qualità di questi servizi tra Regioni diverse e anche all’interno di una stessa Regione); zione della spesa sanitaria con menti dal livello ospedaliero a quello territoriale. dei compiti auspicati, l’assistenza territoriale richiede di intervenire su una molteplicità di dimensioni, quali una maggiore strutturazione dei processi di assistenza e degli assetti organizzativi, una governance sistemica e l’adozione di modelruoli tradizionalmente svolti dalle operano. spensabile preliminarmente effettuare una lettura puntuale delle caratteristiche della realtà che si vuole governare. La realtà territoriale diversamente da quella ospedaliera – più strutturata, più compatta, più conosciuta e misurata – in virtù della sua storia più antica e delle sue caratteristiche, presenta alcune peculiarità che rendono ragione della complessità del suo governo. sono costituiti da: 1. la molteplicità dei suoi interlocutori: personale dipendente, personale convenzionato, terzo settore, comuni, ospedali. Per quanto attiene, in particolare, il coordinamento dei professionisti, aspetto questo cessi di assistenza, minime sono le leve di governo utilizzabili sia per la dispersione degli stessi sul territorio sia per la tipologia del rapporto con l’Azienda convenzionati-dipendenti; 2. l’eterogeneità delle prestazioni; 3. dei risultati; * Presidente FIASO – Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere, Roma 22 Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA 4.la compresenza di un ruolo di produzione diretta dei servizi (in genere più consolidato) e di un ruolo di committenza (centri di servizio, privato sociale e accreditato, ambito sociosanitario) in genere molto più debole; 5.gli elevati livelli di interdipendenza organizzativa tra più servizi o soggetti per la gestione del processo di assistenza; 6.la non garanzia che la qualità della singola prestazione garantisca il risultato, essendo questo molto spesso legato all’intero percorso di cura del paziente, con l’interazione di professionisti e strutture diverse. Tutto questo rende ragione della inadeguatezza dei tradizionali approcci di programmazione e controllo e della necessità di una loro evoluzione specifica per la realtà territoriale capace di cogliere maggiormente l’insieme di queste dimensioni. Tra la molteplicità degli interlocutori che operano nel territorio, riflessione specifica va dedicata al ruolo dei MMG, la figura chiave che agisce nell’ambito della comunità. La loro organizzazione struttura/funzionale, nell’ambito di un disegno sistemico, è decisiva per dare sufficiente forza al loro operare nell’applicazione dei modelli di medicina di iniziativa e nel loro essere riferimento per la Febbraio 2014 presa in carico del paziente cronico pluri-patologico. Importante, a questo proposito, è lo sviluppo di modalità nuove di aggregazione come centri di responsabilità con caratteristiche strutturate multiprofessionali (Case della Salute, UTAP, medicina di gruppo integrata, AFT, ecc.). Tutto ciò considerato, la molteplicità delle situazioni evidenziata richiede un approccio multidimensionale che tocca ambiti molto diversi. Molto schematicamente si evidenziano una serie di possibili interventi che dovrebbero trovare un’applicazione per quanto possibile contestuale: -strutturazione del sistema territoriale attraverso l’aggregazione funzionale/strutturale dei MMG e la valorizzazione del ruolo del personale infermieristico nella rete dei servizi territoriali; - progettazione di PDTA (percorsi di assistenza) standard per patologie croniche; -aggiornamento/sviluppo degli strumenti di management (ad esempio programmazione e controllo, sistema di budget); - strutturazione del sistema informativo territoriale; - strutturazione del sistema delle relazioni con i diversi interlocutori interni ed esterni all’Azienda Sanitaria (personale dipen- dente e convenzionato, comuni, terzo settore, scuole, ecc.); - misurazione dei risultati raggiunti per un governo economico e clinico dei servizi territoriali (il percorso avviato dall’Agenas con il progetto “Esiti” e ad oggi rivolto all’assistenza ospedaliera dovrebbe estendersi alla dimensione territoriale); - strutturazione degli interventi di promozione della salute secondo logiche di azioni intersettoriali rispetto agli altri soggetti della comunità (comuni, scuole, forze sociali, associazioni, ecc.) dove l’Azienda Sanitaria assuma una funzione di regia; -valorizzazione del Distretto come protagonista del governo del sistema territoriale. Molti quindi sono i versanti e i soggetti sui quali è indispensabile agire contestualmente; su questo piano oltre alla chiarezza di idee sul dove si vuole arrivare, sarebbe molto importante avviare interventi formativi che accompagnino e facilitino queste trasformazioni ma che dovrebbero essere concepiti non settorialmente, come oggi spesso accade, ma dovrebbero invece coinvolgere simultaneamente i diversi soggetti che operano sul territorio (ad esempio personale del distretto e MMG) al fine di riprogettare da subito insieme l’assetto e il funzionamento dei servizi. 23 I QUADERNI DI ACCADEMIA L A GOVERNANCE Gli indicatori di perfomance e di esito di Fulvio Moirano * L e Regioni e le Province Autonome, nel rispetto delle indicazioni fornite dal Ministero della Salute e in parte grazie anche ai modelli organizzativi proposti da Agenas per le reti territoriali, ospedaliera e della emergenza-urgenza e la loro integrazione, molto hanno fatto per armonizzare la risposta ai bisogni di salute dei cittadini. Tuttavia ad oggi, anche sulla base di quanto emerge dall’indagine conoscitiva svolta dalla Commissione Sanità del Senato, dalla consultazione dei Programmi operativi delle Regioni in Piano di rientro e dai piani sanitari regionali, è evidente vello di maturazione e sviluppo dei sistemi organizzativi e gestionali dei diversi ambiti di attività sanitaria: a fronte di un ormai pressoché consolidato sistema di soccorso sanitario di emergenza e urgenza (118 e PS/DEA) vi è tuttora una modalità organizzative del servizio di continuità assistenziale (ex Guardia Medica) e una carente integrazione tra i diversi settori dell’assistenza primaria e dell’emergenza e urgenza e della interazione tra la rete territoriale e quella ospedaliera. In particolare, mentre i principi generali del riordino della rete ospedaliera sono ormai ben delineati e la riorganizzazione di tale rete alla luce dei parametri dell’emanan- Nell’ambito del riordino dei servizi assistenziali territoriali e ospedalieri, è necessario prevedere la riorganizzazione della continuità assistenziale, al fine di una sua corretta interazione con il sistema dell’emergenza/urgenza (vedi progetti Agenas MATRICE e PNE) do Regolamento appare in via di da realizzare nell’ambito dell’assistenza territoriale, soprattutto territorio. Infatti, spesso, l’ospedale e il Pronto Soccorso (PS) rappresentano i punti di riferimento cui il cittadino si rivolge per trovare risposte veloci ai propri bisogni di salute, sia sotto la spinta della percezione di una maggiore tutela offerta da modelli assistenziali ad alta tecnologia, sia, a volte, per l’assenda parte delle strutture territoriali, ma più spesso per la scarsa conoscenza della esistenza delle stesse. Tale ricorso inappropriato sarà molto minore se il cittadino si sente all’interno di una rete di assistenza primaria in grado di anticipare/intercettare il suo bisogno. In una logica di integrazione tra i vari livelli dell’assistenza sanitaria che possa appropriatamente rispondere ai crescenti e nuovi bisogni espressi dalla popolazione in particolare anche per la cronicità, fornita dal sistema dell’assistenza primaria e in particolare dalla Medicina Generale che rappresenta una fondamentale interfaccia tra la popolazione e il SSN. Essa comprende l’assistenza erogata dai Medici di Medicina Generale (MMG), dai Pediatri di Libera Scelta (PLS), dai Medici di Continuità Assistenziale (MCA), dagli Specialisti eventualmente inseriti nelle attività di assistenza primaria territoriali, nonché l’assistenza sanitaria e socio-sanitaria territoriale (AD e ADI) e ambulatoriale ne (area materno-infantile, anziani, disabili, malati cronici, psichiatrici, patologie da dipendenze). In tale ambito sono coinvolte numein un approccio multidisciplinare unitario con una visione di integrazione delle risorse e di coordinamento dei processi che consenta la continuità delle cure al cittadino. monico sviluppo del sistema di continuità assistenziale, già l’Accordo Stato Regioni del 27/7/2011 ipotizza diversi modelli organiz- * Direttore Generale Agenas – Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, Roma 24 Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA zativi adattabili ai diversi contesti territoriali: in generale prevede che “allo scopo di rendere efficace e sostenibile l’integrazione tra i servizi della continuità assistenziale e del sistema di emergenza e urgenza sia indispensabile centralizzare le chiamate di assistenza primaria su un numero unico in grado di assicurare una presa in carico delle richieste continuativa nelle 24 ore, sul modello di quanto già avvenuto per il 118”. Tale centralizzazione dovrà tenere conto delle iniziative in atto per la realizzazione del numero unico 116117 (servizio di continuità assistenziale non urgente), finalizzate ad armonizzare la situazione italiana con quella di altri Paesi europei. Nell’ambito della riorganizzazione dei servizi assistenziali territoriale e ospedaliero, è necessario prevedere la riorganizzazione del servizio di continuità assistenziale, al fine di una sua corretta interazione con il sistema dell’emergenza/urgenza, anche alla luce del riordino dell’assistenza primaria previsto dalla Legge 189/2012 e le nuove “Linee di indirizzo per la riorganizzazione del sistema di emergenza urgenza in rapporto alla continuità assistenziale” sancite dalla Conferenza Stato Regioni nella seduta del 7 febbraio 2013 (Rep. Atti n. 36/CSR). Per conoscere meglio la gestione della cronicità sul territorio in relazione all’utilizzo corretto dei livelli di assistenza (LA) Agenas ha sviluppato il progetto MATRICE che rappresenta una prosecuzione del Programma “Mattoni del Servizio Sanitario Nazionale”. Il progetto MATRICE ha come obiettivo generale quello di creare un sistema, il sistema MATRICE, che utilizza i flussi amministrativi esistenti per leggere come vengono seguite/curate/assistite le persone affette da alcune patologie croniche e complesse. Febbraio 2014 Le patologie identificate, che sono oggetto di studio, sono: diabete, cardiopatia ischemica, ipertensione, scompenso cardiaco, demenza. Il progetto mira a integrare le informazioni relative a tutte le prestazioni (ospedaliere, diagnostiche, specialistiche, terapeutiche, ecc.). Si tratta di ricavare informazioni utili per intercettare indicazioni sui percorsi diagnostico-terapeutico assistenziali (PDTA) dei malati difficilmente desumibili dalla semplice registrazione di un contatto di cura. I database amministrativi vengono riletti in senso longitudinale, associando a ogni paziente/assistibile la successione dei suoi contatti. L’architettura informatica del sistema MATRICE consiste nello sviluppo di tre distinti software integrati tra di loro, due dei quali da installare presso gli ambiti territoriali partecipanti e uno funzionante a livello centrale, installato presso l’Agenzia. Il motore di integrazione dati TheMatrix è costruito per identificare i malati oggetto di studio e i loro PDTA, sulla base dei flussi amministrativi disponibili, per poi mettere a confronto tali percorsi con percorsi assistenziali “ideali”, costruiti sulla base delle raccomandazioni internazionali e nazionali. Il motore statistico Neo consentirà di tradurre i dati prodotti dal software TheMatrix in informazioni leggibili attraverso report, grafici, tabelle ecc., da modulare sulla base delle necessità espresse dagli ambiti territoriali coinvolti. A livello centrale un software di business intelligence, TheOracle, riceverà dalle realtà locali i dati aggregati e produrrà un report di benchmarking. Tale sistema potrebbe costituire un utile strumento di governo clinico a più livelli: distrettuale, aziendale, regionale, ministeriale, permettendo di monitorare l’appropriatezza clinica e organizzativa e di fornire un supporto alle attivi- tà degli operatori volte a seguire la best practice. Le Regioni coinvolte sono: l’EmiliaRomagna, la Lombardia, la Puglia, la Toscana e il Veneto. Le principali linee di attività sono: - definizione delle patologie per stadi di ingravescenza e identificazione del percorso assistenziale. Le patologie oggetto di studio sono state definite clinicamente e stadiate e sono stati identificati degli indicatori di percorso assistenziale che abbiano la caratteristica di essere presenti nelle linee guida e nelle raccomandazioni nazionali e internazionali maggiormente accreditate e al contempo che si tratti di contatti di cura rilevabili dai flussi amministrativi; -validazione degli algoritmi di definizione del caso prevalente e degli indicatori di processo utilizzati nella creazione del database MATRICE. I dati relativi alle diagnosi e ai percorsi dei pazienti di almeno cinque MMG saranno incrociati con le informazioni desunte dai dati amministrativi dell’Azienda Sanitaria. L’incrocio dei dati sarà relativo a circa 35.000 pazienti assistiti dai 25 medici coinvolti, che sono ritenuti quali gold standard per le loro capacità non solo cliniche, ma anche di registrazione dei dati. L’attività di validazione è stata preceduta da un’attività di verifica dei medici quali gold standard che ha consentito di confermare tale scelta. Si è proceduto a sottoporre all’attenzione dell’Autorità garante per la riservatezza dei dati personali il disegno dello studio e le misure di sicurezza poste a tutela dei cittadini; -sperimentazione del sistema MATRICE negli ambiti locali. A seguito dell’installazione dei software TheMatrix e Neo in un 25 I QUADERNI DI ACCADEMIA ambito territoriale da scegliere tra Regione, Azienda Sanitaria e singolo Distretto, si procederà a valutare la coerenza dei risultati attraverso un confronto tra il re- port prodotto e i dati elaborati e analizzati mediante altri sistemi di lettura delle banche dati; - creazione a livello centrale di una serie di indicatori per fare benchmarking tra i risultati emersi attraverso l’utilizzo del sistema MATRICE nelle realtà locali. La Tabella 1 descrive appunto alcuni indicatori di processo. Tabella 1 - Indicatori di processo Patologia Cardiopatia ischemica cronica Diabete mellito di tipo 2 Ipertensione arteriosa Scompenso cardiaco 26 Indicatori MATRICE 1. % di pazienti affetti da cardiopatia ischemica cronica con almeno una valutazione del profilo lipidico nell’anno. 2. % di pazienti affetti da cardiopatia ischemica cronica con una misurazione della glicemia o dell’emoglobina glicata nell’anno. 3. % di pazienti affetti da cardiopatia ischemica cronica in trattamento con aspirina o terapia alternativa con anticoagulanti o antiaggreganti. 4. % di pazienti affetti da cardiopatia ischemica cronica e con pregresso IMA in trattamento con beta-bloccanti. 5. % di pazienti affetti da cardiopatia ischemica cronica e con pregresso IMA in terapia con ACE-inibitori o sartanici. 6. % di pazienti affetti da cardiopatia ischemica cronica e con pregresso IMA in trattamento con statine. 7. % di pazienti affetti da cardiopatia ischemica cronica con almeno un ECG all’anno. 8. % di pazienti affetti da cardiopatia ischemica con un test ergometrico ogni 2 anni. 1. % di pazienti classificati come diabete di tipo 2 che hanno eseguito almeno 2 test per il dosaggio dell’emoglobina glicata nell’anno. 2. % di pazienti classificati come diabete di tipo 2 con almeno una valutazione del profilo lipidico nell’anno. 3. % di pazienti classificati come diabete di tipo 2 che hanno effettuato almeno un monitoraggio della microalbuminuria nell’anno. 4. % di pazienti classificati come diagnosi di diabete di tipo 2 con almeno un esame dell’occhio nell’anno. 5. % di pazienti classificati come diagnosi di diabete di tipo 2 in trattamento con statine. 6. % di pazienti classificati come diagnosi di diabete di tipo 2 che hanno effettuato un test del filtrato glomerulare o della creatinina o clearance creatinina nell’anno. 7. % di pazienti classificati come diagnosi di diabete di tipo 2 in trattamento con aspirina, non trattati con anticoagulanti o antiaggreganti. 8. % di pazienti in Guidelines Composite Index (GCI). 1. % di pazienti con diagnosi di ipertensione arteriosa con almeno una misurazione della creatinina o clearance creatinina nell’anno. 2. % di pazienti con diagnosi di ipertensione arteriosa con almeno una misurazione del profilo lipidico (colesterolo totale, HDL, LDL, trigliceridi) nell’anno. 3. % di pazienti con almeno una valutazione ECG nell’anno. 4. % di pazienti con almeno un monitoraggio della microalbuminuria nell’anno. 5. % di pazienti con almeno una misurazione della glicemia o dell’emoglobina glicata nell’anno. 1. % di pazienti con diagnosi di scompenso cardiaco con almeno un monitoraggio di creatinina o clearance creatinina, Na e K nell’anno. 2. % di pazienti con diagnosi di scompenso cardiaco con valutazione attraverso esame ecocardiografico ogni 2 anni. 3. % di pazienti con diagnosi di scompenso cardiaco in trattamento con ACE-inibitori o sartanici. 4. % di pazienti con diagnosi di scompenso cardiaco in trattamento con beta-bloccanti. 5. % di pazienti con scompenso cardiaco in trattamento con diuretici con almeno un dosaggio degli elettroliti (Na/K) negli ultimi 6 mesi. 6. % di pazienti con diagnosi di scompenso cardiaco che hanno eseguito un 6 Minute Walking Test al follow-up. Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA Demenza 1. % di pazienti con almeno una visita neurologica o geriatrica nell’ultimo anno. 2. % di pazienti con almeno un esame memoria multi test nell’ultimo anno. 3. % di pazienti con almeno i seguenti esami ematochimici (glicemia, creatinina, transaminasi ed elettroliti) nell’ultimo anno. 4. % di pazienti con almeno un ECG nell’ultimo anno. 5. % di pazienti in terapia con neurolettici atipici (quetiapina, olanzapina, risperidone). 6. % di pazienti in terapia con neurolettici tipici (aloperidolo, promazina). 7. % di pazienti in trattamento con neurolettici a cui sono stati prescritti i neurolettici atipici. 8. % di pazienti con diagnosi di demenza presi in carico in percorsi di assistenza domiciliare. 9. % di pazienti con diagnosi di demenza presi in carico in percorsi di assistenza residenziale generica. 10. % di pazienti con diagnosi di demenza presi in carico in percorsi di assistenza residenziale con specifica per demenza. 11. % di pazienti con diagnosi di demenza presi in carico in percorsi di assistenza semiresidenziale generica. 