Convegno Società Italiana di Scienza Politica Perugia, 11-13 settembre 2014 Leader, policies e voti. Da Bersani a Renzi la trasformazione dell’offerta politica del PD Nicola Martocchia Diodati [email protected] Introduzione In poco più di un anno, considerando esclusivamente i fatti più rilevanti e citandoli strettamente in ordine cronologico, il Partito Democratico ha: perso delle elezioni che apparivano una vittoria certa, visto dimettersi il suo terzo segretario, guidato con la figura del vicesegretario nazionale il secondo governo consecutivo di coalizione con il centro destra, affrontato un congresso che ha eletto ad ampissima maggioranza il candidato sconfitto alle primarie dell’anno precedente, eletto un presidente del partito che dopo poco più di un mese si è dimesso per evidenti contrasti con il segretario, sostituito il Presidente del Consiglio insediando a Palazzo Chigi l’attuale segretario nazionale, ma mantenendo identica la tipologia di maggioranza ed infine vinto le elezioni europee guadagnando il 40,8% dei consensi dei votanti. Due considerazioni vengono pressoché spontanee osservando i fatti citati supra: in primo luogo il PD non appare essere morto nelle giornate concitate in cui si andava ad eleggere il Presidente della Repubblica1; in secondo luogo, il cambio di leadership da Bersani a Renzi sembra essere stato fondamentale nel cambiamento dell’offerta politica. Per quanto simili osservazioni possano apparire evidenti e scontate, tanto quanto si è speso nel descrivere prima la (presunta) morte e poi la (presunta) resurrezione del partito, quanto poco si è cercato di indagarne le cause, evitando scorciatoie esplicative e prendendo in considerazione i vari aspetti che hanno concorso ad un cambio di scenario così evidente e repentino. Conseguentemente, nel tentare di fornire un’immagine in grado di rappresentare le trasformazioni dell’offerta politica dall’inizio 2013 alla metà del 2014 ed aggiungere un poco di consapevolezza in merito alle motivazioni che hanno portato un incremento di più di due milioni A seguito delle candidature di Marini e Prodi affossate durante le votazioni, anche i giornali più vicini alla sinistra (ed i protagonisti attraverso il loro megafono) hanno per lo più descritto quei momenti come gli ultimi istanti di vita dell’organizzazione nata pochi anni addietro. Si veda Marco Damilano (2013). 1 1 e mezzo voti per il Partito Democratico (a fronte di una diminuzione dei votanti di oltre sei milioni) è utile partire proprio da simili dati di fatto, banali ed evidenti. Cercheremo così di osservare il cambiamento avvenuto negli ultimi quindici mesi prendendo in considerazione variabili d’indagine proprie di due differenti approcci allo studio del comportamento politico: quella economico razionale (considerando l’asse sinistra/destra e lo spazio di policy) e quella sociopsicologica (utilizzando la dimensione valoriale e i tratti di personalità dei leaders). Al fine di tenere conto dei sopracitati aspetti si utilizzeranno prevalentemente dati raccolti da Candidate & Leader Selection durante le consultazioni primarie per l’elezione del segretario democratico e la scelta del candidato premier della coalizione Italia Bene Comune, le interviste effettuate dal Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università di Milano ai delegati all’Assemblea Nazionale del Partito Democratico e i dati ITANES sulle elezioni 1994/2013. Una progressiva moderazione Sin dalla fine degli anni cinquanta, grazie all’applicazione del modello di Hotelling (1929) sulle problematiche della sfera elettorale effettuata da Anthony Downs (1957), gli studiosi di comportamento politico e strategie partitiche hanno iniziato a pensare la competizione tra le organizzazioni e l’allineamento dei voti su di una scala unidimensionale, ovvero sulla dimensione superiore ed onnicomprensiva (Sani Sartori 1983) sinistra/destra in grado di permettere una comparazione tra differenti situazioni storico-istituzionali. Nonostante l’evidente semplificazione che analisi monodimensionali necessitano, il continuum ideologico rimane la variabile più utilizzata e la migliore opzione di base (Mair 2009, 217) per studiare il mercato elettorale rispetto ad entrambe le sue componenti, ovvero la proposta partitica (offerta) e le preferenze degli elettori (domanda). Considerando quindi, secondo tale prospettiva teorica, che ciascun cittadino vota per il partito che reputa gli consegnerà un maggior reddito-utilità rispetto a ogni altro (Downs 1957, p. 38), uno spostamento dell’offerta politica in direzione dell’elettore mediano (o della classe in cui si colloca ampia parte dell’elettorato) consente un guadagno di voti in funzione dell’aumento dell’utilità fornito agli elettori. È secondo questa prospettiva, di cui abbiamo accennato solo alcune caratteristiche 2 , che andiamo ad osservare l’evoluzione della collocazione del Partito Democratico negli anni sul continuum sopracitato. Dunque, a fronte di una maggiore concentrazione dell’elettorato sulle posizioni centrali dello spazio politico (Baldassarri 2014), 2 Per una trattazione più ampia si veda Giannetti (2004) e Martelli (2010) 2 presupponiamo che spostandosi verso il centro per il PD sia possibile allargare la propria base di consenso. Nell’Immagine 1 è riportata l’autocollocazione media sulla dimensione sinistra/destra dei delegati (suddivisi per mozione) in tutte e tre le assemblee nazionali del PD che si sono insediate fino ad ora. Essa mostra un’evidente trasformazione del posizionamento delle fazioni interne a seguito del congresso dello scorso dicembre, oltre che un progressivo e costante spostamento verso posizioni più moderate della maggioranza interna eletta attraverso le primarie. Imm. 1. Autocollocazione delegati Assemblea Nazionale 2007/2013 Fonte: Sondaggi 2007, 2009, 2013, Dipartimento Studi Sociali e Politici, Università degli Studi di Milano Nonostante quasi la totalità dei delegati delle assemblee nazionali si collochi nell’alveo del centrosinistra 3 si riscontrano marcate differenze tra le differenti anime presenti all’interno dell’assise. Il primo elemento che è possibile rilevare rispetto alla collocazione dei delegati è la presenza di un progressivo e continuo riposizionamento della maggioranza in carica verso posizioni più moderate. Infatti, i delegati che sostenevano Veltroni si posizionavano mediamente al 3,7, la maggioranza di Bersani nel 2009 al 3,82, mentre quella eletta con le primarie dell’8 dicembre scorso al 3,94. Per quanto la variazione sia minima e non rilevante rispetto ad una trasformazione Il continuum ideologico è stato misurato attraverso una scala in cui 1 corrisponde ad “estrema sinistra” e 10 ad “estrema destra”, conseguentemente per “centrosinistra” si intende il posizionamento su valori di 3 e 4. 