DIPINTIESTAMPE DipintisecoloXVI Schede a cura di Salvatore Ferrari Pittore d’area emiliana (o veneta?) della seconda metà sec. XVI Madonna con Bambino e San Giovannino Olio su tela/ 83x70,5cm / Inv. 567 Il bel dipinto raffigura al centro la Madonna - con veste rossa e manto blu - che tiene in braccio il Bambino, dal volto fortemente caratterizzato, in atto di benedire il San Giovannino, a sua volta intento ad accarezzare e baciare il piedino del Redentore. Alle spalle delle tre figure, ritratte secondo uno schema piramidale, si staglia un tendaggio rosso fissato ad un bastone. Nello spazio in alto a sinistra si apre uno scorcio di paesaggio, fatto di terra, di cielo e di nuvole. Il bambino parzialmente coperto da un morbido panno bianco siede su un cuscino bianco e rosso – appoggiato sopra un tavolino coperto da un tappeto orientale - decorato con motivi floreali bianchi. La stessa decorazione compare sull’orlo superiore della camicia della Vergine. Maria, con la testa leggermente piegata verso destra, rivolge uno sguardo benevolo al piccolo Battista dai capelli rossicci, ritratto a mezza figura e di tre quarti, con il volto di profilo. Giovannino tiene sul braccio destro un lembo della sua veste di pelli, mentre con la sinistra stringe la consueta crocetta con il cartiglio bianco avvolto nella parte superiore. Sopra i corti capelli castani Maria porta un sovrabbondante velo color ocra, movimentato di pieghe, che le scende sulla spalla sinistra. Il dipinto di alta qualità è orchestrato secondo uno schema classicista, con il gruppo delle tre figure sistemato armonicamente al centro della composizione, in primo piano, e con il fondale drappeggiato, di tradizione rinascimentale. Nei volti della Madonna, ma soprattutto del Battista, si ritrovano echi dei volti di Parmigianino e di Correggio. In generale il dipinto richiama molti elementi della pittura emiliana del secondo Cinquecento (la robustezza del Giovannino, la raffinatezza coloristica, il plasticismo del modellato), ma presenta altri elementi che sfuggono ad una precisa collocazione geografica e culturale. La fisionomia del Bambino o la presenza di un velo sovrabbondante potrebbe essere d’ascendenza nordica, mentre il tappeto orientale si ritrova spesso in opere veneziane della seconda metà del XVI secolo. L’anonimo artista, sicuro nel disegno, si dimostra audace nel giocare tutta la raffigurazione quasi esclusivamente sul rosso, usato in varie sfumature. Realistica ed efficace è la resa del tendaggio, come poetica è l’illustrazione del paesaggio, che sembra rimandare ad atmosfere tizianesche. Rimane difficile individuare il nome dell’artista, così come sfugge una precisa collocazione in uno spazio geograficoculturale, vista la compresenza di elementi derivati da scuole pittoriche diverse, in bilico tra l’Emilia e il Veneto, e forse in relazione con esempi nordici. L’autore è, quindi, da ricercare tra coloro che fanno da raccordo tra queste diverse esperienze figurative. Maarten de Vos (cerchia di), fine sec. XVI - inizi sec. XVII Visitazione Olio su tela/ 54,2x58 cm/ Inv. 541 Bibliografia: Religiosità popolare…1980, p. 98; Bellini, 1995. Esposizioni: Pordenone 1980. Il dipinto raffigura l’episodio evangelico della Visita di Maria alla cugina Elisabetta (Luca, 1,39-56). La scena è ambientata all’aperto, davanti alla casa di Zaccaria – collocata di scorcio, a sinistra, insieme ad altre architetture urbane – e sullo sfondo (a destra) di un paesaggio nordico, caratterizzato da una fitta vegetazione, da una fortezza in cima ad un’altura rocciosa e da una casetta accanto ad un corso d’acqua. Maria ed Elisabetta si abbracciano in primo piano, mentre leggermente arretrati avviene il saluto tra i mariti: Zaccaria ritratto come un vecchio con barba e capelli lunghi e bianchi, con addosso un abito verde e un manto viola, accoglie sulla porta di casa l’anziano Giuseppe al quale stringe la mano, togliendosi il cappello in segno di rispetto. Lo sposo di Maria con barba e capelli più corti indossa una veste viola e un mantello scuro e porta la bisaccia alla cintura. Elisabetta rappresentata come una donna piuttosto anziana, in contrasto con la giovane cugina, è avvolta in un abito rosa coperto da un manto dorato, mentre in testa porta un lungo velo bianco. Maria vestita di rosso e di blu, come di consuetudine, ha sul capo un velo bianco e ai piedi calza i sandali. Il dipinto è una libera riduzione di un’opera cinquecentesca del pittore fiammingo Maarten de Vos (Anversa 1532-1603), probabilmente conosciuta tramite l’incisione (cfr. Bellini, 1995, p. 644, ill. 30) realizzata nel 1582 da Jan Sadeler (Bruxelles 1550-Venezia 1600) e oggi conservata nella Biblioteca di Hollstein (n. 161). Anche nel dipinto Ciceri ritroviamo, oltre alle componenti nordiche (le architetture fortificate e il paesaggio), quel colorismo brillante di stampo veneziano (il bianco bassanesco dei veli e i rosa-rossi tizianeschi o tintoretteschi), che caratterizzò la produzione di de Vos dopo il soggiorno italiano e la collaborazione con Tintoretto. La composizione si articola in gruppi ben distinti: Giuseppe e Zaccaria e la loro muta stretta di mano; Maria ed Elisabetta e il loro caloroso abbraccio, che esprime un più affettuoso senso di intimità. Non è evidenziata, qui, la gravidanza di entrambe, come indicato nel racconto di Luca. I personaggi sono saldati tra loro da precisi richiami coloristici; i valori cromatici delle vesti sembrano dati secondo una struttura a chiasmo. Il dipinto non presenta quella qualità e precisione di disegno (il paesaggio, ad esempio, è più abbozzato) che si riscontra nell’incisione di Sadeler; va quindi ricondotto ad un pittore nordico, forse della stessa cerchia di De Vos, attivo tra la fine del ‘500 e i primi decenni del ‘600. Pittore di area veronese della fine sec. XVI – inizi sec. XVII La Flagellazione di Cristo Olio su tavola/ 52,5x78,8 cm/ Inv. 458 Iscrizioni: sul retro della tavola: “Tiziano, Lotto, Palma il Giovane”. Il dipinto raffigura la scena evangelica della Flagellazione di Cristo in un’ambientazione notturna. Dallo sfondo nerissimo emerge il gruppo di tre figure, illuminato di striscio dalla luce artificiale prodotta dalla fiaccola portata dallo sgherro di destra. Cristo dai tratti sinuosi e con il volto di profilo è immobile al centro della composizione, con le mani in avanti legate ad un bassa colonna, che ripete nella forma la reliquia venerata nella basilica romana di Santa Prassede. Il soldato di destra, ripreso di schiena, con la corazza dorata e cinto in vita da un panno rosato, lo sta per colpire col flagello. Il muscoloso aguzzino di sinistra, a petto nudo, con il corpo in torsione, è pronto ad infierire sul Redentore. In primissimo piano, in basso al centro, accanto ai bastoni della tortura, è abbandonata la tunica di un rosa-violetta di matrice tintorettesca. In alto un angioletto pare precipitare dal cielo. Il dipinto sembra riprendere, semplificandola e riducendola al gruppo essenziale dei tre personaggi, la Flagellazione di Cristo dipinta da Felice Brusasorci (1539/40-1605) per la chiesa veronese della Madonna della Campagna (ca. 1590). La stessa scelta cromatica, giocata su colori freddi (il grigio metallico dell’elmo del soldato, il rosa del panno dello sgherro e della tunica, il bianco del perizoma di Cristo), è ripresa pari pari dal pittore veronese. Le figure richiamano la plastica veneziana di ispirazione manierista; così lo splendido notturno trova i suoi modelli nella tradizione veneta di Tiziano e di Bassano. Questa iconografia del Cristo alla colonna trovò molta fortuna tra gli artisti veronesi, allievi o imitatori di Brusasorci, quali Turchi o Claudio Ridolfi. Il nostro anonimo artista sembra risentire di quel clima manierista dell’ambiente veronese. La realizzazione dell’opera va, quindi, circoscritta al periodo 1580-1620. Sul retro della tavola alcune scritte - probabilmente di mano di Luigi Ciceri - individuano gli improbabili autori: “Tiziano, Lotto, Palma il Giovane”. La tavola è incorniciata da una imponente cornice lignea intagliata ed è provvista di passpartou in raso rosso. DipintisecoloXVII Schede a cura di Salvatore Ferrari e Gabriella Schiaulini Giovanni Andrea Voraio (doc.a Venzone 1606 – 1618) (prima metà del sec. XVII, 1624?) Madonna Annunciata Olio su tela/ 80x115,5 cm/ Inv. 576 Iscrizioni: “GIAN ANDREA VORAIO FECE. /16?4 XII AGOS”. Bibliografia: Religiosità popolare…1980, p. 98. Esposizioni: Pordenone 1980. In un interno domestico – caratterizzato dalla cappa del camino con mensole modanate, da un tavolino con tovaglia variopinta (a sinistra della raffigurazione) e dal pavimento a scacchi grigi e neri – è ambientata la scena dell’Annunciazione. Il dipinto raffigura solo la Vergine Maria – non l’Arcangelo Gabriele - con le mani incrociate sul petto, vestita di rosa, avvolta da un manto azzurro e con un velo bianco annodato ai capelli. La Vergine, il cui volto è ritratto di profilo, siede ad uno scrittoio, posto in tralice, sopra il quale sono appoggiati due libri, uno aperto e l’altro, rilegato in rosso, chiuso. Accanto allo scrittoio fiori bianchi sono raccolti in un vaso decorato, mentre un pesante tendaggio verde illuminato dalla luce che viene dall’alto, è collocato sullo sfondo. L’aver rintracciato - nella pagina sinistra del libro aperto sullo scrittoio – il nome accanto alla data di esecuzione dell’opera in parte rovinata, ma con buona probabilità da leggere come 1624 – permette di inquadrare con precisione il luogo di produzione (Venzone) e la cultura pittorica di riferimento di questo pittore poco noto. Giovanni Andrea Voraio (doc. a Venzone 1606-1618), figlio di Giovanni Battista, è ricordato dalle fonti come pittore e come magistrato cittadino, tesoriere nel 1617 (Clonfero 1971, p. 381). Nel 1607 fu coinvolto in un processo del Santo Ufficio di Udine per aver dipinto – come recitano le cronache – “una figura per un sortilegio amoroso ordito da un frate eremitano, che rubò nella chiesa parrocchiale di Venzone” (Sereni 1971, p. 458). Il 6 gennaio 1613 intimò agli Agostiniani di Venzone di pagare “l’icona con S. Lucia ed altri santi fatta per il loro monastero”(Biasutti 1973, p. 33). Nel 1618 firmò e datò la pala di San Michele per un altare della chiesa venzonese di San Giovanni (presbiterio di sinistra) raffigurante la “Madonna di Loreto tra San Francesco e San Carlo, in alto e l’Arcangelo Michele tra la Veronica e San Giovanni Battista, in basso” (Clonfero 1978). Nella composizione, nel panneggio, nella resa coloristica (il bianco del velo di bassanesca memoria) ritroviamo alcune caratteristiche della pittura veneziana del Cinquecento, reinterpretate in maniera forse un po’ impacciata, dal nostro autore. Un confronto con una stampa raffigurante l’Annunciazione appartenente alla raccolta Bertarelli (Achille Bertarelli…2001, pp. 138139) , donata alla biblioteca civica di Trieste, porta a pensare che il nostro artista si sia rifatto – per la composizione – a modelli di questo tipo. Pittore di area emiliana della prima metà sec. XVII San Giovanni Battista Olio su tela/106,8x79,5 cm./ Inv. 463 Iscrizione: sul dorso del telaio “CAGNA DA T CORREGGIO” San Giovanni Battista è ritratto di tre quarti, con la testa quasi profilata e lo sguardo rivolto all’osservatore. Il santo a dorso nudo, appena coperto da una veste di pelle e da un manto rosso, sta indicando con la mano destra verso destra, mentre con la sinistra trattiene la croce – disposta in diagonale – e accarezza l’agnello, suo consueto attributo. La tradizionale scritta latina “ECCE AGNUS DEI” compare sul cartiglio attorcigliato alla parte sommitale della croce. Sopra la testa, coperta da una chioma di ricciolo castanobiondi, è visibile l’aureola. A destra, in secondo piano, si apre uno scorcio di paesaggio con alberi frondosi, con lontane alture ai piedi delle quali sorge un borgo e con un pezzo di cielo pieno di nuvole. L’autore della scritta che compare sul dorso del telaio voleva forse indicare il pittore romagnolo Guido Cagnacci (1601-1663). Sicuramente nella raffigurazione del Battista ritroviamo molte affinità con il classicismo emiliano della scuola dei Carracci e di Reni. Una certa sensualità della figura, il plasticismo del modellato, le scelte cromatiche, lo scorcio di paesaggio sulla destra fanno pensare ad un artista di discreta qualità formatosi o influenzato dall’arte emiliana della prima metà del Seicento. Nella composizione si può notare una disposizione a linee incrociate, determinate dal corpo del Battista sporto in avanti e dalla croce collocata trasversalmente. Poco riuscita, forse perché ridipinta, appare la mano sinistra, che pare più grande dell’altra. Pittore di area friulana degli inizi sec. XVII Ritratto di bambina con fiore Olio su tela incollata su faesite/ 45x37 cm/ Inv. 544 Il dipinto ritrae una bambina, a più di mezza vita, leggermente di tre quarti, con la testa rivolta a sinistra. La figura è stata privata del braccio destro, di cui rimane solo la mano, in seguito ad un drastico taglio della parte sinistra della tela. La bimba, di pochi anni, con un viso paffutello e capelli castani mossi, indossa un vestito viola, di foggia tardo cinquecentesca, a maniche corte, con ampio colletto bianco bordato di pizzi. Della camicia sottostante compare la manica sinistra rigata e decorata con motivi variopinti. Nella mano sinistra inanellata stringe un fiore bianco dallo stelo lungo. Il dipinto è stato probabilmente ritagliato da una composizione più ampia, forse un quadro di famiglia. È ipotizzabile che la persona ritratta, una volta cresciuta e uscita dal nucleo familiare, abbia voluto portare con sé il ritratto della sua infanzia, estrapolandolo dalla sua collocazione originaria. Il ritratto, ben delineato nelle linee fisionomiche, è una gustosa testimonianza della moda nobiliare, spagnoleggiante, diffusa negli ultimi decenni del ‘500. L’anonimo artista dipinge secondo un gusto realistico, calibrando le ardite scelte cromatiche (la raffigurazione è dominata dal viola dell’abito). L’opera è ascrivibile ai primi decenni del XVII secolo. Pittore di area austriaca del sec. XVII Il ritorno dall’Egitto Olio su tela/ 57,7x97 cm/ Inv. 564 Bibliografia: Religiosità popolare…1980, p. 98. Esposizioni: Pordenone 1980. Il dipinto raffigura la Sacra famiglia mentre ritorna dall’Egitto. Il gruppo, che procede a piedi, sta attraversando un ponte piastrellato. Giuseppe tiene per mano Gesù fanciullo dai boccoli biondi e con una veste verde - e rivolge lo sguardo verso Maria, che sta posando un curioso copricapo rosso sulla testa del figlio. La Madonna, ripresa di profilo, indossa una veste scura sormontata da un mantello blu; porta un cinturino rosa in vita, un cappello di paglia sulle spalle, e i sandali ai piedi. Lo sposo veste un abito scuro con un manto marroncino; nella sinistra tiene il bastone da pellegrino e porta in spalla un cesto di vimini, coperto da un candido panno e appoggiato su un’asta di legno terminante con una sporgenza metallica (pare un portasecchi in uso nelle comunità alpine). La scena è illuminata da un sole dal volto umano, che spunta dall’estremità destra della tela, mentre nel cielo compaiono nuvole scure. Sullo sfondo un paesaggio con colline e montagne e pochi alberi dal tronco esile e dalle fronde scheletriche. Il racconto evangelico, sinteticamente riportato da Matteo, trova nei Vangeli apocrifi maggiori dettagli; qui gli artisti hanno trovato la fonte per le loro rappresentazioni. Il dipinto, vista la presenza di Gesù fanciullo e non più infante, non raffigura – con tutta probabilità – una scena della “Fuga in Egitto”, come indicato da Ciceri, ma un episodio del ritorno in Palestina. L’assenza dell’immancabile asinello testimonia l’assunzione di modelli iconografici della Controriforma. Il dipinto, di cui non si conosce la provenienza, potrebbe appartenere, per cifre stilistiche, all’ambiente austriaco seicentesco. L’anonimo artista riesce a creare un’atmosfera di intimità familiare, che si concretizza nell’affettuosa gestualità di Maria. La raffigurazione è giocata su tinte scure, interrotte dal rosso del berretto, e dalla luminosità del sole – con occhi, naso e bocca marcati di rosso – e dell’aureola del Bambino. La pittura di gusto popolare desta interesse in modo particolare per l’invenzione compositiva. La fortuna di questo soggetto, con il gruppo che procede a piedi, continua in ambito friulano anche nei secoli successivi. Si veda, ad esempio, la tela della prima metà dell’Ottocento conservata nella chiesa parrocchiale di Zovello (Ravascletto). Pittore di area friulana del sec. XVII La Trinità Olio su tela/ 68,5x58 cm/ Inv. 523 Bibliografia: Religiosità popolare…1980, p. 98. Esposizioni: Pordenone 1980. Dio Padre a braccia aperte, ritratto come un vecchio patriarca con barba fluente e capelli bianchi, è avvolto in una candida veste ricoperta da un ampio mantello rosso e regge con ambo le mani la traversa orizzontale della croce. Il Cristo crocifisso appare sproporzionato nelle dimensioni rispetto alla monumentalità dell’Eterno, seduto su un trono – non visibile – e circondato da nuvole. L’aureola triangolare fa brillare lo sfondo di una luce rosso-arancio. Sopra la testa di Cristo “volteggia” la colomba dello Spirito Santo. La Trinità è raffigurata secondo uno schema iconografico, di tradizione nordica, indicato con il nome di Trono di grazia. Tale iconografia, che comincia a svilupparsi con l’arte gotica, trova in Friuli una grande diffusione nel corso del ‘500, sia in cicli affrescati che in opere su tela o tavola. Celebre la pala del Pordenone – ispirata ad un’incisione di Durer – per il Duomo di San Daniele (1535), ampiamente copiata, tra gli altri anche da Amalteo. Il prototipo pordenoniano è completamente frainteso dal nostro anonimo artista, mediocre epigono seicentesco della tradizione pittorica friulana del XVI secolo. Il Padre Eterno giganteggia al centro della composizione, mentre il Cristo è ridotto al ruolo di figurina senza vigore e tragicità. Geometricamente non corretta appare la traversa orizzontale della croce, mentre un eccessivo rilievo è assegnato all’aureola. La gamma cromatica è dominata dal rosso del manto di Dio Padre. Dal punto di vista iconografico è possibile stabilire confronti con gli affreschi cinquecenteschi di Thanner e con il dipinto raffigurante la Trinità (1623 ca), collocato sulla cimasa dell’altar maggiore della chiesetta della Vergine del Monte Castellano a Raveo, attribuito, insieme alla sottostante pala, a Bernardino Grando (Bergamini 1990, ill. p. 313). Pittore di area friulana del sec. XVII Ritratto di bambina in preghiera Olio su tela/ 71x59 cm/ Inv. 545 Il dipinto raffigura su un fondale scuro una bambina in preghiera, ritratta quasi frontalmente, a mezza figura, con le mani giunte e il capo circondato dall’aureola. In testa, sopra i capelli corti e castani, ha dei fiori rossi, e al collo porta una collana di perle rosse. Indossa una veste verde, aperta sul petto, con maniche rosse foderate di bianco. La presenza dell’aureola, più che a una piccola santa, fa pensare ad una bambina, morta in tenera età. Gli occhi espressivi, il sorriso appena accennato, la posa aggraziata, l’atmosfera di religiosa compostezza sono tutti elementi che traspaiono dal ritratto, realizzato da un pittore locale, nel corso del Seicento. La raffigurazione mantiene un tono popolare; la composizione è ridotta all’essenziale, concentrando l’attenzione sul personaggio, e lasciando spoglio lo sfondo; la cromia è giocata sull’alternanza di pochi colori (rosso, verde, bianco, marrone). Il dipinto è stato pubblicato a colori sulla copertina di un numero unitario delle riviste “Ce Fastu ?” e “Sot la nape” (n. 2-3, 1981) con la seguente didascalia: “Orante – ritratto ad olio del Friuli centrale – sec. XVII, Coll. Ciceri, Foto O. Pellis”. Pittore di area friulana del sec. XVII San Pietro Olio su tela/ 78,5x62,5 cm/ Inv. 551 Bibliografia: Religiosità popolare… 1980, p. 98. Esposizioni: Pordenone 1980. L’apostolo Pietro – riconoscibile dalle consuete chiavi - è ritratto a mezza figura, in lacrime e con le mani giunte in atto di contrizione dopo il rinnegamento di Cristo. Il santo, quasi calvo, con una folta barba grigia e dal volto molto espressivo, porta una camicia aperta sul petto e indossa una veste verde coperta da un manto marrone. Alle sue spalle, sul ramo di un albero, il gallo evangelico sta cantando (Marco, 14, 66-72). In lontananza, sulla destra, al di là di una sorta di muretto, si intravede una veduta di città dai toni sfumati. Il pianto di San Pietro dopo il ripetuto rinnegamento di Gesù è un tema frequente nella pittura italiana della Controriforma, ove è trattato come immagine devozionale, nell’intento di valorizzare il sacramento della penitenza. Il presente dipinto è un esempio di questa tipologia. L’anonimo pittore locale, oltre ad una discreta resa anatomica della figura, riesce a cogliere anche gli aspetti psicologici, in modo da trasmettere efficacemente il messaggio del pentimento e del dolore. Meno accurato appare il disegno delle case della città come anche dello scorcio arboreo. Pittore di area friulana del sec. XVII Madonna col Bambino dormiente Olio su tela/ 56x51 cm/ Inv. 555 Bibliografia: Religiosità popolare… 1980, p. 98. Esposizioni: Pordenone 1980. Su uno sfondo neutro è raffigurata - a mezzo busto - la Madonna vestita di rosso e con un mantello blu, che tiene in braccio il Bambino addormentato. Maria è ritratta con il capo dolcemente inclinato verso sinistra e coperto da un velo color ocra – in parte nascosto da un lembo del manto - da cui spunta la scriminatura dei capelli. Una parte del velo, con motivi rigati, le drappeggia la spalla destra e il petto. Il Bambino appare fasciato e protetto da un candido velo che la Madre solleva con leggerezza, stringendo un orlo tra il pollice e l’indice della mano sinistra. Diffusissima tra XVII e XVIII secolo è l’iconografia della Madonna con il Bambino dormiente. La Vergine che veglia sul figlio addormentato si mostra seria e allo stesso tempo serena. Belle le mani sottili, mentre più squadrati appaiono i lineamenti del viso. Gesù pare un “bambino” di cera. La gamma cromatica è giocata sul contrasto tra il rosso e il blu della veste di Maria e il bianco pallido che caratterizza il Bambino e i panni che lo rivestono. Il dipinto, pensato per la devozione privata, si presenta come opera di qualche pittore locale, impegnato a replicare stancamente un soggetto tanto comune, con risultati di modesta qualità. Pittore di area friulana del sec. XVII San Cristoforo Olio su tela/ 85x61 cm/ Inv. 557 Bibliografia: Religiosità popolare…1980, p. 98. Esposizioni: Pordenone 1980. Il dipinto raffigura San Cristoforo con il Bambino Gesù sulle spalle, approdati sulla riva dopo l’attraversamento dell’impetuoso specchio d’acqua, che pare un mare perso all’orizzonte piuttosto che il consueto fiume del racconto agiografico. Il gigante Cristoforo, dal bel volto barbuto, appoggia un piede sulla roccia – sulla quale spuntano ciuffi d’erba – e stringe con la destra il robusto bastone, ricoperto di foglie e di fiori come una palma da datteri, mentre con la sinistra tiene sollevata la veste rossa, in cui è avvolto, in modo da non bagnarla nell’acqua. Sull’altra sponda si profila una città con torri, guglie e palazzi. Il grigio delle nuvole in cielo e delle onde sull’acqua crea un’atmosfera plumbea. La raffigurazione rispetta la tradizionale iconografia, tranne che per la presenza di uno scorcio marino al posto del fiume. Il mantello svolazzante di Cristoforo restituisce una certa vivacità ad una composizione altrimenti rigida e “ingessata”. L’anonimo pittore locale esegue questa teletta per la devozione privata con modesti risultati. Pittore di area friulana del sec. XVII San Paolo eremita Olio su tela/78,2x57,2 cm./Inv. 559 Bibliografia: Religiosità popolare…1980, p. 98. Esposizioni: Pordenone 1980. San Paolo eremita è ritratto a mezza figura, a torso nudo, appoggiato ad un ripiano orizzontale lapideo – sopra il quale è collocato un teschio rovesciato - mentre è raccolto in meditazione con la testa appoggiata alla mano destra e con un rosario stretto nella sinistra. Il santo dai capelli mossi e dalla lunga barba grigia porta in vita un panno rosso. Alle sue spalle, in uno scorcio di cielo racchiuso tra alberi dall’alto fusto, compare un corvo nero con un tozzo di pane in bocca. La figura del santo anacoreta ritorna pressoché identica, ma invertita, in un’incisione (n. 12445) – dalla difficile storia attributiva – raffigurante San Girolamo, conservata nella raccolta di stampe “Angelo Davoli” della biblioteca Panizzi di Reggio Emilia (Davoli 2000, IV, pp.101-102 e ill. p.103). La posa e la fisionomia del santo, il teschio sulla lastra di pietra, il rosario in mano sono gli stessi; il leone di Girolamo è stato invece sostituito da un ceppo d’albero con corteccia ed anelli. Il frammento di paesaggio con alberi dai tronchi intrecciati e dalle foglioline minuziosamente descritte sembra rinviare a modelli fiamminghi (lo stile dell’incisione è avvicinato alla scuola del Goltzius). Va sottolineata la buona capacità del pittore nel modellare il corpo muscoloso del santo, ma anche nell’uso studiato della gamma cromatica (il rosso del panno). Pittore di area friulana del sec. XVII San Gerolamo Olio su tela/ 88x67 cm/ Inv. 561 Bibliografia: Religiosità popolare…1980, p. 98. Esposizioni: Pordenone 1980. Il dipinto raffigura San Gerolamo, dottore della Chiesa, in atto di scrivere la Vulgata. Il Santo a mezza figura è mostrato a petto nudo, con un manto rosso scivolato dalle spalle, con la penna d’oca nella mano destra e con il libro aperto – posto in verticale – trattenuto dalla sinistra. Una fitta barba incornicia il volto, mentre la testa si presenta calva. Il capo è leggermente piegato a sinistra e lo sguardo è rivolto verso l’alto. Alle spalle spunta una testa di leone dagli inconsueti lineamenti umani. In alto a sinistra – come sospeso nell’aria – è sistemato il rosso cappello cardinalizio decorato con due nappe, inseparabile attributo di Gerolamo. Il dipinto, ovviamente opera di devozione privata date le ridotte dimensioni, è interessante per la rara iconografia del leone dal volto umano. È necessario sottolineare l’evidenza data alla muscolatura, che risulta – in verità – un po’ “gonfiata”. Precisa e minuziosa appare la resa dei peli della barba, come anche la raffigurazione dei lacci di chiusura del libro. La tela va collocata in ambito veneto nel corso del XVII secolo. L’anonimo artista potrebbe essersi ispirato d una stampa per la composizione. Pittore di area friulana del sec. XVII La Carità Olio su tela/ 85x73,5 cm/ Inv. 572 Iscrizioni: “CARITA”. Bibliografia: Religiosità popolare…1980, p. 98. Esposizioni: Pordenone 1980. In uno sfondo di nubi bigie - illuminate da una luce giallastra che viene da sinistra – e assisa sul trono si staglia la figura allegorica della Carità, la principale delle Virtù teologali come vuole San Paolo (Corinti, I, 13,13). La giovane donna, ritratta a mezza figura, vestita d’azzurro con un manto rosso sulle spalle e un lungo velo ocra, tiene nella mano destra un cuore sormontato da una fiamma ardente, mentre con la sinistra trattiene uno dei due bambini che le sono accanto. Il bambino di destra, con il volto di profilo, appoggia la mano sinistra sopra un libro – posto in verticale - sulla cui copertina compare la scritta “CARITA”. L’altro bimbo, coperto solo da un panno bianco in vita, è raffigurato frontalmente con un libro aperto tra le mani; sembra intento a spiegarne il contenuto. Il dipinto non segue il tradizionale modello di Ripa; qui i bambini ai piedi della Virtù sono due, non tre e nessuno di questi è allattato dalla Carità. L’artista ha reso umana, quasi materna l’immagine della Carità circondata dai bambini e con il cuore fiammeggiante, pronto per essere offerto a Dio. Quest’opera è forse la meno riuscita delle tre Virtù; un po’ goffa la figura del bambino di destra, meno curata la resa dei volti e delle mani, poco indovinata la scelta coloristica. La serie delle tre tele è comunque importante come documento della diffusione di questa importante tematica della teologia cristiana in contesti periferici e per una committenza privata. Pittore di area friulana del sec. XVII Incoronazione della Vergine Olio su tela/ 104x84,5 cm/ Inv. 574 Bibliografia: Religiosità popolare…1980, p. 98. Esposizioni: Pordenone 1980. Il dipinto raffigura l’episodio finale della vita di Maria: la solenne incoronazione da parte della Trinità. Sulle nubi, costellate da teste di cherubini, appare Maria inginocchiata, a mani giunte e vestita, come di consueto, di rosa e di blu e con un velo sul capo, leggermente inclinato in avanti. Alle spalle di Maria il Cristo (a sinistra) avvolto in un manto rosso e reggente la croce e Dio Padre (a destra) in abito bianco e manto ocra, con scettro e globo, stanno per porle sul capo una preziosa corona. Sulla sommità, in uno squarcio di cielo, vola la colomba dello Spirito Santo immersa in una luce color giallo acceso. L’assegnazione del dipinto al XVI secolo, proposta da Ciceri, non pare condivisibile. Verosimilmente si tratta di un’opera seicentesca di un pittore locale, che riprende schemi rinascimentali. La composizione risulta equilibrata, le pennellate sono compatte, rigidi e geometrici i lineamenti del volto di Cristo, più dolci quelli della Vergine. Pittore di area friulana del sec. XVII Madonna con Bambino e Santi Olio su tela/ 113x93,5 cm/ Inv. 577 Al centro della composizione – una Sacra Conversazione – la Madonna con il capo leggermente girato a destra e con lo sguardo rivolto in basso trattiene un vivace Bambino, proteso verso una Santa raffigurata a destra, di cui non rimane che il volto. Nella parte sinistra della tela era stata dipinta un’altra figura, ormai illeggibile, ai piedi della quale sembra di scorgere un libro aperto. La testa del Bambino appare coperta da un panno; anche Maria vestita di rosso e d’azzurro porta un velo sul capo e stringe nella sinistra un oggetto da dare a Gesù. Il dipinto il cui cattivo stato di conservazione non permette una precisa lettura riprende gli schemi cinquecenteschi delle Sacre Conversazioni di area veneta. I delicati lineamenti di Maria, la.realistica raffigurazione del Bambino in movimento, con la gamba sinistra allungata, l’equilibrato inserimento delle figure, fanno pensare ad un’originale discreta qualità dell’opera. Pittore di area friulana del sec. XVII La Speranza Olio su tela/ 80,5x72,8 cm/ Inv. 584 Bibliografia: Religiosità popolare…1980, p. 98. Esposizioni: Pordenone 1980. Il dipinto ritrae - in un fondale azzurro arricchito da nubi grigie - la figura allegorica femminile della Speranza, individuabile dall’antico simbolo cristiano dell’ancora stretta tra le mani. La giovane donna, avvolta da una veste dorata ricoperta da un mantello rosso e con un cinturino in vita appena segnato, è disposta quasi frontalmente con il capo inclinato leggermente verso sinistra.Raggi di luce che scendono dall’alto fanno brillare il velo quasi trasparente che le copre il capo e che scende, insieme ai capelli, sulle spalle. L’ancora come simbolo della speranza compare in vari passi delle lettere di San Paolo (Corinti ed Ebrei), mentre è assente nella figura descritta da Cesare Ripa. Il nostro dipinto, della stessa mano delle altre due tele raffiguranti le Virtù teologali (Cfr. inv. 572, 585), si differenzia per il bel modellato delle mani e per i delicati lineamenti del viso, oltre che per l’abile resa del panneggio movimentato. Il gioco di chiaroscuri e l’uso di tocchi di bianco per la resa dell’ancora metallica e del velo rinviano alla lezione coloristica veneziana del XVI secolo. Pittore di area veneta del sec. XVII Deposizione dalla Croce con San Francesco (copia da Orazio Farinati) Olio su tela/ 40x58,7 cm/ Inv. 461 Il dipinto raffigura tre momenti della Deposizione dalla Croce. Al centro della scena appoggiata ad un cumulo di rocce, che fa da sfondo, sta la croce inclinata dalla quale si sta staccando il corpo del Salvatore. L’Evangelista Giovanni e un altro discepolo lo sostengono, mentre la Maddalena - riconoscibile dal vaso degli olii - accarezza il piede piagato. Ai piedi della croce stanno (a destra) la Vergine piangente dalle mani giunte, avvolta in una veste rosata con un lungo manto azzurro, e ( a sinistra) San Francesco d’Assisi con il saio e i gigli bianchi accanto. A destra dell’episodio centrale tre uomini si affaticano a sollevare la pietra che copre il sepolcro aiutati da bastoni. A sinistra della Deposizione, sotto un albero, le Marie dolenti insieme con la Veronica - raffigurata di spalle, con un panno bianco tra le mani (il sudario?) – confabulano. Il dipinto appare come una precisa derivazione da un’incisione di Orazio Farinati, pittore ed incisore veronese, realizzata nel 1583. Il soggetto era stato eseguito dal padre Paolo nel 1573 per la chiesa dei Padri Cappuccini di Verona. L’anonimo pittore della tela Ciceri, di probabile formazione veneta, riprende fedelmente l’invenzione compositiva di Farinati, ma si differenzia nello stile. Le figure non hanno la forza e la corposità delle immagini tardomanieriste del Farinati anche se risultano ben disegnate e caratterizzate da colori freddi (rosa, azzurro, ocra). Pittore di area friulana del sec. XVII La Fede Olio su tela/ 83,5x75,5 cm/ Inv. 585 Bibliografia: Religiosità popolare…1980, p. 98. Esposizioni: Pordenone 1980. In uno sfondo grigio - illuminato dai raggi di luce che promanano dall’ostia - è inserita la figura femminile che impersona la Virtù teologale della Fede, riconoscibile dai consueti attributi della croce (nella mano sinistra) e del calice sormontato dall’ostia santa (nella mano destra).La Fede indossa una veste candida ricoperta da un manto rosso; sul capo, delicatamente inclinato verso sinistra, è sistemato un velo ocra che scende sulle spalle. La figura allegorica della Fede potrebbe esser stata a ripresa da stampe