12. % di pazienti con diagnosi di demenza presi in carico in percorsi di assistenza semiresidenziale con specifica per demenza. Ma già oggi Agenas ha realizzato la valutazione indiretta delle attività territoriali attraverso il Programma Nazionale Esiti (PNE). Il PNE ha fino ad oggi affrontato prevalentemente la valutazione delle attività di assistenza ospedaliera utilizzando esclusivamente il sistema informativo SDO, interconnesso con l’anagrafe tributaria per le verifiche di validità e di stato in vita. Gli indicatori di PNE sono analizzati sia dal punto di vista della produzione di servizi, attribuendo gli esiti alle strutture ospedaliere che hanno effettuato gli interventi, sia da quello della funzione di tutela e committenza, attribuendo gli esiti alle popolazioni di ciascuna area/ASL. Molti degli esiti dei servizi ospedalieri possono quindi essere interpretati anche in rapporto al funzionamento delle reti, dei percorsi di continuità assistenziale, delle cure primarie. Alcuni degli indicatori sviluppati e pubblicati da PNE sono soprattutto mirati a stimare gli esiti in termini di cure ospedaliere ad alta probabilità di inefficacia e inappropriatezza delle attività delle cure primarie e territoriali (Tabella 2). In questa prospettiva di valutazio- Febbraio 2014 Tabella 2 Ospedalizzazione per ipertensione arteriosa Ospedalizzazione per scompenso cardiaco Ospedalizzazione per angina senza procedure Ospedalizzazione per intervento di tonsillectomia Ospedalizzazione per influenza Ospedalizzazione per gastroenterite pediatrica Ospedalizzazione per asma pediatrico Ospedalizzazione per asma negli adulti Ospedalizzazione per asma senile Ospedalizzazione per diabete non controllato (senza complicanze) Ospedalizzazione per complicanze del diabete Ospedalizzazione per complicanze a breve termine del diabete Ospedalizzazione per complicanze a lungo termine del diabete Ospedalizzazione per amputazione degli arti inferiori nei pazienti diabetici Ospedalizzazione per BPCO Ospedalizzazione per colecistectomia in pazienti con calcolosi semplice senza cc. Ospedalizzazione per interventi di stripping delle vene Ospedalizzazione per infezioni del tratto urinario Ospedalizzazione per prostatectomia trans uretrale per iperplasia benigna Ospedalizzazione programmata per intervento di isterectomia 27 I QUADERNI DI ACCADEMIA ne delle cure primarie e territoriali, utilizzando come esito ricoveri ospedalieri ad alta probabilità di inefficacia e inappropriatezza, ciascun indicatore deve essere interpretato e letto in rapporto alle caratteristiche specifiche di ciascuna patologia/condizione e alle linee guida cliniche ad esse correlate. Le analisi di questi indicatori, già pubblicate da PNE, hanno messo in luce forti eterogeneità tra aree/ ASL interpretabili sia in termini di diversa efficacia e appropriatezza delle cure primarie e territoriali, sia, molto spesso, come effetto di eccessi inappropriati di offerta di servizi ospedalieri. A partire dalla nuova edizione 2014 PNE utilizzerà inoltre per le valutazioni di esito, come già avviene in alcuni programmi regionali di valutazione, le informazioni, interconnesse con le SDO, dei sistemi informativi di emergenza e pronto soccorso. Questa nuova disponibilità di informazioni, oltre 28 a migliorare la validità delle stime degli esiti ospedalieri, consentirà di misurare a livello di popolazione i fenomeni di accesso inappropriato ai sistemi di emergenza determinati da carenze delle cure primarie. Ma il grande avanzamento delle valutazioni di esito delle cure primarie e dei percorsi di continuità assistenziale avverrà solamente con la completa interconnessione dei sistemi informativi del SSN, in particolare quello della farmaceutica e dell’assistenza ambulatoriale. Purtroppo i provvedimenti di attuazione dell’art. 15, comma 25 bis della legge 135/2012, tardano ad essere adottati anche per alcune complessità interpretative della normativa sulla privacy. Tuttavia in alcune Regioni, dove questa interconnessione è già stata realizzata, sono stati sperimentati e introdotti indicatori di esito delle cure primarie. Alcun esempi: - la proporzione delle persone sopravvissute a un infarto mio- cardico acuto (identificate da SDO) che, dopo la dimissione, in un intervallo di follow-up definito, assume la combinazione appropriata di farmaci prevista dalle linee guida cliniche; - il rischio di ricoveri ospedalieri per complicanze evitabili del diabete nella popolazione di diabetici identificati applicando un algoritmo validato alle prescrizioni farmaceutiche; -lo stesso rischio di ricoveri ospedalieri per complicanze evitabili della BPCO in una popolazione di persone con BPCO identificate applicando un analogo algoritmo validato alle prescrizioni farmaceutiche. Indicatori analoghi sono stati sviluppati per numerose altre patologie croniche e consentiranno, finalmente, di iniziare a produrre a livello nazionale valutazioni e confronti affidabili delle cure primarie e dei percorsi di continuità assistenziale. Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA LA GOVERNANCE Gestione a budget per la sanità territoriale di Enrico Desideri * La Legge 189/2012 La L. 189, di conversione del c.d. Decreto Balduzzi, insieme all’introduzione di un importante riordino organizzativo delle cure primarie (le AFT e le UCCP), ha previsto (art. 1, b-ter e b-sexties) la possibilità per mento “a budget”, “anche per il tramite del Distretto Sanitario”. Si tratta di un’interessantissima altà organizzative e gestionali della dipendenza (sanitaria, sociale, amministrativo-tecnica). Cos’è il budget e “come funziona” Come è noto, il budget costituisce il principale strumento per la programmazione annuale operativa. Il budgeting) è, ed è essenziale che sia, un processo condiviso (negoziazione di budget) che parte dalla: lute, performance, esito) cretamente disponibili e assicurabili (personale, consumi sanitari e non) - tempi di raggiungimento degli obiettivi. nel migliore dei modi obiettivi e risorse, stimando correttamente la fattibilità nel tempo. Non si tratta, dunque, di una tec- Il budget costituisce il principale strumento per la programmazione annuale operativa delle cure primarie; non si tratta di una tecnica meramente economicodel cruscotto di monitoraggio prevalentemente di tipo bottom-up ziaria, anche se – come intuibile – con le risorse ogni programmazione deve fare i conti. Il cruscotto di monitoraggio (vedi ad es. Tabella 1) utilizza, nell’esperienza della ASL di Arezzo, indicatori relativi alle: - prestazioni sanitarie utilizzate (farmaci, presidi-ausili, specialistica – clinica e diagnostica –, ricoveri, accessi al DEA) - attività produttive svolte direttamente dai MMG (ADI, ADP, vaccinazioni, sanità d’iniziativa, screenings) - percorsi diagnostico-terapeutici per patologia (precedentemente concordati). deve essere, prevalentemente bottom-up, contiene precisi e misurabili indicatori e obiettivi (Tabella 2) e il suo monitoraggio, di solito mensile, fornisce occasioni di confronto (audit) e miglioramento “fra pari” (non è accettabile, invece, un approccio “ispettivo” di controllo gerarchico). Il budget delle cure primarie è per AFT (Aggregazioni monoprofessionali Funzionali Territoriali) e per UCCP (Unità multiprofessionali Cure Complesse Primarie) ed è negoziato in primis con il loro coordinatore. Il processo parte dalla analisi dello storico e dei trend osservati; tale analisi mira a evidenziare, in relazione ai bisogni degli assistiti, gli aspetti migliorabili: cioè, in sostanza, come utilizzare meglio le risorse disponibili (ad es., valutando se, attraverso una riduzione delle RMN dei ginocchi negli anziani – esame di solito di pochissima utilità – o prevenendo la necessità di ricovero nei pazienti con BPCO – bronchite cronica ostruttiva – è possibile migliorare l’assistenza a domicilio dei pazienti fragili). Il miglioramento va ricercato, oltre che nella appropriatezza prescrittivalue for money), ad esempio, quando possibile, utilizzando farmaci equivalenti o generici, a minor costo solo perché hanno perso il brevetto. Cruciale, per il successo e la crescita del processo di budget, è lo sviluppo di un sistema informativo capace di integrare i dati che * Direttore Generale, USL 8 Arezzo Febbraio 2014 29 I QUADERNI DI ACCADEMIA Tabella 1 - Indicatori utili per la definizione del budget Indicatore Farmaceutica Spesa/1000 abitanti N° ricette/1000 abitanti N° pezzi/1000 abitanti Indicatori di appropriatezza prescrittiva Specialistica Spesa/1000 abitanti N° prestazioni/1000 abitanti Spesa e prestazioni/1000 abitanti varie branche Tasso di consumo TC e RM/abitanti Codici di priorità per le prestazioni specialistiche Percentuale di prescrizioni per ciascun MMG per categoria di priorità (es.: breve) Ricoveri ospedalieri Spesa/1000 abitanti N° ricoveri/1000 abitanti Tassi di ospedalizzazione specifici per patologia N° ricoveri/1000 abitanti escluso parto DRG ad alto rischio di inappropriatezza N° ricoveri medici ripetuti N° ricoveri medici/1000 abitanti Accessi in DEA N° accessi cod. bianco/1000 abitanti N° accessi cod. azzurro/1000 abitanti N° accessi totali PS/abitanti N° accessi ripetuti Accessi (ADP, ADI, ADR) Numero accessi/1000 abitanti Per i valori di riferimento vedere DGRT 262/2010 Costo accessi per ADP/per ADI/1000 abitanti nota 1 N° di pazienti trattati/1000 abitanti Prestazioni aggiuntive Costo totale/1000 abitanti Per i valori di riferimento vedere DGRT 262/2010 Costo per singola prestazione/1000 abitanti nota 1 Vaccinazioni Ausili e Presidi N° presidi/MMG/1000 abitanti Costo presidi/MMG/1000 abitanti N° di pazienti trattati/1000 abitanti AFA N° pazienti inviati ai corsi AFA a bassa disabilità/1000 abitanti N° pazienti inviati ai corsi AFA ad alta disabilità/1000 abitanti Copertura vaccinazione antinfluenzale % di assistiti >65 anni vaccinati Indice di Charlson Indice di comorbilità Sanità di iniziativa Indicatori di monitoraggio progetto regionale Mortalità Tasso di mortalità generale/1000 abitanti Trasporti sanitari N° prescrizioni/1000 abitanti Costo trasporti san. /1000 abitanti Tipologia trasporto: ambulanza, mezzo attrezzato (Estratto da DRG 123/2012: Accordo Collettivo Nazionele per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs. 502/1992 e degli art. 4.,14 e13-bis ACN/2009) 30 Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA Tabella 2 - Obiettivi scelti Ambiti di intervento/criticità Criterio di scelta Indicatore OBT/ monitoraggio Specialistica ambulatoriale Criticità aziendale, monitorata da M&S 1 -Tasso di RM muscoloscheletriche >65 anni Obiettivo Specialistica ambulatoriale Riduzione tempi di attesa 2 -Tasso di ecocolorDoppler venosi agli arti inferiori Obiettivo Specialistica ambulatoriale Prestazione segnalata come inappropriata dal laboratorio 3 -Tasso di vitamina D Obiettivo Ricoveri ospedalieri Monitorare la parte medica dei ricoveri Pronto soccorso Ridurre inappropriatezza accessi bianco-azzurri ADI Aumentare utilizzo ADI Ausili Appropriatezza e risparmi Indice di Charlson Aumentare qualità rilevazione, propedeutico al CCM Trasporti sanitari Appropriatezza e risparmi 4 -Tasso di ospedalizzazione su drg M ordinari 5 -Tasso di accessi pronto soccorso bianco-azzurri Obiettivo 6 -Tasso di accessi ADI Obiettivo 7 -Tasso di prescrizioni ausili Obiettivo 8 -Indice di Charlson 9 -Tasso di trasporti sanitari Tabella 3 - Schema indicatore: tasso di RM muscoloscheletriche >65 anni Definizione Tasso di RM muscoloscheletriche >65 anni Numeratore Numero prestazioni di RM muscoloscheletrica eseguite Denominatore Numero pazienti assistiti con età maggiore di 65 anni Formula matematica Numero prestazioni di RM muscoloscheletrica eseguite Note per l’elaborazione Per il conteggio del numero di prestazioni vengono considerati: - i pazienti di età maggiore di 65 anni - le prestazioni 88.94.1 e 88.94.2 - i codici di accesso diversi da 05; 07; 04; 10; 51; 52; 54; 55 Per il conteggio del numero di pazienti vengono considerati: - i pazienti di età maggiore di 65 anni - i medici di base convenzionati - zona del medico di base non vuota -AFT del medico di base non vuota Fonte Flusso SPA Parametro di riferimento Media USL, ZDD, AFT Numero pazienti assistiti con età maggiore di 65 anni amministrativi (come quelli che si riferiscono ai ricoveri, alle prestazioni specialistiche, ai farmaci), con i dati clinici registrati sulla cartella clinica del MMG. Le prospettive di sviluppo, in tale direzione, non mancano sia per la recente nascita del cloud dedicato di AFT (che, nel rispetto della privacy, dovrà Febbraio 2014 Monitoraggio X 1000 essere reso bidirezionalmente collegato al repository delle Aziende Sanitarie, così da ottenere la piena integrazione-condivisione dei dati di ogni singolo malato), sia per il nuovo Sistema Matrice, che nasce da un grosso impegno congiunto di Agenas e Ministero della Sanità, CNR (e di alcune ASL). Tale Valutazione interna Obiettivo programma, attraverso algoritmi condivisi e validati, utilizza i flussi amministrativi (NSIS- art. 50), per permettere la ricostruzione dei Percorsi Assistenziali e di Cura per ogni singolo paziente. Analoga elaborazione, più orientata all’analisi dei costi, è, infine, resa disponibile da un nuovo software elaborato in collaborazione fra CNR e Federsanità-Anci (Lab. SAATI). Il sistema di reportistica (cruscotto AFT-UCCP) permette di analizzare i dati, oltre che per singolo medico, per Zona/Distretto/ AFT-UCCP utilizzando grafici, istogrammi a supporto per un’analisi di benchmark (vedi ad es. Figura 1), al fine di gestire la variabilità “evitabile” e favorire le scelte di riallocazione delle risorse. Va qui ricordato, che non tutta la variabilità è negativa, al contrario, la variabilità è anche “positiva” e può guidarci al riconoscimento di obiettivi di risultato più ambiziosi cui puntare (si dice che il primo uomo sia stato il prodotto di un’alterazione genetica nella scimmia progenitrice). 31 I QUADERNI DI ACCADEMIA Figura 1 - Tasso di RM muscoloscheletriche >65 anni - Primo semestre 2013 15,00 Aretina 10,00 Valdichiana Casentino 5,00 0 Valdarno Val Tiberina AFT 1 AFT 2 AFT 3 AFT 4 Se il budget e il monitoraggio degli obiettivi affidati al sistema delle cure primarie è dunque la precondizione per la governance della sanità territoriale, un aspetto, pur da esaminare con attenzione, ma da non sottacere, è come legare tutto ciò al sistema incentivante. L’ACN vigente, infatti, e di conseguenza anche gli accordi regionali e aziendali, frammenta il sistema remunerativo aggiuntivo (quota variabile) in molte voci. Alcune sono legate alle modalità di erogazione/ organizzazione (moduli, équipe, gruppi), e alla acquisizione di personale a supporto-integrazione (infermieri, collaboratori di studio): si tratta di voci strutturali, proporzionate al numero di assistiti. Altre voci sono legate a obiettivi di salute/appropriatezza, ovvero ad alcune prestazioni (ad es. domiciliari), o alla adesione a progettualità regionali (ad es. la medicina di iniziativa), o, infine, a indennità 32 ASL 8 AFT 5 AFT 6 AFT 7 AFT 8 AFT 9 specifiche. Legare una parte (quella non strutturale) della remunerazione variabile al raggiungimento di obiettivi di risultato, magari superando l’anacronistica suddivisione prima descritta, creerebbe i presupposti di trasparenza e uniformità in un contesto ove, in relazione alle diverse capacità di monitoraggio, i medici in concreto rischiano tagli stipendiali (ad es. per il parziale raggiungimento di alcuni obiettivi), senza una chiara possibilità di verificare, durante l’anno, l’andamento dei dati e, soprattutto, con una visione frammentaria e oltretutto non sempre coerente con l’unico scopo comune (per medici e management): la tutela dei bisogni assistenziali dei cittadini. Conclusioni È dimostrato che lo sviluppo organizzativo-funzionale dell’as- AFT 10 AFT 11 AFT 12 AFT 13 sistenza primaria e un approccio preventivo e pro-attivo diretto ai malati cronici (la cui cura allo stato attuale assorbe circa i 2/3 dei costi della Sanità) determina un miglioramento in termini di esiti (ridotta mortalità-morbilità, migliore aspettativa di vita) e che, inoltre, produce un significativo risparmio di risorse (riducendo il tasso di ospedalizzazione e migliorando l’integrazione con l’assistenza ospedaliera e con quella sociale). Tuttavia, molti sistemi sanitari occidentali, incluso quello italiano, puntano ancora troppo poco, e in modo non uniforme, alla cura delle malattie croniche e al rafforzamento dei servizi territoriali. Si osserva, però, di recente in Italia, un vero nuovo fermento sui temi delle politiche sanitarie territoriali che non possiamo assolutamente lasciar cadere. I sintomi della ripresa ci sono, ma il malato è ancora da guarire. Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA LA GOVERNANCE Il ruolo del medico di medicina generale di Giacomo Milillo * L a Federazione Italiana Medici di Famiglia (FIMMG) ha da tempo colto la ineluttabile necessità di un profondo cambiamento della organizzazione del lavoro e degli obiettivi della Medicina Generale per rispondere da un lato all’evoluzione dei determinanti della salute come invecchiamento della popolazione, aumento della cronicità, complessità e fragilità e dall’altro alla necessità di rimodulare l’organizzazione in funzione di un nonaumento o addirittura di una riQuesti cambiamenti sono stati zione della Medicina Generale formulato da FIMMG già nel 2007 e poi in parte accolti nella Legge cd “Balduzzi” (Legge 189/2012) che riconosce nell’ambito del SSN il ruolo fondamentale del MMG per il quale istituisce un ruolo professionale unico che accorpa cia dell’attuale assistenza primaria sia quelle orarie della attuale continuità assistenziale. Ruolo fessionale che la Legge “Balduzzi” ribadisce anche relativamente al percorso formativo necessario per accedere al ruolo unico per le funzioni di MMG del SSN. Parimenti è emersa la constatazione che una riorganizzazione incisiva della Medicina Generale medicina di prossimità, e la modalità ordinaria on demand (medicina di attesa) di organizzazione del lavoro del medico di famiglia per dare risposte al cittadino quando questi avverte ed esplicita il suo bisogno di salute. Un interessante modello di medicina di iniziativa è rappresentato dal chronic care model, che costituisce anche un esempio di budgeting inteso per la programmazione di operatività e non come tetto di spesa e un modello di pay for remunerativi complessiva dell’area delle cure primarie e dell’intero territorio. Riorganizzazione però non vuol dire stravolgimento dell’attuale modalità operativa della Medicina Generale, ma piuttosto miglioramento, per cui si riaffermano innanzitutto come valori imprescindibili lo status giuridico di libero professionista del MMG, l’approccio olistico alla persona proprio della medicina di famiglia, l’univocità e la insostituibilità del rapl’utilità di mantenere la capillare diffusione sul territorio degli studi dei MMG, anche in un’ottica di Avendo presenti questi valori, gli obiettivi della riorganizzazione sono: - superare l’attuale modalità di lavoro prevalentemente isolato e autoreferenziale e portare i medici a lavorare in squadra nelle Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT), che rappresentano il team funzionale monoprofessionale, delineando anche le nuove modalità di lavoro di un MMG a “ruolo unico” rispetto al quale ogni singolo MMG subito la garanzia di “piena occupazione” e quindi svolgendo attività esclusiva; - dotare le AFT di una “rete” clinica di condivisione dei dati duciaria si riferiscono ai medici della AFT, oggi modernamente rappresentata da un cloud dedicato, che garantisca la necessaria condivisione dei dati clinici a supporto di una effettiva ed H24 e che supporti le attività di self-audit e di peer review