3 3 del posizionamento dell’intero partito4, data la stabilità del trend, quest’ultimo è certamente un fattore da prendere in considerazione rispetto alle scelte politiche future che l’organizzazione andrà a compiere. Il secondo aspetto che merita di essere sottolineato è la differente collocazione, avvenuto grazie al passaggio di consegne tra Bersani e Renzi, della maggioranza attualmente in carica rispetto alle mozioni di minoranza. La maggioranza che sosteneva Veltroni, difatti, avendo a propria opposizione le mozioni Bindi e Letta e subendo l’influenza dell’elevata dipendenza dalle appartenenze pregresse, si collocava a sinistra delle altre fazioni, divenendo baluardo della cultura socialdemocratica propria dei DS. La maggioranza che invece sosteneva Bersani si collocava al centro dello spazio politico occupato dall’intera organizzazione, mantenendo una posizione mediale rispetto alle due minoranze uscite dal congresso. Tale posizione permetteva di intraprendere con maggiore facilità processi decisionali il più possibile consensuali tra le diverse anime del partito, così da portare avanti una gestione consociativa dell’organizzazione, gestione che ha permesso all’ex segretario di essere sostenuto dalla quasi totalità del gruppo dirigente durante le primarie di fine 2012. Dunque, contrariamente a quanto è stato possibile osservare in precedenza, l’elezione a segretario di Matteo Renzi ha visto l’insediamento di una maggioranza che si colloca alla destra di entrambe le minoranze interne. Per quanto le dimensioni numeriche delle fazioni lascino pochi margini per un’opposizione interna in grado di scalfire la capacità di Renzi di guidare monocraticamente (in termini di leader di riferimento) il partito 5 , essa è certamente una novità per quanto riguarda il Partito Democratico ed i suoi predecessori (Fasano 2009; 2010; Bellucci & all 2000) che merita di essere sottolineata . In terzo luogo, la media delle autocollocazioni dei delegati per mozione (dal 2007 ad oggi) permette di osservare come sia presente un aumento della distanza interna tra le diverse componenti presentatesi a congresso. Rispetto al 2007, quando la distanza tra la mozione collocata più a sinistra (Veltroni) e quella più a destra (Letta) era di 0,73 punti, la distanza presente tra Civati e Renzi è aumentata di circa mezzo punto, attestandosi a 1,22 punti. Se in queste due situazioni la maggioranza risulta essere ad uno degli estremi dello spazio politico occupato dalle tre mozioni, nel 2009, come abbiamo osservato in precedenza, la maggioranza si collocava in una posizione privilegiata, distante da Marino e Franceschini in entrambi i casi ci circa 0,4 punti. Partito che peraltro nel suo complesso si è leggermente spostato verso sinistra (Fasano & Martocchia Diodati 2014). 5 A questo proposito è utile ricordare come entrambi i presidenti del partito siano stati scelti tra le fila dei dirigenti eletti nella mozione Cuperlo. Per quanto la rilevanza di un simile fatto non sia decisiva nel definire le linee politiche delle differenti mozioni, esso rappresenta un chiaro esempio di come, nei fatti, l’unica mozione che si sia palesata come opposizione interna (rispetto alle decisioni di voto in Direzione ed Assemblea) sia quella guidata da Civati. 4 4 Spostando il focus d’analisi dalle dirigenze elette attraverso le primarie ai selettori che hanno votato nei gazebo è possibile comprendere non solo quale posizione adotti la maggioranza interna al partito, ma anche le posizioni dei “principali del segretario”, ovvero di chi delega la propria rappresentanza. Questo assume un’importanza via via più cruciale a fronte del progressivo processo di personalizzazione che ha investito la sfera politica (Garzia 2014; Karvonen 2009), processo grazie al quale i leaders personificano le piattaforme politiche dei rispettivi partiti (Garzia 2014, p.40). In una condizione in cui la rappresentanza politica è caratterizzata da una delega diretta cittadino/leader (Manin 1997) il posizionamento ideologico sull’asse sinistra/destra dei selettori, ovvero della costituency di riferimento del segretario eletto, è una variabile che aiuta ulteriormente a fornire una spiegazione circa la reale posizione sullo spazio politco dei diversi leaders democratici. Come è possibile osservare in Tabella 1, se non si riscontra una differenza elevata di collocazione tra i delegati eletti che sostenevano Bersani e quelli che sostiengono tutt’ora Renzi, risulta invece evidente una maggiore moderazione rispetto all’asse sinistra/destra dei selettori che nel 2013 hanno propeso per l’attuale Presidente del Consiglio rispetto a coloro che nel 2009 hanno votato l’ex presidente dell’Emilia Romagna. Tab. 1. Autocollocazione selettori e dirigenti di Bersani e Renzi Renzi 2013 Bersani 2009 Renzi 2012 Bersani 2012 Utenti Selettori Delegati Selettori Delegati Selettori Selettori Sinistra 29,06 4,74 45,6 6,21 23,24 49,49 Centrosinistra 49,68 65,61 43,6 68,22 44,03 40,33 Centro 17,86 29,02 9 25,59 26,01 9,16 Centrodestra 2,76 0,63 0,9 Destra 0,64 5,54 0,79 1,17 0,22 0,9 Fonte: Sondaggi 2009, 2013, Dipartimento Studi Sociali e Politici, Università degli Studi di Milano; Sondaggi 2009, 2012, 2013, Candidate & Leader Selection Se, infatti, il 45,6% dei selettori che hanno espresso la loro preferenza per Bersani nel 2009 si percepivano di sinistra (valori 1 e 2), solo il 29,06% degli elettori di Renzi si collocavano su simili posizioni. Altrettanto rilevante risulta (di conseguenza) la percentuale di coloro che si ritrovano nella metà destra del continuum: nel 2009, infatti, solo il 10,8% dei votanti Bersani alle elezioni si collocava tra il 5 ed il 10 del continuum sinistra/destra, mentre più del 21% dei selettori che nel 2013 hanno preferito Renzi a Cuperlo e Civati si attesta su simili posizioni. Risulta così evidente come sia presente una minore concentrazione dei selettori di Renzi nell’alveo più proprio del centrosinistra e come, rispetto alle primarie precedenti, ampia parte dei simpatizzanti democratici non si collochi più sulle posizioni proprie di un partito socialdemocratico. 