Newsletter 10/2014 - Fondazione Rubes Triva

Mensile di aggiornamento e approfondimento in
materia di sicurezza sul lavoro
Numero 10 – Novembre 2014
Sommario
APPROFONDIMENTI
Prevenzione
SICUREZZA, IN AGENZIA ONERI LIMITATI
Per la Cassazione da valutare il ruolo effettivo dei vertici e le clausole contrattuali sugli
obblighi. La responsabilità del somministratore va provata caso per caso
Giampiero Falasca, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 17 ottobre 2014
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Sicurezza sul lavoro
I NUOVI INTERPELLI IN TEMA DI SICUREZZA SUL LAVORO
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La Commissione per gli interpelli ha fornito in data 6 ottobre 2014, importanti chiarimenti
interpretativi in ordine ad alcuni aspetti inerenti l’applicazione delle disposizioni in tema di
sicurezza nei luoghi di lavoro.
Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24 – 16 ottobre 2014
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Sicurezza e terremoti
IL RISCHIO SISMICO NEI LUOGHI DI LAVORO
I terremoti che hanno colpito nel maggio 2012 l'Emilia Romagna e la Lombardia hanno
dimostrato l'elevata vulnerabilità del sistema produttivo italiano nei confronti del rischio
sismico.
Luca Spaccino, Il Sole 24 ORE – Sicurezza 24, 15 ottobre 2014
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Prevenzione infortuni
LA DELEGA SULLA SICUREZZA NON LIBERA IL CDA
La linea tracciata dalla Cassazione sulle responsabilità penali dei vertici societari in caso di
incidenti e lesioni di lavoratori e addetti
Aldo Monea, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 27 ottobre 2014
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Prevenzione infortuni
NELL'INCARICO AUTONOMIA E RISORSE AD HOC
Una buona organizzazione del Cda richiede, sulla tutela della salute dei lavoratori, una
«delega gestoria» formulata con la massima accuratezza organizzativa e giuridica.
Aldo Monea, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 27 ottobre 2014
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Antincendio
LA PIANIFICAZIONE E LE MODALITÀ DEI CONTROLLI DELLE ATTREZZATURE E DEGLI IMPIANTI DI
PROTEZIONE
La sicurezza di un luogo di lavoro, ma lo stesso si può dire anche per altri ambienti, si
realizza in gran parte garantendo il rispetto di specifiche condizioni di esercizio e l’efficienza
dei dispositivi predisposti a tal fine.
Stefano Zanut, Il Sole 24 ORE Antincendio24, 15 ottobre 2014
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L’ESPERTO RISPONDE
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RASSEGNA DI NORMATIVA
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Chiuso in redazione il 31 ottobre 2014
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
Prevenzione
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Sicurezza, in agenzia oneri limitati
Giampiero Falasca, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 17 ottobre 2014
Prevenzione. Per la Cassazione da valutare il ruolo effettivo dei vertici e le clausole contrattuali
sugli obblighi. La responsabilità del somministratore va provata caso per caso
La responsabilità del personale direttivo di un'agenzia per il lavoro, in caso di infortunio del
lavoratore somministrato, deve essere verificata caso per caso, tenendo conto non solo del nesso
di causalità tra l'eventuale omissione delle norme antinfortunistiche e l'evento, ma anche del ruolo
effettivamente svolto da tali soggetti rispetto alla violazione delle regole di sicurezza. Con questo
principio, la Corte di cassazione (sentenza 42309/2014) ha annullato con rinvio una pronuncia della
Corte d'appello di Milano, che aveva condannato i responsabili di un'agenzia per il lavoro e quelli
dell'impresa utilizzatrice per l'infortunio occorso a un lavoratore somministrato. La dinamica di
questo infortunio era pacifica: un lavoratore si trovava all'interno di un centro commerciale, dove
ritirava e caricava su un furgone alcune attrezzature per conto del l'impresa utilizzatrice. Il
dipendente saliva sul parapetto situato ai margini del locale in cui stava lavorando (posto al
secondo piano del centro commerciale) per comunicare con un collega situato al piano terra, ma
perdeva l'equilibrio e cadeva al piano inferiore. Il giudice di primo grado aveva assolto sia i
responsabili dell'agenzia per il lavoro, sia quelli dell'impresa utilizzatrice, sostenendo che il
comportamento del lavoratore era stato talmente imprudente e imprevedibile da escludere che
eventuali violazioni da parte degli imputati (nello specifico, era contestata la mancata consegna
delle scarpe antinfortunistiche, e il mancato rispetto del riposo minimo giornaliero) avrebbero
inciso in maniera determinante sull'evento. Questa decisione veniva ribaltata dalla Corte d'appello
di Milano che, pur escludendo la rilevanza penale delle condotte, considerava responsabili agli
effetti civili gli imputati. La Cassazione riforma in parte la decisione di secondo grado. Secondo i
giudici di legittimità, la pronuncia della Corte territoriale risulta carente nella parte in cui considera
responsabili dell'infortunio i procuratori dell'agenzia per il lavoro, senza verificare se questi
avessero effettiva conoscenza – o comunque potenziale conoscibilità – dell'orario di lavoro del
dipendente che si è infortunato. Altrettanto carente, secondo la Suprema corte, sarebbe la
decisione nella parte in cui sono stati considerati responsabili i procuratori dell'agenzia per il lavoro
senza aver preventivamente verificato in che modo le parti del contratto commerciale di
somministrazione di personale (quindi, l'agenzia stessa e l'impresa utilizzatrice) avevano regolato
gli obblighi di prevenzione. La Corte, quindi, annulla la parte della sentenza che condanna questi
soggetti e rinvia alla Corte d'appello la controversia, chiedendo di riesaminare la loro posizione; i
giudici, secondo la sentenza, dovranno tenere conto della norma, contenuta nella legge Biagi, che
consente di trasferire all'utilizzatore tutti gli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro (fatti salvi
alcuni obblighi informativi di carattere generale), e del principio generale che, ai sensi dell'articolo
2087 del Codice civile, pone in capo al datore di lavoro l'onere di adottare tutte le misure
necessarie a tutelare l'integrità del lavoratore.
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
Sicurezza sul lavoro
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I nuovi interpelli in tema di sicurezza sul lavoro
(Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24 – 16 ottobre 2014)
La Commissione per gli interpelli, istituita ai sensi dell’art 12 del D.Lgs 81/08 presso il Ministero del
Lavoro e delle politiche sociali, ha fornito in data 6 ottobre 2014, importanti chiarimenti
interpretativi in ordine ad alcuni aspetti inerenti l’applicazione delle disposizioni in tema di 4
sicurezza nei luoghi di lavoro. I quesiti di ordine generale sull’applicazione della normativa in
materia di salute e sicurezza del lavoro possono essere inoltrati alla Commissione per gli interpelli,
esclusivamente tramite posta elettronica, dagli organismi associativi a rilevanza nazionale degli
enti territoriali e gli enti pubblici nazionali, nonché dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro
e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dai consigli nazionali
degli ordini o collegi professionali. Le istanze di interpello trasmesse da soggetti non appartenenti
alle categorie indicate o privi dei requisiti di generalità non potranno essere istruite. Non saranno
pertanto istruiti i quesiti trasmessi, ad esempio, da studi professionali, associazioni territoriali dei
lavoratori o dei datori di lavoro, Regioni, Province e Comuni. Le indicazioni fornite nelle risposte ai
quesiti costituiscono criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio delle attività di vigilanza.
Nomina, revoca e durata in carica dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza
Interpello n. 16 del 6 ottobre 2014
Con due distinte richieste - trattate unitariamente per la connessione tra le materie oggetto di
interpello - l'Unione Sindacale di Base (USB) dei Vigili del Fuoco ha esposto che:
a) in seguito al "passaggio del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco al regime di diritto pubblico" si
sarebbe prodotto un vulnus alle prerogative sindacali in materia di salute e sicurezza in quanto,
secondo la richiedente, in ragione della sopravvenuta impossibilità di operare delle Rappresentanze
Sindacali Unitarie, "il Dipartimento dei Vigili del Fuoco non ritiene più validi gli RLS nominati al/
'interno delle RSU";
b) l'Amministrazione non "riconoscerebbe" i Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS)
successivamente nominati- ai sensi dell'articolo 47, comma 4, del D.Lgs. 81/08;
c) non sottoponendoli, tra l'altro, alla prescritta formazione; sempre l'Amministrazione
considererebbe decaduti i RLS una volta trascorsi tre anni dalla loro nomina.
Tanto premesso, la richiedente ha chiesto di conoscere l'orientamento della Commissione al
riguardo e, in particolare, di sapere se "la nomina del Rappresentante dei Lavoratori per la
Sicurezza è soggetta a scadenza o rinnovo e, in caso positivo, dopo quanto tempo vanno
rinominati".
In primo luogo la Commissione ha richiamato i criteri fissati nella Legge delega volti ad assicurare
la presenza del RLS in ogni luogo di lavoro in base alle disposizioni di legge e per mezzo di un
rinvio alla regolamentazione contrattuale in ordine alle sue modalità di elezione o designazione.
Viene poi ricordato che per le aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori il RLS è eletto o
designato dai lavoratori nell’ambito delle rappresentanze sindacali in azienda. In assenza di tali
rappresentanze il rappresentante è eletto dai lavoratori al loro interno. Richiamando l’art. 48 del
Testo Unico Sicurezza la Commissione ha precisato che le funzioni del rappresentante, in caso di
mancata elezione, sono esercitate dai rappresentanti territoriali o di sito produttivo, salvo diverse
intese tra le associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale. A tale riguardo la Commissione ritiene che ove la
contrattazione non sia ancora esistente e la precedente abbia superato i propri termini di efficacia,
debba continuare ad operare la precedente disciplina contrattuale in regime di ultrattività. Ciò per
evitare che per ritardi della contrattazione, i lavoratori restino privi del proprio RLS.
Conseguentemente i RLS il cui mandato sia scaduto, perché riferito ad una contrattazione a sua
volta scaduta, potranno continuare a svolgere le proprie funzioni di rappresentanza fino a quando
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
non intervenga la successiva regolamentazione contrattuale e quindi, in base alla stessa, si
proceda ad una nuova elezione o designazione del RLS.
Il Rappresentante dei lavoratori di gruppo
Interpello n. 17 del 6 ottobre 2014
E’ stata formulata dall'Associazione Bancaria Italiana istanza di interpello in ordine alla possibilità di
prevedere, nell’ambito del nuovo Accordo sindacale di tale settore in tema di rappresentanza dei
lavoratori per la sicurezza:
• l’istituzione del RLS anche a livello di insieme di aziende facenti capo ad un Gruppo bancario e
non esclusivamente alla singola azienda;
• che tali RLS siano legittimati ad esercitare tutte le attribuzioni e le prerogative di legge,
nell’ambito delle imprese del Gruppo bancario individuato, quindi anche per quelle aziende che a
causa delle ridotte dimensioni, potrebbero rimanere prive di una specifica rappresentanza.
Nell’istanza di interpello è evidenziata la volontà delle parti sindacali firmatarie del contratto
collettivo del credito di definire la figura del rappresentante operante non solo nella singola azienda
di credito ma nel diverso contesto del gruppo bancario. Tale scelta è riservata alle parti che 5
stipulano il contratto collettivo del lavoro.
La Commissione ha ritenuto che la scelta di individuare, nel nuovo Accordo sindacale del credito la
figura del RLS di gruppo, sia riservata alle parti che stipulano il nuovo contratto collettivo di lavoro
e corrisponda alle facoltà attribuite dal D.Lgs. 81/08 alle parti stesse per quanto concerne la
regolamentazione, in via pattizia, delle prerogative dei RLS. Ha poi sottolineato la Commissione
come l’esercizio di tale facoltà sia comunque condizionato all’integrale rispetto delle disposizioni
inderogabili in materia (ossia le disposizioni contrattuali non possono operare in funzione
modificativa). In particolare, l’opzione per il RLS di gruppo dovrà essere attuata facendo
necessariamente salvo il numero minimo di rappresentanti stabilito dall’art. 47 del D.lgs. 81/08 ed
applicando i criteri ivi previsti a ciascuna delle aziende che compongono il gruppo e senza che sia
possibile limitare in via contrattuale le attribuzioni del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
descritte all'art. 50 del D.Lgs. 81/08.
