28 Mercoledì 12 Novembre 2014 Corriere della Sera Educazione Il viaggio che porta ad assaporare il piacere dei libri va iniziato nei primissimi anni di vita. Ad avviarlo sono genitori e insegnanti: i ministeri di Cultura e Istruzione devono predisporre la formazione permanente all’insegnamento della lettura ANALISI COMMENTI di Pierluigi Battista La famiglia Fornero e le urla vigliacche che Matteo Salvini deve condannare er tre giorni, alla fine del mese scorso, nelle scuole italiane, dagli asili ai licei, sono risuonate le voci di studenti e insegnanti, di autori, attori, artisti, giornalisti, politici, di persone di ogni mestiere ed occupazione, che hanno letto libri. Li hanno letti ad alta voce, per condividere con gli studenti l’emozione e il piacere della lettura. La scorsa settimana, a Milano, in Galleria, tra il Duomo e la Scala, ha riaperto, totalmente rinnovata in quattro mesi di lavori, la grande Libreria Rizzoli: 40 mila titoli, tre piani, 1.200 metri quadrati a comprendere, tra i tanti spazi, anche la «saletta Biagi», il luogo di lavoro del grande Enzo. E sarà ancora Milano, da domani a domenica, il teatro della terza edizione di Bookcity, la grande festa del libro che con le sue manifestazioni, i suoi incontri, le sue letture ad alta voce invaderà tutta la città. Bene. Anzi, benissimo. Meno della metà degli italiani, quarantatré su cento, leggono anche solo un libro all’anno. E sono appena sedici su cento quelli che ne leggono uno o due. Ben vengano, dunque, tutte le iniziative a favore della lettura e tutti i segni di vitalità che arrivano dal mondo del libro. Sapendo, certo, che non basteranno a trasformarci in un popolo di lettori. Molto di più, e con continuità, si dovrà fare. A partire dalla scuola. Daniel Pennac, l’autore dello straordinario Diario di scuola e «padre» della favolosa Famiglia Malaussène, con mille ragioni sostiene che «il verbo leggere non sopporta l’imperativo». Non si può comandare di leggere. Ma educare alla lettura si può. Purché si inizi molto, molto presto. Nell’Italia ancora largamente analfabeta degli anni Cinquanta il maestro Alberto Manzi poteva e doveva insegnare a leggere e scrivere dagli schermi della Rai perché per imparare a mettere in fila l’una dopo l’altra lettere, parole e frasi, fondamentale e basilare strumento della vita associata , è mille volte vero che «non è mai troppo tardi». Ma se leggere vuol dire provare il piacere e l’abitudine alla lettura, aprire le porte alla conquista di una serie senza fine di emozioni e conoscenze — le conoscenze indispensabili per i «tempi che stanno cambiando» come cantava M atteo Salvini ha ragione a lamentarsi per la mancata solidarietà del mondo politico dopo l’aggressione squadristica e violenta di cui è stato vittima a Bologna (e non solo lui, ma anche un giornalista cui i picchiatori hanno spezzato un braccio, a freddo). Ma dovrebbe essere coerente e prendere le distanze dagli squadristi che sono andati a intimidire i genitori di Elsa Fornero fin sotto le finestre della loro casa. Se gli urlatori intolleranti sono della Lega, o vicino alla Lega, spieghi loro che la demonizzazione di una persona (un tempo, da altre sponde, arrivarono ad accostare in rima «Fornero» e «cimitero»: attenzione) e della sua famiglia è una prerogativa dei vigliacchi. Che la critica politica, anche feroce e intransigente, è una cosa, ma l’accarezzare gli istinti violenti è tutt’altra cosa. Che si può indire legittimamente e democraticamente un referendum per annullare gli effetti della legge Fornero, ma bisogna non inseguire, circondare, terrorizzare i familiari della Fornero. Se non c’è questo accordo fondamentale, se si protesta per le aggressioni ricevute e mai per quelle inflitte agli altri, non si raggiungerà mai un ragionevole accordo sul fatto che la violenza intollerante deve essere condannata sempre, senza giustificazionismi, senza opportunismo, senza acrobazie mentali. Se si deroga a un principio per convenienza o complicità, allora la tentazione dell’intimidazione avrà campo libero, e la guerra delle ritorsioni e delle rappresaglie non conoscerà argini. Tanto più in un momento di rabbia sociale e di cupezza collettiva, la responsabilità di ciascuno è di non alimentare pulsioni di intolleranza. E di chiamare lo squadrismo squadrismo, qualunque sia la causa da cui è ispirata e di qualunque colore siano le camicie indossate dai professionisti dell’intimidazione. E non con le condanne a giorni alterni. © RIPRODUZIONE RISERVATA CHIARA DATTOLA P Il corsivo del giorno LEGGERE È UNA FESTA LA SCUOLA LO INSEGNA? di Ricardo Franco Levi cinquant’anni fa Bob Dylan e come ricorda oggi il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco — questo è un viaggio che va iniziato subito, sin dai primissimi anni di vita. Lettori veri, grandi lettori, lo si diventa da piccoli. Dopo, è quasi sempre «troppo tardi». I genitori hanno nelle loro mani la prima chiave di questa specialissima educazione. Ma non tutti i padri