5 Eppure era già stato possibile osservare tale evoluzione nell’inverno 2012, quando i due segretari si sono contesi la candidatura a premier nelle primarie di Italia Bene Comune. In quell’occasione, l’autocollocazione dei votanti ha consegnato una situazione ancor più polarizzata. Quasi il 50% dei votanti Bersani si collocavano a sinistra dello schieramento, mentre più del 30% degli elettori di Renzi si percepivano di centro o centrodestra. La differenza di posizione delle costituency di riferimento, quindi, appare particolarmente elevata e risulta così in grado di amplificare le leggere differenze presenti all’interno degli organismi dirigenti del Partito Democratico stesso, confermando il riposizionamento dell’organizzazione su posizioni più moderante e centriste. In direzione pro-market e pro-life Il riposizionamento della maggioranza rispetto alla dimensione sinistra/destra e i cambiamenti osservati poco sopra permettono, quantomeno in una fase iniziale, di supporre come effettivamente sia presente uno spostamento del PD verso posizioni più moderate dello spazio politico. Eppure, a fronte del fatto che gli individui portano a compimento processi decisionali in funzione di più di una dimensione (Adams & all 2005), è utile prendere in considerazione le questioni di policy in grado di spiegare se effettivamente sia stato presente un riposizionamento dell’organizzazione (e della sua maggioranza) nel passaggio 2012/2013. Considerando che la diade antitetica sinistra/destra si ritrova ovunque in politica (Bobbio, 2004) e che essa risulta in grado di sintetizzare (seppur con limiti di semplificazione) la distinzione di vedute e di convinzioni rispetto a tutti quei temi posizionali (Stokes, 1963; De Sio 2010) grazie ai quali i partiti si distinguono (Budge & all 2001), è utile innanzitutto comprendere se le variabili di policy considerate siano in grado di spiegare le determinanti della dimensione sinistra/destra e, in secondo luogo, se differenti posizioni politiche sulle prime siano utili a evidenziare le motivazioni dell’appartenenza a differenti anime interne. Nel caso, infatti, siano presenti differenze esplicative, sarebbe possibile comprendere quale tipologia di cambiamento sia avvenuto nell’ultimo anno e verso quali direzioni questo sia diretto. D’altronde, se vi fosse coerenza con quanto osservato in precedenza attraverso un’analisi prettamente descrittiva, si osserverebbe che, a posizioni più moderate rispetto problemi di policy, corrisponde una maggiore propensione a far parte della maggioranza che sostiene Renzi rispetto a quella di Veltroni e Bersani. Le variabili prese in considerazione per indagare le determinanti della collocazione sull’asse sinistra/destra sono questioni che attengono alla dimensione economica (come l’aumento delle tasse a fronte di maggiori servizi pubblici, l’intervento dello stato in economia ed il potere dei sindacati), a quella religiosa (ad esempio l’importanza della religione nella propria vita, il grado di 6 accordo con l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole e la partecipazione della Chiesa al dibattito pubblico) ed infine a quella etico/morale (come l’accoglienza degli immigrati, l’aumento delle pene per il consumo di droghe leggere, l’eutanasia e le unioni civili)6. La rilevanza di simili categorie nella determinazione della dimensione sinistra/destra è riscontrabile nell’ampia letteratura che ha affrontato la questione della definizione delle variabili utili alla scelta di voto. In primo luogo, le issues economiche quali l’intervento dello Stato in economia e la dicotomia tasse/servizi sono considerate variabili centrali per la determinazione del posizionamento e dell’opposizione reciproca tra due partiti (Lipset Rokkan 1967). Altro fattore determinante nello studiare e misurare la collocazione degli attori politici è certamente la questione religiosa, che non può essere intesa esclusivamente come conflitto stato/chiesa o potere politico/potere religioso quanto invece come un fattore di lungo periodo in grado di influenzare in misura sostanziale il comportamento di individui e di collettività (Maraffi & all 2010). In terzo luogo, come è già stato sottolineato in relazione alla transizione italiana (Fasano & Pasini 2014), le questioni eticamente sensibili e la problematica immigratoria rivestono un ruolo centrale nel definire i cleavages del periodo post-1994. Infine, recenti riscontri empirici (Hanspeter & all 2006; Wouter 2009) evidenziano come questioni culturali (quali ad esempio gli stili di vita tradizionali e i diritti degli immigrati) hanno aumentato la loro rilevanza nella determinazione della competizione partitica, mostrando così la loro efficacia esplicativa anche in funzione della collocazione spaziale dei soggetti politici. L’analisi di regressione effettuata e riportata in Tabella 2 evidenza come le variabili considerate per ampia parte rispettano i criteri di significatività. Le uniche variabili che spiegano significativamente l’autocollocazione sono la dicotomia “stato/mercato” e la problematica del fine-vita. Data la significatività esplicativa dell’ampia maggioranza delle variabili considerate per indagare le determinanti del posizionamento sul continuum sinistra/destra, è possibile ipotizzare che queste ultime risultino determinanti per l’appartenenza ad una mozione. Nel ricodificare le variabili esplicative si è provveduto a riordinare le risposte secondo il continuum sinistra/destra: relativamente alle variabili economiche l’estremo sinistro è rappresentato da “maggiore rilevanza del pubblico e aumento del potere dei sindacati”, il polo destro da “meno rilevanza del pubblico e diminuzione del potere dei sindacati”; relativamente alle variabili religiose l’estremo progressista è dato dall’assunzione “non rilevanza della religione e minore presenza della Chiesa nella società”, il polo conservatore da “importanza religione e maggiore presenza della Chiesa nella società”; per quanto concerne le variabili etico/morali/culturali il polo sinistro viene identificato in “accoglienza immigrati e libertà di scelta individuale”, il polo destro invece da “minore flessibilità sull’immigrazione e limiti morali alle scelte individuali”. 