che sono alla base del processo di miglioramento delle performan- * Segretario Generale Nazionale FIMMG – Federazione Italiana Medici di Famiglia, Roma Febbraio 2014 33 I QUADERNI DI ACCADEMIA ces professionali. Rete clinica di AFT in grado di interfacciarsi e interoperare con le reti delle Aziende USL andando a costituire l’ossatura del Sistema Informativo aziendale e regionale; -organizzare strutturalmente i MMG delle AFT in sedi comuni, dotandoli, per un adeguato numero di ore settimanali, di personale di studio appositamente formato a supportare il MMG nella sua attività, compresa la nuova modalità di medicina di iniziativa e quindi con profilo professionale che preveda sia competenze tecnico-organizzative sia competenze socio-assistenziali quale è la nuova figura dell’“assistente di studio medico di famiglia” appositamente creato da FIMMG all’interno del CCNL studi professionali che è il CCNL di riferimento. Dotando le AFT anche di tecnologia diagnostica di primo livello, specialmente quella connessa con i percorsi di gestione della cronicità e complessità, in cui la strumentazione sia in grado di colloquiare con il cloud della rete clinica di AFT e di supportare una attività di consulenza specialistica, anche in modalità di telemedicina (telerefertazione e/o teleconsulto), per mettere i MMG della “squadra” in grado di lavorare strutturalmente insieme per garantire risposte ai bisogni di salute, sia completando in prima persona i percorsi di cura più semplici, sia coordinando i percorsi più complessi. Questa riorganizzazione, funzionale prima e strutturale poi, di lavoro in squadra della Medicina Generale e del proprio personale di studio, ha come obiettivo quello di mettere la Medicina Generale in condizione di garantire la tutela complessiva della salute della popolazione, nel rispetto 34 del rapporto di fiducia medicopaziente e del diritto alla libera scelta del cittadino, facendosi carico H24 della domanda di salute del cittadino e in particolare di modificare il modus operandi della Medicina Generale, da una medicina di attesa a una medicina di iniziativa, quando necessario e cioè per una medicina di prossimità che raggiunga il risultato di una compressione della morbidità delle malattie croniche, mediante azioni di prevenzione e di educazione alla correzione degli stili di vita, quale primo e irrinunciabile strumento per la sostenibilità del SSN, e poi per la gestione proattiva della cronicità e della complessità, garanzia di equità di accesso al Servizio stesso. Le AFT devono essere anche il fulcro della formazione specifica in Medicina Generale, consentendo al medico in formazione la partecipazione non solo alle attività a quota fiduciaria, ma anche a quelle a quota oraria, attraverso cui poter acquisire competenze irrinunciabili per il sostegno della nuova organizzazione della Medicina Generale in tema di governance, diagnostica di primo livello, gestione del budget, gestione dei collaboratori di studio. Parimenti l’intera area della primary care deve rimodularsi individuando nei cittadini assistiti dalle AFT i gruppi di pazienti intorno ai quali ricondurre tutte le risposte, adottando un approccio di sanità di iniziativa basata sulla popolazione, sulla stratificazione del rischio e su diversi livelli di intensità assistenziale, che garantisca per le situazioni di cronicità, complessità, fragilità e non autosufficienza la continuità dell’assistenza e la presa in carico dei bisogni, adottando la modalità di lavoro in team multiprofessionale (UCCP) al posto della autoreferenzialità dei vari profili professionali coinvolti nella primary care, ridefinendo anche l’organizzazione complessiva del territorio in cui il sistema della domiciliarità e residenzialità (ADI, RA, RSA, Ospedali di Comunità, ecc.) e le sedi comuni dei MMG delle AFT o dei team multiprofessionali costituiscono una rete integrata di sedi strutturali tutti intesi come setting necessari all’erogazione delle risposte integrate ai bisogni da parte dei team mono o multi-professionali per un determinato bacino di utenti. La UCCP (Unità Complessa di Cure Primarie) rappresenta il team multi-professionale funzionale della primary care e segna il punto di raccordo della Medicina Generale con le altre figure territoriali, in primis infermieri e assistenti sociali, questi ultimi fondamentali per realizzare la vera integrazione tra sociale e sanitario, che deve operare a domicilio dei pazienti (ADI), nelle strutture intermedie o in sedi comuni. Anche i professionisti delle UCCP hanno infatti la necessità di lavorare strutturalmente insieme per garantire meglio le risposte integrate. Le sedi delle UCCP saranno strutture territoriali del Distretto/ASL come le Case della Salute o altre strutture. Queste potranno essere “semplici” costituendo la sede della sola UCCP o “complesse” potendo ospitare nella stessa struttura altri servizi della Azienda (ad esempio SERT, Dipartimento di Salute Mentale, Riabilitazione, Uffici amministrativi) e anche letti di cure intermedie. La riorganizzazione funzionale e strutturale in team mono o multiprofessionali è finalizzata a consentire di passare da una modalità operativa di medicina di attesa a una medicina di iniziativa che, Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA nella flessibilità e personalizzazione della risposta assistenziale a ciascun cittadino, tenga conto di percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (PDTA) condivisi per la definizione di programmi assistenziali personalizzati per singoli pazienti. Un interessante modello di medicina di iniziativa è rappresentato dal chronic care model (CCM), che rappresenta anche un esempio di budgeting inteso correttamente come programmazione di operatività e non come tetto di spesa e, per quanto riguarda la remunerazione del MMG, un modello di pay for performances. In sintesi il CCM prevede di definire, per una determinata patologia o problematica anche preventiva, un PDTA ideale evidence based, da personalizzare poi sulla peculiare situazione del singolo paziente (patient centered). Definito il PDTA si individuano le figure professionali coinvolte assieme al medico di famiglia, si definisce chi fa cosa e con che cadenza temporale. Il CCM presenta due aspetti peculiari: il richiamo attivo del paziente da parte del team (funzione di “segreteria”) per il controllo periodico in accordo col PDTA e il coinvolgimento attivo del paziente (empowerment) Febbraio 2014 che opportunamente informato e formato partecipa attivamente al processo. Ai medici delle AFT dotati di diagnostica e di personale di studio proprio appositamente formato, anche in un’ottica di sussidiarietà, cioè di affidamento complessivo alla Medicina Generale da parte del SSN/SSR di percorsi o livelli assistenziali da garantire ai cittadini come parte del loro diritto alla salute compreso nei LEA, può essere affidata la prevenzione e la gestione completa di percorsi relativi a singole patologie croniche o alla complessità che nasce dalla contemporanea presenza di più patologie in soggetti autosufficienti o con non-autosufficienza lieve definendo obiettivi da garantire, indicatori da verificare e risorse a disposizione per realizzare gli obiettivi (budgeting come programmazione di operatività), ma poi lasciando al MMG libero professionista e alla sua organizzazione la libertà di pianificare autonomamente fattori produttivi e modalità operative, creando la possibilità, tra i medici della AFT, di individuare nuove abilità professionali, nuove expertise, in- dividuando medici che possano svolgere un ruolo da first opinion prima di attivare lo specialista, second opinion, oppure in grado di effettuare diagnostica di primo livello (ecografia generalista, ECG, spirometria, Holter, ecc.), riservando invece al team multi-professionale, cioè alla UCCP, proprio in un’ottica di appropriatezza della risposta a differenti livelli di intensità assistenziale, il trattamento di tutti quei pazienti affetti da malattie croniche in cui la presenza di situazioni di comorbilità, fragilità e non-autosufficienza richiede l’adozione di un approccio integrato e multidisciplinare. Tutto questo è realizzabile e realizzato laddove la Medicina Generale si organizza, dotandosi di strumenti “organizzativi” ed economici, definendo la necessità di una struttura “societaria” gestionale che acquisisca per i MMG tutti i fattori di produzione, avendo già attivato tramite la creazione dei Fidiprof, i confidi dei professionisti, la possibilità di ottenere credito a tasso agevolato per supportare gli investimenti necessari all’acquisizione dei fattori di produzione. 35 I QUADERNI DI ACCADEMIA La governance Gli aspetti organizzativi e gestionali di Angelo Lino Del Favero* Premessa Le riflessioni sviluppate di seguito sono il risultato di un insieme di esperienze personali e di una sintesi legata all’osservazione di punti di forza, criticità, delle diverse realtà delle Aziende associate a Federsanità-ANCI. L’adozione di nuovi modelli organizzativi di erogazione delle cure comporta una costante riflessione sulla direzione, sulle caratteristiche dei paradigmi sottostanti al sistema di cura e come vanno modificati se si mira a un loro cambiamento. Pertanto, se da ormai più di venti anni si discute sulla “gestione integrata del paziente”, l’adozione di modelli concreti che perseguono un tale approccio implica una modifica delle caratteristiche generali dell’offerta di cura, riprogettando sia i fabbisogni informativi (ad esempio, il fascicolo sanitario elettronico, FSE), sia la capacità di programmare e utilizzare i processi, intercettando i cambiamenti della domanda e articolando le risposte del sistema nella maniera più flessibile. Focalizzando sul tema dell’informazione relativa al paziente, in un modello “classico”, questa si è sempre caratterizzata per una sua frammentarietà e una sua non gestione in maniera sistematica e programmatica. In altri termini, ciò che veniva posto come prioritario era la capacità da parte del medico di interpretare una serie di infor- Il cambiamento di paradigma introdotto dal chronic care model: gestendo il paziente e ponendolo come snodo principale di una rete di offerta, è quest’ultima (rete dell’assistenza) che si costruisce in maniera flessibile attorno al paziente (medicina di iniziativa) mazioni richieste di volta in volta al paziente. Questa strumentalità delle informazioni (e della sua interpretazione) contiene diversi elementi di inefficienza che vanno dalla non standardizzazione delle informazioni necessarie, ai costi elevati, e via scrivendo. Pertanto, nell’ambito delle declinazioni della “gestione integrata del paziente”, assume un ruolo fondamentale anche il sistema di raccolta e gestione delle informazioni (ICT). Anzi, probabilmente, laddove l’ICT è un sistema integrato con i sistemi dell’offerta e i sistemi di individuazione e monitoraggio dei fabbisogni della popolazione servita, i modelli di “gestione integrata del paziente”, si sono maggiormente evoluti. Chronic care model e fabbisogni informativi Una delle principali criticità – e volendo anche una prospettiva d’insieme con un punto di vista specifico – riguarda la creazione (forse in certi casi, semplicemente il funzionamento) di modelli e reti in grado di gestire le patologie per ripartire il carico assistenziale tra cure primarie, territorio e ospedale. Le risposte dei servizi sanitari sono state differenziate: fra queste quella di interesse in questa riflessione è la medicina d’iniziativa e la sua applicazione attraverso il chronic care model (CCM). Il CCM è una delle risposte a quella necessità di integrazione del trattamento fra la fase acuta e la fase di cronicizzazione della patologia. La necessità di una forte integrazione e di un coordinamento del carico assistenziale richiede non solo la implementazione di un modello di comunicazione fra tutti gli attori del sistema (medici, personale sanitario, pazienti, erogatori di prestazioni sanitarie e sociosanitarie, ecc.) ma soprattutto lo sviluppo di quella capacità d’iniziativa del sistema in grado d’intercettare quel fabbisogno ancora non trasformato in domanda. Conseguentemente, il modello di veicolazione delle informazioni relative al paziente non è semplicemente una modalità tecnica con la quale queste vengono raccolte, immagazzinate e utilizzate, ma una parte so- * Presidente di Federsanità ANCI - Associazione Nazionale Comuni Italiani, Roma 36 Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA stanziale della strategia del CCM. Si pensi a una tipica patologia che richiede un’integrazione fra i diversi livelli di offerta di un sistema sanitario, spostando il trattamento su un livello territoriale. Il modello del servizio da offrire si caratterizza per una relazione continua e circolare, come dalla Figura 1. In altri termini, l’adozione di tale modello consente di: 1. definire puntualmente il target dei pazienti nella cura; 2. programmare, sia ex-ante sia expost, la tipologia del percorso di cura e di assistenza, standardizzando, per quanto possibile, l’intervento; 3.spostare il focus sul paziente poiché un siffatto modello implica adattare il percorso di cura non sulle esigenze dell’organizzazione che offre la cura quanto sui fabbisogni del paziente (es. il controllo in remoto del paziente, la costanza nel triage, ecc.). La circolarità della Figura 1 implica concretamente l’adozione di sistemi informativi come vero e proprio supporto alla cura del pazienti. In concreto, il sistema informativo, ha l’obiettivo di: - essere un sistema di allerta per eventi sentinella, che aiuta i team assistenziali ad attenersi alle linee-guida; - rappresentare un feedback per i medici mostrando i livelli di performance nei confronti degli inFigura 1 Paziente Sistemi territoriali di cura Febbraio 2014 Centro di supporto tecnologico dicatori delle malattie croniche; - costruire i registri di patologia population based per pianificare la cura individuale dei pazienti e per amministrare i processi di assistenza. I sistemi informativi però dovranno considerare alcune condizioni: a.applicazioni web based indirizzate alla gestione dei pazienti cronici; b. piattaforme tecnologiche in grado di supportare in maniera estensiva l’uso dei servizi. Tali piattaforme devono essere modulari, flessibili e facili da usare; c. va tenuto conto che le diverse applicazioni dovrebbero essere fra loro integrate e rispondere alle diverse evoluzioni tecnologiche (es. usando anche le diverse app dei telefoni mobili); d.a tale massa di informazioni deve corrispondere una flessibilità continua delle risposte organizzative del servizio sanitario; e. circolarità delle informazioni fra i diversi attori del sistema. Tali condizioni sono purtroppo nel nostro Paese non sempre rispettate. Ad esempio, i sistemi informativi delle cure primarie (le cartelle cliniche elettroniche, CCE) presenti negli studi dei Medici di Medicina Generale molto raramente sono integrati con i sistemi informativi degli ospedali né, quando sono presenti, con i sistemi informativi del territorio. Senza entrare nelle cause di ciò, questa assenza di integrazione produce sostanzialmente due modelli di medicina, che al giorno d’oggi sono sintomo di inefficienza, di costi e di insoddisfazione dei cittadini: la medicina difensiva (si erogano prestazioni in funzione di minimizzare rischi giudiziari e non in funzione del fabbisogno del paziente) e la medicina d’attesa (l’erogazione della prestazione si avvia solo al momento della manifestazione di una domanda, perdendo con ciò quella parte di bisogno non ancora espresso nonché non inserendo rapidamente il paziente nei percorsi diagnosticoterapeutici). Una vera programmazione dei sistemi informativi in sanità implica l’adozione diffusa del FSE 1. Sono diverse le ragioni della scarsa diffusione sia del FSE sia del patient summary (resistenza al cambiamento, standard tecnologici differenti, assenza di una linea strategica comune, ecc.) ma purtroppo tali aspetti hanno ritardato l’adozione di sistemi informativi completi e in grado di fungere da supporto allo sviluppo di CCM. L’auspicio per superare le difficoltà prima descritte, nonché i vincoli legati al contesto finanziario del SSN, è quello di concepire un’architettura di sanità elettronica che veda per un verso la capacità di raccolta sistematica delle informazioni già esistenti, per l’altro una fornitura di servizi e funzioni per la gestione dei processi clinici e assistenziali trasversali. I chronic care model come scelta strategica dell’Azienda Sanitaria Appare chiaro il cambiamento di paradigma introdotto dal CCM. Gestendo il paziente e ponendolo come fattore di snodo principale all’interno di una rete dell’offerta, è quest’ultima (la rete dell’assistenza) che deve costruirsi in maniera flessibile attorno al paziente (medicina d’iniziativa). Questo all’opposto del modello tradizionale dove il paziente è un “normale cliente” che ha avuto un bisogno espresso in domanda e chiede una risposta cercando di entrare (non sempre accettato) in uno degli snodi della rete dell’offerta (medicina d’attesa). In altre parole, per la cultura medica prevalente, il sistema dell’offer- 37 I QUADERNI DI ACCADEMIA ta si attiva solo quando il paziente manifesta un’acuzie. Ma quando questa si è manifestata, le implicazioni di efficacia dell’intervento nonché di efficienza della cura possono essere compromesse. Da un punto di vista della governance, il passaggio da un paradigma della medicina di attesa a quello della medicina d’iniziativa, implica l’adozione di: a. un nuovo modello assistenziale per la presa in carico “proattiva” dei cittadini; b. un nuovo approccio organizzativo che intercetta il bisogno di salute prima dell’insorgere della malattia, o prima che essa si manifesti o si aggravi, prevedendo e organizzando le risposte assistenziali. In termini di sviluppo strategico, avviare un CCM significa: 1.organizzare i team assistenziali2 (dalla relazione tradizionale 38 “paziente-medico” a quella “paziente-team”); 2.impostare un sistema assistenziale gestito e organizzato con una forte, concreta e motivata finalizzazione; 3.avviare un sistema di alleanze. Si tratta di individuare quelle strutture sul territorio (sociali, volontariato, Chiesa, ecc.) per preparare programmi dedicati alla lotta dei fattori di rischio3 della cronicità; 4. ottimizzare il sistema informativo; 5. promuovere il self management, rendendo i pazienti consapevoli della malattia e condividendo la responsabilità della propria salute con coloro che curano; 6.utilizzare sempre la migliore evidenza scientifica. In termini generali, il CCM è una delle concretizzazioni del principio sempre dichiarato fin dal 1978 dal legislatore nazionale di spostare il paziente dall’ospedale al territorio: percorso che il servizio sanitario, dopo averlo teorizzato per anni, deve avviare e implementare. Note 1 In diversi casi, al fine di sintetizzare per pazienti non particolarmente complessi, tutte le informazioni contenute nel FSE, si utilizza il patient summary. Allo stato attuale sono però pochissime le sperimentazioni del patient summary. 2 Ad esempio un team assistenziale in un CCM sulla BPCO prevede: il MMG, lo specialista pneumologo, il Centro antifumo, il responsabile della farmaceutica territoriale, l’infermiere, il medico di comunità, il dietista, l’OSS, il responsabile del centro sociale, il terapista della riabilitazione. 