Mensile di aggiornamento e approfondimento in materia di sicurezza sul lavoro Numero 10 – Novembre 2014 Sommario APPROFONDIMENTI Prevenzione SICUREZZA, IN AGENZIA ONERI LIMITATI Per la Cassazione da valutare il ruolo effettivo dei vertici e le clausole contrattuali sugli obblighi. La responsabilità del somministratore va provata caso per caso Giampiero Falasca, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 17 ottobre 2014 3 Sicurezza sul lavoro I NUOVI INTERPELLI IN TEMA DI SICUREZZA SUL LAVORO 2 La Commissione per gli interpelli ha fornito in data 6 ottobre 2014, importanti chiarimenti interpretativi in ordine ad alcuni aspetti inerenti l’applicazione delle disposizioni in tema di sicurezza nei luoghi di lavoro. Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24 – 16 ottobre 2014 4 Sicurezza e terremoti IL RISCHIO SISMICO NEI LUOGHI DI LAVORO I terremoti che hanno colpito nel maggio 2012 l'Emilia Romagna e la Lombardia hanno dimostrato l'elevata vulnerabilità del sistema produttivo italiano nei confronti del rischio sismico. Luca Spaccino, Il Sole 24 ORE – Sicurezza 24, 15 ottobre 2014 11 Prevenzione infortuni LA DELEGA SULLA SICUREZZA NON LIBERA IL CDA La linea tracciata dalla Cassazione sulle responsabilità penali dei vertici societari in caso di incidenti e lesioni di lavoratori e addetti Aldo Monea, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 27 ottobre 2014 24 Prevenzione infortuni NELL'INCARICO AUTONOMIA E RISORSE AD HOC Una buona organizzazione del Cda richiede, sulla tutela della salute dei lavoratori, una «delega gestoria» formulata con la massima accuratezza organizzativa e giuridica. Aldo Monea, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 27 ottobre 2014 27 Antincendio LA PIANIFICAZIONE E LE MODALITÀ DEI CONTROLLI DELLE ATTREZZATURE E DEGLI IMPIANTI DI PROTEZIONE La sicurezza di un luogo di lavoro, ma lo stesso si può dire anche per altri ambienti, si realizza in gran parte garantendo il rispetto di specifiche condizioni di esercizio e l’efficienza dei dispositivi predisposti a tal fine. Stefano Zanut, Il Sole 24 ORE Antincendio24, 15 ottobre 2014 28 L’ESPERTO RISPONDE 35 RASSEGNA DI NORMATIVA 38 Chiuso in redazione il 31 ottobre 2014 Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Prevenzione 3 Sicurezza, in agenzia oneri limitati Giampiero Falasca, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 17 ottobre 2014 Prevenzione. Per la Cassazione da valutare il ruolo effettivo dei vertici e le clausole contrattuali sugli obblighi. La responsabilità del somministratore va provata caso per caso La responsabilità del personale direttivo di un'agenzia per il lavoro, in caso di infortunio del lavoratore somministrato, deve essere verificata caso per caso, tenendo conto non solo del nesso di causalità tra l'eventuale omissione delle norme antinfortunistiche e l'evento, ma anche del ruolo effettivamente svolto da tali soggetti rispetto alla violazione delle regole di sicurezza. Con questo principio, la Corte di cassazione (sentenza 42309/2014) ha annullato con rinvio una pronuncia della Corte d'appello di Milano, che aveva condannato i responsabili di un'agenzia per il lavoro e quelli dell'impresa utilizzatrice per l'infortunio occorso a un lavoratore somministrato. La dinamica di questo infortunio era pacifica: un lavoratore si trovava all'interno di un centro commerciale, dove ritirava e caricava su un furgone alcune attrezzature per conto del l'impresa utilizzatrice. Il dipendente saliva sul parapetto situato ai margini del locale in cui stava lavorando (posto al secondo piano del centro commerciale) per comunicare con un collega situato al piano terra, ma perdeva l'equilibrio e cadeva al piano inferiore. Il giudice di primo grado aveva assolto sia i responsabili dell'agenzia per il lavoro, sia quelli dell'impresa utilizzatrice, sostenendo che il comportamento del lavoratore era stato talmente imprudente e imprevedibile da escludere che eventuali violazioni da parte degli imputati (nello specifico, era contestata la mancata consegna delle scarpe antinfortunistiche, e il mancato rispetto del riposo minimo giornaliero) avrebbero inciso in maniera determinante sull'evento. Questa decisione veniva ribaltata dalla Corte d'appello di Milano che, pur escludendo la rilevanza penale delle condotte, considerava responsabili agli effetti civili gli imputati. La Cassazione riforma in parte la decisione di secondo grado. Secondo i giudici di legittimità, la pronuncia della Corte territoriale risulta carente nella parte in cui considera responsabili dell'infortunio i procuratori dell'agenzia per il lavoro, senza verificare se questi avessero effettiva conoscenza – o comunque potenziale conoscibilità – dell'orario di lavoro del dipendente che si è infortunato. Altrettanto carente, secondo la Suprema corte, sarebbe la decisione nella parte in cui sono stati considerati responsabili i procuratori dell'agenzia per il lavoro senza aver preventivamente verificato in che modo le parti del contratto commerciale di somministrazione di personale (quindi, l'agenzia stessa e l'impresa utilizzatrice) avevano regolato gli obblighi di prevenzione. La Corte, quindi, annulla la parte della sentenza che condanna questi soggetti e rinvia alla Corte d'appello la controversia, chiedendo di riesaminare la loro posizione; i giudici, secondo la sentenza, dovranno tenere conto della norma, contenuta nella legge Biagi, che consente di trasferire all'utilizzatore tutti gli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro (fatti salvi alcuni obblighi informativi di carattere generale), e del principio generale che, ai sensi dell'articolo 2087 del Codice civile, pone in capo al datore di lavoro l'onere di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità del lavoratore. Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Sicurezza sul lavoro I nuovi interpelli in tema di sicurezza sul lavoro (Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24 – 16 ottobre 2014) La Commissione per gli interpelli, istituita ai sensi dell’art 12 del D.Lgs 81/08 presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, ha fornito in data 6 ottobre 2014, importanti chiarimenti interpretativi in ordine ad alcuni aspetti inerenti l’applicazione delle disposizioni in tema di 4 sicurezza nei luoghi di lavoro. I quesiti di ordine generale sull’applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro possono essere inoltrati alla Commissione per gli interpelli, esclusivamente tramite posta elettronica, dagli organismi associativi a rilevanza nazionale degli enti territoriali e gli enti pubblici nazionali, nonché dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dai consigli nazionali degli ordini o collegi professionali. Le istanze di interpello trasmesse da soggetti non appartenenti alle categorie indicate o privi dei requisiti di generalità non potranno essere istruite. Non saranno pertanto istruiti i quesiti trasmessi, ad esempio, da studi professionali, associazioni territoriali dei lavoratori o dei datori di lavoro, Regioni, Province e Comuni. Le indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti costituiscono criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio delle attività di vigilanza. Nomina, revoca e durata in carica dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza Interpello n. 16 del 6 ottobre 2014 Con due distinte richieste - trattate unitariamente per la connessione tra le materie oggetto di interpello - l'Unione Sindacale di Base (USB) dei Vigili del Fuoco ha esposto che: a) in seguito al "passaggio del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco al regime di diritto pubblico" si sarebbe prodotto un vulnus alle prerogative sindacali in materia di salute e sicurezza in quanto, secondo la richiedente, in ragione della sopravvenuta impossibilità di operare delle Rappresentanze Sindacali Unitarie, "il Dipartimento dei Vigili del Fuoco non ritiene più validi gli RLS nominati al/ 'interno delle RSU"; b) l'Amministrazione non "riconoscerebbe" i Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS) successivamente nominati- ai sensi dell'articolo 47, comma 4, del D.Lgs. 81/08; c) non sottoponendoli, tra l'altro, alla prescritta formazione; sempre l'Amministrazione considererebbe decaduti i RLS una volta trascorsi tre anni dalla loro nomina. Tanto premesso, la richiedente ha chiesto di conoscere l'orientamento della Commissione al riguardo e, in particolare, di sapere se "la nomina del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza è soggetta a scadenza o rinnovo e, in caso positivo, dopo quanto tempo vanno rinominati". In primo luogo la Commissione ha richiamato i criteri fissati nella Legge delega volti ad assicurare la presenza del RLS in ogni luogo di lavoro in base alle disposizioni di legge e per mezzo di un rinvio alla regolamentazione contrattuale in ordine alle sue modalità di elezione o designazione. Viene poi ricordato che per le aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori il RLS è eletto o designato dai lavoratori nell’ambito delle rappresentanze sindacali in azienda. In assenza di tali rappresentanze il rappresentante è eletto dai lavoratori al loro interno. Richiamando l’art. 48 del Testo Unico Sicurezza la Commissione ha precisato che le funzioni del rappresentante, in caso di mancata elezione, sono esercitate dai rappresentanti territoriali o di sito produttivo, salvo diverse intese tra le associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. A tale riguardo la Commissione ritiene che ove la contrattazione non sia ancora esistente e la precedente abbia superato i propri termini di efficacia, debba continuare ad operare la precedente disciplina contrattuale in regime di ultrattività. Ciò per evitare che per ritardi della contrattazione, i lavoratori restino privi del proprio RLS. Conseguentemente i RLS il cui mandato sia scaduto, perché riferito ad una contrattazione a sua volta scaduta, potranno continuare a svolgere le proprie funzioni di rappresentanza fino a quando Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 non intervenga la successiva regolamentazione contrattuale e quindi, in base alla stessa, si proceda ad una nuova elezione o designazione del RLS. Il Rappresentante dei lavoratori di gruppo Interpello n. 17 del 6 ottobre 2014 E’ stata formulata dall'Associazione Bancaria Italiana istanza di interpello in ordine alla possibilità di prevedere, nell’ambito del nuovo Accordo sindacale di tale settore in tema di rappresentanza dei lavoratori per la sicurezza: • l’istituzione del RLS anche a livello di insieme di aziende facenti capo ad un Gruppo bancario e non esclusivamente alla singola azienda; • che tali RLS siano legittimati ad esercitare tutte le attribuzioni e le prerogative di legge, nell’ambito delle imprese del Gruppo bancario individuato, quindi anche per quelle aziende che a causa delle ridotte dimensioni, potrebbero rimanere prive di una specifica rappresentanza. Nell’istanza di interpello è evidenziata la volontà delle parti sindacali firmatarie del contratto collettivo del credito di definire la figura del rappresentante operante non solo nella singola azienda di credito ma nel diverso contesto del gruppo bancario. Tale scelta è riservata alle parti che 5 stipulano il contratto collettivo del lavoro. La Commissione ha ritenuto che la scelta di individuare, nel nuovo Accordo sindacale del credito la figura del RLS di gruppo, sia riservata alle parti che stipulano il nuovo contratto collettivo di lavoro e corrisponda alle facoltà attribuite dal D.Lgs. 81/08 alle parti stesse per quanto concerne la regolamentazione, in via pattizia, delle prerogative dei RLS. Ha poi sottolineato la Commissione come l’esercizio di tale facoltà sia comunque condizionato all’integrale rispetto delle disposizioni inderogabili in materia (ossia le disposizioni contrattuali non possono operare in funzione modificativa). In particolare, l’opzione per il RLS di gruppo dovrà essere attuata facendo necessariamente salvo il numero minimo di rappresentanti stabilito dall’art. 47 del D.lgs. 81/08 ed applicando i criteri ivi previsti a ciascuna delle aziende che compongono il gruppo e senza che sia possibile limitare in via contrattuale le attribuzioni del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza descritte all'art. 50 del D.Lgs. 81/08. Visite mediche al di fuori degli orari di servizio Interpello n. 18 del 6 ottobre 2014 Con l’Interpello n. 18 del 6 ottobre 2014, il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha risposto ad un quesito posto dall’Unione Sindacale di Base dei Vigili circa le visite mediche periodiche. Si ricorda, in via preliminare, che il medico competente deve eseguire accertamenti periodici per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica (art. 41 del D.Lgs. 81/08) con le periodicità previste per i singoli rischi. Lo scopo è quello di cogliere fin dall'inizio i sintomi di malattie attribuibili ad eventuali esposizioni lavorative, al fine di allontanare i soggetti dal rischio; questa è però una misura cautelativa tardiva, ben lontana dal concetto attuale di protezione dei lavoratori, e indice di un fallimento dei sistemi di prevenzione primaria. La visita riveste comunque una particolare importanza in