Visite mediche al di fuori degli orari di servizio
Interpello n. 18 del 6 ottobre 2014
Con l’Interpello n. 18 del 6 ottobre 2014, il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha risposto
ad un quesito posto dall’Unione Sindacale di Base dei Vigili circa le visite mediche periodiche. Si
ricorda, in via preliminare, che il medico competente deve eseguire accertamenti periodici per
controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione
specifica (art. 41 del D.Lgs. 81/08) con le periodicità previste per i singoli rischi. Lo scopo è quello
di cogliere fin dall'inizio i sintomi di malattie attribuibili ad eventuali esposizioni lavorative, al fine di
allontanare i soggetti dal rischio; questa è però una misura cautelativa tardiva, ben lontana dal
concetto attuale di protezione dei lavoratori, e indice di un fallimento dei sistemi di prevenzione
primaria. La visita riveste comunque una particolare importanza in relazione alla finalità di
segnalare al datore di lavoro le carenze riscontrate e procedere quindi ad una nuova valutazione
dei rischi e dei sistemi di prevenzione con sicuri benefici per la collettività. Anche la visita periodica
deve essere eseguita con la metodologia utilizzata per la visita preventiva: valutare cioè l'idoneità
del lavoratore a continuare ad essere esposto al rischio senza pregiudizio per la propria salute. In
questa occasione sarà inoltre possibile controllare la correttezza delle valutazioni effettuate nel
corso dei precedenti accertamenti e la validità dei giudizi di idoneità formulati, e provvedere alle
eventuali correzioni. L’interpellante, nel caso specifico, chiedeva se l'effettuazione delle suddette
visite periodiche deve avvenire nell'orario di lavoro o se il datore di lavoro ha facoltà di inviare il
lavoratore a visita anche fuori dal normale orario di servizio, e, in quest'ultimo caso, se vada
corrisposta la retribuzione per lavoro straordinario. Ad avviso del Ministero del Lavoro, la visita
periodica per il rinnovo dell'idoneità psicofisica all'impiego, di cui all'art. 41 del D.Lgs. 81/08,
essendo funzionale all'attività lavorativa, può essere effettuata fuori dall'orario di lavoro solo per
giustificate esigenze produttive: in tal caso, il lavoratore andrà considerato a tutti gli effetti in
servizio. Il Ministero ha infatti ha ritenuto che, sebbene il citato art. 41 non preveda espressamene
che la visita debba essere eseguita durante l'attività lavorativa, è "di tutta evidenza che
l'effettuazione della visita medica è funzionale all'attività lavorativa, e pertanto il datore di lavoro
dovrà comunque giustificare le esigenze produttive che determinano la collocazione temporale della
stessa fuori dal normale orario di lavoro". Inoltre, anche alla luce di quanto disposto dall'art. 15,
comma 2, del suddetto decreto legislativo (secondo cui "le misure relative alla sicurezza, all'igiene
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
e alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per il
lavoratore"), se, per giustificate esigenze lavorative, il controllo sanitario avviene in orari diversi
dall'orario di lavoro, il lavoratore andrà considerato in servizio a tutti gli effetti durante la visita.
Aggiornamento professionale dei coordinatori per la sicurezza
Interpello n. 19 del 6 ottobre 2014
La Federazione Sindacale Italiana dei tecnici e Coordinatori per la sicurezza ha presentato istanza
di interpello per conoscere se, posto che per il corso abilitativo a coordinatore della sicurezza della
durata di 120 ore viene richiesta la presenza obbligatoria nella misura del 90%, sia corretto
equiparare tale indicazione (presenza al 90%) anche ai corsi di aggiornamento di 40 ore.
Al riguardo la Commissione ha rimarcato, in primo luogo, la distinzione tra il corso di formazione
per coordinatore e il corso di aggiornamento. Il primo è una condizione per il conseguimento della
qualifica di coordinatore, mentre il secondo è una condizione per il mantenimento della stessa.
Con riferimento al quadro normativo specifico la Commissione ha ritenuto che l’obbligo di
frequenza almeno nella misura del 90% riguardi esclusivamente il corso di formazione, mentre per
i corsi di aggiornamento, anche in considerazione del fatto che l’aggiornamento può essere 6
distribuito nell’arco del quinquennio, la frequenza deve essere necessariamente pari al numero di
ore previsto. Pertanto i soggetti che abbiano effettuato l’aggiornamento con una durata inferiore a
quella prevista (40 ore) non potranno esercitare l’attività di coordinatore sino al completamento
dell’aggiornamento per il monte ore mancante.
Elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza nelle imprese con più di 15
lavoratori
Interpello n. 20 del 6 ottobre 2014
Il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro, ha inoltrato istanza di interpello per
conoscere il parere del Ministero del Lavoro in merito alla corretta interpretazione dell'art. 47 del
D.Lgs. 81/08. In particolare l'istante chiedeva di sapere"[...] se per le imprese con più di 15
lavoratori sia consentita l'elezione o la designazione del Rappresentante dei Lavoratori per la
Sicurezza esclusivamente tra i componenti delle Rappresentanze Sindacali Aziendali, o se
diversamente l'elezione possa riguardare anche lavoratori non facenti parte delle Rappresentanze
Sindacali Aziendali (ferma restando la designazione in caso di mancato esercizio del diritto di
voto)".
Occorre premettere, al riguardo, che Le disposizioni legislative che disciplinano le rappresentanze
dei lavoratori per la sicurezza sono intese a controbilanciare il potere datoriale attraverso
l’attribuzione di una maggiore responsabilizzazione dei lavoratori e, con le norme sull'informazione,
la formazione e la consultazione, realizzano un sistema aziendale caratterizzato da aspetti di
compartecipazione dell'azienda, da un lato, e dei lavoratori e dei loro rappresentanti, dall'altro. In
questa ottica, e con queste premesse, devono essere lette le disposizioni dettate dall’art. 47 e
segg. del D.Lgs 81/08, che prevedono che il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza debba
essere eletto e/o designato direttamente dai lavoratori al loro interno (nelle aziende o unità
produttive che occupano fino a 15 lavoratori) ovvero dai lavoratori medesimi nell'ambito delle
rappresentanze sindacali in azienda (nelle aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori). In
sostanza cioè il Rls è espressione diretta della volontà dei lavoratori che devono eleggerlo,
nominarlo e, se del caso, confermarlo.
L’elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è, quindi, un diritto dovere dei
lavoratori per cui tale figura deve essere presente in tutte le aziende o unità produttive.
In relazione al quesito dal Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro, il Ministero del
Lavoro ha chiarito che la scelta operata dal legislatore, per le aziende o unità produttive con più di
15 lavoratori, è quella di individuare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza nell’ambito
delle rappresentanze sindacali aziendali. Come poi espressamente previsto dall’art. 47, comma 4,
secondo periodo, del D.Lgs 81/08 l’eleggibilità del rappresentante, fra i lavoratori non appartenenti
alle RSA, opera esclusivamente laddove non sia presente una rappresentanza sindacale a norma
dell’art. 19 della legge 300/1970.
I criteri di qualificazione del docente formatore in materia di salute e sicurezza sul
lavoro
Interpello n. 21 del 6 ottobre 2014
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
Il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro ha formulato istanza di interpello al fine
di sapere se:
a) il consulente del lavoro che "abbia esercitato la professione per almeno 18 mesi" occupandosi
anche di salute e sicurezza sul lavoro sia in possesso del criterio di qualificazione n. 4 previsto dal
d.m. 6 marzo 2013 per lo svolgimento di attività di docente nei corsi in materia di salute e
sicurezza sul lavoro;
b) il consulente "che abbia svolto attività professionale per almeno un triennio, seguendo i propri
clienti anche in materia di salute e sicurezza del personale ed effettuandone i relativi adempimenti"
sia in possesso del criterio n. 5 previsto dal d.m. 6 marzo 2013 per lo svolgimento di attività di
docente nei corsi in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Entrambi i quesito fanno riferimento all’interpretazione del Decreto Interministeriale del 6 marzo
2013 (Cfr. comunicato pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 65 del 18 marzo 2013), recante i "criteri
di qualificazione della figura del formatore per la salute e sicurezza sul lavoro, anche tenendo conto
delle peculiarità dei settori di riferimento" (art. 6 del D.Lgs. 81/08), in vigore il 18 marzo 2014. Il
provvedimento, come noto, da un lato, riconosce tutti coloro che, con la propria consolidata
esperienza, già svolgono l’attività di formatori a livello esclusivo o nella propria azienda (in virtù di 7
specifici e comprovati incarichi rivestiti in materia di sicurezza sul lavoro), prevedendo un congruo
e definito periodo di salvaguardia, ove necessario, e dall’altro consente di espletare l'attività di
formazione a quei soggetti che già la svolgono professionalmente, purchè in possesso dei requisiti
essenziali e trasversali a qualunque tipologia di azienda o ente (titolo di studio adeguato,
conoscenza della materia, esperienza dei luoghi di lavoro, idonea capacità didattica) che possano
caratterizzare in modo efficace un percorso formativo in grado di far conseguire ai discenti quel
grado di preparazione e competenza richiesto ai fini della prevenzione degli infortuni sul lavoro e
delle malattie professionali. Ove mancante o parzialmente presente uno dei requisiti anzidetti, si
riconosce il titolo a svolgere l’attività di formazione compensando con l’incremento degli altri
requisiti, ove chiaramente possibile, ovvero consentendone l’acquisizione mediante idonei percorsi
formativi, o mediante un congruo periodo di affiancamento a docente esperto, per mantenere livelli
di qualità. Il documento individua inoltre una griglia di criteri valida sia dal punto di vista tecnico
che funzionale. Ciascun criterio è strutturato per garantire la contemporanea presenza dei tre
elementi minimi fondamentali che devono essere posseduti da un docente-formatore in materia di
salute e sicurezza sul lavoro: conoscenza, esperienza e capacità didattica. I criteri previsti non
riguardano la qualificazione della figura del formatore-docente in relazione ai corsi specifici per
Coordinatori per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori (articolo 98 del D.Lgs. 81/08), per
RSPP/ASPP (articolo 32 dello stesso decreto) e/o ad altre specifiche figure. Il prerequisito e i criteri
non riguardano inoltre le attività di addestramento.
Con riferimento al quesito sub a) la risposta, ad avviso del Ministero, deve essere trovata
analizzando quanto previsto dal quarto criterio previsto dal citato del d.m. 6 marzo 2013 che
espressamente dispone:
"Possesso di un attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento, a corso di formazione della
durata di almeno 40 ore in materia di salute e sicurezza sul lavoro (ai sensi del D.Lgs. 81/08).
Inoltre almeno 18 mesi di esperienza lavorativa o professionale coerente con l'area tematica
oggetto della docenza. Più una delle seguenti specifiche (didattica):
- percorso formativo in didattica, con esame finale, della durata minima di 24 ore (es. corso
formazione-formatori), o abilitazione ali 'insegnamento, o conseguimento (presso Università od
Organismi accreditati) di un diploma triennale in Scienza della Comunicazione o di un Master in
Comunicazione;
- docente, per almeno 32 ore negli ultimi 3 anni, in materia di salute e sicurezza;
- docente, per almeno 40 ore negli ultimi 3 anni, in qualunque materia;
- affiancamento a docente, per almeno 48 ore negli ultimi 3 anni, in qualunque materia”.
Di conseguenza, chiunque (sia o meno un professionista), in possesso del diploma di scuola
superiore, intenda avvalersi - per dimostrare di aver titolo a svolgere i compiti di docente in
materia di salute e sicurezza sul lavoro - del criterio n. 4 di cui al d.m. 6 marzo 2013 dovrà
dimostrare di avere frequentato il corso di almeno 40 ore previsto dal decreto e di avere, al
contempo, svolto per almeno 18 mesi "attività lavorativa o professionale" coerente con l'area
tematica di docenza. La formula usata dal decreto indica la necessità che tale attività sia stata
svolta in modo, per quanto non esclusivo, non episodico, in relazione alle aree tematiche di
interesse. Inoltre, a tali requisiti l'aspirante docente dovrà aggiungere necessariamente una delle
quattro alternative (percorso formativo in didattica, docenza ...) indicate specificamente.
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
Con riferimento al quesito sub b) la risposta, ad avviso del Ministero, deve essere trovata
analizzando quanto previsto dal quinto criterio previsto dal citato del d.m. 6 marzo 2013, in base al
quale è necessario essere in possesso di:
"Esperienza lavorativa o professionale almeno triennale nel campo della salute e sicurezza nei
luoghi di lavoro coerente con l'area tematica oggetto della docenza. Più una delle seguenti
specifiche (didattica):
- percorso formativo in didattica, con esame finale, della durata minima di 24 ore (es. corso
formazione-formatori), o abilitazione all'insegnamento, o conseguimento (presso Università od
Organismi accreditati) di un diploma triennale in Scienza della Comunicazione o di un Master in
Comunicazione;
- docente, per almeno 32 ore negli ultimi 3 anni, in materia di salute e sicurezza;
- docente, per almeno 40 ore negli ultimi 3 anni, in qualunque materia;
- affiancamento a docente, per almeno 48 ore negli ultimi 3 anni, in qualunque materia”.
