I DECRETI ATTUATIVI DELLO SPALMAINCENTIVI

Ottobre 2014
I DECRETI ATTUATIVI DELLO SPALMAINCENTIVI
1.
I due decreti del Ministero dello Sviluppo Economico attuativi dell’articolo 26 del Decreto 91
Ai fini dell’attuazione delle previsioni di cui ai commi 2 e 3, lett. b) dell’articolo 26 del D.L. 91/2014 (come
convertito in legge n. 116/2014) (il “Decreto 91”, c.d. “spalmaincentivi”) il Ministero dello Sviluppo Economico
(“MSE”) ha emanato, seppur in ritardo rispetto alle scadenze previste dalla legge, i necessari decreti attuativi
dell’articolo 26 del Decreto 91, in particolare:
(a)
in data 16 ottobre 2014, è stato emanato il decreto attuativo dell’articolo 26, comma 2, del Decreto 911 che
disciplina (i) le modalità di calcolo degli acconti e dei conguagli della tariffa incentivante ridotta al 90% di
quella originaria da versare agli operatori nel secondo semestre del 2014; (ii) le tempistiche e le modalità di
pagamento di tali acconti e conguagli; (iii) i poteri di controllo del Gestore per i Servizi Energetici S.p.A.
(“GSE”) finalizzati a garantire un adeguato grado di corrispondenza tra la stima della producibilità media
annua di ciascun impianto e la sua effettiva produzione nonché il potere di sospensione dei pagamenti in
caso di determinate gravi violazioni;
(b)
in data 17 ottobre 2014, previo parere favorevole dell’AEEG (n. 504/2014), è stato emanato il decreto
attuativo del comma 3, lettera b), dell’articolo 26 del Decreto 91 che ha determinato la formula di calcolo
per la rimodulazione della tariffa incentivante da determinarsi riducendo e poi incrementando gli incentivi
vigenti, comprensivi di eventuali premi2.
Ad oggi non è invece ancora stato emanato il decreto di natura non regolamentare del Ministero dell’Economia e
delle Finanze previsto dal comma 5 dell’articolo 26 del Decreto 91 che dovrà determinare i criteri e le modalità di
intervento della Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. nell’ambito di finanziamenti a sostegno della rimodulazione degli
incentivi.
Con l’emanazione dei decreti attuativi sopra citati, in particolare quello sub (b), è oggi possibile avere un quadro
più chiaro delle implicazioni economiche e legali delle opzioni di rimodulazione delle tariffe contemplate
dall’articolo 26 del Decreto 91 la cui scelta i titolari degli impianti dovranno comunicare al GSE entro il 30
novembre 2014.
1
Ai sensi dell’articolo 26, comma 2, del Decreto 91: “A decorrere dal secondo semestre 2014, il Gestore dei servizi energetici S.p.A. eroga
le tariffe incentivanti di cui al comma 1, con rate mensili costanti, in misura pari al 90 per cento della producibilità media annua stimata di
ciascun impianto, nell'anno solare di produzione ed effettua il conguaglio, in relazione alla produzione effettiva, entro il 30 giugno dell'anno
successivo. Le modalità operative sono definite dal GSE entro quindici giorni dalla pubblicazione del presente decreto e approvate con
decreto del Ministro dello sviluppo economico.”
2
I due decreti sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale in data 24 ottobre 2014.
2.
Gli impatti finanziari e le possibili soluzioni
Come ormai noto, i recenti e numerosi interventi normativi relativi al settore della produzione energetica da fonti
rinnovabili hanno profondamente inciso sulla remuneratività degli investimenti realizzati in Italia nel corso degli
ultimi anni.
In particolare, il Decreto 91 ha determinato una rimodulazione degli incentivi su base non volontaria che ha inciso
sui principali parametri finanziari legati al settore in esame.
Prima dell’entrata in vigore dei decreti attuativi, in assenza delle relative percentuali di rimodulazione di cui
all’articolo 26, comma 3, lett. b), gli operatori di mercato hanno incentrato le proprie valutazioni sulle opzioni di
cui all’articolo 26, comma 3, lettere a) e c) (i.e., rispettivamente, allungamento a 24 anni del periodo di
incentivazione a fronte di alte percentuali di riduzione della tariffa (dal 17% al 25%) e medesima durata di 20 anni
del periodo di incentivazione a fronte di una riduzione fissa dell’8%).
