Il sistema nazionale di allertamento: un complesso mosaico fra

Il sistema nazionale di allertamento: un complesso mosaico fra coordinamento e sussidiarietà
Luca Delli Passeri-Filippo Thiery Centro Funzionale Centrale – Dipartimento Nazionale della
Protezione Civile
Il Sistema di allerta nazionale per il rischio meteo-idrogeologico e idraulico ha la finalità di allertare
e attivare il Servizio Nazionale della Protezione Civile ai diversi livelli territoriali. La gestione di
questa complessa macchina operativa è assegnata dalla legge dello Stato al Dipartimento Nazionale
della Protezione Civile ed alle Regioni e Province Autonome, attraverso la Rete dei Centri
Funzionali, avente compiti specifici sia nelle attività di previsione che in quelle di monitoraggio e
sorveglianza degli eventi meteo-idrogeologici e idraulici e dei loro effetti sul territorio. Nell’ambito
di questa Rete, il Centro Funzionale Centrale svolge un ruolo di indirizzo e coordinamento,
occupandosi pertanto da un lato di raccordare i contributi dei Centri Funzionali Decentrati attivi ed
autonomi nell’emissione di avvisi meteo-idrologici sul proprio territorio di competenza, dall’altro di
sostituire nei compiti e nelle funzioni quelli non attivi, o attivi solo in parte, il tutto a comporre - e
ad aggiornare quotidianamente - un quadro nazionale armonico e coerente relativamente alla
fenomenologia meteorologica attesa, sia dal punto di vista dei prodotti meteorologici ordinari
(bollettini di vigilanza) che da quello della messaggistica di carattere straordinario (avvisi di
avverse condizioni meteorologiche).
Questo meccanismo, organizzato ed attivo nel nostro Paese a partire dal 2004, ha rapidamente
raggiunto livelli di efficiente funzionamento e di forte consolidamento, facilitati anche dalla
riproposizione quotidiana del meccanismo di condivisione delle informazioni e quindi dalla elevata
frequenza di oliatura delle procedure e di taratura dei linguaggi fra le varie componenti del Sistema.
Ciò non toglie che si intravedano importanti margini di miglioramento, su prospettive anche di
breve scadenza, se si perseguiranno strategie di superamento di una innegabile situazione,
fisiologicamente stratificatasi nel corso degli anni, di “disomogeneità orizzontale” fra i vari servizi
meteorologici regionali, come è stata efficacemente definita da un recente articolo pubblicato a
firma di cinque responsabili dei medesimi servizi regionali (Ecoscienza n°1/2012 – “Riflessioni per
una meteorologia all’altezza delle sfide”), nel quale sono state anche delineate una serie di proposte
che sarebbe quanto mai opportuno mettere in atto, nell’ottica di una ulteriore ottimizzazione della
Rete dei Centri Funzionali. Si sta parlando, evidentemente, di una disomogeneità a vari livelli,
riguardante tanto i codici scelti nei processi di trasferimento delle informazioni (codici spesso molto
differenti anche a parità di emittente, ricevente, contenuto della comunicazione e canale utilizzato
per la medesima), quanto l’utilizzo e la validazione dei dati, le catene modellistiche utilizzate, la
tempistica di emissione dei vari messaggi, la traduzione in scenari di rischio, le procedure di
allertamento e via dicendo, tutti elementi che concorrono a rendere l’informazione meteorologica
sul territorio nazionale spesso troppo eterogenea e frammentaria, andando quindi a costituire un
possibile elemento di fragilità del sistema, peraltro di non difficile consolidamento nel momento in
cui si riescano ad investire tempo ed energie in questa direzione.
Nel medesimo articolo appena citato, in un paragrafo significativamente intitolato “Gestire bene la
comunicazione nell’ultimo miglio”, si fa anche riferimento ad una tematica che va assumendo una
importanza sempre più cruciale nell’ambito della catena di allertamento e della diffusione, a tutti i
livelli, delle informazioni sul rischio connesso ai fenomeni meteorologici.