relazione alla finalità di segnalare al datore di lavoro le carenze riscontrate e procedere quindi ad una nuova valutazione dei rischi e dei sistemi di prevenzione con sicuri benefici per la collettività. Anche la visita periodica deve essere eseguita con la metodologia utilizzata per la visita preventiva: valutare cioè l'idoneità del lavoratore a continuare ad essere esposto al rischio senza pregiudizio per la propria salute. In questa occasione sarà inoltre possibile controllare la correttezza delle valutazioni effettuate nel corso dei precedenti accertamenti e la validità dei giudizi di idoneità formulati, e provvedere alle eventuali correzioni. L’interpellante, nel caso specifico, chiedeva se l'effettuazione delle suddette visite periodiche deve avvenire nell'orario di lavoro o se il datore di lavoro ha facoltà di inviare il lavoratore a visita anche fuori dal normale orario di servizio, e, in quest'ultimo caso, se vada corrisposta la retribuzione per lavoro straordinario. Ad avviso del Ministero del Lavoro, la visita periodica per il rinnovo dell'idoneità psicofisica all'impiego, di cui all'art. 41 del D.Lgs. 81/08, essendo funzionale all'attività lavorativa, può essere effettuata fuori dall'orario di lavoro solo per giustificate esigenze produttive: in tal caso, il lavoratore andrà considerato a tutti gli effetti in servizio. Il Ministero ha infatti ha ritenuto che, sebbene il citato art. 41 non preveda espressamene che la visita debba essere eseguita durante l'attività lavorativa, è "di tutta evidenza che l'effettuazione della visita medica è funzionale all'attività lavorativa, e pertanto il datore di lavoro dovrà comunque giustificare le esigenze produttive che determinano la collocazione temporale della stessa fuori dal normale orario di lavoro". Inoltre, anche alla luce di quanto disposto dall'art. 15, comma 2, del suddetto decreto legislativo (secondo cui "le misure relative alla sicurezza, all'igiene Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 e alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per il lavoratore"), se, per giustificate esigenze lavorative, il controllo sanitario avviene in orari diversi dall'orario di lavoro, il lavoratore andrà considerato in servizio a tutti gli effetti durante la visita. Aggiornamento professionale dei coordinatori per la sicurezza Interpello n. 19 del 6 ottobre 2014 La Federazione Sindacale Italiana dei tecnici e Coordinatori per la sicurezza ha presentato istanza di interpello per conoscere se, posto che per il corso abilitativo a coordinatore della sicurezza della durata di 120 ore viene richiesta la presenza obbligatoria nella misura del 90%, sia corretto equiparare tale indicazione (presenza al 90%) anche ai corsi di aggiornamento di 40 ore. Al riguardo la Commissione ha rimarcato, in primo luogo, la distinzione tra il corso di formazione per coordinatore e il corso di aggiornamento. Il primo è una condizione per il conseguimento della qualifica di coordinatore, mentre il secondo è una condizione per il mantenimento della stessa. Con riferimento al quadro normativo specifico la Commissione ha ritenuto che l’obbligo di frequenza almeno nella misura del 90% riguardi esclusivamente il corso di formazione, mentre per i corsi di aggiornamento, anche in considerazione del fatto che l’aggiornamento può essere 6 distribuito nell’arco del quinquennio, la frequenza deve essere necessariamente pari al numero di ore previsto. Pertanto i soggetti che abbiano effettuato l’aggiornamento con una durata inferiore a quella prevista (40 ore) non potranno esercitare l’attività di coordinatore sino al completamento dell’aggiornamento per il monte ore mancante. Elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza nelle imprese con più di 15 lavoratori Interpello n. 20 del 6 ottobre 2014 Il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro, ha inoltrato istanza di interpello per conoscere il parere del Ministero del Lavoro in merito alla corretta interpretazione dell'art. 47 del D.Lgs. 81/08. In particolare l'istante chiedeva di sapere"[...] se per le imprese con più di 15 lavoratori sia consentita l'elezione o la designazione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza esclusivamente tra i componenti delle Rappresentanze Sindacali Aziendali, o se diversamente l'elezione possa riguardare anche lavoratori non facenti parte delle Rappresentanze Sindacali Aziendali (ferma restando la designazione in caso di mancato esercizio del diritto di voto)". Occorre premettere, al riguardo, che Le disposizioni legislative che disciplinano le rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza sono intese a controbilanciare il potere datoriale attraverso l’attribuzione di una maggiore responsabilizzazione dei lavoratori e, con le norme sull'informazione, la formazione e la consultazione, realizzano un sistema aziendale caratterizzato da aspetti di compartecipazione dell'azienda, da un lato, e dei lavoratori e dei loro rappresentanti, dall'altro. In questa ottica, e con queste premesse, devono essere lette le disposizioni dettate dall’art. 47 e segg. del D.Lgs 81/08, che prevedono che il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza debba essere eletto e/o designato direttamente dai lavoratori al loro interno (nelle aziende o unità produttive che occupano fino a 15 lavoratori) ovvero dai lavoratori medesimi nell'ambito delle rappresentanze sindacali in azienda (nelle aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori). In sostanza cioè il Rls è espressione diretta della volontà dei lavoratori che devono eleggerlo, nominarlo e, se del caso, confermarlo. L’elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è, quindi, un diritto dovere dei lavoratori per cui tale figura deve essere presente in tutte le aziende o unità produttive. In relazione al quesito dal Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro, il Ministero del Lavoro ha chiarito che la scelta operata dal legislatore, per le aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori, è quella di individuare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza nell’ambito delle rappresentanze sindacali aziendali. Come poi espressamente previsto dall’art. 47, comma 4, secondo periodo, del D.Lgs 81/08 l’eleggibilità del rappresentante, fra i lavoratori non appartenenti alle RSA, opera esclusivamente laddove non sia presente una rappresentanza sindacale a norma dell’art. 19 della legge 300/1970. I criteri di qualificazione del docente formatore in materia di salute e sicurezza sul lavoro Interpello n. 21 del 6 ottobre 2014 Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro ha