3 I principali fattori di rischio secondo l’OMS sono: ipertensione, tabagismo, alcol, colesterolo, sovrappeso, scarso consumo di frutta e verdura, inattività fisica. Febbraio 2014 I QUADERNI DI ACCADEMIA LA GOVERNANCE La struttura e le competenze necessarie di Mariadonata Bellentani L * a sostenibilità del sistema sanitario è minata da molteplici cause: epidemiologiche, demogra- maggior parte dei bisogni sanitari (ma anche socio-sanitari) dei cittadini è legata alle malattie croniche e alle loro conseguenze. Questi bisogni devono trovare risposta nella nuova organizzazione del territorio se vogliamo rendere equo e sostenibile il sistema. Il modello di Sanità necessario per affrontare in maniera sostenibile l’epidemia delle malattie croniche deve basarsi su servizi territoriali profondamente rinnovati, sia sul versante della programmazione e del governo, sia su quello della produzione-erogazione dei servizi. Il rinnovo delle cure primarie dovrebbe partire dal superamento dell’attuale modalità di lavoro prevalentemente isolato e autoreferenziale dei vari operatori, per transitare a un modello di lavoro in team, che affronti la cronicità in un’ottica di medicina di iniziativa. In particolare, proprio l’equità di accesso, presupposto per l’equità di trattamento, deve essere valorizzata nei confronti delle fasce più deboli o svantaggiate della popolazione, quali anziani fragili, immigrati, cittadini seguiti dai servizi sociali, dai servizi di salute mentale e per la cura delle dipendenze. Il territorio rappresenta il luogo privilegiato per valutare i bisogni del paziente e presidiare i percor- Le cure primarie necessitano di una riorganizzazione dei servizi diretta dal livello regionale, nel pieno rispetto dell’autonomia regionale costituzionalmente garantita, nell’ambito di una cornice di principi fondamentali sanciti dal legislatore nazionale si dei pazienti cronici, complessi e fragili, costituendo un centro di offerta proattiva e personalizzata di servizi in integrazione e in continuità tra i vari servizi sanitari e socio-sanitari. Occorre adeguare l’organizzazione territoriale (e liera dei suoi servizi secondo il criterio dell’integrazione delle cure primarie con quelle intermedie e con l’assistenza ospedaliera, spequella di implementare le previsioni normative del Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158, riorganizzando le cure primarie e l’assistenza territoriale in modo da fornire ai cittadini un servizio nuovo ed loro bisogni e ai bisogni emergenti della società. Il Decreto Legge 158/2012 intende rendere concretamente realizzabili gli obiettivi di miglioramento del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), impattando fortemente sull’organizzazione territoriale attraverso la valorizzazione dell’alto numero di professionisti interessati (oltre 90.000 medici convenzionati tra Medici di Medicina Generale (MMG), Pediatri di Libera Scelta (PLS) e medici specialisti ambulatoriali) e delle funzioni di promozione dei processi assistenziali che essi esercitano. La norma rende obbligatorie, infatti, forme aggregative mono-professionali e multiprofessionali (rispettivamente le AFT – aggregazioni funzionali territoriali – e le UCCP – unità complesse di cure primarie), previsione già presente nell’Accordo Collettivo Nazionale per la Medicina Generale del 2009, agevolando l’integrazione e il coordinamento operativo tra tutti gli operatori del territorio secondo le modalità operative e gli “standard organizzativi/strutturali” individuati dalle Regioni. L’assistenza territoriale sembra tutt’ora carente di una logica di sistema: non ci sono principi generali che possano guidare la gestione delle malattie croniche in maniera organica e non frammentata come invece accade adesso con servizi che non comunicano tra di loro. * Sezione Organizzazione dei Servizi Sanitari (OSS), Agenas – Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, Roma 40 Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA Inoltre appare di primaria importanza migliorare l’integrazione tra ambiti diversi di assistenza, quali il territorio (distretto, dipartimento di salute mentale, dipartimento materno-infantile, dipartimento delle dipendenze patologiche, dipartimento di prevenzione), l’ospedale e il sociale. L’obiettivo è principalmente quello di superare la modalità frammentata con cui si continua a lavorare in modo da improntare l’assistenza territoriale ai principi nuovi di tutela delle persone, chronic care model, presa in carico, garanzia della continuità dell’assistenza, utilizzo di équipe multidimensionali, con conseguente riduzione degli accessi impropri al pronto soccorso e attuazione di una vera e propria assistenza H24.Tali obiettivi necessitano di una riorganizzazione dei servizi diretta dal livello regionale, nel pieno rispetto dell’autonomia regionale costituzionalmente garantita, nell’ambito di una cornice di principi fondamentali sanciti dal legislatore nazionale. Per questo occorrerebbe, innanzitutto, che le Regioni monitorassero i bisogni di salute della popolazione locale per offrire un piano di assistenza territoriale che sia in grado di modificare la logica prevalente volta al finanziamento dell’offerta per passare a quella della soddisfazione della domanda. Il legislatore nazionale vede le AFT e le UCCP come forme organizzative del SSN per l’erogazione delle cure primarie, che comprendono la medicina convenzionata integrata con professionisti sanitari dipendenti dal SSN. Le Regioni assicurano che tutti i medici facciano parte di una AFT e che tutte le AFT facciano riferimento a una UCCP, con l’obiettivo di costruire una rete di professionisti e strutture che perseguono obiettivi di salute e di attività definiti dall’A- Febbraio 2014 zienda Sanitaria e dal Distretto. Importante ribadire che le nuove forme organizzative non sono da considerate unicamente come forme associative della Medicina Generale, bensì servizi e presidi del SSN, siano esse formate esclusivamente da MMG/PLS/medici di continuità assistenziale o da più professionisti del territorio. In prospettiva, nelle UCCP e nelle AFT dovranno confluire tutte le diverse tipologie di associazione della Medicina Generale e le aggregazioni funzionali e/o strutturali realizzate nelle varie Regioni (di cui all’art. 54 dell’ACN 2009). L’AFT, ai sensi del d.l. 158/2012, è un raggruppamento funzionale, mono-professionale della Medicina Generale o della Pediatria. Le AFT della Medicina Generale sono caratterizzate, di norma, ma con flessibilità legata a particolari caratteristiche orografiche e sociali, che possono giustificarne una diversa dimensione, da una popolazione di riferimento di circa 30.000 assistiti e da un numero di medici non inferiore a 20, inclusi i medici che svolgono attività a quota oraria. Alle AFT, dotate di diagnostica di primo livello e di personale proprio appositamente formato, anche in un’ottica di sussidiarietà, è affidata la prevenzione e la gestione completa di percorsi relativi a singole patologie croniche o a persone con pluripatologie autosufficienti o con nonautosufficienza lieve; si riserva al team multiprofessionale, nell’ambito delle UCCP, proprio in un’ottica di appropriatezza della risposta a differenti livelli di intensità assistenziale, il trattamento di tutti quei pazienti affetti da patologie croniche in cui la presenza di situazioni di comorbilità, fragilità e non-autosufficienza richiede l’adozione di un approccio integrato e multidisciplinare. Le UCCP costituiscono presidi pubblici, in cui operano in forma integrata diversi professionisti del territorio, convenzionati e dipendenti del SSN, con una o più sedi dislocate sul territorio. Il carattere multi-professionale delle UCCP è garantito dal coordinamento tra le diverse professionalità, con particolare riguardo all’integrazione tra la medicina specialistica e la medicina generale. L’UCCP si configura come la struttura in grado di garantire una continuità dell’assistenza, ma anche come servizio per la presa in carico globale dei malati cronici attraverso percorsi di supporto e di assistenza da parte di una équipe multi-professionale. Progetti personalizzati vengono creati e offerti ai soggetti non autosufficienti per garantire risposte socio-sanitarie adatte alla complessità dei loro bisogni. Inoltre, la UCCP vuole garantire la semplificazione dell’accesso ai servizi della salute attraverso lo snellimento delle procedure, l’integrazione fra servizi, l’informatizzazione delle comunicazioni e del passaggio di dati. Fra i servizi offerti al cittadino è necessario ricordare i progetti educativi, non necessariamente sanitari, fondamentali per incidere sugli stili di vita dell’utente e, quindi, sulle cause principali delle patologie croniche. La UCCP ha un assetto organizzativo autonomo e strutturato, ai sensi delle disposizioni nazionali e regionali in materia, integrandosi all’interno della rete dei servizi distrettuali e aziendali e permettendo una relazione diretta tra l’assistenza territoriale e gli altri nodi della rete assistenziale. Il disciplinare per le UCCP deve privilegiare la costituzione di reti di poliambulatori territoriali dotati di strumentazione di base, aperti al pubblico per tutto l’arco della giornata, nonché nei giorni prefestivi e festivi con idonea turnazione, che operano in coordinamento e in collegamento telematico con le strutture ospedaliere. 41 I QUADERNI DI ACCADEMIA Alla dotazione strutturale, strumentale e di servizi delle forme organizzative provvedono le Regioni stesse, chiamate a fornire tutti i fattori produttivi delle nuove forme organizzative. Le nuove forme organizzative del SSN per l’erogazione delle cure primarie consentiranno di sviluppare la medicina d’iniziativa quale modello assistenziale orientato alla promozione attiva della salute, anche tramite l’educazione della popolazione ai corretti stili di vita, nonché alla assunzione del bisogno di salute prima dell’insorgere della malattia o prima che essa si manifesti o si aggravi, anche tramite una gestione attiva della cronicità, seguendo alcuni principi chiave: - la classificazione e la clusterizzazione dei pazienti rispetto alle patologie e al grado di severità; - l’analisi e la messa a rete delle risorse della comunità; -il supporto all’auto-gestione dei pazienti ed empowerment in modo da aiutare i pazienti e le loro famiglie ad acquisire abilità e fiducia nella gestione della ma- 42 lattia, procurando gli strumenti necessari e valutando regolarmente i risultati e i problemi. È importante enfatizzare il ruolo centrale del paziente nella gestione della propria salute; usare efficaci strategie di supporto auto-gestite che includano valutazione, definizione degli obiettivi, pianificazione delle azioni, risoluzione dei problemi e follow-up; organizzare risorse interne e sociali per fornire un continuo sostegno ai pazienti; -il riorientamento dei servizi verso una medicina proattiva, quale modalità operativa in cui le consuete attività cliniche e assistenziali sono integrate e rafforzate da interventi programmati di follow-up sulla base del percorso previsto per una determinata patologia; - l’utilizzo di linee guida in grado di tener conto della comorbilità e della complessità assistenziale. È necessario promuovere un’assistenza che sia in accordo alle evidenze scientifiche e alle preferenze del paziente. Ciò significa integrare le linee guida basate sull’evidenza con le attività cliniche quotidiane; condividere le linee guida basate sull’evidenza e le informazioni con i pazienti per incoraggiare la loro partecipazione; utilizzare metodi di insegnamento efficaci; - la presenza di sistemi informativi evoluti in grado di leggere i percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA) al fine di monitorare e valutare l’assistenza erogata al paziente cronico. In particolare, i sistemi informativi computerizzati potrebbero svolgere tre importanti funzioni: - sistema di allerta che aiuta il team ad attenersi e conformarsi alle linee guida; - feedback per i medici, mostrando i loro livelli di performance nei confronti degli indicatori delle malattie croniche; -registri di patologia per pianificare l’assistenza al singolo paziente e per amministrare un’assistenza population-based. Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA LA GOVERNANCE Cosa cambia per le aziende farmaceutiche di Massimo Scaccabarozzi * L a tutela della salute rappresenta uno dei valori prioritari della società per la sfera e l’essenza oggettiva che le disposizioni costituzionali intendono tutelare, ovvero un bene assolutamente primario tra tutti i diritti fondamentali. nita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come “uno stato di tale e sociale e non solamente l’assenza di malattia o di inabilità”, ovvero una condizione di armopsichico dell’organismo dinamicamente integrato nel suo ambiente naturale e sociale. sico non è mai solamente una condizione statica, ma estremamente mutevole a seconda dei suoi rapporti con l’ambiente naturale e sociale. Condizione strettamente correlata anche al diritto all’assistenza e, quindi, all’onere per le Istituzioni di assicurare prestazioni sanitarie assistenziali e di prevenzione. In campo sanitario, l’Italia occupa una posizione eccellente. Il nostro SSN è considerato uno dei primi in Europa, se non al mondo, sulla base di tre indicatori fondamentali: il miglioramento dello stato complessivo della salute della popolazione, la risposta alle aspettative di L’aspettativa della nuova organizzazione delle cure primarie è l’inversione di tendenza basata su un approccio puramente economicistico, adottando il metodo della appropriatezza e quindi inquadrando il farmaco come strumento per del nostro Ssn salute e di assistenza sanitaria dei cittadini, l’assicurazione delle cure sanitarie a tutta la popolazione. Tutti i Paesi industrializzati stanno coltà connesse alla sostenibilità del sistema. Ciò in quanto: - l’età media della popolazione aumenta; - la domanda di salute cresce; - i costi della ricerca aumentano progressivamente; - le moderne tecnologie e i conzionano il modo di sviluppare nuovi farmaci; pongono vincoli di bilancio sempre più stringenti e quindi politiche di contenimento della spesa. Per la Sanità in Italia non si spende troppo – anzi i livelli di spesa procapite sono di circa il 20% inferiori a quelli della media dei Big Ue – ma si spende spesso male, con forti differenze a livello di singola struttura e penalizzando l’innovazione. Per riequilibrare il sistema, sono quindi necessari degli interciente la spesa: rivedere l’organizzazione dell’assistenza; garantire l’appropriatezza delle prestazioni; razionalizzare le risorse; eliminare gli sprechi; utilizzare al massimo le nuove tecnologie e l’informatizzazione. Il riordino dell’assistenza territoriale e della Medicina Generale, previsto dall’articolo 1 del Decreto Salute (legge 8 novembre 2012, n. 189), rientra in tale contesto e pone le basi per una migliore assistenza territoriale, secondo una all’ospedale la gestione dell’emergenza, della diagnostica complessa, dell’interventistica chirurgica e strumentale, delegando invece al territorio, e quindi alla Medicina Generale, la diagnosi e il trattamento delle patologie croniche attraverso l’istituzione delle AFT (aggregazioni funzionali territoriali) e le UCCP (unità di cure primarie) – Case della Salute. Questa nuova organizzazione, per funzionare in modo adeguato, ha però bisogno di risorse adeguate, di meccanismi pre- * Presidente Farmindustria, Roma Febbraio 2014 43 I QUADERNI DI ACCADEMIA mianti in base a indicatori di performance e di esito che mettano la Medicina Generale in grado di poter agire nelle migliori condizioni logistiche e professionali. Ciò consentirà di diminuire i ricoveri ospedalieri e accessi al pronto soccorso (minore spesa), ridurre le liste di attesa (migliore servizio ai cittadini), appropriatezza delle prestazioni. Per quanto riguarda il settore farmaceutico, l’aspettativa è che da questa nuova organizzazione possano derivare: -una gestione più sostenibile della spesa, evitando tagli al SSN che troppo spesso incidono in maniera sproporzionata sulla farmaceutica; -una migliore appropriatezza prescrittiva in grado di ridurre i costi diretti e indiretti degli altri costi sanitari; - una più adeguata aderenza terapeutica garantita da un sistema in grado di seguire con continuità i pazienti attraverso l’assistenza, sia presso gli studi professionali, sia domiciliare; - un immediato accesso per i farmaci innovativi destinati alle malattie croniche. In tale con- Figura 1 - L’uso appropriato dei medicinali riduce gli altri costi sanitari: l’esempio del diabete 16% 15% 14% 12% 12% 10% 10% 8% 6% 5% 4% 2% 0% <40% 40%–59% 60%–79% 80%–99% 4% 100% Grado di aderenza alla terapia farmacologica Figura 2 - Migliorare la compliance per favorire risparmi in sanità Pharmacy costs $2,000 $1,058 $1,000 Medical spending $601 $656 $429 Overall savings $0 ($1,258) ($1,860) ($1,000) ($2,000) ($3,000) ($3,756) ($4,413) ($3,908) ($4,337) ($4,000) ($5,000) ($6,000) ($7,000) ($7,823) ($8,000) ($9,000) ($8,881) Congestive heart failure Hypertension Diabetes Dyslipidemia Figura 3 - La salute costa, ma la malattia costa di più. Farmaci e vaccini sono un investimento per ridurre la spesa socio-sanitaria complessiva L’uso corretto dei farmaci può determinare risparmi per il SSN: • con la prevenzione • riducendo il rischio di malattie invalidanti • rendendo non necessari interventi chirurgici (ad es. ulcere gastroduodenali) • rallentando la degenerazione o attenuando i sintomi di alcune malattie tipiche dell’invecchiamento (ad es. morbo di Parkinson e Alzheimer) • accorciando i tempi di ospedalizzazione (ad es. per la chemioterapia) o evitando il ricovero ospedaliero (ad es. per malattie croniche) Un giorno di ricovero in ospedale costa circa 1000 euro, più di 5 volte la spesa pro-capite per assistenza pubblica per medicinali in farmacia 44 Italia, uso dei farmaci per patologie croniche: rapporto costo/beneficio (cardiovascolare, respiratorio, depressione, Alzheimer) Mld €/anno Spesa sostenuta per medicinali 6,3 Costi sanitari evitati 6,1 Costi non sanitari evitati 5,6 (minore ospedalizzazione, interventi chirurgici non necessari, rallentamento degenerazione malattie) (minori giorni di lavoro persi, minore spesa per assistenza sociale) Risparmi ottenibili dai vaccini: 1 euro speso per la vaccinazione può equivalere a 24 euro per curare chi si ammala Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA testo, una parte dei risparmi derivanti dalla riduzione dei ricoveri e delle complicazioni di alcune patologie croniche tramite la prevenzione (es.: diabete, ipertensione) dovrebbe essere reinvestita nel sistema per assicurare l’immediata disponibilità dei farmaci innovativi. Questo nuovo approccio dovrebbe invertire la tendenza che fino a oggi ha guidato le scelte politiche degli ultimi anni e cioè abbandonare l’approccio puramente economicistico per adottare il metodo dell’appropriatezza, inquadrando il farmaco nel suo giusto ruolo: quello di strumento per l’efficienza e la qualità del SSN. Febbraio 2014 Figura 4 - Innovazione: assicurare accesso rapido e adeguato