6 7 Tab. 2 Regressione lineare su determinanti dell’autocollocazione ECONOMY ECONOMY RELIGION imprel 0,161*** (0,021) 0,215*** (0,031) 0,037 (0,034) - chiesa - relscuo - immigrati - 0,117*** (0,020) 0,192*** (0,030) 0,041 (0,032) 0,121*** (0,029) 0,096*** (0,034) 0,208*** (0,028) - pacs - - eutanasia - - droghe - - cons 2,612*** (0,105) 1341 1,778*** (0,116) 1341 servizi sindacati statoeco N osservazioni ECONOMY RELIGION ETHIC/MORAL F. 0,088*** (0,021) 0,162*** (0,291) 0,044 (0,031) 0,062** (0,031) 0,064* (0,034) 0,118*** (0,029) 0,080*** (0,019) 0,307*** (0,055) 0,061 (0,048) 0,125*** (0,028) 1,314*** (0,125) 1341 Note: * variabile significativa al 90%, ** variabile significativa al 95%, *** variabile significativa al 99% Fonte: Sondaggi 2007, 2009, 2013, Dipartimento Studi Sociali e Politici, Università degli Studi di Milano Per confermare o smentire l’ipotesi che a posizioni più moderate rispetto alle questioni di policy considerati corrisponda una più elevata probabilità di appartenere alla maggioranza renziana del Partito Democratico abbiamo effettuato una analisi di regressione logistica, per poi verificare, sulla base dei risultati ottenuti, l’influenza marginale di ciascuna variabile sull’appartenenza alla mozione stessa. Quanto riportato in Tabella 3 ci permette di osservare come, se su certe problematiche come quelle economiche, l’attuale maggioranza interna al PD mantiene posizioni molto più moderate rispetto alle fazioni dominanti che in precedenza avevano occupato l’ufficio di governo dell’organizzazione, rispetto alle issues morali/religiose la componente che assume la posizione più conservatrice è la maggioranza che appoggiò a seguito delle primarie del 2009. 8 Tab. 3 Determinanti appartenenza mozione di maggioranza servizi sindacati statoeco imprel chiesa relscuo immigrati pacs eutanasia droghe cons N osservazioni Log Lokelihood VELTRONI -0,022 (0,047) -0,330*** (0,067) 0,130* (0,071) -0,400*** (0,071) -0,149* (0,077) 0,008 (0,056) 0,068 (0,044) 0,280** (0,127) -0,147 (0,110) 0,340*** (0,063) 0,372 (0,280) 721 -332,67 BERSANI 0,284*** (0,826) -0,328*** (0,115) -0,049 (0,120) -0,085 (0,117) 0,516*** (0,126) -0,097 (0,096) 0,170** (0,073) 0,146 (0,209) 0,221 (0,183) -0,216** (0,109) -1,808*** (0,465) 232 -114,81 RENZI 0,303*** (0,060) 0,840*** (0,091) -0,149* (0,088) 0,437*** (0,090) -0,232** (0,098) 0,214*** (0,070) 0,116** (0,056) -0,837*** (0,168) 0,014 (0,136) -0,163** (0,076) -4,659*** (0,418) 414 156,61 Note: * variabile significativa al 90%, ** variabile significativa al 95%, *** variabile significativa al 99% Fonte: Sondaggi 2009, 2013, Dipartimento Studi Sociali e Politici, Università degli Studi di Milano; Per quanto in questo caso le variabili vengono considerate separatamente per osservare la loro influenza sull’appartenenza ad una mozione congressuale, l’evidenza statistica consegna una immagine nitida e ben delineata del percorso compiuto dal PD nei suoi primi sette anni di vita. Le issues economiche risultano infatti centrali nel percorso di moderazione della proposta politica intrapreso dall’attuale Presidente del Consiglio. La convinzione che i sindacati abbiano troppo potere (rappresentata in Figura 2) e la preferenza di un sistema di tassazione che privilegi la diminuzione delle imposte rispetto all’aumento dei servizi forniti dallo Stato sono infatti predittori significativi rispetto alla decisione di sostenere Renzi piuttosto che Cuperlo e Civati all’ultimo congresso. Ciò a dispetto di quanto avvenuto nelle precedenti occasioni, in cui la maggioranza democratica era caratterizzata dall’esprimere convinzioni sulle questioni economico-sociali più vicine a posizioni strettamente di stampo socialdemocratico. 9 Circa le problematiche di carattere etico/morali (riportate in Figura 3), invece, è possibile riscontrare quel cleavage interno che ha caratterizzato e certamente reso più complesso il processo di federazione del centrosinistra iniziato nel 1995 con la nascita dell’Ulivo (Di Virgilio & all 2008). Il sostegno all’allora segretario Bersani era infatti dato non solo da anime socialdemocratiche (D’Alema), ma anche da cattolico-democratiche (Bindi) e cattolico-liberali (Letta), che, grazie anche alla rilevanza della religione, fanno di simili problematiche uno dei cardini del loro impegno politico e conseguentemente della dialettica intrapresa con la componente post comunista che risultava in ogni caso maggioritaria all’interno dell’organizzazione. Imm. 2 Influenza marginale del grado di accordo con l’assunzione “il potere dei sindacati è eccessivo” su appartenenza a maggioranza 2007/2009/2013 Fonte: Sondaggi 2007, 2009, 2013, Dipartimento Studi Sociali e Politici, Università degli Studi di Milano Imm. 3 Influenza marginale dell partecipazione della Chiesa al dibattito pubblico su appartenenza maggioranza 2007/2009/2013 Fonte: Sondaggi 2007, 2009, 2013, Dipartimento Studi Sociali e Politici, Università degli Studi di Milano Dopo aver osservato come le preferenze di policy siano buoni esplicatori sia della collocazione dei delegati sull’asse sinistra/destra che della decisione di sostenere una piuttosto che un’altra mozione congressuale dal 2007 ad oggi, diventa rilevante ai fini di questo nostro scritto osservare quali siano le dimensioni maggiormente rilevanti all’interno del PD e quali posizioni abbiano assunto le differenti mozioni nello spazio politico da esse generato. Ridurre a 2 assi le preferenze che sono state indagate attraverso numerosi items permette di comprendere in maniera 10 appropriata (e semplificare dal punto di vista grafico ed esplicativo) quali siano i cleavages più rilevanti sui quali le differenti fazioni del Partito Democratico si sono collocate negli anni. Considerando le variabile già utilizzate in precedenza per indagare le determinanti dello spazio politico interno del Partito Democratico, andremo ad effettuare un’Analisi delle Componenti Principali, così da trovare le due principali dimensioni latenti utili a definire la collocazione delle mozioni congressuali che si sono sfidate sin dal 2007 e, conseguentemente, a comprendere se effettivamente sia riscontrabile un ricollocamento più moderato a seguito dell’elezione di Matteo Renzi a segretario. Imm. 4 Collocazione Mozioni PD 2007/2013 su dimensione etica ed economica Fonte: Sondaggi 2007, 2009, 2013, Dipartimento Studi Sociali e Politici, Università degli Studi di Milano La varianza spiegata dai due fattori latenti (a fronte di dieci variabili manifeste) è del 44,46%, a fronte di un rendimento di 2,22. Poiché il rendimento ottenuto a fronte dell’indagine svolta è superiore a 2 (Ricolfi 1987), i risultati ottenuti possono essere considerati soddisfacenti in quanto «i benefici ottenuti sono più che doppi rispetto ai costi