Le Opere e lo Stile

Editoriale
Alfonso Acocella
Le Opere
e lo Stile
Foto dell’Autore
Ostia antica.
Caseggiato del Larario.
INVITATI A DARE UNA INTRODUZIONE, una lettura interpretativa alle opere
toscane ospitate in questo numero di Costruire in Laterizio ci siamo accorti della
difficoltà di rintracciare – in un attuale, inesistente humus regionalista,
generazionale o di “scuola”– genealogie, affinità, interferenze dirette.
Coloro che si sono dati a definire, ad interpretare le opere le hanno già
qualificate sotto il profilo della loro unicità, della loro scrittura formale, del loro
specifico rapporto con il luogo.
Allora, noi, avendo davanti agli occhi, in una visione d’insieme, le architetture
di Carmassi, di Natalini, di Magris e Toraldo di Francia, di Pellegrini, di
Michelucci, abbiamo cercato le analogie nascoste, i precedenti, le permanenze,
i tratti “familiari” che riallacciano le opere attuali ad un contesto, ad una
cultura figurativa riconoscibile.
Alla fine le opere, lette attraverso le loro forme costitutive di base che le
innervano (il muro, l’arco, la piattabanda, la colonna, il campo pavimentale), ci
sono apparse, più che nuove, familiari e come sempre esistite, cariche del
potenziale della loro essenza e riconoscibilità materica che le condanna ad una
sorta di felice prigionia (alla veloce assimilazione del nuovo nel già
tramandato), inscrivendole, subito, in quello che ci piace definire lo stile
laterizio legato a un’idea pervasiva e vigorosa o, se si vuole, alla famiglia
coerente di forme generatasi a partire dal materiale.
D’altronde è evidente come, nel loro insieme, le opere presentate si allontanino
dalla ricerca di ogni forma di localismo, per coltivare una visione di progetto
incentrata sugli elementi fondanti dello stile, con uno sforzo di riduzione
all’essenziale, all’originarietà delle forme come alcuni degli stessi architetti hanno
recentemente espresso – sia pure con diverse accentuazioni e angolazioni
problematiche – attraverso le interviste rilasciate alla nostra rivista.1
costruzione, non si propone attraverso un corpo unico, non
appare rigorosamente definito, ma si offre come combinazione
di parti, di volumi principali e secondari, attingendo dalla
geometria murale medioevale – più che a quella delle origini –
un grado di forza, di varietà, mettendo in campo figure murarie
“oblique”,“deformate”, gerarchizzate, che si insediano in
maniera complessa spezzandone ogni “appiombo” ed ogni
omogeneità parietale.
Per Magris e Toraldo di Francia i muri, invece, si muovono
ancora diversamente; si smussano, si arrotondano eleggendo la
circolarità quale cifra specifica dell’opera dove il modellato
laterizio resta in superficie come un’ondulazione leggera, con
pieghe esili e poco profonde che hanno un valore di scrittura virtuosistica. La
rotondità è qui ulteriormente sottolineata dalla teoria delle colonne del
porticato che amplificano gli episodi di passaggio, di transizione, di traguardo
visivo rispetto all’altro archetipo dello stile evocato e riproposto in un’inedita
configurazione spaziale: il campo pavimentale della piazza ammattonata.
Per Pellegrini l’opera muraria è ancora più asciutta e archetipale assumendo il
segno retorico di una teoria di archi autoequilibranti.
Le arcate del Palatino.
LE QUALITÀ dello stile afferiscono, più che agli elementi in quanto dispositivi
geometrici, prevalentemente alle caratteristiche del materiale adottato: assetto
fisico (cromaticità, grana, trattamenti), valore ambientale e culturale (naturalità,
durabilità, riconoscibilità ecc.).
E qui il laterizio impone allo stile la sua rossa tonalità, la sua grana, la sua
consistenza, i suoi trattamenti di superficie collegando la nozione di materia
alla nozione di forma, modellandone, colorandone, fisicizzandone la massa,
altrimenti vuota, delle forme.