Quindi, chiunque intenda avvalersi del quinto criterio di cui al d.m. 6 marzo 2013 dovrà dimostrare
di aver svolto, sempre in maniera non episodica, per almeno tre anni "esperienza lavorativa o
professionale " coerente con l 'area /ematica oggetto di docenza". A tale requisito, occorrerà 8
aggiungere la dimostrazione del possesso di una delle quattro alternative (percorso formativo in
didattica, docenza ...) individuate dalla norma.
Dotazione economica del Servizio di Prevenzione e Protezione (SPP) interno all'azienda
Interpello n. 22 del 6 ottobre 2014
L'Unione Sindacale di Base dei Vigili del Fuoco ha inoltrato istanza di interpello per conoscere il
parere di questa Commissione in merito alla corretta interpretazione dell’art. 31, del D.Lgs. 81/08
laddove prevede che "il servizio di prevenzione e protezione sia dotato di mezzi adeguati per
perseguire le finalità di cui al successivo art. 33". In particolare l'istante chiedeva di sapere se
"nella definizione di mezzi adeguati è da intendersi un budget di spesa congruo al raggiungimento
delle finalità previste".
Al riguardo il Ministero del Lavoro ha chiarito che, ai sensi dell'art. 2 del D.Lgs. 81/08, il servizio di
prevenzione e protezione è definito come "insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni
all'azienda finalizzati all'attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali per i lavoratori”.
In tal senso, a giudizio del Ministero, le previsioni dettate dall’art. 31 del D.Lgs. 81/08 sono dirette
ad assicurare che il servizio di prevenzione e protezione dai rischi disponga di tutto quanto
necessario allo svolgimento dei compiti affidati, avuto riguardo alla complessità aziendale e ai rischi
presenti. In relazione alle modalità per realizzare tali finalità, la scelta di assegnare un budget è
quindi rimessa alla discrezionalità dell’organizzazione aziendale.
Atteso quanto correttamente indicato dal Ministero, e non potendo fornire indicazioni sulla
dimensione e la struttura attuabili in linea generale (e ritenendo che nessuno possa proporle,
almeno con serietà e rigore), possiamo però, alla luce della vigente normativa, indicare diversi
possibili modelli del servizio di prevenzione e protezione. A tal fine occorre attentamente valutare
la loro applicabilità in diverse situazioni e la loro capacità di rispondere alla necessità di fornire il
miglior servizio possibile, nel modo più efficace, sia per i lavoratori che per le aziende. I seguenti
modelli, la loro realizzabilità, vantaggi e svantaggi sono stati così analizzati:
- Servizio "autarchico" di Prevenzione e Protezione interno all'azienda
Questo modello che opera dall'interno dell'azienda è soprattutto applicabile nelle aziende di media
e grande dimensione, sicuramente in quelle che impiegano più di 1000 lavoratori nello stesso
luogo, ma probabilmente anche in quelle con almeno 500 addetti, e sono in grado di avere una
equipe a tempo pieno con una composizione multidisciplinare. La forza di questo modello di
servizio interno consiste, al di là del fatto di poter contare su un'équipe a tempo pieno: negli stretti
legami tra il servizio e gli altri settori dell'azienda, come la direzione, le unità produttive, i
rappresentanti per la sicurezza eletti dai lavoratori; e nell'accesso all'informazione sull'attività
dell'azienda, con i piani per la modifica o per la realizzazione di nuovi posti lavoro,
dell'organizzazione del lavoro, dei cicli produttivi e delle attrezzature, etc. Un limite di questo
modello è che esso richiede un alto numero di lavoratori impiegati nella stessa azienda.
- Servizio di prevenzione e protezione interno all'azienda con supporti esterni
Riteniamo questa la soluzione migliore per le aziende industriali con più di 200 addetti (per legge
tenute ad avere il SPP interno) ma con meno di 1000 addetti (o 500, vedi punto precedente). In
questo caso il SPP non avrà al suo interno tutte le competenze necessarie, ma sarà più snello e
agile, e sarà supportato da un'adeguata rete di competenze esterne.
- Servizio di prevenzione e protezione per gruppi di aziende
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
Organizzato congiuntamente da diverse aziende di piccola e media dimensione generalmente
localizzate nella stessa area geografica. L'amministrazione ed il finanziamento del servizio può
essere garantito congiuntamente dalle aziende del gruppo interessato. Il vantaggio di questo
modello è la vicinanza con il posto di lavoro e la diretta proprietà da parte delle aziende, che sono i
clienti del servizio, e la sua flessibilità nel rispondere ai diversi bisogni delle piccole e medie
aziende. Ammesso che la popolazione di lavoratori di cui occuparsi sia sufficientemente ampia,
un'équipe a tempo pieno, ben equipaggiata e multidisciplinare, può essere organizzata in modo
assai simile a quella dei servizi delle grandi aziende. I problemi evidenziati in questo tipo di
modello sono invece legati al fatto che: l'attività viene condotta dall'esterno delle aziende, e ciò
potrebbe causare problemi particolarmente se le aziende sono disperse in una vasta area
geografica; si possono incontrare anche ostacoli nel tentativo di rispondere a bisogni molto
diversificati dato il grande numero di clienti.
- Servizi di Prevenzione e Protezione orientati per settore (o comparto produttivo)
E' questo un modello di servizio specificatamente organizzato per un particolare settore dell'attività
economica, come potrebbe essere quello delle costruzioni, quello alimentare, quello agricolo, etc.
La copertura geografica di tale servizio può variare, a seconda del comparto in questione, da 9
un'area geografica circoscritta, fino ad una dimensione regionale o interregionale. La forza di
questo modello consiste nella possibilità di organizzare servizi grandi, ben equipaggiati e con buon
personale, dotati, se necessario, di mezzi mobili, con la possibilità di concentrarsi su specifici
problemi del singolo comparto, e con la possibilità di portare avanti programmi di prevenzione o
azioni di promozione attraverso l'intero comparto. I problemi possono derivare dal carattere
esterno del servizio e, in alcuni casi, dalla localizzazione remota rispetto all'azienda. Non vi è
tuttavia dubbio sul fatto che in questo modello come nel primo, è fortemente aumentata la
possibilità di integrare l'attività di prevenzione con il processo produttivo, seguendo in questa
integrazione logiche organizzative di "Total Quality".
- Servizio di Prevenzione e Protezione esterno all'azienda
Questo modello che opera all’esterno dell'azienda è applicabile nelle aziende piccola dimensione,
che non posseggono, al loro interno, risorse specifiche da destinare a questa funzione. La forza di
questo modello consiste nell’estrema flessibilità di gestione e dai costi relativamente meno
sostenuti rispetto all’organizzazione di un servizio interno.
Occorre da ultimo chiarire che, per raggiungere la massima copertura di lavoratori e di aziende da
parte del servizio di prevenzione e protezione, nessuno dei modelli citati precedentemente da solo
è forse sufficiente, ma può essere necessaria la combinazione di due, o più, differenti opzioni per
offrire un servizio completo. La scelta del modello dovrebbe essere basata sulla realistica capacità
di dare soddisfazione ai bisogni delle aziende e dei lavoratori in questione e di assicurare la più
ampia copertura, senza, tuttavia, compromettere professionalità e qualità.
Lavori in ambienti confinati o sospetti di inquinamento
Interpello n. 23 del 6 ottobre 2014
Con ulteriore istanza di interpello la Federazione delle imprese energetiche ed idriche (FederUtility)
ha richiesto al Ministero del lavoro parere in merito alla corretta interpretazione dell’articolo 3 del
D.P.R. 14 settembre 2011, n. 177 recante il “Regolamento per la qualificazione delle imprese e dei
lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinanti, a norma
dell'articolo 6, comma 8, lettera g), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.
In riferimento al comma 1, l’interpellante richiedeva se, nel caso di attività che si svolgono in
ambienti confinati, di durata brevissima ma che vengono reiterate più volte nello stesso sito,
nell’ambito di un unico contratto, l’attività informativa possa essere considerata valida per tutta la
durata del contratto o debba essere ripetuta ogniqualvolta si acceda al sito. Premesso che
l’informazione ai lavoratori richiesta dal D.P.R. 177/11 (lavori in ambienti confinati o sospetti di
inquinamento) è aggiuntiva e specifica rispetto a quella disposta dall’art. 36 del D.Lgs. 81/08, è
parere della Commissione che la finalità del legislatore non sia quella di imporre al datore di lavoro
l’obbligo di erogare una informazione inutilmente ripetitiva, ma quella di assicurare che tutti coloro
che accedono in ambienti confinati siano puntualmente e dettagliatamente informati dal datore di
lavoro su tutti i rischi esistenti in tali ambienti e sulle misure di prevenzione ed emergenza da
adottarsi. Ciò comporta che spetterà al datore di lavoro committente valutare, caso per caso anche sulla base del tempo trascorso dall’ultimo accesso e della possibilità che le condizioni dei siti
sospetti di inquinamento o confinati si siano nel frattempo modificate – se l’informazione già
erogata per quel singolo e specifico sito debba essere ripetuta o meno.
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
Un ulteriore quesito era rivolto a conoscere la corretta interpretazione dell’art. 3 del D.P.R. 177/11
in ordine all’attività di vigilanza richiesta al rappresentante del datore di lavoro committente. A tale
proposito la Commissione ritiene che il ruolo affidato dal legislatore al rappresentante del datore di
lavoro committente sia finalizzato a coordinare le attività che si svolgono nell’ambiente lavorativo
per tutto il tempo necessario. Tale soggetto dovrà essere adeguatamente formato, addestrato, a
conoscenza di tutti i rischi dell’ambiente in cui si svolge l’attività dell’impresa e dovrà
sovraintendere all’adozione ed efficace attuazione della procedura diretta ad eliminare o ridurre al
minimo i rischi propri delle attività in ambienti confinati. Spetterà pertanto al datore di lavoro la
scelta della persona più idonea e delle modalità operative per svolgere tali compiti, specificando
nella procedura adottata se ed eventualmente quando, sia necessaria la presenza del proprio
rappresentante direttamente sul luogo di lavoro.
10
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
Sicurezza e
terremoti

Il rischio sismico nei luoghi di lavoro
Luca Spaccino, Il Sole 24 ORE – Sicurezza 24, 15 ottobre 2014
11
I terremoti che hanno colpito nel maggio 2012 l'Emilia Romagna e la Lombardia hanno dimostrato,
con il tragico bilancio di vittime tra i lavoratori e gli ingenti danni arrecati al patrimonio tecnologico
delle aree colpite, l'elevata vulnerabilità del sistema produttivo italiano nei confronti del rischio
sismico.
Le drammatiche conseguenze di un terremoto sulla capacità produttiva delle imprese, rende
indispensabile l'individuazione di interventi di prevenzione e protezione per garantire l'incolumità
dei lavoratori o quantomeno contenere i danni umani e materiali.
D'altra parte, la vigente normativa in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro
prevede, agli artt. 17 e 18 del D.Lgs. 81/2008, che i datori di lavoro effettuino una valutazione di
tutti i rischi per la salute e la sicurezza, sia interni che esterni all'azienda, comprendendo
evidentemente anche quelli connessi a possibili eventi catastrofici naturali (quali frane, inondazioni
ed appunto terremoti).
Obbligo questo confermato anche dalle "Procedure standardizzate per l'elaborazione del documento
di valutazione dei rischi" in cui si contemplano tra i pericoli presenti in azienda anche quelli
ambientali come, tra gli altri, i terremoti.
Cos'è il rischio sismico
La valutazione del rischio sismico risulta particolarmente complessa e legata non solo allo studio
delle caratteristiche di pericolosità della località in cui si trova un'azienda, ma anche al grado di
sicurezza delle strutture che la ospitano.
In particolare, il rischio sismico (R) ovvero i danni attesi nell'area di studio a seguito di un
terremoto, può essere visto come:
R=PxVxE
in cui:
P = la pericolosità intesa come probabilità che in una data area ed in un certo intervallo di tempo si
verifichi un terremoto che superi una determinata soglia di intensità (magnitudo o accelerazione di
picco-PGA)
V = la vulnerabiltà costituita dalla predisposizione di una costruzione ad essere danneggiata da una
scossa sismica.