sostenuti. Un tale rendimento è auspicabile indipendentemente dalla percentuale di varianza spiegata e dal numero di fattori estratti» (Albano 2006). I risultati forniti dall’analisi statistica consegnano lo spazio rappresentato in Figura 5. Essa ci permette di ottenere, quindi, una conferma di quanto avevamo già in parte ipotizzato e 11 riscontrato attraverso l’analisi di regressione binomiale riportata poco sopra, ovvero un sensibile smarcamento verso posizioni più moderate sulla dimensione economica da parte dell’attuale segretario. L’unica fazione che precedentemente aveva esplicitato una posizione simile a quella assunta attualmente da Renzi rispetto alle questioni che attengono il libero mercato e la gestione delle relazioni sindacali/industriali era stata la componente cattolico-liberale che aveva deciso di sostenere Enrico Letta durante le primarie del 2007. Nonostante quindi la posizione di Renzi non si possa considerare una novità all’interno del PD, è però fondamentale osservare che tra i risultati ottenuti dalle due candidature alle primarie vi è una differenza in termini di voti di oltre il 55%. Per quanto l’elezione di Renzi come segretario sia stata certamente indotta anche da un ragionamento di tipo controfattuale successivamente all’esito del voto (Barisione & all 2014) delle elezioni politiche, fattore che ha permesso all’allora Sindaco di Firenze di incentrare la competizione delle primarie più che altro sulla propria figura e non sulle questioni di policy (Pasquino & Valbruzzi 2014), l’elemento che più desta stupore e risulta essere particolarmente rilevante è la distanza tra la collocazione della mozione renziana rispetto alle passate maggioranze. Difatti, sia Veltroni (a differenza di quanto emergeva dall’autocollocazione), che Bersani mantennero una posizione mediana, posizione che permetteva loro (nonostante avessero una maggioranza assoluta all’interno di tutti gli organi) di discutere ed approvare le linee guida delle proposte politiche in maniera più consensuale possibile. Al contrario del passato, quindi, Renzi evidenzia una collocazione certamente non mediana e particolarmente distante da quelle delle altre due mozioni presentatesi al congresso di fine 2013. Difatti, il 68,1% dei delegati che compongono la maggioranza interna mostra preferenze promarket piuttosto che pro-labour, sottolineando come l’influenza dei sindacati, la tassazione per possedere maggiori servizi e l’intervento dello stato in economia siano comportamenti non condivisibili. E questo a differenza delle maggioranze precedenti che invece si riconoscevano in posizioni pro-labour: il 59,5% di quella che sosteneva Bersani ed il 59% di quella eletta nel 2007 sostenevano la rilevanza di simili convinzioni (Fasano 2009; 2010). Il secondo cleavage che l’Analisi delle Componenti Principali evidenzia come rilevante per definire la collocazione delle mozioni congressuali in uno spazio politico bidimensionale è la frattura etico/religiosa, in grado di discriminare tra posizioni più liberali (pro choice) e collocazioni più paternaliste (pro life). Rispetto a quest’ultima dimensione, la maggioranza attualmente in carica nel Partito Democratico evidenzia una preferenza politica in continuità con quelle adottate dalle precedenti segreterie. Essa però permette di sottolineare come sia in atto un processo di progressivo avvicinamento a posizioni più conservatrici. Difatti, la maggioranza Veltroniana nel 12 2007 risultava, tra le tre mozioni che si erano presentate davanti all’elettorato, la più liberale, in quanto Bindi e Letta si collocavano su posizioni sensibilmente pro-life. Difatti, dicotomizzando sulla media ciascuna mozione, si riscontra che il 63,4% dei delegati eletti nelle liste a sostegno di Veltroni evidenziavano un orientamento pro-choice, mentre il 55,4% ed il 68,8% dei delegati sostenenti, rispettivamente, Bindi e Letta evidenziavano preferenze più paternaliste, ovvero prolife (Fasano 2009). Con l’elezione a segretario di Bersani si è invece assistito ad una maggiore moderazione delle preferenze della maggioranza PD, moderazione certamente influenzata dal sostegno al segretario da parte dei precedenti sfidanti di Veltroni. Infatti, solamente il 56% dei delegati appartenenti alla maggioranza rivela posizioni liberali circa le questioni etico/morali. Considerando che le minoranze rappresentate da Marino e Franceschini mostravano tendenze rispettivamente posizioni pro-choice (con il 79,4%) e pro-life (con il 53,7%d), Bersani risulta così mediano anche rispetto a questa seconda dimensione. Il trend che si è potuto evidenziare nelle prime due Assemblee Nazionali viene completamente confermato dall’elezione di Renzi (Fasano & Martocchia Diodati 2014), che grazie al 66,9% della propria maggioranza su posizioni paternaliste evidenzia una propensione a politiche più conservatrici su questioni etico/morali rispetto alle due minoranze: il 78% dei delegati che hanno sostenuto Civati alle primarie ed il 52,2% dell’opposizione interna facente riferimento a Cuperlo mostrano preferenze liberali circa le questioni etiche. I valori come bussola di riferimento Dopo aver osservato il riposizionamento delle anime interne (e principalmente delle maggioranze che hanno governato il partito dal 2007) rispetto allo spazio politico ideologico e di policy, è utile osservare quali differenze (ove ve ne siano) sono riscontrabili tra le preferenze della maggioranza di Bersani e quella di Renzi circa le questioni di stampo politico-psicologico, e quindi, in primo luogo, quelle concernenti i principali valori a cui dovrebbe ispirarsi l’organizzazione. Nonostante questi ultimi siano stati considerati da differenti prospettive teoriche afferenti a diverse discipline, faremo in questo caso riferimento ai valori come «convinzioni, relativamente stabili, circa modi ideali e desiderabili di agire o essere, scopi motivazionali che guidano il pensiero e il comportamento in vari ambiti della vita» (Catellani & Milesi 2010). Sin dal 1992 con il lavoro pioneristico di Schwartz, la psicologia politica ha spesso preso in considerazione i valori come una delle variabili esplicative del voto e della partisanship (Catellani & Milesi 2010; Vecchione & all 2010). Nelle sue ricerche in più di sessanta paesi, lo studioso ha individuato dieci 13 valori principali: universalismo, benevolenza, tradizione, conformismo, sicurezza, potere, successo, stimolazione, edonismo e autodirezione 7. La struttura dei