e le madri possono e sanno farlo. Per questo, per offrire a tutti un’eguale opportunità, è fondamentale la scuola. Per fortuna, sono tantissimi gli insegnanti che leggono e insegnano a leggere ai loro allievi. Una scuola e un Paese che si rispettino non possono, però, affidarsi alla buona volontà e alla passione dei singoli. Insegnare a leggere, educare alla lettura si può, ma per farlo bisogna essere capaci e questo vuol dire essere preparati, essere formati. Ai ministeri della Cultura e dell’Istruzione spetta il compito di lanciare un programma di formazione permanente all’insegnamento della lettura per i docenti di tutti gli ordini e gradi della scuola italiana, a partire dalle e con una particolarissima attenzione per le scuole materne e primarie. Le strutture, le competenze sono già tutte in campo: c’è il Centro per il libro e la lettura, dopo la prima presidenza di Gian Arturo Ferrari oggi guidato da un grande libraio come Romano Montroni; ci sono iniziative, progetti e istituzioni per la promozione della lettura come «Nati per leggere», concentrato sui bambini tra i sei mesi e i sei anni, e «In vitro», partecipato da enti locali, bibliotecari, editori e librai. Una cosa cerchiamo, invece, ad ogni costo di evitare: la pesantezza. Ministro Giannini, la prego. Se vuole dare ai nostri ragazzi un suggerimento di lettura, non indichi come primo titolo l’Ulisse di Joyce. Semmai, li inviti a leggere Il Conte di Montecristo. La ringrazieranno per avere offerto loro l’occasione di un divertimento straordinario e modernissimo. E ai genitori (e ai nonni) suggerisca Tararì Tarera, la storia in «lingua Piripù» che ha vinto il premio Andersen 2010. Leggendo un libro ai e con i propri figli (e nipoti) prima ancora che imparino a camminare e molto prima che imparino a parlare scopriranno di condividere una meravigliosa avventura e faranno loro un regalo che si porteranno dietro per sempre. © RIPRODUZIONE RISERVATA POLITICA E INTERNET LA SCELTA (NON NEUTRALE) DI OBAMA SUL WEB di Edoardo Segantini I Su Corriere.it Puoi condividere sui social network le analisi dei nostri editorialisti e commentatori: le trovi su www.corriere.it l presidente degli Stati Uniti Barack Obama, sconfitto alle elezioni di medio termine, coglie la palla al balzo e prende una posizione molto popolare, schierandosi a favore della net neutrality. Tutti i contenuti si pagano allo stesso modo, vuol dire in sostanza questa espressione, indipendentemente dal peso di ciò che si trasporta sulla Rete. In altre parole: tutto il traffico che passa sul web dev’essere trattato in modo eguale, senza «corsie veloci» (a pagamento) per alcuni contenuti. Dunque Internet libero, bello e democratico. Ma è davvero così? Il messaggio della Casa Bianca è indirizzato all’autorità che regola le comunicazioni, la Federal Communications Commission (Fcc), la cui ultima proposta, pur vietando blocco e rallentamento dei contenuti online, lascerebbe aperta la strada agli accordi di paid prioritization: le aziende che offrono contenuti potrebbero cioè pagare i fornitori di banda larga perché diano priorità ai loro dati e li facciano arrivare al pubblico velocemente e senza interruzioni. Di fatto una Internet a due velocità. Questa ipotesi è duramente osteggiata dai paladini della neutralità della Rete come contraria ai principi del web aperto e paritario. Lo testimoniano i quattro milioni di commenti ricevuti dalla Fcc — in gran parte contrari alle nuove regole — durante la consultazione pubblica degli ultimi mesi. Com’era facile attendersi, mentre gli attivisti della Rete hanno reagito con entusiasmo alla sortita del presidente, di tutt’altro tenore è stata la reazione degli operatori di telecomunicazioni. In realtà, schierandosi a favore della net neutrality, Obama si conferma tutt’altro che neutrale. Alla base della decisione della Fcc c’è infatti la volontà di creare un mercato un po’ più equilibrato. Internet è diventata grande. Da una parte ci sono i «vecchi» colossi telefonici, dall’altra i «nuovi» giganti della Rete. L’enorme aumento del traffico dati, il boom degli smartphone e la diffusione dei tablet richiedono forti investimenti nelle infrastrutture di comunicazione. E creano benefici soprattutto per gli «over the top» che quei dati producono, come Google, Facebook e Amazon, i veri sponsor della net neutrality, e in misura inferiore per le società di telecomunicazione che li trasportano sulle proprie infrastrutture. Non è quindi sorprendente che a sollecitare la «doppia Internet» siano gli operatori telefonici. È uno scontro di titani, non di grandi contro piccoli, e il presidente americano prende le parti dei signori del web, che lo hanno sempre sostenuto, sposando la posizione più popolare. Resta però un dubbio grosso come una casa: oltre che popolare, sarà anche la posizione giusta nell’interesse degli utenti? @SegantiniE © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 8727381
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