E = l'esposizione che rappresenta la maggiore o minore presenza di beni a rischio nell'area di
studio e, quindi, la conseguente possibilità di subire un danno (economico, in termine di vite
umane, beni culturali o altro)
L'Italia è caratterizzata da una pericolosità sismica medio-alta, per la frequenza ed intensità dei
fenomeni che si susseguono. Rispetto ad altre aree del mondo, come la California o il Giappone,
costituite da una pericolosità maggiore, però, la vulnerabilità della Penisola è molto più elevata per
la fragilità del sistema edilizio, infrastrutturale, industriale e delle reti dei servizi. Anche
l'esposizione assume valori elevati per l'alta densità abitativa e la presenza di un patrimonio
storico, artistico e monumentale unico al mondo, facendo del nostro Paese un territorio ad elevato
rischio sismico.
La valutazione del grado di rischio, pertanto, procede su due piani differenti:
- la definizione del grado di pericolosità dell'area geografica in studio;
- l'individuazione della vulnerabilità della struttura oggetto di analisi.
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
Per la pericolosità, l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), sfruttando le
testimonianze storiche sugli effetti prodotti dai terremoti passati, ha avviato uno studio scientifico
basato su metodi ed approcci aggiornati e condivisi a livello internazionale, giungendo alla
definizione della Mappa di Pericolosità Sismica 2004 (MPS04). Per tutto il territorio nazionale
l'MPS04 individua l'accelerazione massima che può subire il suolo per effetto di un evento sismico
con probabilità di eccedenza del 10% in 50 anni, effettuando, quindi, una valutazione della forza
dei terremoti che possono verificarsi in quell'area.
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Figura 1 - MPS04-Mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale (Fonte: INGV)
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
Sulla base dei risultati scientifici ottenuti, ad ogni Comune italiano è stata attribuita una zona
sismica a pericolosità decrescente, utile per la gestione della pianificazione e per il controllo del
territorio da parte degli enti preposti (Regione, Genio Civile, ecc):
Zona 1 - E' la zona più pericolosa. Possono verificarsi fortissimi terremoti
Zona 2 - In questa zona possono verificarsi forti terremoti
Zona 3 - In questa zona possono verificarsi forti terremoti ma rari
Zona 4 - E' la zona meno pericolosa. I terremoti sono rari
13
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
Tabella 1 - Classificazione sismica del territorio (Fonte: Protezione Civile)
14
Figura 2 - Mappa della classificazione sismica al 2014
La vulnerabilità degli edifici, invece, rappresenta la propensione di una struttura a subire danni di
un certo livello in presenza di un evento sismico.
Durante un terremoto, infatti, un edificio subisce deformazioni di diversa entità a seconda della
tipologia costruttiva (muratura, calcestruzzo armato, acciaio) e della durata ed intensità del sisma
che lo colpisce.
Mentre risulta semplice definire la vulnerabilità per edifici già danneggiati, più complessa è la sua
valutazione per strutture non ancora integre. In questo caso si può ricorrere a diversi metodi di
valutazione:
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
- statistici che classificano le strutture in funzione dei materiali e delle tecniche costruttive,
basando l'analisi sui danni osservati in precedenti terremoti su edifici appartenenti alla stessa
tipologia;
- meccanicistici che utilizzano modelli teorici sugli edifici da valutare, determinando i danni
provocati da terremoti simulati;
- basati su giudizi di esperti che permettono di attribuire tramite delle schede di I e II livello
redatte dal Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti (GNDT) del CNR, un indice di vulnerabilità
all'edificio, determinato sulla base dei parametri che rappresentano l'idoneità dell'edificio stesso a
sopportare un sisma.
Al termine dell'analisi si può determinare:
- la vulnerabilità assoluta, ossia il danno medio in funzione dell'intensità sismica;
- la vulnerabilità relativa, che permette di classificare le costruzioni attraverso degli indici, privi di
una dipendenza diretta tra danno ed intensità sismica.
I risultati ottenuti, combinati con i censimenti Istat delle abitazioni, possono essere rappresentati in
una mappa contenente la distribuzione percentuale sul territorio nazionale delle strutture
15
appartenenti alle diverse classi di vulnerabilità.
Misure di prevenzione e protezione
La cartografia nazionale può essere utilizzata come dato di partenza dal datore di lavoro per la
valutazione del rischio sismico specifico dei luoghi di lavoro, accertando che la solidità delle
strutture corrisponda al loro tipo di impiego ed alle caratteristiche ambientali.
La verifica del grado di resistenza degli edifici dovrà essere fatta di concerto con il costruttore, il
collaudatore e/o tecnici esterni che, sulla scorta del progetto, determinano il livello di sicurezza
della struttura nei confronti di un possibile evento sismico, integrando il Documento di Valutazione
dei Rischi (DVR).
I metodi per effettuare questa analisi sono molteplici e la normativa non impone delle procedure
specifiche, a meno che gli edifici non siano di interesse strategico per le finalità di Protezione Civile
o per le conseguenze connesse ad un loro eventuale collasso.
Per queste tipologie di strutture, elencate negli allegati 1 e 2 del DPCM 21/10/2003, infatti, sono
normate le tecniche da utilizzare per l'individuazione del rischio sismico secondo 3 livelli di analisi,
di approfondimento crescente in funzione dell'importanza e delle caratteristiche strutturali
dell'opera oggetto di studio.
In un'ottica generale di prevenzione è, però, fondamentale avviare un percorso di valutazione della
sicurezza per tutti gli edifici che ospitano luoghi di lavoro progettati e realizzati prima della
classificazione sismica e quindi senza l'adozione di criteri di progettazione antisismica.
Una valutazione esaustiva non può, però, limitarsi alle sola stabilità delle strutture che ospitano i
luoghi di lavoro. Come dimostrano, infatti, gli eventi sismici avvenuti in Emilia Romagna, molto
spesso i danni più importanti possono essere causati dallo spostamento e/o dalla caduta di
macchinari, scaffalature, mobili ed altri oggetti presenti all'interno degli edifici.
A questo si aggiunge il rischio di incendio legato alla possibile fuoriuscita di materiale infiammabile
o alla rottura di tubazioni del gas e di linee elettriche, nonché il rischio ambientale legato a
sversamenti di materiali tossici o pericolosi.
L'analisi completa di tutti i possibili pericoli presenti porta a tre diverse conclusioni:
- il grado di sicurezza dell'ambiente è tale da non richiedere alcun intervento;
- sono da prevedere limitazioni nell'uso dei locali in assenza di adeguamenti;
- sono obbligatori degli interventi di adeguamento e/o miglioramento, sia globali che locali.
Le misure, ritenute necessarie, dovranno essere pianificate ed inserite nel programma per il
miglioramento dei livelli di sicurezza allegato al DVR aziendale per consentire di ottenere un livello
di rischio accettabile.
Le possibili misure di mitigazione vanno dagli interventi di adeguamento delle strutture esistenti
alla controventatura delle scaffalature, fino all'installazione di una valvola generale di
intercettazione della tubazione del gas, in grado di chiudersi in presenza di oscillazioni sismiche di
intensità tarata.
In seguito al terremoto emiliano sono state emanate diverse linee guida per fornire ai datori di
lavoro ed ai tecnici gli strumenti per una corretta valutazione della vulnerabilità sismica e dei
possibili interventi di adeguamento delle strutture produttive. Tra queste, particolarmente utili per
l'effettuazione di controlli di primo livello, finalizzati ad orientare i necessari successivi
approfondimenti, le Linee Guida emanate dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici per la
"Valutazione della vulnerabilità e interventi per le costruzioni ad uso produttivo in zona sismica" di
cui si riportano di seguito le principali schede di analisi:
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
Figura 3 - Criticità degli elementi strutturali (Fonte: LLGG Consiglio superiore LLPP)
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Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
Tabella 2 -Possibili controlli ed interventi su elementi strutturali (Fonte: LLGG Consiglio superiore
LLPP)
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Figura 4 - Criticità degli elementi secondari non strutturali - Le tamponature
(Fonte: LLGG Consiglio Superiore LLPP)
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Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
Tabella 3 - Possibili controlli ed interventi su elementi secondari non strutturali - Le tamponature
(Fonte: LLGG Consiglio Superiore LLPP)
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Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
Figura 5 - Criticità degli elementi secondari non strutturali - Le scaffalature
(Fonte: LLGG Consiglio Superiore LLPP)
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Figura 6 - Possibili controlli su elementi secondari non strutturali - Le scaffalature (Fonte: LLGG
Consiglio Superiore LLPP)
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Il Piano di Emergenza ed Evacuazione
A partire dal D.Lgs. 626/1994, la normativa italiana, inoltre, obbliga il datore di lavoro a
predisporre un adeguato Piano di Emergenza ed Evacuazione (PEE), inteso come strumento idoneo
non solo a valutare i rischi conseguenti a situazioni di emergenza interna o esterna, ma anche a
predisporre le necessarie misure tecniche, organizzative e procedurali. Un documento, quindi, il
PEE in cui si definisce una classificazione degli incidenti in base alla gravità ed alla tipologia di
evoluzione, individuando anche gli ambiti di responsabilità, le aree operative e di controllo, nonché
le modalità per l'evacuazione e l'attivazione della Pubblica Autorità
Il D.Lgs. 81/08 ribadisce questi aspetti, prevedendo tra gli strumenti di tutela individuati all'art. 15
comma1 lett. u), le "misure di emergenza da attuare in caso di primo soccorso, di lotta
antincendio, di evacuazione dei lavoratori e di pericolo grave ed immediato".
In particolare, il datore di lavoro dovrà:
- designare preventivamente i lavoratori incaricati dell'attuazione delle misure di prevenzione
incendi, di evacuazione dei luoghi in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo
soccorso e comunque di gestione dell'emergenza;
23
- definire le procedure di emergenza ed evacuazione, individuando i comportamenti che ogni
lavoratore dovrà tenere in caso di terremoto, sia durante la fase di scossa che successivamente;
- individuare i percorsi di esodo, scegliendoli in modo da assicurarne la fruibilità anche in caso di
crolli degli elementi strutturali e/o non strutturali e collocandovi la segnaletica adeguata alla loro
facile individuazione da parte di tutti i lavoratori;
- definire delle specifiche aree "sicure" di prima accoglienza in cui i lavoratori dovranno raccogliersi
in attesa dei soccorsi;
- curare l'informazione e la formare dei lavoratori sul rischio sismico e sulle misure di prevenzione
e protezione, ponendo particolare attenzione all'aggiornamento della squadra di addetti
all'emergenza. La verifica della congruità del PEE va garantita attraverso appropriate esercitazioni
pratiche sul luogo di lavoro, organizzate in modo da considerare tutti i possibili scenari di rischio
che un evento sismico potrebbe produrre nel luogo di lavoro (esplosioni, investimento di materiali,
spandimento di materiale tossico ecc) .
Di fondamentale importanza è, inoltre, la manutenzione periodica di tutti gli impianti e delle parti
strutturali e non degli edifici, nonché la predisposizione di tutti gli interventi di adeguamento
necessari per mantenere elevato il livello di sicurezza dei lavoratori.
La corretta progettazione degli edifici, l'adozione delle necessarie misure di prevenzione e la
corretta gestione della fase emergenziale, permettono di ridurre al minimo le perdite economiche e
sociali di un evento sismico, garantendo un rapido ritorno alla normalità.
Solo agendo sulla prevenzione, garantendo contemporaneamente la formazione e l'addestramento
continuo dei lavoratori, infatti, si può essere preparati ad affrontare un evento come il terremoto,
imprevedibile ma probabile in un Paese ad elevata pericolosità come l'Italia.
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
Prevenzione
infortuni

La delega sulla sicurezza non libera il Cda
Aldo Monea, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 27 ottobre 2014
Prevenzione infortuni. La linea tracciata dalla Cassazione sulle responsabilità penali dei vertici
societari in caso di incidenti e lesioni di lavoratori e addetti - Il consiglio d'amministrazione
dell'azienda ha doveri di controllo e di intervento sostitutivo del delegato
Il consiglio d'amministrazione delle società può essere chiamato a rispondere in caso di infortuni o
lesioni avvenuti sul lavoro. Può anche delegare le sue attribuzioni, nel campo della sicurezza, a un
consigliere, ma questo non elimina del tutto il suo ruolo di garanzia. Vediamo, dunque, quali sono
le responsabilità del Cda e i rischi legati a un'eventuale gestione scorretta della delega.