valori di Schwartz delinea due principali dimensioni lungo la quale i valori possono essere rappresentati: • conservazione/apertura al cambiamento, ovvero la contrapposizione tra il desiderio di indipendenza e quello di conformità alle norme sociali e a quelle della tradizione; • autoaffermazione/autotrascendenza, quindi la dicotomia “impegnarsi per il benessere collettivo” e “ricerca del successo personale e del predominio sui propri simili. Diverse ricerche hanno dimostrato come la dimensione autoaffermazione/autotrascendenza sia quella maggiormente in grado di spiegare il comportamento politico e l’autocollocazione sul continuum sinistra/destra degli individui. Infatti, «gli elettori del centrodestra presentano punteggi superiori nel potere e nella sicurezza rispetto agli elettori di centrosinistra, che invece presentano punteggi superiori nell’universalismo e nella benevolenza» (Vechione & all 2010, p. 231). La struttura dei valori di Schwartz e la dicotomia autodirezione/autotrascendenza riporta al cento del nostro studio la distinzione tra interessi individuali e perseguimento del successo e del potere da un lato, e interessi sociali e perseguimento del benessere sociale dall’altro. Al fine di ricostruire uno spazio valoriale nel quale fosse possibile collocare le differenti anime del Partito Democratico nel 2009 e nel 2013 tale che richiamasse la struttura dei valori di Schwartz, si è provveduto a costruire due continuum in grado di misurare simili propensioni. L’asse dei Valori Individuali contempla il grado d’importanza che i delegati hanno attribuito a valori quali la competizione, il mercato e il merito. La dimensione costruita sui Valori Collettivi si basa invece sull’importanza data a valori quali l’eguaglianza, il pacifismo e le pari opportunità. Tab. 4 I valori nel PD Priorità valoriale Pari Eguaglianza Pacifismo opportunità Merito Competizione Civati 71,74 2,17 8,70 10,87 4,35 Cuperlo 64,29 0,00 14,29 19,05 0,00 Renzi 34,98 5,42 10,34 45,81 1,48 Bersani 64,41 0,00 8,47 25,42 1,69 Franceschini 40,91 4,55 18,18 36,36 0,00 Marino 38,89 0,00 27,78 27,78 5,56 Fonte: Sondaggi 2009, 2013, Dipartimento Studi Sociali e Politici, Università degli Studi di Milano Mercato 2,17 2,38 1,97 0,00 0,00 0,00 Non è possibile in questo caso approfondire descrivendo ciascun valore, si rimanda quindi per un approfondimento ai testi citati nel testo. 7 14 Osservando inizialmente le preferenze espresse dai delegati nei termini di priorità, risulta evidente come siano presenti sostanziali differenze nella percezione delle priorità tra le mozioni. Rispetto a tutte le altre mozioni, l’attuale maggioranza democratica reputa parimenti rilevanti valori quali l’eguaglianza, le pari opportunità e il pacifismo. Infatti, rispetto alla maggioranza di Bersani (che il 72,88% sostiene che la priorità sono i valori collettivi), il 49,26% dei delegati che sostengono Renzi valuta come prioritari valori quali il merito, la competizione ed il mercato. Se si prende poi in considerazione la moda nella distribuzione di preferenze dei delegati che hanno sostenuto i differenti candidati alla segreteria si osserva una evidente differenza di percezione tra quanti sostengono l’attuale segretario e gli altri delegati. Il valore che viene reputato come la principale priorità dalla fazione attualmente dominante nel Partito Democratico è difatti il merito, a differenza di tutte le altre mozioni che hanno ritenuto l’eguaglianza il valore più rilevante. Appare così evidente come vi sia una sostanziale dicotomizzazione tra l’attuale fazione dominante e il resto del partito, sia rispetto all’opposizione attualmente eletta che rispetto alle mozioni presenti nel 2009. Questo è d’altronde osservabile in misura più dettagliata ed intuitiva se si prende a riferimento lo spazio costruito sulle due dimensioni “valori collettivi” e “valori individuali”. L’Immagine 5 consegna una ulteriore ed ultima evidenza di come il passaggio politico avvenuto nel dicembre 2013 abbia comportato una sensibile moderazione del posizionamento della maggioranza Partito Democratico. Difatti, nonostante i delegati esprimano valori di consenso particolarmente elevati su entrambe le dimensioni, è possibile osservare una tendenza lineare nella collocazione delle mozioni rispetto ai due continuum valoriali considerati. Se posti in confronto con la mozione Bersani, infatti, i delegati che sostengono l’attuale Presidente del Consiglio dimostrano una maggiore propensione a valutare rilevante la dimensione dei valori individuali, ponendo così particolare accento sul merito, la competizione ed il mercato piuttosto che sull’eguaglianza, le pari opportunità ed il pacifismo. Difatti, su tale dimensione, Bersani mantiene una posizione mediana rispetto alle due mozioni che nel quadriennio 2009-2013 componevano l’opposizione interna, alla pari di quanto era già stato possibile rilevare riguardo all’asse economico nel paragrafo precedente. Contrariamente, la maggioranza dell’allora sindaco di Firenze mostra una tendenza individualista rispetto alla rimanente parte dell’Assemblea, collocandosi in una posizione estrema sia in funzione dei valori individuali che dei valori collettivi. 15 Imm. 5 Collocazione su Valori Collettivi ed Individuali, Mozioni 2009/2013 Fonte: Sondaggi 2009, 2013, Dipartimento Studi Sociali e Politici, Università degli Studi di Milano L’evoluzione di posizionamento riscontrato sia per quanto concerne l’autocollocazione che le dimensioni di policy e quelle valoriali lasciano così intendere come, a seguito dell’elezione di Matteo Renzi a segretario, il Partito Democratico abbia continuato quel percorso di progressiva moderazione della proposta politica in parte già iniziato con la segreteria Bersani. La valutazione del merito come valore più rilevante ed il posizionamento nello spazio rappresentato in Figura 6 permettono così di sostenere come, a fronte del successo elettorale ottenuto sia alle primarie che alle elezioni europee, per il Partito Democratico si sia aperta una nuova possibilità di istituzionalizzazione, di ridefinizione del pantheon valoriale e delle prospettive più prettamente politiche. Prospettive che, come i dati consegnano, risultano protese verso il centro dello spettro politico, abbandonando così su alcune issues quelle certezze socialdemocratiche e cristianodemocratiche che hanno caratterizzato i primi sei anni di vita dell’organizzazione. Una nuova leadership L’ultimo aspetto che è utile considerare