riconoscimento ai nuovi prodotti Autorizzazione comunitaria 12-15 mesi Autorizzazione nazionale 12 mesi Inserimento nei Prontuari Regionali Oltre 2 anni il tempo totale per l’accesso a un nuovo farmaco e dopo l’accesso una serie di vincoli che ne limitano l’uso -24% differenza tra Italia e Big UE delle vendite procapite di nuovi medicinali lanciati tra il 2008 e il 2012 2 anni Prima dell’uso effettivo negli ospedali 45 I QUADERNI DI ACCADEMIA LA GOVERNANCE Empowerment e governance: i significati di Alessio Terzi * e Antonio Gaudioso ** C ome è noto a tutti gli osservatori attenti, la questione della sostenibilità dei servizi sanitari precede anni si parla di una crisi del modello sociale europeo (ACN, 2007). Nell’ambito della salute, si è consolidato un radicale cambiamento che ha spostato il peso prevalente nalizzato alla guarigione) delle malattie acute alla cura delle malattie croniche, oncologiche e della non vece, da una presa in carico orientata alla promozione dei massimi livelli possibili di autonomia e di qualità della vita delle persone. La trasformazione ha indotto profonde revisioni degli approcci concettuali, organizzativi e professionali e la consapevolezza diffusa ma ancora pericolosamente incompleta che, nella “presa in carico”, il cambiamento riguarda il “gioco” e non soltanto le regole. In questo ambito, l’universalità del Servizio Sanitario non è garantita dall’applicazione di principi astrattamente uniformi ma dall’impegno a garantire concretamente a ogni cittadino, quali che siano le sue condizioni, il diritto a non cadere in condizioni di esclusione sociale a causa della malattia. Si è anche affermata l’idea che centrare la medicina sul malato non è un lusso ma la via Le forme tradizionali della rappresentanza dei cittadini e delle comunità locali non sono adatte a sostenere adeguatamente i processi di trasformazione in ambito sanitario: l’empowerment dei cittadini e delle comunità risulta tuttavia decisivo per la riforma delle cure primarie maestra per evitare perdite di tempo, passaggi inutili e sprechi. La patient centered care non è più soltanto un “valore” da rispettare ma una vera e propria disciplina che trova il suo riscontro formale nei piani personalizzati di trattamento diagnostico, terapeutico e assistenziale (PDTA) o, in altri ambiti, nei piani individuali di assistenza (PAI). Varie sperimentazioni hanno dimostrato che questo approccio mette a valore risorse (degli individui, delle famiglie, dei professionisti e delle comunità) che, diversamente, restano fuori gioco o inutilizzate. Si potrebbe dire, con qualche (ma non eccessiva) enfasi, che le co- noscenze teoriche e pratiche necessarie per costruire una nuova offerta sanitaria, fondata sulla valorizzazione del territorio, esistono e sono disponibili. Purtroppo lerare questo tipo di trasformazione – come, ingenuamente, ci si poteva attendere – ha stimolato tagli lineari e azioni di carattere verticistico, con esiti del tutto discutibili. È da dimostrare, per esempio, che la continua revisione degli assetti istituzionali e organizzativi (es. accorpamenti e centralizzazione degli acquisti) produca i risparmi desiderati, mentre zione degli organigrammi e delle politiche aziendali ha prodotto un clima di incertezza, disorientando personale, cittadini e interlocutori. Gli standard e i criteri elaborati di obiettivi e di percorsi condivisi, tradotti in disposizioni immediatamente vincolanti, hanno perso Tradurre per comprendere (e agire) La complessità del problema richiederebbe una trattazione che va al di là dei limiti di spazio di un articolo e delle competenze dell’autore. È possibile però rilevare che le azioni di governo, con * Past President di Cittadinanzattiva, Roma ** Segretario Generale di Cittadinanzattiva, Roma 46 Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA poche meritorie eccezioni, ignorano un fatto cruciale, e cioè, che la trasformazione del Sistema Sanitario comporta una sostanziale revisione dei rapporti con (e fra) i suoi attori, ispirata all’empowerment e nuove forme di governance. Tradurre bene questi termini è necessario se si vuole evitare che l’affermazione resti una frase a effetto, priva di significati concreti. L’empowerment non è soltanto una forma raffinata di educazione sanitaria volta a indurre stili di vita appropriati, ma, come dice Rappaport – il maggiore studioso dell’argomento – è un “processo dell’azione sociale attraverso il quale le persone, le organizzazioni e le comunità acquisiscono competenza sulle proprie vite, al fine di cambiare il proprio ambiente sociale e politico per migliorare l’equità e la qualità di vita” (Agenas, 2010, pag. 11). Ciò comporta, necessariamente, una progressiva assunzione di conoscenze di poteri e di responsabilità da parte dei cittadini, dei professionisti e delle comunità, in ordine all’organizzazione e ai processi di assistenza e di cura. La governance non si riduce a forme solo istituzionali di consultazione – che pure non guasterebbero – ma diventa la costante ricerca di un governo condiviso dei problemi volto a valorizzare il contributo di tutti gli attori. L’esperienza del Tribunale per i Diritti del Malato ha messo in evidenza nei rapporti fra cittadini, servizi sanitari e professionisti una sorta di “terra di nessuno” dove manca un sistema di norma, valori, risorse, procedure e comportamenti codificati, condiviso e praticato da tutti i soggetti coinvolti (Cittadinanzattiva, 2006). Negli ospedali l’esistenza di strutture gerarchiche definite maschera un problema che nell’ambito delle cure primarie diventa, invece, del Febbraio 2014 tutto evidente. “In 53 distretti su 120 il giudizio sull’informazione e sulla comunicazione è scadente (40) o pessimo (13). Un terzo scarso dei distretti fornisce ai medici di famiglia e ai pediatri opuscoli sull’ADI da mettere a disposizione nei propri studi. In una metà scarsa sono a disposizione del pubblico strumenti informativi sull’organizzazione delle prestazioni (accesso all’ADI, gestione e autorizzazione di ausili, revoca e scelta del medico, diritto di libera scelta, cure all’estero, esenzioni per patologia e invalidità, prestazioni gratuite dei medici di famiglia e dei pediatri). Nei distretti, come si è visto, sono bassi anche gli indici della qualità e della tutela. Se a questo si aggiunge che anche l’organizzazione dei medici di famiglia e dei pediatri è alquanto critica – solo il 37% dei professionisti pratica la medicina di gruppo e la connessione degli studi con i CUP è estremamente ridotta (13%) – l’ipotesi di imperniare sui distretti e sulla medicina di base le strutture portanti del nuovo sistema delle cure primarie potrebbe essere messa in discussione.” (Cittadinanzattiva, 2010, pag. 64). Di nuovo, lo spazio dell’articolo e le competenze dell’autore sono insufficienti per una trattazione adeguata. È possibile però portare l’attenzione su alcune questioni, normalmente trascurate, che potrebbero facilitare la comprensione del problema e l’individuazione di alcune vie di uscita. Per un empowerment dei professionisti del territorio “Le vittime della medicina frammentata, fatta di tanti segmenti indipendenti, ciascuno con proprie regole e obiettivi sono due: la persona in difficoltà, non protetta da un sistema adatto alle varie tappe della sua malattia, e il medico la cui professione si riduce a un insieme di atti tecnici, spesso slegati fra di loro (dei quali non sempre comprende lo scopo) e circa i quali non di rado è costretto ad accettare decisioni prese da altri con cui non è in sintonia” (Trabucchi, 2009, pag. 53). Questa considerazione, da una parte, mostra un importante problema presente nella “terra di nessuno”, dall’altra, aiuta a comprendere meglio che la costruzione delle reti di medici di famiglia necessarie per il nuovo sistema di cure primarie presenta aspetti molto problematici. Aggiungere nuovi compiti e prefigurare strutture organizzative affidando alla contrattazione sindacale la loro traduzione pratica, forse, non è la strada migliore per raggiungere l’obiettivo. Stimolare la partecipazione attiva dei MMG, territorio per territorio, alla progettazione e alla costruzione della nuova organizzazione è certamente più laborioso e complicato ma, forse, è in realtà l’unico modo per passare dalle ipotesi cartacee alla realtà. I campi in cui ciò è possibile – lo dimostrano varie sperimentazioni – sono molti. Le opportunità – dall’implementazione di circuiti informatici volti a fare circolare le informazioni invece che le persone alla telemedicina, dal miglioramento dell’ADI ai rapporti con i centri di riferimento delle malattie croniche e così via – non mancano, basta volerle cogliere. Nei territori, fra l’altro, esistono da sempre le farmacie, che, per effetto delle più recenti decisioni nel settore, sono alla ricerca di un nuovo ruolo. In Piemonte, Federfarma ha avviato un programma di “farmacia di comunità” come sostegno per l’assistenza domiciliare ai malati cronici. Accogliere e stimolare questi apporti, superando 47 I QUADERNI DI ACCADEMIA antiche diffidenze, può mettere in campo nuove importanti risorse. Per un empowerment dei cittadini Nella chronic care e nelle long term care, i malati e le loro famiglie investono molto in termini economici (costi di trasporto, bollette energetiche, dispositivi, farmaci e parafarmaci), culturali (conoscenza, interpretazione e gestione della malattia), organizzativi (caregiver e/o badanti). È frequente, inoltre, che il malato o il suo caregiver assumano di fatto il coordinamento organizzativo dei percorsi cura, dalla gestione delle prenotazioni alla comunicazione fra i professionisti, ecc. Questo ruolo non è stato ancora adeguatamente riconosciuto, in tutti i suoi aspetti. Nessuno si permette di negare che l’acquisizione dell’esperienza dei pazienti è una conoscenza necessaria per la corretta progettazione dei PDTA e per la loro concreta personalizzazione (ACN, 2013). Molto raramente però i malati e le loro organizzazioni sono coinvolti a questo proposito: talvolta la formalizzazione del loro punto di vista è affidata a un professionista, più spesso è lasciata al semplice buon senso degli operatori. Eppure questi strumenti sono un cardine della nuova organizzazione sanitaria e dovrebbero, quindi, essere trattati con l’approccio dell’health technology assessment, con strumenti e procedure che favoriscono la partecipazione dei cittadini (NICE, 2013). Un secondo aspetto, di grande rilievo ma colpevolmente trascurato, riguarda l’interlocuzione e la tutela dei diritti. Nel territorio i cittadini non trovano facilmente punti di riferimento adeguati. I punti unici di accesso, nel 2011, erano assenti nel 15% dei distretti e solo un terzo era in grado di svolgere l’intero 48 processo organizzativo della presa in carico (Agenas, 2011). I percorsi personalizzati, così, diventano una strada in salita fin dall’inizio. Non casualmente, varie indagini del Tribunale per i Diritti del Malato hanno certificato frequenti casi di sottoutilizzazione dei servizi per mancanza di informazioni. Gli URP restano confinati negli ospedali e presso le direzioni aziendali e nei territori mancano le sedi per inoltrare reclami e segnalazioni, per reagire a eventuali comportamenti professionali impropri o dannosi e avere risposte soddisfacenti in tempi utili e pertinenti. Infine, anche quando le risorse del malato e della sua famiglia sono una componente indispensabile del PDTA o dei PAI, questi restano, di fatto, atti unilaterali dell’amministrazione, esposti, fra l’altro, al rischio di interpretazioni arbitrarie degli uffici. In alcune realtà, fortunatamente, è stata adottata una prassi di sottoscrizione congiunta dei piani stessi. È una consuetudine che potrebbe aprire la strada per una innovazione importante e cioè la loro trasformazione in “contratti”, sia pure di tipo particolare, che permettono ai “contraenti” di pretendere e ottenere il rispetto degli impegni presi, e, quando necessario, di partecipare alla loro ridefinizione. Per un empowerment delle comunità locali Un effetto particolarmente negativo dell’approccio top down finora prevalentemente utilizzato, è la progressiva emarginazione delle comunità locali, trattate, erroneamente, come meri “bacini di utenza” invece che come “attori sociali” (Nicoli et al., 2010). Le promesse non mantenute, l’adozione di provvedimenti mal comunicati e, spesso, contraddittori, le riduzioni, la soppressione di presidi storici senza misure compensative, hanno provocato un senso di abbandono e di impotenza. L’unica forma di interlocuzione possibile è rimasto il conflitto, subito stigmatizzato come mera protesta corporativa, ignorando il valore simbolico dei presidi ospedalieri, fondati e sostenuti con lasciti testamentari e con altre risorse per garantire l’assistenza per i membri disagiati delle comunità. Nel mondo della “medicina segmentata”, inoltre, “l’ospedale rappresenta il luogo dove meglio vengono messe a punto le informazioni riguardo al paziente (intensività del rapporto, continuità dell’osservazione, disponibilità di strumentazione, ecc.) (Trabucchi, pag. 50). Le forme tradizionali della rappresentanza non sono adatte a sostenere il passaggio e le Conferenze dei Sindaci stentano ad avere un ruolo forte rispetto alle Aziende Sanitarie e ai Distretti (Agenas, 2011). Resta indispensabile, però, costruire patti che restituiscano alle comunità poteri e responsabilità per il proprio futuro. Una ricerca di Agenas ha rilevato un numero, ridotto ma significativo, di esperienze di empowerment volte a sviluppare “processi/strumenti di governo locale capaci di coinvolgere i cittadini e le organizzazioni nelle scelte in merito a problemi, bisogni, domande come, ad esempio, i Patti di solidarietà o i Forum dei cittadini, gli strumenti di programmazione strategica.” (Caracci e Carzaniga, 2010, pp. 14–16). Lo studio delle esperienze rilevate nell’anno europeo dell’invecchiamento attivo, inoltre, fa emergere una capacità della cittadinanza attiva di “riempire” la terra di nessuno con iniziative di sussidiarietà, come le reti di anziani attivi capaci di veicolare informazioni dalle istituzioni ai cittadini e viceversa, di istituire centri di socializzazione, informa- Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA zione e di consulenza, di garantire l’accompagnamento dei soggetti fragili, ecc. (ACN, 2011). La comunità locale, infine, è l’ambito in cui si spendono concretamente le risorse dei professionisti, degli enti locali e di molti altri attori. È doveroso quindi sviluppare forme di governance capaci di riconoscere questo insieme di risorse. Una strada potrebbe essere la rivisitazione dei piani di zone della legge 328/00 o delle Conferenze dei Servizi del Dpcm del 19/5/95. In un caso e nell’altro si dovrebbero garantire: - una lettura dell’offerta sanitaria, condotta con gli strumenti, ormai consolidati, della valutazione civica (Terzi et al, 2010), volta a fare emergere soprattutto gli aspetti “nascosti” dell’offerta sanitaria (domiciliarità, centri di riferimento per le cronicità, accessibilità dei servizi di emergenza), considerati dal punto di vista del territorio; - la definizione di piani di azione condivisi e cogenti per tutti gli attori, non modificabili unilateralmente; - la verifica periodica e l’aggiornamento dei piani di azione stessi. Il percorso può sembrare troppo complicato e impegnativo ma, in una stagione come quella che stiamo vivendo, è difficile pensare a qualcosa di meno se davvero si vuole ricostruire un rapporto di fiducia con i cittadini e con le comunità locali. Chi considera questo problema di scarsa rilevanza dovrebbe sentire l’obbligo di indicare strade diverse effettivamente percorribili che non siano quelle Febbraio 2014 di affidare a chi sa quale modello il magico potere di risolvere, da solo, ogni problema. Piccola nota conclusiva L’impianto normativo necessario per procedere nelle direzioni indicate esiste o, al massimo, richiede pochi ritocchi. Quello che manca sono politiche chiare, trasparenti e verificabili e sistemi intelligenti di controllo che premino effettivamente i migliori (lasciando ad essi la dovuta libertà di azione) e favoriscano il tempestivo intervento nei casi di inattività e incompetenza. La difficoltà a procedere in questo senso è un male antico dell’amministrazione italiana che la legislazione, da sola, non riesce a risolvere, come ha dimostrato ampiamente l’esperienza. Allora, probabilmente, è inutile perdere altro tempo intorno a nuovi modelli. È meglio lavorare a soluzioni, come quelle indicate, che facciano spazio a chi può portare risorse, a partire dai cittadini. Letture consigliate - Active Citizenship network (ACN), Fondaca – Patients’ rights in Europe: Civic information on the implementation of the European Charter of Patients’ Rights – January 2007. http://www.activecitizenship.net/ images/stories/DOCS/monitoring/ Patients%20Rights%20Report%20 final-eng.pdf - Active Citizenship network (ACN), Fondaca (2012) – Active Ageing in practice! Experience of Civic engagement in Health policies – Brussels, 2011. http://www.activecitizenship.net/files/take_action/ active_ageing_eu_policy.pdf - Active Citizenship network (ACN), Fondaca (2012) – The patient’s involvement in health policies in Europe. http://www.cittadinanzattiva.it/editoriale/europa/4974-7ma-giornataeuropea-dei-diritti-del-malato.html - Agenas – Il sistema sanitario e l’empowerment – Quaderno di Monitor n. 6/2010, Roma - Agenas - La rete dei distretti sanitari in Italia – Quaderno di Monitor n. 8/2011, Roma - Caracci G, Carzaniga S. I risultati della ricerca Agenas. Definizione, modello di analisi, strumenti di rilevazione ed esperienze significative di empowerment in sanità – in Quaderno di Monitor n.6/2010. - Cittadinanzattiva – VI Rapporto Audit civico – Il sistema sanitario visto dai cittadini - Roma 2010 . http://www.cittadinanzattiva.it/progetti-salute/audit-civico/rapportie-documenti-audit-civico/rapportinazionali-audit-civico.html - NICE - National Institute for Health and Clinical Excellence - Patient and Public involvement policy – 2012. -http://www.nice.org.uk/getinvolved/patientandpublicinvolvement/ patientandpublicinvolvementpolicy/ patient_and_public_involvement_ policy.jsp - Nicoli MA et al. Empowerment di comunità: gli orientamenti in regione Emilia Romagna in Monitor 2010, cit. - Terzi A, Tanese A, Lamanna A. L’Audit civico in sanità: una espressione della cittadinanza attiva– Mecosan n.74/2010, pagg. 129–151. - Trabucchi M. L’ammalato e il suo medico. Il Mulino, Bologna 2009. 