Il lepenista Salvini, tra fabbriche e Sud

INCHIESTA
| Metamorfosi leghiste
Il lepenista Salvini, tra fabbriche e Sud
La svolta dell'«altro Matteo» alla conquista dei delusi del centrodestra
di Mariano Maugeri
~W"1 Po e l'Etna uniti nella
JJ I lotta»: Francesco Jori,
W A l e g o l o g o e allievo di
Giorgio Lago, la svolta di Matteo Salvini la vede cosi. Unparadosso, uno dei tanti ai quali la
Lega Nord ci ha abituato negli
ultimi vent'anni.
Le parole d'ordine scorrono
a seconda delle congiunture politiche, le alleanze, gli umori
dell'elettorato, i tempi. Il maestro è sempre lui, l'Umberto,
uno che ai tempi d'oro sfornava
una missione a settimana: autonomismo-federalismo-secessione-Padania, fino ad accontentarsi di uno statuto speciale
virtuale per il lombardo-veneto, derubricato, vent'anni dopo
la fondazione Agnelli, a macroregione. Matteo ha un modo tutto suo di ricordare le topiche di
chi lo ha preceduto: «Ho preso
un partito al tre per cento» ripete sempre. E poi, in un colpo solo, uccide il padre e frantuma il
tabù della saga bossiana: «Non
mi interessa la Padania libera se
chiudono le fabbriche».
Salvini è un cane da tartufo,
uno che annusa e scava con folgorazioni che ricordano l'epifania bossiana. E rapido, intuitivo, un attor giovane che ha metabolizzato la valanga di errori
(e di compromessi) del capo.
L'altro Matteo, quando si dice
l'onomastica, è uno che agisce
e progetta per differenza, cercando di evitare prima di tutto
i colpi a vuoto. La sua teoria dei
tre deserti è scritta nelle cose:
il malumore crescente degli italiani, l'implosione della destra
da Bolzano a Siracusa, il rallentamento progressivo delle locomotive industriali del Paese,
una volta il granaio della Lega.
Solo con Berlusconi in sella e
con una copertura elettorale
omogenea di Forza Italia, dal
Nord a Sud, la Lega poteva accontentarsi della dimensione
territoriale. Di fronte al cambiamento, a Salvini non resta
che buttarsi in basso (a sud del
Garigliano) e a destra. Ecco
spiegate le incursioni a Napoli
e a Maletto, alle falde dell'Etna,
i tentativi, non nuovissimi, di
far nascere una Lega del Sud.
Palermo non è Vicenza e i siciliani, ammette il segretario
lumbard, non sono tutti mafiosi o forestali. Precisazioni foriere solo di equivoci per la sua
musa ispiratrice, Marine Le
Pen. Il bene è tutto all'interno
dai confini di una nazione, il
male sempre fuori. Basta intendersi sui confini, che la Lega ha
allentato prima dal Piave all'Arno - confini di acqua dolce,
dunque - ora fino a quelli salatissimi del Canale di Sicilia e di
Lampedusa, il luogo in cui, dopo la strage dei migranti del 3
ottobre dell'anno scorso, la Le
Pen bruciò sul tempo l'altro
Matteo con la sua passeggiata
trionfale tra gli isolani.
I voti per la Lega arrivano anche a Lampedusa (il 17% alle ultime europee) ma la sua ristoratrice-senatrice (ex), Angela Maraventano, nel collegio Isole ha
racimolato solo 546 voti di preferenza. E andata peggio ad Alimena, un paesotto di 2mila anime appollaiato sulle montagne
delle Madonie, non lontano da
Palermo, (22% di voti alla Lega).
L'ex sindaco Giuseppe Scrivano, candidato sconfitto con Nello Musumeci alle regionali del
2012, fu investito dai vertici di
via Bellerio del ruolo di leader
di una nascente Lega siciliana.
Un'innovazione prima di tutto
lessicale: dai maroniti (i seguaci di Bobo Maroni) ai madoniti.
Peccato che la nomina a leader
isolano, in un colpo solo, abbia
fatto perdere a Scrivano il posto di sindaco e quello di aspi-
rante deputato (si era candidato per la Lega Nord nel20i3). Poteva finire qui, ma subito dopo
le Politiche i Ros gli recapitano
un avviso di garanzia per voto
di scambio con una famiglia mafiosa di Bagheria. Spot del sindaco a favore di telecamera: «La
Lega è un partito perfetto!».
Lui, forse, un po' meno.
Dubbioso sulle vere attitudini dei siciliani, il giovane Matteo ha scelto di riparare tra i
lumbard, gente per bene, "i
40mila", non per numero ma
per espressione radicale di un
pensiero, che sabato scorso
hanno sfilato a Milano contro i
migranti clandestini, contro la
crisi, contro l'euro. La fobia sulla moneta unica, eletta a nemico numero uno, come osserva
Stefano Bruno Galli, docente
di Dottrine politiche a Milano
e capogruppo di Regione Lombardia in una lista collegata a
Maroni presidente, rileva
«una contraddizione». Spiega
Galli: «I movimenti autonomisti avrebbero tutto da guadagnare dalla sottrazione di poteri agli Stati nazionali e dalla nascita di un'Europa dei popoli.
Difficile concepire questa costruzione senza l'euro».
Nell'attesa di una riflessione
sull'argomento, il neo segretario mostra consensi inoppugnabili: sempre multipli di tre, quindi dal sei al nove. La ricetta sicullepenista funziona. «Le cose facili non mi sono mai piaciute»
chiosa l'altro Matteo, mentre il
Po e l'Etna, almeno per il momento, stanno a guardare
BIPRODUZIONERISEBVATA
RIMONTA
Consensi dal 3 al 9% con la
guerra ai migranti e il no
all'euro, ma la discesa alSud
può indebolire il fronte
autonomista settentrionale
Contro migranti e moneta unica. Matteo Salvini, segretario della Lega
La storia elettorale della Lega
Dati in percentuale
Europee
2004
Politiche
2008
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2006
Nota: per le politiche risultati della Camera
Politiche
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Europee
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2014