formulato istanza di interpello al fine di sapere se: a) il consulente del lavoro che "abbia esercitato la professione per almeno 18 mesi" occupandosi anche di salute e sicurezza sul lavoro sia in possesso del criterio di qualificazione n. 4 previsto dal d.m. 6 marzo 2013 per lo svolgimento di attività di docente nei corsi in materia di salute e sicurezza sul lavoro; b) il consulente "che abbia svolto attività professionale per almeno un triennio, seguendo i propri clienti anche in materia di salute e sicurezza del personale ed effettuandone i relativi adempimenti" sia in possesso del criterio n. 5 previsto dal d.m. 6 marzo 2013 per lo svolgimento di attività di docente nei corsi in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Entrambi i quesito fanno riferimento all’interpretazione del Decreto Interministeriale del 6 marzo 2013 (Cfr. comunicato pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 65 del 18 marzo 2013), recante i "criteri di qualificazione della figura del formatore per la salute e sicurezza sul lavoro, anche tenendo conto delle peculiarità dei settori di riferimento" (art. 6 del D.Lgs. 81/08), in vigore il 18 marzo 2014. Il provvedimento, come noto, da un lato, riconosce tutti coloro che, con la propria consolidata esperienza, già svolgono l’attività di formatori a livello esclusivo o nella propria azienda (in virtù di 7 specifici e comprovati incarichi rivestiti in materia di sicurezza sul lavoro), prevedendo un congruo e definito periodo di salvaguardia, ove necessario, e dall’altro consente di espletare l'attività di formazione a quei soggetti che già la svolgono professionalmente, purchè in possesso dei requisiti essenziali e trasversali a qualunque tipologia di azienda o ente (titolo di studio adeguato, conoscenza della materia, esperienza dei luoghi di lavoro, idonea capacità didattica) che possano caratterizzare in modo efficace un percorso formativo in grado di far conseguire ai discenti quel grado di preparazione e competenza richiesto ai fini della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali. Ove mancante o parzialmente presente uno dei requisiti anzidetti, si riconosce il titolo a svolgere l’attività di formazione compensando con l’incremento degli altri requisiti, ove chiaramente possibile, ovvero consentendone l’acquisizione mediante idonei percorsi formativi, o mediante un congruo periodo di affiancamento a docente esperto, per mantenere livelli di qualità. Il documento individua inoltre una griglia di criteri valida sia dal punto di vista tecnico che funzionale. Ciascun criterio è strutturato per garantire la contemporanea presenza dei tre elementi minimi fondamentali che devono essere posseduti da un docente-formatore in materia di salute e sicurezza sul lavoro: conoscenza, esperienza e capacità didattica. I criteri previsti non riguardano la qualificazione della figura del formatore-docente in relazione ai corsi specifici per Coordinatori per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori (articolo 98 del D.Lgs. 81/08), per RSPP/ASPP (articolo 32 dello stesso decreto) e/o ad altre specifiche figure. Il prerequisito e i criteri non riguardano inoltre le attività di addestramento. Con riferimento al quesito sub a) la risposta, ad avviso del Ministero, deve essere trovata analizzando quanto previsto dal quarto criterio previsto dal citato del d.m. 6 marzo 2013 che espressamente dispone: "Possesso di un attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento, a corso di formazione della durata di almeno 40 ore in materia di salute e sicurezza sul lavoro (ai sensi del D.Lgs. 81/08). Inoltre almeno 18 mesi di esperienza lavorativa o professionale coerente con l'area tematica oggetto della docenza. Più una delle seguenti specifiche (didattica): - percorso formativo in didattica, con esame finale, della durata minima di 24 ore (es. corso formazione-formatori), o abilitazione ali 'insegnamento, o conseguimento (presso Università od Organismi accreditati) di un diploma triennale in Scienza della Comunicazione o di un Master in Comunicazione; - docente, per almeno 32 ore negli ultimi 3 anni, in materia di salute e sicurezza; - docente, per almeno 40 ore negli ultimi 3 anni, in qualunque materia; - affiancamento a docente, per almeno 48 ore negli ultimi 3 anni, in qualunque materia”. Di conseguenza, chiunque (sia o meno un professionista), in possesso del diploma di scuola superiore, intenda avvalersi - per dimostrare di aver titolo a svolgere i compiti di docente in materia di salute e sicurezza sul lavoro - del criterio n. 4 di cui al d.m. 6 marzo 2013 dovrà dimostrare di avere frequentato il corso di almeno 40 ore previsto dal decreto e di avere, al contempo, svolto per almeno 18 mesi "attività lavorativa o professionale" coerente con l'area tematica di docenza. La formula usata dal decreto indica la necessità che tale attività sia stata svolta in modo, per quanto non esclusivo, non episodico, in relazione alle aree tematiche di interesse. Inoltre, a tali requisiti l'aspirante docente dovrà aggiungere necessariamente una delle quattro alternative (percorso formativo in didattica, docenza ...) indicate specificamente. Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Con riferimento al quesito sub b) la risposta, ad avviso del Ministero, deve essere trovata analizzando quanto previsto dal quinto criterio previsto dal citato del d.m. 6 marzo 2013, in base al quale è necessario essere in possesso di: "Esperienza lavorativa o professionale almeno triennale nel campo della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro coerente con l'area tematica oggetto della docenza. Più una delle seguenti specifiche (didattica): - percorso formativo in didattica, con esame finale, della durata minima di 24 ore (es. corso formazione-formatori), o abilitazione all'insegnamento, o conseguimento (presso Università od Organismi accreditati) di un diploma triennale in Scienza della Comunicazione o di un Master in Comunicazione; - docente, per almeno 32 ore negli ultimi 3 anni, in materia di salute e sicurezza; - docente, per almeno 40 ore negli ultimi 3 anni, in qualunque materia; - affiancamento a docente, per almeno 48 ore negli ultimi 3 anni, in qualunque materia”. Quindi, chiunque intenda avvalersi del quinto criterio di cui al d.m. 6 marzo 2013 dovrà dimostrare di aver svolto, sempre in maniera non episodica, per almeno tre anni "esperienza lavorativa o professionale " coerente con l 'area /ematica oggetto di docenza". A tale requisito, occorrerà 8 aggiungere la dimostrazione del possesso di una delle quattro alternative (percorso formativo in didattica, docenza ...) individuate dalla norma. Dotazione economica del Servizio di Prevenzione e Protezione (SPP) interno all'azienda Interpello n. 22 del 6 ottobre 2014 L'Unione Sindacale di Base dei Vigili del Fuoco ha inoltrato istanza di interpello per conoscere il parere di questa Commissione in merito alla corretta interpretazione dell’art. 31, del D.Lgs. 81/08 laddove prevede che "il servizio di prevenzione e protezione sia dotato di mezzi adeguati per perseguire le finalità di cui al successivo art. 33". In particolare l'istante chiedeva di sapere se "nella definizione di mezzi adeguati è da intendersi un budget di spesa congruo al raggiungimento delle finalità previste". Al riguardo il Ministero del Lavoro ha chiarito che, ai sensi dell'art. 2 del D.Lgs. 81/08, il servizio di prevenzione e protezione è definito come "insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all'azienda finalizzati all'attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali per i lavoratori”. In tal senso, a giudizio del Ministero, le previsioni dettate dall’art. 31 del D.Lgs. 81/08 sono dirette ad assicurare che il servizio di prevenzione e protezione dai rischi disponga di tutto quanto necessario allo svolgimento dei compiti affidati, avuto riguardo alla complessità aziendale e ai rischi presenti. In relazione alle modalità per realizzare tali finalità, la scelta di assegnare un budget è quindi rimessa alla discrezionalità dell’organizzazione aziendale. Atteso quanto correttamente indicato dal Ministero, e non potendo fornire indicazioni sulla dimensione e la struttura attuabili in linea generale (e ritenendo che nessuno possa proporle, almeno con serietà e rigore), possiamo però, alla luce della vigente normativa, indicare diversi possibili modelli del servizio di prevenzione e protezione. A tal fine occorre attentamente valutare la loro applicabilità in diverse situazioni e la loro capacità di rispondere alla necessità di fornire il miglior servizio possibile, nel modo più efficace, sia per i lavoratori che per le aziende. I seguenti modelli, la loro realizzabilità, vantaggi e svantaggi sono stati così analizzati: - Servizio "autarchico" di Prevenzione e Protezione interno all'azienda Questo modello che opera dall'interno dell'azienda è soprattutto applicabile nelle aziende di media e grande dimensione, sicuramente in quelle che impiegano più di 1000 lavoratori nello stesso luogo, ma probabilmente anche in quelle con almeno 500 addetti, e sono in grado di avere una equipe a tempo pieno con una composizione multidisciplinare. La forza di questo modello di servizio interno consiste, al di là del fatto di poter contare su un'équipe a tempo pieno: negli stretti legami tra il servizio e gli altri settori dell'azienda, come la direzione, le unità produttive, i rappresentanti per la sicurezza eletti dai lavoratori; e nell'accesso all'informazione sull'attività dell'azienda, con i piani per la modifica o per la realizzazione di nuovi posti lavoro, dell'organizzazione del lavoro, dei cicli produttivi e delle attrezzature, etc. Un limite di questo modello è che esso richiede un alto numero di lavoratori impiegati nella stessa azienda. - Servizio di prevenzione e protezione interno all'azienda con supporti esterni Riteniamo questa la soluzione migliore per le aziende industriali con più di 200 addetti (per legge tenute ad avere il SPP interno) ma con meno di 1000 addetti (o 500, vedi punto precedente). In questo caso il SPP non avrà al suo interno tutte le competenze necessarie, ma sarà più snello e agile, e sarà supportato da un'adeguata rete di competenze esterne. - Servizio di prevenzione e protezione per gruppi di aziende Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Organizzato congiuntamente da diverse aziende di piccola e media dimensione generalmente localizzate nella stessa area geografica. L'amministrazione ed il finanziamento del servizio può essere garantito congiuntamente dalle aziende del gruppo interessato. Il vantaggio di questo modello è la vicinanza con il posto di lavoro e la diretta proprietà da parte delle aziende, che sono i clienti del servizio, e la sua flessibilità nel rispondere ai diversi bisogni delle piccole e medie aziende. Ammesso che la popolazione di lavoratori di cui occuparsi sia sufficientemente ampia, un'équipe a tempo pieno, ben equipaggiata e multidisciplinare, può essere organizzata in modo assai simile a quella dei servizi delle grandi aziende. I problemi evidenziati in questo tipo di modello sono invece legati al fatto che: l'attività viene condotta dall'esterno delle aziende, e ciò potrebbe causare problemi particolarmente se le aziende sono disperse in una vasta area geografica; si possono incontrare anche ostacoli nel tentativo di rispondere a bisogni molto diversificati dato il grande numero di clienti. - Servizi di Prevenzione e Protezione orientati per settore (o comparto produttivo) E' questo un modello di servizio specificatamente organizzato per un particolare settore dell'attività economica, come potrebbe essere quello delle costruzioni, quello alimentare, quello agricolo, etc. La copertura geografica di tale servizio può variare, a seconda del comparto in questione, da 9 un'area geografica circoscritta, fino ad una dimensione regionale o interregionale. La forza di questo modello consiste nella possibilità di organizzare servizi grandi, ben equipaggiati e con buon personale, dotati, se necessario, di mezzi mobili, con la possibilità di concentrarsi su specifici problemi del singolo comparto, e con la possibilità di portare avanti programmi di prevenzione o azioni di promozione attraverso l'intero comparto. I problemi possono derivare dal carattere esterno del servizio e, in alcuni casi, dalla localizzazione remota rispetto all'azienda. Non vi è tuttavia dubbio sul fatto che in questo modello come nel primo, è fortemente aumentata la possibilità di integrare l'attività di prevenzione con il processo produttivo, seguendo in questa integrazione logiche organizzative di "Total Quality". - Servizio di Prevenzione e Protezione esterno all'azienda Questo modello che opera all’esterno dell'azienda è applicabile nelle aziende piccola dimensione, che non posseggono, al loro interno, risorse specifiche da destinare a questa funzione. La forza di questo modello consiste nell’estrema flessibilità di gestione e dai costi relativamente meno sostenuti rispetto all’organizzazione di un servizio interno. Occorre da ultimo chiarire che, per raggiungere la massima copertura di lavoratori e di aziende da parte del servizio di prevenzione e protezione, nessuno dei modelli citati precedentemente da solo è forse