49 I QUADERNI DI ACCADEMIA LE AREE MODELLO DELLA CRONICITÀ OSPEDALE-TERRITORIO La broncopneumopatia cronica ostruttiva di Germano Bettoncelli * L’ Organizzazione delle Nazioni Unite nel 2011 ha affermato che le malattie croniche non trasmissibili sono la grande priorità di salute di quest’ultimo decennio. Anche secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) le malattie croniche rappresentano una minaccia globale che comprende, non solo i tumori, le malattie cardio-vascolari e il diabete, ma anche le malattie respiratorie croniche, tra le quali nel mondo occidentale la più importante è la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). Le malattie respiratorie croniche colpiscono milioni di persone, di tutte le età, in tutto il mondo, soprattutto nei paesi meno sviluppati, causando, secondo l’OMS, circa 4 milioni di morti ogni anno. L’OMS negli anni recenti ha affermato che l’epidemia di malattie croniche può essere affrontata solo attraverso adeguate politiche di prevenzione e con il tempestivo trattamento delle patologie già in atto. La BPCO è tra queste patologie una delle più rilevanti, con una preoccupante tendenza alla crescita sia in termini di morbilità sia di mortalità, al punto che da qui al 2030 essa potrebbe divenire la terza causa di morte. Ciò nonostante la BPCO oggi è considerata una malattia prevenibile e curabile ed è possibile, quanto meno, rallentarne l’evoluzione. Nell’ambito della nuova organizzazione delle cure primarie è essenziale il passaggio da un modello basato sulla malattia a un modello che sia centrato sul paziente con broncopneumopatia cronica ostruttiva La causa principale della BPCO è il fumo di sigaretta e si stima che dal 15 al 50% dei fumatori svilupperà una BPCO nel corso della propria vita. Altri inquinanti ambientali, domestici e lavorativi, possono inoltre svolgere un ruolo importante come fattori patogenetici. matoria dell’apparato respiratorio, caratterizzata da un’ostruzione bronchiale che determina un progressivo declino della funzionalità polmonare. Tale compromissione viene percepita dal paziente sotoria, che si manifesta dapprima sotto sforzo e successivamente anche a riposo. Si tratta di una condizione cronica nella quale l’o- struzione bronchiale di solito non è reversibile o può esserlo solo parzialmente. Nel corso della malattia possono di riacutizzazione, caratterizzati dall’aumento di frequenza e intensità dei sintomi abitualmente presenti. Tali eventi non raramente sono causa di ricovero ospedaliero, talora anche in unità di terapia respiratoria intensiva. Sebbene il numero degli episodi di riacutizzazione vada aumentando con la gravità della malattia, anche una BPCO ancora in fase moderata (VEMS ≥50% del predetto) può presentare una certa ricorrenza di tali evenienze. La frequenza delle esacerbazioni condiziona in modo proporzionalmente negativo il decorso della malattia, la qualità della vita e la prognosi quoad vitam. L’azione del SSN per il controllo della BPCO deve svilupparsi attraverso le seguenti direttrici: 1. prevenzione dello sviluppo della BPCO attraverso una decisa riduzione del numero di fumatori; 2. tempestiva e accurata diagnosi della BPCO attraverso una maggior sensibilizzazione di tutti gli operatori sanitari e un utilizzo più diffuso dei test spirometrici; 3. incoraggiamento e sostegno al paziente nell’auto-gestione della propria malattia; * Responsabile Nazionale Area Pneumologica, SIMG – Società Italiana Medicina Generale, Firenze 50 Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA Secondo l’OMS il modo più efficace oggi praticabile per far fronte all’impatto sociale delle più importanti patologie croniche, consiste in un maggior utilizzo dei principi e dei metodi di approccio caratteristici della primary care. In particolare tali modelli sono applicabili alle patologie fumo-correlate e in generale alla malattie respiratorie croniche, poiché la maggior parte delle consultazioni per questi problemi avviene proprio nel setting della Medicina Generale. Al medico di medicina generale (MMG) compete quindi la presa in carico globale del paziente con BPCO, a cominciare dall’intervento di prevenzione primaria sull’abitudine tabagica. Tale azione si deve realizzare attraverso la sistematica registrazione del dato fumo nella cartella di tutti gli assistiti, nel consiglio elargito ai non fumatori, in particolare nella fascia adolescenziale, nel minimal advice fornito a tutti i fumatori secondo il modello delle 5A, eventualmente nell’invio ai centri antifumo di 2° livello e infine nel supporto agli ex fumatori affinché persistano nel mantenersi tali. La diagnosi precoce rappresenta un momento fondamentale della prevenzione secondaria, in grado di condizionare in modo determinante il successivo decorso della malattia. Il MMG si trova nella miglior condizione per formulare il sospetto di BPCO, grazie alla conoscenze che gli derivano dai frequenti contatti con tutti i suoi pazienti e con i loro familiari. Va posto il sospetto di malattia in presenza di sintomi caratteristici quali tosse e catarro cronici e/o Febbraio 2014 dispnea, insorti in soggetti con fattori di rischio, quali fumo di tabacco, esposizioni lavorative, inquinamento domestico o ambientale. Il sospetto di malattia va quindi verificato attraverso l’esecuzione di un esame spirometrico che, oltre a confermare la diagnosi è necessario anche per stadiare la gravità della malattia. Sebbene la formulazione del sospetto di malattia e la successiva conferma diagnostica spirometrica non comportino nella maggior parte dei casi particolari difficoltà, in tutto il mondo la BPCO rimane una patologia ancora ampiamente sottodiagnosticata. Nel nostro Paese, a fronte di una stima di prevalenza del 5–6%, nel principale database della Medicina Generale italiana, Health Search, la prevalenza della BPCO al 31-12-2012 non superava il 2,9% (Figura 1). Inoltre queste diagnosi sono accompagnate dalla richiesta di un esame spirometrico solo nel 56%. Quasi la metà di esse pertanto potrebbe essere posta oggettivamente in discussione. Pur senza voler qui ulteriormente approfondire le cause che spiegano questi dati, anomali anche rispetto all’anda- mento delle altre principali condizioni di cronicità, va detto che esse risiedono probabilmente sia nei medici sia nei pazienti. Per ovviare al fatto che, ancora oggi, non pochi pazienti ricevono una prima diagnosi di malattia in occasione dell’accesso in pronto soccorso per l’esacerbazione di una BPCO già in avanzato stadio di gravità, è indispensabile che il MMG adotti una nuova strategia di popolazione basata su una vera medicina d’iniziativa. Con questo si intende un modello di gestione delle malattie croniche che punti a superare quello – ancora prevalente – di una medicina d’attesa adatta soprattutto alle patologie acute. Un modello che sia in grado di intercettare il bisogno di salute anticipando, per quanto possibile, l’insorgere della malattia, o che comunque punti a intervenire prima che essa si manifesti o si aggravi, che ne rallenti il decorso, garantendo al paziente interventi adeguati e personalizzati in rapporto al livello di rischio. A livello territoriale, il modello di riferimento per l’implementazione di questo nuovo concetto di assistenza, è quello del chronic care Figura 1 - Prevalenza BPCO anni 2003–2012 6 5 Prevalenza % 4. promozione della gestione integrata dell’assistenza ai pazienti con BPCO, centrata sulle cure primarie e con il coinvolgimento di quelle specialistiche e di tutti gli altri operatori interessati. 4 3 2 1 0 Maschi Femmine Totale 2003 2,8 1,5 2,1 2004 3,0 1,6 2,2 2005 3,2 1,8 2,4 2006 3,3 1,9 2,6 2007 3,4 2,1 2,7 2008 3,5 2,2 2,8 2009 3,5 2,2 2,8 2010 3,5 2,3 2,9 2011 3,5 2,3 2,9 2012 3,5 2,3 2,9 Dati Health Search al 31-12-2014 51 I QUADERNI DI ACCADEMIA model (Prof. Wagner del Mac-Coll Institute for Healthcare Innovation) che si caratterizza per una serie di elementi la cui combinazione dà come risultato: l’interazione efficace tra un paziente divenuto esperto mediante opportuni interventi di informazione e di educazione e un team assistenziale multi-professionale, a composizione variabile, composto da medico di famiglia, infermieri e altre figure professionali (operatore socio-sanitario, dietista, fisioterapista, specialista di riferimento). Sotteso a questi concetti è il passaggio da un modello assistenziale orientato essenzialmente alla malattia a uno centrato sul paziente con BPCO. Di conseguenza, dal perseguire un obiettivo di compliance, condizione essenzialmente di tipo passivo, a uno di adherence, che coinvolge il paziente in maniera più attiva e consapevole. L’aderenza del paziente con BPCO inizia dalla consapevolezza della propria condizione clinica, implica la comprensione del razionale della terapia prescritta, la sua corretta e regolare assunzione, l’adozione di uno stile di vita adeguato, il rispetto del programma di follow-up pianificato insieme al medico. Purtroppo vi è ampia letteratura che evidenzia come l’aderenza terapeutica dei pazienti con patologie croniche, in generale, non superi il 50% dell’atteso e ciò accade anche per quanto riguarda la BPCO. Ancora i dati di Health Search ci mostrano che il 48% dei pazienti con diagnosi di BPCO non riceve nessun trattamento farmacologico o, nella migliore delle ipotesi lo assume in maniera discontinua. Negli ultimi anni sono stati effettuati straordinari progressi nel campo delle terapie per le patologie respiratorie ostruttive, così disponiamo oggi di farmaci potenti ed efficaci, utilizzabili a bassi dosaggi grazie alla loro azione topica e quindi con scarsi effetti avversi. Questi 52 vantaggi sono però attenuati dalla necessità di assumere le molecole attraverso i relativi devices, i quali, pur essendo sempre più evoluti nel senso della semplificazione e richiedendo ancora un minimo di abilità da parte del paziente, comportano qualche difficoltà nel caso che questi sia anziano. Per questo si raccomanda che a ogni incontro il medico verifichi, chiedendone la dimostrazione pratica, se l’utilizzo dei farmaci prescritti è corretto. Il trattamento deve essere impostato in funzione dello stadio di gravità del paziente e per questo la conoscenza del dato spirometrico è indispensabile. Verosimilmente, sulla scorta del basso numero di spirometrie richieste dai MMG, in buona parte i trattamenti vengono ancora prescritti in modo del tutto empirico. È pur vero che recentemente, anche nelle più referenziate linee guida, si è venuto affermando il bisogno di un inquadramento del paziente basato non solo sul dato funzionale respiratorio, ma esteso alla sua globalità e complessità, quindi all’intensità dei sintomi, alle patologie concomitanti, alla frequenza e al rischio di riacutizzazioni. Un approccio, in fondo, piuttosto vicino a quello tradizionale, olistico, del MMG. Anche gli obiettivi terapeutici non dovrebbero tener conto esclusivamente degli intendimenti del medico ma, in funzione della maggior adesione del paziente, andrebbero modulati sulle sue aspettative e in funzione del tipo di vita che egli intende condurre. Non è raro infatti che, anche a parità del dato funzionale respiratorio, i medici possano trovarsi al cospetto di soggetti affatto diversi per condizioni generali di salute, tolleranza allo sforzo, stile di vita e programmazione della stessa. In tale contesto la gestione della terapia necessita di una maggiore flessibilità rispetto agli schemi più rigidi proposti in passato, con un atteggiamento da parte del medico favorevole ad accompagnare il paziente in un precorso che renda i limiti imposti dalla malattia più accettabili. Anche nelle sue fasi più avanzate, quelle dell’insufficienza respiratoria che richiede la somministrazione di ossigeno per molte ore al giorno o l’utilizzo di ausilii meccanici per la respirazione. Fino alle fasi della terminalità, condizione per la quale deve ancora meglio svilupparsi Figura 2 - BPCO Bronchite Enfisema 1 11 2 5 3 4 8 6 Ostruzione al flusso 7 12 Asma Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA e diffondersi una cultura medica in grado di applicare i criteri della palliazione ai pazienti cronici non neoplastici. La BPCO è una malattia complessa, in parte non ancora del tutto conosciuta, secondo alcuni un’insieme di più condizioni, come ci ricorda il cosiddetto diagramma non proporzionale di Venn (Figura 2). A tale complessità si aggiunga la frequenza con cui, nello stesso paziente, essa si accompagna ad altre condizioni patologiche, con le quali interferisce e dalle quali viene condizionata nelle manifestazioni cliniche, nelle interferenze farmacologiche, negli esiti della qualità di vita e nella prognosi. È evidente che se al MMG si richiede una presa in carico globale non solo del singolo paziente BPCO, ma di tutti i pazienti BPCO presenti nella popolazione dei suoi assistiti, preliminarmente vanno definiti gli obiettivi assistenziali in funzione delle risorse disponibili. Ciò presuppone l’individuazione di un percorso di cura praticabile da tutti gli operatori sanitari a vario titolo coinvolti, condiviso al cospetto delle istituzioni locali e regionali e delle associazioni dei pazienti. In questa prospettiva la definizione dei rispettivi ruoli, induce precisi profili di responsabilità, mentre dagli obiettivi assistenziali stabiliti deriva la messa a punto del necessario sistema di indicatori di rilevazione e di monitoraggio. In tale contesto, di quale modello organizzativo deve dotarsi la Medicina Generale? Oggi tale risposta non è per nulla scontata in presenza di (per altro pochi) Sistemi Febbraio 2014 Sanitari regionali radicalmente differenti tra di loro, i più datati dei quali, seppur ancora relativamente recenti, cominciano solo ora a produrre i primi dati di esito. Ma se vi sono profonde differenze tra il modello della Regione Lombardia basato sui CReG e ad esempio quello della Regione Toscana basato sui principi del chronic care model, è indubitabile che le esigenze dei pazienti e quindi gli obiettivi assistenziali, dovrebbero essere simili ovunque. Così come è evidente che i risultati della Medicina Generale saranno in funzione dell’organizzazione di cui dispone il medico nel proprio ambito di lavoro. Sebbene non vi siano ancora molti dati che documentino esiti migliori nelle forme associative della medicina di famiglia rispetto chi opera in singolo, è verosimile che, in obbedienza al Decreto Balduzzi, la maggior parte dei MMG si orienterà in tal senso. In tale contesto potrebbero emergere medici con particolari competenze su specifiche materie (capaci ad esempio di effettuare un counselling più strutturato per la disassuefazione tabagica o una spirometria di primo livello) che potrebbero essere messe a disposizione dei pazienti degli altri colleghi. L’informatizzazione degli studi medici costituisce una realtà ormai generalizzata, non tanto perché obbligatoria, ma anche perché irrinunciabile sia per motivi clinici sia burocratici. Il controllo degli assistiti in termini di fattori di rischio per la BPCO, verifica della correttezza diagnostica e della stadiazione con spirometria, adeguatezza delle prescrizioni e soprattutto adesione al piano di cura, vaccinazioni profilattiche e altro ancora, richiedono non solo una cartella clinica informatizzata, ma anche strumenti elettronici di supporto. La messa in rete dei dati della propria attività è importante non solo per il controllo degli indicatori assistenziali predefiniti, ma anche come premessa per il processo di audit clinico, uno tra gli strumenti più evoluti di formazione medica. Vi sono buoni esempi dell’efficacia di tali reti nell’ambito dei processi di clinical governance realizzati in alcune aree. Una delle maggiori necessità della primary care è la presenza sul territorio di un numero di infermieri adeguato alle reali necessità, ovvero agli obiettivi assistenziali. Si stima che nel nostro Paese vi sia un fabbisogno di 15-20.000 infermieri adeguatamente formati per l’assistenza extraospedaliera. Si tratta di professionisti che dovrebbero agire di concerto con il MMG operando secondo ampi mandati piuttosto che per compiti specifici. Il loro campo d’azione principale deve essere la cronicità e, per quanto riguarda le malattie respiratorie e la BPCO in particolare, dovrebbero presidiare settori strategici come la prevenzione, l’individuazione dei soggetti a rischio, la verifica degli accertamenti diagnostici programmati, l’educazione terapeutica, l’adesione alle campagne vaccinali (antinfluenzale e antipneumococcica). Non sarà possibile un reale trasferimento delle cure dall’ospedale al territorio senza l’inserimento massiccio di tali figure accanto al MMG. 53 I QUADERNI DI ACCADEMIA LE AREE MODELLO DELLA CRONICITÀ OSPEDALE-TERRITORIO Il banco di prova della malattia diabetica e dell’aspettativa di vita per i pazienti. Il motivo epidemiologico è ben documentato; l’inarrestabile aumento nella prevalenza del diabete in Italia, dettato dall’aumentata prevalenza di obesità e dal progressivo invecchiamento della popolazione, ha raggiunto livelli di vera epidemia, particolarmente in alcune Regioni italiane. L’Osservatorio ARNO-Diabete ha tracciato la prevalenza della malattia sulla base delle prescrizioni dei farmaci ipoglicemizzanti in una coorte di circa 11 milioni di persone in varie Regioni italiane; si è passati da una prevalenza intorno al 3% nel 1997 a valori ormai prossimi al 6% nel 2012. In termini pratici, considerando anche l’aumento totale della popolazione, quest’aumentata prevalenza si traduce in un aumento del numero totale delle persone di persone negli ultimi 15 anni. La prevalenza della malattia è poi particolarmente elevata nella classi di La suddivisione e la integrazione dei ruoli professionali per le cure primarie deve essere raggiungimento di obiettivi che riguardano tutto il processo della prevenzione, diagnosi e cura del diabete valori prossimi al 20% nella popolazione di età maggiore di 65 anni. Ovviamente, anche il costo totale della malattia per il SSN è aumentato sensibilmente e circa il 10% viene oggi speso per le persone con diabete. Il costo totale diretto di ogni persona con diabete si aggira oggi intorno a € 3000, un valore doppio rispetto al costo di una persona senza diabete. Questo costo risulta dalla somma della spesa farmaceutica (circa € 1000), la spesa per servizi (circa € 500) e la spesa per ricoveri ospedalieri (circa € 1500). Solo il 22–23% della spesa farmaceutica è assorbita (7–8% della spesa totale), segno Figura 1 - Prevalenza del diabete farmaco-trattato per fasce di età e sesso e spesa per antidiabetici 20 18 16 14 12 10 8 6 4 2 0 600,00 500,00 400,00 300,00 200,00 100,00 0–19 20–34 35–49 50–64 Classi di età 65–79 ≥80 Spesa media per trattato (€) L e ragioni che fanno del diabete una patologia di primaria importanza per la Sanità italiana sono molteplici. Il diabete è patologia ad alta prevalenza accompagnata dalla facile tracciabilità, dall’alto costo, dalla complessità della patologia che richiede l’intervento di molteplici attori, dall’importanza delle complicanze che si traducono in una * Prevalenza di Giulio Marchesini Reggiani 0,00 Prevalenza di diabete farmaco-trattato M Spesa per trattato M Prevalenza di diabete farmaco-trattato F Spesa per trattato F * Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Bologna 54 Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA della complessità della patologia che richiede molteplici interventi anche farmacologici. Ovviamente, la spesa pro-capite diminuisce all’aumentare dell’età, dal momento che è di molto inferiore per gli ipoglicemizzanti orali, usati nel diabete tipo 2, rispetto alla terapia insulinica che è unico trattamento del diabete tipo 1 nella popolazione giovanile. Anche il rischio per i ricoveri ospedalieri aumenta con l’età: un’analisi dei dati ARNO documenta un rischio aumentato per varie patologie nella popolazione con diabete, fino a valori aumentati di 8–10 volte per le amputazioni. A questo si aggiunga il peso sanitario del diabete nella popolazione ospedaliera, ove