Il datore per la sicurezza
Il datore di lavoro per la sicurezza è il titolare del rapporto con il lavoratore o, comunque, colui
che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione, ha la responsabilità dell'organizzazione o
dell'unità produttiva, esercitando i poteri decisionali e di spesa (in base all'articolo 2, comma 1,
lettera b del Dlgs 81/2008). Questo datore non necessariamente coincide con quello in senso
lavoristico (si veda la sentenza della Cassazione penale, 4106/2014), vale a dire la controparte del
lavoratore nel contratto individuale di lavoro. L'effettivo vertice della sicurezza emerge, in pratica,
dall'organizzazione della singola impresa.
Il Cda come originario datore
Nelle Spa e nelle Srl, il consiglio di amministrazione impatta anche sul quadro organizzativo per la
sicurezza lavorativa, con conseguenze, sia pure indirette, sul piano delle responsabilità penali in
materia. Così, ad esempio, se non risulta un ruolo specifico di vertice della sicurezza, il Cda,
secondo la Cassazione, conserva tutti poteri del «datore di lavoro per la sicurezza». Quando,
invece, «deleghe gestorie» articolano l'originario indistinto assetto organizzativo del consiglio, sono
inevitabili delle conseguenze giuridiche.
La delega gestoria
Secondo l'articolo 2381, comma 2, del Codice civile, il Cda può delegare, attraverso lo strumento
organizzativo-giuridico della «delega gestoria», proprie attribuzioni a uno o più suoi componenti,
assicurando così, con la suddivisione di compiti, maggiore efficacia ed efficienza gestionale alla
propria azione. Nel determinare il contenuto e i limiti di questa delega (articolo 2381, comma 3 del
Codice civile), il consiglio, inoltre, può incidere sull'architettura della gestione direttiva e di quella
operativa della società, anche relativa alla sicurezza lavorativa.
Ogni scelta fatta con la delega, ma, persino, l'inazione del Cda, determinano, quindi, un qualche
assetto organizzativo della società, cui sono collegate conseguenze sulla individuazione del datore
per la sicurezza. Come insegna la giurisprudenza della Cassazione, le scelte (o le non-scelte) del
consiglio influiscono sul ruolo, ai fini della sicurezza del lavoro, di presidenti, eventuali
amministratori delegati e dell'intero Cda, con implicazioni di responsabilità individuale. In questo
senso i giudici (Cassazione penale, sezione 4, sentenza 21628/2013) hanno ritenuto che la
responsabilità per lesioni è, di regola, dell'intero organo, salvo delega di gestione a un singolo
consigliere. In questo caso, l'obbligo di adottare le misure antinfortunistiche si trasferisce dal
consiglio al delegato.
Le funzioni residue del Cda
Anche in caso di uso accurato della delega gestoria, tuttavia, il Cda conserva compiti residui e
quindi ha responsabilità per la sua eventuale inattività nella tutela della salute. In primo luogo
perché le norme sull'assetto organizzativo post-delega gestoria legano, indissolubilmente, alcuni
compiti e poteri al Cda: il comma 3 dell'articolo 2381 del Codice civile prevede che, dopo la delega,
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
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il Cda debba valutare l'adeguatezza dell'assetto organizzativo, possa impartire direttive agli organi
delegati e avocare operazioni delegate.
L'affermazione si evince, implicitamente, anche dall'articolo 2, comma 1, lettera b) del Dlgs
81/2008 che connette datore ad assetto organizzativo: perciò, se alcuni compiti e poteri restano al
Cda, anche la parte del ruolo di datore a essi inerente rimane a quell'organo.
Inoltre, nella prassi, è frequente che il Cda riservi a sé alcuni poteri (il principale è definire il
bugdet) o ponga limiti all'azione del delegato, così lasciandoli a sé.
Tutto ciò rileva ai fini della responsabilità penale per la sicurezza sul lavoro. La Cassazione, infatti,
ha affermato la non esclusione di responsabilità dell'intero organo, pur esistendo delega gestoria
ad amministratore per compiti sulla salute lavorativa, argomentando che il consiglio conserva
residui doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo in caso
di mancato esercizio della delega (tra le altre, si veda la sentenza della Cassazione penale 21628
del 2013). Altre volte la Corte ha stabilito che, pur in presenza di un consigliere delegato ad hoc,
resta un ruolo del Cda su profili strutturali e del processo produttivo incidenti sulla tutela della
salute (Cassazione penale, sentenza 4968/2014).
Parola chiave
Delega gestoria
È l'atto con il quale il consiglio di amministrazione di una società può delegare proprie attribuzioni a
un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti oppure a uno o più dei suoi membri.
Il Cda determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di esercizio della delega. Può dare
direttive ai delegati e avocare a sé operazioni che rientrano nella delega.
Le pronunce
LE GRANDI IMPRESE
A garantire non è sempre il vertice
Il presidente di un Cda è condannato per lesioni colpose a un dipendente, non avendo redatto,
come datore, il documento di valutazione dei rischi (Dvr). La Cassazione, pur confermando la
condanna, sostiene che, nelle grandi imprese, non è attribuibile, a priori, al Cda la responsabilità
per inosservanza di normative: bisogna accertare l'effettiva situazione di gerarchia delle
responsabilità all'interno dell'apparato organizzativo. Non rileva giuridicamente il fatto che ci sia un
responsabile del servizio di prevenzione e protezione, che è un semplice consulente del datore
(Cassazione, sezione IV penale, sentenza 38100 del 17 settembre 2014)
LA DELEGA
È responsabile il delegato del Cda
Il presidente del consiglio di amministrazione di una Spa è condannato per omicidio colposo, in
seguito all'infortunio di un dipendente. La Cassazione conferma, in larga parte, la sentenza. La
Corte stabilisce che, in una società di capitali, gli obblighi datoriali di prevenzione gravano su tutto
il Cda, ma anche che, se c'è stata delega a un amministratore delegato (nel caso specifico, una
delibera di Cda con delega delle funzioni di «datore di lavoro per la sicurezza»), l'obbligo di
adottare le misure antinfortunistiche si trasferisce sul delegato
(Cassazione, sezione IV penale, sentenza n. 21628 del 20 maggio 2013)
IL RUOLO DEL CONSIGLIO
Le scelte strutturali sono del Cda
Il legale rappresentante di una Spa è condannato per lesioni colpose da infortunio, benché un altro
componente del Cda fosse delegato per la sicurezza. La Cassazione conferma la sentenza,
sostenendo che la delega gestoria sulla prevenzione riduce il ruolo di garanzia del Cda ma non del
tutto: le scelte sui difetti strutturali e del processo produttivo attengono, di regola, al ruolo di
garanzia del Cda e, dunque, permane la sua responsabilità. Diversamente, si violerebbe il principio
del permanere sul delegante di obblighi di vigilanza e di intervento sostitutivo
(Cassazione, sezione IV penale, sentenza 4968 del 31 gennaio 2014)
LA DIREZIONE DEL LAVORO
Non decide il rappresentante legale
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
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Il legale rappresentante di una Spa è condannato per un infortunio avvenuto in uno degli
stabilimenti. La Cassazione annulla la sentenza, sostenendo che, nelle aziende di grandi
dimensioni, il legale rappresentante spesso non coincide con chi ha potere di organizzare il lavoro,
al quale spettano le responsabilità di prevenzione. La responsabilità di chi dirige l'unità è, però,
condizionata alla congruità dei suoi poteri decisionali e di spesa rispetto alle esigenze concrete di
prevenzione. Se l'intervento rientra nei suoi poteri, egli è onerato a titolo originario, non per
delega.
(Cassazione, sezione IV penale, sentenza n. 4106 del 3 febbraio 2011)
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Prevenzione
infortuni

Nell'incarico autonomia e risorse ad hoc
Aldo Monea, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 27 ottobre 2014
La redazione del documento. È necessario specificare nel dettaglio i compiti attribuiti
Una buona organizzazione del Cda richiede, sulla tutela della salute dei lavoratori, una «delega
gestoria» formulata con la massima accuratezza organizzativa e giuridica. In realtà, invece, spesso 27
i testi non sono di elevata qualità.
Peraltro, in generale si intende la tutela della salute per lo più come anti-infortunistica, senza
considerare che la salute lavorativa comprende anche la cura del benessere mentale e relazionale
di chi lavora e, quindi, la prevenzione di fenomeni di mobbing, burn-out e stalking lavorativo.
I documenti redatti nelle aziende sono spesso dettagliati e giuridicamente "raffinati" su deleghe di
attività centrali (ad esempio commerciali, di marketing, di produzione) e sono invece laconici e
ambigui sulle deleghe di attività "trasversali", come la sicurezza sul lavoro.
Una buona delega gestoria
In ogni società di capitali è invece essenziale una grande attenzione sulla formulazione di deleghe
gestorie comprensive dell'organizzazione della sicurezza sul lavoro. Il documento dovrebbe essere:
- il più possibile univoco, cioè chiaro ed esplicito nella determinazione operata. Un classico errore è
l'attribuzione del ruolo di datore lavoristico, pensando di avere così conferito anche il ruolo di
datore per la sicurezza. È invece auspicabile un'esplicita indicazione della denominazione di «datore
di lavoro per la sicurezza», prevista dal Dlgs 81/2008;
- non contraddittorio rispetto alla restante azione organizzativa. Un esempio negativo è un Cda (o il
presidente) che riservi a sé (e a scapito dell'amministratore delegato-presunto datore per la
sicurezza) poteri e leve funzionali alla sicurezza sul lavoro;
- congruo, cioé che si prospetti adeguato nei poteri e nelle risorse date rispetto alle esigenze di
sicurezza della specifica organizzazione. Bisogna evitare, ad esempio, la carenza di budget;
- esauriente, identificando nella descrizione del ruolo di delegato anche i profili principali di datore
per la sicurezza emergenti dal Dlgs 81/2008. È assolutamente necessaria, per esempio, una
specifica attenta dell'attribuzione dei compiti e dei poteri, tra cui quello della delega di funzioni
prevista dall'articolo 16 del Dlgs 81/2008;
- specifico, vale a dire puntuale nell'indicazione delle attribuzioni in materia di sicurezza;
- evocativo di un'assoluta autonomia di ruolo, in modo tale che il datore di lavoro per la sicurezza
non debba chiedere al Cda una convalida di proprie decisioni in materia. Semplificando, la delega
deve essere idonea a costruire un ruolo di datore per la sicurezza «a tutto tondo» e a comunicarlo
con chiarezza, all'interno della società e, se necessario, al suo esterno.
La delega di funzioni
Un discorso diverso è da fare quando alla macro-articolazione organizzativa nell'ambito del Cda,
mediante la delega finora descritta, segua una micro-organizzazione al livello dirigenziale ed
esecutivo sottostante della società.
In questo caso, si entra nel ben differente capitolo giuridico e organizzativo della «delega di
funzioni» del datore di lavoro per la sicurezza (come detto, di solito, lo stesso Cda o un
amministratore) verso propri delegati di funzione sulla sicurezza sul lavoro (Cassazione penale,
sezione IV, sentenza 20062/2010).
Per questa delega, bisogna prendere come riferimento normativo non il Codice civile, ma le regole
fissate dal Testo unico sulla sicurezza, Dlgs 81/2008 (principalmente l'articolo 16 sulla delega di
funzioni e l'articolo 18 sulle attribuzioni trasferibili dal datore al dirigente).
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
Antincendio

La pianificazione e le modalità dei controlli delle attrezzature e degli impianti di
protezione
Stefano Zanut, Il Sole 24 ORE Antincendio24, 15 ottobre 2014
La sicurezza di un luogo di lavoro, ma lo stesso si può dire anche per altri ambienti, si realizza in
gran parte garantendo il rispetto di specifiche condizioni di esercizio e l’efficienza dei dispositivi
predisposti a tal fine. Nel campo della prevenzione incendi, in particolare, questa attenzione viene 28
prevalentemente indirizzata verso i sistemi d’esodo, al fine di permettere alle persone di
allontanarsi agevolmente in caso di pericolo, e le attrezzature e gli impianti di protezione. Per
garantire continuità ed efficacia nelle loro prestazioni ed avere ragionevole certezza che in caso di
necessità risultino disponibili, è necessario pianificare attentamente i loro controlli periodici e le
modalità per risolvere gli eventuali problemi riscontrati. Tali attività, solitamente identificata come
gestione della sicurezza antincendio, richiede non solo attenzione. D’altra parte, come recita un
autorevole riferimento d’oltre oceano (NFPA 101, "Life Safety Code") "ogni sistema di protezione,
dispositivo o impianto che non sia mantenuto in condizioni di affidabilità operativa o sia utilizzato in
modo da rendere inefficace la prefissata funzione protettiva, dovrebbe essere considerato come
inesistente e non avere alcun credito nella valutazione globale del livello di sicurezza."