sufficiente, ma può essere necessaria la combinazione di due, o più, differenti opzioni per offrire un servizio completo. La scelta del modello dovrebbe essere basata sulla realistica capacità di dare soddisfazione ai bisogni delle aziende e dei lavoratori in questione e di assicurare la più ampia copertura, senza, tuttavia, compromettere professionalità e qualità. Lavori in ambienti confinati o sospetti di inquinamento Interpello n. 23 del 6 ottobre 2014 Con ulteriore istanza di interpello la Federazione delle imprese energetiche ed idriche (FederUtility) ha richiesto al Ministero del lavoro parere in merito alla corretta interpretazione dell’articolo 3 del D.P.R. 14 settembre 2011, n. 177 recante il “Regolamento per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinanti, a norma dell'articolo 6, comma 8, lettera g), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. In riferimento al comma 1, l’interpellante richiedeva se, nel caso di attività che si svolgono in ambienti confinati, di durata brevissima ma che vengono reiterate più volte nello stesso sito, nell’ambito di un unico contratto, l’attività informativa possa essere considerata valida per tutta la durata del contratto o debba essere ripetuta ogniqualvolta si acceda al sito. Premesso che l’informazione ai lavoratori richiesta dal D.P.R. 177/11 (lavori in ambienti confinati o sospetti di inquinamento) è aggiuntiva e specifica rispetto a quella disposta dall’art. 36 del D.Lgs. 81/08, è parere della Commissione che la finalità del legislatore non sia quella di imporre al datore di lavoro l’obbligo di erogare una informazione inutilmente ripetitiva, ma quella di assicurare che tutti coloro che accedono in ambienti confinati siano puntualmente e dettagliatamente informati dal datore di lavoro su tutti i rischi esistenti in tali ambienti e sulle misure di prevenzione ed emergenza da adottarsi. Ciò comporta che spetterà al datore di lavoro committente valutare, caso per caso anche sulla base del tempo trascorso dall’ultimo accesso e della possibilità che le condizioni dei siti sospetti di inquinamento o confinati si siano nel frattempo modificate – se l’informazione già erogata per quel singolo e specifico sito debba essere ripetuta o meno. Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Un ulteriore quesito era rivolto a conoscere la corretta interpretazione dell’art. 3 del D.P.R. 177/11 in ordine all’attività di vigilanza richiesta al rappresentante del datore di lavoro committente. A tale proposito la Commissione ritiene che il ruolo affidato dal legislatore al rappresentante del datore di lavoro committente sia finalizzato a coordinare le attività che si svolgono nell’ambiente lavorativo per tutto il tempo necessario. Tale soggetto dovrà essere adeguatamente formato, addestrato, a conoscenza di tutti i rischi dell’ambiente in cui si svolge l’attività dell’impresa e dovrà sovraintendere all’adozione ed efficace attuazione della procedura diretta ad eliminare o ridurre al minimo i rischi propri delle attività in ambienti confinati. Spetterà pertanto al datore di lavoro la scelta della persona più idonea e delle modalità operative per svolgere tali compiti, specificando nella procedura adottata se ed eventualmente quando, sia necessaria la presenza del proprio rappresentante direttamente sul luogo di lavoro. 10 Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Sicurezza e terremoti Il rischio sismico nei luoghi di lavoro Luca Spaccino, Il Sole 24 ORE – Sicurezza 24, 15 ottobre 2014 11 I terremoti che hanno colpito nel maggio 2012 l'Emilia Romagna e la Lombardia hanno dimostrato, con il tragico bilancio di vittime tra i lavoratori e gli ingenti danni arrecati al patrimonio tecnologico delle aree colpite, l'elevata vulnerabilità del sistema produttivo italiano nei confronti del rischio sismico. Le drammatiche conseguenze di un terremoto sulla capacità produttiva delle imprese, rende indispensabile l'individuazione di interventi di prevenzione e protezione per garantire l'incolumità dei lavoratori o quantomeno contenere i danni umani e materiali. D'altra parte, la vigente normativa in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro prevede, agli artt. 17 e 18 del D.Lgs. 81/2008, che i datori di lavoro effettuino una valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza, sia interni che esterni all'azienda, comprendendo evidentemente anche quelli connessi a possibili eventi catastrofici naturali (quali frane, inondazioni ed appunto terremoti). Obbligo questo confermato anche dalle "Procedure standardizzate per l'elaborazione del documento di valutazione dei rischi" in cui si contemplano tra i pericoli presenti in azienda anche quelli ambientali come, tra gli altri, i terremoti. Cos'è il rischio sismico La valutazione del rischio sismico risulta particolarmente complessa e legata non solo allo studio delle caratteristiche di pericolosità della località in cui si trova un'azienda, ma anche al grado di sicurezza delle strutture che la ospitano. In particolare, il rischio sismico (R) ovvero i danni attesi nell'area di studio a seguito di un terremoto, può essere visto come: R=PxVxE in cui: P = la pericolosità intesa come probabilità che in una data area ed in un certo intervallo di tempo si verifichi un terremoto che superi una determinata soglia di intensità (magnitudo o accelerazione di picco-PGA) V = la vulnerabiltà costituita dalla predisposizione di una costruzione ad essere danneggiata da una scossa sismica. E = l'esposizione che rappresenta la maggiore o minore presenza di beni a rischio nell'area di studio e, quindi, la conseguente possibilità di subire un danno (economico, in termine di vite umane, beni culturali o altro) L'Italia è caratterizzata da una pericolosità sismica medio-alta, per la frequenza ed intensità dei fenomeni che si susseguono. Rispetto ad altre aree del mondo, come la California o il Giappone, costituite da una pericolosità maggiore, però, la vulnerabilità della Penisola è molto più elevata per la fragilità del sistema edilizio, infrastrutturale, industriale e delle reti dei servizi. Anche l'esposizione assume valori elevati per l'alta densità abitativa e la presenza di un patrimonio storico, artistico e monumentale unico al mondo, facendo del nostro Paese un territorio ad elevato rischio sismico. La valutazione del grado di rischio, pertanto, procede su due piani differenti: - la definizione del grado di pericolosità dell'area geografica in studio; - l'individuazione della vulnerabilità della struttura oggetto di analisi. Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Per la pericolosità, l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), sfruttando le testimonianze storiche sugli effetti prodotti dai terremoti passati, ha avviato uno studio scientifico basato su metodi ed approcci aggiornati e condivisi a livello internazionale, giungendo alla definizione della Mappa di Pericolosità Sismica 2004 (MPS04). Per tutto il territorio nazionale l'MPS04 individua l'accelerazione massima che può subire il suolo per effetto di un evento sismico con probabilità di eccedenza del 10% in 50 anni, effettuando, quindi, una valutazione della forza dei terremoti che possono verificarsi in quell'area. 12 Figura 1 - MPS04-Mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale (Fonte: INGV) Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Sulla base dei risultati scientifici ottenuti, ad ogni Comune italiano è stata attribuita una zona sismica a pericolosità decrescente, utile per la gestione della pianificazione e per il controllo del territorio da parte degli enti preposti (Regione, Genio Civile, ecc): Zona 1 - E' la zona più pericolosa. Possono verificarsi fortissimi terremoti Zona 2 - In questa zona possono verificarsi forti terremoti Zona 3 - In questa zona possono verificarsi forti terremoti ma rari Zona 4 - E' la zona meno pericolosa. I terremoti sono rari 13 Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Tabella 1 - Classificazione sismica del territorio (Fonte: Protezione Civile) 14 Figura 2 - Mappa della classificazione sismica al 2014 La vulnerabilità degli edifici, invece, rappresenta la propensione di una struttura a subire danni di un certo livello in presenza di un evento sismico. Durante un terremoto, infatti, un edificio subisce deformazioni di diversa entità a seconda della tipologia costruttiva (muratura, calcestruzzo armato, acciaio) e della durata ed intensità del sisma che lo colpisce. Mentre risulta semplice definire la vulnerabilità per edifici già danneggiati, più complessa è la sua valutazione per strutture non ancora integre. In questo caso si può ricorrere a diversi metodi di valutazione: Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 - statistici che classificano le strutture in funzione dei materiali e delle tecniche costruttive, basando l'analisi sui danni osservati in precedenti terremoti su edifici appartenenti alla stessa tipologia; - meccanicistici che utilizzano modelli teorici sugli edifici da valutare, determinando i danni provocati da terremoti simulati; - basati su giudizi di esperti che permettono di attribuire tramite delle schede di I e II livello redatte dal Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti (GNDT) del CNR, un indice di vulnerabilità all'edificio, determinato sulla base dei parametri che rappresentano l'idoneità dell'edificio stesso a sopportare un sisma. Al termine dell'analisi si può determinare: - la vulnerabilità assoluta, ossia il danno medio in funzione dell'intensità sismica; - la vulnerabilità relativa, che permette di classificare le costruzioni attraverso degli indici, privi di una dipendenza diretta tra danno ed intensità sismica. I risultati ottenuti, combinati con i censimenti Istat delle abitazioni, possono essere rappresentati in una mappa contenente la distribuzione percentuale sul territorio nazionale delle strutture 15 appartenenti alle diverse classi di vulnerabilità. Misure di prevenzione e protezione La cartografia nazionale può essere utilizzata come dato di partenza dal datore di lavoro per la valutazione del rischio sismico specifico dei luoghi di lavoro, accertando che la solidità delle strutture corrisponda al loro tipo di impiego ed alle caratteristiche ambientali. La verifica del grado di resistenza degli edifici dovrà essere fatta di concerto con il costruttore, il collaudatore e/o tecnici esterni che, sulla scorta del progetto, determinano il livello di sicurezza della struttura nei confronti di un possibile evento sismico, integrando il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR). I metodi per effettuare questa analisi sono molteplici e la normativa non impone delle procedure specifiche, a meno che gli edifici non siano di interesse strategico per le finalità di Protezione Civile o per le conseguenze connesse ad un loro eventuale collasso. Per queste tipologie di strutture, elencate negli allegati 1 e 2 del DPCM 21/10/2003, infatti, sono normate le tecniche da utilizzare per l'individuazione del rischio sismico secondo 3 livelli di analisi, di approfondimento crescente in funzione dell'importanza e delle caratteristiche strutturali dell'opera oggetto di studio. In un'ottica generale di prevenzione è, però, fondamentale avviare un percorso di valutazione della sicurezza per tutti gli edifici che ospitano luoghi di lavoro progettati e realizzati prima della classificazione sismica e quindi senza l'adozione di criteri di progettazione antisismica. Una valutazione esaustiva non può, però, limitarsi alle sola stabilità delle strutture che ospitano i luoghi di lavoro. Come dimostrano, infatti, gli eventi sismici avvenuti in Emilia Romagna, molto spesso i danni più importanti possono essere causati dallo spostamento e/o dalla caduta di macchinari, scaffalature, mobili ed altri oggetti presenti all'interno degli edifici. A questo si aggiunge il rischio di incendio legato alla possibile fuoriuscita di materiale infiammabile o alla rottura di tubazioni del gas e di linee elettriche, nonché il rischio ambientale legato a sversamenti di materiali tossici o pericolosi. L'analisi completa di tutti i possibili pericoli presenti porta a tre diverse conclusioni: - il grado di sicurezza dell'ambiente è tale da non richiedere alcun intervento; - sono da prevedere limitazioni nell'uso dei locali in assenza di adeguamenti; - sono obbligatori degli interventi di adeguamento e/o miglioramento, sia globali che locali. Le misure, ritenute necessarie, dovranno essere pianificate ed inserite nel programma per il miglioramento dei livelli di sicurezza allegato al DVR aziendale per consentire di ottenere un livello di rischio accettabile. Le possibili misure di mitigazione vanno dagli interventi di adeguamento delle strutture esistenti alla controventatura delle scaffalature, fino all'installazione di una valvola generale di intercettazione della tubazione del gas, in grado di chiudersi in presenza di oscillazioni sismiche di intensità tarata. In seguito al terremoto emiliano sono state emanate diverse linee guida per fornire ai datori di lavoro ed ai tecnici gli strumenti per una corretta valutazione della vulnerabilità sismica e dei possibili interventi di adeguamento delle strutture produttive. Tra queste, particolarmente utili per