Una nutrita collezione di eventi, nel passato recente e non solo, ha infatti evidenziato il problema di
una frequente scarsa corrispondenza fra la previsione del fenomeno da parte del Sistema nazionale
di allertamento ed il messaggio effettivamente giunto alla popolazione, tipicamente attraverso i
media, sul quale spesso si innestano anche una serie di interventi di “disturbo”, alcuni voluti altri
meno, da parte degli altri attori presenti sul variegato palcoscenico che magicamente si popola ogni
qualvolta la situazione meteorologica sull’Italia assume carattere di significatività, provenienti sia
dal mondo della politica (che ha ovviamente le sue regole, fatte anche di cavalcare gli eventi per
interessi di parte) che da quello dei competitors privati (che ha a sua volta i propri dettami, volti
fisiologicamente al cercare il picco dell’audience e quindi degli introiti pubblicitari) e non ultimo da
quello della stessa informazione (che non sempre privilegia il criterio di fornire le notizie in modo
asciutto, chiamando pioviggini le pioviggini e nubifragi i nubifragi, ma cede sovente alla tentazione
di gonfiare l’evento a meritare un titolo più appariscente ed a salire di pagina).
Per troppi anni questo aspetto è stato scarsamente considerato, se non ignorato, da parte del mondo
tecnico-scientifico, nel caso specifico da parte di chi era deputato – ai vari livelli – all’analisi ed alla
previsione dello stato dell’atmosfera, sottovalutando pesantemente il fatto che se a valle del
complesso ed avanzato processo che porta all’emissione di una previsione meteorologica, è poi
assente o carente l’ultimo anello della catena – quello del trasferimento dell’informazione a chi
deve poi esserne in qualche modo utente – tutti gli anelli precedenti (dalla radiosonda e dal satellite
meteorologico che scandagliano l’atmosfera alle imponenti catene di modellistica numerica che
tentano di simularne il l’evoluzione, alla onerosa gestione delle reti di monitoraggio, alla complessa
definizione degli standard, alla formazione altamente specialistica ed all’aggiornamento del
personale qualificato in meteorologia previsionale) rischiano di ridursi ad elementi tanto pregevoli
quanto effimeri, o nella migliore delle ipotesi di portare ad un risultato finale (la previsione) il cui
valore viene utilizzato ad una percentuale bassissima della sua reale potenzialità, conducendo ad un
rapporto costo/beneficio prossimo ad infinito.
In definitiva, appare evidente che, allo stato attuale, si potrebbero anche decuplicare all’istante le
risorse da investire in tutti i “primi anelli” di cui sopra, puntando ad un ulteriore miglioramento del
livello - già molto elevato – al giorno d’oggi raggiunto dall’accuratezza delle previsioni, ma si
faranno in realtà solo miseri passi avanti se non ci si occuperà di agire con decisione su quell’ultimo
passaggio che porta l’informazione meteorologica allo stato di essere fruibile, a partire dalla
possibilità di costituire l’input di processi decisionali in grado di salvaguardare i beni della
collettività e la stessa vita umana, da parte di tutti i componenti del Sistema Nazionale di Protezione
Civile, dal singolo cittadino fino all’autorità di protezione civile o di pubblica sicurezza.