PER STILE intendiamo – per dirla con Meyer Shapiro – “la forma costante
(e talvolta gli elementi, le qualità e l’espressione costanti) dell’arte di un individuo
o di un gruppo”.2
Con questa nozione l’attività formativa e creativa dell’uomo esprime l’esigenza
di un quadro di larga intellegibilità fatto di codificazioni, successioni,
concatenazioni capaci alla fine di esprimere e fissare un insieme coerente di
forme riunificate da una serie di rapporti, da una sintassi alla cui base stanno gli
elementi che hanno un valore di indice, di repertorio morfologico-costruttivo
fondante.
GLI ELEMENTI – ovvero i materiali di base (nel nostro caso i mattoni) e
i dispositivi costruttivi fondamentali che li riunificano in forme tecniche –,
anche se contribuiscono molto con i loro caratteri individuali, non bastano da
soli a contrassegnare l’espressione dello stile.
Fra tutti gli elementi il muro sembra incarnare l’essenza più vera e feconda
dell’uso del materiale; in genere si manifesta nella ripetizione costante o nella
variazione dei motivi di posa degli elementi laterizi, tendenti ad esaltare
connessioni, differenze, figurazioni. I procedimenti tecnici che presiedono alla
formalizzazione dei muri prendono in considerazione i diversi trattamenti
della materia attraverso i quali è possibile perseguire decorazione ed ornato, ma
anche nudità e solennità, con tutto ciò che di simbolico, di evocativo, di
costruttivo, ognuna di queste scelte comporta.
Le opere toscane devono, indubbiamente, molto a queste diverse intonazioni
dell’opera muraria.
Se per Carmassi il riferimento è all’idea di una nuda economia murale di
tradizione romana, capace di trasferire all’opera architettonica una solennità
formale che grava fortemente sul suolo, facendola apparire come un solido
compatto ed unitario, che la luce avvolge e possiede come un’unità, per
Natalini la composizione murale è più articolata. L’edificio senese, in fase di
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CIL 68
Le costruzioni
del Pretorio
di Villa Adriana.
L’ESPRESSIONE può essere definita come una qualità speciale derivante (più
che dai singoli elementi o dalle qualità) dall’insieme di elementi, qualità e
modelli compositivi esperiti che, nella lunga durata, hanno contribuito
incessantemente alla formazione di una tradizione formale, di un sapere
costruttivo.
È dato, a questo punto, distinguere una espressione generale dello stile e una
espressione specifica delle opere.
La prima attiene alle caratteristiche che compongono i tratti dominanti dello
stile nell’equilibrio generale che si instaura nel tempo che può contenere, anzi
contiene, anche sostanziali differenziazioni interne.
L’espressione specifica delle opere indica, invece, il carattere completamente, o
solo parzialmente, inscritto nell’espressione consolidata dello stile; in
quest’ultimo caso l’opera è portatrice di aggiornamenti, di “innovazioni” e
quindi di espressione autonoma.
Ogni architetto che attende all’opera – alla fine – si muove all’interno dello
stile di riferimento in modo attivo. Così come assume elementi , qualità ed
espressioni formali sedimentati dello stile, al pari imprime modifiche e
contribuisce incessantemente – sia pur attraverso “relativa autonomia” e
“parzialissimi spostamenti” – alla riscrittura degli elementi utilizzati nel
progetto (e, quindi, delle forme generali di espressione dello stile). ¶
1. Le interviste ad Adolfo Natalini e Massimo Carmassi sono apparse in Costruire in Laterizio
n.63 e n.66 del 1998.
2. Meyer Shapiro, Lo stile, Roma, 1995, pp. 66 (ed.or. Style,The University of Chicago Press,
1953). Sul tema dello stile si vedano anche Henry Focillon, Vita delle forme,Torino, Einaudi,
1990, pp. 130 (ed. or. Vie des Formes suivi de Éloge de la main, Paris, Presses Universitaires de
France, 1943) e George Kubler, La forma del tempo,Torino, Einaudi, 1989, pp. 182 (ed. or. The
Shape of Time,Yale, University Press, 1972).
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EDITORIALE