Nella gestione della sicurezza di un'attività, gli aspetti connessi con il mantenimento in efficienza
dei presidi destinati alla salvaguardia delle persone in caso d'incendio, dagli impianti di
spegnimento fino ai sistemi per a garantire l'evacuazione, sono considerati con attenzione a partire
dal D.Lgs 81/08, che richiama alla necessità che nei luoghi di lavoro " devono essere adottate
idonee misure per prevenire gli incendi e per tutelare l'incolumità dei lavoratori" (art. 46 Prevenzione incendi). Più oltre, ovvero nel suo allegato IV, punto 4, così si esprime nell’ambito
delle “m: 4.1.3. Devono essere predisposti mezzi ed impianti di estinzione idonei in rapporto alle
particolari condizioni in cui possono essere usati, in essi compresi gli apparecchi estintori portatili o
carrellati di primo intervento. Detti mezzi ed impianti devono essere mantenuti in efficienza e
controllati almeno una volta ogni sei mesi da personale esperto”. Contestualmente il legislatore
puntualizza alcuni aspetti su cui si riserva di emanare specifiche indicazioni in merito, ovvero:
a) I criteri diretti a individuare:
1) misure intese ad evitare l'insorgere di un incendio ed a limitarne le conseguenze qualora esso si
verifichi;
2) misure precauzionali di esercizio;
3) metodi di controllo e manutenzione degli impianti e delle attrezzature antincendio;
4) criteri per la gestione delle emergenze;
b) le caratteristiche dello specifico servizio di prevenzione e protezione antincendio, compresi i
requisiti del personale addetto e la sua formazione.
In attesa di tali disposizioni, permane come irrinunciabile riferimento il D.M. 10 marzo 1998 (Criteri
generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell'emergenza nei luoghi di lavoro), nel cui
ambito vengono date indicazioni sufficientemente precise su ognuno di tali aspetti. Per quanto
concerne il tema del controllo e della manutenzione delle attrezzature antincendio, in particolare, è
da considerare l'allegato VI (Controlli e manutenzione sulle misure di protezione antincendio),
strutturato in quattro parti:
- Generalità, con indicati gli obiettivi;
- Definizioni;
- Vie di uscita;
- Attrezzature e impianti di protezione antincendio.
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
Nelle generalità viene evidenziata l'importanza che "tutte le misure di protezione antincendio
previste:
- per garantire il sicuro utilizzo delle vie di uscita
- per l'estinzione degli incendi
- per la rivelazione e l'allarme in caso di incendio;
Devono essere oggetto di sorveglianza, controlli periodici e mantenute in efficienza".
D'altra parte questo stesso concetto viene richiamato anche dall'art. 64, punto e, del D.Lgs 81/08,
che pone a carico del datore di lavoro la necessità di provvedere affinché "gli impianti e i dispositivi
di sicurezza, destinati alla prevenzione o all'eliminazione dei pericoli, vengano sottoposti a regolare
manutenzione e al controllo del loro funzionamento."
Le definizioni servono a definire un tessuto condiviso anche di tipo terminologico e idoneo a
rappresentare le modalità di gestione. Il primo termine, di strategica importanza e ricorrente in
molte norme, è quello di sorveglianza, definita come "controllo visivo atto a verificare che le
attrezzature e gli impianti antincendio siano nelle normali condizioni operative, siano facilmente
accessibili e non presentino danni materiali accertabili tramite esame visivo. La sorveglianza può 29
essere effettuata dal personale normalmente presente nelle aree protette dopo aver ricevuto
adeguate istruzioni ". E' senza dubbio una componente fondamentale per garantire continuità tra le
fasi più strutturate del controllo e che può essere effettuata dal personale presente sul luogo di
lavoro purché abbia ricevuto adeguate informazioni su come operare.
Il controllo periodico, ovvero "l'insieme di operazioni da effettuarsi con frequenza almeno
semestrale, per verificare la completa e corretta funzionalità delle attrezzature e degli impianti",
viene invece effettuato da personale specializzato ordinariamente dipendente da ditte specializzate
in materia, oppure, per le attività più strutturate, anche da personale tecnico interno. È un'attività
di livello superiore rispetto alla sorveglianza e chi lo esegue deve essere specificamente preparato.
Infine la manutenzione, intesa come "operazione od intervento finalizzato a mantenere in efficienza
ed in buono stato le attrezzature e gli impianti", che si articola in ordinaria e straordinaria: la prima
si realizza con "riparazioni di lieve entità, abbisognevoli unicamente di minuterie e comporta
l'impiego di materiali di consumo di uso corrente o la sostituzione di parti di modesto valore
espressamente previste operazione che si attua in loco, con strumenti ed attrezzi di uso corrente" ,
mentre la seconda "non può essere eseguita in loco o pur essendo eseguita in loco, richiede mezzi
di particolare importanza oppure attrezzature o strumentazioni particolari o che comporti
sostituzioni di intere parti di impianto o la completa revisione o sostituzione di apparecchi per i
quali non sia possibile o conveniente la riparazione" .
Per provare a identificare ragionevolmente il profilo delle persone che possono effettuare tali
attività è possibile attingere alla norma UNI 9994-1:2013 (Estintori di incendio - Parte 1: Controllo
iniziale e manutenzione), che propone la seguente terminologia:
- Azienda di manutenzione: Azienda organizzata e strutturata che abbia nel proprio oggetto sociale
l'attività di manutenzione di estintori, dotata di persone competenti.
- Persone addette alla sorveglianza: Persona responsabile che abbia ricevuto adeguate informazioni
atte a controllare lo stato dell'estintore.
- Persona competente (manutentore, colui che si occupa della manutenzione): Persona dotata della
necessaria formazione ed esperienza che ha accesso ad attrezzature, apparecchiature ed
informazioni, manuali e conoscenze significative di qualsiasi procedura speciale raccomandata da
produttore di un estintore, in grado di eseguire su detto estintore le procedure di manutenzione
specificate dalla presente norma.
Ovviamente la norma si riferisce agli estintori portatili, ma i concetti espressi possono essere
impiegati anche in altri contesti.
È in ogni caso da evidenziare come il D.M. 10 marzo 1998 si riferisca genericamente a tutti gli
ambienti di lavoro, ma potrebbe anche prospettarsi il caso di un'attività regolamentata da una
specifica norma di prevenzione incendi (ad esempio nel caso delle scuole, dei locali di pubblico
spettacolo, degli alberghi, ecc.), contenente indicazioni sugli stessi aspetti e da considerare con
altrettanta attenzione.
Nel contesto specifico delle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi, in particolare il
tema della gestione in sicurezza dell'attività è definito dall'art. 6 (Obblighi connessi con l'esercizio
dell'attività) del D.P.R. 151/2011 (Regolamento recante disciplina dei procedimenti relativi alla
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
prevenzione incendi), che fornisce in merito le seguenti indicazioni: "Gli enti e i privati responsabili
di attività di cui all'Allegato 1 del presente regolamento, non soggette alla disciplina del decreto
legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni, hanno l'obbligo di mantenere in stato di
efficienza i sistemi, i dispositivi, le attrezzature e le altre misure di sicurezza antincendio adottate e
di effettuare verifiche di controllo ed interventi di manutenzione secondo le cadenze temporali che
sono indicate dal Comando nel certificato di prevenzione o all'atto del rilascio della ricevuta a
seguito della presentazione della SCIA" . Infine da indicazioni per l'istituzione di un registro su cui
annotare i controlli, le verifiche, gli interventi di manutenzione e l'informazione del personale, che
"dovrà essere mantenuto aggiornato e reso disponibile ai fini dei controlli di competenza del
Comando".
Le vie di uscita.
Per via di uscita, da utilizzare in caso di emergenza, s'intende un "percorso senza ostacoli al
deflusso che consente agli occupanti un edificio o un locale di raggiungere un luogo sicuro"
(definizione tratta dall'allegato III al D.M. 10 marzo 1998). Quando la consideriamo dobbiamo
quindi comprendere anche le porte, con i relativi dispositivi di apertura, ed i percorsi per 30
raggiungerle, nonchè tutti gli altri ausili ambientali funzionali a consentire che l'esodo si realizzi con
la massima efficacia. In quest'ultima categoria rientrano i sistemi di allarme per attivare
l'evacuazione, la cartellonistica e l'illuminazione di sicurezza, con l'obiettivo di permettere che le
persone si posano muovere agevolmente, ma anche gli eventuali sistemi e/o impianti finalizzati a
impedire la propagazione dell'incendio o del fumo lungo i percorsi. Nell'ambito di tali sistemi si
considerano solitamente le porte resistenti al fuoco e le eventuali serrande tagliafuoco presenti sui
condotti di ventilazione, oppure altre modalità di compartimentazione, oltre che impedire al fumo di
compromettere i percorsi.
Tali aspetti sono così proposti nella norma:
- Percorsi. "Tutte quelle parti del luogo di lavoro destinate a via di uscita, quali passaggi, corridoi,
scale, devono essere sorvegliate periodicamente al fine di assicurare che siano libere da ostruzioni
e da pericoli che possano comprometterne il sicuro utilizzo in caso di esodo".
- Porte sulle uscite di sicurezza "Tutte le porte sulle vie di uscita devono essere regolarmente
controllate per assicurare che si aprano facilmente. Ogni difetto deve essere riparato il più presto
possibile ed ogni ostruzione deve essere immediatamente rimossa. Particolare attenzione deve
essere dedicata ai serramenti delle porte".
- Porte resistenti al fuoco. "Tutte le porte resistenti al fuoco devono essere regolarmente
controllate per assicurarsi che non sussistano danneggiamenti e che chiudano regolarmente.
Qualora siano previsti dispositivi di autochiusura, il controllo deve assicurare che la porta ruoti
liberamente e che il dispositivo di autochiusura operi effettivamente".
- "Le porte munite di dispositivi di chiusura automatici devono essere controllate periodicamente
per assicurare che i dispositivi siano efficienti e che le porte si chiudano perfettamente. Tali porte
devono essere tenute libere da ostruzioni".
- Segnaletica di sicurezza. "La segnaletica direzionale e delle uscite deve essere oggetto di
sorveglianza per assicurarne la visibilità in caso di emergenza".
- Altre azioni finalizzate al miglioramento della prestazione generale. "Tutte le misure antincendio
previste per migliorare la sicurezza delle vie di uscita, quali per esempio gli impianti di evacuazione
fumo, devono essere verificati secondo le norme di buona tecnica e manutenzionati da persona
competente".
Relativamente ai percorsi è ovviamente l'azione di sorveglianza quotidiana a garantire che siano
lasciati liberti da impedimenti che ne compromettano l'efficacia, mentre per quanto concerne i
dispositivi di apertura delle porte risulta necessario fare un riferimento al D.M. 3 novembre 2004
(Disposizioni relative all'installazione ed alla manutenzione dei dispositivi per l'apertura delle porte
installate lungo le vie di esodo, relativamente alla sicurezza in caso d'incendio), che li considera
nell'ambito dell'art. 4 (Commercializzazione, installazione e manutenzione dei dispositivi). In
questo caso la filiera delle figure coinvolte parte dal produttore, che deve fornire le necessarie
informazioni ai fini dell'installazione e manutenzione dei dispositivi, per arrivare al titolare
dell'attività a cui aspetta il compito di "effettuare la corretta manutenzione del dispositivo
osservando tutte le istruzioni per la manutenzione fornite dal produttore del dispositivo stesso" e di
"annotare le operazioni di manutenzione e controllo sul registro di cui all'art. 6, comma 2, del
decreto del Presidente della Repubblica 1 agosto 2011, n. 151".
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
Le attrezzature e gli impianti di protezione antincendio
Relativamente a questo aspetto, oltre al necessario riferimento al punto 6.4 dell'allegato VI è
disponibile anche una ricca filiera di norme UNI che intervengono sulle varie tipologie di impianti e
attrezzature.
Nello specifico la norma si esprime nel seguente modo: "Il datore di lavoro è responsabile del
mantenimento delle condizioni di efficienza delle attrezzature ed impianti di protezione antincendio.