seicentesche; non segue il modello descritto da Ripa nella sua Iconologia. Il profilo delicato del viso, il gioco dei colori (bianco-rosso), la morbidezza del panneggio, le pennellate corpose, rimandano ad una formazione veneta di questo anonimo pittore locale. Il dipinto fu eseguito insieme alle altre due Virtù della collezione Ciceri (Cfr. inv. 572, 584). Pittore di area veneta del sec. XVII Testa di vecchio Olio su tela/ 40x34,5 cm/ Inv. 1 Su uno sfondo scuro è ritratto un uomo anziano, a mezzo busto, con il capo girato a destra e leggermente inclinato verso il basso. Solo il volto, caratterizzato dalla barba grigia e dalle rughe sulla fronte, è illuminato da una luce proiettata da destra. A sinistra emerge il rosso del mantello che l’avvolge. Il notevole oscuramento cromatico rende difficile una buona lettura dell’opera. Emerge, comunque, con chiarezza la precisa descrizione realistica del personaggio. L’anonimo pittore, influenzato dalla pittura veneziana del XVI secolo, riesce felicemente a riprodurre - con pennellate corpose e con una scelta cromatica ridotta a pochi colori – questa testa di vecchio modellata dal tempo, che trasmette serenità e saggezza. Pittore di area veneta del sec. XVII Ritratto di donna Olio su tela/ 40,4x34,8 cm/ Inv. 2 Una figura femminile è ritratta quasi a mezzo busto, con il capo girato a destra e con gli occhi rivolti verso l’alto. Sopra i capelli, intrecciati da fili di perle e con un piccolo diadema centrale, porta un velo quasi trasparente (si vedono solo i bordi), che le tocca le spalle nude. Dell’abito azzurro-verde che indossa è visibile solo il grande scollo centrale, orlato con motivi a pietre preziose. Un prezioso orecchino dorato pende dal suo orecchio destro. Il volto assorto appare dominato da un pallore appena attenuato dal rosa flebile delle guance. Il ritratto femminile, dai lineamenti delicati e con un’acconciatura curata e abbellita dalle perline, ricorda la ricercata preziosità di certe teste di Paolo Veronese. Chi ha scritto sul dorso del telaio – forse lo stesso Ciceri – il nome di Sebastiano Ricci, può aver avuto la stessa sensazione, visto il revival veronesiano presente in parte della produzione riccesca. Il dipinto sembra essere pendant di un’altra tela Ciceri, delle stesse dimensioni (variano di pochi millimetri) raffigurante una Testa di Vecchio (inv. 1). L’opera da assegnarsi al XVII secolo potrebbe appartenere ad un discreto artista d’area veneta, influenzato dalla pittura veneziana del Cinquecento. Sul dorso del telaio è annotato a mano“Sebastiano Ricci”. Pittore di area veneta del sec. XVII San Giacomo maggiore Olio su tela/ 42x34 cm/ Inv. 518 Il dipinto presenta – su uno sfondo grigio – l’apostolo San Giacomo maggiore a mezza figura con la mano destra sul petto e con lo sguardo rivolto verso l’alto. Con la sinistra trattiene una crocetta astile da cui pendono alcuni oggettini (sembra di riconoscere un cappello da pellegrino in miniatura). Indossa una veste rosso-violetto ricoperta da un mantello marrone chiaro decorato con la conchiglia, simbolo tradizionale del santo. Lunghi capelli incorniciano il volto dal profilo delicato e dagli occhi espressivi; il capo è circondato da un’aureola luminosa. Il dipinto, molto rovinato, lascia comunque emergere la precisa definizione del disegno e la mano non disprezzabile dell’anonimo pittore seicentesco di area veneta, ancora influenzato dalle composizioni e dal colorismo cinquecentesco. Pittore di area veneta del sec. XVII Porto con fortificazioni Olio su tela/ 54,5x74 cm/ Inv. 539 Il dipinto raffigura un porto di mare in cui approdano varie imbarcazioni. A destra è visibile un ingresso fortificato al porto, costituito da una spessa parete, aperta al centro da una grande apertura e collegata alle estremità a due torri. Sopra la muratura corre un cammino di ronda percorso da minuscole figure. In primo piano a destra le strutture lignee dove attraccano le imbarcazioni. A sinistra si nota un grande galeone, popolato da marinai vestiti di rosso e di blu, che sta per giungere a riva a vele spiegate. Parte di una piccola barca con rematori fa da quinta all’estrema sinistra della tela. Altre piccole navi popolano un mare calmissimo, che si perde all’orizzonte nel cielo grigio, rischiarato in lontananza da una luce soffusa. La piacevole teletta, esempio di opere decorative di salotti e case di nobili e borghesi, richiama nella composizione con le architetture a destra e le barche a sinistra varie Marine e Porti di mare della tradizione nordica , soprattutto olandese, ma anche la produzione del francese Claude Lorrain, maestro, durante tutto il Seicento, della pittura di paesaggio. La tavolozza è giocata su poche tonalità (l’ocra delle fortificazioni e degli scafi delle navi, il bianco delle vele, il grigio del cielo e del mare, i tocchi di blu e rosso che delineano le figure umane). Il dipinto va assegnato ad un anonimo pittore del XVII secolo Pittore di area veneta del sec. XVII Annunciazione Olio su tela/ 68x90 cm/ Inv. 548 Bibliografia: Religiosità popolare…1980, p. 98. Esposizioni: Pordenone 1980. In un interno domestico è ambientata la scena dell’Annunciazione. Maria, a destra, inginocchiata con le mani giunte al petto e il capo reclinato lievemente verso il basso, ascolta l’annuncio dell’Arcangelo Gabriele, inginocchiato di fronte a lei, con consueti gigli nella mano sinistra. L’arcangelo alato indossa una veste bianca decorata con motivi floreali, avvolta – al centro - da una fascia variopinta che termina con uno svolazzo rosso. Con la destra indica la colomba dello Spirito Santo che scende in un fascio di luce. Maria, vestita di rosso e d’azzurro, tiene il libro con il testo di Isaia sul piano dell’inginocchiatoio ligneo intagliato. Quest’ultimo appare coperto, nella parte anteriore, da una pergamena srotolata con la scritta evangelica: “ECCE ANCILLA DOMINI...” (Luca, 1, 58). Alle spalle di Maria emerge un frammento di colonna su alto basamento dal chiaro valore simbolico, mentre il centro della composizione è occupato da una sedia impagliata e da un cesto di vimini contenente lana, un panno bianco e gli utensili per filare. Sullo sfondo, attraverso una finestra aperta, si scorge uno scorcio di paesaggio alberato. L’iconografia del dipinto è quella tradizionale con i tre elementi essenziali - l’angelo, Maria dai dolci tratti giovanili, e la colomba -, ma arricchita da numerosi elementi simbolici ripresi dai vangeli apocrifi e dalla Legenda aurea: la colonna, il cesto, la sedia. La composizione, equilibrata nella disposizione delle figure e delicata negli accostamenti cromatici, si rifà a modelli della cultura pittorica veneto-friulana d’età rinascimentale, ancora apprezzati nel XVII secolo. Pittore di area veneta del sec. XVII Il sogno di Innocenzo III Olio su tela/ 62x84,8 cm/ Inv. 556 Bibliografia: Religiosità popolare…1980, p. 98. Esposizioni: Pordenone 1980. Il dipinto raffigura il famoso episodio del sogno del Laterano cadente. La composizione, ambientata nella stanza da letto di papa Innocenzo III, è divisa in tre parti. Da sinistra verso destra vediamo il papa in camicia da notte bianca, con la testa girata verso sinistra e sostenuta dalla mano destra, che dorme – sotto le coperte di colore verde - in un letto posto in tralice e riparato da un tendaggio-baldacchino rosso. Al centro della scena è sistemato un tavolino coperto da una tovaglia lilla, sopra il quale sono appoggiati un prezioso orologio a forma di piccola torre, un campanello, un crocefisso, la tiara. Seduto vicino sta un giovane addetto – con berretto nero da prelato e tonaca rossa - al servizio del pontefice, che sembra appena uscito dal sonno e che si regge la testa con la mano destra. Sempre nella stanza, accanto alla finestra da cui si scorge Castel Sant’Angelo con la bandiera issata sul pennone e il ponte che attraversa il Tevere, è raffigurato San Francesco – visto in sogno – che regge con le mani la basilica lateranense che sta crollando. Nell’angolo inferiore destro si vede di profilo un tavolino intagliato con sopra un libro. Sul dorso del telaio (listello superiore) è riportata la scritta: “Orzano”, forse il nome della località di provenienza dell’opera. Si sa che nel 1912 la chiesa di S. Maria Maddalena nei pressi di Orzano fu spogliata degli arredi. Proveniva forse da qui il nostro dipinto? Il soggetto è tratto dagli episodi della vita di San Francesco raccontati nella Leggenda maggiore di Bonaventura da Bagnoreggio. Il dipinto presenta una composizione complessa, costruita su vari piani prospettici, con le figure che rimpiccioliscono passando dal primissimo piano al fondo. Audace l’inserimento in diagonale del letto papale. L’iconografia è stata forse ripresa da qualche stampa. L’opera sembra intrisa di cultura tardomanierista. Il colorismo deriva dalla tradizione pittorica veneziana del Cinquecento. Il volto papale risulta un felice inserto ritrattistico. Pittore di area veneta del sec. XVII Terra e cosmo Olio su tela/ 121,3x79,7 cm/ Inv. 581 Bibliografia: Religiosità popolare… 1980, pp.6, 98. Esposizioni: Pordenone 1980; Udine 2002. Il dipinto raffigura, nella parte centrale ed inferiore, il cosmo di forma circolare al cui interno trovano spazio la terra - con l’Europa, l’Asia e l’Africa e gli oceani – stretta da una fascia azzurra con i simboli dei segni dello Zodiaco e i simboli delle costellazioni. Ci sono inoltre le indicazioni dei solstizi e degli equinozi. Nella parte superiore della composizione, racchiuso in una serie di cerchi concentrici, sta il Dio Giudice, assiso in trono e circondato dai simboli degli Evangelisti. Più sotto, in una sorta di disposizione piramidale, incontriamo l’Agnus Dei e la Vergine trionfante dell’Apocalisse immobile sulla falce di luna e che diffonde raggi di luce. A sinistra e a destra si vedono le schiere dei santi che porgono corone in direzione del Padreterno. Negli angoli superiori del dipinto altre schiere di credenti, molto più numerose, aspettano il giorno del Giudizio, immerse in un’atmosfera d’attesa. Nella parte inferiore della tela compare un cartiglio esplicativo che illustra gli innumerevoli segni, simboli e significati di questa raffigurazione. Il dipinto si distingue per l’originalità e l’invenzione dell’iconografia di Terra e Cosmo. L’anonimo artista d’area veneta costruisce sulla tela una rete di legami tra elementi reali ed immaginari, tra le reali terre del mondo e le simboliche immagini dei segni zodiacali. Figure umane, vegetali e animali animano confusamente la composizione. L’azzurro è, ovviamente, il colore che domina. Alla descrizione geografica della terra, e a quella astronomica dell’empireo, che si riassume nel titolo riportato nel cartiglio “Emispherium Cosmographicum”, si aggiunge la definizione delle stagioni. Su tutta questa “geografia dello spazio” campeggia la figura creatrice e regolatrice di Dio. Alla visione cosmologica si accosta la visione cristiana della fine del mondo, del giudizio universale e del passaggio alla vita ultraterrena, l’altro mondo. Se ricercato e ricco di significati appare il soggetto, meno attenta e poco realistica è la definizione delle figure, di gusto popolare, evidenti segnali di una mano di non eccelsa qualità. Pittore di area veneta della seconda metà sec. XVII (copia da Bartolomeo Biscaino) Sacra Famiglia con San Giovannino Olio su tela/ 103,5x77,5 cm/ Inv. 575 Bibliografia: Manzitti 1971, pp. 36-44; Newcome 1978, pp. 81-87. La Vergine, vestita di rosa con il manto blu e uno scialle bianco, è raffigurata seduta a sinistra mentre sta allattando il Bambino – adagiato su un panno bianco - alla presenza di San Giuseppe inserito alle sue spalle e del piccolo San Giovanni Battista posto di fronte, all’estremità destra della tela. San Giovannino, solo in parte coperto da pelli, trattiene con la destra la consueta crocetta, e silenziosamente assiste alla scena dell’allattamento così come fa il vecchio Giuseppe barbuto dagli occhi socchiusi. A destra delle quattro figure disposte in diagonale è collocata una base di colonna classica disposta su di un alto basamento. La composizione è ripresa da un’incisione del pittore genovese Bartolomeo Biscaino (1632-1657) conservata presso il Teylers Museum di Haarlem (F 14). Rispetto alla bella invenzione dell’incisione il dipinto si differenzia per la mancanza dell’agnello, attributo del Battista, per l’illustrazione solo parziale della colonna e per la riduzione spaziale della figura di San Giuseppe. Il dipinto di discreta qualità evidenzia una buona capacità dell’anonimo artista – di cultura veneta - nella resa degli incarnati e nel disegno delle figure, con qualche caduta di tono (la mano sinistra di Maria). I delicati accostamenti di colori degli abiti dei protagonisti sono ormai poco leggibili dato il precario stato conservativo. Pittore lombardo della seconda metà sec. XVII Natura morta con pesce Olio su tela/ 68x83 cm/ Inv. 553 In primo piano sopra un tavolo posto orizzontalmente e coperto da uno splendido tappeto con decori geometrici rossi bianchi e gialli su fondo scuro è collocato – entro un piatto ovale - un grande pesce. In secondo piano, dietro il pesce, spuntano due vasi vitrei: quello di destra contiene tre fiori rosa, mentre quello di sinistra appare vuoto. In origine anche il vaso di sinistra conteneva dei fiori, come testimonia l’ombra nera impressa sulla tela; la decorazione vegetale è stata in seguito cancellata oppure la pellicola pittorica si è alterata. Il tappeto appartiene al genere “a comparti” ed è stato classificato da J. Mills Mills 1982, pp.17-19) come tappeto del “Mediterraneo orientale”. Questa tipologia compare in molti dipinti veneziani della fine del XVI secolo, ma un identico tappeto è raffigurato anche da Evaristo Baschenis (1617-1677) nell’opera “Strumenti musicali” (Milano, Museo Teatrale della Scala). Al maestro bergamasco va avvicinato il nostro dipinto, non solo per la somiglianza del tessuto (Rossi 1996, pp. 188-189), ma anche per l’impaginazione della scena con la natura morta in primo piano, analiticamente descritta, e per la gamma cromatica orchestrata sui toni intensi dei rossi e dei neri del tappeto e su quelli delicati (rosa) dei fiori. Ricercati anche i tocchi di bianco sul vetro dei vasi, che danno consistenza materica agli oggetti. Ad un maestro lombardo influenzato dalla pittura del Prevarisco o della sua cerchia va ipoteticamente ricondotta la nostra tela, esempio della diffusione del genere della natura morta nella seconda metà del XVII secolo. Scuola di Antonio Carneo, seconda metà sec. XVII Mosè fa scaturire l’acqua dalla rupe Olio su tela/ 106,8x134 cm/ Inv. 467 Il dipinto raffigura l’episodio biblico - raccontato nel libro dell’Esodo (17, 7-11) - in cui Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia per dissetare il popolo ebraico, durante l’attraversamento del deserto. Al centro della composizione campeggia la maestosa figura di Mosè, nelle vesti del Patriarca, con i due raggi luminosi – simili a corna - che gli spuntano dal capo. Il volto senile è incorniciato da una barba grigia ben curata e il capo è coperto da un cappuccio, parte dell’ampio mantello che lo avvolge. Nella mano destra tiene con leggerezza una lunga e sottile bacchetta con la quale fa sgorgare l’acqua dalla roccia, collocata all’estremità destra della tela. Lo sguardo è rivolto verso il bambinetto, ritratto di profilo in basso a sinistra, in primissimo piano, in atto di porgere a Mosè il piattino per la raccolta dell’acqua provvidenziale. Il bambino ricciuto, dal volto espressivo, indossa una veste blu con risvolti color ocra. La madre alle sue spalle lo trattiene con la mano destra, mentre con l’altra indica il punto in cui fuoriesce l’acqua. In secondo piano si affastellano altre figure a gruppi di due: a sinistra due figure femminili, a destra due vecchi quasi calvi che dialogano tra loro. La donna che fa da quinta sulla sinistra e che in questa direzione volge lo sguardo indossa una veste rossa bordata di bianco con ampia scollatura e porta due orecchini a goccia; allo stesso modo è abbigliata la figura femminile in primo piano: Quest’ultima, inoltre, tiene i capelli intrecciati da fili di perle. Sullo sfondo un cielo azzurro in parte velato da nuvole e rischiarato dalla luce miracolosa emessa dallo zampillio dell’acqua. Tutta una serie di elementi tipologici e compositivi rimandano alla produzione di Antonio Carneo (1637-1692), in particolare a quella influenzata dai modi di Pietro Muttoni: il formato “bislungo”, l’esuberanza corporea dei protagonisti, le figure stipate in secondo piano, la caratterizzazione fisionomica realistica ed espressiva (inserti ritrattistici), l’uso di tonalità bruno-ocra e bianche (quasi eccezioni gli inserti blu e rossi), le pennellate robuste e fluide. Le teste dei vecchi paiono appena abbozzate, non finite. La disposizione affollata della scena richiama ad esempio il Cristo della moneta o Rachele e Labano. L’opera, che si può far risalire alla seconda metà del Seicento, va assegnata alla cerchia di Carneo, ad uno di quegli apprendisti che il pittore di Portogruaro educò e che tenne con sé. La qualità è però lontana dagli esiti più felici del maestro; si possono ritrovare alcune cadute di tono ed imperfezioni, come la resa delle spalle di una delle figure femminili. Pittore dell’Italia Settentrionale della fine sec. XVII- inizi sec. XVIII Natura morta con fiori e frutti Olio su tela/ 72,5x100 cm/ Inv. 570 La natura morta raffigurata nel dipinto è costituita da composizioni di fiori e di frutta. La struttura del quadro risulta schiacciata verso il basso, dove trovano spazio - seguendo un taglio orizzontale - i piani d’appoggio. Sul basso tavolino di sinistra - che occupa in lunghezza i due terzi della tela - è sistemata, in primissimo piano, una varietà disordinata di frutti, tra cui si riconoscono dei melagrani, e alcuni fiori di campo. In secondo piano, quasi al centro del dipinto, campeggia un piatto metallico con grappoli d’uva bianca e nera e altri prodotti della terra. A sinistra alcuni fichi in un cesto. Sul piccolo tavolo di destra, leggermente rialzato rispetto al primo, è posato un cesto di fiori, bianchi e rossi principalmente. Il contenitore di vimini è decorato da due giri di cordoncini. Un altro grappolo d’uva pende dal ripiano del tavolo. Ancora più spostati verso lo sfondo appaiono due mazzetti di fiori (campanule bianche quelli di destra), che fanno da quinta a destra e a sinistra. I vasi che contengono i fiori non sono più percepibili dato il grave inscurimento della tela. Una luce artificiale, che sembra provenire dall’alto, lambisce gli oggetti. La composizione appare equilibrata nonostante l’affollamento di oggetti, disposti alternativamente in ordine sparso o raccolti in gruppi (il piatto, il cesto). La descrizione realistica e precisa dei prodotti della terra si ritrova in buona parte della pittura italiana di questo tipo tra Seicento e Settecento. L’anonimo artista, probabilmente attivo in Nord Italia, con rapidi tocchi di pennello e con una tavolozza ridotta a poche tonalità riesce a fornire un dipinto di discreto livello qualitativo Pittore dell’Italia Settentrionale della fine sec. XVII- inizi sec. XVIII Il signor Mangiabene Olio su tavola/ 118x86 cm/ Inv. 586 Iscrizioni: “SON MANGIABEN, CHE ALCUNO A ME COMPAGNO, / NON TROVO IN SACCHEGGIAR FORNI E CUCINE / DEL MIO VALOR LA FAMA OGNI CONFINE / SENTE ONDE VANTO TITOLO DI MAGNO”. In uno spazio ovale e su uno sfondo azzurro è ritratto a mezza figura il signor Mangiaben, riconoscibile per l’iconografia e per la scritta che corre – entro un cartiglio dallo sfondo bianco – nella parte inferiore del dipinto. La figura, dai tratti marcatamente caricaturali e grotteschi, tiene i grandi occhi spalancati e la bocca aperta, così che si notano alcuni denti. Indossa un cappello con falda rivolta a destra e una veste rossa col colletto bianco. Nella mano sinistra tiene una ciotola, mentre con la destra stringe un cucchiaio colmo di cibo. Il soggetto dal carattere schiettamente realistico, fa parte di quella pittura di genere, in cui emerge un’umanità umile, fatta di poveri, emarginati, pitocchi, vagabondi e che trova celebri esempi nel lombardo Ceruti, nei Bamboccianti romani, ma anche in Carneo (Il Giramondo). Il nostro quadro, che ricorda alcune opere di Annibale Carracci degli anni ottanta del XVI secolo, quali Il mangiapolenta e Il mangiafagioli, si caratterizza per la decisa espressività fisionomica e per i vivaci accostamenti cromatici, ma il dipinto va assegnato ad un pittore di cultura lombardo-veneta e si può collocare cronologicamente tra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento. Il supporto, formato da due tavole accostate, è interessato da fessurazioni orizzontali. La superficie pittorica presenta varie cadute di colore, concentrate in particolare in prossimità della parte inferiore della figura di Mangiaben. Pittore di area friulana della fine sec. XVII – inizi sec. XVIII Giosuè ferma il sole Olio su tela/34,2x42,8 cm/Inv. 8 Iscrizioni: sul retro del telaio appare la scritta: “Pitt”. Bibliografia: Religiosità popolare… 1980, p. 98. Al centro della scena è raffigurato Giosuè a cavallo, con la spada sguainata nella mano destra, nell’atto d’impartire l’ordine famoso: “Fermati, o sole”. Il personaggio biblico, vestito di blu con uno svolazzante mantello rosso sulle spalle, allarga le braccia e rivolge lo sguardo verso destra, in direzione del sole raggiato, che occupa l’estremo angolo in alto della composizione. Il primo piano è occupato dal combattimento tra i soldati ebrei e gli Amorrei: uomini armati di spade e lance uccidono i nemici già caduti a terra. In secondo piano, a sinistra, un cavaliere sorregge una bandiera; a destra un soldato stringe la spada appena sfoderata. Sullo sfondo si stagliano i profili, appena abbozzati, delle alture. Il dipinto raffigura, in modo semplificato e popolare, l’episodio biblico in cui Giosuè chiede al sole di arrestare il suo corso per consentirgli di vincere la battaglia di Ganaon prima del cader della notte. La scena appare movimentata: armi e braccia s’incrociano in un gioco di linee prospettiche. Quà e là tocchi di colore, di rosso e di blu o di bianco, e sugli elmi piumati, illuminati dai raggi del sole, le lumeggiature veloci e guizzanti. L’opera faceva probabilmente da pendant ad un’altra raffigurazione veterotestamentarie, e precisamente al Mosè salvato dalle acque, anch’esso comprato da Ciceri dai Pitt di Cercivento (cfr. inv. 4). L’anonimo pittore, probabilmente attivo tra la fine del XVII secolo e la prima metà del secolo successivo, va ricercato in ambito locale tra quegli “artigiani del colore”, impegnati nella produzione di dipinti devozionali per le committenze private. Nella mostra “Religiosità popolare in Friuli” era esposto un dipinto con il titolo Costantino in battaglia (cat. n. 22), assegnato al XVIII secolo, che potrebbe coincidere – viste le dimensioni (44x36) e la scena di battaglia illustrata – con la nostra tela. Scuola di Jacques Courtois, (detto il Borgognone)della fine sec. XVII - inizi sec. XVIII Scontro di cavalieri cristiani e turchi Olio su tela/ 44,2x36,8 cm/ Inv. 6 Il dipinto raffigura un episodio di battaglia tra cavalieri turchi e cristiani. In primo piano un cavaliere cristiano, visto di spalle, in groppa ad un cavallo marrone spara al cavaliere turco, vestito con uno sgargiante abito rosso, con turbante bianco in testa e montato su un cavallo grigio, che si difende con la sciabola. In secondo piano altri cavalieri in combattimento. All’orizzonte bizzarri picchi montani sfumati e costellati di piccoli borghi sono delineati con preziosi tocchi di bianco. In un cielo blu cupo si stagliano, sulla destra, ingombranti nubi grigie. Il dipinto fa da pendant con un’altra opera della collezione Ciceri delle stesse dimensioni e raffigurante lo stesso soggetto (inv. 7). La pittura, che alterna colori caldi e freddi, dosando sapienti tocchi di bianco, lascia emergere alla superficie degli impasti la trama grafica dal ductus veloce e corsivo. Il pittore va individuato in uno dei numerosissimi seguaci del Borgognone attivi nell’Italia settentrionale, e in particolare a Venezia, tra l’ultimo quarto del XVII secolo e la prima metà del ‘700. Questo soggetto ebbe molta fortuna nella seconda metà del XVII secolo, quando si intensificarono le reali battaglie tra i cristiani d’Occidente e i Turchi, culminate con l’assedio di Vienna del 1683. I nostri pendants, di piacevole valore decorativo, rientrano in una produzione di tipo “commerciale”, particolarmente ricercata dai collezionisti contemporanei. Scuola di Jacques Courtois (detto il Borgognone), sec. XVII –sec. XVIII Battaglia di cavalleria Olio su tela/ 44,2x36,8 cm/ Inv. 7 Il piccolo dipinto raffigura un episodio di battaglia combattuto tra cavalieri cristiani e turchi. In primo piano, al centro, ripreso di spalle, un soldato turco a cavallo con una veste blu e con turbante bianco in testa affronta, armato di spada, un cavaliere cristiano ritratto frontalmente - che spara con la pistola. In secondo piano altri cavalieri, raffigurati di schiena, combattono tra una miriade d’armi e bandiere. Avvolto in una luce chiara si distingue, in lontananza, un piccolo villaggio dai contorni sfumati, posto ai piedi di un monte. Il dipinto che fa da pendant con un’altra opera della collezione Ciceri delle stesse dimensioni e raffigurante lo stesso soggetto (inv. 6), è un esempio di quella vasta produzione per la committenza privata, che caratterizza la maggior parte dei battaglisti attivi in Italia centro-settentrionale tra la seconda metà del XVII secolo e i primi decenni del Settecento. La tela va confrontata, per tipologia e stesura pittorica, con un quadretto (cm 25x33) conservato presso il Museo Civico di Padova (inv. n. 862) e assegnato da Moretti alla scuola del Borgognone, “...in direzione di Brescianino delle Battaglie (16461712/13)...”((Da Padovanino a Tiepolo, 1997, ill. 903). La pennellata guizzante e sfrangiata, la vivace gamma cromatica, l’uso della luce chiarissima per illuminare l’orizzonte, fanno della teletta una delicata testimonianza della pittura di battaglia, sulla scia degli esempi del Courtois. Scuola di Jacques Courtois (detto il Borgognone), sec. XVII –sec. XVIII Battaglia di cavalieri Olio su tela/ 87,2x121,3 cm/ Inv. 468 Il bel dipinto raffigura truppe di cavalieri che si stanno dirigendo verso il campo di battaglia. In primo piano al centro sono raffigurati due trombettieri con cappelli piumati, su cavalli rampanti, impegnati nel suonare la carica. Li segue una figura in veste rossa in sella ad un bianco destriero. A sinistra un gruppo di cavalieri con corazza, capeggiati dal comandante con l’elmo decorato da pennacchio. In primissimo piano, nell’estremità sinistra della tela, si vede un soldato a piedi, armato di alabarda, e accanto un cane che osserva la scena. A destra un cavaliere con armatura, a cavallo, è ritratto di spalle. Il secondo piano è caratterizzato da brulle colline, da masse di cavalieri al galoppo, da scaramucce e dal fumo d’esplosioni. In lontananza, illuminati da una luce chiara, rosacea, che domina anche il cielo, si intravedono villaggi, tende di accampamenti, scene di combattimento. Sul retro del dipinto compare la scritta: “Borgognone”, allusiva al presunto autore, identificato in Jacques Courtois (1621-1675) detto il Borgognone, dal nome della terra d’origine, attivo in Italia centro-settentrionale a partire dal 1636ca. e considerato già dai contemporanei “il più grande pittore di battaglie del secolo” (Dell’Agli 1989, p. 703). La composizione è orchestrata su vari piani: l’artista è abile nell’attrarre l’attenzione su episodi diversi, organizzati secondo diagonali. La buona qualità del quadro è data dalla cura minuziosa e realistica dei dettagli: dall’abbigliamento dei cavalieri, ai cavalli, alle armi. Il dipinto si presenta come una cronaca verosimile di un fatto d’arme, accaduto nel corso del Seicento. I giochi di luce sulle armature, l’uso di una gamma cromatica dominata dai rossi, dai bianchi, dall’ocra, dai neri, l’attenta descrizione topografica, la verità descrittiva rimandano al repertorio di Borgognone. E’ possibile, in proposito, stabilire un confronto con un quadro intitolato Dopo la battaglia conservato nei depositi della Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi di Rovigo, proveniente dalla collezione Casilini. (Romagnolo 1991, p. 245-246, ill. n. 158, p. 395). Ù Il dipinto, in mancanza di dati documentari, può essere assegnato alla seconda metà del XVII secolo, ad uno dei pittori della cerchia di Courtois, forse d’area veneta, che probabilmente ebbe occasione di ammirare qualcuna delle 12 battaglie commissionate a Venezia da Niccolò Sagredo (Mazza 1995, p. 133, ill, p. 135). Pittore di area friulana, XVII sec. San Leonardo appare a due carcerati Olio su tela/ 85x53 cm/ Inv.1458 All’interno di una cella due prigionieri incatenati e seduti assistono all’apparizione di San Leonardo, in piedi davanti a loro con un bastone e una catena con lucchetto. San Leonardo, vissuto nel VI sec., è protettore dei carcerati (oltre che dei fabbri, degli agricoltori, dei minatori e delle puerpere), che aiutava a liberarsi dal vizio e dal peccato (www.misterietradizioni.com). In Friuli è da segnalare la presenza del comune di San Leonardo, in provincia di Udine, al confine con la Slovenia. Nello stesso comune è presente una chiesa dedicata al Santo, edificata nel 1351 (www.lintver.it). Le linee del dipinto sono fluide e costruttive, prevalgono andamenti sovrapposti; i colori sono scuri e sfumati. Le forme sono piuttosto semplificate. In generale si può accostare il dipinto a Inv.1449. L’opera è in stato conservativo mediocre; presenta macchie di umidità e cadute cromatiche Pittore di area alpina, sec. XVII – XVIII Madonna del Buon Consiglio Olio su tela/ 38,2x27,6 cm/ Inv. 1449 In questa tela è raffigurata, nella sua tipica iconografia, la Madonna del Buon Consiglio: ritratta a mezzo busto la Madonna tiene in braccio il Bambino. I due si abbracciano amorevolmente; il Bambino guarda le Madre mentre Lei rivolge lo sguardo verso lo spettatore. Entrambi indossano una veste rossa con decorazioni dorate, manti blu con bordi dorati e aureole. Un’aureola più grande, con i colori dell’arcobaleno, sta sopra alla coppia. In basso la scritta “S. Maria De Bono Consilgio”. Questa iconografia è antica, si fa risalire attorno al IV sec. e fu promossa nel corso dei secoli dai frati agostiniani (www.santiebeati.it). La composizione, quasi ieratica, ricorda le icone bizantine. Le linee sono tendenzialmente verticali e rigide, i volti non sono perfettamente simmetrici e tutte le forme sono contornate da linee scure che producono un effetto stilizzato. Un gioco di luci e ombre crea le pieghe delle vesti. Nel complesso la composizione non sembra essere posteriore al XVIII secolo e comunque riprende modelli precedenti. Lo stato di conservazione è discreto; presente qualche caduta dello strato di colore. Pittore di area friulana, XVII – XVIII sec. Sant’Antonio e il Bambino Olio su tela/ 68x64 cm/ Inv. 1459 Sant’Antonio tiene in braccio il Bambino, il quale ha in mano un grande giglio bianco e porge la mano sinistra verso il volto del Santo; per l’iconografia si rimanda a Inv.1450. La lettura del dipinto è molto difficile per via del pessimo stato in cui versa la pellicola pittorica, ma si può ad ogni modo riconoscere un’opera di fattura locale, databile tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo. DipintisecoloXVIII Schede a cura di Salvatore Ferrari e Gabriella Schiaulini Pittore della prima metà sec. XVIII Ritratto dell’imperatore Carlo VI Olio su tela/ 59,5x42 cm/ Inv. 524 Iscrizioni: Sul dorso del telaio è indicata la località di provenienza del dipinto: “Cercivento”. L’imperatore Carlo VI d’Asburgo-Lorena è raffigurato a più di mezza figura entro un ovale. E’ posto frontalmente su uno sfondo grigio e piega il capo – di tre quarti – verso destra. Il volto è incorniciato da una lunga parrucca grigia, in parte coperta dal raffinato copricapo di piume blu, impreziosito da un diadema. Indossa un suntuoso abito rosso con ornamenti e pizzi dorati, al collo porta una sciarpa bianca, il “toson d’oro” e una piccola croce. Alle sue spalle, a sinistra, su un tavolino è riposta la corona del Sacro Romano Impero. Carlo VI di Asburgo-Lorena (1685-1740), padre di Maria Teresa e marito di Elisabetta Cristina di Brunswick-Wolfenbuttel, fu imperatore del Sacro Romano Impero. Lo schema compositivo è ancora pienamente barocco. Il dipinto Ciceri è confrontabile con due ritratti dell’imperatore conservati ai Musei Civici di Trieste (Maria Teresa…1980, p. 12, inv. 14766) e alla Galleria degli Uffizi a Firenze (Gli Uffizi 1980, p. 745, inv. 138590). In tutte tre le opere Carlo VI indossa lo stesso abito di gala ed è affiancato dalla corona imperiale. La datazione del dipinto fiorentino al quarto decennio del XVIII secolo può quindi essere estesa al nostro ritratto. Pittore di area austriaca della prima metà sec. XVIII Ritratto di dignitario Olio su tela/ 76x54,5 cm/ Inv. 512 Il personaggio maschile, ritratto a mezza figura, di tre quarti e con il capo rivolto leggermente a sinistra, campeggia su fondo grigio, occupando buona parte della superficie pittorica. Indossa una corazza in parte ricoperta da un mantello rosso foderato d’ermellino e decorata da una fascia trasversale nera bordata di bianco. Al collo porta le insegne del toson d’oro rette da un nastro rosso, mentre sul mantello spicca una grande croce nera bordata di bianco (come la fascia) di un ordine cavalleresco (Malta ?). Sul capo tiene una parrucca grigia tipicamente settecentesca, mentre lo jabot di pizzo bianco ingentilisce la divisa militare. Lo sguardo appare fiero e risoluto, proprio di un uomo d’armi. L’uomo ritratto, probabilmente un alto dignitario imperiale, è identificabile come il consorte di una nobildonna raffigurata in un altro dipinto Ciceri (inv. 513) con il quale