CORRIEREFC_NAZIONALE_WEB(2014_11_12)

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Mercoledì 12 Novembre 2014 Corriere della Sera
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Educazione Il viaggio che porta ad assaporare il piacere dei libri
va iniziato nei primissimi anni di vita. Ad avviarlo sono genitori e
insegnanti: i ministeri di Cultura e Istruzione devono predisporre
la formazione permanente all’insegnamento della lettura
ANALISI
 COMMENTI
di Pierluigi Battista
La famiglia Fornero
e le urla vigliacche
che Matteo Salvini
deve condannare
er tre giorni, alla fine del mese scorso, nelle
scuole italiane, dagli asili ai licei, sono risuonate
le voci di studenti e insegnanti, di autori, attori,
artisti, giornalisti, politici, di persone di ogni
mestiere ed occupazione, che hanno letto libri.
Li hanno letti ad alta voce, per condividere con
gli studenti l’emozione e il piacere della lettura.
La scorsa settimana, a Milano, in Galleria, tra
il Duomo e la Scala, ha riaperto, totalmente rinnovata in quattro mesi di lavori, la grande Libreria Rizzoli: 40 mila titoli, tre piani, 1.200 metri
quadrati a comprendere, tra i tanti spazi, anche
la «saletta Biagi», il luogo di lavoro del grande
Enzo.
E sarà ancora Milano, da domani a domenica, il teatro della
terza edizione di Bookcity, la grande festa
del libro che con le sue
manifestazioni, i suoi
incontri, le sue letture
ad alta voce invaderà
tutta la città.
Bene. Anzi, benissimo. Meno della metà degli
italiani, quarantatré su cento, leggono anche solo un libro all’anno. E sono appena sedici su cento quelli che ne leggono uno o due.
Ben vengano, dunque, tutte le iniziative a favore della lettura e tutti i segni di vitalità che arrivano dal mondo del libro. Sapendo, certo, che
non basteranno a trasformarci in un popolo di
lettori. Molto di più, e con continuità, si dovrà
fare. A partire dalla scuola.
Daniel Pennac, l’autore dello straordinario
Diario di scuola e «padre» della favolosa Famiglia Malaussène, con mille ragioni sostiene che
«il verbo leggere non sopporta l’imperativo».
Non si può comandare di leggere. Ma educare
alla lettura si può. Purché si inizi molto, molto
presto.
Nell’Italia ancora largamente analfabeta degli
anni Cinquanta il maestro Alberto Manzi poteva
e doveva insegnare a leggere e scrivere dagli
schermi della Rai perché per imparare a mettere
in fila l’una dopo l’altra lettere, parole e frasi,
fondamentale e basilare strumento della vita associata , è mille volte vero che «non è mai troppo
tardi».
Ma se leggere vuol dire provare il piacere e
l’abitudine alla lettura, aprire le porte alla conquista di una serie senza fine di emozioni e conoscenze — le conoscenze indispensabili per i
«tempi che stanno cambiando» come cantava
M
atteo Salvini ha
ragione a
lamentarsi per la
mancata solidarietà del
mondo politico dopo
l’aggressione squadristica e
violenta di cui è stato
vittima a Bologna (e non
solo lui, ma anche un
giornalista cui i picchiatori
hanno spezzato un braccio,
a freddo). Ma dovrebbe
essere coerente e prendere
le distanze dagli squadristi
che sono andati a
intimidire i genitori di Elsa
Fornero fin sotto le finestre
della loro casa. Se gli
urlatori intolleranti sono
della Lega, o vicino alla
Lega, spieghi loro che la
demonizzazione di una
persona (un tempo, da altre
sponde, arrivarono ad
accostare in rima
«Fornero» e «cimitero»:
attenzione) e della sua
famiglia è una prerogativa
dei vigliacchi. Che la critica
politica, anche feroce e
intransigente, è una cosa,
ma l’accarezzare gli istinti
violenti è tutt’altra cosa.
Che si può indire
legittimamente e
democraticamente un
referendum per annullare
gli effetti della legge
Fornero, ma bisogna non
inseguire, circondare,
terrorizzare i familiari della
Fornero.
Se non c’è questo accordo
fondamentale, se si
protesta per le aggressioni
ricevute e mai per quelle
inflitte agli altri, non si
raggiungerà mai un
ragionevole accordo sul
fatto che la violenza
intollerante deve essere
condannata sempre, senza
giustificazionismi, senza
opportunismo, senza
acrobazie mentali. Se si
deroga a un principio per
convenienza o complicità,
allora la tentazione
dell’intimidazione avrà
campo libero, e la guerra
delle ritorsioni e delle
rappresaglie non conoscerà
argini. Tanto più in un
momento di rabbia sociale
e di cupezza collettiva, la
responsabilità di ciascuno
è di non alimentare
pulsioni di intolleranza. E
di chiamare lo squadrismo
squadrismo, qualunque sia
la causa da cui è ispirata e
di qualunque colore siano
le camicie indossate dai
professionisti
dell’intimidazione. E non
con le condanne a giorni
alterni.
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CHIARA DATTOLA
P
 Il corsivo del giorno
LEGGERE È UNA FESTA
LA SCUOLA LO INSEGNA?
di Ricardo Franco Levi
cinquant’anni fa Bob Dylan e come ricorda oggi
il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco
— questo è un viaggio che va iniziato subito, sin
dai primissimi anni di vita. Lettori veri, grandi
lettori, lo si diventa da piccoli. Dopo, è quasi
sempre «troppo tardi».