Il datore di lavoro deve attuare la sorveglianza, il controllo e la manutenzione delle attrezzature ed
impianti di protezione antincendio in conformità a quanto previsto dalle disposizioni legislative e
regolamentari vigenti". Successivamente ritorna sulle modalità per condurre l'attività di controllo
nelle sue varie articolazioni: "Scopo dell'attività di sorveglianza, controllo e manutenzione è quello
di rilevare e rimuovere qualunque causa, deficienza, danno od impedimento che possa pregiudicare
il corretto funzionamento ed uso dei presidi antincendio. L'attività di controllo periodica e la
manutenzione deve essere eseguita da personale competente e qualificato ".
Sorveglianza
La sorveglianza consiste in una misura di prevenzione, che deve essere effettuata da persona 31
responsabile che abbia ricevuto adeguate informazioni.
La sorveglianza è finalizzata ad esaminare lo stato dell'estintore tramite l'effettuazione dei seguenti
accertamenti:
- L'estintore è il suo supporto siano integri;
- L'estintore sia presente e segnalato con apposito cartello ai sensi della legislazione vigente;
- Il cartello sia chiaramente visibile, l'estintore sia immediatamente utilizzabile e l'accesso allo
stesso sia libero da ostacoli;
- L'estintore non sia stato manomesso, in particolare risulti sigillato il dispositivo di sicurezza per
evitare azionamenti accidentali;
- Le iscrizioni siano leggibili;
- L'indicatore di pressione, se presente, indichi un valore di pressione compreso all'interno del
campo verde;
- Il cartellino di manutenzione sia presente sull'apparecchio e che non sia stata superata la data
per le attività previste;
- L'estintore portatile non sia collocato a pavimento.
La periodicità dell'azione di sorveglianza è definita dalla persona responsabile in relazione al rischio
di incendio presente.
Le anomalie riscontrate devono essere immediatamente eliminate.
L'esito dell'attività di sorveglianza deve essere registrato.
Controllo periodico
Il controllo periodico deve essere eseguito dalla persona competente.
Consiste in una misura di prevenzione atta a verificare, con periodicità massima di 6 mesi (entro la
fine del mese di competenza), l'efficienza degli estintori portatili o carrellati, tramite l'effettuazione
dei seguenti accertamenti:
- Verifiche di cui alla fase di sorveglianza;
- Per gli estintori pressurizzati a pressione permanente il controllo della pressione interna con uno
strumento indipendente;
- Per gli estintori a biossido di carbonio il controllo dello stato di carica tramite pesatura;
- Controllo della presenza, del tipo e della carica delle bombole di gas ausiliario degli estintori
pressurizzati con tale sistema;
- L'estintore non presenti anomalie quali ugelli ostruiti, perdite, tracce di corrosione, sconnessioni o
incrinature dei tubi flessibili, ecc.
- L'estintore sia esente da danni alle strutture di supporto e alla maniglia di trasporto; in
particolare, se carrellato, abbia ruote funzionanti;
- Sia esente da danni e ammaccature al serbatoio.
Il produttore deve fornire tutte le informazioni necessarie per effettuare gli accertamenti sopra
elencati.
Gli strumenti utilizzati per i controlli devono essere tarati e/o verificati ad intervalli specificati, o
prima della loro utilizzazione, a fronte a campioni di misura riferibili a campioni internazionali o
nazionali. Devono essere mantenute registrazioni dei risultati della taratura e della verifica.
Le anomalie riscontrate devono essere immediatamente eliminate, in caso contrario l'estintore
deve essere dichiarato non idoneo, collocando sull'apparecchiatura un'etichetta "ESTINTORE FUORI
SERVIZIO"; si deve informare la persona responsabile e indicare la dizione "FUORI SERVIZIO" sul
cartellino di manutenzione.
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
Tabella 1. Modalità di sorveglianza e controllo degli estintori portatili estratte dalla UNI 94941:2013.
L'annotazione dei controlli: il registro antincendio
Il tema delle modalità di gestione dei controlli e della loro annotazione, sia ai fini degli obblighi
connessi con la gestione dell'attività lavorativa ai sensi del D.Lgs 81/08, sia per quanto concerne i
procedimenti di prevenzione incendi di cui al D.P.R. 151/2011, rappresenta una condizione di cui è
intriso tutto il percorso connesso con la gestione della sicurezza antincendio.
A tal proposito sono da evidenziare due importanti aspetti:
1) Nell'ambito dei luoghi di lavoro non devono esistere "due registri", di cui uno antincendio e
l'altro connesso con la gestione dell'attività per altri aspetti, ma uno solo (su questo aspetto l'art. 6
del D.P.R. 151/2011 è ben chiaro perché elimina il registro come duplicato di altri adempimenti già
previsti dalla normativa di sicurezza nei luoghi di lavoro).
2) Non esiste un registro tipo, ma una modalità corretta di gestire i procedimento di controllo e la 32
loro annotazione. Ogni datore di lavoro nell'ambito della propria struttura organizzativa può
pertanto costruirsi un proprio registro, purché sia tenuto aggiornato con l'indicazione delle attività
compiute i provvedimenti intrapresi e sia disponibile per i controlli dei vigili del fuoco.
Per aiutare in tal senso possono essere prese come riferimento alcune iniziative finalizzate a
proporre una modalità per gestire i controlli. A puro titolo di esempio, giova ricordare la norma UNI
CEI 11222 (Impianti di illuminazione di sicurezza negli edifici - Procedure per la verifica periodica,
la manutenzione, la revisione e il collaudo), che definisce le modalità di controllo dei sistemi di
illuminazione di sicurezza e propone una modalità per registrare le attività svolte. Nella stessa
norma i dati da considerare nel caso di verifica del funzionamento degli apparecchi, da effettuare
con cadenza semestrale, sono i seguenti:
- Data
- Sorveglianza effettuata da (nome e cognome)
- Apparecchio N°
- Anomalie riscontrate
- Azioni intraprese
- Data prossima verifica
- Firma
Altre UNI, invece, forniscono delle vere e proprie check-list che posso essere trasformate in
strumenti di lavoro per le azioni da compiere. E' il caso della più volte citata UNI 9994-1:2013 che
fornisce per ogni tipologia di controllo un elenco degli aspetti da verificare.
Attività
Punto Periodicità
norma massima
Circostanza
Documenti
necessari
Operazioni
minime
Controllo
iniziale
4.3
Non applicabile
Nel controllo iniziale Registrazione della Controlli
degli estintori
presa in carico
visivi
e
documentali
Sorveglianza
4.4
Raccomandata
1 mese
Secondo il piano di
manutenzione
programmata
da
persona responsabile
Controllo
periodico
4.5
6 mesi (entro la Durante le visite di Compilazione
fine del mese di manutenzione
rapporto
competenza)
intervento
aggiornamento
cartellino
manutenzione.
del Interventi
di tecnici
e
del
di
Revisione
programmata
4.6
Vedere
prospetto 2 *
Durante le visite di Compilazione
manutenzione
rapporto
intervento
aggiornamento
cartellino
del Interventi
di tecnici
e
del
di
Registrazione
Controlli
dell'avvenuta
visivi
sorveglianza
su
apposito registro
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
manutenzione.
Collaudo
4.7
Manutenzione 4.8
straordinaria
Vedere
prospetto 2 *
Durante le visite di Compilazione
manutenzione
rapporto
intervento
aggiornamento
cartellino
manutenzione.
Non applicabile
In caso di utilizzo e/o Compilazione
di non conformità rapporto
rilevata
intervento
del Interventi
di tecnici
e
del
di
Interventi
di tecnici
Note
- Le periodicità possono essere ridotte in funzione del rischio riscontrato o da specifiche indicazioni
del fabbricante che possono essere ridotte ma non aumentate.
- La data della prima revisione programmata deve essere calcolata a partire dalla data di 33
produzione dell'estintore, qualora non presente fa riferimento la data di produzione del
serbatoio/bombola punzonata sullo(a) stesso(a).
- La data del primo collaudo deve essere calcolata a partire dalla data di produzione del
serbatoio/bombola punzonata sullo(a) stesso(a)
Tabella 2. Estratto dalla norma UNI 9994-1:2013 relativamente alle fasi e attività connesse con il
mantenimento in efficienza degli estintori portatili (* il riferimento è allo specifico prospetto della
norma, che in questo contributo è identificato con tabella 3).
Collaudo (mesi)
Estinguente
Tipo di estintore
Revisione
(mesi)
CE/PED
PRE-PED
Polvere
Tutti
36
144
72
Biossido di carbonio
Tutti
60
120
120
A base d'acqua
Serbatoio in acciaio al carbonio
con
agente
estinguente 24
premiscelato
72
72
Serbatoio in acciaio al carbonio
contenente
solo
acqua
ed
48
eventuali
altri
additivi
in
cartuccia
96
72
Serbatoio in acciaio inox o lega
48
di alluminio
144
72
144
72
Idrocarburi alogenati Tutti
72
Tabella 3. Estratto dalla norma UNI 9994-1:2013 relativamente alla periodicità massima di
revisione e collaudo portatili.
Procedimenti di prevenzione incendi e gestione della sicurezza antincendio.
Nell'ambito dei procedimenti di prevenzione incendi l'argomento che si sta trattando viene
considerato nell'ambito dell'art. 6 del D.P.R. 151/2011.
Ma lo stesso aspetto si ripresenta come quando è necessario presentare la cosiddetta attestazione
di rinnovo periodico di conformità antincendio, considerata dall'art. 5 del predetto decreto, ogni 5 o
10 anni in funzione del tipo di attività.
Nella modulistica da impiegare per l'attestazione, infatti, il titolare dell'attività dichiara quanto
segue:
- "di avere assolto gli obblighi gestionali connessi con l'esercizio dell'attività previsti dalla normativa
vigente, nonché di aver osservato i divieti, le limitazioni e le prescrizioni delle disposizioni di
prevenzione incendi e di sicurezza antincendio disciplinanti l'attività medesima";
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
- "di aver adempiuto l'obbligo di mantenere in stato di efficienza i sistemi, gli impianti, i dispositivi,
le attrezzature, rilevanti ai fini della sicurezza antincendi, e le altre misure di sicurezza antincendio
adottate e di aver effettuato le verifiche di controllo e gli interventi di manutenzione in accordo alla
regolamentazione vigente, a quanto indicato nelle pertinenti norme tecniche e nelle istruzioni di
uso e manutenzione del fabbricante e/o installatore".
In sostanza dichiara di aver garantito gli obblighi connessi con la gestione in sicurezza dell'attività,
condizione documentabile tramite il registro dei controlli.
Preso atto che nella predetta attestazione vengono richiamati gli articoli 75 e 76 del D.P.R.
445/2000, che definiscono le sanzioni a carico di chi sottoscrive dichiarazioni mendaci, si
comprendere come l'attuazione di una corretta gestione della sicurezza rappresenti una condizione
ineludibile.
Reati connessi con l’omesso controllo delle attrezzature antincendio
In merito a questo aspetto il riferimento fondamentale è rappresentato dall’art. 451 (Omissione
colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro) c.p., che stabilisce quanto segue:
“Chiunque, per colpa, omette di collocare, ovvero rimuove o rende inservibili apparecchi o altri 34
mezzi destinati alla estinzione di un incendio o al salvataggio o al soccorso contro disastri o
infortuni sul lavoro, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da centotre euro a
cinquecentosedici euro”.
Nello specifico contesto degli ambienti di lavoro, come evidenziato all’inizio, è il D.Lgs 81/08 a
contenere indicazioni in merito, nel cui ambito si riscontrano anche le violazioni correlate con
l’omesso controllo periodico delle attrezzature antincendi. Tale reato, in particolare, risulta
sanzionabile con le modalità definite dall’art. 68 (Sanzioni per i datore di lavoro e dirigente),
comma 1 lett. b), in relazione all’art. 64 (Obblighi del datore di lavoro), comma 1 lett. a) e all’art.
63 (Requisiti di salute e di sicurezza), comma 1, nonché al punto 4.1.3 dell’allegato IV (Requisiti
dei luoghi di lavoro) dello stesso decreto.
In merito alle specifiche sanzioni, nei casi considerati la violazione comporta per il datore di lavoro
l’arresto da 2 a 4 mesi o l’ammenda da 1.096 a 5.260,80 euro.
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
 Coordinatore sicurezza
 Nomina CSE
D. Nel caso di affidamento di lavori edilizi ad un'impresa A che subappalta il lavoro ad un'altra
impresa B è necessaria la nomina del CSE se nel cantiere opera solo l'impresa B?