fa pendant. L’anonimo artista, forse d’area austriaca, illustra dettagliatamente l’armatura metallica investita di luce, mentre appare più superficiale nella definizione del mantello. Realistica è la resa fisionomica connotata dal mento sporgente, dagli occhi marcati e dalle sopracciglie arcuate. La cromia è giocata sulla contrapposizione tra il nero della fascia e della corazza e il rosso del mantello e del nastro. Pittore di area austriaca della prima metà sec. XVIII Ritratto di nobildonna con orologio Olio su tela/ 76x53,5 cm/ Inv. 513 Il personaggio femminile è ritratto frontalmente a più di mezza figura e con la testa rivolta leggermente verso sinistra su fondo grigio. Indossa un elegante abito blu foderato d’ermellino, sotto il quale porta una camicia di un violetto tenue, foderata di rosso, con ricami in oro e terminante con i polsini di pizzo bianco. L’abbigliamento è completato da un candido corpetto scollato, orlato di pizzo e decorato in alto con gemme colorate. Secondo una moda attestata già nel tardo Seicento, l’acconciatura è arricchita da fili di perle e da un diadema intrecciati ai lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle. Con la mano destra inanellata trattiene un orologio con le ore segnate in numeri romani e fissato ad una catenella. Un braccialetto stringe il polso destro, mentre dall’orecchio sinistro pende un orecchino con grosse perle a goccia. La nobildonna dallo sguardo freddo è probabilmente la moglie del nobile raffigurato in un altro dipinto della collezione Ciceri (inv. 512) con il quale fa pendant. Il ritratto di carattere popolare, a tratti quasi caricaturistico, fa pensare ad un pittore di modeste qualità, forse di area austriaca, attivo nella prima metà del XVIII secolo. Dettagliata è la descrizione delle vesti e dei gioielli, debole è, invece, la resa dei lineamenti del viso, caratterizzati da occhi castani fortemente marcati. Pittore austriaco della prima metà sec. XVIII Madonna della cintura col Bambino Olio su tela/ 43x32,5 cm/ Inv. 563 Bibliografia: Religiosità popolare… 1980, p. 98; Giusa-Villotta 1998. Esposizioni: Pordenone 1980. Entro uno spazio centinato, dipinto su una teletta rettangolare, è raffigurata una Madonna dall’aspetto giovanile con la testa – leggermente inclinata alla sua destra e coperta da una cuffietta blu orlata di rosso – circondata da raggi di luce e da dodici stelle luminose. Maria indossa una veste rosata ricoperta da un prezioso manto blu con bordi dorati e decorato da una stellina; alla vita è stretta una cintola scura. Al collo porta un pendaglio con una pietra a forma di rombo. In braccio tiene il Bambino – adagiato su un cuscino - dai riccioli biondi che stringe nella destra una cintura nera e ha il corpicino in parte coperto da un panno bianco. Ciceri segnala il dipinto come proveniente da Cercivento piccola realtà della Carnia, dove era molto diffusa la devozione alla Madonna della Cintura. Nella Pieve di San Martino, infatti, si conservano due dipinti seicenteschi, tra cui un ex voto del 1655, con lo stesso soggetto. (Bergamini 1999, p. 85). La tela va confrontata con un ex voto della collezione Ciceri (inv. 11) datato 1733 che sembra una diretta derivazione dal nostro quadro, o forse più semplicemente, si rifà ad un modello comune, diffuso forse attraverso le stampe. Esempio di devozione privata (un ex voto ?) il dipinto rivela una discreta fattura sia nella disposizione della scena, sia nella scelta cromatica giocata sul contrasto tra il blu (il manto, la cuffia) e il rosa-rosso (la veste, gli angoli superiori della tela). Pittore di area veneta della prima metà sec. XVIII Paesaggio con cascatella Olio su tela/ 46x63,5 cm./Inv. 540 Il dipinto risulta costruito attorno a due piani: uno orizzontale, in primo piano, definito da una leggera quinta arborea a sinistra e da una robusta quinta rocciosa a destra, l’altro che dal secondo piano si perde all’orizzonte, dando il senso della vastità e profondità panoramica. Al centro della composizione è raffigurato un torrente, che scava la valle con il suo corso, mentre sulla sponda destra, sopra un colle, si erge una casa con il camino fumante affiancata da una bassa torre circolare e da una costruzione ad arco. Sullo sfondo le montagne digradanti illuminate da una luce chiarissima. In primissimo piano a sinistra, quasi confusi nei colori del sottobosco, si notano due viandanti in cammino. Dalla rupe raffigurata sulla destra sgorgano le acque zampillanti di una cascatella. Lo sfondo luminoso, la vivace invenzione dell’inserto architettonico centrale – dominato dalla consueta torre circolare – i tronchi contorti, le fronde rigogliose, lo scintillio degli zampilli d’acqua sono tutti elementi ricorrenti nella pittura veneta di paesaggio della prima metà del Settecento. Il colore modulato in tenui variazioni giocate sui verdi, bruni e avorio e le pennellate corpose ma delicate, fanno pensare ad uno stretto legame con la pittura della cerchia riccesca, all’interno della quale va rintracciato il nostro artista. Pittore friulano della prima metà sec. XVIII Madonna della cintura col Bambino (1733) Olio su tela/ 34x28 cm/ Inv. 11 Iscrizioni: al di sotto delle figure compare – su fondo bianco – una scritta in caratteri rossi: “Regina Consolationis P.P.F.F. / Ex Voto 1733”. Bibliografia: Segni della devozione… 2005, p. 134 Esposizioni: Udine 2005 In uno sfondo scuro è raffigurata una Madonna dai dolci lineamenti con il Bambino in braccio. Veste di rosa (la veste) e di blu (mantello, con orli dorati finemente lavorati) e porta sul capo aureolato una cuffietta blu. Un pendaglio con una pietra preziosa le scende sul petto, mentre la vita è stretta da una cintola nera. Gesù - col corpicino nudo appena coperto da un panno bianco - appare seduto su di un soffice cuscino verde posto sulla gamba destra della madre. Con la destra stringe una cintura nera in cuoio. Dalla scritta che accompagna il piccolo ex-voto sappiamo l’anno di esecuzione (1733) e le iniziali (P.P) del committente che “Fece Fare” l’opera. Il soggetto risulta identico ad un altro dipinto Ciceri (inv. 563), forse il modello di riferimento. La protezione del vetro ha mantenuto brillanti i colori usati dall’anonimo pittore locale. Anche questo ex-voto – come scrive Andreina Ciceri (1997) – proviene da Cercivento e fu commissionato da un membro della famiglia Pitt, probabilmente da Pietro (1711-1787), padre del chirurgo Gio Pietro (1756-1848) e cramars “impegnato nei traffici di Germania” (Nicoloso Ciceri 1997, p. 114). Ancora una volta è la Carnia, territorio dove era molto diffusa la devozione alla Madonna della cintura, il luogo di provenienza di questo dipinto. Tra ‘600 e ‘700 troviamo varie Confraternite intitolate alla Beata Vergine della cintura (Salino di Paularo, Enemonzo). La cintura, che consisteva in una striscia di cuoio, veniva benedetta e poi consegnata ai membri della Congregazione; se indossata sotto i vestiti proteggeva dal malocchio e dalle streghe. (Moro 1999, p. 165) Nella chiesa pievana di Cercivento un dipinto raffigurante la Madonna della cintura era collocato sull’altare della Vergine della Consolazion Scuola di Marco Ricci, prima metà sec. XVIII Paesaggio con alcuni viandanti Olio su tela/40,3x57 cm./Inv. 459 In un paesaggio scenografico, delimitato a sinistra da fitte alberature attorte, squassate dai venti, e a destra da alberi a fronde rade che si stagliano contro il cielo, sono inseriti due viandanti ritratti di spalle, incamminati lungo un sentiero e seguiti da un animale da soma (un asino? un cavallo?) carico di bisacce e bagagli. Le figurette umane - eseguite con tocchi rapidi e corsivi - e illuminate da una luce chiara, risaltano nelle loro vesti azzurre e ocra, non disturbando affatto la solitudine che avvolge l’ambiente naturale. Un torrentello, reso visibile dai riflessi bianchi della luce sull’acqua, serpeggia fino al primo piano, mentre in lontananza emergono i profili delle montagne e di una torre circolare, velati in una suggestiva prospettiva atmosferica. Uno stormo di uccelli neri punteggia un cielo blu pieno di morbide nuvole. Il dipinto fa pendant con un’altra tela della collezione Ciceri di uguali dimensioni e con una simile ambientazione paesistica (cfr. inv. 460). I due quadri rispecchiano il gusto di una committenza privata, attenta a soddisfare le esigenze dell’arredamento interno della propria dimora. Ritroviamo anche qui alcuni elementi del repertorio riccesco: l’uso dei marroni bruciati e delle terre di Siena, la scenografia movimentata da quinte alberate e rocciose, l’inserimento narrativo delle macchiette, l’evocazione sfumata dei fondi, la molteplicità dei piani prospettici. L’artista, appartenente alla cerchia di Marco Ricci, pare conoscere bene i temi e il lessico pittorico del maestro arrivando a risultati di buona qualità. Scuola di Marco Ricci, prima metà sec. XVIII Paesaggio con Piramo e Tisbe Olio su tela/ 40,3x57,7 cm/ Inv. 460 In uno splendido paesaggio di alberi lussureggianti e di rocce nude, che accompagnano il corso di un fiume solcato da un ponticello in pietra a due arcate, è ambientato il racconto mitologico di Piramo e Tisbe, ritratti in primo piano come macchiette, che riecheggiano la lezione di Magnasco (1667-1749). Tisbe nuda, solo in parte coperta da un mantello azzurro, piange accanto a Piramo morente disteso ai suoi piedi. In lontananza si scorge il profilo dei monti illuminati da una luce bianco-azzurra, mentre il cielo carico di nuvole vaporose è punteggiato dal volo di uccelli. Le quinte laterali degli alberi e delle rocce, la composizione organizzata secondo piani orizzontali digradanti, la gamma cromatica giocata sui colori caldi dell’autunno (ocra e verde), la luce che fa brillare i colori delle figure umane in primo piano sono tutti elementi del linguaggio riccesco. Il dipinto di buona qualità, attribuito da Ciceri – come riporta una scritta autografa sul dorso del telaio – a Marco Ricci (1676-1730), può essere ricondotto, più cautamente ad un artista della scuola del pittore bellunese, con una possibile datazione verso la metà del XVIII secolo. Il dipinto fa da pendant ad un’altra tela della collezione Ciceri (inv. 459) di identiche dimensioni. Il soggetto mitologico è tratto dalle Metamorfosi di Ovidio (4, 55-166). Nel 1651 Nicolas Poussin realizzò un dipinto con il medesimo soggetto – ambientato in un paesaggio – per Cassiano Dal Pozzo (Merot 1990, ill. p. 164). Clemente Venceslao di Sassonia (?-?), sec. XVIII Paesaggio con soldati e popolani, 1757 Olio su cartoncino/ 6,3x11,7 cm./Inv. 211 Iscrizioni: sul retro del cartoncino: “CLEMENTE WENCESLAS PRINCE DE SAXE F. [ecit] – 1757”. Il dipinto, dalle dimensioni microscopiche, raffigura un piccolo esercito di soldati a piedi, guidato da un comandante a cavallo, che avanza da destra verso il centro della composizione. Qui una donna in ginocchio accoglie le truppe, mentre altre figure – una a dorso d’asino – portano ceste e gerle. A sinistra una figura è ritratta inginocchiata presso un corso d’acqua. In secondo piano al centro un grande albero è posto su un piccolo dosso, circondato da altra vegetazione. In lontananza si vedono i rilievi sfumati dei monti (a destra) e un piccolo borgo (a sinistra). L’antica scritta sul retro del cartoncino rivela il nome dell’autore. Non conosciamo nulla su questo misterioso principe di Sassonia dedito alla pittura. La piccola opera di tono narrativo, eseguita con intento miniaturistico e con pennellate veloci e sfrangiate, rientra in quella serie di esemplari decorativi diffusi in area nordica e francese per tutto il XVIII secolo. La scena dominata dalle macchiette rosse e blu descrive una scena quotidiana, o forse illustra un episodio mitologico o storico. Il dipinto è pendant di un’altra opera della collezione Ciceri (inv. 212) raffigurante un Paesaggio con popolani, di uguali dimensioni. Clemente Venceslao di Sassonia, sec. XVIII Paesaggio con popolani, 1757 Olio su tela/ 6,3x12 cm/ Inv. 212 Iscrizioni: sul retro del cartoncino “CLEMENTE P. DI SASSONIA F. [ecit]” Il dipinto di piccolissime dimensioni raffigura un paesaggio popolato da numerose macchiette. Lo spazio destro della composizione è occupato da una grande casa con finestre allungate terminanti ad arco e con un poggiolo ligneo raggiungibile tramite una scaletta. Nei pressi dell’edifico un gruppo di persone sta confabulando, mentre un uomo curvo sul bastone sta trattenendo per le briglie un asino da soma. Al centro è collocato un grande albero frondoso, con il tronco piegato dal vento verso destra; a sinistra uno scorcio di fiume attraversato da una barca con alcuni rematori. In secondo piano si vede un’altra abitazione. Il dipinto è pendant di un’altra opera della collezione Ciceri (Inv. 211), raffigurante un Paesaggio con soldati e popolani. La raffigurazione è dipinta con dettaglio miniaturistico. Con pochi tocchi di colore (rosso e blu delle vesti e bianco) l’artista crea una serie di figurine brulicanti nel paesaggio, intente in varie attività. Questa scena di genere, di gusto narrativo, va ricondotta – in linea con la scritta riportata sul retro del supporto – ad uno sconosciuto pittore nordico, indicato come il principe di Sassonia. Giambattista Tiepolo (imitatore di), seconda metà sec. XVIII Sacra Famiglia Olio su tela/ 38,3x32,2 cm/ Inv. 3 Al centro della scena è raffigurata la Sacra famiglia: la Madonna, in veste rossa e manto blu, è seduta e tiene in braccio il Bambino avvolto nelle fasce; San Giuseppe ritratto di spalle, con il bastone tra le mani, le è accanto e volge lo sguardo a sinistra verso Gesù. La Madonna porta sul capo, leggermente inclinato alla sua destra, un soffice velo che le scende sulle spalle. In alto a destra, tra le nuvole, spuntano due teste angeliche, mentre sulla sinistra si stende un paesaggio alberato. La piccola tela, di buona qualità, è probabilmente un bozzetto di un dipinto di maggiori dimensioni, forse una pala d’altare. In alcuni particolari (la figura di Giuseppe, il pino silvestre e gli altri alberi dello sfondo, la Madonna con il piede sinistro che spunta dalla veste) l’opera riprende un’opera di Giambattista Tiepolo (1696-1770) raffigurante il “Riposo nella fuga in Egitto”, realizzata verso il 1745 per l’altare destro della chiesa dei Santi Massimo e Osvaldo di Padova. (Gemin-Pedrocco 1993, p. 387) L’anonimo artista d’area veneta si dimostra un imitatore di Tiepolo non soltanto per la composizione, ma anche per lo stile. Ritroviamo qui l’intenso colorismo materico veneziano, le figure non del tutto definite - che sembrano uscire dalle nubi (San Giuseppe) -, gli stessi scorci naturalistici più volte immortalati da Tiepolo, in particolare nelle opere degli anni Cinquanta e dell’ultimo periodo. Giovanni Battista Tosolini, (Felettano di Tricesimo 1739-1792) Madonna Annunciata Olio su tela/ 43x33,5 cm/ Inv. 534 Iscrizioni: sul retro del dipinto: BRUSIN / FONDA (?) / CERVIGNANO / ACQUISTATA DA / TONOLON DA / PASCOLETTI ERMES Bibliografia: Benezit 1999, p. 744; Bergamini-S. Tavano 1984, pp. 475-476; Guida artistica… 1999, pp. 38, 82, 210, 270, 313, 433, 470, 472, 474, 478; Comelli, in Tresesin 1982, pp. 308-338 e ill. a colori p. 328; Favaro 1975, p. 159; THIEME-BECKER, XXXIII, p. 316. Nato a Felettano di Tricesimo Giovanni Battista Tosolini fu pittore e sacerdote (abate). Nel 1757 è documentato a Venezia come studente “della nuova Accademia del Disegno eretta da S. E. Almorò Pisani” (Bergamini 1996, p. 2) e tra il 1765 e il 1776 fu iscritto alla fraglia dei pittori. (Favaro 1975, p. 159) La formazione accademica, sotto la guida di Pietro Longhi (1701-1785) (Tosolini. Le opere 1996, p. 3), si ritrova nelle opere d’arte sacra – affreschi e tele – lasciate in varie chiese friulane (Piano d’Arta, Castions di Strada, Martignacco, Reana del Rojale, Loneriacco, Mezzomonte, Udine, Tricesimo) ed eseguite nel nono decennio del XVIII secolo. (Bergamini 1999, pp. 38, 82, 210, 270, 313, 433, 470, 472, 474, 478). Altri dipinti si conservano a Venezia (sacrestia di S. Moisè e Fondazione Querini Stampalia) - dove abitò ed ebbe bottega – e a Montpellier (Benezit 1999, p. 744). Tra i suoi allievi si ricorda Odorico Politi. Nella sua produzione l’artista appare “piuttosto freddo e convenzionale nel colore, statico nell’impianto compositivo” (Bergamini-Tavano, 1984, p. 476). Il dipinto ritrae - entro un ovale - la Madonna annunziata a mezza figura con le mani delicatamente incrociate sul petto e avvolta nel consueto manto azzurro, che le copre anche il capo. Sotto il mantello foderato di bianco la Vergine indossa una veste rossa e una candida camicia. Il dolce volto ben modellato è rivolto – di tre quarti - verso destra, mentre gli occhi sono leggermente abbassati. Lo sfondo giallo- ocra è illuminato dall’aureola, mentre una luce proveniente da destra si proietta sul viso creando piacevoli effetti di chiaroscuro. Sul retro del dipinto ci sono alcune annotazioni autografe di Ciceri con l’indicazione dell’autore, dei precedenti proprietari e della provenienza. La tela fu acquistata nel marzo del 1973. L’attribuzione al Tosolini, fatta da Giovanni Comelli (1982), è stata ripresa di recente (Tosolini. Le opere 1996, p. 23). La composizione, accademica nelle forme e nei colori, appare come un piacevole esempio di pittura devozionale privata, confrontabile con altre opere del medesimo soggetto, realizzate da Tosolini nel nono decennio del XVIII secolo. In questo caso l’artista sembra raggiungere una qualità superiore nella resa espressiva del volto e nei panneggi morbidi. Pittore austriaco del sec. XVIII Ecce Homo Olio su tela/ 53x40 cm/ Inv. 526 Bibliografia: Religiosità popolare… 1980, p. 98; Ganzer in Cavazzo Carnico 1984, pp. 61-65, ill. p. 64; Pepper 1988, cat. 180 (p. 298), ill. 167. Esposizioni: Pordenone 1980. Il dipinto raffigura su di uno sfondo scuro - appena rischiarato dall’aureola luminosa - il Cristo a mezzo busto, con il capo incoronato di spine e con il sangue grondante sul collo e sul petto. L’uomo dei “dolori” rivolge lo sguardo a sinistra, verso l’alto, e indossa la tradizionale tunica che gli lascia scoperto parte del petto segnato dalle ferite della flagellazione. La dimensione sproporzionata delle spine dalla fattura “metallica”, i grandi occhi aperti, i baffi, e la diffusa presenza del sangue - a marcare l’aspetto della sofferenza - sono chiari motivi di un’iconografia nordica. Ganzer (1984) ha confrontato questa tela con un dipinto raffigurante il “Cristo coronato di spine” conservato nella chiesa di San Daniele di Cavazzo Carnico. Quest’ultima opera – come afferma la legenda del cartiglio – si rifà all’immagine “salvatoris spinis coronati” della parrocchiale di Klagenfurt. In area austriaca, probabilmente carinziana, va ricercato, quindi, anche l’ignoto pittore di questa piccola tela destinata alla devozione privata. Il soggetto è ripreso dal Coronato di spine di Guido Reni (1639-1640) conservato al Louvre. L’immagine si diffuse in tutta Europa grazie alle numerose copie e incisioni. Pittore di area austriaca del sec. XVIII L’Immacolata Olio su tela/70x48,8 cm./Inv. 456 Al centro della composizione, tra nubi e teste d’angelo, trionfa la Vergine splendente di luce. Maria è avvolta in un turbinoso mantello - celeste fuori e rosso all’interno –, mosso dal vento e trattenuto dalla mano sinistra che si posa sul petto. Candida è la veste sottostante, mentre i fiori raccolti in mazzo, tenuti nella mano destra, e quelli che le coprono il capo sono rossi e bianchi. I piedi s’appoggiano sul globo, sfiorano la falce lunare e calpestano il serpente attorcigliato con il pomo in bocca. Dodici stelle appena visibili circondano la Vergine e in una gloria di luce compare lo Spirito Santo sotto forma di colomba. Il dipinto si distingue per la vivacità della gamma cromatica, dominata dai rossi e dai bianchi. Riuscita è la resa movimentata del mantello, che avvolge con andamento vorticoso la Vergine. Originale appare l’inserimento dei motivi floreali della coroncina e del mazzo tenuto in mano. La tela va assegnata al XVIII secolo, in un momento di revival dell’iconografia dell’Immacolata, opera forse di un pittore di area austriaca. Pittore di area austriaca del sec. XVIII Madonna di Loreto col Bambino Olio su tela/ 61x51 cm/ Inv. 530 Bibliografia: Religiosità popolare…1980, p. 98. Esposizioni: Pordenone 1980. Sotto una sorta di sipario o baldacchino – sospeso tra le nubi - a forma di tenda (o di campana) in tessuto rosso, con decorazioni dorate lungo i bordi, è raffigurata la Madonna di Loreto avvolta insieme al Bambino nella rituale dalmatica rossa, abbellita da perle, decorazioni d’oro, diademi. Maria e Gesù hanno volti sorridenti e sereni, portano in testa pesanti corone riccamente lavorate, al collo ampi colletti di pizzo bianco e si appoggiano a tessuti bianchi collocati alle loro spalle. Da questa “custodia” speciale, in cui sono alloggiate le sacre figure, si diffonde una luce raggiata. Il dipinto di carattere devozionale, forse commissionato per qualche santuario mariano, ripropone la consueta iconografia della Madonna lauretana. Le fisionomie dei volti ricordano la pittura d’area austriaca e di altre regioni dell’impero vicine al Friuli (Slovenia?). Il rosso e l’oro dominano la composizione, che appare esageratamente ricca di decorazioni, pizzi, nappe, stoffe preziose. Pittore di area nordica del sec.XVIII Veduta cittadina notturna Olio su tela/ 70x80 cm/ Inv. 794 Nell’oscurità, numerosi edifici con copertura di foggia nordica, formano una diagonale che taglia in due la composizione. Da sinistra a destra si incontrano un’alta casa all’ingresso della quale si affaccia un uomo vestito secondo la moda del tempo, con un bastone sulla spalle, seguito da un cane.. Seguono un portale aperto, un’altra abitazione e un nucleo, forse una fortificazione. La diagonale si conclude a destra con un’altura rocciosa dominata da un castello turrito. Il centro della scena è occupato da una carrozza che sembra abbandonata e da un gruppo di figure che attraversano la piazza; un uomo reca una torcia accesa il cui bagliore contrasta con il cielo ove nuvole sembrano nascondere la luna. Il XVIII secolo vede una costante diffusione di paesaggi urbani, di scorci di città o di borghi, sia in Italia che in altre regioni europee. Difficile tuttavia appare l’individuazione dell’autore e dell’area in cui il dipinto è stato realizzato. Pittore di area friulana del sec. XVIII Mosè salvato dalle acque Olio su tela/ 34x42,5 cm/ Inv. 4 Iscrizioni: sul dorso del telaio “Pitt”. Il dipinto raffigura il noto episodio biblico del ritrovamento di Mosè. Al centro della composizione una donna inginocchiata sulla riva di un corso d’acqua si appresta a prendere la cesta con il piccolo Mosè. Alla scena assiste la figlia del faraone in vesti regali, (veste verde con manto rosso) ritratta in piedi – a destra - sotto un ombrellino da passeggio sorretto da una giovane accompagnatrice. A sinistra, sulla riva opposta, un soldato in ginocchio spinge con un bastone la cesta di Mosè, facilitandone l’approdo. Alle sue spalle un vecchio dalla veste candida, con manto rosso e copricapo in testa, tiene un lungo bastone tra le mani. Sullo sfondo campeggiano le case di un villaggio, abbozzate in malo modo e circondate da una rada vegetazione. Gli abiti della nobildonna rimandano alla moda settecentesca d’area veneta; l’ombrellino da passeggio ritorna in opere dello stesso soggetto realizzate nel corso del XVIII secolo. Le fisionomie dei volti, la fattura dell’elmo del soldato, lo stile semplice e popolare della composizione sembrano elementi confrontabili con un’altra tela della collezione Ciceri (inv. 8), appartenuta ai Pitt di Cercivento. Le due opere vanno ricondotte al medesimo e anonimo pittore locale. Pittore di area friulana del sec. XVIII Cavallo nero Olio su tela/ 36,7x48 cm/ Inv. 12 Entro un ovale orizzontale – ricavato in un tela rettangolare i cui angoli sono scuri – campeggia, in primo piano, un cavallo nero rampante. Lo sfondo è occupato da un paesaggio lontano e da un cielo azzurro chiaro carico di nuvolette bianche. Il cavallo appoggia le zampe posteriori su un terreno roccioso e altre rocce spuntano nella parte destra del dipinto. Il dipinto fa pendant con la tela raffigurante un Cavallo bianco (inv. 13). Le dimensioni dei due quadri sono pressoché identiche. L’anonimo pittore, probabilmente locale, riesce ad inserire con equilibrio l’isolata figura animale – illustrata correttamente – all’interno di un ambiente sfumato e in un’atmosfera cristallina. Pittore di area friulana del sec. XVIII Cavallo bianco Olio su tela/ 36,8x48,2 cm/ Inv. 13 Un cavallo bianco rampante si staglia in primo piano – entro un ovale orizzontale – e alle sue spalle, in lontananza, sfumano scorci di monti e colline. Un cielo di un azzurro luminoso, punteggiato da nuvolette bianche, avvolge la scena. Le zampe posteriori si appoggiano sul terreno roccioso, mentre la criniera e la coda sono mossi dal vento. Il dipinto fa pendant con la tela raffigurante un Cavallo nero (inv. 12). L’anonimo pittore locale realizza queste due opere come elementi d’arredo della residenza di qualche nobile o benestante. La tela si apprezza nella sua essenzialità, con l’animale ben disegnato e le montagne disposte trasversalmente a dare il senso della profondità. Pittore di area friulana del sec. XVIII Santa Elisabetta di Turingia Olio su tela/59,5x48,5 cm./Inv. 514 Bibliografia: Religiosità popolare… 1980, p. 98. Santa Elisabetta di Turingia, figlia di un re d’Ungheria, appare in primo piano in atto di fare elemosina ad un povero mendicante, mossa da carità francescana. La santa indossa una sottoveste bianca - dalle ampie maniche - decorata con motivi floreali rossi e neri a stampino, coperta da un abito blu, a sua volta sormontato da un mantello rosso. Elisabetta ha il capo coronato, porta orecchini a goccia e una collana di perle, mentre i capelli sono fermati da fili di perline. Nella mano destra tiene una brocca, nella sinistra un altro oggetto (un pane?). Il povero infermo giace a terra, appoggiato ad un tronco d’albero, e stringe una stampella con la mano sinistra. Indossa una camicia aperta sul petto e attorno alla fronte porta stretta una fascia bianca. Dietro la santa uno scorcio di paesaggio con rocce e alberi e un cielo azzurro e rosa, solcato da nubi. Il dipinto a carattere devozionale, eseguito probabilmente per un’abitazione privata, è in pendant con un’altra teletta di soggetto sacro (Sant’Osvaldo) della collezione Ciceri (cfr. inv. 516). Efficace la resa cromatica che alterna tonalità fredde e calde; semplice, ma chiara la definizione iconografica, che permette di riconoscere facilmente, grazie ai consueti attributi, la Santa ungherese. Per quanto riguarda un’ipotesi di datazione è preferibile una collocazione temporale all’interno del XVIII secolo, piuttosto che nel corso del ‘600 come proposto da Ciceri. Pittore di area friulana del sec. XVIII Sant’Osvaldo (o San Costantino il grande?) Olio su tela/62,5x47 cm./Inv. 516 Iscrizioni: ai piedi del santo: “OSWALD [...] E FACE FA [RE]. Bibliografia: Religiosità popolare… 1980, p. 98; Segni della devozione…2005, p. 80. Il dipinto raffigura un santo monarca a figura intera (Sant’Osvaldo o San Costantino ?): nella mano destra tiene lo scettro, nella sinistra una grande croce. Indossa una veste blu da soldato romano con “maglia” dorata e calzari verdi; un mantello rosso foderato d’ermellino completa l’abito regale. Porta sul capo la corona, lunghi capelli scendono sulle spalle e una corta barba incornicia il volto. La testa è inclinata leggermente verso sinistra. Lo sfondo è ripartito in due scene, forse due momenti della vita del santo. A sinistra ai piedi di mura loggiate, dietro alle quali spuntano le fronde degli alberi, sono radunate alcune persone che sembrano scambiarsi un oggetto ovale (un piatto?). A destra una figura maschile (il monarca?) prega in ginocchio davanti ad una croce; poco distante si vedono le tende di un accampamento, un borgo protetto da mura e, in lontananza, i profili delle montagne. Il dipinto fa pendant con un’altra tela Ciceri raffigurante Santa Elisabetta di Turingia (cfr. inv. 514). Le opere, pressoché identiche nelle dimensioni, rappresentano un medesimo soggetto: figure di santi coronati. La presenza del nome del committente, Osvaldo, porterebbe alla facile identificazione dell’omonimo santo protettore, individuabile per gli attributi dello scettro e della croce. Manca però il tradizionale corvo nero con l’anello nel becco. Si potrebbe identificare il santo anche con l’imperatore Costantino – come fa Ciceri – anch’egli solitamente ritratto con scettro e croce. Tale ipotesi potrebbe trovare conferma nell’episodio in secondo piano (a destra): l’accampamento e l’orante ai piedi della croce sembra richiamare il famoso episodio della vigilia della battaglia di Ponte Milvio, quando Costantino vide una croce in cielo. Il dipinto di gusto popolare, che potrebbe coincidere con quello esposto alla mostra “Religiosità popolare in Friuli” dal titolo Costantino imperatore (cat. n. 31) è una testimonianza della vivace devozione a Sant’Osvaldo, re di Northumbria, venerazione che interessa molte zone della Carnia, probabile luogo di provenienza del dipinto. Pittore di area friulana del sec. XVIII La Vergine Immacolata Olio su tela/91x52,5 cm./Inv. 521 Bibliografia: Religiosità popolare… 1980, p. 98. Al centro del dipinto, fra nubi e testine di cherubini, è raffigurata, secondo la tradizionale iconografia, la Vergine a mani giunte, col capo leggermente reclinato verso sinistra e con gli occhi socchiusi che guardano verso il basso. Indossa una veste rosacea e un manto blu, un lembo del quale è trattenuto dal braccio sinistro. Maria, dai tratti dolci e dai morbidi capelli castani sciolti sulle spalle, poggia i piedi sulla falce lunare e schiaccia la testa al piccolo drago che divora la mela. Un’aureola di luce fredda e dodici stelle le circondano il capo. L’anonimo artista settecentesco, che raffigura la donna dell’Apocalisse come una tranquilla giovinetta dai lineamenti gentili, mostra discrete qualità compositive e stilistiche. L’iconografia è quella tradizionale, che ebbe molta fortuna nel corso del XVIII secolo, la gamma cromatica è giocata su tinte fredde, il colore è steso con pennellate veloci che rendono meno compatta la superficie pittorica. Il dipinto è stato esposto alla mostra “Religiosità popolare in Friuli” con il titolo La vergine vittoriosa sulla falce lunare e il demonio (cat. n. 6) e assegnato al XVIII secolo. Pittore di area friulana del sec. XVIII Santa Giuliana Olio su tela/ 51x43 cm/ Inv. 522 Bibliografia: Religiosità popolare…1980, p. 98. Esposizioni: Pordenone 1980. Il dipinto raffigura una santa coronata a figura intera, con la palma martiriale nella mano destra e una spada nella sinistra. Sulla destra è visibile una caldaia con acqua bollente sistemata sul fuoco. Questi attributi consentono di identificare nella figura femminile santa Giuliana. Indossa un prezioso mantello rosso foderato d’ermellino, che ricopre una veste bianca bordata e ricamata - nella parte superiore - con motivi dorati. Fili di perline intrecciano i lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle, al collo porta una collana di perle e ai piedi i sandali. La santa rivolge lo sguardo verso l’alto. Alle sue spalle uno sfondo roccioso, e a destra s’apre uno scorcio di paesaggio con colline, staccionate e animali che corrono. Opera di carattere devozionale eseguita da qualche artista friulano nel corso del XVIII secolo. Il dipinto va forse accostato ai due quadri della collezione Ciceri raffiguranti altri santi monarchi (cfr. inv. 514-516); è stato esposto alla mostra “Religiosità popolare in Friuli” con il titolo Regina santa martirizzata in acqua bollente e assegnato al XVIII secolo. Pittore di area friulana del sec. XVIII Apparizione della Madonna col Bambino a San Domenico Olio su tela/63,5x52,5 cm./Inv. 531 Bibliografia: Religiosità popolare… 1980, p. 98. La Madonna, seduta sulle nubi e reggente il Bambino, appare in una visione a San Domenico, ritratto di profilo con il tradizionale saio bianco e nero e con la stella sopra il capo. La scena è ambientata in un interno; da una porta aperta sulla destra s’ intravede un paesaggio collinare molto sfumato. Il Santo, riconoscibile dai consueti attributi (cane con la fiaccola in bocca e globo) è inginocchiato sopra una bassa pedana lignea e rivolge lo sguardo verso il Bambino che gli sta consegnando il Rosario. La Madonna è incoronata e indossa una veste rossa con manto blu; sul capo porta uno svolazzante velo candido. Le ridotte dimensioni della tela e il carattere popolare della pittura ne fanno un’opera di devozione privata, eseguita da un anonimo pittore locale, nel corso del Settecento.Il dipinto è stato esposto alla mostra “Religiosità popolare in Friuli” (Pordenone 1980) con il titolo S. Domenico che adora la Madonna e il Bambino (cat. n. 24). Pittore di area friulana del sec. XVIII Fuga in Egitto Olio su tela/ 37,5x47 cm/ Inv. 536 Bibliografia: Religiosità popolare…1980, p. 98. Esposizioni: Pordenone 1980. In un paesaggio semplificato, caratterizzato da alcune palme in secondo piano, e dai profili stilizzati dei monti sullo sfondo, è ambientato l’episodio evangelico della Fuga in Egitto. Al centro della composizione San Giuseppe a piedi conduce per la cavezza l’asino, sopra il quale - in una posizione poco realistica e impacciata – è seduta la Vergine con in braccio il Bambino, che sorregge il globo nella mano destra. Giuseppe è raffigurato con il bastone, il cappello e la bisaccia da pellegrino, mentre Maria, in abito blu e manto rosso, porta un velo gonfiato dal vento. Pesanti aureole paiono sospese sopra le teste dei personaggi. L’anonimo pittore locale appare dotato di modeste capacità illustrative. Poco riusciti sono sia la sistemazione della Vergine in groppa al somaro, che il paesaggio appena abbozzato. La scena fa parte di quelle testimonianze della religiosità