Con riferimento all’opzione sub lettera a), alcuni analisti hanno rilevato come il Tasso Interno di Rendimento (TIR
ovvero IRR, Internal Rate of Return), considerando altri recenti interventi quali l’eliminazione del sistema dei
prezzi minimi garantiti nell’ambito del Ritiro Dedicato dell’energia e il nuovo regime dei profili immobiliari (limite
del 4% per le quote di ammortamento e revisione delle rendite catastali), sarebbe dimezzato per gli impianti in II
conto energia, dal 14,5 al 7,4%, e precipitato dal 12,9 al 5,2% per gli impianti ammessi al IV Conto Energia dove
l'impatto del taglio dei prezzi minimi garantiti pesa da solo il 5%. In tale contesto, ad esempio, l’effetto del solo
Decreto 91 ha un peso sull’IRR del 2,7% per un impianto di 1MW che accede al regime del 2° Conto Energia e del
1,7% per un impianto di 1MW che accede al regime del 4° Conto Energia3, e in entrambi i casi senza considerare i
costi connessi alla rinegoziazione dei contratti di disponibilità dei siti i quali sono stati conclusi, nella quasi totalità
dei casi, con un termine fisso di durata tenendo conto di un periodo di incentivazione di 20 anni.
Lo stesso studio4 ha evidenziato, in termini numerici ed economici, il minor pregiudizio che comporta l’opzione
sub lettera c) rispetto a quella sub lettera a):

l’IRR per l’azionista per un impianto di 1MW che accede al regime del 2° Conto Energia è del 7,4% per
l’ipotesi sub lettera a) e 8,2% per l’opzione sub lettera c), mentre per un impianto di 1MW che accede al
regime del 4° Conto Energia è del 5,2% in entrambi i casi;

il DSCR medio per un impianto di 1MW che accede al regime del 2° Conto Energia è del 1,05 per l’ipotesi
sub lettera a) e 1,13 per l’opzione sub lettera c), mentre per un impianto di 1MW che accede al regime del
4° Conto Energia è del 0,99 per l’ipotesi sub lettera a) e 1,07 per l’opzione sub lettera c).
In attesa di pubblicazione di studi relativi all’opzione di cui al comma 3 dell’articolo 26, lett. b) del Decreto 91 (c.d.
“a farfalla”, che prevede la rimodulazione della tariffa con un primo periodo di fruizione di un incentivo ridotto
rispetto all’attuale e un secondo periodo di fruizione di un incentivo incrementato in ugual misura), si possono
svolgere le seguenti considerazioni con riferimento sia all’opzione sub lettera b) sia con riferimento all’opzione sub
lettera c).
L’opzione sub lettera c), comportando una riduzione fissa e costante nel periodo ventennale, ha un impatto lineare
sul profilo del flusso di cassa. In tale scenario, escludendo ipotesi di allungamento della durata del debito che
3
I dati citati sono stati elaborati dal prof. Giuseppe Mastropieri, docente di Economia ed Organizzazione Aziendale presso l’Università di
Bologna e pubblicati su Quotidiano Energia del 27 giugno 2014.
4
Si veda nota che precede.
2
assumiamo essere un presidio difficilmente derogabile dai comitati crediti dei finanziatori a parità di periodo di
incentivazione, la soluzione che appare obbligata al fine di salvaguardare, nei limiti del possibile, il rispetto dei
parametri finanziari e il rendimento degli investitori è quella di intervenire riducendo l’indebitamento e/o gli oneri
finanziari. Oltre a valutare ipotesi di rifinanziamento mediante fondi a prezzo inferiore, da non escludere nel
corrente contesto di mercato, le società prenditrici dei finanziamenti potrebbero valutare richieste ai finanziatori
volte a consentire l’utilizzo di fondi di riserva (tipicamente la riserva a servizio del debito, pari di media a una
semestralità, ovvero eventuali altre disponibilità di cassa che non possano essere distribuite) per la riduzione
dell’indebitamento.
Le considerazioni che precedono sono valide, mutatis mutandis, anche con riferimento all’opzione sub lettera b).
Quest’ultima comporta che, a fronte di una riduzione percentuale della tariffa nel primo periodo (sicuramente
superiore all’8%) vi sia un corrispondente aumento percentuale della tariffa nel secondo periodo. Ad un lettore
poco attento, tale misura potrebbe apparire complessivamente “neutra”: c’è una riduzione del flusso di cassa nel
primo periodo e un corrispondente aumento nel secondo. Tuttavia, c’è da considerare, tra l’altro, che (i) il minor
flusso di cassa iniziale potrebbe comportare immediatamente l’impossibilità di coprire le rate di indebitamento e gli
oneri finanziari, e a maggior ragione impedire la distribuzione di dividendi; (ii) anche ove si incontrasse la
disponibilità dei finanziatori a rimodulare le rate del capitale riducendole nel primo periodo e poi incrementandole
nel secondo, gli oneri finanziari complessivamente a carico del progetto sarebbero quasi sicuramente superiori dal
momento che nel primo periodo l’esposizione per la quota capitale sarebbe superiore e più prolungata, salvo
frustare le esigenze degli azionisti; (iii) la decadenza della produttività dei pannelli fotovoltaici comporta che
l’aumento del flusso di cassa nel secondo periodo sia meno che proporzionale rispetto all’aumento percentuale
della tariffa.