una percen- tuale di soggetti prossima al 40% presenta alterazioni della glicemia che devono trovare trattamento e continuità ospedale-territorio. In questo panorama si pongono le molteplici azioni e attività regolatorie condotte in questi anni per regolare l’accesso alle cure nel diabete, frutto di un’intensa attività svolta dalle associazioni dei pazienti e variamente recepita dagli organi istituzionali. Dalla dichiarazione di Saint-Vincent del 1986 e la successiva legge 115, attraverso varie tappe che hanno visto nei progetti regionali di assistenza integrata la progressiva integrazione tra medici di Medicina Generale (MMG) e Centri Specialistici (CS), si è giunti nel 2012 alla promulgazione del Piano Nazionale Diabe- Tabella 1 - Rischio di ospedalizzazione nel diabete per varie patologie Patologia responsabile del ricovero OR 95% CI lnfarto miocardico 1,85 1,77-1,92 Ictus ischemico 2,07 1,96-2,18 Amputazione 8,77 7,16-10,75 Scompenso cardiaco 2,48 2,40-2,58 Aritmia 1,49 1,45-1,53 Complicanza renale 2,82 2,73-2,91 Neuropatia 3,77 3,55-4,00 Complicanza oculare 1,74 1,70-1,79 Malattia infettiva 1,87 1,83-1,90 ARNO Diabete 2010 - Bruno et al; NMCD 2011 Tabella 1 - La suddivisione dei ruoli nella cura del diabete Cure primarie - Medici di Medicina Generale → Prevenzione e promozione stili di vita sani → Diagnosi precoce → Gestione integrata Team diabetologico - Specialista diabetologo → Diabete tipo 1 - Gravidanza diabetica → Prevenzione e cura complicanze → Fasi di scompenso e di ricovero Febbraio 2014 te (PND), punto di riferimento di ogni possibile condivisione di futuri accordi terapeutici. Il PND indica chiaramente la necessità di un nuovo disegno reticolare e multicentrico orientato alla gestione dei pazienti con patologia a lungo termine, nel quale essi possano circolare attraverso specifici percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (PDTA) integrati e personalizzati, in rapporto al grado evolutivo della patologia, alla complessità assistenziale e ai bisogni del paziente, senza una delega schematica a una o all’altra figura professionale, ma con una interazione dinamica dei vari attori. In questo si riconosce la necessità che ogni Regione strutturi tale disegno sulla base di scelte che tengano in conto la storia, il territorio, i servizi, il potenziale esistente e i limiti di ogni territorio. Il PND riafferma la centralità della persona con diabete come risorsa del sistema, il ruolo delle associazioni di volontariato come rappresentanti dei bisogni sanitari e sociali, attribuendo ruoli specifici ai diversi attori. La suddivisione dei ruoli è finalizzata al raggiungimento di obiettivi che riguardano tutto il processo della prevenzione, diagnosi e cura della malattia diabetica, e in particolare: - obiettivo 1: migliorare la capacità del SSN nell’erogare e monitorare i servizi, attraverso l’individuazione e l’attuazione di strategie che perseguano la razionalizzazione dell’offerta e che utilizzino metodologie di lavoro basate soprattutto sull’appropriatezza delle prestazioni erogate; - obiettivo 2: prevenire o ritardare l’insorgenza della malattia identificando precocemente le persone a rischio e quelle con diabete; favorire adeguate politiche di intersettorialità per la 55 I QUADERNI DI ACCADEMIA epidemiologica finalizzate alla programmazione e al miglioramento dell’assistenza, per una gestione efficace ed efficiente della malattia; - obiettivo 8: aumentare e diffondere le competenze tra gli operatori della rete assistenziale favorendo lo scambio continuo di informazioni per una gestione efficace ed efficiente, centrata sulla persona; - obiettivo 9: promuovere l’appropriatezza nell’uso delle tecnologie; - obiettivo 10: favorire varie forme di partecipazione, in particolare attraverso il coinvolgimento di associazioni di persone con diabete rappresentative a livello regionale, sviluppando l’empowerment delle persone con diabete e delle comunità. In questo processo comune di miglioramento dell’assistenza, appare evidente sia il ruolo fondamentale del MMG nella prevenzione e nella diagnosi precoce, sia la necessità di corretti e tempestivi trattamenti nei momenti cardinali dello sviluppo della malattia. Una serie di studi condotti negli ultimi anni ha infatti documentato la fondamentale importanza della precoce popolazione generale e a rischio e per le persone con diabete; - obiettivo 3: aumentare le conoscenze circa la prevenzione, la diagnosi il trattamento e l’assistenza, conseguendo, attraverso il sostegno alla ricerca, progressi di cura, riducendo le complicanze; - obiettivo 4: rendere omogenea l’assistenza, prestando particolare attenzione alle disuguaglianze sociali e alle condizioni di fragilità e/o vulnerabilità socio-sanitaria sia per le persone a rischio sia per quelle con diabete; - obiettivo 5: nelle donne diabetiche in gravidanza raggiungere outcomes materni e del bambino equivalenti a quelli delle donne non diabetiche; promuovere iniziative finalizzate alla diagnosi precoce nelle donne a rischio; assicurare la diagnosi e l’assistenza alle donne con diabete gestazionale; - obiettivo 6: migliorare la qualità di vita e della cura e la piena integrazione sociale per le persone con diabete in età evolutiva anche attraverso strategie di coinvolgimento familiare; - obiettivo 7: organizzare e realizzare le attività di rilevazione correzione della alterazioni metaboliche. Sia nel diabete tipo 1 (risultati dell’estensione dello studio Diabetes Control and Complication Trial – DCCT), sia nel diabete tipo 2 (estensione dello studio UK Prospective Diabetes Study – UKPDS) hanno messo in evidenza che il mancato raggiungimento di un ottimale controllo metabolico nelle prima fasi di malattia viene pagato con un aumento delle complicanze, indipendentemente dal raggiungimento a distanza di un buon controllo metabolico. Si è così sviluppato il concetto che le alterazioni metaboliche debbano essere aggredite in modo appropriato ed efficace, per contrastare la “memoria metabolica” fin dal momento della diagnosi, evitando atteggiamenti di inerzia terapeutica da parte del MMG – e anche da parte dello specialista. Purtroppo, i dati degli Annali AMD rilevano che un numero elevato di pazienti con diabete mantiene livelli di emoglobina glicata ben al di sopra dei target terapeutici accettati. Ugualmente, nei dati ARNO si rileva una scarsa aggressività terapeutica anche in soggetti con diabete ad alto rischio di complicanze, trattati in modo insufficiente con le diverse Figura 2 - Annali AMD. Indicatori di esito intermedio 100 100 Soggetti con HbA1C ≤7 90 90 80 80 70 70 60 60 50 40 22,5±19,2 23,9±17,0 24,4±14,8 50 23,1±14,0 30 20 20 25,6±15,1 0 24,8±15,8 23,7±14,4 24,9±20,9 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 27,6±19,2 24,0±17,9 40 30 10 Soggetti con HbA1C ≥7 2011 21,6±14,8 22,7±14,6 10 0 2004 2005 2006 2007 21,4±12,9 21,6±12,9 22,6±14,2 26,0±19,0 2008 2009 2010 2011 Percentuale di soggetti con diabete a target (HbA1C ≤7%) e con scompenso metabolico (HbA1C ≥9%) nel corso degli anni nelle diverse strutture diabetologiche 56 Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA categorie di farmaci attivi sul rischio cardiovascolare. Il PND ha lo scopo di indirizzare verso un sistema che realizzi tale integrazione, con una progressiva transizione verso un modello “reticolare” pluricentrico, che persegua PDTA condivisi e centrati sui bisogni della persona affetta da diabete. Il sistema deve tenere conto delle realtà locali, con l’obiettivo di organizzare una rete che integri i MMG, capillarmente presenti sul territorio (assistenza primaria), con i team diabetologici (cure specialistiche), eventualmente raccordati con centri regionali di alta specializzazione. La maggior parte dei costi del diabete deriva dai ricoveri per le complicanze. Lo sforzo, quindi, deve mirare soprattutto a prevenirli, ricorrendo alla “medicina d’iniziativa” e a un “follow-up proattivo”, sia da parte dei MMG sia dei team diabetologici, attraverso strumenti che garantiscano un monitoraggio continuo dei pazienti in tutte le fasi della malattia e di intraprendere azioni correttive precoci ogniqualvolta i parametri metabolici escono dal “range obiettivo” definito per ciascun paziente sulla base di criteri condivisi. In questa prospettiva anche la struttura specialistica deve spostare progressivamente il proprio livello di produzione quanto più possibile verso formule di gestione ambulatoriale o di day-service. Partendo da un’idonea stadiazione dei pazienti, il sistema deve attivare PDTA personalizzati, differenziati in rapporto al grado di complessità Febbraio 2014 della malattia nel singolo individuo e ai suoi specifici fabbisogni, indirizzando i casi più complessi verso programmi di cura che contemplino un follow-up specialistico più intensivo e quelli meno complessi verso una gestione prevalente, da parte del MMG/PLS. Tutti i pazienti, sin dal momento della diagnosi, devono essere inseriti in un processo di “gestione integrata”, in cui MMG/PLS e centri di diabetologia partecipano alla definizione del PDTA e alla definizione e verifica degli obiettivi terapeutici. Il modello specifico può essere diverso nelle diverse Regioni (CREG, Case della Salute, ecc.); quello che non può mancare è l’aderenza a un modello di riferimento generale come dettato dal PND. In questo complesso panorama si inserisce anche l’innovazione terapeutica, che ha portato nel trattamento del diabete nuove classi di farmaci (incretino-mimetici, sia DPP4-inibitori, sia GLP1-agonisti, ma presto anche glifozine) e nuove formulazioni dell’insulina, che possono contribuire efficacemente al miglioramento del compenso metabolico. I nuovi farmaci sono stati ad oggi regolati da precise disposizioni dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) per quanto riguarda la rimborsabilità, inseriti in un monitoraggio sistematico per valutarne l’appropriatezza prescrittiva e la sicurezza nella pratica clinica e limitandone la prescrivibilità ai soli Centri Specialistici. Questo ha portato finora a un loro uso contenuto in una piccola percentuale di pazienti (inferiore al 10% di tutti i casi con diabete tipo 2), limitando l’aumento del costo della malattia che si realizzerebbe in presenza di un utilizzo più diffuso. Evidentemente, alcuni di questi farmaci si situano nella fascia di pazienti condivisi tra MMG e CS, e il loro uso richiede una rivalutazione alla luce del PND. Le nuove regole dettate da AIFA all’inizio dell’anno hanno lasciato largamente insoddisfatti sia i medici, sia le associazioni del pazienti, sia le aziende produttrici. Si va tentando una fenotipizzazione del paziente con diabete, basata su rilievi clinici, biochimici e fisiopatologici, per definire criteri di applicazione di algoritmi terapeutici in grado di migliorare il controllo metabolico e ridurre l’incidenza e la gravità delle complicanze, garantendo al tempo stesso la sostenibilità del sistema. Evidentemente, “la complessità della medicina moderna si esprime attraverso la molteplicità dei problemi assistenziali posti da pazienti per bisogni ed esigenze sempre meno di pertinenza di singole specialità e sempre più spesso legati a risposte multi-specialistiche e multi-professionali. Di fronte al carico assistenziale delle patologie cronico-degenerative – di cui il diabete è il paradigma – l’elemento critico ai fini di una buona qualità dell’assistenza è il coordinamento e l’integrazione tra servizi e professionalità distinte chiamati a intervenire nei diversi momenti di uno stesso percorso evolutivo” (Grilli-Taroni, Il Governo Clinico, 2006). 57 I QUADERNI DI ACCADEMIA LE AREE MODELLO DELLA CRONICITÀ OSPEDALE-TERRITORIO Le criticità legate alla cura dell’osteoporosi di Ovidio Brignoli * S formulata nel 1993 e accettata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’osteoporosi è una malattia che determina riduzione della massa ossea, fragilità dell’osso e un conseguente aumentato rischio di frattura. Le sedi tradizionalmente interessate sono il femore e le vertebre. I dati di seguito riportati si riferiscono al comportamento usuale di 32 MMG della provincia di Brescia dalle cartelle cliniche dei quali sono stati estratti alcuni dati riferiti all’osteoporosi. Descrizione popolazione Sono stati estratti i dati relativi agli assistiti di 32(+2) MMG, pari a 53.768 persone. Il 51,4% di sesso femminile, l’età media di 46,4 anni (DS=19,8). L’analisi è stata però limitata ai 33.105 soggetti di età ≥40 anni di cui il 52,6% di sesso femminile. Le caratteristiche generali della popolazione in analisi sono riportate in Tabella 1. Prevalenza osteoporosi e fattori di rischio La diagnosi dell’osteoporosi risultava essere stata eseguita per il 10,5% delle donne (1831) e per il 0,9% degli uomini (143). In entrambi i sessi si notava un chiaro aumento con l’aumentare dell’età (Tabella 2). Per la osteoporosi non esiste una vera continuità terapeutica tra medici di medicina generale e specialisti per una serie di motivi: mancata concordanza sulla tavola del rischio, la nota 79 e variabilità delle regole regionali A questo riguardo bisogna tener presente che non solamente vi è una sottostima diagnostica ma talvolta la diagnosi di osteoporosi non viene riportata sulla cartella elettronica pur in presenza di evento suggestivo (es. cuneizzazione vertebrale asintomatica). L’analisi logistica multivariata (Tabella 3) mostrava come nei 33.100 soggetti indagati la diagnosi di osteoporosi oltre a essere maggiormente presente nel sesso femminile (odds ratio, OR=10,9) e all’avanzare con l’età (OR=1,07 per ogni anno d’età) fosse anche associata in maniera statisticamente sipatologiche: trapianto (OR=6,1), malattie reumatiche (OR=4,0), ano- ressia (OR=2,8), malattie gastroenteriche (OR=1,7), malattie endocrine (OR=1,4) e per le donne la menopausa precoce (OR=3,1). Per malattie ematologiche e IRC non si notava alcuna associazione statistiL’aver utilizzato alcuni farmaci (Tabella 4) quali i cortisonici, gli ormoni tiroidei, i citostatici, la ciclosporina, i barbiturici, risultava essere in maniera statisticamente associata con la diagnosi di osteoporosi. In particolare per i cortisonici si nota un forte effetto dose-dipendente. Va però fatto rilevare che spesso l’utilizzo di tali farmaci è associato a patologie che sono esse stesse fattori di rischio per l’osteoporosi (per esempio cortisonici nelle malattie reumatiche o ematologiche), e che quindi è probabile un effetto di confondimento oltre che un’interazione tra malattia e uso del farmaco non correggibile tramite analisi logistica ma solo attraverso Fratture ossee Il 9,1% dei soggetti inclusi nell’analisi risultava avere avuto in precedenza almeno una frattura (3002 eventi) senza differenze statisti(9,4%) e femmine (8,8%), (p=0,07). La prevalenza dell’evento frattura aveva però una distribuzione diversa nei due sessi con l’avanzare dell’età (Tabella 6): stabile nei maschi ma in rapido aumento con * Vice Presidente SIMG – Società Italiana Medicina Generale, Firenze 58 Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA Tabella 1 - Caratteristiche generali della popolazione in analisi n. FUMO Totale assistiti 33.105 di cui femmine 17.409 52,6% Fumo registrato 21.470 64,9% Non fumatori IMC PATOLOGIE % 12.202 56,8% Ex fumatori 4083 19,0% Fumatori 5185 24,1% IMC registrato 20.230 61,1% Magrezza 609 3,0% Normopeso 7622 37,7% Sovrappeso 7882 39,0% Obesità 4117 20,4% Menopausa precoce 283 1,6% Diabete tipo 1 68 0,2% Osteoporosi Anoressia 46 0,1% IRC 677 2,0% Malattie endocrine 699 2,1% Malattie reumatiche 348 1,1% Malattie ematologiche 531 1,6% Malattie gastroenterologiche 2073 6,3% Trapianto 49 0,1% 3002 9,1% Fratture femore 184 0,6% Fratture vertebre 257 0,8% Fratture (tutte) l’avanzare dell’età nelle donne (p <0,0001). Nonostante tali differenze e tenendo conto del fattore età, la diagnosi di osteoporosi risultava fortemente associata a fratture sia nei maschi (OR=4,8; p <0,0001) sia nelle femmine (OR=2,6; p <0,0001). Oltre all’osteoporosi si riscontrava un’associazione positiva tra fratture con il fumo (OR=1,17; p=0,002) e l’IMC elevato (OR=1,01 per categoria p=0,006). Esame densitometrico Risultavano avere effettuato almeno un esame densitometrico 3005 assistiti, pari al 9,1% degli assistiti. Tra questi 1725 (57,4%) ne avevano eseguito uno solo, 651 due (21,6%), 314 tre (10,4%), fino a un massimo di 3 pazienti che ne avevano eseguiti 14. Per il 96% si trattava di donne (2890), infatti solo 115 erano i maschi che avevano eseguito tale esame. Per le donne la fascia d’età tra i 60–69 anni era quella in cui l’esame era stato eseguito da una percentuale più elevata (32,6%) (Tabella 7). Dei 3005 assistiti che risultavano avere effettuato almeno un esame densitometrico 1130 (37,6%) avevano diagnosi di osteoporosi, mentre 1875 no. Da notare che vi erano 844 soggetti con diagnosi di Tabella 2 Fasce d’età Donne 40–49 50–59 60–69 70–79 ≥80 Numerosità 4970 3311 2332 2057 1849 % con diagnosi del MMG in cartella 0,57% 4,69% 14,28% 22,73% 23,54% 4,4 12,8 26,5 41,3 40–49 50–59 60–69 70–79 ≥80 Numerosità 5132 4120 3402 2089 833 % con diagnosi del MMG in cartella 0,14% 0,41% 0,87% 2,58% 4,03% 11,8 14,1 17,9 18,3 % studio ESOPO Uomini % studio ESOPO Febbraio 2014 59 I QUADERNI DI ACCADEMIA Tabella 3 - Analisi logistica multivariata avente la diagnosi di osteoporosi quale variabile dipendente Variabili indipendenti Odds ratio IC 95% inf sup p Età (per anno) 1,07 1,067 1,075 <0,0001 Sesso (F vs M) 10,9 9,12 12,93 <0,0001 Trapianto 6,1 2,31 16,09 <0,0001 Malattie reumatiche 4,0 3,01 5,26 <0,0001 Anoressia 2,8 1,20 6,48 0,018 Malattie gastroenterologiche 1,7 1,44 2,05 <0,0001 Malattie endocrine 1,4 1,06 1,74 0,015 Malattie ematologiche 1,3 0,94 1,82 0,114 IRC 0,9 0,67 1,14 0,327 Menopausa precoce 3,1 2,19 4,29 <0,0001 osteoporosi (42,8%) per cui non era riportata l’esecuzione di alcun esame densitometrico e che dei 436 pazienti con frattura di femore e/o vertebra negli ultimi 5 anni solo 101 (23,2%) avevano eseguito un esame densitometrico. Va fatto inoltre rilevare che il numero di assistiti che aveva eseguito un esame densitometrico negli ultimi 5 anni era di 1880, mentre 968 l’avevano eseguito nei 2 anni precedenti. Terapia dell’osteoporosi Il consumo di farmaci è riportato nella Tabella 8. Dei 2678 soggetti Tabella 4 - Analisi logistica multivariata avente la diagnosi di osteoporosi quale variabile dipendente e l’utilizzo di alcuni farmaci quale variabile indipendente Odds ratio IC 95% p Inf Sup n. soggetti utilizzanti il farmaco Età (per anno) 1,1 1,1 1,1 <0,0001 Sesso (F vs M) 10,7 9,0 12,7 <0,0001 Clortalidone 1,2 0,8 1,8 0,33 282 Furosemide 0,9 0,8 1,1 0,39 2379 Idantoina 2,3 0,7 7,5 0,18 30 Barbiturici 0,5 0,3 0,9 0,02 213 Ormoni tiroidei 1,5 1,3 1,8 <0,0001 1214 Ciclosporina 6,5 2,8 15,1 <0,0001 42 Citostatici 1,7 1,1 2,5 0,013 216 Cortisonici ultimi 5 anni 0-4 prescrizioni 1,0 32.290 5-9 prescrizioni 1,7 1,3 2,4 0,001 475 10-19 prescrizioni 2,5 1,7 3,6 <0,0001 196 >20 prescrizioni 8,3 5,5 12,6 <0,0001 140 Tabella 6 - Percentuale soggetti con anamnesi di frattura Fasce d’età Donne Diagnosi del MMG in cartella Uomini Diagnosi del MMG in cartella 60 40–49 50–59 60–69 70–79 ≥80 4,3% 6,4% 9,3% 13,9% 16,9% 40-49 50-59 60-69 70-79 ≥80 9,2% 9,7% 8,9% 9,7% 10,2% Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA Tabella 7 - Percentuale di soggetti che hanno effettuato almeno un esame densitometrico per sesso e fascia d’età Fasce d’età Donne (2890) % con esame densitometrico eseguito Uomini (115) Diagnosi del MMG in cartella 40–49 50–59 60–69 70–79 ≥80 1,9% 17,9% 32,6% 26,6% 9,7% 40–49 50–59 60–69 70–79 ≥80 0,27% 0,48% 0,87% 1,92% 1,19% Tabella 8 - Consumo di farmaci Farmaco N. soggetti facenti uso del farmaco Di cui con diagnosi di osteroprosi N % % dei soggetti con osteoporosi facenti uso del farmaco Alendronato 552 433 78,4% 21,9% Ibandronato 88 72 81,8% 3,6% Risedronato 227 180 79,3% 9,1% Clodronato 328 190 57,9% 9,6% Ranelato di stronzio 140 110 78,6% 5,6% Calcio+ Vit D 2069 989 47,8% 50,1% Almeno uno dei farmaci sopra menzionati 2678 1348 50,3% 68,3% Vit D 1202 472 39,3% 23,9% Calcio 201 74 36,8% 3,7% Tabella 9 In terapia per osteoporosi N. totale N. % M fratture femore in età <55 20 3 15,0 M fratture femore in età ≥55 164 73 44,5 F fratture vertebre in età <55 38 5 13,2 F fratture vertebre in età ≥55 219 137 62,6 facenti uso di farmaci specifici per l’osteoporosi (in grassetto nella Tabella 8) 1332 (49,7%) avevano Febbraio 2014 eseguito una densitometria ossea. Dei 436 soggetti con pregressa frattura di femore o di vertebra (indipendentemente dall’età) solo il 49,8% (217 soggetti) aveva ricevuto almeno una prescrizione di farmaci per osteoporosi. Per i soggetti di età inferiore ai 55 anni la prescrizione risulta sporadica (intorno al 15%). Per i soggetti di età superiore ai 55 anni per cui la frattura è molto probabilmente correlata a bassa densità ossea, risultava una prescrizione di farmaci specifici per il 44,5% nelle fratture di femore e per il 62,6% per le fratture vertebrali (Tabella 9). Conclusioni e riflessioni - I MMG sembrano riconoscere i fattori di rischio di frattura, sebbene i livelli di monitoraggio (DXA) e di trattamento risultino piuttosto bassi; fa eccezione la presenza di una diagnosi confermata di osteoporosi. - La persistenza al trattamento risulta piuttosto bassa; considerando in trattamento anche gli utilizzatori sporadici e criteri di definizione di trattamento continuativo meno specifici, non supera comunque il 30% dei nuovi utilizzatori. - Non esiste una vera continuità terapeutica tra MMG e specialisti per una serie di motivi (mancata concordanza sulla tavola del rischio, difficoltà ad applicare la nota 79, variabilità delle regole regionali). - Nonostante la pletora di PDTA regionali sull’osteoporosi, mancano in realtà valutazioni sui processi e sugli esiti dei percorsi diagnostico-terapeutici. - La Medicina Generale non ha ancora inserito nel suo cruscotto di valutazione l’osteoporosi e quindi non esiste un processo di audit permanente come avviene per altre patologie croniche. 