in questo frangente per delineare il cambiamento dell’offerta politica del Partito Democratico tra le elezioni politiche dello scorso anno e quelle europee del passato giugno è quello relativo alla figura del leader, in grado di impersonificare le 16 posizioni politiche del partito e che, in un’ottica di campagna elettorale permanente (Blumenthal 1980), è sempre più decisiva nelle scelte elettorali dei cittadini. Dopo aver affrontato le tematiche posizionali grazie alle quali è stato possibile osservare l’evoluzione della collocazione della maggioranza reggente il PD negli anni, è ora necessario introdurre il tema delle valence issues al fine di comprendere la rilevanza della leadership nella prospettiva da noi adottata in questo paragrafo. Secondo Donald Stokes (1963), che fu il primo ad introdurre il concetto di valence politics in un articolo/risposta alla ricerca di Downs (1957), i partiti politici non competono esclusivamente su temi posizionali, quanto invece anche grazie a argomenti su cui vi è un generale accordo da parte dell’elettorato e delle forze politiche tutte. In questo senso, quindi, le scelte degli elettori sono determinate non solo dalla vicinanaza/lontananza rispetto al posizionamento di un partito, ma anche dai quei fattori che semplicemente creano un collegamento tra le organizzazioni politiche ed alcune condizioni valutate positivamente o negativamente dall’elettorato (Stokes 1963, p.373). Se di conseguenza i partiti prendono posizione su temi quali quelli riportati in precedenza (matrimoni omosessuali, eutanasia, influenza della religione nella vita pubblica, eccessivo potere dei sindacati, aumento delle tasse per maggiori servizi) e rispetto a tali variabili si distinguono l’un l’altro cercando di occupare posizioni strategicamente convenienti dal punto di vista elettorale, rispetto alle valence issue non è possibile mettere in atto simili strategie. Riguardo a problematiche come la crescita economica, la diminuzione del crimine, la difesa nazionale (Clark 2004) tutti i partiti hanno infatti convenienza a mantenere le stesse posizioni (più crescita economica, più sicurezza per la nazione), così che per acquisire un vantaggio elettorale è necessario competere sulla credibilità del partito o del leader nel sostenere simili questioni (Curini e Martelli 2010). E secondo questa prospettiva, uno degli aspetti decisivi (anche se non l’unico) per ottenere un vantaggio rispetto a valence issues sono appunto i tratti caratteristici del leader e la fiducia che viene in loro riposta. Prima di prendere in considerazione e confrontare le caratteristiche personali dei due leaders è però importante soffermarsi su quali motivazioni hanno spinto i selettori ad eleggere candidato premier nel 2012 Bersani e nel 2013 Renzi. Questo permette di comprendere non solo quali aspettative gli elettori democratici riversavano nelle due personalità, quanto anche quale tipologia di rapporto si è instaurato tra la figura del leader e la sua costituency di riferimento. I dati raccolti da Candidate & Leader Selection nelle due occasioni (le primarie di Italia Bene Comune del 2012 e quelle congressuali democratiche del 2013) rendono evidente come in entrambe le occasioni, il leader vincente la competizione interna sia stato premiato prevalentemente grazie alle proprie caratteristiche personali. 17 Per quanto Bersani abbia impersonificato una leadership collettiva (sintetizzata attraverso le sfortunate metafore de “la ditta” e “la bocciofila”) durante tutto il periodo della propria segretaria e della sua candidatura a premier, nel 2012 i selettori hanno preferito la sua immagine a quella degli altri candidati in funzione delle sue caratteristiche personali e della convinzione che egli fosse la personalità adatta per vincere contro il centrodestra, governare l’Italia e rappresentarla in Europa. Risulta però sorprendente come Renzi, che dai media era stato accreditato come “la figura” in grado di aprire a nuove tipologie di elettorato, è stato preferito (sempre nel 2012) dai suoi elettori prevalentemente per le proprie posizioni politiche e valoriali più che per le proprie caratteristiche personali. Entrambe le ricerche, condotte ad un anno di distanza, hanno fornito risultati simili, utili ad evidenziare una situazione identica (seppur con attori differenti) e la rilevanza degli aspetti nondi-policy nella selezione dei candidati, come d’altronde ampia letteratura sulle primarie americane dimostra. Se si osservano le motivazioni che hanno portato i simpatizzanti democratici a votare per Renzi, Cuperlo o Civati nel dicembre 2013 si denota infatti come, al pari dell’anno precedente, il candidato che ha vinto la competizione, al contrario dei suoi sfidanti, ha scontato un vantaggio rilevante grazie alle proprie caratteristiche personali piuttosto che per la linea politica. Imm. 6. Rilevanza policy/candidato per scelta selettori 40 20 20 0 0 Tutti Policy Civati Renzi Candidate Cuperlo Policy Tutti 60 40 Renzi 60 Vendola 80 Puppato 80 Tabacci 100 Bersani 100 Candidate Fonte: sondaggi Candidate & Leader Selection 2012, 2013 Prendendo ora in considerazione le opinioni dei delegati all’Assemblea Nazionale Democratica eletti nel 2009, appare però come il primo e principale compito per il Segretario sia quello di consolidare l’identità del partito stesso (secondo il 62,9% dei delegati) piuttosto che costruire alleanze per poter vincere le elezioni successive. A tre anni di distanza, invece, nel momento in 18 cui Matteo Renzi si è insediato alla segreteria del Partito Democratico, la maggioranza dei dirigenti (il 57,4%) del più ampio organo del PD ha ritenuto che Renzi dovesse concentrarsi prevalentemente sull’effettuare proposte concrete per vincere le prossime elezioni piuttosto che impegnarsi in un’opera di consolidamento identitario dell’organizzazione. Se la figura di Bersani era percepita prevalentemente dai dirigenti di partito come quella utile e necessaria a completare quel processo di istituzionalizzazione necessario e non concluso (Fasano 2010; Fasano Martocchia Diodati 2012), quella di Renzi al momento dell’elezione a segretario democratico era già percepita come figura spendibile sul piano elettorale. È a fronte della differente tipologia di affidamento che delegati e selettori hanno riposto in Bersani e Renzi, che è ora utile considerare le valutazioni circa i tratti di personalità che hanno espresso gli elettori sui leader presenti sulla scena politica in