E’ pertanto ora che gli specialisti di settore tecnico-scientifico, fra un turno da previsore e l’altro,
escano dalle sale operative e trovino, nel confronto con gli esperti del settore, una opportuna gamma
di spazi, mezzi, supporti, linguaggi e trasferimenti di competenze utili a porsi (ed a risolvere!) il
problema della “comunicazione” della previsione, ove questo singolo termine è forse riduttivo
rispetto al complesso ventaglio di problematiche che è urgente affrontare, e va quantomeno
declinato al plurale parlando di “comunicazioni”, o – più propriamente – di diversi “livelli di
comunicazione”, aventi caratteristiche peraltro molto differenti dal punto di vista della possibile
tempistica di realizzazione e, ancor più, da quella (più o meno a lunga scadenza) con cui si può
sperare di raccogliere apprezzabili risultati fra i destinatari di questo processo di diffusione e
condivisione delle informazioni. Si possono, in particolare, individuare almeno quattro di questi
livelli, collocabili rispettivamente nei seguenti ambiti:
la conoscenza dei fenomeni meteorologici e della loro prevedibilità: il perseguimento
dell’obiettivo di elevare in misura macroscopica la cultura media del Paese sulle
caratteristiche e sulla predicibilità degli eventi meteorologici, con ovvio e particolare
riferimento a quelli più intensi e quindi in grado di costituire un rischio per beni o
persone, andrebbe da un lato a migliorare in misura tangibile la consapevolezza e la
valutazione del rischio stesso, dall’altro a risolvere a monte il problema della pericolosa
sovrapposizione fra le informazioni ufficiali istituzionali e quelle divulgate (con
diffusione e visibilità mediatica ormai sempre più larghe) per finalità commerciali e
pubblicitarie, il cui elevato grado di appeal è tipicamente fondato proprio sul diffuso e
grave livello di ignoranza della popolazione in merito alla fenomenologia in questione
(esempio: la presunta possibilità di prevedere in modo deterministico il verificarsi di
pioggia o neve alla scala della frazione di comune o del quartiere ed al dettaglio dell’ora
o della mezzora, magari anche con anticipo di 5 o 10 giorni…). L’utente, nella
difficilmente eliminabile confusione informativa di cui sopra, deve essere messo in
grado di risolvere autonomamente (e non per atto di fede nei confronti dell’istituzione) il
dilemma su quali siano le informazioni realmente attendibili e da utilizzare quindi come
base per le proprie decisioni e pianificazioni, distinguendole automaticamente
dall’elevato livello di rumore e di pattume circostante.
la consapevolezza delle norme di comportamento ed autoprotezione: troppo spesso
le cronache ci raccontano di eventi in cui il verificarsi di gravi conseguenze per
l’incolumità dei cittadini deriva da un misto di fatalità ed imprudenza, ove purtroppo la
seconda assume tipicamente un peso determinante, e talvolta sconfina nei
comportamenti scriteriati. Se a volte ciò avviene per grave leggerezza e sottovalutazione
del rischio (e già questo è un livello di analfabetismo su cui è urgente agire con forza), in
molte occasioni si rileva invece una pura e semplice ignoranza di quali siano i
comportamenti corretti da tenere per ridurre la propria esposizione e vulnerabilità al
pericolo: anche i cittadini positivamente animati dalla volontà di agire in modo
responsabile, non sempre sanno cosa è corretto fare e talvolta finiscono addirittura per
mettere in atto comportamenti opposti a quelli di minimizzazione del rischio. Entrambe
le situazioni devono essere oggetto di intervento, da un lato abituando - anche con
messaggi volutamente scioccanti - la cittadinanza all’idea che la sottovalutazione del
rischio equivale a mettere a repentaglio la propria pelle e quella delle persone poste sotto
la nostra tutela, dall’altro a conoscere esattamente come comportarsi prima, durante e
dopo un evento a rischio.
la cognizione del concetto di probabilità insito nella valutazione del rischio: è il
punto più banale ed al tempo stesso più difficile. E’ infatti scontato ricordare che, se a
fronte delle previsione di un evento avverso si mettono in atto misure di protezione di
beni e persone, a partire da quelle rivolte verso se stessi e la propria comunità familiare,
con conseguente dispendio di tempo, cambi di programma o investimenti economici, e
poi l’evento intenso o estremo non si verifica, o si verifica a venti o cinquanta km di
distanza, questo non vuol dire che le risorse spese per attuare quelle misure nella zona
poi risparmiata dall’evento siano state “inutili” e quindi “buttate”, dal momento che se la
cautela è stata eccessiva lo si scopre solo a posteriori, e se l’evento sulla singola località
sarà realmente molto intenso o estremo lo si evince, tipicamente, solo quando è troppo
tardi per mettersi in sicurezza, se non lo si è fatto, almeno in parte, preventivamente;
altrettanto banalmente, se un evento estremo è stimato verificarsi con una probabilità, ad
esempio, del 60-70%, e questa previsione si rivela esatta, vuol dire che dobbiamo
aspettarcelo in media 6 o 7 volte su 10, vale a dire che le restanti 3 o 4 occasioni in cui le
misure di mitigazione del rischio si rivelano apparentemente “eccessive” fanno in realtà
parte del gioco probabilistico, se ci si vuole ritrovare in sicurezza quando l’evento
effettivamente si verifica, e non sono quindi occasioni da cogliere stoltamente (ed a volte
anche disonestamente) per evocare l’effetto “al lupo al lupo”. Questi sono concetti con i
quali qualsiasi cittadino ha in realtà un elevato grado di dimestichezza nella propria vita
quotidiana (ad esempio quanto pianifica uno spostamento in automobile da un quartiere
all’altro, valutando i tempi di percorrenza e riservandosi di partire con un margine di
anticipo variabile in base a quanto si possa permettere di tardare o meno ad un
appuntamento più o meno importante, e sapendo perfettamente che il rischio di un
ipotetico ingorgo nel traffico non corrisponde alla certezza, ma va messo in conto), ma
con i quali perde improvvisamente e clamorosamente confidenza quando si parla di
previsione e valutazione del rischio meteorologico, in merito al quale ci si aspetta invece
sempre e comunque la sicurezza assoluta, confondendo gravemente il determinismo di
un fenomeno con la sua prevedibilità. Si tratta di una tara mentale molto pericolosa e
quanto mai urgente da rimuovere.