popolare, da assegnare al XVIII secolo, molto diffuse nel territorio. Pittore di area friulana del sec. XVIII I Santi Canzio, Canziano e Canzianilla Olio su tela/ 47x36 cm/ Inv. 537 Iscrizioni: sul dorso del telaio si legge una scritta a matita blu: I TRE FRATELLI CANZIO, CANZIANO E CANZIANILLA (ROMANI ?) / MIO (sul listello sinistro), MARTIRIZZATI ALLE (...) (...) (...) AQUILEIA. Bibliografia: Segni della devozione… 2005, p. 78 Esposizioni: Udine 2005 In uno sfondo azzurro si stagliano le figure di tre santi incoronati da altrettanti cherubini che reggono una palma martiriale nella mano destra. Grazie alla scritta posta sul dorso del telaio riconosciamo, partendo da sinistra, i Santi Canzio, Canziano e Canzianilla, tre fratelli di origine romana ma martirizzati presso la tomba di San Crisogono vicino ad Aquileia. Al centro è raffigurato Canziano in veste di milite romano, con corazza verde e manto rosso e con la spada nella mano destra. A sinistra Canzio - vestito come il fratello - trattiene con la mano destra uno scudo crociato e rivolge lo sguardo al cielo. A destra la giovane cristiana Canzianilla in ginocchio, con le mani incrociate sul petto, guarda verso il basso con gli occhi socchiusi. Indossa una veste blu e un manto d’oro; ai piedi c’è un libro. I fratelli furono martirizzati nel 290 d. C.; le loro reliquie furono trasferite nel IV secolo nella chiesa di San Giovanni Evangelista a Grado. Nella parrocchiale di San Canzian d’Isonzo si conserva – sull’altar maggiore - un trittico raffigurante i tre santi aquileiesi, attribuito a Giacomo Secante (seconda metà del XVI secolo). Pittore di area friulana del sec.XVIII Ritratto di donna con lettera Olio su tela/ 34x26, 7 cm/ Inv. 542 Una signora dai grandi ed espressivi occhi azzurri è ritratta seduta, a mezza figura, il volto leggermente a sinistra. Sulla capigliatura a ricchi boccoli è posata una cuffietta di pizzo a motivi floreali ornata da un nastro. L’abbigliamento è sobrio ma elegante, come i ricchi gioielli di raffinata lavorazione. Con la mano sinistra inanellata stringe una lettera, forse appena letta, mentre lo sguardo appare preoccupato. La posa rigida, la neutralizzazione dello sfondo, il volto enigmatico, il realismo acerbo ne fanno un ritratto dtipico dell’epoca romantica. L’anonimo artista, con una pittura fluida e con scelte cromatiche calibrate, sembra interpretare in modo freddo e convenzionale i modelli contemporanei della produzione di un Grigoletti o di un Tominz. Pittore di area friulana del sec. XVIII Madonna col Bambino Olio su tela/ 85x67 cm/ Inv. 552 Al centro della composizione la Madonna, con il capo leggermente inclinato a sinistra, sta per allattare il Bambino, tenuto tra le braccia. La testa è coperta da un velo, che lascia però in vista la scriminatura dei capelli. Il pessimo stato di conservazione non permette una lettura approfondita del dipinto. L’anonimo artista locale, forse influenzato da elementi della pittura tedesca – rintracciabili nelle fisionomie “metalliche” e dure dei personaggi - ripropone con un linguaggio popolareggiante un tema iconografico – quello della Madonna lactans – molto diffuso. Pittore di area friulana del sec. XVIII Ritratto di donna con cesto e gallina Olio su tela/ 85,5x61 cm/ Inv. 554 Su uno sfondo scuro è ritratta, leggermente di tre quarti, quasi a figura intera e con la testa rivolta verso destra, una contadina friulana nei tipici costumi popolari del Settecento. Sopra i corti capelli castani, ornati di fiori gialli, bianchi e rosa, porta un cappello di paglia con piume e nastri. Indossa una veste bianca, scollata, con il corpetto rosso; una camicia bianca decorata da nastrini e un candido grembiule. Al collo porta una collana di perle e con il braccio destro sostiene una cesta di vimini con un gallo all’interno. Gli occhi castani trasmettono serenità. Il dipinto è uno dei numerosi esempi della ritrattistica popolare friulana, e carnica in particolare, che ebbe molta fortuna nel XVIII secolo, di cui ci sfuggono spesso, come in questo caso, i nomi dei pittori. La tela, di piacevole effetto coloristico, appare abbastanza corretta nella definizione del volto e del corpo dal rigido modellato. Il cappello piumato dona un tocco d’eleganza, o forse di nobiltà, a questa contadina. Pittore di area friulana del sec. XVIII Veduta del castello e del bosco di Valvasone Olio su tela/ 53,3x136,5 cm/ Inv. 562 Bibliografia: Valvason…1979, p. 51 (copertina) 2012; Luchini 1972, p. 66. In una tela di formato rettangolare – lunga e stretta – è raffigurata una veduta fantasiosa della Valvasone bassomedievale. Il borgo occupa una delle quattro “fasce orizzontali” in cui idealmente si divide il dipinto: in alto il cielo dalle fredde tinte azzurre e bianche, poi le colline verdeggianti punteggiate di paesi, quindi lo spazio urbano giocato sui colori ocra e, infine, la campagna circostante di color verde cupo. La villa di Valvasone appare tutta recintata da mura con bastioni e torricelle merlate e da un fossato in cui scorre l’acqua della roggia. Il castello fortificato, sulla destra, domina l’intero borgo, caratterizzato dalle torri campanarie delle sue chiese, dai palazzi del centro storico, dalle case e dalle porte d’ingresso. In primissimo piano tra il verde della campagna spunta una figura umana, che guarda verso il borgo, e che risalta per il rosso e il bianco della camicia. Nella parte alta del dipinto, al centro, campeggia lo stemma dei Valvasone con il consueto lupo nero rampante in campo bianco. Della scritta bianca che correva sul bordo superiore non rimangono che alcune lettere. Lugi Ciceri ha giustamente osservato che la Valvasone ritratta nel corso del XVIII secolo da un anonimo pittore locale appare come una riproduzione immaginaria – con elementi verosimili - del borgo medievale. Il modello di riferimento si ritrova in un dipinto seicentesco raffigurante “Valvason, castrum et terra”, conservato in castello. (Ciceri 1979, ill. p. 51) Da quest’ultima veduta, realistica e dettagliata, il pittore ha ricavato l’aspetto degli edifici principali. Con la veduta in forma di modellino, raffigurata nella pala seicentesca della Visitazione – ma ridipinta nel XVIII secolo - esistente nella chiesa degli apostoli Pietro e Paolo di Valvasone, è possibile stabilire un ulteriore confronto (Luchini 1972, ill. p. 66). La presenza del campanile del Duomo, eretto alla fine del XV secolo, e l’esistenza delle torrette del castello – incorporate durante gli ampliamenti dei primi decenni del ‘500 – ci fa capire che l’artista ha tentato di restituirci – aiutato dalla fantasia – l’aspetto della Valvasone della fine del ‘400 o dei primi anni del XVI secolo. Pittore di area friulana del sec. XVIII Ultima cena Olio su tela/ 61x98 cm/ Inv. 568 Attorno ad un tavolo rettangolare imbandito per la cena (piatti, pani, coltelli, bottiglie di vetro) sono disposti gli Apostoli, in attesa di celebrare la Pasqua ebraica. Gesù siede nel mezzo e sta benedendo il pane e il vino, ovvero le specie eucaristiche. Cristo ha già annunciato l’imminente tradimento e Giovanni, che gli è accanto (a sinistra), appoggia il capo reclinato sul tavolo, tenendo gli occhi chiusi. Gli altri discepoli, seduti su sgabelli, si guardano e sui loro volti e nei loro gesti si leggono stupore e perplessità. In primo piano al centro - quasi a dividere i cinque apostoli ripresi di spalle e Giuda di profilo - è sistemata una grande brocca, mentre sullo sfondo alcune finestre si aprono verso l’esterno, lasciando intravedere architetture cittadine e scorci di paesaggio. La tela è giocata sulle tonalità dei rossi, dei blu e dell’ocra. Il dipinto di gusto popolare, come si vede dalla definizione dei panneggi e dalla resa fisionomica dei volti, sembra rifarsi ad un quadro con lo stesso soggetto conservato presso la chiesa di Santo Spirito a Ravascletto e attribuito ad un artista di area veneta (comunicazione orale di Giuliana Pugnetti). Qui il nostro artista locale, forse carnico, attivo nel corso del XVIII secolo, semplifica il modello di riferimento e usa un linguaggio semplice, poco curato nei dettagli. Pittore di area friulana del sec. XVIII Sant’Antonio abate Olio su tavola/ 95,5x62,5 cm/ Inv. 578 Bibliografia: Religiosità popolare…1980, p. 98; Segni della devozione…2005, p. 75 Esposizioni: Pordenone 1980; Udine 2005 Su un supporto ligneo di forma ovale è raffigurato – su uno sfondo azzurro-grigio Sant’Antonio abate secondo la consueta iconografia. L’eremita, con barba e capelli brizzolati, appare avvolto nell’ampio saio monastico (veste bianca e mantello scuro) accompagnato dai suoi attributi tradizionali: il bastone con il campanello nella mano destra, il tau rosso cucito sul mantello, la fiamma sopra un libro giallastro, appoggiato sul braccio sinistro. Un’ampia fascia arancione, molto rovinata, ricopre la parte centrale della veste. Ai piedi del santo un cane ha occupato il posto del fedele maialino. Il culto di Sant’Antonio abate è sempre stato molto diffuso nel modo contadino, perché indicato come protettore del bestiame. Molto spesso le immagini del santo venivano collocate nelle stalle o in prossimità di esse, ovvero prevalentemente in ambito familiare. Il nostro dipinto, di gusto popolare, appare come una testimonianza settecentesca della devozione verso il santo e della sua funzione apotropaica. Pittore d’area veneta del sec. XVIII Annunciazione, 1771 Olio su tela/ 79x78 cm/ Inv. 527 Iscrizioni: “ANT SIVI [L] TVS […] / Sv[A] De [?] ST [...] PICTUR [.] / PINGERE FECIT. 1771” Il dipinto, di dimensione pressoché quadrata, raffigura la scena dell’Annunciazione secondo la consueta iconografia. Le figure sono collocate sopra un basamento a forma di L. A sinistra la Vergine Maria, con una veste rossa sormontata da un manto blu e con un velo ocra sul capo, è inginocchiata in atteggiamento raccolto e s’appoggia con il gomito sinistro sul ripiano del leggio, trattenendo così un foglio svolazzante. La mano sinistra è portata al petto, mentre la destra è posta sull’orlo del leggio. Alle sue spalle si nota una colonna drappeggiata d’azzurro eretta sopra un alto basamento. Sopra la sua testa appaiono due teste di cherubini e un angioletto abbracciato alle morbide nubi. A destra l’Arcangelo Gabriele abbigliato con una veste gialla lunga fino ai piedi, che lascia riscoperta una gamba con nastro blu, e avvolto in un mantello rosso svolazzante, sta per dare l’Annuncio dell’Incarnazione e stringe nella mano sinistra dei gigli bianchi. Sul petto gli sono cucite delle strisce incrociate di stoffa bianca. Con la mano destra indica la colomba dello spirito che sta scendendo dalle nuvole in un fascio di luce. Lo sguardo deciso e fiero cade su Maria. Ai piedi dell’Arcangelo in una cassettina di legno sono riposti due libri, di cui uno aperto, e una riproduzione delle tavole della legge di Mosè. Sul lato anteriore della cassetta corre un’iscrizione, in parte illeggibile per le cadute di colore,che riporta la data d’esecuzione dell’opera (1771). Al centro della scena è raffigurato un grande vaso di fiori variopinti accanto all’allegorico cestino con la lana, il tombolo (?) e un panno bianco. Nell’angolo inferiore destro è dipinto uno stemma nobiliare con un flauto in verticale, a cui è legato un nastrino rosso e sulla cui sommità trova posto un piccolo uccello dal becco lungo. La bella composizione, forse desunta da stampe, rivela la mano di un discreto pittore, di probabile cultura veneta. L’eleganza del tratto, la resa felice dei dettagli, la morbidezza dei tessuti, l’abile gioco di luci ed ombre, sono tutti elementi che fanno apprezzare l’opera. La gamma cromatica è giocata sull’alternanza di colori caldi (rosso-giallo) e colori freddi (blu-grigio). La presenza dello stemma ci fa capire l’origine privata della committenza. In area friulana le famiglie Fistulario di Udine e Pividor di Nimis avevano lo stesso strumento musicale nell’arma. Pittore tedesco del sec. XVIII Madonna con Bambino (Maria Hilf),1732 Olio su tela/81,8x65,8 cm./Inv. 558 Iscrizione: “Jesus und Maria 17 hilf 32” Bibliografia: Riccardi 1844; Religiosità popolare1980, p. 98; Goi 1993, pp. 445-462. Esposizioni: Pordenone 1980; Udine 2005. Entro una ghirlanda di fiori rossi, rosa e bianchi è raffigurata a mezza figura la Madonna Ausiliatrice (Maria Hilf) in veste blu con il manto rosso - sopra il quale ricadono i capelli sciolti – e con il capo chinato verso il Bambino stretto nelle sue braccia. Il Bambino appoggia il piedino sinistro sul ginocchio della madre, mentre l’altro è sollevato sul braccio destro; teneramente accarezza il volto di Maria alla quale è aggrappato come in cerca d’aiuto e protezione. Una doppia e continua aureola di luce circonda il capo di Maria e Gesù, mentre in una cartella ovale, su fondo bianco, si legge la scritta: “Jesus und Maria 17 hilf 32”. Il dipinto è una libera riduzione della copia dell’opera cinquecentesca di Lukas Cranach il Vecchio conservata presso il santuario mariano di Passau. Il modello iconografico della Maria Hilf – come ha messo in evidenza Paolo Goi – ebbe molta fortuna in ambito giuliano-friulano e in generale lungo tutto l’arco alpino. Il dipinto Ciceri è strettamente legato con una tela di collezione privata conservata a Visinale di Pasiano e datata 1736. Quest’ultima – a parte l’inserimento di due angioletti che incoronano Maria – appare come una diretta derivazione del dipinto Ciceri. Si potrebbe ipotizzare la comune provenienza da una medesima bottega artistica di area tedesca, forse della stessa Passau, come prova l’accentuato linearismo nordico con una resa anatomica rigida, “metallica”, seppur addolcita dalla gestualità umanamente affettuosa che lega la Vergine al Bambino. Queste opere di devozione privata, popolareggianti nella composizione e nello stile, potevano giungere nella Patria del Friuli tramite i cramars. La stessa iconografia compare anche in alcuni santini e scapolari ottocenteschi, anch’essi collezionati da Luigi Ciceri. Silvestro Noselli (1696 – 1777) Ritratto di Gian Giacomo Dassi Olio su tela/ 83x64,7 cm/ Inv. 525 Iscrizioni:” Signor Gian Giacomo Dassi – Trieste”. Bibliografia: Molfetta 1992, p. 198. Gian Giacomo Dassi è ritratto a mezza figura, leggermente di tre quarti, con il volto appena girato verso sinistra, su uno sfondo grigio. Indossa la consueta velada settecentesca grigio-azzurra con bottoni dorati, sotto la quale porta un panciotto d’oro – dal quale fuoriesce l’elegante jabot - e una candida camicia terminante con polsini di trine. In testa ha una parrucca grigia e sulle spalle un manto rosso, mentre la mano sinistra è infilata sotto il panciotto. L’uomo d’età matura si appoggia ad un tavolino, coperto da una stoffa verde, e sta per prendere alcune lettere – una con indirizzo in francese – inivate al: “Signor Gian Giacomo Dassi – Trieste”. Accanto sono sistemati alcuni libri d’argomento mercantile, che permettono di precisare l’attività del personaggio. Gian Giacomo Dassi (1695-1774) di Cercivento, interessante figura di “cramarfarmacista”e il collega carnico Giovanni Di Corte di Ovaro ottennero nel 1732 dalla Facoltà di Medicina di Vienna l’attestato di “esperti nella preparazione di farmaci e commercianti di medicinali e droghe”. L’imperatore Carlo VI li autorizzò a vendere per dieci anni, in tutti i territori dell’Impero, alcuni medicamenti, pillole e panacea solare, efficaci “per qualsivoglia malattia” (Molfetta 1992, p. 186). Il ritratto ci restituisce con efficacia l’immagine di un uomo colto (si veda la lettera in francese), capace di intrattenere rapporti commerciali con varie località dell’Impero (si veda un libretto illustrativo delle virtù dei medicamenti stampato a Salisburgo nel 1732). Il realismo nella resa fisionomica, l’illustrazione felice dei dettagli - dalle lettere all’abbottonatura della giacca - l’accentuata gestualità delle mani, l’eleganza del tratto, il gioco contrastato dei colori (bianco - oro, grigio - rosso), sono tutte componenti del linguaggio pittorico del ritrattista Noselli, al quale può essere ricondotto questo dipinto, probabilmente eseguito tra il quinto e il sesto decennio del XVIII secolo. Silvestro Noselli, figlio del notaio Giovanni Leonardo (1670-1738) e di Margherita, nacque a Raveo, in Carnia, il 9 maggio 1696 e vi morì il 7 ottobre 1777. Seguace e imitatore di Nicola Grassi è noto soprattutto come ritrattista, ma fu anche autore di dipinti sacri (serie Evangelisti nella parrocchiale di Oltris) e pale d’altare a Enemonzo, Raveo, Colza, Somplago (Un Museo nel terremoto…1988, p. 68; Bergamini 1996, p. 149). Quai lo ricorda anche come affrescante, ma nessuna di queste opere ci è rimasta (Quai 1973, p. 61). Ciceri ha reso noto una tela del periodo giovanile, firmata e datata (1727), conservata nella sacrestia della parrocchiale di Treppo Carnico e un ritratto con una scritta sul retro: “Silvestro Noselli pingeva 1749” (Ciceri 1978, p. 95, ill. n. 1-2). Al Noselli Ciceri attribuiva numerosi ritratti esposti alla mostra sul Costume popolare (1969) e altri conservati nei Civici Musei di Udine e nel Museo di Tolmezzo. Tra i ritratti attribuiti ricordiamo: Ritratto della moglie di Andrea Linussio; Ritratto di donna carnica del 1763; Ritratti di coniugi di Lauco del 1771; Ritratto di Pietro Antonio Gortan firmato e datato (1774), Ritratto del medico Filippo Fanna; Ritratti di Ortensio del Fabro e della moglie. La ritrattistica di Noselli è rivolta ad una resa realistica ed espressiva, anche se connotata – come scrive Bergamini – “da una durezza lineare” e da una “fissità dello sguardo” (Bergamini 1994, p. 343). “Le tonalità cromatiche – precisa Ganzer – sono assai abbassate soprattutto nei ritratti maschili: più soffici e ariose sono le tessiture di colore, anche grazie ai vivaci costumi, nella figurazione femminile” (Ganzer 1990, p. 13). Pittore di area veneta della metà sec. XVIII Paesaggio arcadico con architetture Olio su tela/ 31,5x62,8 cm/ Inv. 10 Nella serenità di un fantastico mondo bucolico, senza spazio e senza tempo, è immerso – al centro della composizione - un borgo rustico, formato da poche case dai ripidi tetti nordici e da una torre circolare. La campagna che circonda il villaggio è animata da figurine a piedi e a cavallo, mentre un pastore in abito rosso, quasi in primo piano, accudisce ad un gregge di pecore. Alberi dal tronco esile, piegati dal vento, fanno da quinta in primissimo piano, mentre all’orizzonte compaiono dolci colline avvolte in atmosfere vaporose. Masse di morbide nubi velano il cielo di un azzurro tenue. Il tema del paesaggio arcadico, ripreso dalla produzione classicheggiante seicentesca dei Lorrain o dei Poussin, ricompare a Venezia con la personalità di Federico Zuccarelli (1702-1778). Alla produzione di questo artista degli anni quaranta del ‘700 va accostata, da un punto di vista compositivo e tematico, questa deliziosa tela. Il paesaggio fantastico, nonostante sia abitato dall’elemento umano, rimane il vero protagonista del dipinto. Un realismo di derivazione nordica si ritrova nella minuziosa descrizione della flora in primo piano e nelle dettagliate architetture, mentre la profondità dello spazio, i toni caldi e brunacei, la luminosità soffusa, le ombre tenui appartengono alla tradizione veneta. Sul dorso del listello superiore del telaio è apposto un sigillo stemmato in cera rossa, di difficile lettura (si distinguono chiaramente solo i due leoni affrontati posti ai lati e la corona che sormonta lo stemma). Paesaggista di area veneta della seconda metà sec. XVIII Paesaggio con figure Olio su tela/ 48,8x74 cm/ Inv. 464 Iscrizioni: Sul dorso del listello superiore del telaio è impresso, in neretto, il numero 1469. In un paesaggio ideale con villaggi rustici abbarbicati su dolci colline, con una campagna fertile, con un albero frondoso - che fa da quinta laterale -, con un fiume e con un cielo di bianchissime nuvole ritroviamo - come inserti macchiettistici - gruppi di contadini. In primo piano, al centro, una donna con un bastone e con ai piedi un cesto colmo di panni bianchi, sta indicando il corso d’acqua. Accanto a lei un’altra figura femminile seduta e un giovanotto sdraiato. In secondo piano due episodi narrativi: a destra una donna, che tiene in testa un cesto e un fagotto sotto il braccio, accompagnata da un bambino; a sinistra tre contadini, due a piedi e uno a cavallo, si allontanano con alcuni buoi. Un’atmosfera di irreale tranquillità avvolge la scena. Il dipinto è un esempio, di gusto popolare, della diffusione del paesaggio pastorale settecentesco, tematica cara al fiorentino Zuccarelli, attivo a Venezia dal IV decennio del XVIII secolo. Anche il nostro anonimo artista di cultura veneta, lontano dal linguaggio riccesco, si affida al lirismo arcadico per raffigurare un’umanità semplice e felice, che pare esente dalle fatiche e preoccupazioni quotidiane, immersa in una natura fantastica. La tavolozza schiarita, giocata su verdi e azzurrini, il gusto narrativo delle scenette, i piccoli tocchi di colore che disegnano le figurine contraddistinguono la raffigurazione. Paesaggista di area veneta della seconda metà sec. XVIII Paesaggio con ponte Olio su tela/ 89,5x122,5 cm/ Inv. 582 Il paesaggio con quinte laterali arboree è caratterizzato dalla presenza di un possente ponte ricurvo a tre arcate, che scavalca un corso d’acqua. A destra, sulla riva, è costruito un villaggio rustico dominato da una torre, sovrastante i tetti delle case, mentre a sinistra, sulla sponda opposta, si scorgono una donna e un uomo – che sta indicando il borgo – e un cagnolino bianco. Il dipinto la cui lettura è difficile causa le diffuse e gravi cadute di colore, presenta le stesse caratteristiche compositive – il fiume, la torre, le case rustiche, le figure umane sulla riva – e stilistiche di un’altra tela Ciceri (inv. 583), ovviamente pendant di questa. La tematica del ponte ricurvo è tipica dei paesaggi pastorali di area veneta del ‘700. (Ricci, Zuccarelli, Zais, ecc...), così come l’inserto in primissimo piano delle macchiette. Paesaggista di area veneta della seconda metà sec. XVIII Paesaggio con cascata e architetture Olio su tela/ 88,2x124 cm/ Inv. 583 Lungo un fiume che attraversa l’intera composizione - dallo sfondo montano fino al primissimo piano – incontriamo rocce e alberi dalle fronde rade (sulla sponda sinistra) e lavandaie, contadini con mucche al pascolo, case rustiche con una torre (sulla sponda destra). Al centro della scena, sempre sulla riva sinistra del corso d’acqua, una piccola chiesa bianca con campaniletto a vela. Nuvoloni bianchi ravvivano il grigiore del cielo, mentre una cascatella dai riflessi argentei movimenta lo scorrere del fiume. In questo paesaggio di fantasia possiamo ritrovare elementi, quali le architetture, tipici del territorio veneto. Le figurine, che s’ispirano alla produzione zuccarelliana, sono delineate con pennellate rapide e decise. La gamma cromatica è giocata sui toni freddi degli azzurrini e dei grigi con l’eccezione del rosso degli abiti dei contadini. Il dipinto fa da pendant al “Paesaggio con ponte” (inv. 582) di dimensioni pressoché identiche ed eseguito dalla stessa mano L’ignoto pittore, probabilmente attivo nella seconda metà del ‘700, sembra riprendere i modelli di Zuccarelli e di Zais, soprattutto per l’ambientazione fluviale della scena e per gli inserti macchiettistici. Pittore di area friulana della seconda metà del sec. XVIII (ante 1782) Ritratto di Giovanni Pietro Antonio Linussio Olio su tela/ 98x77,2 cm/ Inv. 465 Gian Pietro Linussio è ritratto frontalmente, a più di mezza figura, su di uno sfondo scuro. La testa è girata leggermente verso destra, mentre le mani – che occupano l’angolo in basso a sinistra della tela – sono connotate da una chiara gestualità. Il volto fortemente caratterizzato, di un rosso vivo, con le sopracciglia folte e il naso pronunciato, contraddistingue un vecchio uomo arcigno. Sopra una giacca scura – di cui non rimane quasi che l’ombra – indossa una sciarpa bianca annodata intorno al collo. Dalle maniche spuntano gli orli della candida camicia. Una scritta posta sul dorso del telaio indica nel Palazzo Calice Linussio Fabiani di Paularo – casa avita della famiglia Linussio – il luogo di provenienza. Gian Pietro Linussio (1699 ca – 1782) (Puppini 2001, pp. 130) era fratello del famoso Jacopo (1691-1747) fondatore dell’industria manifatturiera del tessile nell’area tolmezzina (Nazzi 1997, p. 361). Nel 1747, alla scomparsa di Jacopo, assunse la direzione dell’azienda, che mantenne fino alla morte avvenuta nel 1782 (Ciceri 1971, p. 69). Il 1782 risulta, quindi, il termine ante quem per la realizzazione del dipinto. L’età avanzata del personaggio porta ad una datazione compresa entro l’ottavo decennio del Settecento. L’autore – da ricercarsi in uno dei numerosi ritrattisti carnici attivi nella seconda metà del XVIII secolo (Pellizzotti – pittore di casa dei Linussio-, Noselli, Colussi, Buzzi) – risulta dotato di un forte realismo, grazie al quale riproduce i precisi lineamenti del viso, ma anche le vene delle mani. L’opera è, però, fortemente compromessa dal cattivo stato di conservazione. Pittore di area friulana della seconda metà sec. XVIII Sacro Cuore di Gesù Olio su tela/ 44,5x38,5 cm/ Inv. 519 Al centro della piccola tela su uno sfondo azzurro campeggia il cuore di Gesù, immerso in una luce bianchissima, stretto in una corona di spine e coronato da una croce che si alza tra le fiamme. Tre teste d’angelo, che escono dalle nuvolette, circondano il sacro cuore. Le teste dei cherubini ricciuti sono realizzate con pochi tocchi veloci e decisi. Le tonalità chiare del dipinto si collegano con la contemporanea pittura murale. L’opera, a carattere devozionale privato, è un esempio della larga diffusione di questo simbolo religioso, incominciata già nel XVII secolo e continuata per tutto l’Ottocento, in particolare nelle regioni alpine e nel mondo tedesco. Pittore di area veneta della seconda metà sec. XVIII Vita campestre Olio su tela/ 58,8x77,4 cm/ Inv. 457 Un paesaggio campestre, ruotante intorno ad un corso d’acqua con cascatella, è animato da un’allegra umanità composta da viandanti – che salutano da una riva del fiume – da un pescatore all’opera e da un gruppo di contadini intenti a danzare, sulla sponda opposta, appena fuori dalle proprie abitazioni. I panni stesi ad asciugare e le mucche all’abbeveraggio, sono segni di una serena quotidianità agreste. Alcuni alberi delimitano il villaggio e di lontano si scorgono colline, monti e altre case, avvolti in un’atmosfera sfumata. Il dipinto, già di proprietà Ciceri nel dicembre del 1973 (data su riproduzione fotografica), veniva indicato con il titolo “Danza popolare sull’aia”. Il repertorio di pescatori, lavandaie, mandrie all’abbeverata, di danze campagnole si riscontra frequentemente nella produzione di vari pittori attivi in area veneta nel XVIII secolo: dal famoso Giuseppe Zais (1709-1784) al meno noto Giovanni Battista Cimaroli (1687-post 1753). A questa cultura artistica appartiene anche il dipinto in oggetto, di fattura meno elegante, ma non per questo meno precisa nella definizione delle macchiette contadine o nella resa della visione paesistica, con il consueto corredo di cascatelle scintillanti, paesini e montagne evanescenti all’orizzonte. Pittore di area veneta della seconda metà del sec. XVIII Ritratto di gentiluomo Pastello su cuoio sottovetro/56,5x39,5 cm./Inv. 462 Su uno sfondo grigio, in parte illuminato dalla luce che proviene da sinistra, è ritratto a mezzo busto, di tre quarti, un gentiluomo in età matura, con la testa voltata verso sinistra. L’uomo, dall’atteggiamento fiero e sicuro indossa una marsina e secondo la moda, una parrucca. E’ un ritratto di buona qualità, in cui il pittore ritrae realisticamente anche se in toni un po’ freddi lo sconosciuto personaggio. I delicati colori a pastello stesi con maestria ricordano le celebri opere di Rosalba Carriera alla cui cultura di riferisce l’anonimo ritrattista. Pittore di area veneta della seconda metà sec. XVIII Ritratto di gentiluomo Olio su tela sottovetro/ 56,5x39,5 cm/ Inv. 467 Su uno sfondo grigio, in parte illuminato dalla luce che proviene da sinistra, è ritratto a mezzo busto, di tre quarti un gentiluomo in età matura, con la testa voltata verso sinistra. L’uomo dall’atteggiamento fiero e sicuro indossa una marsina blu foderata di rosso, sotto la quale porta una camicia bianca, in parte coperta da una sciarpa dello stesso colore. In testa porta la consueta parrucca settecentesca. Il ritratto di buona qualità si distingue per l’essenzialità della composizione, ridotta alla figura del protagonista. L’attenzione del pittore e di conseguenza anche dell’osservatore è rivolta all’immagine realistica, ma un po’ fredda, dello sconosciuto signore. I delicati colori a pastello (blu-bianco, e i pochi tocchi di rosso) stesi con maestria richiamano le celebri opere di Rosalba Carriera. L’anonimo ritrattista, probabilmente di cultura veneta, appare dotato di una sensibilità moderna, avendo abbandonato le esuberanze e gli orpelli delle raffigurazioni barocche. Il dipinto è incorniciato dall’originale cornice lignea intagliata dorata e policromata alla cui sommità è posto un fiocco ligneo e agli angoli una decorazione vegetale Pittore di area veneta della seconda metà sec. XVIII San Luigi Gonzaga con il Bambino Olio su tela fissato su tavola/52x43,5 cm./Inv. 520 San Luigi, in abito bianco con colletto nero, rivolge lo sguardo al Bambino che tiene tra le braccia, su di un candido lenzuolo. Il Bambino con il capo immerso in un cerchio di luce regge il giglio con la mano sinistra, mentre con la destra accarezza teneramente il volto del Santo. Il pessimo stato di conservazione non permette una precisa lettura dell’opera. La canonizzazione di Luigi nel 1726 permette di stabilire un termine post-quem per la datazione. Pittore di area veneta della seconda metà sec. XVIII San Luigi Gonzaga e un angelo Olio su tela/ 84x65 cm/ Inv. 571 Su un fondo neutro è ritratto a mezza figura un giovanile San Luigi Gonzaga, indossante l’abito bianco da novizio e con il capo leggermente piegato in avanti, in procinto di baciare un Cristo crocifisso - posto in diagonale - trattenuto tra le mani. Accanto al santo – in basso a destra – un angioletto dai tratti delicati e dai mossi capelli castani tiene con la destra una piccola corona dorata, sistemata vicino al giglio bianco, e posta sopra un tavolino. Una luce tenue proveniente da destra illumina i volti e un’aureola luminosa circonda il capo del santo. Il dipinto si rifà ad un’opera - finora non ritrovata - del pittore veronese Giambettino Cignaroli (1706-1770), conosciuta tramite le stampa. A Verona, infatti, presso il museo di Castelvecchio si conserva un’acquaforte (3B2662), realizzata dall’incisore Joseph Wagner (1706-1786), che raffigura un S. Aloysius Gonzaga dipinto da Cignaroli. L’acquaforte potrebbe corrispondere al modello della tela Ciceri (Dillon [e altri], 1985, p. 129). La figura del santo presenta forti somiglianze con il giovane in lettura, ritratto da Cignaroli nella parte sinistra della tela con San Girolamo Emiliani presenta gli orfanelli alla Trinità, eseguita nel 1751 per la chiesa bresciana di San Carlo alla Casa di Dio. Proprio a Brescia il Bevilacqua (1771) menzionava “una mezza figura di San Luigi per la chiesa di sant’Orsola”. (Bevilacqua, 1771, p. 72) La tela Ciceri appare come una copia di buona qualità del dipinto cignaroliano, del quale mantiene l’impronta classicista della figura e il tratto accademico. Si possono anche notare echi della pittura veneta della prima metà del Settecento: la bella figura di cherubino, dagli occhi innocenti e dalla pelle delicata, richiama certi modelli di Sebastiano Ricci e di Giambattista Tiepolo. La composizione ruota intorno al crocifisso ligneo disposto diagonalmente, che “taglia” in due la tela in modo asimmetrico. L’anonimo pittore di area veneta con tocchi decisi e pennellate sottili – che definiscono ampie zone cromatiche – ritrae i personaggi, riuscendo anche a comunicare l’atmosfera di meditazione che avvolge la scena. Il dipinto va collocato cronologicamente dopo il sesto decennio del XVIII secolo. Pittore di area austriaca della fine sec. XVIII Ritratto di gentiluomo Olio su tela/ 53,4x81,5 cm/ Inv. 532 Iscrizioni: sulla lettera: “N.N”, “POILÜζUI” (?) Su uno sfondo indistinto, ma luminoso, è ritratto frontalmente e a mezza figura un personaggio maschile, dall’aspetto giovanile, con la testa girata verso destra. Il gentiluomo dagli occhi scuri ed espressivi e dalle folte sopracciglia, con l’orecchino dorato e con una corta parrucca scura sul capo, indossa una marsina blu con una serie di bottoni dello stesso colore, sotto la quale porta un panciotto rosso vermiglio. Della camicia si vedono le ampie gale dei polsini, mentre da sotto il gilet spunta il pizzo bianco dello jabot. Un foulard scuro è annodato al collo, mentre un copricapo scuro con decorazioni dorate è stretto sotto il braccio sinistro. La mano destra inanellata trattiene una busta ancora richiusa, sulla quale sono visibili le iniziali del destinatario “N.N” e la località dal nome tedesco o sloveno “POILÜζUI” (?). Sul volto pallido emerge il rosso delle labbra. Lo sguardo è sicuro e sereno. Il disegno netto, l’acutezza dello sguardo e la definizione fisionomica realistica di marcata espressività, fanno pensare ad un artista di discreto livello, forse di provenienza e/o cultura austriaca o slovena. Non conosciamo nulla del personaggio raffigurato, probabilmente appartenente alla classe borghese. L’analisi dell’abbigliamento porta ad una datazione all’ultimo quarto del XVIII secolo. Pittore di area friulana della fine sec. XVIII – inizi sec. XIX Ritratto di uomo con lettera Olio su tela/54,7x41,2 cm./Inv. 5 Iscrizioni: Sul retro una sorta di bollino con il motivo dell’ancora e il numero 44.. Su uno sfondo grigio è ritratto un personaggio maschile, in età adulta, a mezza figura e di tre quarti, voltato a destra. Alle sue spalle è collocato un tavolino