In entrambi i casi, tuttavia, sarebbe auspicabile un’apertura da parte degli istituti di credito a valutare anche
un’estensione dell’originaria data di scadenza finale al fine di avere a disposizione un ulteriore strumento che,
armonizzato con gli altri sopra citati, possa consentire il bilanciamento degli interessi di tutti gli operatori coinvolti
in un settore già troppo penalizzato da continui interventi normativi e amministrativi: non vorremmo che il ceto
bancario percepisca ormai come eccessivamente rischioso il segmento delle rinnovabili proprio in ragione
dell’atteggiamento del nostro legislatore.
Infine, non restano escluse altre possibilità quali rifinanziamento tramite ricorso al mercato dei capitali (in
alternativa al rifinanziamento tramite indebitamento) o la ristrutturazione del debito ai sensi dell’art. 67 della
Legge Fallimentare (con significativi vantaggi legati alla non applicabilità dell’azione revocatoria agli atti, ai
pagamenti e alle garanzie concesse su beni del debitore nell’ambito del piano di risanamento dell’esposizione
debitoria del borrower).
3.
L’impugnazione dei decreti
L’emanazione dei decreti attuativi conferisce agli operatori la possibilità di impugnarli, attesa la loro lesività,
innanzi al Giudice Amministrativo5 e, nel caso di specie, innanzi al TAR Lazio, sede di Roma.
L’impugnazione dovrà essere proposta nel termine di 60 giorni decorrenti dalla pubblicazione dei decreti in
Gazzetta Ufficiale.
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Ad una prima analisi, è ragionevole ritenere che, in questa materia, la competenza giurisdizionale spetti al Giudice Amministrativo (e per
esso al TAR Lazio). Dal 2010, infatti, tutte le controversie, anche quelle risarcitorie, in materia di produzione di energia sono devolute alla
giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo
3
Val la pena precisare che, poiché i decreti del 16 e 17 ottobre oggetto di possibile ricorso innanzi al TAR Lazio,
sembrano rappresentare la mera esecuzione di un quadro regolamentare mutato a partire dall’art. 21 del Decreto 91,
l’accertamento richiesto al Giudice Amministrativo avrà principalmente ad oggetto la verifica dei presupposti per la
rimessione della questione alla Corte Costituzionale. Infatti, le disposizioni pregiudizievoli introdotte dai decreti
traggono origine da una fonte normativa primaria (i.e., l’art. 21 del Decreto 91). Pertanto, la principale tutela per gli
operatori consiste nello scrutinio di legittimità costituzionale della normativa sovraordinata cui i decreti danno
attuazione.
In tali termini, si può ragionevolmente ipotizzare che il TAR si pronunzi sulla eccezione di incostituzionalità,
approssimativamente, entro 6 mesi dall’instaurazione del giudizio. Qualora il TAR ritenesse sussistere i presupposti
per la rimessione alla Corte Costituzionale, occorrerebbe attendere la pronuncia di quest’ultima, per la quale,
ordinariamente, è prevedibile una durata non inferiore ad 1 anno (e sovente anche più estesa). All’esito del giudizio
di tale giudizio, il TAR dovrebbe pronunciarsi nell’ambito del giudizio a quo, anche in tal caso entro un termine
approssimativamente prevedibile di circa 6 mesi.
4.
L’arbitrato ECT e altri mezzi (indiretti) di impugnazione
Tra i possibili rimedi a disposizione degli investitori rispetto alle misure del Decreto 91, per gli investitori stranieri
è attivabile il sistema di risoluzione delle controversie ai sensi dell’articolo 26 dell’Energy Charter Treaty (“ECT”),
una convenzione internazionale che disciplina svariati aspetti legati allo sfruttamento delle risorse energetiche quali
il commercio e il transito di prodotti energetici, le problematiche relative all’efficienza energetica e le relative
questioni ambientali nonché, infine, il settore degli investimenti e i procedimenti di risoluzione delle controversie
ad essi collegate.