la conoscenza e l’abitudine a consultare i prodotti di vigilanza ed allertamento: solo
a valle dei tre punti precedenti, l’utente finale della previsione sarà in grado di leggere ed
interpretare correttamente i bollettini, gli avvisi ed i messaggi meteorologici di qualsiasi
genere emessi dagli organi istituzionali competenti, utilizzandoli al 100% del valore del
loro contenuto informativo. Il cittadino deve però essere educato all’esistenza di questi
prodotti previsionali, all’abitudine alla loro consultazione ordinaria, all’automatismo fra
la lettura di tali informazioni e la loro immediata traduzione in passaggi decisionali ed
opportuni comportamenti. In quest’ottica, oltre alla necessità di proporre prodotti di
semplice lettura, di inequivocabile ed immediata interpretazione e di facile
approfondimento all’occorrenza, appare non marginale l’opportunità di uno sforzo,
anche importante, di omogeneizzazione dei vari bollettini meteorologici a fini di
protezione civile emessi dai diversi servizi delle Regioni e Province autonome, al fine di
creare uno standard nazionale in cui il cittadino italiano si possa ritrovare in automatico,
indipendentemente se vive a Firenze, lavora spesso a Milano e va talvolta a trovare i
parenti a Napoli, e non può essere messo in condizione di consultare, a seconda della
città in cui si trova in uno specifico giorno dell’anno, tre bollettini di vigilanza regionali
differenti sia nella grafica che nella legenda, nella classificazione dei fenomeni, nell’ora
di emissione, nel periodo di validità, nella divisione per aree geografiche, nella
caratterizzazione del grado di pericolo (per superamento soglia, per probabilità di
accadimento, per stima quantitativa, per descrizione aggettivale o iconografica, ecc.),
neanche stesse passando da Chicago alle Isole Fiji e di qui a Sorrento.
Se le tematiche generali su cui è prioritario investire nel campo della comunicazione del rischio
meteorologico appaiono quindi sufficientemente delineate, tutto da valutare è in quali sedi, con
quali risorse e con quali metodologie si possa e debba perseguire questo sforzo teso alla crescita del
Paese in tema di cultura della Protezione Civile, ed in particolare di rischio meteorologico. Non è
evidentemente questa la sede in cui si possano anche solo ipotizzare risposte specifiche a questa
gigantesca problematica, ma va da sé che l’istituzione scolastica appare il luogo principe in cui
proporre un percorso educativo che abbia qualche possibilità di radicarsi stabilmente nella società;
fermo restando il valore anche di una occasionale iniziativa in una singola classe di scuola
elementare, media o liceale, gli obiettivi tracciati in questa relazione, però, sono molto ambiziosi, e
presuppongono la possibilità di attivare percorsi educativi su larga scala ed in modo permanente, se
si vuole riuscire nell’intento di spostare, anche di poco, l’indicatore del livello di cultura del rischio
del cittadino medio sulla scala della consapevolezza, della capacità di azione e della responsabilità
personale e collettiva.