coperto da una tovaglia rossa, sopra il quale sono appoggiati alcuni calamai (uno con penna) e un campanello – su un piatto d’argento – e alcuni libri. Un volume posto in obliquo, come fosse sopra un leggio, presenta un piccolo ovale con figura sulla copertina. L’uomo indossa una marsina scura, sotto la quale compare un panciotto bianco con collo alto, a righe azzurre e a motivi dorati; al collo porta un fazzoletto nero. Con la mano destra inanellata trattiene una lettera appena aperta, scritta a Udine come si legge in calce. Capelli castano scuro, appena mossi sulla fronte, incorniciano il volto dal bel colorito rosaceo, con naso pronunciato e labbra carnose. Il portamento rivela una certa eleganza, tipica di un borghese cittadino. La composizione appare ancora legata a schemi tardobarocchi per quanto riguarda la sistemazione del tavolino alle spalle del protagonista. Moderna è invece la resa realistica della fisionomia. Il disegno è preciso e forte, la cromia è giocata sul contrasto ricercato di poche tonalità (bianco-marrone; rosso-argento). Il dipinto può essere assegnato ad un pittore locale, probabilmente esperto nel ritrarre la nobiltà in decadenza e la nascente borghesia. Per la datazione è ipotizzabile un periodo di tempo compreso tra l’ultimo decennio del ‘700 (sembra superata una certa moda dell’ anciem regime) e il primo dell’800. Pittore di area friulana della fine sec. XVIII - inizi sec. XIX San Valentino celebra la messa circondato da devoti Olio su tela/ 139x70,5 cm/ Inv. 580 Bibliografia: Segni della devozione… 2005, p. 76 Esposizioni: Udine 2005 La piccola pala d’altare centinata raffigura San Valentino in atto di celebrare la messa su un altare, che appare scorciato nella parte sinistra della tela. Sulla mensa marmorea, coperta da una tovaglia di pizzo bianco, sono collocati il messale - riposto su un cuscino di velluto rosso con nappe dorate - e il calice. Una colonna dell’ancona s’innalza verso l’alto da un tozzo plinto cubico. San Valentino ritratto di tre quarti, a figura intera, con i capelli castani e con un volto incorniciato da barba e baffi, rivolge lo sguardo verso il messale e allarga le braccia, nel momento della consacrazione eucaristica. Indossa una pianeta rossa con strisce orizzontali e verticali dorate sopra una tunica bianca e tiene una stola al braccio sinistro. Di fronte a lui, ripresa di spalle, si vede una fedele orante che indossa una gonna gialla bordata di righe blu e una sorta di giacca di velluto blu – sotto la quale porta una candida camicia - stretta in vita da un nastro rosso. Alle spalle del santo, inginocchiato su un gradino del basamento dell’altare, si nota un personaggio maschile in preghiera. Sopra la mano destra di Valentino svolazza un angioletto dalle ali blu-azzurre che sta portando due piccole palme martiriali. Immerse nella luce giallo scura dello sfondo, morbidamente sedute sulle nubi, campeggiano Sant’Apollonia vestita di rosa e di rosso, riconoscibile dal consueto attributo delle tenaglie e con un cerchiello sui capelli, e un’altra santa, con la palma del martirio nella mano destra, con i capelli dalla scriminatura centrale e con un abito dai colori contrastanti (verde-bianco-violetto). La paletta, proveniente da qualche chiesa o cappella privata, sembra risalire al XVIII secolo, o forse ai primissimi anni dell’Ottocento. La composizione risulta scenograficamente ben impostata, con la quinta profilata dell’altare a sinistra e la disposizione diagonale delle figure principali nella parte inferiore: da sinistra a destra incontriamo la figura femminile a mani giunte, il Santo in vesti sacerdotali, l’uomo orante con lo sguardo rivolto verso il basso. La parte superiore è, invece, occupata dalle figure delle martiri, forse contitolari dell’altare insieme a Valentino. Nella figura femminile, che sembra delineata con intenzione ritrattistica, si potrebbe forse individuare la committente dell’opera. La tavolozza è giocata sul contrasto tra colori caldi e freddi, le pennellate sono corpose e date con cura, minuziosa è la cura dei dettagli (le decorazioni sulla tunica, sulla tovaglia) e delicata la resa dei lineamenti delle sante Pittore di area veneta, sec. XVIII Ritratto femminile Olio su rame/ 23x20,9 cm/ Inv.188 Il dipinto ritrae una donna a mezzo busto in abiti tipicamente settecenteschi, come settecenteschi sono il trucco e l’acconciatura incipriata. Sull’acconciatura la donna porta un fazzoletto scuro legato sotto al mento. La composizione è semplice e lineare, i tratti delineano bene il volto della donna. I colori tenui e la forma “accademica” riconducono l’opera ai modelli della ritrattistica francese dell’epoca. L’opera è in buono stato conservativo. Pittore carnico, XVIII sec. S. Antonio e il Bambino Olio su tela/ 46x38 cm/ Inv. 1450 In questo dipinto, su uno sfondo naturale con un albero sulla destra, Sant’Antonio, religioso portoghese vissuto nel XIII sec., tiene in braccio il Bambino. Gesù tiene tra le mani una croce e la mostra al Santo, mentre lo guarda dolcemente; il Santo, di profilo, ricambia lo sguardo e con il braccio destro trattiene dei gigli. Il Santo è rappresentato giovane e indossa il saio francescano; tiene in braccio il Bambino in memoria della visione che ebbe a Camposampiero; i gigli bianchi rappresentano la purezza e la lotta contro il demonio (www.santantonio.org). Nel dipinto le linee sono fluide e costruttive, i colori sono sfumati e il volume è reso dal chiaroscuro. L’opera comunica un senso di serenità e dolcezza. Il dipinto è in discreto stato di conservazione: visibili una lieve craquelure e qualche caduta cromatica. Pittore di area veneta, sec. XVIII Il pentimento di Pietro Olio su tela/ 50,5x38,5 cm/ Inv. 1453 Sullo sfondo di un paesaggio montano, San Pietro è inginocchiato con le mani congiunte accanto ad una rupe; illuminato dall’alto dalla luce divina, che passa attraverso tre teste di cherubini, il santo indossa una veste verde e un manto color arancio – ocra; davanti a lui una chiave e un gallo. Iconografia trattata in modo particolare nel XVI secolo (Giovanni Baglione, “L’iconografia di San Pietro durante la Controriforma. Il rinnegamento, il pentimento, le lacrime e la penitenza”) tende ad ispirare nell’osservatore il pentimento sincero, valore chiave della cristianità. Le linee del dipinto sono costruttive ed evidenti; i colori sono sfumati ed il volume reso con chiaroscuro; le pieghe del manto essenziali, la scelta cromatica ed il trattamento delle mani in particolare rendono possibile un accostamento a Inv.1452. Il dipinto è in mediocre stato conservativo; presenti numerose cadute della superficie pittorica Pittore friulano, sec. XVIII – XIX Gesù bambino dormiente con i simboli della Passione Olio su tela/ 37x48,5 cm/ Inv. 1452 Gesù bambino dorme sulla croce con accanto la corona di spine, i dadi, le tenaglie, i chiodi, la spugna e la lancia di Longino, tutti simboli della Passione. Il filone del “Bambino della Passione addormentato” nasce nel XV sec., mutuato dai putti dolenti dell’arte antica, e si intensifica nel XVIII sec., forse ispirato alle parole di Sant’Alfonso Maria de Liguori (1696 – 1787): “…mentre dormiva (…) pensava in particolare ai flagelli, alle spine, alle ignominie, alle agonie ed a quella morte desolata che infine dovea patir sulla croce, e tutto, mentre dormiva.” (www-il-bambino-gesu.com). Essenziale nella resa del soggetto, il dipinto ha linee ben definite ed evidenti; i colori sono sfumati e il volume è reso attraverso il chiaroscuro. L’opera è in buono stato conservativo. DipintisecoloXIX Schede a cura di Salvatore Ferrari e Gabriella Schiaulini Pittore d’area austriaca della prima metà sec. XIX Ritratto di bambina Olio su tela/ 57,1x40,5 cm/ Inv. 453 Bibliografia: Ciceri 1978, p. 100. Il dipinto raffigura su uno sfondo neutro, leggermente schiarito nella parte centrale, una bambina ritratta a mezza figura, di tre quarti, con la testa appena rivolta a destra e seduta su una sedia di legno, di cui è visibile lo schienale intagliato. Indossa una veste bianca in stile impero, a maniche corte, con la vita molta alta, segnata da un nastro azzurro sotto il seno. Tra le mani tiene dei fiori rosa. I corti capelli castani hanno la scriminatura centrale. Dall’orecchio destro pende un orecchino dorato a forma di cerchio. Il dipinto è in relazione con altri due ritratti della collezione Ciceri (Inv. 454 e 455), attribuibili allo stesso anonimo artista. Ciceri indica il quadro come proveniente da Collina e appartenuto alla signora Gina Pellis (Ciceri, 1978, p. 100) e in precedenza ai Tamer (che ospitarono il pittore Pellis a Collina nel 1925). Sul retro della tela due foglietti forniscono varie informazioni: la provenienza dalla famiglia Tamer di Collina e l’attribuzione al pittore di corte dei principi di SchleswigHolstein (a Eutin in Germania), tale Adolf August Lescow (1737-1798). In rosso un’altra scritta nega questa attribuzione. Lo splendido ritratto di gusto neoclassico si distingue per la compostezza della posa, per l’espressione calma del viso, per la fluida semplicità delle vesti, per la resa degli incarnati. L’analisi della moda fa assegnare il dipinto all’età napoleonica, probabilmente entro il 1820. Il pittore si dimostra abile ritrattista, aggiornato sulle novità pittoriche dell’epoca, dotato di vena realistica. La pennellata è fluida e i colori sono accostati in maniera felice. L’autore va ricercato in area austriaca. E’ interessante notare che già nel XVIII secolo i Tamer, committenti dell’opera, operavano come cramars a Lubiana, distinguendosi per attività commerciali e finanziarie (Martina 1997, p. 335-340). Pittore di area austriaca della prima metà sec. XIX Ritratto di bambino con cane Olio su tela/ 57x40,5 cm/ Inv. 454 Iscrizioni: sul retro “Famiglia Tamer di Collina” Esposizioni: Udine 2002 Su uno sfondo neutro, leggermente schiarito nella parte centrale è ritratto a mezza figura, appena di tre quarti il fanciullo che indossa una divisa del corpo napoleonico degli ussari, seduto su una sedia. Il cane gli si rivolge in grembo e il bambino, trattenendolo a una zampa, gli accarezza il capo. L’artista lo ritrae in toni affettuosi, indugiando a sottolineare i lineamenti minuti con pennellate sottili, l’espressione dolce e serena. L’atmosfera, libera dalla rigidità della ritrattistica di rappresentanza, è caratterizzata dall’affetttuosa gestualità del padroncino verso il cagnolino. La frequenza dei Tamer con la città di Lubiana, ove avevano floridi commerci, possono aver favorito l’incontro con lo sconosciuto artista, che si dimostra buon ritrattista, capace di indagare il complesso mondo psicologico dell’infanzia.. Pittore di area austriaca della prima metà sec. XIX Ritratto di bambino con cavallino Olio su tela/ 57x40,5 cm/ Inv. 455 Iscrizioni: sul retro “Lescow (Adolf August) ritrattista, n.13.6.1737/a Entin, m.20.11.1797 a Entin pittore/ di corte. Fece anche il ritratto al duca Adolpe-Frederic di SchlesvigHoestein/Gottorp al castello di Entin” Esposizioni: Udine 2002 Su uno sfondo che va schiarendosi nella parte centrale è ritratto un fanciullo appena di tre quarti, lo sguardo vivace dai lineamenti delicati rivolto all’osservatore. E’ seduto su una sedia e il cavallino bianco di legno è appoggiato innanzi su un tavolino coperto da un drappo rosso. Il dipinto è in relazione ad altri due ritratti (inv.797 e 854) attribuibili all’anonimo autore di area austriaca. Il bambino potrebbe appartenere alla famiglia Tamer di Collina, da cui proviene il ritratto. I Tamer furono importanti commercianti nella città di Lubiana nel corso del XVIII e accumularono ingenti ricchezze (Martina 1997, pp.335340). Nella chiesa di San Michele a Collina, cui donarono diversi arredi sacri, avevano la tomba di famiglia. L’antica attribuzione cui fa riferimento la scritta sul retro non appare valida, sia per gli elementi stilistici e compositivi che per l’analisi della moda. Il ritratto, d’una essenzialità neoclassica, fa parte di un filone intimistico, in cui il pittore abbandona la rigidità di una certa ritrattistica ufficiale per raffigurazioni delicate e poetiche. Pittore di area friulana della prima metà sec. XIX Ritratto di giovane Tempera su tela/ 40x33,7 cm/ Inv. 509 Su un fondale neutro è ritratto, a mezza figura e di tre quarti, un giovane uomo, con la testa coperta di ricci castani ripresa frontalmente e le guancette rosa. Indossa una giacca nera a doppio petto e una camicia bianca. Al collo è annodata una cravatta nera. Lo sguardo è tra il triste e il pensoso, gli occhi sono lucidi. I caratteri facciali sono resi con grande cura e adesione al dato reale. L’anonimo artista locale si dimostra padrone della tecnica del disegno e del colore. Il dipinto riesce a comunicare l’atmosfera malinconica che circonda il giovane personaggio. Le pennellate sono stese con rapidità. Pittore di area friulana della prima metà sec. XIX Ritratto di donna con cuffia Pastello su tela sottovetro/ 45x36,5 cm/ Inv. 515 Entro un ovale, tracciato sullo spazio rettangolare della tela, è ritratta una figura femminile, a mezzo busto e di tre quarti, con la testa quasi frontale. Lo sfondo è nero. In testa porta una cuffia, che nasconde i capelli grigi raccolti a treccia sul davanti, e un nastro rosso. La fronte è alta, gli occhi sono castani e le guancette rosa. Indossa una veste nera, sotto la quale è visibile la camicia bianca, e porta al collo un diadema con perle. Precisa la resa realistica del volto rosato e dell’acconciatura, mentre la veste, forse per il cattivo stato di conservazione, appare appena delineata, quasi abbozzata. La materia pittorica molto compatta in prossimità del viso, si fa più frammentata nell’abito. Il dipinto va assegnato al pieno Ottocento, ad un pittore locale, che ha forse meditato sulle delicate composizioni a pastello della tradizione veneta settecentesca; purtroppo la cromia si presenta gravemente alterata. Pittore di area friulana della prima metà sec. XIX Ritratto di donna in abito bianco con rosa Olio su tela/ 59x48,5 cm/ Inv. 517 Iscrizioni: in alto a destra “MARIA (?) NATA TERLICHER (?) / RIMASTA VEDOVA D’ANNI 19 DAL Q / S. MARIO GRISEN [?] I”. Bibliografia: Ciceri, 1978, p. 101, ill. n. 11. Su uno sfondo azzurrino è ritratta a mezza figura, appena di tre quarti con la testa leggermente rivolta a destra, la signora Maria Terlicher(?) vedova Grisen[?]i vestita con un abito bianco leggermente scollato e con un colletto alto di pizzo, di gusto neoclassico. Al collo porta un nastro giallo a più giri, che scivola sul petto e all’orecchio un prezioso orecchino dorato. I capelli castani sono raccolti e hanno la scriminatura centrale. Con la mano destra inanellata solleva un lembo della veste, mentre con l’altra stringe una rosa. Il dipinto – scrive Ciceri – proviene dal comune di San Leonardo (Valli del Natisone). Lo studioso individua nella figura femminile ritratta la signora Maria Cresetig, moglie del signor Deganutti di Merso (Ciceri, 1978, p. 100). Sul retro del telaio alcune scritte, datate 24 marzo 1975, riportano vari nomi tra cui: “Cresetig Maria di Ussiviza...e di Deganutti M [Mario?]”. La scritta che appare sul dipinto sembra smentire l’attribuzione di Ciceri. Il dipinto di discreta qualità, già pienamente ottocentesco, si distingue per il realismo della fisionomia (il volto serio, quasi triste) e per la scelta cromatica giocata su poche tonalità: l’elegante tocco di giallo del nastro e il rosa e il verde del fiore interrompono piacevolmente l’estesa massa candida della veste. La cornice presenta vari intarsi lignei con motivi a foglie nella parte centrale dei listelli e a strisce parallele alternate in marrone chiaro e scuro - poste in diagonale – in quelli laterali. Nel listello superiore, al centro, è intarsiato un motivo a forma di rosa; in quello inferiore sono riportate le iniziali del personaggio ritratto. Pittore di area friulana della prima metà sec. XIX Ritratto di uomo con cravatta rossa Olio su tela/ 60x45 cm/ Inv. 533 Iscrizioni: sul dorso del listello superiore del telaio: “LIGOSULLO”. Bibliografia: Ciceri 1978, p. 99, ill. n. 9. Il dipinto raffigura su un fondale grigio il ritratto a mezza figura e di tre quarti di un personaggio maschile, con la testa rivolta a sinistra. L’uomo d’età matura porta capelli corti davanti - con ciuffetti che lambiscono la fronte - e più lunghi dietro, quasi a formare un codino. Il naso è pronunciato, le ciglia folte, gli occhi celesti, le labbra carnose. Lo sguardo è attento e severo. Indossa una giacca nera dal collo alto, al di sotto esibisce un panciotto giallo a righe rosse, da cui fuoriesce il colletto bianco della camicia. Al collo è annodata una cravatta rossa a pallini bianchi. Sul dorso del listello superiore del telaio compare una scritta che forse si riferisce alla località di provenienza del dipinto. Ciceri (1978, p. 98) lo definisce “carnico” e lo mette in relazione con il Ritratto di Angelo Ceconi (inv. 543). L’ipotesi di un medesimo autore per i due ritratti non è condivisibile, mentre è ipotizzabile una stessa collocazione cronologica ai primi decenni dell’Ottocento. Il realismo nella descrizione (il neo sulla guancia, ad esempio) e l’essenzialità della composizione (sfondo neutro) sono gli aspetti più interessanti dell’opera. L’artista va ricercato in ambito locale. Pittore di area friulana della prima metà sec. XIX Ritratto di donna con nastro e spilla Tempera su tela/ 51x40,5 cm/ Inv. 535 Iscrizioni: sul retro del telaio compare la scritta “Enemonzo Pellegrini di Paularo”. Una figura femminile è ritratta leggermente di tre quarti e a busto intero su uno sfondo grigio La testa quasi frontale presenta un’acconciatura ricercata. La giovane donna indossa una camicia bianca (è visibile solo il colletto) e un abito verde con un nastrino rosso intrecciato da una spilla in oro, annodato al collo. Porta gli orecchini. L’iscrizione sul retro della tela è forse riferibile al soggetto ritratto o al luogo di provenienza dell’opera. L’opera è riferibile a qualche ritrattista locale attivo nella prima metà del XIX secolo. La composizione è ridotta all’essenziale: nessun fondale animato, ma attenzione alla resa naturalistica della figura femminile. Le pennellate sono larghe e veloci. L’esecuzione a tempera priva il dipinto di quella brillantezza cromatica tipica delle opere ad olio. Pittore di area friulana della prima metà sec. XIX Ritratto d’infante Olio su tela/ 50x39,5 cm/ Inv. 538 Entro uno spazio ovale - ricavato sulla tela di forma rettangolare – è ritratta a mezza figura, leggermente di tre quarti, una bambina di pochi anni. La piccola, dagli occhini castani e con corti capelli biondi-castano chiari, indossa un abitino bianco a mezze maniche, stretto in vita da un vistoso nastro rosso mattone con fiocco. Porta gli orecchini e una collanina d’oro con medaglione al collo. Nella mano sinistra tiene una Rosellina. Sullo sfondo è collocato un pesante tendaggio marrone, sfrangiato, con due corde terminanti con nappe. Al di là del davanzale – la bambina è ritratta in un interno – si apre uno scorcio di paesaggio con cielo e vegetazione rigogliosa. Attenta la resa disegnativi dei tratti fisionomici e dei particolari. La composizione con il fondale drappeggiato e lo scorcio di ambiente esterno rinviano a schemi ancora settecenteschi, mentre l’abbigliamento e il realismo con il quale è ritratta la bambina appaiono elementi già ottocenteschi. Il dipinto può dunque essere assegnato ai primi decenni del secolo. Pittore di area friulana della prima metà sec. XIX Ritratto di Angelo Ceconi Olio su tela/ 49x41,5 cm/ Inv. 543 Bibliografia: Ciceri, 1978, p. 99, ill. n. 8. Angelo Ceconi è ritratto a mezzo busto, leggermente di tre quarti, con la testa appena rivolta a destra, su uno sfondo grigio – azzurro (risultato di alterazioni cromatiche). Il personaggio, d’età adulta, appare segnato da un volto fortemente caratterizzato, con capelli corti castani che formano una frangia sulla fronte e occhi celesti molto espressivi.Indossa una giacca bruna a doppio petto, sotto la quale s’intravede un panciotto ocra chiaro e una camicia bianca dal collo alto, con una cravatta candida annodata al collo. Il dipinto di discreta qualità fu recuperato da Ciceri a Povolaro. L’anonimo artista locale appare attento all’analisi introspettiva del personaggio - che riesce ad emergere in tutta la sua umanità - ed elegante nel tratto deciso e nelle pennellate compatte. Realistica è la resa dei dettagli, mentre la scelta cromatica è giocata su tonalità non fortemente contrastanti. L’abbigliamento ricorda la moda degli anni venti-quaranta dell’800, mentre l’attenzione al “vero” richiama le scelte stilistiche e compositive della pittura di Giuseppe Tominz, con risultati più modesti. La tela, che presenta alcune lesioni, è fissata sul telaio antico; originale è anche la cornice lignea che porta inciso a pirografia il nome dell’effigiato e l’immagine (araldica?) di un’ancora. Eugenio Berghinz (Udine 1838 - 1893) Ritratto di Caterina Comessatti Olio su tela/ 35,5x28,5 cm/ Inv. 529 Iscrizioni: sul dorso del telaio (listello verticale sinistro) “Caterina Comessatti / morì / lì 16 novembre / 1870 / d’anni 13 / mesi 10 / giorni / Pittore Berghinz”. Bibliografia: Saccomani 1878, p. 35; “Giornale di Udine” 1882, 15 settembre, n. 220; Avogadro 1883, p. 454; Occioni Bonaffons 1887, vol. II, p. 214; Picco 1893, p. 232; Bragato 1913, p. 55; Cavalcaselle 1973, p. 244; Ciceri 1978, p. 94-101. Eugenio Berghinz, figlio di Luigi e di Teresa Verettoni, nacque a Udine nel 1838 e fu battezzato nella Parrocchia di San Nicolò. Nel 1858 (9 ottobre) sposò – nella parrocchia di San Giorgio – Giovanna Facci e morì nel 1893 in vicolo Pulesi a Udine. Dopo aver appreso i primi insegnamenti elementari “del disegno di figura” dal maestro Giuseppe Mattioni, si trasferì per qualche anno a Venezia per gli studi accademici, per poi ritornare a Udine alla scuola del ferrarese Giovanni Pagliarini (Picco 1893). È noto come ritrattista, ma fu anche pittore di paesaggi; nel 1880 divenne socio del circolo artistico udinese e nel 1883 abitava in via Mercatovecchio al numero 29 (Avogadro 1883). Nel 1878 il Saccomani informa che il pittore, oltre a “vari ritratti originali”, realizzava copie “dal Grigoletti, dal Giuseppini, dalle incisioni dei quadri del Rembrandt, come pure dalle incisioni e fotografie di quadri di altri illustri autori” (Saccomani 1878). Occioni Bonaffons nel 1885 ricorda tre ritratti nella collezione Frenelich di Trieste. (Occioni Bonaffons 1887), mentre Bragato nota una sua copia del Consilium in arena di Tiepolo presso palazzo “Antivari Kechler” in piazza XX Settembre a Udine (Bragato 1913), forse la stessa opera che nel 1881 era esposta nella sala Ajace. (“Giornale di Udine” 1881). I Musei Civici di Udine conservano cinque dipinti (Ritratto di Ida Tomadini Rizzani, inv. 512; Ritratto di Francesco Rizzani, inv.. 510; Ritratto di signora, inv. 344; Ritratto d’uomo, inv. 345; Ritratto di Cornelio Frangipane, inv. 327), mentre presso la sede della Filologica c’è il ritratto del poeta Zorutti. Un altro dipinto (Ritratto dell’abate Jacopo Pirona) segnalato in Museo da Cavalcaselle risulta scomparso(Bergamini 1973). La giovane Caterina Comessatti è ritratta a mezzo busto e frontalmente su uno sfondo grigio ricavato entro lo spazio ovale della tela. La bambina con piccoli orecchini, dagli occhi celesti e dallo sguardo triste, indossa uno sgargiante vestito a quadretti, mentre un nastro azzurro ferma i capelli castani pettinati all’indietro e in parte modellati a treccia. La scritta che compare sul dorso del telaio identifica inoltre il personaggio ritratto e ne permette una collocazione temporale. La data della morte della bambina diventa il termine ante quem per la realizzazione del dipinto, da collocarsi nel settimo decennio dell’Ottocento. Il ritratto dalla resa fotografica rivela un tratto sicuro e una precisa padronanza della tecnica pittorica da parte di Berghinz. Masino Boni, sec. XIX I fedeli di Taipana recano offerte al loro sacerdote, 1856 Olio su tela/ 169,5x125,8 cm/ Inv. 579 Iscrizioni: sulla lettera: “PRESBITER / MATEUS BERTONI / CAPELLANUS TAIPANE / SIENTIA ET UMILITATE DIS [TIN]CTUS QUI / MULTUM PRO ECLESIA / LABORAVIT ET / OBLATE DIGNITATE / RECUSAVIT / ANNO 1856 / AETATIS 60 ANNI”. Sulla busta: “ALL’ILLUSTRISSIMO SIGNORE / AL SIGNORE MASINO BONI PITTORE / NEL CASTELLO DI TRICESIMO”. Bibliografia: Ciceri 1969, tav. XXXIV; Religiosità popolare…1980, p. 98; Nicoloso Ciceri 1982, p. 329; Segni della devozione… 2005, p.59. Esposizioni: Gorizia 1969; Pordenone 1980; Udine 2005. Il dipinto raffigura il sessantenne cappellano di Taipana, don Matteo Bertoni in tonaca e berretto neri e con una croce sul petto, omaggiato da un gruppo di popolani vestiti con i costumi tipici friulani. Il prelato, raffigurato a sinistra, appare seduto ad un tavolino sopra il quale sono sistemati alcuni libri, una busta chiusa, una lettera aperta, un campanello (?), una penna d’oca riposta nel calamaio, un crocifisso; ai suoi piedi un cesto con ortaggi. Alle sue spalle un grande tendaggio rosso e un pezzo di libreria fanno da sfondo; accanto, alla sua sinistra, si nota una pianeta ricamata con motivi floreali e croci. Nella parte sinistra della tela sono raggruppati i popolani, tra cui molte donne, che portano doni al sacerdote: alcune figure femminili recano sul capo piatti e cesti con frutta e verdura. Su di un davanzale sono appoggiati un secchio di legno e un cesto con pere e uva. Nell’angolo inferiore sinistro, una bambina con una veste bianca e un grembiule giallo - seduta sul pavimento piastrellato - porge un oggetto (una ciotola?) a don Bertoni e nell’altra mano tiene un fiore. Nulla si conosce a riguardo del pittore Masino Boni, indicato nell’iscrizione sulla busta, come dimorante nel castello di Tricesimo. La sua pittura, di carattere popolare, pare quasi naif per quel suo gusto realistico-caricaturale allo stesso tempo con il quale ritrae i volti dei personaggi. La scena racconta lo spirito di devozione della comunità di Taipana verso il curatore d’anime che si era prodigato per la sua chiesa. Il dipinto è anche preziosa testimonianza della moda contadina della metà dell’Ottocento (camicie bianche, cuffie, fazzoletti annodati al collo grembiuli). Pittore di area friulana del sec. XIX Scena paesana Olio su tela/ 53x71 cm/ Inv. 510 Il dipinto raffigura una scena di vita quotidiana ambientata all’aperto, nel cortile di una locanda. In primissimo piano, nell’angolo a sinistra, sta il pozzo, vicino al quale razzolano le galline e un gallo. A destra incontriamo un uomo con copricapo e papillon seduto su una struttura lignea con dei manici sporgenti e con in braccio un bambino al quale sta dando da bere con un bicchiere appena riempito (di vino?) da una brocca, sistemata lì accanto. Una donna con un fazzoletto bianco è accovacciata per terra, mentre un altro uomo , ripreso di schiena, è seduto sopra un contenitore di legno con cerchi metallici capovolto, accanto ad una cariola. Il centro della scena, in secondo piano, è occupato da un gruppo di persone (un uomo con tuba, una donna con bambino, ecc…) sedute attorno ad un tavolo, sotto una pergola, in attesa di mangiare. Un viandante con bastone e cappello in mano si avvicina forse chiedendo l’elemosina. Dalla locanda posta sullo sfondo sta uscendo il locandiere con una brocca ed un piatto. Vicino ad una casupola di legno, adiacente all’osteria, e prossimi ad un grande albero con poche fronde stanno altre tre figure maschili raccolte intorno ad un tavolo. Fuori dal recinto del cortile, dipinto sulla destra, un uomo fa mangiare un cavallo dal suo cappello. Tutt’intorno si vede una rigogliosa vegetazione. Il dipinto è pendant di un’altra tela della collezione Ciceri (inv. 511) e raffigurante La carretta , che presenta le stesse dimensioni e le medesime caratteristiche stilistiche e cromatiche. Alcuni personaggi (l’uomo con la tuba, la madre col bambino) ritornano in entrambe le opere. Nella scena di genere compaiono oltre quindici personaggi, protagonisti di questo racconto di vita paesana. Il dipinto pienamente ottocentesco rivela la mano di un modesto pittore, attento alla riproduzione dei piccoli dettagli (le tegole del tetto, le foglie degli alberi, i piccoli oggetti sparsi nella raffigurazione). La cromia ruota intorno ai marroni, ai grigi, ai verde scuro delle architetture e del paesaggio, con inserti rossi, blu e bianchi a definire l’abbigliamento dei personaggi. Pittore di area friulana del sec. XIX La carretta Olio su tela/ 53x71,5 cm/ Inv. 511 Il dipinto raffigura la partenza di una carretta trainata da un cavallo bianco dal cortile della locanda (cfr. dipinto inv.510). A bordo ci sono cinque persone oltre al conducente: l’elegante signore borghese con cravatta azzurra e tuba in testa, che tiene in mano una brocca, una madre con il suo bambino, e altre tre figure maschili (due sedute all’interno, l’altra quasi arrampicata sul retro che solleva il cappello verso l’alto). Un mendicante con bastone e con il cappello in mano è ritratto, di spalle, vicino alla carretta, in atto di chiedere la carità. Lo sfondo è occupato, a destra, dal muro di cinta e da una porzione della locanda, con una donna che si sporge da un terrazzo, e a sinistra, da uno scorcio di paesaggio alberato. Sul retro del telaio una scritta suggerisce di confrontare La carretta, definita “la gurizzana”, con un ex-voto di Invillino. Il dipinto è pendant di un’altra tela della Collezione Ciceri raffigurante una Scena paesana (inv. 510), delle stesse dimensioni, in cui si ritrovano alcuni personaggi identici (il signore con la tuba in testa, la donna con il bambino in braccio). Questa raffigurazione, in particolare, appare come il momento successivo del racconto narrato nell’altro quadro, ovvero la partenza della comitiva dopo la sosta alla locanda. La scenetta di genere, meno carica di personaggi rispetto al pendant, mantiene un gusto anedottico. La tavolozza, giocata su tinte grigio-marroni, si ravviva solo per l’azzurro tenue del cielo e per i tocchi blu o rossi delle vesti delle figure. Il dipinto, opera di un modesto pittore, va collocato nel corso del XIX secolo. Pittore di area friulana della metà sec.XIX Ritratto di bambina con tortorella Olio su tela/ 65x54 cm/ Inv. 457 Bibliografia: Ciceri 1978, p.101 Esposizioni: Udine 2002 Una bambina è ritratta in toni affettuosi, quasi a figura intera, appena di tre quarti, elegantemente abbigliata con un grande cappello di paglia fermato da un nastrino rosso, mentre trattiene fra le mani una tortorella. Articolato è lo scenario di fondo; immediatamente alle spalle compare un balcone di pietra che si affaccia su ameno paesaggio con veduta di vita paesana. Il pilastro del loggiato, sul quale si intravede una lapide dalla scritta illeggibile, si pone quale quinta scenografica, lasciando fluire la luce che si frange sul delicato volto infantile. Il dipinto era stato acquistato da Luigi Ciceri presso una collezione udinese; l’anonimo artista con piccoli ma densi e rapidi tocchi tratteggia felicemente i minuti lineamenti della bambina; ricercata è la struttura compositiva sullo sfondo ma con esiti più sfumati e meno definiti. Pittore di area friulana della metà sec. XIX Ritratto di uomo allo scrittoio Olio su tela/ 71x59 cm/ Inv. 565 Iscrizioni: “ALLA SIG. RI [...] A [...] E”. Il dipinto raffigura quasi frontalmente, a mezza figura, un anziano signore dai pochi capelli grigi, appoggiato allo scrittoio a braccia conserte, con la penna d’oca nella mano destra inanellata, su uno sfondo indistinto. L’uomo ha appena terminato di scrivere ad una signora (la moglie?), come si deduce dall’intestazione della lettera riposta sul tavolino. Accanto alla missiva è sistemato un calamaio d’argento finemente lavorato, con due penne. Il personaggio ritratto indossa una giacca scura a doppio petto, sotto la quale porta un panciotto damascato con bande oblique blu e violetto e motivi neri. Sopra la camicia bianca porta, annodata al collo, una cravatta nera. Lo sguardo è sereno. Il dipinto fa pendant con il Ritratto di gentildonna con cestino di fiori (inv. 566), che presenta le medesime dimensioni, la stessa cornice, e strette affinità stilistiche. L’uomo ritratto potrebbe essere lo sposo. Nonostante il forte inscuramento della pellicola pittorica è possibile apprezzare la precisa individuazione dei tratti fisionomici e la felice posa del personaggio ritratto. È ipotizzabile una datazione alla metà del XIX secolo; il pittore, probabilmente locale, sembra aggiornato sulla ritrattistica contemporanea. Pittore di area friulana della metà sec. XIX Ritratto di gentildonna con cestino di fiori Olio su tela/ 71x59 cm/ Inv. 566 Su uno sfondo neutro è ritratto un personaggio femminile a più di mezza figura, leggermente di tre quarti, che sembra abbandonato sopra alcuni cuscini (o su una sedia?), posti alle sue spalle. La testa è rivolta a destra, il busto è spostato verso sinistra e le mani, che si incontrano, restano posate su un tavolino. Sul ripiano di quest’ultimo compare, in primissimo piano, un cestino di fiori. La donna indossa un abito scuro (rosso?), appena scollato sul petto e orlato di pizzo, porta i guanti nelle mani e una collana di perle con gioiello al collo. Dalla spalla sinistra scivola uno scialle bianco, che copre il braccio. I capelli corti e scuri hanno la scriminatura centrale. Un prezioso orecchino pende dall’orecchio destro. Il dipinto fa pendant con il Ritratto di uomo allo scrittoio (inv. 565), che presenta le medesime dimensioni, la stessa cornice, e strette affinità stilistiche. La gentildonna ritratta potrebbe essere la sposa. L’immagine è curata nella conduzione disegnativa e realistica appare la resa fisionomica. Lo spostamento del corpo verso sinistra è parzialmente bilanciato dal cesto di fiori sistemato nell’angolo opposto. L’anonimo artista locale riesce con pochi tocchi di colore a fissare sulla tela il profilo di questa donna, probabilmente appartenente alla classe