L’articolo 26 dell’ECT disciplina specificamente la risoluzione delle controversie che possono sorgere tra Stati ed
investitori stranieri per questioni legate agli investimenti nel settore dell’energia. In merito è opportuno precisare
che tale disciplina:
(a)
si applica alle controversie tra uno Stato contraente e “un investitore di un altro Stato contraente relative ad
un investimento di quest’ultimo nel territorio del primo”.
(b)
conferisce all’investitore straniero il diritto di agire contro lo Stato ospitante in caso di una “presunta
violazione di un obbligo” posto a carico di tale Stato “a norma della Parte III” dell’ECT (in particolare in
violazione di principi quali quello di non discriminazione tra investitori “interni” e stranieri, dell’obbligo di
non emanare norme che determinino un’espropriazione o nazionalizzazione degli investimenti, etc.);
(c)
stabilisce che le controversie che presentino i requisiti di cui ai precedenti punti 1 e 2 debbano, se possibile,
essere risolte amichevolmente. Se la soluzione amichevole non è raggiunta entro 3 mesi dall’inoltro della
relativa richiesta l’investitore potrà scegliere di sottoporre la controversia:
(i)
alle corti o ai Tribunali amministrativi dello Stato contraente parte della controversia;
(ii)
alle procedure di risoluzione precedentemente convenute con lo Stato contraente;
(iii)
alle procedure arbitrali di cui al comma 4 dell’art. 26 dell’ECT, i.e.:
(A)
al Centro internazionale per il regolamento delle controversie relative ad investimenti
(“ICSID”) sulla base della Convenzione ICSID, se investitore e Stato ne sono entrambi parti
(qualora invece solo uno dei due ne sia parte, le parti potranno comunque rivolgersi
all’ICSID invocando le ICSID Additional Facility rules for the Administration of the
Proceeding);
4
(d)
(B)
ad un arbitro unico o ad un tribunale arbitrale ad hoc istituito sulla base delle norme
UNCITRAL;
(C)
all’Istituto Arbitrale della Camera di Commercio di Stoccolma.
stabilisce che il tribunale arbitrale costituito ai sensi dell’art. 26 comma 4 dell’ECT decide la controversia
in conformità con l’ECT e le regole e i principi del diritto internazionale. Le decisioni così assunte sono
definitive e vincolanti per le parti della controversia e possono essere eseguite a livello internazionale. Lo
Stato contraente è infatti tenuto a dare esecuzione senza indugio alla sentenza arbitrale e ad adottare le
misure per l’effettiva esecuzione della sentenza nel suo territorio6.
I procedimenti arbitrali istaurati ai sensi dell’articolo 26 dell’ECT possono avere una durata variabile che va da un
minimo di 1 anno ad un massimo di 3, ma che dipende in gran parte dalla complessità della controversia e delle
tematiche trattate e pertanto, nella maggior parte dei casi non può essere quantificata ex ante. Molti investitori
stranieri presenti in Italia stanno considerando di avvalersi di questa tutela (anche sulla scorta dell’analoga, recente
esperienza spagnola), al fine di limitare il danno economico subito a valle dell’entrata in vigore del Decreto 91.
Altri mezzi (indiretti) di impugnazione
Pur non essendo tecnicamente un mezzo di gravame, segnaliamo, infine, che chiunque 7 può presentare alla
Commissione Europea una denuncia contro uno Stato membro per segnalare una misura (legislativa,
regolamentare o amministrativa) o una prassi adottata dallo Stato membro in questione che, a suo giudizio, è
contraria a una disposizione o a un principio del diritto dell'Unione: nel caso di specie, potrebbe ad esempio
sostenersi la violazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili. La
Commissione non ha, tuttavia, un obbligo di dare seguito ad ogni segnalazione e, infatti, nella prassi, essa procede
solo nel caso di violazioni ritenute sostanziali. Inoltre, anche una volta avviata la procedura, la sua prosecuzione
non è un atto dovuto da parte della Commissione, che può dunque decidere discrezionalmente se intraprendere o
meno gli steps successivi di sua competenza (in particolare, l'invio del parere motivato allo Stato Membro e la
decisione di ricorrere alla Corte di Giustizia).
6
Il comma 8 dell’art. 26 dell’ECT, in particolare, stabilisce che “Il lodo arbitrale, che può comprendere una liquidazione di interessi, è
inappellabile e vincolante per le Parti della controversia. Un lodo arbitrale riguardante una misura di un'autorità o ente territoriale della
Parte contraente parte della controversia stabilisce che la Parte contraente possa pagare il risarcimento in denaro in luogo di qualsiasi
altro rimedio (remedy) concesso”.
7
Nell'ipotesi più frequente, le procedure d’infrazione sono avviate dalla Commissione sulla base di segnalazioni provenienti da persone
fisiche o giuridiche.
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