differenti momenti. Recenti ricerche (Garzia 2014; Catellani Alberici 2012), infatti, ponendosi in contrasto con parte della letteratura sul tema (Curtice e Holmberg 2005; King 2002), dimostrano come i tratti e le caratteristiche delle leadership sono capaci di influenzare le scelte di differenti tipologie di elettorato. Se la rilevanza della leadership nella determinazione di un successo elettorale è ancora sfera dibattuta all’interno delle comunità scientifiche, secondo la ricerca psicosociale gli individui colpiscono maggiormente l’attenzione in funzione di due grandi dimensioni: quella dell’azione e quella della comunione (Catellani 2011). Le ricerche politico psicologiche sull’importanza della leadership conseguentemente si sono focalizzate su queste due grandi caratteristiche, ulteriormente suddivisibili nella sfera dell’energia, della competenza, dell’empatia e dell’onestà. La condizione dei leader del centrosinistra è stata sempre caratterizzata da un’elevata onestà, empatia e competenza (ad eccezione di Rutelli), a differenza della leadership di Berlusconi, che si è sempre contraddistinta per una elevata energia, seppur a discapito dell’onestà. Le ricerche condotte negli anni sul caso italiano (si veda Barisione & Catellani 2008; Barisione & all 2013) hanno confermato come la necessità di una leadership forte ed energica sia una richiesta particolarmente importante da parte dell’elettorato e come tale caratteristica sia in grado di incidere sostanzialmente sui risultati elettorali. Fattore da aggiungere per comprendere a pieno la rilevanza di tale tratto di personalità nella decisione di voto degli elettori è certamente la condizione economico-sociale in cui ha versato il paese negli ultimi anni ed al momento delle elezioni, condizione caratterizzata da un aumento dell’incertezza rispetto al futuro dell’economia statale. Se consideriamo infatti che «quando l’incertezza diventa per le persone una percezione dominante l’obiettivo primario di molte scelte può essere proprio quello di ridurre l’incertezza, (…) un modo di raggiungere questo obiettivo rispetto alla scelta di voto può 19 essere quello di scegliere il candidato che ci appare più deciso, più determinato, più abile nel comunicare in modo diretto, semplice ed efficace la propria intenzione di risolvere i problemi del paese» (Barisione & Catellani 2008, p. 146-147). Se quindi il tratto energetico acquista rilevanza in simili condizioni, esso risulta decisivo nel caso in cui ampia parte della competizione elettorale sia giocata su valence issue. Alla stregua di quanto osservato in precedenza, anche rispetto ai tratti della leadership è possibile rilevare marcate differenze tra l’offerta democratica impersonificata in Bersani nel 2013 e quella rappresentata da Renzi nel 2014. Tab. 5 Tratti personali dei leader 2013 Energia Competenza Grillo 68 41 Bersani 35 71 Monti 35 80 Berlusconi 83 62 2014 Berlusconi 72 69 Alfano 39 63 Letta 54 80 Renzi 82 84 Fonte: per i dati 2013 ITANES(2014); per i dati 2014 De Sio (2013) Empatia 67 56 31 43 Onestà 62 68 64 22 38 40 54 77 25 55 72 82 Come è possibile osservare in Tabella 58, quindi, i due leader si distinguono sensibilmente su tutti e quattro i tratti di personalità, evidenziando come rispetto a tutte e quattro le variabili Renzi mantenga un vantaggio rilevante in termini di apprezzamento della propria figura. A fronte di simili risultati e se si tiene presente come la richiesta di una leadership energica sia una necessità riconosciuta (durante le elezioni politiche del 2013) dall’86% dell’elettorato (Barisione & all 2014) è possibile comprendere un ulteriore fattore utile a spiegare la differente performance del Partito Democratico durante le elezioni europee rispetto a quella avuta nelle politiche. Conclusioni I quattro fattori che abbiamo considerato per descrivere l’evoluzione dell’offerta politica del Partito Democratico tra le elezioni politiche dell’anno scorso e quelle europee appena tenutesi Va in questo caso sottolineato, per correttezza metodologica, come le rilevazioni effettuate da ITANES si siano svolte successivamente alle elezioni, con la probabilità, quindi, che i valori consegnati abbiano subito un bias in funzione del risultato delle elezioni oramai noto agli intervistati, mentre i dati relativi i leader presentatisi alle elezioni europee sono stati rilevati dal CISE nel dicembre 2013, quindi quando Renzi non era ancora divenuto Presidente del Consiglio (ma non aveva ancora varato la misura degli “80 euro”). 8 20 permettono di evidenziare come, rispetto al passato, l’elezione a segretario del partito di Matteo Renzi abbia comportato significative trasformazioni dell’orizzonte ideologico e valoriale dell’organizzazione. Se osservate complessivamente, le differenze evidenziate rispetto all’autocollocazione dei delegati di maggioranza, alle preferenze in termini di policy e di valori, ci consegnano l’immagine di un partito che si scopre il 9 dicembre 2013 molto più moderato e liberale rispetto al passato, conservando però quel permanente ancoraggio agli orizzonti ideologici proposti dalla socialdemocrazia europea. Le posizioni pro-market che si riscontrano considerando le preferenze di policy dei delegati di maggioranza all’Assemblea Nazionale, unitamente alle priorità che rivestono per questi ultimi i valori individuali, confermano (ed in parte rafforzano) l’ulteriore moderazione dell’offerta politica che si è avuto modo di rilevare considerando il continuum destra/sinistra. Ad esso va aggiunto l’ultimo aspetto che abbiamo considerato nelle pagine addietro, ovvero il rafforzamento della leadership, percepita dagli elettori non più solamente come onesta e competente, quanto invece anche come particolarmente energica, soprattutto se confrontata con le altre figure attualmente presenti sulla scena politica. Quattro aspetti che, secondo le due differenti scuole di pensiero a cui abbiamo fatto riferimento nel testo, risultano decisivi nel mercato elettorale e che hanno contraddistinto questo nuovo capitolo del Partito Democratico, oltre che, presumibilmente, permesso all’organizzazione di vincere per la prima volta una competizione su scala nazionale. Bibliografia Adams, J., Merrill, S. III, Grofman, B. (2005). A Unified Theory of Party Competition. Cambridge University Press. Albano, R. (2006). “Introduzione all’Analisi Fattoriale”. Quaderni di Ricerca, 4, pp:1-105. Baldassarri, D. 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