35
---R. L'articolo 90, comma 4, del D.Lgs 81/08 impone al committente o al responsabile dei lavori di
designare, prima dell'affidamento dei lavori, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori. La
disposizione opera, tuttavia, solo nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese esecutrici,
anche non contemporanea. Ne consegue che, nel caso di lavori in cui vi sia un'unica impresa
esecutrice oppure come il caso in esame - un'impresa affidataria che subappalta in toto il lavoro ad
un'unica impresa esecutrice senza mai fisicamente entrare in cantiere, i coordinatori non sono
necessari. Se, invece, in fase progettuale si era ritenuto di eseguire i lavori con un'unica impresa
ma, di fatto, in fase di realizzazione l'impresa esecutrice si deve servire di un subappaltatore
(anche di un semplice nolo a caldo o di una fornitura in opera), allora, in questo specifico caso,
dovrà essere nominato il CSE che dovrà redigere il piano di sicurezza e di coordinamento.
(Gianluca Lopergolo, Il Sole 24 ORE – Tecnici24 Risponde, 16 ottobre 2014)
 Formazione e sicurezza
 Corsi gestione sicurezza
D. Un RSPP, interno o esterno (modulo C), in quali dei seguenti corsi, organizzati da un datore di
lavoro, può insegnare: - Rls - Addetti antincendio - Addetti alle emergenze - Addetti al primo
soccorso.
---R. Si premette, in via generale, che le tematiche evidenziate nel quesito non rientrano tra quelle
per cui è richiesta una qualificazione specifica del formatore, a norma del Decreto Interministeriale
6 marzo 2013 (Cfr. comunicato pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 65 del 18 marzo 2013), entrato
in vigore il 18 marzo 2014. Tale decreto si riferisce esclusivamente, infatti, alla formazione ex artt.
34 e 37 del D.Lgs 81/08. Tanto premesso, in relazione alla formazione dei rappresentanti dei
lavoratori per la sicurezza, la norma di riferimento è l'art. 37, commi 10 e 11, che si limita ad
evidenziare che la formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve avvenire, in
collaborazione con gli organismi paritetici, ove presenti nel settore e nel territorio in cui si svolge
l'attività del datore di lavoro, durante l'orario di lavoro e non può comportare oneri economici a
carico dei lavoratori. Le modalità ed i contenuti specifici della formazione del RLS sono demandati
alla contrattazione collettiva nazionale di categoria. La durata minima dei corsi è di 32 ore. A
nostro avviso la formazione può quindi essere erogata dal datore di lavoro, direttamente o
attraverso delega a soggetti interni (es. dirigenti o preposti) o esterni (ad es. consulenti, Rspp)
all'impresa. Con riferimento all'antincendio e alla gestione delle emergenze, la norma di riferimento
è l'articolo 37, comma 9, che prescrive che gli addetti devono ricevere un'adeguata e specifica
formazione e un aggiornamento periodico e che, in attesa dell'emanazione delle disposizioni di cui
al comma 3 dell'articolo 46, continuano a trovare applicazione le disposizioni di cui al decreto del
Ministro dell'interno in data 10 marzo 1998, pubblicato nel S.O. alla Gazzetta Ufficiale n. 81 del 7
aprile 1998, attuativo dell'articolo 13 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626. Si ritiene
quindi che l'informazione (ex. Allegato 7.2 del DM 10 marzo 1998) può essere erogata dal datore di
lavoro, direttamente o attraverso delega a soggetti interni (es. dirigenti o preposti) o esterni (ad
es. consulenti, Rspp) all'impresa. Analoga considerazione vale anche per la formazione antincendio
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
(ex. art. 37, comma 9, del D.Lgs 81/08 e Allegati 9 e 10 del DM 10 marzo 1998), fatta salva
l'opportunità, in tal caso, di avvalersi di soggetti esterni qualificati (es Vigili del fuoco) per
l'esercitazione pratica. Da ultimo, in relazione al primo soccorso, il secondo comma dell'art. 45
prevede che le caratteristiche minime delle attrezzature di primo soccorso, i requisiti del personale
addetto e la sua formazione, individuati in relazione alla natura dell'attività, al numero dei
lavoratori occupati ed ai fattori di rischio sono individuati dal decreto ministeriale 15 luglio 2003, n.
388 e dai successivi decreti ministeriali di adeguamento acquisito il parere della Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
L'articolo 3 di detto decreto, al primo comma, si limita a prevedere che gli addetti al pronto
soccorso sono formati con istruzione teorica e pratica per l'attuazione delle misure di primo
intervento interno e per l'attivazione degli interventi di pronto soccorso. Il successivo comma 2,
tuttavia, prevede che la formazione dei lavoratori designati è svolta da personale medico, in
collaborazione, ove possibile, con il sistema di emergenza del Servizio Sanitario Nazionale e che
nello svolgimento della parte pratica della formazione il medico può avvalersi della collaborazione
di personale infermieristico o di altro personale specializzato. Il Rspp non potrà quindi erogare tale
36
tipo di formazione, a meno che non sia anche medico.
(Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Tecnici24 Risponde, 6 ottobre 2014)
 Schede dati
 Schede dati di Sicurezza
D. La redazione e messa a disposizione dell'utilizzatore a valle della scheda dati di sicurezza, sulla
base dei nuovi regolamenti (reach, ecc....), è assolutamente OBBLIGATORIA solo per sostanze e
preparati (miscele) PERICOLOSI (D.lgs. 52/97 e D.lgs.65/2003) o per tutti i prodotti messi in
vendita? Il dubbio nasce dal fatto che mi son ritrovato delle SDS di sostanze NON PERICOLOSE
secondo i D.Lgs sopra citati.
---R. In base alle normative sulle sostanze e miscele chimiche (REACH e CLP), Vi è l'obbligo di
fornitura di SDS quando: " La sostanza o la miscela è classificata pericolosa " La sostanza è PBT o
vPvB (Allegato XIII Reg. REACH) " La sostanze è inclusa nell'Allegato XIV del Reg. REACH
(sostanze soggette ad autorizzazione, esclusi punti a) e b)). La SDS viene fornita su richiesta se la
miscela non è pericolosa ma contiene: " Una sostanza pericolosa per la salute o per l'ambiente in
concentrazione e1% p/p (0,2% per preparati gassosi) " Una sostanza PBT o vPvB o inclusa
nell'allegato XIV (escluso punto a)) e0,1% p/p " Una sostanza che ha un limite di esposizione
comunitario. Per le sostanze/miscele non ricomprese sopra, è facoltativa la redazione e fornitura
della SDS.
(Gianluca Lopergolo, Il Sole 24 ORE – Tecnici24 Risponde, 16 ottobre 2014)
 Piani di Sicurezza
 Necessità PSC e linea vita
D. Di un rifacimento copertura (sostituzione listelli e tegole) da realizzarsi in Lombardia (lavoro in
quota ai sensi dell'art. 37 dlgs 81/08) con un'unica impresa appaltatrice, vi è l'obbligo di redigere il
P.S.C con notifica all' A.S.L. o è sufficiente il P.O.S. dell'impresa esecutrice? Vi è obbligo inoltre di
installare linea vita anche in assenza di pratica edilizia firmata da tecnico abilitato? (Semplice
comunicazione della proprietà al Comune)
---R. Art.90 del D.Lgs 81/2008 a sua volta modificato ed integrato dal D.lgs. 106/09 stabilisce al
comma 3 che "nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese esecutrici, anche non
contemporanea, il committente, anche nei casi di coincidenza con l'impresa esecutrice, o il
responsabile dei lavori, contestualmente all'affidamento dell'incarico di progettazione, designa il
coordinatore per la progettazione, al comma 4 che "nei cantieri in cui è prevista la presenza di più
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
imprese esecutrici, anche non contemporanea, il committente o il responsabile dei lavori, prima
dell'affidamento dei lavori, designa il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, in possesso dei
requisiti di cui all'articolo 98. L'obbligatorietà della designazione di tali figure professionali implica
di conseguenza la redazione del P.S.C. in presenza, come riportato, di più imprese esecutrici. Per
quel che concerne l'art.37 del D.Lgs 81/2008 a sua volta modificato ed integrato dal D.lgs. 106/09
si riferisce nello specifico alla formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti e non ai lavori in
quota che vengono trattati in altri e più specifici articoli e capitoli del decreto in questione. Tali
tipologie di lavori vengono trattate nel Capitolo II ed in modo particolare relativi agli obblighi del
datore di lavoro nell'art. 111 del D.Lgs 81/2008 a sua volta modificato ed integrato dal D.lgs.
106/09, mentre nell'allegato XXI sono descritti gli accordi Stato - Regione e le modalità, i corsi ed i
requisiti per i lavoratori addetti a lavori in quota. Riguardo l'istallazione della linea vita occorre
ricordare che trattasi di lavori in quota, quindi con un coefficiente di pericolosità elevato e sarebbe
opportuno valutare a monte se il sistema di linea vita sia nel caso specifico sufficiente a garantire
la sicurezza dei lavoratori oppure valutare l'ipotesi di eseguire i lavori con altri mezzi ad esempio
ponteggi o piattaforme elevatrici. In tutti i casi per ciascuna delle ipotesi di intervento ritengo sia
opportuno attenersi alle prescrizioni vigenti in materia che, è bene ricordare, sono i minimi requisiti 37
imposti e questo per tornare sulla domanda di obbligo di redazione del P.S.C. magari la consulenza
di un tecnico specifico o l'esperienza acquisita del datore di lavoro sarà capace di valutare con
attenzione l'entità dei lavori da eseguire e di conseguenza coordinare gli stessi anche in assenza di
P.S.C.
(Gianluca Lopergolo, Il Sole 24 ORE – Tecnici24 Risponde, 15 ottobre 2014)
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
(G.U. 31 ottobre 2014, n. 254)
 Sicurezza
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
COMUNICATO
Nono elenco, di cui al punto 3.7 dell'allegato III del decreto 11 aprile 2011, dei soggetti abilitati per
l'effettuazione delle verifiche periodiche di cui all'articolo 71, comma 11, del decreto legislativo 9
aprile 2008, n. 81 come modificato e integrato dal decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106
38
(G.U. 3 ottobre 2014, n. 230)

NOTA
Verifiche periodiche: pubblicato il nono elenco dei soggetti abilitati
Emanato il decreto con il nuovo elenco dei soggetti abilitati all’effettuazione delle verifiche
periodiche ai sensi dell’art. 71 del D.lgs. 81/08.
L’iscrizione ha validità quinquennale a decorrere dalla data di iscrizione che comporta il rispetto
degli obblighi previsti dall’art. 2, D.m. 11 aprile 2011, tra cui:
- Il rispetto dei termini temporali;
- L’obbligo di riportare in apposito registro informatico copia dei verbali delle verifiche effettuate,
nonché i dati di cui all’allegato III, D.m. 11 aprile 2011;
- L’obbligo di conservare tutti gli atti documentali relativi all’attività di verifica per un periodo non
inferiore ai dieci anni;
- L’obbligo di trasmettere trimestralmente per via telematica il registro informatizzato.
Il Ministero del lavoro, entro il periodo di validità dell’iscrizione (5 anni), può procedere al controllo
della permanenza dei presupposti dell’idoneità dei soggetti nominati; inoltre qualsiasi variazione
che i soggetti nominati intendano fare, deve essere comunicata al ministero, che su conforme
parere della Commissione di cui al D.M. 11 aprile 2011, si esprimerà sulla sua ammissibilità.
Ultimo adempimento: all’atto della richiesta di iscrizione negli elenchi di cui all’articolo 2, D.m. 11
aprile 2011, presso il soggetto titolare della funzione, i soggetti abilitati dovranno comunicare
l’organigramma generale di cui all’allegato I del D.m. 11 aprile 2011, comprensivo dell’elenco
nominativo dei verificatori, del responsabile tecnico e del suo sostituto ed eventualmente le
variazioni sia dell’organigramma sia dell’elenco.
(Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 6 ottobre 2014)
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
DECRETO 3 ottobre 2014
Individuazione dei requisiti minimi ai fini dell'equiparazione delle strutture organizzate per la sosta
e il pernottamento di turisti all'interno delle proprie unita' da diporto ormeggiate nello specchio
acqueo appositamente attrezzato alle strutture ricettive all'aria aperta.
(G.U. 12 ottobre 2014, n. 238)
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
DETERMINA 22 luglio 2014
Modifiche al disciplinare per le scorte tecniche alle competizioni ciclistiche su strada, approvato con
provvedimento del 27 novembre 2002, e successive modificazioni e integrazioni.
(G.U. 17 ottobre 2014, n. 242)
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
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