I genitori hanno nelle loro mani la prima chiave di questa specialissima educazione. Ma non
tutti i padri e le madri possono e sanno farlo. Per
questo, per offrire a tutti un’eguale opportunità,
è fondamentale la scuola.
Per fortuna, sono tantissimi gli insegnanti che
leggono e insegnano a leggere ai loro allievi. Una
scuola e un Paese che si rispettino non possono,
però, affidarsi alla buona volontà e alla passione
dei singoli.
Insegnare a leggere, educare alla lettura si
può, ma per farlo bisogna essere capaci e questo
vuol dire essere preparati, essere formati.
Ai ministeri della Cultura e dell’Istruzione
spetta il compito di lanciare un programma di
formazione permanente all’insegnamento della
lettura per i docenti di tutti gli ordini e gradi della scuola italiana, a partire dalle e con una particolarissima attenzione per le scuole materne e
primarie.
Le strutture, le competenze sono già tutte in
campo: c’è il Centro per il libro e la lettura, dopo
la prima presidenza di Gian Arturo Ferrari oggi
guidato da un grande libraio come Romano
Montroni; ci sono iniziative, progetti e istituzioni per la promozione della lettura come «Nati
per leggere», concentrato sui bambini tra i sei
mesi e i sei anni, e «In vitro», partecipato da enti
locali, bibliotecari, editori e librai.
Una cosa cerchiamo, invece, ad ogni costo di
evitare: la pesantezza. Ministro Giannini, la prego. Se vuole dare ai nostri ragazzi un suggerimento di lettura, non indichi come primo titolo
l’Ulisse di Joyce. Semmai, li inviti a leggere Il
Conte di Montecristo. La ringrazieranno per avere offerto loro l’occasione di un divertimento
straordinario e modernissimo. E ai genitori (e ai
nonni) suggerisca Tararì Tarera, la storia in
«lingua Piripù» che ha vinto il premio Andersen
2010. Leggendo un libro ai e con i propri figli (e
nipoti) prima ancora che imparino a camminare
e molto prima che imparino a parlare scopriranno di condividere una meravigliosa avventura e
faranno loro un regalo che si porteranno dietro
per sempre.
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POLITICA E INTERNET
LA SCELTA (NON NEUTRALE) DI OBAMA SUL WEB
di Edoardo Segantini
I
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l presidente degli Stati Uniti
Barack Obama, sconfitto alle
elezioni di medio termine, coglie la palla al balzo e prende
una posizione molto popolare, schierandosi a favore della net
neutrality. Tutti i contenuti si pagano allo stesso modo, vuol dire in sostanza questa espressione, indipendentemente dal peso di ciò che
si trasporta sulla Rete. In altre parole: tutto il traffico che passa sul web
dev’essere trattato in modo eguale,
senza «corsie veloci» (a pagamento) per alcuni contenuti. Dunque
Internet libero, bello e democratico. Ma è davvero così?
Il messaggio della Casa Bianca è
indirizzato all’autorità che regola le
comunicazioni, la Federal Communications Commission (Fcc), la cui
ultima proposta, pur vietando blocco e rallentamento dei contenuti
online, lascerebbe aperta la strada
agli accordi di paid prioritization:
le aziende che offrono contenuti
potrebbero cioè pagare i fornitori
di banda larga perché diano priorità ai loro dati e li facciano arrivare al
pubblico velocemente e senza interruzioni. Di fatto una Internet a
due velocità. Questa ipotesi è duramente osteggiata dai paladini della
neutralità della Rete come contraria ai principi del web aperto e paritario. Lo testimoniano i quattro milioni di commenti ricevuti dalla Fcc
— in gran parte contrari alle nuove
regole — durante la consultazione
pubblica degli ultimi mesi. Com’era
facile attendersi, mentre gli attivisti
della Rete hanno reagito con entusiasmo alla sortita del presidente,
di tutt’altro tenore è stata la reazione degli operatori di telecomunicazioni. In realtà, schierandosi a favore della net neutrality, Obama si
conferma tutt’altro che neutrale.
Alla base della decisione della Fcc
c’è infatti la volontà di creare un
mercato un po’ più equilibrato. Internet è diventata grande. Da una
parte ci sono i «vecchi» colossi telefonici, dall’altra i «nuovi» giganti
della Rete. L’enorme aumento del
traffico dati, il boom degli smartphone e la diffusione dei tablet richiedono forti investimenti nelle
infrastrutture di comunicazione. E
creano benefici soprattutto per gli
«over the top» che quei dati producono, come Google, Facebook e
Amazon, i veri sponsor della net
neutrality, e in misura inferiore per
le società di telecomunicazione che
li trasportano sulle proprie infrastrutture. Non è quindi sorprendente che a sollecitare la «doppia
Internet» siano gli operatori telefonici.
È uno scontro di titani, non di
grandi contro piccoli, e il presidente americano prende le parti dei signori del web, che lo hanno sempre
sostenuto, sposando la posizione
più popolare. Resta però un dubbio
grosso come una casa: oltre che popolare, sarà anche la posizione giusta nell’interesse degli utenti?
@SegantiniE
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