61 I QUADERNI DI ACCADEMIA LE AREE MODELLO DELLA CRONICITÀ OSPEDALE-TERRITORIO L’artrite reumatoide e il ruolo del Mmg di Silvano Adami * N egli ultimi decenni il livello specialistico di alcune branche della medicina si è evoluto moltissimo consentendo diagnosi precoci e soprattutto interventi terapeutici selettivi ma talora con più incerto. rie e in particolare l’artrite reumatoide (AR), l’artrite psoriasica (AP) e le spondilo-artriti (SPA), hanno seguito questo trend soprattutto negli ultimi 30 anni, prima con l’impiego sistematico di disease-modifying antirheumatic drugs (DMARD) e poi con la disponibilità dei cosiddetti “biologici”, farmaci in grado di neutralizzare in maniera del tutto selettiva momenti cruciali dei processi nuovi farmaci è rappresentato dalla possibilità di ridurre drasticamente l’uso di cortisonici, farmaci a lungo termine da eventi avversi drammatici. La dimestichezza nell’uso di DMARD (anni ‘90) e quindi dei “biologici” (primi anni 2000) fu acquisita gradualmente ed emerse che un intervento precoce poteva consentire anche una diversa evoluzione delle deformazioni articolari tipiche delle artriti. Le conseguenze di questa rivoluzione terapeutica hanno avuto un Nell’ambito delle malattie reumatiche infiammatorie possono essere identificate aree di competenza specifica per i medici di medicina generale in ambito diagnostico e nel follow-up terapeutico del paziente impatto importante nella identiprendersi cura delle malattie reugli anni ‘80 un paziente con una AR poteva essere occasionalmente siatri e ortopedici) ma era seguito costantemente dal solo medico di medicina generale (MMG) il cui compito consisteva nel gestire alla meglio la terapia cortisonica steroideo. Con le nuove opportunità terapeutiche si poneva sia il problema di una diagnosi accurata e precoce sia quello della prescrizione (appropriata) e gestione di zione professionale che oggi può essere garantita solo dallo specialista reumatologo. Questa esclusività è stata anche in parte favorita dalla politica sanitaria seguita in Italia, caratterizspecialisti o addirittura centri specialisti come i soli autorizzati a prescrivere a carico del SSN i nuovi farmaci. Ciò può sembrare comprensibile quando il loro impiego è complesso (ad es. necessità di infusione e.v.) o gravato da potenziali rischi, ma in molti casi le da ragioni economiche. Il rischio di questo approccio è rappresentato dal compensare con un blocco all’accesso il pericolo di inappropriatezza prescrittiva. Le conseguenze di tutti questi processi di ultra-specializzazione che riguardano quasi tutte le specialistiche mediche sono paradossali: oggi molti medici (specialisti, internisti o MMG) non conoscono neppure l’esistenza dei farmaci utilizzati dallo specialista della porta accanto. L’impatto più negativo riguarda la gestione dei pazienti in trattamento con questi farmaci “sconosciuti” da parte di internisti-geriatri (in corso di ricoveri ospedalieri) e MMG. Per i MMG è assolutamente necesaree di intervento e il livello di aggiornamento professionale necessario anche nell’ambito del riordino dell’assistenza territoriale e della * Direttore UOC Reumatologia, Università degli Studi di Verona – A.O.U.I. di Verona 62 Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA MedicinaGenerale(Legge189/2012). Nell’ambito della malattie reumatiche infiammatorie possono essere identificate aree di competenza per i MMG in ambito diagnostico e nel follow-up terapeutico. Diagnosi delle artriti e MMG Il primo problema da affrontare è rappresentato dalla appropriatezza della richiesta di visita specialistica. Inappropriatezza significa intasare gli ambulatori specialistici e ridurre quindi la possibilità di accesso ai pazienti che ne hanno più bisogno. Per altro verso è indubbiamente necessario per alcune patologie (incluse AR e SPA) poter arrivare alla diagnosi e quindi alla terapia tempestivamente. Sono stati quindi identificati dei criteri relativamente facili per identificare il paziente da inviare allo specialista per le malattie infiammatorie più comuni (vedi Tabella 1). Il problema di poter giungere a una diagnosi precoce per alcune malat- tie reumatiche rimane aperto. L’utilizzo dei criteri esemplificati nella Tabella 1 consente di poter indirizzare precocemente il paziente allo specialista. Per altro verso la loro presenza dovrebbe favorire un accesso privilegiato alle strutture specialistiche per evitare ritardi nella diagnosi e terapia. Il percorso diagnostico Il processo diagnostico da seguire in caso di sospetto di artrite è sicuramente competenza dello specialista anche per la complessità e costo di alcune di queste procedure. Va sottolineato che anche lo specialista dovrebbe responsabilmente seguire le linee guida disponibili anche al fine di poter condividere il percorso diagnostico col MMG responsabile in ultima istanza dei problemi sanitari complessivi del paziente. In altre parole è dovere dello specialista indicare e giustificare le indagini di secondo e terzo livello programmate e possibilmente le linee guida seguite. Tabella 1 La presenza di questi segni-sintomi deve far richiedere la consulenza reumatologica per: Artrite reumatoide (Emery et al. Early referral recommendation for newly diagnosed rheumatoid arthritis: Evidence based development of a clinical guide. Ann Rheum Dis 61: 290-297, 2002) Tumefazione articolare Rigidità (specie delle mani) per ≥30 minuti Dolore alla pressione delle metacarpo-falangee e metatarso-falangee Il sospetto è molto rinforzato da: Astenia e perdita di peso (<40%) Aumento degli indici di flogosi (<60%) Positività del fattore reumatoide o degli anti-CCP (<50%) Mal di schiena infiammatorio (sospetta spondilo-artrite) prima di 50 anni (Rudwaleit M et al. Inflammatory back pain in ankylosing spondylitis – a reassessment of the clinical history for classification and diagnosis. Arthritis Rheum 54: 569–578, 2006) Rigidità della schiena al mattino per ≥30 minuti Attenuazione del dolore con l’esercizio fisico Il dolore provoca almeno un risveglio notturno Dolore alternante alle natiche Febbraio 2014 Terapia La strategia terapeutica più appropriata per le artriti infiammatorie compete sicuramente allo specialista reumatologo. La complessità dell’intervento terapeutico e il conseguente coinvolgimento del MMG può variare enormemente. Nei casi più fortunati il MMG può prendersi carico totalmente del paziente e re-indirizzarlo allo specialista solo in caso di una evoluzione inattesa della patologia. Questo potrebbe ad esempio accadere in caso di remissione clinica della malattia col paziente non in trattamento farmacologico o trattamento minimo come ad esempio FANS al bisogno o solo idrossiclorochina. La tipologia di intervento più comune in caso di AR è rappresentato dall’uso di un DMARD associato o meno a dosi minime di steroide. L’identificazione della dose più idonea ad esempio di metotressato compete in genere allo specialista, ma quando il quadro clinico sarà stabilizzato il monitoraggio sia per safety sia per efficacia può essere garantito dal MMG, aiutato magari da appropriato materiale informativo dello specialista. In questi casi un controllo annuale dello specialista può essere sufficiente. Quando si rendono necessarie strategie terapeutiche più impegnative il monitoraggio dello specialista si rende sempre più stretto ma non deve mai comportare l’esclusione dai processi decisionali del MMG. Quest’ultimo deve essere informato in maniera succinta ma esaustiva sulle caratteristiche delle terapie avviate: potenzialità terapeutiche, eventi avversi, interazioni con altri farmaci, ecc. auspicabilmente utilizzando documenti pre-confezionati di facile consultazione. È dovere del MMG conoscere i farmaci che il paziente sta assumendo anche se distribuiti 63 I QUADERNI DI ACCADEMIA direttamente dallo specialista: non dobbiamo dimenticare che solo il MMG può fare da legame tra i vari specialisti che si prendono cura del proprio assistito. Alcuni dei farmaci gestiti oggi direttamente dallo specialista reumatologo (inclusi alcuni biologici) 64 alla luce delle esperienze accumulate si stanno rilevando assai più maneggevoli di quanto atteso. Sarebbe auspicabile che periodicamente le autorità sanitarie preposte (es. AIFA) in collaborazione con qualificati specialisti, procedessero a una rivisitazione delle limi- tazioni di prescrivibilità di alcuni farmaci. Per alcune patologie con andamento clinico abbastanza costante (es. alcune spondilo-artriti) si potrebbe già da ora consentire la gestione diretta del farmaco da parte del MMG previo specifico corso di aggiornamento. Febbraio 2014 CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA LE AREE MODELLO DELLA CRONICITÀ OSPEDALE-TERRITORIO Lo scompenso cardiaco e l’approccio Ebm di Aldo Pietro Maggioni * Note epidemiologiche introduttive Lo scompenso cardiaco è una sindrome estremamente diffusa. È la più importante causa di ospedalizzazione per i pazienti di età superiore ai 65 anni. Ne è affetto il 2–3% della popolazione generale, il 10–15% se si considerano le fasce più alte di età. A causa dell’invecchiamento della popolazione generale e del miglioramento delle cure della fase acuta delle malattie cardiovascolari, si prevede un incremento della prevalenza entro il ventennio 2010–2030 (+25%) che potrà associarsi a un aumento dei costi diretti e indiretti dell’assistenza (+215% circa). In particolare, si prevede che, negli Stati Uniti, i costi sanitari annuali pertinenza legati allo scompenso cardiaco passino da $24,7 a $77,7 miliardi e quelli indiretti dovuti a morbidità e mortalità da $9,7 a $17,4 miliardi. Punto di vista cardiologico Nell’ultimo decennio è stato condotto un numero rilevante di studi osservazionali nei pazienti con scompenso cardiaco acuto. Anche nel nostro paese due recenti studi hanno permesso di descrivere zienti che necessitano di un ricovero per scompenso cardiaco acuto. Nello studio condotto nel 2005, la mortalità totale intraospedaliera dei pazienti con scompenso acuto L’obiettivo principale dovrebbe essere quello di ottenere, attraverso una migliore continuità assistenziale terapeutica e una maggiore/più appropriata aderenza alle raccomandazioni evidence-based, una riduzione significativa delle ospedalizzazioni era del 7,3%. La mortalità di gran lunga più elevata veniva riscontrata nei soggetti che si presentavo al ricovero ospedaliero con shock cardiogeno (oltre il 25%). Uno studio più recente, condotto dal 2007 al 2009, ha consentito anche a lungo termine e di confrontarli con quelli dei pazienti con scompenso cronico. Nello studio sono stati inclusi 5610 pazienti, 3755 con scompenso cardiaco cronico e 1855 ospedalizzati per scompenso cardiaco acuto. Mentre la mortalità dei soggetti con scompenso cardiaco cronico si è ridotta notevolmente nel corso degli ultimi decenni, grazie anche alla diffusa applicazione dei trattamenti dimostratisi utili negli studi clinici controllati, soprattutto beta-bloccanti, bloccanti del sistema renina-angiotensina e antagonisti dell’aldosterone, la mortalità dei soggetti con scompenso cardiaco acuto è rimasta inaccettabilmente elevata. Lo studio citato ha evidenziato una mortalità totale a un anno del 5,9% nei soggetti ambulatoriali con scompenso cronico contro il 24% nei soggetti ospedalizzati per scompenso acuto, situazione per la quale non sono purtroppo ancora disponibili trattamenti capaci di migliorare l’outcome clinico. I dati amministrativi Una recente analisi sui casi di ospedalizzazione per scompenso cardiaco acuto occorsi nel 2010 è stata condotta utilizzando i dati amministrativi dell’Osservatorio ARNO, che includono 2.970.973 soggetti, assistiti in 7 Aziende Sanitarie Locali italiane. I ricoveri per scompenso cardiaco acuto sono risultati essere 8754, cioè il 3,0% della popolazione totale di soggetti considerata. L’analisi di questi dati amministrativi evidenzia alcuni elementi di notevole interesse epidemiologico e gestionale: - quando un paziente viene ricoverato per scompenso acuto, solo nel 22% dei casi viene gestito dalle cardiologia, mentre in oltre il 70% dei casi la gestione è a carico di medicine o geriatrie; - l’età mediana di questa popo- * Centro Studi ANMCO – Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri, Firenze Febbraio 2014 65 I QUADERNI DI ACCADEMIA lazione non selezionata di pazienti ricoverati per scompenso acuto è di 79 anni, sicuramente più elevata di quella osservata nei trial o nei registri cardiologici citati sopra e condotti nella stessa condizione clinica; - la percentuale di utilizzo dei trattamenti raccomandati (betabloccanti, bloccanti del sistema renina-angiotensina e antagonisti dell’aldosterone) è risultata essere lontana dall’ottimale; - la probabilità di re-ospedalizzazione nell’anno che segue il ricovero indice, è elevatissima, circa il 60%, con la probabilità per ogni paziente re-ospedalizzato di esserlo almeno due volte nel corso dell’anno di osservazione; - le cause di re-ospedalizzazione sono cardiovascolari solo nel 54% dei casi, nei rimanenti casi le cause sono non cardiovascolari, documentando la rilevanza della presenza di comorbidità in popolazioni di questa elevata età e con questa specifica condizione clinica. I problemi Scompenso cardiaco cronico Questa situazione clinica può considerarsi matura per quel che riguarda la disponibilità di trattamenti raccomandati. Numerosi trial hanno evidenziato la capacità di migliorare la qualità di vita e di prolungare la sopravvivenza da parte di beta-bloccanti, bloccanti del sistema renina-angiotensina e antagonisti dell’aldosterone. Il problema è quello di un loro corretto utilizzo sia in termini di prescrizione sia in termini di aderenza ai do- 66 saggi raccomandati. L’Osservatorio ARNO ha documentato che i pazienti dimessi vivi dopo un ricovero per scompenso acuto ricevono nel 69,7% un ACE-I/ARB, nel 51,6% un beta-bloccante e nel 39,6% un antagonista dell’aldosterone. Uno studio più recente, condotto a livello europeo da un network di cardiologi, ha evidenziato che solo un terzo dei pazienti trattati con i trattamenti raccomandati riceveva i dosaggi dimostratisi utili nei trial. Al di là di ricerche future, capaci di identificare nuove efficaci strategie terapeutiche farmacologiche o non farmacologiche, il problema principale in questo contesto clinico di scompenso cardiaco cronico è quello di una corretta applicazione di quello che abbiamo oggi a disposizione. Scompenso cardiaco acuto In questa condizione clinica, i problemi principali sono due: - la identificazione di terapie, da attuarsi nella fase acuta di scompenso, capaci di migliorare la sopravvivenza dei pazienti; - la riduzione del numero di reospedalizzazioni, che determinano un carico insostenibile sia per la qualità di vita dei pazienti sia per i costi a carico del SSN. I costi L’Osservatorio ARNO, essendo in grado di effettuare un linkage tra dati relativi alle prescrizioni e quelli delle ospedalizzazioni e delle attività specialistiche e diagnostiche, ha consentito di valutare il costo totale medio annuale di un paziente che ha necessitato di un ricovero ospedaliero per scompenso acuto. Questo costo assomma a €10.697 per paziente/anno: lo 86,1% è dovuto ai costi delle ospedalizzazioni, il 3,0% ai farmaci cardiovascolari, il 6,5% ai farmaci non cardiovascolari, e il 4,4% alle prestazioni diagnostiche e specialistiche. Le opportunità L’implementazione delle cure primarie H(12)-24, che si basano sul principio della “presa in carico della cronicità” attraverso l’istituzione di forme associative della Medicina Generale preferibilmente di tipo poli-professionale, potrebbe consentire un approccio concreto, capace di affrontare le principali problematiche relative alla gestione di questa condizione clinica a elevato impatto epidemiologico e costo assistenziale. L’obiettivo principale dovrebbe essere quello di ottenere, attraverso una migliore continuità assistenziale terapeutica e una maggiore/più appropriata aderenza alle raccomandazioni terapeutiche evidencebased, una riduzione significativa delle ospedalizzazioni. Un raggiungimento, anche parziale di questo obiettivo, insieme a una razionalizzazione, e conseguente risparmio, delle prescrizioni farmacologiche e delle procedure diagnostico-terapeutiche potrebbe liberare una entità di risorse economiche sufficiente a rendere sostenibile l’introduzione di nuovi trattamenti per lo scompenso cardiaco acuto, che dovessero dimostrarsi terapeuticamente efficaci nel prossimo futuro. Febbraio 2014
© Copyright 2024 ExpyDoc