borghese. Vedutista veneziano della metà sec. XIX Veduta della chiesa di Santa Maria e di San Donato a Murano Olio su tela / 53,4x81,5 cm/ Inv. 466 Il dipinto raffigura, sullo sfondo di un cielo vaporoso di nubi, una veduta ottocentesca della zona absidale della chiesa di Santa Maria e di san Donato a Murano con lo svettante campanile romanico e l’adiacente oratorio (si nota la scritta esterna entro una cornice affrescata). Sullo scorcio di laguna in primissimo piano s’affacciano alcune case popolari con i tipici portici a pilastrini e con le coperture in laterizio. Una serie di imbarcazioni, di varie dimensioni, sono ormeggiate a riva: la più grande, a sinistra, ha una vela bianca ammainata ed è carica di merci, sulle altre ci sono piccole figure di pescatori. Sul pontile e nello spazio esterno alla chiesa numerose persone, ritratte da sole o in gruppetti di due o tre, confabulano o trasportano oggetti (un uomo ripreso di spalle conduce una carriola con una botticella). Il dipinto è giocato sulle tonalità ocra e bianche delle architetture e delle barche e azzurre del cielo. Realistica è la resa dell’acqua con le forme delle imbarcazioni che vi si rispecchiano. La veduta è confrontabile dal punto di vista compositivo con una litografia acquerellata (cfr. Il Veneto nelle litografie dell’800) eseguita nel 1847 dal veneziano Tommaso Viola (1807-1893). Identico è il taglio compositivo con le abitazioni che fanno da quinta e la laguna in primo piano. La tela Ciceri si differenzia solo per una maggiore presenza di barche e di persone. L’opera dal disegno preciso e minuzioso, ricercata per i tenui accostamenti cromatici, è una felice testimonianza visiva di questo famoso paesaggio urbano-lagunare. L’artista va ricercato tra quei vedutisti veneziani attivi verso la metà del XIX secolo. Giacomo Meneghini (Nimis 1851 – 1935c.) Madonna in trono col Bambino e Sant’Osvaldo Olio su tela/ 135,5x109 cm/ Inv. 573 Bibliografia: Religiosità popolare… 1980, p. 98. Esposizioni: Pordenone 1980. Entro una finta edicola - caratterizzata da colonnine con capitelli di gusto medievale sostenenti un timpano ribassato –è raffigurata la Madonna in trono incoronata da due cherubini e con il Bambino in braccio (a destra) e Sant’Osvaldo, re e martire, con una veste rosso-verde e il mantello d’ermellino (a sinistra). La Madonna vestita di rosso con un manto blu e i sandali ai piedi tiene un libro chiuso con la destra, mentre con la sinistra trattiene un vivace Gesù con un corvo nero in mano. Osvaldo regge lo scettro nella sinistra, mentre sull’altra mano è appollaiato il consueto corvo nero. Le figure si stagliano su un fondo giallo e appoggiano i piedi su un pavimento piastrellato, realizzato con poco senso della prospettiva. Nel campo azzurrino del timpano è ospitato un Padre Eterno benedicente con le braccia allargate. Una decorazione floreale conclude la parte superiore della finta architettura, e un semplice fregio a motivi vegetali il margine inferiore. Pittore girovago e burattinaio, comunemente noto come Jacun pitor, Meneghini fu attivo in molte zone del Friuli (Cividale, Valli del Natisone, Nimis, Torreano, ecc...) e del Goriziano (Dolegna del Collio) realizzando dipinti murali di soggetto sacro e profano (temi allegorici) in chiese (chiesa di Scriò, chiesa di Gramogliano), casolari e case private (Leproso, Tercimonte, Dus, Bottenicco, Moimacco). Le opere rispecchiano un gusto del favoloso e dell’esotico, che ne fanno “l’unico naif dell’arte friulana” (Bergamini 1990, p. 121). “Nelle pitture sacre – scrive Andreina Ciceri – le scene sono impostate con un certo rigore, con sforzo di simmetria, prospettiva e architettura”(Nicoloso Ciceri 1974, p. ?) e Marioni aggiungeva “sono a centinaia le immagini sacre che egli, con la sua arte ingenua, primitiva, che ricorda i pittori del dugento, disseminò”(Marioni 1940, p. 79). Il dipinto è stato attribuito a Meneghini da Luigi Ciceri nel 1980 (Ciceri 1980, p. 98 e ill. p. 88). La tela proviene probabilmente dalla Carnia, territorio dove la devozione popolare a Sant’Osvaldo – invocato contro la pestilenza - è attestata fin dal basso medioevo, quando fu costruito a Sauris di Sotto il Santuario a lui dedicato. La finta cornice architettonica in cui è inserita la scena sembra riprendere le forme dell’altaristica lignea friulana tardorinascimentale e barocca. La tela, forse, era stata pensata per l’altarolo di qualche cappella privata o comunque come oggetto di devozione popolare. Nella composizione, nell’ingenua semplicità delle figure, nella brillante componente coloristica ritroviamo le caratteristiche della pittura naif di Jacun pitor. Pittore di area friulana (copia da Francesco Colussi, 1798) della fine sec. XIX – inizi sec. XX Ritratto di Antonio Carli Olio su tela/ 93,3x70,5 cm/ Inv. 549 Iscrizioni: in alto a sinistra: “1798 / ANTONIUS CARLI / ANNORUM 56”. Bibliografia: Ciceri 1978, p. 96; Ganzer 1990, p. 17; Bergamini 1998, p. 412 . Su uno sfondo neutro è ritratto di tre quarti il signor Antonio Carli in abiti di fine Settecento. L’uomo in età adulta (56 anni), dallo sguardo nobile e severo, indossa una velada (marsina) verde cupo e una camisola (gilet) scura. Al collo porta un elegante jabot bianco; dalle maniche escono le gale strette della camicia bianca. Tiene la mano destra infilata nel panciotto, mentre l’altra – con l’anello nel mignolo bene in evidenza – è appoggiata sul fianco. Da sotto il gilet spunta una catenina d’argento, forse di un orologio da tasca. La tela fu acquistata da Ciceri, insieme al dipinto raffigurante Giacoma Cracogna, moglie di Carli, che fa pendant (cfr. inv. 550), prima del 1978 e dopo il 1969, da un collezionista di Tricesimo. (Ciceri 1978, p. 96) Pittore di area friulana (copia da Francesco Colussi, 1798)della fine sec. XIX – inizi sec. XX Ritratto di Giacoma Cracogna Carli Olio su tela/ 93,3x70 cm/ Inv. 550 Iscrizioni: in alto a destra: “IACOBA CRACOGNA / UXOR DR. ANTONIUS CARLI / ANNORUM 57 PICTUS A FRAN / CISCUS COLUSSI AN 1798”. Bibliografia: Ciceri 1978, p. 96; Ganzer 1990, p. 17; Bergamini 1998, p. 412 . Giacoma Cracogna, moglie di Antonio Carli, è ritratta di tre quarti, su uno sfondo neutro, all’età di 57 anni. La donna “con un volto segnato da una stanca rassegnazione” (Ganzer 1990, p. 17) indossa un abito rosso con grembiule, scialle e mezzi guanti bianchi. In mano tiene un oggetto (un ventaglio?), mentre in testa porta un copricapo a l’Andromede con nastri verdi e bianchi e tulle. La tela fu acquistata da Ciceri, insieme al dipinto raffigurante Antonio Carli, marito della Cracogna, che fa pendant (cfr. inv. 549), prima del 1978 e dopo il 1969, da un collezionista di Tricesimo. (Ciceri 1978, p. 96) Nel 1798 Francesco Colussi, artista gemonese, originario di Ospedaletto, documentato tra il 1777 e il 1798 come pittore di pale d’altare per molte chiese della Carnia e del Cividalese, oltre che come ritrattista, dipinse due ritratti dei coniugi Carli. Giacoma apparteneva ad una famiglia, i Cracogna, tra le più antiche di Gemona, nota nei registri battesimali già alla fine del ‘300. Il professor Rampini, analizzando attentamente queste tele della collezione Ciceri, le colloca tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX. Si tratterebbe, quindi, di copie degli originali ritratti settecenteschi eseguiti da Colussi, forse realizzate in occasione di ripartizioni di beni ereditari. Non è escluso che le opere autentiche esistano ancora. Va quindi rivista l’assegnazione alla fine del ‘700 di questi due ritratti, proposta da Ciceri (1978) e poi confermata da Ganzer (1990) e Bergamini (1998). L’anonimo artista copia fedelmente Colussi, realizzando però delle riproduzioni fredde e prive di “sentimento”, utilizzando pennellate compatte e corpose, ma che rendono piatta la superficie pittorica. Pittore di area friulana, sec. XIX Ritratto femminile Olio su tela/ 40,3x33 cm/ Inv. 18 Il dipinto raffigura una donna a mezzo busto i cui tratti del volto sono abbastanza duri: ha gli occhi grandi, la fronte bassa, le labbra sottili e un naso “importante”; l’espressione è fissa. La donna ha i capelli raccolti sulla nuca e porta preziosi orecchini a pendente. Indossa un abito ocra con una fascia scura in vita; lo sfondo del dipinto è neutro. Il segno è statico, gli andamenti curvilinei; il trattamento dei volumi è semplice e leggermente goffo specie nella zona delle spalle. I colori sono piatti e con poche gradazioni. In generale l’opera è conservata discretamente, nonostante presenti diverse macchie più chiare dovute forse all’umidità ed un generale imbrunimento degli strati superficiali. Una caduta di colore mette a nudo la tela al centro del margine destro. Pittore di area friulana, sec. XIX Ritratto di donna con fiori rossi Olio su tela/ 33,6x29 cm/ Inv. 182 Il dipinto raffigura una donna borghese di età matura su fondo neutro; la donna guarda l’osservatore e sembra accennare un lieve sorriso. Porta i capelli raccolti in basso sulla nuca e indossa due anelli e un paio di orecchini preziosi di fattura particolare. Indossa un abito scuro sopra ad una camicia con maniche “a sbuffo” e colletto a pieghe; attorno al collo porta una fascia rossa decorata incrociata sul davanti. Tra le mani regge un fiore rosso. Il segno è abbastanza dinamico e le linee sono costruttive e morbide. I colori e le loro gradazioni rendono le pieghe della veste. Sul dipinto sono visibili strati di vernice stesi sopra all’originale. Questi strati sono evidentemente imbruniti e presentano diverse lacune. Presente lieve craquelure. Pittore di area friulana, sec. XIX Ritratto di giovane uomo Olio su tela/ 37x31,5 cm/ Inv. 183 Un giovane uomo con capelli scuri e occhi azzurri è ritratto a mezzo busto e di trequarti in abito ottocentesco con la camicia a colletto alzato e il farfallino. Il fondo è neutro. Il segno è statico e le linee hanno un andamento continuo. I colori sono piatti ed in contrasto; la luce è diffusa. L’impressione finale è quella di un ritratto stilizzato e, a tratti, quasi innaturale, ad esempio nel volto del ragazzo che ha gli occhi troppo grandi e le gote di un rosso innaturale. L’opera è in un discreto stato conservativo. Presente craquelure. Pittore di area friulana, sec. XIX Ritratto di donna con fazzoletto bianco Olio su tela/33,9x28cm./Inv.184 Una giovane donna è ritratta seduta con le mani incrociate su un tavolo. L’ambientazione è neutra. La donna ha capelli scuri raccolti sulla nuca, porta un abito scuro con il colletto della camicia ricamato finemente e indossa orecchini dorati con pietre che riflettono la luce. Tra le mani tiene un fazzoletto bianco. La composizione della figura è riconducibile all’artista dell’opera precedente (Inv.183). L’opera è pesantemente danneggiata da craquelure. Pittore di area veneta, sec. XIX San Bonaventura orante Olio su tela/ 26x22,7 cm/ Inv. 185 Il dipinto rappresenta San Bonaventura, vescovo, teologo e cardinale dell’ordine francescano vissuto nel XIII sec. (www.santiebeati.it). Il Santo è rappresentato in ginocchio in atto di preghiera con lo sguardo rivolto in alto alla sua destra da dove proviene un fascio di luce. Poggia un braccio su un tavolo, sul quale si trova un crocifisso. In basso a sinistra c’è il cappello rosso tipico dell’iconografia di Bonaventura. Sotto al cappello è indicato il nome che ci conferma la sua identità. Le linee sono costruttive e dall’andamento continuo. I colori sono leggermente sfumati e scuri. La luce arriva da sinistra e i volumi sono resi tramite chiaroscuro e prospettiva. L’insieme è comunque statico. La tela è in un discreto stato conservativo, ma comunque sottotono. Presente qualche lacuna cromatica. Pittore di area friulana, sec. XIX Ritratto di giovane uomo allo scrittoio Olio su metallo/ 21,7x19 cm/ Inv.187 Un giovane uomo è seduto con il braccio poggiato su un tavolo; guarda alla sua destra. Veste abiti borghesi, con la destra tiene un sigaro e dal taschino della giacca si vede spuntare la catenina d’oro dell’orologio. Sul tavolo ci sono carta, calamaio e penna d’oca e un piccolo ritratto incorniciato di una donna, probabilmente l’amata a cui il giovane si accinge a scrivere. Le linee sono evidenti e dall’andamento discontinuo, la prospettiva è sbagliata; i colori sono piatti e in contrasto. La composizione è stilizzata. (particolare riscontrabile anche in dipinti attribuiti a Lexer, ad es. La famiglia Durigon, 1847, Museo carnico di Tolmezzo). L’idea che dà il ritratto è quella di un giovane colto, benestante e sicuro di sé. Il dipinto è in discreto stato conservativo, presenta qualche lacuna cromatica. Andrea Lexer (?), 1847 Ritratto di Giuseppe Vidale di Gracco Olio su tela/ 36x27 cm/ Inv. 186 Il dipinto ritrae un esponente della famiglia Vidale originaria di Gracco, frazione di Rigolato (Udine). L’uomo, anziano, è ritratto seduto. Porta un cappello a cilindro; nella mano sinistra tiene un giornale e nella destra gli occhiali. Il fondo è neutro. Le linee del dipinto sono fluide e morbide; i colori caldi e sfumati; la definizione che si trova nel volto del soggetto si perde nel trattamento del resto della figura, specie nelle mani, che sembrano appena abbozzate. L’attribuzione non è sicura: manca la piattezza dei colori tipica di Lexer. Il dipinto è in buono stato conservativo. Pittore di area friulana, sec. XIX Ritratto di Vidale Regina in Durigon Olio su tela/ 24,5x19 cm/ Inv.189 Il dipinto ritrae una donna in abito carnico con il tipico foulard con le frange a coprirle le spalle. La donna è giovane e ha i capelli scuri raccolti sulla nuca, indossa una collana e degli orecchini d’oro molto semplici. Si tratta di Regina Vidale, moglie di un esponente della famiglia Durigon, casato storico di Rigolato (Udine). La donna è ritratta in piedi, con le mani incrociate davanti al busto e nella mano destra tiene un piccolo libretto. Le linee del dipinto sono morbide e continue, i colori piatti. Il volume non è definito. Forse l’opera è riconducibile all’autore di Inv. 186 o ad un eventuale allievo. Il dipinto è in buono stato conservativo. Pittore di area friulana, 1894 Guarigione di un giovinetto da parte di un Santo (San Nicola o San Biagio?) Olio su cartone/ 29,9x24 cm/ Inv.233 All’interno di una stanza, su un letto, è steso un bambino malato; a lato il padre prega in ginocchio e con gli occhi chiusi mentre ai piedi del letto la madre alza le braccia in segno di implorazione verso il Santo che appare in alto a destra. Il santo è circondato da nubi bianche, è seduto e indossa una veste bianca e un manto dorato; porta anche la mitria e in mano tiene il pastorale; nel caso si trattasse di San Nicola, il santo vescovo è invocato in quanto protettore dei fanciulli; se invece si trattasse di San Biagio, è invocato quale protettore della gola. L’iconografia è incerta, ma la barba piuttosto lunga fa propendere per l’identificazione con San Biagio. In basso a sinistra l’acronimo PGR, ovvero Per Grazia Ricevuta. L’opera si colloca nella produzione friulana di “ex voto”, dipinti per ringraziare i santi per le preghiere esaudite. Il dipinto è molto semplice e stilizzato nella resa delle figure, pur ben eseguite; imprecisioni nelle proporzioni e nella prospettiva. I colori, imbruniti, sono su poche gradazioni tra l’ocra e il marrone; da notare comunque la resa delle pieghe delle vesti e della coperta mediante il chiaroscuro. Il dipinto appare complessivamente in buono stato conservativo. Pittore italiano di area padana, seconda metà del sec. XIX Natura morta con volatile Olio su tela/ 58x70 cm/ Inv. 528 Il quadro è una natura morta ottocentesca. Il volatile rappresentato è una nitticora (www.agraria.org), specie di airone molto diffuso in area padana. Oltre al volatile, poggiati su un tavolo si vedono vari monili, due bracciali, due anelli, due paia di orecchini nelle rispettive custodie, due vasi, forse contenenti delle creme e un’ampolla probabilmente di profumo; un porta dolci in vetro di fine Ottocento (www.antiquariato.com); a sinistra vediamo una tazza per il tè con un piattino dai bordi alti; a destra, vicino al volatile, un bellissimo vaso di ceramica decorato a smalti e a rilievi. Il dipinto si colloca nell’ambito del rinnovato interesse settentrionale per la natura morta, specie dalla seconda metà dell’Ottocento, con esponenti di spicco come Inganni, Filippini e Pellizza da Volpedo. Le linee del dipinto sono morbide e costruttive, i colori tenui e sfumati; il volume è reso mediante gradazione cromatica e chiaroscuro. Anche se non lo si può classificare tra le migliori produzioni del periodo, bisogna riconoscerne la fedeltà nella rappresentazione del volatile così come in quella delle ceramiche. Il dipinto è in ottimo stato conservativo. Pittore di area friulana, seconda metà del sec. XIX Ritratto di Giambattista Radivo di Ligosullo Olio su tela/ 27x22,7 cm/ Inv. 593 Ritratto a mezzo busto di Giambattista Radivo di Ligosullo con stemma di famiglia. L’uomo, piuttosto anziano, è raffigurato sorridente e indossa un panciotto, una giacca grigia e una camicia con jabot; al collo porta un cravattino nero. Il fondo è neutro e in alto a destra si trova lo stemma della famiglia Radivo. Il cognome Radivo è presente a Ligosullo, in Carnia (Udine) già dal XVII sec. (www.friulinprin.beniculturali.it). In documenti del comune di Paluzza, dal quale Ligosullo si è distaccato nel 1839, si trova nominato Giobatta Lazzara Radivo il 15 maggio 1849 per un pagamento a suo favore in cambio del trasporto di tavole da Muda a Paluzza dal 1838 al 1844; il 28 novembre 1852 è nominato per la stipula di un contratto per la proprietà di un bosco; il 18 settembre 1855 gli vengono vendute 222 piante. (www.taicinvriaul.org) Si pensa che Radivo fosse un cramâr, ovvero un venditore ambulante che migrava durante i mesi invernali esportando tessuti prodotti in patria, droghe o spezie; la professione del cramâr andò scomparendo dalla seconda metà del XIX sec. Il dipinto è ben eseguito, le linee sono costruttive, la resa del soggetto buona; i colori sono sfumati. Complessivamente è in buono stato conservativo. Pittore di area friulana, sec. XIX San Michele Arcangelo (o Trionfo della Giustizia) Olio su tela/ 36,7x27 cm/ Inv. 1428 San Michele è rappresentato, come da iconografia, mentre trafigge il demonio con la lancia e tiene in mano una bilancia, strumento che utilizza per pesare le anime dei morti. In questo dipinto gli manca la tipica armatura. Il cielo fa da sfondo alla scena. In Friuli il culto del Santo si fa risalire all’epoca di dominazione longobarda (www.prolocofaedis.it). E’ particolarmente venerato a Cervignano, San Michele al Tagliamento e San Giovanni al Natisone. Le linee del dipinto sono molto evidenti e contornano tutte le aree, i colori sono piatti e ormai scuriti dal tempo; la rappresentazione è stilizzata. In qualche zona il pittore ha cercato di dare volume tramite chiaroscuro, ad esempio sulla gamba destra del Santo. Nell’insieme, anche se il pittore ha cercato di rendere il movimento attraverso le pieghe della veste, l’impressione è quella di una scena statica. Il dipinto è in uno stato di conservazione mediocre: i colori sono imbruniti e la stesura cromatica è caduta lasciando in vista alcune parti della tela. La lettura è nel complesso disturbata dai fattori appena detti. Pittore di area friulana, sec. XIX Veduta con chiesa paesana Tempera su metallo/ 24x21 cm/ Inv. 1429 Il dipinto raffigura una veduta di paese con una chiesa romanica. La struttura del campanile ricorda quella del duomo di Sacile, ma purtroppo la chiesa è differente. Nel piazzale davanti alla chiesa ci sono piccoli gruppi di persone; sulla destra un albero, che copre parte della chiesa, occupa buona parte del dipinto. Le pennellate sono pastose e la costruzione nell’insieme non è precisa né dettagliata. I visi delle persone sono resi da un semplice tocco di pennello. Non si tratta di un’opera di un pittore noto e comunque manca la firma. Lo stato di conservazione del dipinto è discreto Pittore veneto, sec. XIX Veduta di locanda a Mussoi (Belluno) Olio su tela/ 35,5x52,5 cm/ Inv. 1448 Il dipinto ritrae una veduta del cortile di una locanda a Mussoi, nel bellunese locanda è composta da due edifici adiacenti, uno a tre piani, l’altro a due piani e con un piccolo loggiato al pianterreno. Nel cortile ci sono diversi tavoli e vi sono sedute delle persone; altre persone passeggiano. Il cortile è chiuso da un muretto e vi si accede tramite un grande arco sulla destra, sul quale è affissa l’insegna della locanda (sembrerebbe un uomo con un cappello). Le linee del dipinto sono fluide e costruttive, sfumate come anche i colori, tenui. Diversi verdi sono stati usati per la vegetazione attorno alla locanda. La luce viene da sinistra. In basso a destra il pittore ha posto le sue iniziali P (o D?) Z. Il dipinto è in buono stato conservativo. Imitatore di Giovanni Luigi Rosé, seconda metà del sec. XIX Due frati assaggiano il vino Olio su tela/ 62,8x47,5 cm/ Inv. 1455 Due frati francescani sono in una cantina e bevono il vino da bicchieri di vetro. Il frate a sinistra, ben pasciuto e anziano, sta in piedi e mentre con una mano regge il calice, con l’altra si tocca il ventre. L’altro frate è seduto su una botte e regge una bottiglia mentre sorseggia il vino dal calice. Il dipinto è caratterizzato da linee evidenti e un trattamento essenziale dei volumi; i colori sono scuri e piatti, falsati comunque dalla patina. L’artista imita lo stile popolare e quasi fumettistico del pittore triestino Rosé (1806 – 1884). Il dipinto è in stato conservativo mediocre: l’opera è totalmente imbrunita, la percezione generale è falsata e sono presenti delle lacune cromatiche. Imitatore di Giovanni Luigi Rosé, 1865 Frate che assaggia il vino Olio su tela/ 64x49,5 cm/ Inv. 1457 Un frate corpulento è seduto su una panca in un cantina, intento a sorseggiare un calice di vino. Sulla botte al suo fianco si possono vedere la firma dell’autore, Johann Uray (?) e la data 1865; quasi certamente si tratta dello stesso autore di Inv.1455, col quale talaltro condivide il soggetto. Lo stile è quello quasi fumettistico di Rosé, con linee evidenti e volumi trattati in maniera essenziale, con forme tendenzialmente tondeggianti. L’opera è in stato conservativo discreto; i colori sono leggermente imbruniti ed è presente qualche perdita della cromia ma la lettura del dipinto non è compromessa. Pittore locale, sec. XIX L’educazione del fanciullo Olio su tela/ 62,7x47,9 cm/ Inv. 1460 In una cucina un uomo seduto sembra intento a rimproverare un fanciullo che nasconde una mela dietro la schiena. Nella cantina, oltre ai due soggetti, si riconoscono due ceste di mele, un forno, una padella, un armadio e una botte. Il quadro è composto da linee evidenti e tratti morbidi e curvilinei; i colori sono piatti e ben definiti; le forme sono molto semplificate e stilizzate. Si può accostare il dipinto alla produzione del pittore triestino Giovanni Luigi Rosè (1806 – 1884), sia per la tecnica che per il soggetto profano e legato alla quotidianità (vedi opere come Il veterinario, Giochi con la palla, Cacciatori in riposo - www.arcadja.com -). Il dipinto è in discreto stato conservativo; presente qualche macchia dovuta all’umidità. Pittore di area veneta, sec. XIX – XX Transito San Giuseppe Olio su tela/ 41x30,4 cm/ Inv. 1451 La morte di San Giuseppe è raffigurata in un interno, al quale lo sguardo può “accedere” attraverso un arco ed osservare la scena in scorcio. San Giuseppe morente è steso su un letto, con una mano sul petto e lo sguardo, turbato, verso l’alto; l’altra mano è trattenuta da Gesù, che gli sta accanto, in piedi, e gli indica il cielo. Dall’altro lato la Madonna poggia sul letto le mani incrociate mentre osserva Gesù. Entrambi indossano la veste rossa e il manto blu; il capo della Madonna è coperto da un velo di un delicatissimo verde acqua. Ai piedi del letto, sul quale è stesa una coperta color arancio – ocra, un angelo prega in ginocchio dando le spalle all’osservatore. Sul lato sinistro della scena si vede una finestra dalla quale si può scorgere un paesaggio con delle palme. L’iconografia del San Giuseppe morente si sviluppa nel XVII secolo, e da quel momento lo si identifica come “patrono della buona morte”. (www.bollettinodarte.beniculturali.it). Normalmente la scena è occupata da diverse figure, angeli, cherubini e santi; in questo caso, invece, si tratta di una rappresentazione dal carattere intimo e riservato. Le linee del dipinto sono fluide e costruttive; i volumi, morbidi, sono resi mediante il chiaroscuro e le gradazioni cromatiche; i colori sono luminosi, sfumati ed in armonia tra loro. L’opera è in discreto stato di conservazione; presente qualche lacuna cromatica DipintisecoloXX Schede a cura di Salvatore Ferrari e Gabriella Schiaulini Giovanni Napoleone Pellis (Ciconicco di Fagagna 1888 – Valbruna 1962) Mascherata: un matrimonio a Collina Olio su tela/ 30x60 cm/ Inv. 485 Al centro di una folla mascherata e danzante un uomo vestito d’azzurro e con la tuba in testa (lo sposo?) è in groppa ad un cavallo rosso. Tra le figure mascherate, raffigurate a destra, c’è la sposa vestita di bianco e con il caratteristico velo. Tra le maschere di sinistra si distingue quella vestita da mucca, intenta a suonare la viola. Sullo sfondo le montagne innevate, i tetti delle case di Collina, la luna nel cielo. Il dipinto non è presente nell’elenco steso da Cabrini (1983-84). La piccola tela va confrontata con un’opera firmata di analogo soggetto – ora di proprietà della Società Filologica Friulana – intitolata Un matrimonio. Mascherata (olio su tela, 105x157) realizzata nel 1950. Il confronto fa pensare che i due dipinti siano stati ideati e realizzati nella stessa occasione. Andreina Ciceri parla di un “bozzetto presso L. Ciceri” (Ciceri 1985, p. 62). Alma Gaier – intervistata dai coniugi Ciceri – affermava che prima della metà degli anni sessanta “il pittore Giovanni Pellis aveva dipinto, sulle pareti di legno, [in un fienile – Stajat di Caminon – di Collinetta] scene carnevalesche, talvolta dal vero (Il carnevale in Friuli…1967, p. 57). Pellis riesce qui con poche pennellate rapide e corpose ad illustrare - con efficacia coloristica - una delle tante feste popolari della Carnia, forse la più allegra, il Carnevale. Nelle maschere festanti ritroviamo quel realismo espressionista, ricorrente nella produzione dell’artista. Giovanni Napoleone Pellis (Ciconicco di Fagagna 1888 – Valbruna 1962), 1941? Le due età Disegno a sanguigna su carta applicata a compensato/ 79,5x53,5 cm/ Inv. 569 Iscrizioni: J.N. Pellis. Forni/Carnia….41 Bibliografia: Cabrini 1983-1984; Giovanni Napoleone…1988, pp. 162-163. Esposizioni: Galleria il Girasole, Udine 19??; Fagagna 1988. Il disegno presenta, in primo piano, una giovane donna – in rosso sanguigna - con le braccia conserte e la camicia aperta sul petto, e alle sue spalle una vecchia – realizzata in color seppia - dal volto segnato dalle rughe e con il capo coperto. Le donne simboleggiano due età dell’esistenza umana: la giovinezza e la vecchiaia. Il bel disegno è firmato in basso a destra “J. N. Pellis”. E’ indicata anche la località d’esecuzione dell’opera: “Forni / Carnia”. Dei due numeri apposti sotto la firma è leggibile solo “41”, che indica, forse, la data di realizzazione dell’opera. Il cartiglio della Galleria “Il Girasole” posto sul retro segnala una datazione al “1936-37”, mentre nel catalogo del 1988 non si precisa alcuna data. Pellis con tratto deciso, tipico di chi è pratico della tecnica, delinea le due figure femminili nei cui volti fieri ritroviamo le fisionomie delle donne carniche, dei “tipi di Forni di Sotto” o di Collina già ritratti dall’artista negli anni 1937-38 (Cfr. Ciceri 1960, pp. 24-25). Nella resa anatomica e psicologica delle figure è riscontrabile quel realismo di marca espressionista tipico della produzione di Pellis. Cabrini (1983-1984) segnala un disegno con il medesimo soggetto (58,5x77) risalente al 1936 e conservato presso la collezione Pellis - Perissutti (proprietà di Graziella Pellis figlia del pittore). Giovanni Napoleone Pellis (Ciconicco di Fagagna 1888 – Valbruna 1962) Albero sotto la neve, 1947 Olio su tela/ 26,8x32,7 cm/ Inv. 592 Iscrizioni: firmato e datato (47) in basso a destra. Pellis, pittore e disegnatore, noto come paesaggista, ma anche apprezzato autore di ritratti e autoritratti, è definito dai critici un autodidatta. Dopo aver appreso le prime nozioni di pittura dal maestro Rigo a Udine si trasferì prima a Venezia, nel 1907, dove frequentò l’architetto Rinaldi e seguì i corsi accademici di Ciardi e poi a Torino dove conseguì il diploma di insegnante di disegno (1910). Tra il 1909 e il 1913 (e poi nel 1926) espose alle mostre di Ca’ Pesaro; nel 1914 come vincitore della borsa di studio Marangoni si recò a Roma per ultimare gli studi artistici e qui conobbe De Chirico. Finita la Grande Guerra tornò in Friuli – dopo un breve periodo torinese – ed iniziò a soggiornare in Carnia (Sauris, Collina, Forni di Sopra, Valbruna) principale luogo d’ispirazione artistica (paesaggi invernali, nature morte, ritratti di donne). Dal 1931 abitò stabilmente a Udine dove aprì lo studio. Da qui periodicamente partiva per le sue escursioni in montagna, “ambiente naturale – per dirla con Ragghianti – dove può inserirsi la sua interrogazione, o la sua melanconia” (Ragghianti 1972, pp. 13-17). Espose più volte alle “Biennali” di Venezia, alle “Quadriennali” di Roma, alla “Promotrice” e ad altre mostre nazionali di Torino, oltre che alle personali di Udine, Pordenone, Trieste, Milano, ecc... Sue opere si conservano alle Gallerie d’arte moderna di Udine e Venezia e presso il Museo Gortani di Tolmezzo. Nel 1988 a Fagagna, nel primo centenario della nascita, fu organizzata un’importante mostra retrospettiva. La sua opera è considerata “tra le più importanti espressioni della cultura figurativa friulana del primo Novecento”. (Cargnelutti 1992, p. 1012). Il piccolo dipinto raffigura un grande albero immerso nella solitudine invernale di un paesaggio imbiancato dalla neve. Tonalità violacee e bianche caratterizzano tutta la superficie pittorica, dal fondo al cielo, dai cespugli all’albero centrale. Il dipinto, protetto da vetro, non è stato sottoposto ad intervento di restauro come indicato nella scheda inventariale. La cornice di legno intagliato – di un tipo molto usato anche da de Pisis - è originale. L’opera non compare nell’elenco redatto da Patrizia Cabrini per la sua tesi di laurea (1983/84). Il soggetto fa parte dell’ampia produzione del Pellis “poeta e cantore delle nevi” (Damiani 1988, p. 53). Il paesaggio raffigurato dovrebbe trovarsi nella zona di Sauris, località frequentata dal pittore nell’inverno del 1947, come documentato nei suoi quaderni. Nell’opera predomina il colore materico; gli impasti sono agitati e la luce fa apparire la neve violetta e rosata più che bianca. De Grada parlava di “alberi che diventano protagonisti” e di pittura d’impianto fauves. (De Grada 1968). Il dipinto è stato esposto nel dicembre del 1968 – come certifica il timbro apposto sul retro del cartone - alla mostra della Galleria d’Arte Cavour di Milano con il titolo Albero sotto la neve e il numero 17. La fotografia del quadro è apparsa anche sul “Messaggero Veneto” del 10.12.1972. Afro Basaldella (1912 – 1976) Veduta del campanile del Castello di Udine,1929 Olio su compensato/ 29,6x39,8 cm/ Inv. 486 Veduta della zona absidale e del campanile di Santa Maria presso il Castello di Udine. Sul retro del dipinto un adesivo ne conferma l’autenticità; l’adesivo è firmato da Mario Marchetti, fondatore della Galleria Marchetti a Udine. Sempre sul retro, a penna, una dichiarazione datata 13/11/63 firmata Luigi Oriei (?): “Dipinto nel 1929 dice il fratello Dino”. Si tratta dunque di un’opera giovanile di Afro, che è maggiormente conosciuto come pittore astratto; un’opera semplice ma nella quale già si scorge il talento dell’artista friulano. Nello stesso anno Afro espose alla galleria veneziana Bevilacqua la Masa (l’anno precedente aveva già esposto alla Mostra della Scuola Friulana d’Avanguardia) e successivamente si trasferì a Roma. Il segno è vario e leggero, i colori sono delicati e luminosi e la luce è vibrante e diffusa in tutto il dipinto; le forme della parte inferiore sono stilizzate. L’opera è in ottimo stato di conservazione. Giuseppe Zigaina (1924 – 2009) Illustrazione per P. P. Pasolini, 1959 Olio e tempera su carta applicata a tavola/ 25,2x21,8 cm/ Inv. 487 Esponente friulano del Neorealismo, Zigaina dagli anni ’50 in poi dette dei toni decisamente espressionistici alle sue figure. Nel ’59 era un pittore maturo, aveva già esposto alla Biennale di Venezia e a diverse mostre internazionali e proprio nello stesso anno partecipò alla Quadriennale di Roma. L’amicizia con Pasolini risale al 1946, e già dal ’49 iniziò la collaborazione artistica tra i due, che continuò fino alla morte di Pasolini (1975), dopo la quale Zigaina contribuì a far conoscere lo scrittore attraverso saggi critici. (www.arsvalue.com) Zigaina fu un artista molto prolifico, e quest’opera si inserisce nel pieno della sua carriera, ma soprattutto parla del profondo legame con Pasolini. La struttura del dipinto è bidimensionale e fortemente stilizzata; deciso e pesante il segno che delinea le due forme umane, distese e abbracciate. Il colore di fondo è dato con pennellate ampie e pastose, giocato su sfumature di giallo e verde. Nonostante la “disarmonia” formale e tonale, dal dipinto traspare tutta la dolcezza dell’abbraccio delle due figure che, probabilmente, si possono identificare idealmente con Zigaina e Pasolini. L’opera è firmata e datata in alto a destra; è in buono stato conservativo. Giuseppe Zigaina (1924 – 2009) “L’occupazione delle terre”, 1950 Olio su faesite/ 50,2x61,7 cm/ Inv. 489 Per le notizie biografiche di Zigaina si rimanda a Inv.487. D’obbligo aggiungere che la produzione dell’artista si è sempre distinta in cicli pittorici; durante gli anni ’50 si dedicò a “Braccianti”, “Generali”, “Ceppaie” e “Biciclette”. Zigaina, coinvolto nel Neorealismo, si dedicava ad una pittura di tipo sociale, che parlava della vita dei braccianti e dei loro mezzi e strumenti quali le falci e le biciclette. I quadri di questo periodo sono piuttosto grandi, le pennellate sono costruttive e i colori primari convivono in un caos che vuole riprodurre il tumulto della vita quotidiana. Questo dipinto in particolare si lega alla vicenda dello sciopero “a rovescio” del Cormor, messo in atto da 1500 braccianti e svoltosi dal 19 maggio al 27 giugno 1950. Si trattava di operai disoccupati che chiedevano di essere assunti; per questo, con l’obiettivo di mettere a coltura una delle aree più fertili del Friuli, si recarono al lavoro sul greto del torrente da canalizzare per assicurare il deflusso delle acque. I quadri di Zigaina contribuirono a rendere nota questa faccenda. (www.udinecultura.it) Nel dipinto, biciclette, braccianti, falci e bandiere rosse sono costituiti da segni che si intersecano, semplici e costruttivi, memori della lezione di Picasso dopo il periodo cubista. Il risultato è un’opera fortemente movimentata che, andando oltre alla semplice rappresentazione, contribuisce a rendere nota una faccenda tanto importante nella storia della lotta sociale per il lavoro. Il dipinto è in ottimo stato. L. Tonchia, sec. XX, 1940 Veduta del castello di Colloredo di Montalbano Olio su tela/ 38x50,5 cm/ Inv. 1454 Veduta da sud del castello di Colloredo di Monte Albano (Udine) con le montagne sullo sfondo. Il Tonchia, che si firma in basso a sinistra, è conosciuto per un ritratto virile eseguito nel 1938 ed ora in vendita (www.liveauctioneers.com); se ne ipotizza l’origine friulana per via del cognome, diffuso soprattutto in area udinese (www.mundia.com). Il dipinto è costituito da linee fluide e prevalgono andamenti morbidi; i colori sono piatti e timbrici; prevalgono gradazioni di un unico colore; lo spazio è reso mediante prospettiva; le pennellate sono pastose. Il dipinto è in buono stato conservativo. DipintiespostipressolaPinacotecadelCastello Schede a cura di Enrico Lucchese Francesco Chiarottini (Cividale del Friuli 1748-1796) Madonna con il Bambino, San Silvestro, San Floriano, 1774 Sant’Elena ritrova la vera croce, 1774 Olio su tela/ 62x33 cm/ Inv. 868, 869 Bibliografia: MUTINELLI 1966, pp. 129-132; RIZZI 1966, pp. 36-39; MUTINELLI 1967, pp. 13-15; RIZZI 1967b, p. 56; ZOZZOLI 1969-1970, pp. 90-91; PERISINOTTO 1980, p. 1669; GIOSEFFI 1982, p. 223; DE GRASSI 1995, p. 41; ID. 1996, pp. 55-56, cat. 8-9. Esposizioni: Udine 1966. Restauri: Rampini 2001. Già nella collezione Ciceri di Tricesimo, le due tele sono i modelletti per le pale di analogo soggetto della parrocchiale di Remanzacco, pagate a Chiarottini il 29 settembre 1774 (cfr. DE GRASSI 1996, pp. 56-57, cat. 10-11): furono pubblicate da Aldo Rizzi nel 1966 con la corretta paternità. Il rapporto tra l’opera finita e il modello preparatorio è molto stringente nella Sant’Elena ritrova la vera croce, parecchie invece le varianti presenti nella Madonna con il Bambino, San Silvestro, San Floriano: evidenti sono poi i riferimenti alla pittura di Sebastiano Ricci (RIZZI 1966) nota certo a Chiarottini grazie anche alle incisioni del maestro del cividalese, Francesco Fontebasso (DE GRASSI 1996). E proprio a Fontebasso sono stati attribuiti in passato i due piccoli dipinti ora in museo (MUTINELLI 1966 e 1967, ZOZZOLI 1969-1970), basandosi su una notizia dell’elenco delle opere viste da Michele della Torre a casa di Antonio Chiarottini a Cividale: “due quadri o modelli del suo maestro del Chiarottini il Fontebasso” (DE GRASSI 1995, p. 200). T ale ipotesi non è stata giustamente accettata dagli altri studiosi che si sono occupati delle due telette: chiarissimo è infatti “il ductus indubbiamente chiarottiniano, si può anche notare la convergenza delle dimensioni [...] con quelle del modelletto per la pala di Castelmonte custodito presso i Civici Musei di Udine” (DE GRASSI 1996; cfr. Inv. 564). Nicola Grassi (Formeaso di Zuglio 1682-Venezia 1748) Agar e l’angelo Giuda e Tamar Olio su tela/ 127x224 cm/ 127x229 cm/ Inv. 866, 867 Bibliografia: MARCHETTI 1953, pp. 7, 9-10; GONANO 1954-1955, pp. 34, 71; MARCHETTI 1959, pp. 387-390; GALLO in Mostra di Nicola Grassi 1961, p. 23; MARTINI 1975, p. 41; ID. 1982, p. 520; RIZZI 1982, pp. 52-55, cat. 11-12; PALLUCCHINI 1995, pp. 512-513; BERGAMINI 1996c, pp. 77, 87, 99; LUCCHESE 2003. Esposizioni: Tolmezzo 1982. Restauri: Rampini 2001. Nel rispetto del racconto della Genesi (rispettivamente 21, 8-18 e 38, 1-26), le due tele illustrano degli episodi in cui donne - improvvisamente emarginate dal resto della società per fatti a loro contingenti ma di cui non sono affatto responsabili - ottengono il giusto rispetto e considerazione sconfiggendo un destino che pareva loro irrudicibilmente avverso, riuscendo inoltre a perpetuare la propria progenie. Nel primo dipinto l’egiziana Agar, dopo essere stata cacciata a malincuore da Abramo su gelosa istigazione della moglie Sara e aver vagato disperata con il figlio nel deserto di Bersabea, decide di aspettare dignitosamente la fine, lasciando Ismaele poco lontano per non vederlo morire: il Signore allora le invia un angelo per rincuorarla sul destino della sua stirpe. Nell’altro, invece, Tamar, rimasta vedova dei figli di Giuda, Er e Onan, e in vana attesa di ottenere dal suocero, come prescritto dalla norma del Levirato, il permesso di sposare il terzo fratello Sela, decide di avere un bambino legittimo: travestita da meretrice aspetta velata il suocero sulla via, chiedendogli in pegno per giacere con lei il suo sigillo, il cordone e il bastone personali; dopo tre mesi, Giuda, chiamato a punire Tamar incinta, scopre - grazie al rinvenimento dei tre oggetti - di esser stato lui ad aver sbagliato e di aver concepito con la donna alla quale non aveva concesso una legale figliolanza. Provengono dalla collezione Ciceri di Tricesimo (cfr. MARCHETTI 1953), ma sono probabilmente in Friuli almeno dall’Ottocento: esiste infatti un disegno, oggi conservato nella biblioteca civica di Udine, di Domenico Paghini (? 1777 - Udine 1850), che replica il solo Giuda e Tamar (riprodotto in contro parte in BERGAMINI 1996c, correttamente in ASQUINI 2002, p. 42), al pari di altri dipinti presenti a Udine e provincia. I coniugi Ciceri, da sempre cultori del mondo della ‘Piccola Patria’, dovettero essere interessati agli splendidi dipinti con Agar e Tamar di Grassi soprattutto in virtù delle origini carniche del pittore (esaltate a partire dal suo scopritore in età contemporanea, Giuseppe Fiocco, echeggiato fino ai tempi degli studi di Aldo Rizzi) e della loro provenienza dal territorio. Anche se di soggetto biblico, le due tele di Nicola Grassi dovettero essere eseguite per un ambiente profano, forse un salone di un palazzo dove tali opere potevano essere messe una di fronte l’altra, magari entro una cornice a stucco: una provenienza originaria privata è confermata dal rinvenimento sul retro di ciascun telaio originale di un cartellino recante un numero d’inventario (“245 I” e “245 II”), la dicitura “Salotto” e uno stemma nobiliare reso a stampo, purtroppo abraso e di conseguenza indecifrabile allo stato attuale (LUCCHESE 2003): tutte testimonianze di una collocazione simile a quella della serie di palazzo de Portis a Udine (cfr. Invv. 717, 718). Pubblicati come opere della maturità del pittore (MARCHETTI 1953 e 1959), i dipinti furono ben presto (GONANO 1954-1955; GALLO 1961) spostati verso una fase precedente del carnico, in prossimità del citato Lot e le figlie del museo di Udine e, di conseguenza, della Rebecca ed Eliezer della chiesa veneziana di San Francesco della Vigna, eseguita in parallelo con un Sacrificio d’Isacco di Giambattista Pittoni databile attorno al 1720 (ZAVA BOCCAZZI 1984, p. 32). Questa proposta cronologica è stata quindi concordemente accettata anche per Agar e l’angelo e Giuda e Tamar (cfr. MARTINI 1982; RIZZI 1982), e può essere oggi confermata anche alla luce dei risultati dell’intervento conservativo che ha restituito due autentici capolavori di Nicola Grassi recuperati nella loro fragranza cromatica e di passaggi chiaroscurali, capaci di donarci ottimi brani di pittura: dalla spumosa pietra su cui si posa Tamar celata in un velo bianco pieno di variazioni tonali, ai contadini in lontananza - resi con un tocco leggero, compendiario - intenti nei lavori agricoli ai piedi di una montagna, fino, nell’altra tela, alla soprannaturale apparizione dell’angelo dalle grandi ali in dinamico dialogo a distanza con Agar, tra contrapposizioni di pose e di zone macchiate dalla luce o dall’ombra. Il corposo panneggiare e l’amore per ampie superfici squadrate, cifre stilistiche tipiche dell’intera produzione del maestro, sono qui impreziositi da una pennellata ricca di materia, sapientemente modulata da effetti luministici che denunciano la vicinanza con “tutta una serie di temi biblici, di carattere pastorale, quali le «Storie di Giacobbe», «Rebecca ed Eleazaro», «Agar ed Ismaele», «Giuda e Thamar», «Lot e le figlie», prediletti dal Grassi in questa prima fase della sua attività: sono temi rinnovati di continuo, ambientati all’aperto, evocati a forti sbattimenti di ombre e luci, che imprimono alle figure risalti volumetrici paralleli a quelli che Antonio Petrini andava realizzando in Lombardia; ma sempre resi con una nervosità di contorni, che denuncia il fascino che il Pittoni viene sempre più esercitando sul Grassi” (PALLUCCHINI 1995). A poca distanza dalla fondamentale esperienza neotenebrosa dei pennacchi per la chiesa veneziana dell’Ospedaletto, nella quale partecipa, come si sa, anche un geniale giovane Giambattista Tiepolo “tutto spirito e foco” (DA CANAL 1809, p. 31), Nicola realizza dunque delle opere che se da un lato risentono ancora della lezione chiaroscurale di Federico Bencovich e Giambattista Piazzetta, dall’altro si aprono, sotto l’influsso degli artisti veneti tornati in laguna dopo le imprese europee (primo fra tutti Sebastiano Ricci stabile a Venezia dal 1717), a una nuova sensibilità di marca squisitamente settecentesca. Questo progressivo alleggerimento delle forme, del chiaroscuro e dei colori, ma anche dello stesso respiro compositivo, è ben notabile nei dipinti dei Civici Musei di Udine: le tele già Ciceri, come il Lot e le figlie (Inv. 70), pur ancora memori degli apostoli dagli enormi piedi abbarbicati sopra gli altari dell’Ospedaletto, paiono molto avvicinabili alla Rebecca ed Eliezer del 1720 circa, che presenta la medesima idea di rappresentazione tutta svolta, con grande espressività, in primissimo piano con improvvisi scarti prospettici e accensioni luministiche. Tale carica drammatica si attenuerà in modo moderato, ma sensibilmente, nei ‘teleri’ per palazzo de Portis, posti “come tempo subito dopo la Rebecca al pozzo di San Francesco della Vigna” (MARTINI 1982), stemperandosi ulteriormente nel Sant’Antonio con il Bambino del 1722 (Inv. 515), verso quella “stabilità di linguaggio in cui un colore vibrante e luminoso va di pari passo con una forma arguta e sottilmente rococò” (PALLUCCHINI 1995, p. 515) raggiunta nella produzione più matura di questo pittore del Settecento veneziano. Dipintieminiature Schede a cura di Gabriella Schiaulini Manifattura di area austriaca, sec. XVII Ritratto di Katharina Von Bora Smalto su rame/ 15,2x12 cm/ Inv. 265 Il ritratto raffigura, come scritto in alto, Katharina Von Bora, moglie di Martin Lutero. Katharina nacque a KleinLaussig nel 1499, a dieci anni fu rinchiusa nel convento di clausura delle cistercensi a Nimpsch. Nel 1523 fuggì dal convento e si diresse a Wittenberg, dove conobbe Lutero e lo sposò nel 1525. Morì a Torgau nel 1552. (www.treccani.it). La donna, ritratta a mezzo busto, indossa una veste verde e azzurra, e un girocollo di pelliccia; ha i capelli raccolti in un retino. La tecnica di pittura a smalto su rame nacque in Francia attorno al 1630, e da qui si diffuse nei paesi di lingua tedesca. Questo esemplare, per il soggetto e per l’esecuzione, si direbbe prodotto in area tedesca attorno alla metà del XVII secolo da un principiante. Il ritratto è nel complesso molto stilizzato, si direbbe “naif”, sia nella resa delle linee che dei colori, freddi e piatti. Il ritratto sembra incompleto, dato che il viso del soggetto è lasciato a smalto bianco (utilizzato per il fondo delle pitture su metallo). Nel complesso risulta meglio eseguita la cornice metallica, decorata a foglie e fiori. L’opera è in buono stato conservativo, a parte qualche segno di ossidazione del metallo Pittore dell’Italia settentrionale, metà sec. XVIII Miniatura con ritratto di giovane Smalto su avorio/ 12,5x11,5 cm/ Inv. 217 Nel tondo è ritratto un giovane uomo a mezzo busto su uno sfondo naturale: sulla sinistra si intravede un albero e sulla destra, in cielo, cinque rondini molto stilizzate. L’uomo ha capelli ricci e incipriati, porta un redingote azzurro e uno zucchetto: probabilmente si tratta di un ecclesiastico. La capigliatura e l’abbigliamento aiutano a datare il dipinto attorno alla metà del XVIII secolo. I colori del dipinto sono su toni pastello, molto delicati e sfumati. Il trattamento generale dell’opera è sintetico nella definizione delle linee e dei volumi. L’opera è in buono stato conservativo. Pittore dell’Italia settentrionale, fine sec. XVIII Miniatura con ritratto di donna Smalto su avorio/ 11x8,3 cm/ Inv. 214 Il piccolo dipinto ovale ritrae il busto di una donna. La donna ha i capelli grigi e arricciati e porta un piccolo nastro azzurro. Indossa una camicia trasparente con un’ampia scollatura rettangolare e un volant a pieghe, come era di moda verso tra fine XVIII e inizio XIX secolo. Le linee del dipinto sono morbide e continue, i colori sono tenui e sfumati. Nonostante il ritratto sia realistico, gli occhi della donna sono molto grandi e c’è qualche incertezza nella resa del naso. Il dipinto è in buono stato conservativo Pittore dell’Italia settentrionale, fine sec. XVIII Miniatura con ritratto muliebre Smalto su avorio/ 11,5x11,5 cm/ Inv. 216 Una donna è ritratta a mezzo busto e posta di tre quarti rispetto all’osservatore. Ha i capelli grigi, forse incipriati, raccolti e trattenuti con un nastro azzurro. Indossa una veste azzurra dall’ampia scollatura stile impero, per questo si può datare l’opera alla fine del XVIII secolo. Il trattamento della figura è forse riconducibile all’artista di Inv.214, riconoscibile nell’andamento morbido delle linee, nei tenui colori sfumati e nel trattamento del viso. La miniatura è in buono stato conservativo. Pittore dell’Italia settentrionale (?), prima metà del sec. XIX Ritratto di giovane donna Smalto su avorio/ 11x9 cm/ Inv. 213 Una giovane donna è ritratta su una placca di avorio incorniciata. La donna è ritratta a mezza figura, indossa un abito verde sopra ad una camicia con maniche a gigot e un nastro elaborato sulla capigliatura. Questo tipo di abbigliamento femminile era in voga attorno agli anni ’20 dell’Ottocento. La donna porta gioielli preziosi, tra cui degli orecchini pendenti dorati, una collana e un bracciale di corallo, e un bracciale dorato e argentato. Gli orecchini sono di fattura meridionale (www.arsantik.com), così come i coralli (www.unipa.it). Le linee del dipinto sono morbide e costruttive e i colori sono luminosi e sfumati; il volume è reso mediante gradazione cromatica e chiaroscuro. Il dipinto è in buono stato conservativo. Pittore dell’Italia settentrionale, sec. XIX Miniatura con ritratto di bambina Smalto su avorio/ 12,9x9,9 cm/ Inv. 215 In un piccolo ovale è ritratta una bambina a mezzo busto. La bambina ha capelli rossi e ricci e grandi occhi azzurri; indossa un vestito scuro con il colletto bianco. Le linee del dipinto sono costruttive e continue; il viso della bambina è leggermente stilizzato. La cromia dell’opera non è in buono stato conservativo, tanto da rendere piuttosto difficile la lettura della zona bassa del viso del soggetto. Icone Schede a cura di Gabriella Schiaulini Artista italiano, prima metà sec. XV Imago Pietatis Tempera su tavola/ 33,5x45,5 cm/ Inv. 490 L’icona, conosciuta in principio come Cristo Sposo nasce nel XII sec. in Oriente e si trova spesso nelle chiese a rito bizantino; è presentata ai fedeli durante la Settimana Santa. La figura di Cristo si erge dentro al sepolcro, che fa le veci dell’altare sul quale Cristo si sposa all’umanità; dietro a Lui la croce, a ricordare il Suo sacrificio; i segni del martirio assumono un significato positivo in quanto simboleggiano la salvezza dell’umanità stessa; gli occhi sono chiusi e il volto è reclinato, tuttavia sereno. L’oro del fondo rappresenta la trasfigurazione e astrae il dipinto da una qualsiasi dimensione spazio – temporale. L’iconografia del Cristo Sposo prevede che alla destra del Cristo ci sia la Madonna, in questo caso assente e sostituita da una figura maschile in preghiera, probabilmente il donatore dell’opera. L’orante indossa una lunga veste scura, porta i capelli “a caschetto” e davanti a lui è poggiato un berretto nero; l’abbigliamento e l’acconciatura sono tipici della seconda metà del XV sec. (cfr. ritratti di Hans Memling e Antonello da Messina). Nel trattamento dell’immagine si riscontra la finezza del modellato classico; le tinte sono luminose e le ombre sfumate; i volumi sono tondeggianti e i volti belli. Queste caratteristiche sono assimilabili agli studi italiani di area centrale, in particolare all’opera di Michelino da Besozzo (1370 – 1455) e di Gentile da Fabriano (1370 – 1427). Lo stato di conservazione è discreto: l’opera presenta craquelure e qualche caduta a livello della stesura cromatica e della doratura; il supporto è danneggiato dai fori dei tarli e sul retro presenta i segni di un attacco xilofago; la tavola è leggermente imbarcata Ignoto artista di area balcanica (?), sec. XIX (?) Icona votiva quadripartita Tempera su tavola/ 24,8x30 cm/ Inv. 51 Questa tavola è suddivisa in quattro riquadri nei quali sono rappresentati (in senso orario): la Madonna col Bambino, San Nicola, San Giorgio e San Michele; al centro campeggia un’immagine della crocifissione; le immagini sono accompagnate da scritte in alfabeto cirillico che identificano i santi. Le icone quadripartite erano diffuse in Russia nel XIX sec.; generalmente vi erano raffigurate le quattro Madonne, oppure due Madonne accompagnate da San Giorgio e San Michele. La Madonna è raffigurata a mezzo busto con il velo blu decorato da stelle; il Bambino, in piedi in braccio alla Madre, è in atto benedicente e indossa una veste blu e un manto rosso. San Nicola è spesso presente nelle icone orientali, perché molto venerato: fu vescovo di Myra, in Licia, durante il III sec.; qui è rappresentato con l’omoforio ornato da croci e con il Vangelo in mano. San Giorgio e San Michele sono spesso raffigurati assieme perché “complementari”: entrambi infatti sono guerrieri della milizia divina e protettori di ordini cavallereschi. San Giorgio era un tribuno al tempo di Diocleziano (III sec.) e la Leggenda Aurea narra che liberò la città palestinese di Semel da un drago; qui è rappresentato nell’atto dell’uccisione su un cavallo bianco. San Michele, a differenza di Giorgio, è un arcangelo ed è raffigurato in armi perché sconfisse Satana alla guida delle milizie celesti; qui è rappresentato alato, a cavallo, armato di lancia e con un globo in mano. (www.miliziadisanmichelearcangelo.org) Al centro della tavola una crocifissione rimarca la ripartizione in 4 della composizione. Il dipinto nel complesso è molto stilizzato, le linee nere, veloci e ben evidenti, contornano tutte le forme dando all’insieme un’impronta quasi “fumettistica”; le proporzioni sono corrette ma i tratti sono resi molto sommariamente e anche le scritte sono minute e difficilmente leggibili. I colori sono pochi e piatti, con prevalenza per le gradazioni ocra. Per le caratteristiche elencate si tratta probabilmente di un’icona domestica; inoltre per le ottime condizioni in cui si trova non si crede sia databile prima del XIX sec. Stampe Schede a cura di Silvia De Marco, Claudio Moretti, Gabriella Schiaulini, Tiziana Ribezzi Sant’Anna Sec. XVIII Incisione acquerellata/ 8,9x5,8 cm/ Inv. 1462 Iscrizione: “S. ANNA” (sotto la parte figurata) Piccola immagine spirituale raffigurante Sant’Anna nell’atto di istruire una Maria adolescente alla lettura della Bibbia. Le vesti delle due figurine sono colorate ad acquarello. La tradizione delle immagini devozionali di piccole dimensioni ha inizio a partire dal XVI secolo, come filiazione dalle xilografie devote di più grande formato e di origine più antica. Probabilmente alla base di tale sviluppo vi sono state ragioni di ordine pratico e commerciale: usando matrici più piccole con figure di santi in miniatura era possibile ricavare molte immagini su un unico grande foglio con un solo passaggio sotto il piano di pressione. Le prime immagini, senza alcun testo di invocazione o preghiera, erano essenzialmente destinate ad illustrare libretti di devozione, ma potevano anche venir fatte circolare in migliaia di copie su fogli volanti (cusumano 1988, p. 22), e nei secoli XVII e XVIII le calcografie stampavano ormai immagini devote di tutte le misure: “a mezzo foglio”, “quartini”, “ottavini” etc (cfr. Zotti Minici 1994) Europa settentrionale, sec. XVIII Le cinque piaghe Incisione/ 15x11,2 cm/ Inv. 1464 Iscrizione: “Maunemehiunus Signitan quasignat suer mitvirisant urmoeboevilieaue libenuios deus noster amen”(Sopra la parte figurata); “Abbilbung her h Schulher wun.enunser herren Jesuc……. um welcher mensch anbochlic uer ohrelober hey such vragel hal.…er ahr ablas welcher Sc...enlz verlichen und beseol.ge.bat wirb auch von Allen gefahren besch..zet und bebcelbel welben”(sotto la parte figurata) Bibliografia: Religiosità popolare…1980, ill. 64 Piccola immagine con figure di Santi, molti dei quali santi guerrieri e vessillofori (si riesce a distinguere un san Giorgio col drago, sant’Eustachio accompagnato dal cervo che la leggenda vuole strumento della sua conversione al cristianesimo e san Giovanni Nepomuceno rappresentato a volte con il crocifisso tenuto nella mano sinistra, mentre l’indice della mano destra è portato alle labbra a simboleggiare il segreto della confessione, disposti attorno alle mani e ai piedi di Cristo trafitti dai chiodi, inseriti entro petali che segnano le diagonali dell’immagine, e alla croce con l’insegna “INRI” bagnata dalla “pioggia” del sangue di Cristo, posta entro una mandorla (uno scudo), che vanno a formare il tema delle Cinque piaghe, noto già nell’XI-XII secolo, ma diventato oggetto di devozione a partire dal XIII secolo con la popolarità della figura di san Francesco che nel 1224 ricevette le stimmate nelle mani, nei piedi e nel costato (Walsh 2000, pp. 73-74). Altre croci compaiono in alto, dov’è una croce di Lorena, a due traverse, percorsa per tutta la superficie da scritte, probabilmente formule di benedizione con valore apotropaico o iniziali di salmi; e in basso, lateralmente, dove invece sono due croci trifogliate recanti scritte in ebraico(?). Sopra e sotto la parte figurata, un testo, un misto di latino e tedesco, che si riferisce alle ferite del Signore che proteggerebbero genericamente dal male. In particolare, il riferimento alla piaga della spalla nel testo in tedesco (un tedesco piuttosto “basso”, non privo di errori, forse giustificati dalla scarsa cultura del redattore che probabilmente ha riportato una formula nota) riporterebbe al culto di San Bernardo di Chiaravalle che domandò in preghiera al Signore quale fosse stato il maggior dolore sofferto nel corpo durante la sua Passione, ottenendo per risposta: “Io ebbi una piaga sulla spalla, profonda tre dita, e tre ossa scoperte per portare la croce: questa piaga mi ha dato maggior pena e dolore di tutte le altre e dagli uomini non è conosciuta. Ma tu rivela ai fedeli cristiani e sappi che qualunque grazia mi chiederanno in virtù di questa piaga verrà loro concessa; ed a tutti quelli che per amore di essa mi onoreranno con tre Pater, tre Ave e tre Gloria al giorno perdonerò i peccati veniali e non ricorderò più i mortali e non moriranno di morte improvvisa ed in punto di morte saranno visitati dalla Beata Vergine e conseguiranno la grazia e la misericordia”. Il testo, infatti, è un’invocazione della grazia promessa da Cristo per la contemplazione della piaga della spalla, e si conclude proprio con i “tre Pater, Ave, Gloria” previsti dal messaggio consegnato a San Bernardo. La stampa, inserita nel catalogo della mostra Religiosità popolare in Friuli (Religiosità popolare… 1980, ill. 64), è accompagnata da una didascalia che la indica proveniente dall’Austria. Ed austriaca è l’antica tradizione di applicare all’interno di armadi o panconi, “benedizioni” come ad esempio quella di sant’Antonio usata per tener lontano incendi, peste e diavolerie (Villiers 1995, pp. 48-49), tradizione a cui anche questa piccola stampa deve probabilmente essere fatta risalire. Remondini, Seconda metà sec. XVIII San Martino dona parte del mantello al povero. Acquaforte, coloritura a pennello/ 29,3x18,4 cm/ Inv. 1467 Iscrizione: “SANCTUS MARTINUS” Acquaforte facente parte della serie “Quarti” del catalogo della tipografia Remondini (cat. 1778 – p. LVIII n. 972-73; cat. 1797 p.75 n. 1015; cat. 1817 – p.109 n. 902). Il santo originario della Pannonia è qui raffigurato nell’episodio certamente più celebre della sua agiografia: ancora soldato dell’esercito imperiale, divide il suo mantello con un viandante che in sogno gli si rivelerà come Gesù Cristo. Uno scenario piuttosto spoglio fa da sfondo alle due figure, quella di San Martino, imponente sul suo cavallo e con indosso l’armatura, e quella del povero, inchinato a terra con il braccio sollevato a tendere il cappello per l’elemosina. Remondini, sec. XVIII Secundum Sacramentum Confirmatio Tertium Sacramentum Eucaristia Quartum Sacramentum Penitentia Seconda metà sec. XVIII Incisione/ 22,5x33,5 cm/ Inv. 1468, 1469, 1470 Iscrizioni: “SECUNDUM SACRAMENTUM CONFIRMATIO”; “TERTIUM SACRAMENTUM EUCARISTIA”; “QUARTUM SACRAMENTUM PENITENTIA” Prima di tre incisioni che con tutta probabilità dovevano completare una serie dedicata ai sette sacramenti, sicuramente imparentata con quella di Giovanni Volpato inclusa nella raccolta remondiniana delle stampe “Reali”, che si compone di esemplari di più grandi dimensioni e colorati, ma contraddistinti dal medesimo impianto compositivo (Inv. 14751481). In questa incisione, una famiglia assiste al sacramento di un fanciullo, imposto da un vescovo coadiuvato da due giovani chierici. In alto, tra le nubi, una colomba, personificazione dello Spirito Santo, da cui si irradia un raggio che colpisce il giovane. Pendant della precedente, questa stampa è dedicata al sacramento dell’Eucarestia: un sacerdote distribuisce il pane consacrato ad alcune donne velate, raccolte in preghiera. La scena si svolge all’interno di una chiesa; sulla destra è collocato l’altare col tabernacolo aperto. Si riscontrano segni di umidità, soprattutto nella parte inferiore. L’illustrazione dedicata al sacramento della penitenza vede al centro il sacerdote entro il confessionale; alla sinistra una donna si accinge al sacramento, ancora trattenuta con catene dal demonio, raffigurato con ali di pipistrello, zampe da rapace e un corno sulla fronte. Sulla destra, un uomo a mani giunte ha appena ottenuto l’assoluzione ed è accompagnato da un angelo. Remondini, sec. XVIII Cristo crocifisso Sec. XIX Incisione a bulino, coloritura a pennello/ 62x43,5 cm/ Inv. 1473 Iscrizione: “NUMQUAM DELEBO TOTUS SIT MIHI FILIUS CORDE QUI PRO ME FILIUS EST CRUCE HUNC IN CORDE TENEO” (cartigli intorno alla croce); “SALTEM VOS AMICI MEI MISEREMINI MEI MISEREMINI MEI” (intorno al cuore nella parte figurata); “INRI” (cartiglio sulla croce); “I Lavat pedes; II Inst. SS. Sacram.; III Loquitur Discipulis; IV Orat in Ortu; V Traditur a Juda; VI Ducitur ad Annam; VII Ceditur Colupri; VIII Velatur facie; IX Negatur a Petro; X Ducitur ad Pilatum; XI Accusatur false; XII Illuditur ab erode; XIII Flagellatur; XIV Spinis Coronatur; XV Ecce Homo; XVI Crucem Bajulat; XVII Vestibus exuitur; XVIII Cruci affigitur; XIX A Judeis blasphematur; XX Orat pro Crucifixoribus; XXI Emisit Spiritum; XXII Lancea perforatur; XXIII Deponitur a Cruce; XXIV Sepelitur” (nel cerchio al centro del cuore). Bibliografia: Religiosità popolare…1980, ill. 11 Al centro della raffigurazione, l’immagine del Cristo crocifisso; ai piedi, un grande cuore con all’interno l’ “Orologio della Passione”, il cerchio suddiviso in 24 parti ciascuna corrispondente ad uno dei momenti del calvario di Cristo. Ai lati della croce e lungo la cornice che cinge l’immagine, i simboli della passione; in basso, le anime purganti immerse in alte fiamme. Per la vicinanza all’esemplare Inv. 1474 è verosimile includere quest’incisione tra le stampe “Imperiali” del catalogo Remondini. E’ invece accertata la presenza di un’acquaforte col medesimo soggetto ed impianto compositivo tra le stampe della serie “Francesine” del catalogo Remondini . Remondini, sec. XVIII L’Addolorata Sec. XIX/ I metà. Incisione a bulino, coloritura a pennello/63x46,5 cm./ Inv. 1474 Iscrizioni: “EFFIGIES B. MARIAE VIRGINIS SEPTEM DOLORUM” (al centro, sotto la parte figurata); “I. DOLOR II. DOLOR III. DOLOR IV. DOLOR V. DOLOR VI. DOLOR VII. DOLOR” Inclusa nella raccolta delle stampe “Imperiali” (cat. 1778 – p. XXXIII n. 452-453; cat. 1797 – p.62 n. 817; cat. 1817 – p. 96 n. 726) del catalogo delle tipografie Remondini, quest’incisione va letta come pendant dell’esemplare precedente, Inv. 1473. La Madonna, trafitta dalle spade disposte a raggiera a simboleggiare i sette dolori, tiene in grembo il corpo del Cristo morto. Alle spalle la croce e in alto, due cherubini recanti drappi colorati di giallo. Ai lati della raffigurazione, entro tondi incorniciati da corone di spine, le raffigurazioni dei sette dolori, lasciate a monocromo. La tradizione di rappresentare la figura del santo circondato dagli episodi più salienti della sua agiografia ha origine nell’arte gotica (cfr le predelle dei polittici di età medievale che raffigurano episodi delle vite dei santi rappresentati nella soprastante tavola). Dalla fine del ‘500 e soprattutto dall’inizio del ‘600 lo stesso schema è stato usato anche per le immagini taumaturgiche a stampa (Vecchi 1968, p. 39-43) in cui non è raro trovare raffigurati soggetti quali il Cristo crocefisso circondato dalle scritte riportanti le parole proferite dalla croce, o, come in questo caso, la Mater Dolorosa attorniata dalle raffigurazioni dei sette dolori. Il culto della Vergine dei Sette dolori si è andato sviluppando a partire dal XIV secolo, con la venerazione di Maria ai piedi della croce, per poi venire ufficialmente riconosciuto col Sinodo di Colonia del 1423, che istituì la festività religiosa dei Sette dolori (hall 2003, p.260). Prima di tale data, il numero dei dolori era stato variabile (da cinque dolori fino a centocinquanta), e anche quando il numero fu fissato a Sette, i dolori non furono sempre identici. Nella forma in cui la tradizione è giunta sino a noi, i dolori sono tratti dalla profezia di Salomone (che corrisponde al primo dolore) e sono: la fuga in Egitto, lo smarrimento di Gesù nel tempio, la salita la Calvario, la Crocifissione, la deposizione dalla croce, l’ascensione (quando Gesù si separa definitivamente dalla madre) (Walsh 2000, p. 298). Dis: Giovanni Volpato (1735-1803) – inc. Fabbriche Remondini, sec. XVIII (17661777) I sette sacramenti Sacramentum baptismus Acquaforte e bulino/ 442x585 mm/ Inv. 1475. Iscrizioni: I. SACRAMENTUM BAPTISMUS /I. SACRAMENTO EL BAPTISMO Bibliografia: Segni della devozione…2005 Prima di una serie di sette tavole dedicate ai Sacramenti, opera di Giovanni Volpato, incluse nella raccolta delle stampe “Reali” ( Zotti Minici: cat. 1778 – p.XXXIX n. 586587-588; cat. 1797 – p.63 n. 844; cat. 1817 – p.98 n. 753). Un nobiluomo in veste azzurra si accinge a battezzare il figlio, trattenendolo sopra il fonte battesimale. Un giovane prete officia il sacramento, coadiuvato da un chierico. Inginocchiata, di spalle, la madre. Domina dall’alto la Trinità: il Padre, il Figlio, rappresentato in Croce, con la ferita al costato che spruzza sangue sul neonato, e lo Spirito Santo, raffigurato come una colomba bianca da cui parte un raggio di luce. In basso a destra, celata da una colonna, una figura demoniaca di colore verde assiste alla scena, a significare che il cedimento al peccato è una prova cui si è costantemente sottoposti. Per superare tale prova, però, l’uomo può contare sull’aiuto divino, come pare indicare la figura angelica che compare sulla sinistra. Sacramentum Confirmatio Acquaforte e bulino/ 442x585 mm/ Inv. 1476. Iscrizioni: II. SACRAMENTUM / II. SACRAMENTO EL CRISMA Incisione che verosimilmente ha fatto da modello per l’esemplare Inv. 1468 che ne riprende fedelmente lo schema compositivo: un fanciullo di famiglia agiata, si appresta a ricevere il sacramento della cresima, accompagnato dai familiari. Il vescovo, affiancato da due giovani chierici, si accinge ad imporre la mano sulla fronte del giovane che viene colpito da un raggio di luce che squarcia un cielo nuvoloso, e che si irradia da una colomba, personificazione dello Spirito Santo. La carta è lacerata in corrispondenza dell’angolo in basso a sinistra, probabilmente per l’azione di insetti carticoli. Sacramentum Eucaristia Acquaforte e bulino/ 442x585 mm/ Inv. 1477. Iscrizioni: III. SACRAMENTUM EUCARESTIA / III. SACRAMENTO LA EUCARESTIA Modello per l’esemplare Inv. 1469, quest’incisione raffigura un giovane prete nell’atto di distribuire l’ostia consacrata ad un gruppo di devoti, raccolti in preghiera. La scena si svolge all’interno di una chiesa, di cui si intravede l’architettura; sulla destra, l’altare con lo sportello del tabernacolo aperto, da cui il sacerdote ha tratto la coppa con le ostie. Sacramentum Poenitentia Acquaforte e bulino/ 442x585 mm/ Inv. 1478. Iscrizioni: IV. SACRAMENTUM POENITENTIA/IV. PENITENTIA Bibliografia: Religiosità popolare…1980 SACRAMENTO LA L’impianto compositivo è identico a quello dell’esemplare con medesimo soggetto, Inv. 1470, di cui, verosimilmente, costituisce il modello. Al centro della raffigurazione, il confessore entro un imponente confessionale dorato; alla sua sinistra, una donna che un demone verde tiene incatenata, si accinge alla confessione; alla destra, un uomo a mani giunte, ricevuta l’assoluzione, è accompagnato da un angelo. Sacramentum Extrema Unctio Acquaforte e bulino/ 442x585 mm/ Inv. 1479. Iscrizioni: V. SACRAMENTUM EXTREMA UNCTIO / V. SACRAMENTO LA EXTREMA UNCION All’interno di una camera, un infermo con un crocifisso stretto al petto, giace su un letto dalle coperte rosse di cui si intravede uno dei basamenti a forma di artiglio e l’ampio baldacchino, ed è confortato da un prete che officia il rito dell’estrema unzione. L’ecclesiastico è accompagnato da due chierici, recanti un cero e l’olio benedetto. Ai piedi del letto una donna piange inginocchiata. Si riscontrano alcune cadute di colore e alcuni segni di umidità. Sacramentum Ordo Sacer Acquaforte e bulino/ 442x585 mm/ Inv. 1480. Iscrizioni: VI. SACRAMENTUM ORDO SACER / VI. SACRAMENTO LA ORDEN SACRADA ( Un giovane inginocchiato, in veste bianca fasciata da una stola rossa, viene ordinato sacerdote da un vescovo alle cui spalle appare la colomba dello Spirito Santo tra raggi di luce. All’ordinazione assiste un chierico in abito scuro. Coadiuvano l’alto prelato due giovani chierici, mentre un altro ecclesiastico, di spalle, indossante una dalmatica rossa, reca il calice e il pane consacrato. Si riscontrano tracce di umidità ed impurità e piccole lacerazioni. Sacramentum matrimonium Acquaforte e bulino/ 442x585 mm/ Inv. 1481. Iscrizioni: VII. SACRAMENTUM MATRIMONIUM / VI. SACRAMENTO EL MATRIMONIO Un giovane sacerdote unisce in matrimonio un gentiluomo in veste rossa ed una nobildonna, cinta alle spalle da una manto bianco, congiungendo le mani dei due sposi. Al rito, celebrato all’interno di una chiesa di cui si scorge l’architettura, assistono due nobiluomini che accompagnano lo sposo, ed una figura femminile che invece affianca la giovane sposa. La carta appare sgualcita. Lit. Bonazzani (?) in Verona, 1878 Io sono il pane della vita Incisione/9,2x6,5 cm./Inv. 1463 Iscrizioni: “SIA LODATO E RINGRAZIATO OGNI MOMENTO IL SS.mo DIVINISSIMO SACRAMENTO; IO SONO IL PANE DELLA VITA; ACCOSTATEVI CON FEDE, RIVERENZA, ED AMORE. Comm. Pasq 1878 nella chiesa Parr. Di S. MARTINO DI CERCIVENTO. D.P. PUPPINI PIEVANO”(sotto la parte figurata). Marche e altre note: “Lit. Bo…zani in Verona”. Bibliografia: Religiosità popolare…1980, ill.71 Piccola stampa celebrante il sacramento dell’Eucarestia: entro un ovale, un altare su cui è posto un calice con l’ostia incisa col monogramma “IHS”. Ai lati, cherubini recanti cuori fiammeggianti, irradiati dalla luce che emana dal cuore di Cristo sovrastato dalla Croce. Ai quattro lati dell’immaginetta, i simboli della Passione. In basso, una didascalia specifica l’occasione in cui l’immagine è stata stampata, la Pasqua del 1878, e la chiesa parrocchiale di appartenenza, S. Martino di Cercivento con il suo parroco, D.P. Puppini. Manifattura anonima, forse conventuale, sec. XIX Santa Carta acquerellata e ritagliata/ 10,8x6,4 cm/ Inv. 1465 Immaginetta devozionale in compromesso stato conservativo, incisa su carta acquerellata, minuziosamente ritagliata a comporre motivi vegetali, punteggiati da rose. L’iscrizione che originariamente compariva sotto l’immagine della Santa non è più leggibile e questo ne rende difficile l’identificazione: vestita con abiti sfarzosi, regge una croce nella mano destra, mentre col braccio sinistro pare circondare un vaso di fiori poggiante su un tavolo coperto da tovaglia blu. Il capo è cinto da aureola. La presenza delle rose, uno degli attributi distintivi della Vergine, potrebbe rendere plausibile un’identificazione con la Madre di Cristo. La pratica di ritagliare le immaginette devozionali fino a far assumere loro l’aspetto di pizzi raffinati, si sviluppa in ambiente monastico a partire dalla fine del Quattrocento - inizi Cinquecento. Le monache eseguivano eleganti trafori a punta d’ago sulle cornici che contornano le figure dei santi, spesso dipinte ad acquarello: si tratta delle cosiddette “immagini di pizzo”, ricami di carta fragile e leggera che disegnano arabeschi, intrecci di foglie e di fiori o semplici ornati geometrici attorno all’ovale del santo in miniatura (Cusumano 1988, pp. 22-23) Johan Balzer, Praga Pietà Incisione a bulino/ 15,4x19 cm/ Inv. 1466 Iscrizione: “THAUMŨRGA SAFSINIENS IS MIRACULIS CORRUSCANS IN HUNGARIA SUB CURA R.R.P.P. ORD. S. PAUL. P.E.” ; “MAHRE ABBILDUNG DER WUNDERTHÄTRGEN BILDNIS IN SCHOß=BERG IN UNGARN”. Marche e altre note: “P.S.C. Maj” “104”. Entro un ampio baldacchino con ricco tendaggio, la Vergine regge in grembo il corpo del Cristo deposto dalla croce. Entrambe le figure sono coronate e raggiate. Il manto della Madonna è completamente ritagliato, in modo da lasciare intravedere il fondo. I soli elementi visibili sono la bordatura in pizzo del velo e i fili di perle arricchiti da cuori e brevi a suggerire il ricadere a terra delle pieghe della veste. In basso, un cartiglio scritto in latino. Ancora sotto, un’iscrizione in tedesco che permette di identificare la Vergine con la Madonna di Schossberg venerata in Ungheria. Pietro Conti; inc.:Cenni, 1875 Apertura del giurì drammatico Xilografia/4 0,9x53 cm/ Inv. 1471 Iscrizioni: “24 MARZO PRIMO CONGRESSO DRAMMATICO ITALIANO IN UDINE 1875; CENNI; UDINE – L’APERTURA DEL GIURì DRAMMATICO. – 23 MARZO. Immagine celebrante il primo congresso drammatico italiano, inaugurato a Udine il 24 marzo del 1875. Al centro di un teatro, un tavolo con sette relatori tra i quali una donna. Alle spalle, un busto poggiante su una base recante l’iscrizione: “Cicconi”.Tutt’intorno, il pubblico distribuito tra platea e loggioni. La stampa è protetta da passpartout. Georg Balthasar La cacciata dal Paradiso Acquaforte, coloritura a pennello/ 32,9x42,5 cm/ Inv. 1472 Iscrizione: “EIECTAQUE DOMINUS DEUS ADAM, ET COLLOCAVIT ANTE PARADISUM VOLUPTATIS CHERUBIM; AINFI L’ETERNEL DIEU CHASSA L’HOMME, ET MIT DES CHERUBINS VERS L’ORIENT DU JARDIN DE HEDEN; DI FORTE L’ETERNO DIO SCACCIAVA L’HUOMO, E MISE DEI CHERUBINI VERSO L’ORIENTE DEL GIARDINO DI HEDEN; UND GOTT DER HERR TRIEB ADAM AUS, UND LAGERTE VOR DEN GARTEN EDEN DEN CHERUBIN”; “Gen. 3. Cap”/ “Cum Gratia et Privilegio Sac. Caes. Majestatis” /Georg Balthasar Probst, excud A.V.” Marchi e altre note: Med. Fol: N°49. Incisione raffigurante la cacciata dal Paradiso di Adamo ed Eva che spaventati fuggono preceduti dal serpente. Il Paradiso è raffigurato come un giardino rigoglioso di vegetazione, con filari di alberi rappresentati in rigorosa prospettiva con punto di fuga in corrispondenza dell’albero del Bene e del Male. La vegetazione è popolata da fauna variegata. In alto a destra, su una nube, la figura di Dio Padre accompagnato da due cherubini, col braccio destro disteso a comandare l’allontanamento dei primi due esseri umani dal Paradiso. L’Angelo Michele è posto a guardia dell’ingresso al giardino. L’iscrizione sottostante reca un passo del terzo capitolo della Genesi, ripetuto in latino, francese, tedesco e italiano; la presenza di iscrizioni in più lingue rivela che la stampa doveva essere destinata al mercato europeo. Italia settentrionale, seconda metà del sec. XIX Icona votiva della Madonna con Bambino Litografia incollata su legno/ 26,8x19 cm/ Inv. 469 La litografia rappresenta la Madonna stante con in braccio il Bambino. La Madonna ha una veste rossa e un manto blu, è incoronata e regge uno scettro e uno scapolare; il Bambino, vestito di bianco, regge un globo e uno scapolare. Il gruppo sacro sta al centro della composizione, circondato da 15 tondi che rappresentano i pericoli per i quali si chiede protezione (terremoti, incendi, malattie…); la Madonna e il Bambino sono rappresentati su nuvole sotto alle quali si trovano le anime dei purganti. Si tratta di un’opera di carattere religioso votivo, del tipo “Madonna Ausiliatrice”, il cui culto diffuse Don Bosco (1815 – 1888) dal 1862 (www.admadonbosco.org). Il culto continuò presso le comunità salesiane, presenti in Friuli a Gorizia, Pordenone, Trieste, Udine e Tolmezzo (Udine). L’insieme è in pessimo stato conservativo: il legno mostra segni di aggressione da parte di insetti xilofagi e la litografia è stata rovinata dalla colla sottostante, che ha provocato diverse crepature e cadute che rivelano il supporto. Otto Ferdinand Leiber (fine sec. XIX – inizi XX) Das Stufenalter des Mannes Cromolitografia/ 33x42,5 cm/ Inv. 628. Iscrizioni: “DAS STUFENALTER DES MANNES”(sotto la parte figurata); “Leiber” (in basso a sinistra). Marche e altre note: M 1305(6) Bibliografia: Il ciclo della vita… Otto Ferdinand Leiber (fine sec. XIX – inizi XX) Das Stufenalter der Frau Cromolitografia/ 33x42,5 cm/ Inv. 629 Iscrizioni: “DAS STUFENALTER DES FRAU” (sotto la parte figurata) Bibliografia: Segni della devozione…2005 Esposizioni: Udine 2005 Stampe di soggetto profano, in cui la vita figura come una scala ascendente e discendente i cui gradini scandiscono le tappe dell’esistenza umana, dalla fanciullezza alla vecchiaia. Al vertice, il “gradino” dei 50 anni è fatto coincidere con il pieno compimento dell’uomo, quando questi, raggiunta la stabilità, può raccogliere ciò che ha seminato nella prima parte della sua vita. Per quanto riguarda la vita della donna è interessante notare come i diversi ruoli sociali dei due sessi emergano con forza: il vertice della scala non corrisponde ad un punto di arrivo, quanto di nuovo inizio; è infatti con la maternità, qui rappresentata da due generazioni di “madri”, che la donna acquista un ruolo sociale oltre che individuale. In basso, sotto la scala, Adamo ed Eva da cui tutto ha avuto inizio. Si tratta di un soggetto iconografico di ampia diffusione, assai ricorrente nelle stampe popolari (ne esistono varianti nella serie delle “Reali”degli editori Remondini) e spesso prescelto per l’illustrazione di libretti, manifesti, lunari. Le età in cui è suddivisa la vita umana non sono mai meno di tre e mai più di dodici, e spesso la durata della vita umana è posta in parallelo con il progredire dell’anno: le quattro età con le quattro stagioni, o le dodici età (ciascuna di sei anni) con i dodici mesi. Definitosi a partire dal XVI secolo, questo soggetto è da ricondurre alle allegorie del tempo che scorre o della caducità delle cose umane; e spesso vi compare la figura di un vecchio che contempla un teschio (Vanitas) o su cui incombe la Morte. La stampa, vivacemente colorata, è opera di un autore tedesco specializzato in soggetti popolari devozionali, Otto Ferdinand Leiber e probabilmente era destinata alla distribuzione in fogli, facilmente circolabili e fruibili anche per l’illustrazione di testi formativi. Otto Ferdinand Leiber (fine sec. XIX – inizi XX) Le due vite Cromolitografia/ 42,5x33 cm/ Inv. 630 Iscrizioni: “LE DUE VIE/IL GIOVINETTO NON DEDITO A BIBITE ALCOOLICHE SARA’ STUDIOSO E VIRTUOSO/EGLI DIVENTERA’ UN UOMO LABORIOSO/ FARA’ LA FELICITA’ DELLA FAMIGLIA E GODERA’ D’UNA FELICE VECCHIAIA; IL GIOVINETTO DEDITO A BIBITE ALCOOLICHE ANZICHE’ STUDIARE AVRA’ CATTIVI AMICI/ EGLI FARA’ LA DISPERAZIONE DELLA FAMIGLIA/E FINIRA’ IN GALERA” (entro la parte figurata); “F. Leiber” (in basso a destra). Marche e altre note: M; IT; N°1511 Stampa dall’intento marcatamente didascalico e moraleggiante, in cui sono parallelamente proposte le due differenti strade percorribili da un fanciullo: la via della rettitudine che porta ad un futuro di felicità, e la via della dissoluzione che ha invece come ultima conseguenza la galera. Per ciascuna via sono raffigurati tre episodi salienti, completati da una breve didascalia. Un ramo d’albero fa da cornice alle diverse raffigurazioni, concludendosi con una fronda fiorita sul lato della via della rettitudine, e con delle fronde secche sul lato opposto. Mentre la prima via è posta sotto la protezione di un angelo, la seconda è governata dalla figura di uno scheletro. A separare le prime due immagini, un covone di fieno legato da una corda che trattiene una falce messoria. Stampine Schede a cura di Silvia De Marco, Claudio Moretti, Tiziana Ribezzi Suor Isabella Piccini (Venezia 1644-1734) San Francesco Incisione al bulino colorata/ 18,4 x 15 cm/ Inv. 56 Iscrizioni: “SAN FRANCESCO” (al centro, sotto la parte figurata); “SUOR ISABELLA PICCINI” (in basso a destra). Bibliografia: Segni della devozione… 2005, p.84 La stampina raffigura san Francesco in un contesto inusuale e allegorico. Sono leggibili i tradizionali attributi quali le stigmate, il saio dai colori spenti con il cingolo a tre nodi simboli dei voti di obbedienza, castità, povertà, il crocifisso accostato a una guancia in gesto di adorazione. Il santo è raffigurato anziano, canuto, con il teschio simbolo di Vanitas, e della caducità della vita umana ai suoi piedi. Questi elementi, associati alla figura angelica inginocchiata al suo fianco rimandano all’iconografia diffusa dopo il Concilio. Due figure gli stanno ai lati, ma quasi in secondo piano: sulla destra un angelo inginocchiato, presumibilmente san Michele arcangelo, capo delle milizie celesti che assiste santi e chiesa nelle prove più ardue e trattiene una croce astile processionale sulla quale è posta una corona e, sulla sinistra, una figura umile col capo cinto da una corona di alloro. Le due figure, incrociano, in corrispondenza della testa del Santo, un ramo di palma e un ramoscello di ulivo, andando a chiudere il triangolo immaginario entro cui si sviluppa la composizione forse a esaltare il compito avuto dal santo più popolare attraverso la sua missione nella chiesa. Nella parte alta dell’illustrazione, sulla destra, un angioletto svolazzante tiene le mani giunte. Elisabetta Piccini è avviata all’esercizio dell’incisione dal padre Giacomo e continua a praticare l’attività artistica anche dopo essere entrata quale suora francescana nel monastero di S. Croce a Venezia cambiando il nome in Suor Isabella con cui si firma. Non eccessivamente stimata dai contemporanei, tuttavia collabora con i più noti editori del tempo quali i Baglioni e i Remondini. Questi per quasi due secoli detengono il primato della stampa dei libri illustrati e dal 1770 hanno un deposito anche a San Pietro al Natisone, avamposto strategico per il commercio col mondo slavo. Con la famosa casa di Bassano la monaca collabora a partire dal 1678 per oltre quarant’anni fino alla morte e devolve tutti i proventi per le spese del convento. La produzione contrassegnata da un segno deciso e profondo è alquanto vasta, di soggetto sia sacro che profano (anche ritrattini di personaggi illustri), ma si dedica soprattutto all’illustrazione dell’editoria ascetico-devozionale, quali messali, breviari e testi agiografici (sull’artista si veda A.F. Valcanover, Contributo ad una storia del libro illustrato veneto: suor Isabella Piccini, in “Biblioteche Venete”, 4 (1985), pp. 29-48). Suor Isabella Piccini (Venezia 1644-1734) Sant’Anna e Gioacchino con Maria Incisione al bulino colorata / 18,4 x 15 cm/ Inv. 57 Iscrizioni: “s. anna et joachim […..]e virginiis parenti”; “suor isabella piccini” Bibliografia: Segni della devozione… 2005, p.84 La piccola immagine raffigura una scena familiare ambientata all’aperto fra classiche architetture. Anna, con alle spalle Gioacchino che si affaccia da una balaustra, è seduta e in atteggiamento affettuoso abbraccia Maria giovinetta cingendola alle spalle mentre la istruisce nella lettura della Bibbia. Le donne sono elegantemente abbigliate, soprattutto la Vergine porta vesti preziose secondo la foggia del tempo. Dall’alto scendono due ariosi angioletti che recano una coroncina di fiori destinata al capo aureolato di Maria, un roseto compare anche sulla sinistra. Di Anna (in ebraico Hannah, portatrice di grazia) si accenna poco nei quattro Vangeli; la fonte più antica a riguardo è costituita dal Protovangelo di Giacomo, uno dei Vangeli apocrifi, risalente al II secolo d.C, in cui sono narrati il matrimonio dei genitori Gioacchino ed Anna, la concezione dopo vent’anni senza prole, la nascita e la presentazione al tempio; altra fonte è S.Epifanio. Il culto di sant’Anna, nato nel VI secolo in Oriente, ha conosciuto un’ampia diffusione in tutto l’Occidente soprattutto dal XIV – XV secolo, dove la Santa è invocata come custode della maternità, sia in quanto madre della madre di Cristo, sia perché madre in età avanzata e per intercessione divina, e quindi invocata soprattutto per le gravidanze tardive, contro la sterilità e nei parti difficili. Iconograficamente appare nella triade Metterza (con Maria e il Bambin Gesù) e in scene che la riguardano nei cicli dedicati alle Storie della Vergine o al Nuovo Testamento Il classico soggetto di Anna che insegna a leggere a Maria è qui ambientato in un contesto ameno ed intimo ma classicheggiante, rifacendosi l’artista alla cultura della propria epoca e al desiderio forse di nobilitare la scena. Nel catalogo remondiniano (Zotti Minici, p. 91) nella serie “santi e sacre immagini” compare una variante della presente, peraltro non attribuita ma di epoca successiva Come la stampa precedente, il foglio è inserito entro una semplice cornicetta lignea dipinta a marezzature della stessa fattura suggerendo una loro collocazione in ambito devozionale. Italia settentrionale sec. XIX San Giuseppe, sant’Anna, Gesù Bambino e i re Magi Litografia/14 x 11,2 cm./Inv. 75 Iscrizioni: “s. giuseppe”; “s. anna”; “gesu’ bambino”; “li santi re maggi” Il foglio è suddiviso in quattro riquadri, ciascuno dei quali contiene un ovale entro cui sono rispettivamente raffigurati, partendo dall’alto: san Giuseppe con in mano la verga fiorita e in braccio il Bambino; sant’Anna che istruisce la Vergine giovinetta alla lettura della Bibbia; Gesù Bambino adagiato su un povero giaciglio che innalza nella mano destra la croce illuminata dai raggi sfolgoranti e infine i tre Re Magi in cerchio con i loro doni in mano e rivolti verso l’alto a guardare la stella del cammino. La pratica di costruire su un unico foglio da passare sotto il torchio immagine multiple (da due a quattro a sei, fino alla trentina) che successivamente venivano ritagliate, consentiva un vantaggio economico nonchè il passaggio dalla sacra immagine su unico foglio volante all’immaginetta di piccole proporzioni destinata a un vasto mercato e alla larga distribuzione. Queste semplicissime litografie potevano essere successivamente decorate costituendo i cosiddetti “santini da breviario”, da inserire come memoria fra le pagine dei libri di meditazione o da adattare a circostanze particolari. S. Augusta di Serravallen sec. XIX Incisione/13,8 x 11,3 cm/ Inv. 73 Iscrizioni: “S.AUGUSTA SERRAVALLEN AN.XV.PTŘ SUSCEPTAM CATT. FIDEM IMPERANTE MATRUCO REGE EIUS PATRE, VARIIS AFFECTA TORMENTIS, CAPITE PLEXA DUPLICEM OBTIUNUIT PALMAM AN.CH 425. EIUS FESTUM 22 AUGUSTI. ORA PRO NOBIS S. AUGUSTA; UT A CONTAGIONE ANIMAE ET CORPORIS LIBEREMUR. AMEN”. La santa elegantemente abbigliata è inginocchiata presso un sasso con gli strumenti del martirio ai suoi piedi (la ruota dentata, le fiamme, le tenaglie per strapparle di denti, la spada e uno stiletto) e si rivolge verso l’angioletto che dal cielo scende a recarle una palma e un giglio emblema del martirio e della virginale purezza giovanile. Sullo sfondo le cappellette su un monte della via Crucis che parte dal santuario eretto presso il luogo del martirio e immerso nel verde in un borgo presso Vittorio Veneto. La stampa corredava presumibilmente un libretto di preghiera quale antiporta, come lascia supporre la didascalia in calce all’immagine. Esistono infatti due libretti in lode, Orazione panegirica in laude di S. Augusta V.M. detta in Serravalle il di 8 agosto 1847 dell’abate Giuseppe Jacopo Terrazzi (Bassano 1849) e le Memorie della vita e del culto di santa Augusta cittadina e protettrice di Serravalle di Giuseppe Todesco (Vicenza 1854) Di Augusta, i cui Atti relativi alla vita e al martirio sono redatti alla fine del XVI secolo da Minuccio de’ Minacci di Serravalle segretario di papa Clemente VIII, si hanno notizie leggendarie. Secondo le fonti la giovane era figlia di Matruco, capo alemanno acerrimo nemico della religione cristiana che aveva sottomesso il Friuli e risiedeva a Serravalle presso Vittorio veneto. Convertitasi al cristianesimo, intorno al 100 d.C., fu duramente contrastata dal padre che la fece arrestare sottoponendola poi a diverse torture fino alla decapitazione; il suo corpo fu ritrovato proprio sulla collina dove in seguito sorse il santuario a partire dal V secolo e tuttora meta di pellegrini. La festa ricorre il 27 marzo e la santa viene invocata in caso di emicrania che avrebbe il potere di guarire. Europa settentrionale, sec. XVII (?) San Martino Incisione colorata a mascherina/ 9,5 x 7 cm/ Inv. 71 Iscrizioni: “S.Martin” Con tratti essenziali e sintetici è raffigurato il santo soldato a cavallo in atto di tagliare con la spada il mantello per donarlo al povero Le caratteristiche grafiche della stampina con la scena racchiusa entro un ovale sottolineato da un motivo che funge da cornice, rammenta che l’immaginetta, forse elemento di un foglio a più immagini, era destinata a comporre una rassegna agiografica che poteva essere colorata anche successivamente. Nella produzione grafica di carattere sacro il tema agiografico ha sempre avuto un ruolo significativo: narrare la vita dei santi insistendo sui loro miracoli o sulle prove del martirio aveva il significato di costruire per immagini una sorte di Legenda Aurea e un fine edificante. La figura di san Martino di Tours è particolarmente diffusa in tutto l’occidente per la memoria della sua opera di carità, l’immagine del santo in viaggio per la conversione della Cristianità la protezione dei poveri e l’opera di giustizia fra deboli e potenti; la sua popolarità è testimoniata dalla frequenza con cui compare nell’iconografia anche vernacolare e dal suo culto generalmente collegato alla cosiddetta Estate di san Martino che coincide con la sua ricorrenza nel calendario annuale (11 novembre) . Tale data coincide con l’inizio del ciclo invernale e nella tradizione popolare è festeggiata come una sorte di carnevale in anticipo. L’immagine è stata racchiusa in una cornice (simile alla stampa n.78) di produzione domestica. Europa settentrionale, sec. XVII (?) Santa Giovanna Silografia con coloriture d’epoca/ 9,9x8,2 cm/ Inv. 78 Iscrizioni: “S. Johanna” Entro un ovale è tratteggiata una nobile figura femminile con corona sul capo, semplice veste rossa con manto azzurro in atto di alzare la mano destra quale gesto benedicente o di accoglienza. Le caratteristiche grafiche del foglietto con margine simile a un’incorniciatura, ma ritagliato e quindi incorniciato suggeriscono la destinazione del ritratto, forse come antiporta di un testo onomastico. L’esistenza di numerose sante con questo nome, in assenza di attribuiti più specifici, non semplifica una precisa identificazione ma la corona suggerisce il nome di Giovanna di Valois (1464-1505) figlia del re di Francia Luigi XI sposa ripudiata di Luigi d’Orleans e quindi duchessa di Berry ove esercitò opera di carità cristiana dedicandosi alla fondazione dell’ ordine mariano dell’Annunziata o delle Dieci virtù o Piaceri della Vergine Maria Santuari mariani Sec. XVIII-XIX Litografie entro cornice/ 10x6 cm/ Inv. 72, 84, 699, 711, 1526 Stampa raffigurante l’apparizione della Madonna di monte Lussari Litografia acquarellata sottovetro/14,5 x 12 cm./ Iscrizioni: "M.Luscharn". Dopo il cammino verso un luogo santo, il pellegrino reca con sé oggetti ricordo in memoria del gesto votivo o da regalare alle persone care e molto spesso si tratta della semplice immaginetta spirituale che riproduce il luogo e l’effigie cara alla devozione. I fogli vengono poi conservati fra le pagine dei messali o elaborati in ambito domestico, incorniciati più o meno preziosamente, decorati anche manualmente, infiorati e affissi sulle mura di casa come protezione e invito alla meditazione. Proprio il gesto di lavorare, maneggiare l’immagine santa esprime oltre a una prassi di mimesi a una forma di preghiera Nei quadretti della collezione Ciceri si ripete l’icona di Maria Zell, dal santuario ubicato nella valle del Bürgeralpe in Stiria frequentatissima meta di pellegrini nel cuore della Mitteleuropea. L’effigie della Magna Mater Austriae, Madre Regina incoronata con lo scettro in mano e avvolta in un grande manto con il Bambino benedicente è conservata nella cappella delle Grazie e sulle piccole stampe è riprodotta in alto dominante sul verde del paesaggio campestre o sul santuario. Il culto, anche per opera di emigranti si diffonde al di qua delle Alpi nelle vallate montane ove diventa figura taumaturgica di valore allargato. La raffigurazione della Madonna, con cartiglio recante scritta:"Andeken au Maria Luggau" è accompagnata da una veduta della città, desunta da una fotografia. La stampa è racchiusa in una cornice bianca in cera con decorazione floreale, con ai lati dei fiori di carta rosa. Il tutto è compreso entro una scatola di cartone con cornice in stoffa nera decorata da un nastro rosso scuro Ricorre spesso anche l’icona Stampa acquarellata raffigurante l'apparizione, a due pastori circondati dal gregge, della Madonna di Lussari con Bimbo. La raffigurazione della miracolosa statuetta della Vergine, secondo la leggenda, fu ritrovata da un pastore nel 1360 sul monte Lussari. Motivo molto diffuso nell’area alpina, soprattutto dalla metà dell’800 quando alcune tipografie di Graz in occasione del cinquecentesimo anniversario della fondazione del Santuario, diffusero immagini devozionali ad esso dedicate. Si vedano inoltre le connessioni con la litografia pubblicata in Ciceri 1980, p.58; il nostro oggetto ne riprende fedelmente, ma in modi più modesti e corsivi, iconografia e tecnica di rappresentazione. San Pietro apostolo Litografia / 22x17,7 cm/ Inv. 901 Iscr. “S. Petrus Apost.” L’apostolo san Pietro, a mani giunte, lo sguardo al cielo e tradizionali attributi quali le chiavi, il libro aperto e il gallo si erge a mezzo busto nell’incavo di un costone roccioso. Sotto il cartiglio, le anime supplici del Purgatorio: secondo la promessa di Gesù il Santo avrebbe accolto i salvati al loro ingresso nel Paradiso. Si tratta presumibilmente di foglio da allegare alla recita delle Litanie in suffragio per la salvezza delle anime purganti. Area italiana, sec. XIX Sant’Antonio da Padova Litografia/ 19,3x16,1 cm/ Inv. 904 Iscrizioni: “VERA DIVI ANTONII CON.EFFIGIES, quae veneratur Patavini in Ecclesia Frar. Minor. S.Francisci Convent. Ubi eius Corpus gloriose requiescit”. Entro un ovale, l’immagine di un giovane Sant’Antonio con aureola, in atteggiamento benedicente e reggente nella mano sinistra un sacro testo. Alla base dell’ovale due gigli incrociati (attributi del santo). Alla sommità della raffigurazione due angeli reggono un cartiglio recante la scritta: Arca utruisque testamenti. Immaginetta di san Valentino e chiavette Sec. XX Carta e lega di stagno/ 10,4x5,6 cm/ Inv. 97 Bibliografia: Ciceri 1980, p. x.97, sch.51; Segni della devozione… San Valentino, raffigurato con la palma del martirio nella mano destra, benedice due donne inginocchiate, di cui una porta una benda sugli occhi e l’altra tiene in braccio il figlio. Tradizionalmente il san Valentino venerato in Friuli è il santo romano protettore degli ammalati di epilessia (il mâl di san Valentin); le stesse chiavette, in metallo dorato o argentato, distribuite in occasione della festa del santo in tutta Italia e in Austria, in origine avevano funzione apotropaica e venivano donate ai bambini come amuleti contro l’epilessia. Stab. Cerolvatore Casentino di Catania, sec. XX Sant’Agata Cromolitografia/11,6x6,7 cm/ Inv. 1806 La storia della santa è ambientata nel III sec.d.C quando fu sottoposta a martirio durante la persecuzione di Decio. La giovane di ricca e nobile famiglia si era consacrata a Dio. Il proconsole di Catania Quintiniano, colpito dalla sua bellezza, accusandola di vilipendio della religione di Stato la fece arrestare, cercando poi di irretirne il comportamento. Fu ripetutamente sottoposta a torture con amputazione delle mammelle e quindi con supplizio sui carboni ardenti, quando poco prima della morte la città fu scossa da incendi e un terremoto (5 febbraio) Molte furono le chiese erette in suo nome, peraltro legato al suo patronato della città di Catania, ove è invocata contro le eruzioni dell’Etna e per estensione agli incendi e, per le caratteristiche del martirio, dalle balie che allattano e oggetto di grandi feste nel mese di febbraio quando in una spettacolare processione il busto della “Santuzza” preceduto da “candelore” posto su “il fercolo”, una struttura macchinosa, è trainato da centinaio di giovani che indossano il tradizionale “sacco agatino” E’ qui ritratta quindi in vesti preziose, accompagnata da figure angeliche. Sul retro compare un’invocazione per ottenere un’indulgenza. Numerose sono le rappresentazioni anche in Friuli, in genere nel contesto di sante e martiri; nella cattedrale udinese, dedicata all’Annunziata, figura una tela della Santa con sue devote. Ditta Bertarelli di Milano, fine sec. XIX Santino della B.Vergine dell’angelo in Caorle Stampa su carta/ 11x7 ca cm/ Inv. 1807 Santino raffigurante la Vergine incoronata in trono reggente il Bambino che tiene in mano un piccolo frutto rosso con due foglie: una pesca? (simbolo della trinità) una mela? (allusione del peccato originale redento da Gesù) e nella sinistra una pisside a forma di globo. Ambedue indossano una veste bianca con decorazione di rose rosse. Sul dorso una orazione per ottenere indulgenze. L’immagine appare ritoccata ad acquarello argentato. Secondo la leggenda di fondazione del santuario, nel 340 (o 1340), due barche di pescatori videro in mare un pezzo di pietra su cui stava una figura di donna con un bimbo in braccio. I pescatori seguirono l’immagine che approdò presso la diga. La portarono dunque in Duomo, ma il giorno seguente e per altre tre volte fu ritrovata al punto dell’approdo, dove quindi si decise di costruire il santuario. Portata un tempo in processione ogni 25 anni, è tuttora molto venerata dai pescatori che l’8 settembre la festeggiano con processione di barche sul mare (Zoff1991. R. Zoff, E qui mi costruirete una chiesa. Leggende e santuari mariani nel Friuli Venezia Giulia, Gorizia, p. 167). Zoff: veniva, fino a poco tempo addietro, portata in processione ogni 25 anni. Dua barche di pescatori nel 340 (o 1340) videro venire incontro sul mare un pezzo di pietra presso cui stava una figura di donna con un bimbo in braccio. I pescatori seguirono l’immagine che approdò presso la diga. Mediante imbarcazioni fu trasportata in Duomo, ma il giorno seguente e per altre tre volte fu ritrovata al punto dell’approdo, Si decise allora di costruire il santuario. La Madonna ha i capelli naturali, le vesti di seta ed è molto venerata dai pescatori, specie l’8 settembre con grandi festeggiamenti ed una processione di barche sul mare.) J.J..Busch., sec. XIX Cena in casa del fariseo Incisione colorata/ 14x9,8 cm./ Inv. 68 Iscrizioni: “I. BUSCH”, “A.V.”. L’episodio ella cena offerta da Simone il fariseo a Gesù è liberamente rappresentato in un modesto interno tardomedievale. Gesù è seduto a tavola opposto ai commensali, una figura maschile ed una femminile; la presenza a destra di una donna spinge ad identificare la scena con l’episodio della cena a casa del fariseo ove avviene l’incontro con Maria Maddalena. Qui si assiste forse ad un processo di sostituzione /sovrapposizione della committente alla Maddalena (la donna, invece del vaso per la lavanda dei piedi, impugna delle chiavi). Il tema può essere identificato nel significato dell’accoglienza: la padrona di casa che accoglie il Salvatore. L’ipotesi pare confortata dalla scritta inferiore in lingua tedesca (vieni o migliore di tutti gli ospiti). La scena è raccolta entro una filettatura tonda con cartiglio inferiore e cuore devozionale alla sommità con scritta che esplicita la dedicazione a Gesù con il cuore e l’anima; la cornice lignea intagliata a dentellature e motivo fogliaceo è sormontata da una decorazione a fastigio. Italia (?), sec. XIX Sacro Cuore di Maria Litografia/ 14 x11 cm/ Inv. 74 Iscrizioni: “SS. Cor Marie” Due teste di cherubini si affacciano a guardare il cuore di Maria trafitto dalla spada del dolore e sormontato dall’iscrizione “MR”. Intorno si irradia una luce sottolineata da dorature porporinate mentre in basso su nuvole altri angeli si rivolgono adoranti all’apparizione. La storia del culto del Cuore di Maria è molto antica e già nei Vangeli (Lc II, 19,51) si rammenta che in esso sono custoditi i fatti e le parole di Gesù. Ne tessono elogi i Padri della Chiesa e i mistici medievali, soprattutto san Bernardino da Siena. La devozione viene diffusa in particolare da san Giovanni Eudes nel XVII sec. che organizza funzioni pubbliche, istituendo a tale fine Congregazioni di Gesù e Maria (Eudisti), compone litanie, fa circolare stampe e immagini e sollecita la nascita di Confraternite, anche se la Festa viene introdotta solo da Pio VII nel 1805 per la domenica dopo l’ottava di Assunzione. E’ intorno a tale periodo che pertanto si sviluppa una grafica devozionale rivolta a dare suggestiva immagine alla fede popolare e allo spiritualismo romantico. La fiamma riporta alle esperienze mistiche esprimendo il calore della preghiera mentre gli angeli, che frequentemente accompagnano il Cuore come mediatori celesti custodiscono e alimentano lo spirito di devozione; il cuore trafitto è infine simbolo dell’esperienza del dolore e quindi particolarmente vicino ai fedeli. Diventa emblema per eccellenza degli ex voto
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