l'effettuazione di controlli di primo livello, finalizzati ad orientare i necessari successivi approfondimenti, le Linee Guida emanate dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici per la "Valutazione della vulnerabilità e interventi per le costruzioni ad uso produttivo in zona sismica" di cui si riportano di seguito le principali schede di analisi: Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Figura 3 - Criticità degli elementi strutturali (Fonte: LLGG Consiglio superiore LLPP) 16 Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Tabella 2 -Possibili controlli ed interventi su elementi strutturali (Fonte: LLGG Consiglio superiore LLPP) 17 Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 18 Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Figura 4 - Criticità degli elementi secondari non strutturali - Le tamponature (Fonte: LLGG Consiglio Superiore LLPP) 19 Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Tabella 3 - Possibili controlli ed interventi su elementi secondari non strutturali - Le tamponature (Fonte: LLGG Consiglio Superiore LLPP) 20 Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Figura 5 - Criticità degli elementi secondari non strutturali - Le scaffalature (Fonte: LLGG Consiglio Superiore LLPP) 21 Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Figura 6 - Possibili controlli su elementi secondari non strutturali - Le scaffalature (Fonte: LLGG Consiglio Superiore LLPP) 22 Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Il Piano di Emergenza ed Evacuazione A partire dal D.Lgs. 626/1994, la normativa italiana, inoltre, obbliga il datore di lavoro a predisporre un adeguato Piano di Emergenza ed Evacuazione (PEE), inteso come strumento idoneo non solo a valutare i rischi conseguenti a situazioni di emergenza interna o esterna, ma anche a predisporre le necessarie misure tecniche, organizzative e procedurali. Un documento, quindi, il PEE in cui si definisce una classificazione degli incidenti in base alla gravità ed alla tipologia di evoluzione, individuando anche gli ambiti di responsabilità, le aree operative e di controllo, nonché le modalità per l'evacuazione e l'attivazione della Pubblica Autorità Il D.Lgs. 81/08 ribadisce questi aspetti, prevedendo tra gli strumenti di tutela individuati all'art. 15 comma1 lett. u), le "misure di emergenza da attuare in caso di primo soccorso, di lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori e di pericolo grave ed immediato". In particolare, il datore di lavoro dovrà: - designare preventivamente i lavoratori incaricati dell'attuazione delle misure di prevenzione incendi, di evacuazione dei luoghi in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e comunque di gestione dell'emergenza; 23 - definire le procedure di emergenza ed evacuazione, individuando i comportamenti che ogni lavoratore dovrà tenere in caso di terremoto, sia durante la fase di scossa che successivamente; - individuare i percorsi di esodo, scegliendoli in modo da assicurarne la fruibilità anche in caso di crolli degli elementi strutturali e/o non strutturali e collocandovi la segnaletica adeguata alla loro facile individuazione da parte di tutti i lavoratori; - definire delle specifiche aree "sicure" di prima accoglienza in cui i lavoratori dovranno raccogliersi in attesa dei soccorsi; - curare l'informazione e la formare dei lavoratori sul rischio sismico e sulle misure di prevenzione e protezione, ponendo particolare attenzione all'aggiornamento della squadra di addetti all'emergenza. La verifica della congruità del PEE va garantita attraverso appropriate esercitazioni pratiche sul luogo di lavoro, organizzate in modo da considerare tutti i possibili scenari di rischio che un evento sismico potrebbe produrre nel luogo di lavoro (esplosioni, investimento di materiali, spandimento di materiale tossico ecc) . Di fondamentale importanza è, inoltre, la manutenzione periodica di tutti gli impianti e delle parti strutturali e non degli edifici, nonché la predisposizione di tutti gli interventi di adeguamento necessari per mantenere elevato il livello di sicurezza dei lavoratori. La corretta progettazione degli edifici, l'adozione delle necessarie misure di prevenzione e la corretta gestione della fase emergenziale, permettono di ridurre al minimo le perdite economiche e sociali di un evento sismico, garantendo un rapido ritorno alla normalità. Solo agendo sulla prevenzione, garantendo contemporaneamente la formazione e l'addestramento continuo dei lavoratori, infatti, si può essere preparati ad affrontare un evento come il terremoto, imprevedibile ma probabile in un Paese ad elevata pericolosità come l'Italia. Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Prevenzione infortuni La delega sulla sicurezza non libera il Cda Aldo Monea, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 27 ottobre 2014 Prevenzione infortuni. La linea tracciata dalla Cassazione sulle responsabilità penali dei vertici societari in caso di incidenti e lesioni di lavoratori e addetti - Il consiglio d'amministrazione dell'azienda ha doveri di controllo e di intervento sostitutivo del delegato Il consiglio d'amministrazione delle società può essere chiamato a rispondere in caso di infortuni o lesioni avvenuti sul lavoro. Può anche delegare le sue attribuzioni, nel campo della sicurezza, a un consigliere, ma questo non elimina del tutto il suo ruolo di garanzia. Vediamo, dunque, quali sono le responsabilità del Cda e i rischi legati a un'eventuale gestione scorretta della delega. Il datore per la sicurezza Il datore di lavoro per la sicurezza è il titolare del rapporto con il lavoratore o, comunque, colui che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione, ha la responsabilità dell'organizzazione o dell'unità produttiva, esercitando i poteri decisionali e di spesa (in base all'articolo 2, comma 1, lettera b del Dlgs 81/2008). Questo datore non necessariamente coincide con quello in senso lavoristico (si veda la sentenza della Cassazione penale, 4106/2014), vale a dire la controparte del lavoratore nel contratto individuale di lavoro. L'effettivo vertice della sicurezza emerge, in pratica, dall'organizzazione della singola impresa. Il Cda come originario datore Nelle Spa e nelle Srl, il consiglio di amministrazione impatta anche sul quadro organizzativo per la sicurezza lavorativa, con conseguenze, sia pure indirette, sul piano delle responsabilità penali in materia. Così, ad esempio, se non risulta un ruolo specifico di vertice della sicurezza, il Cda, secondo la Cassazione, conserva tutti poteri del «datore di lavoro per la sicurezza». Quando, invece, «deleghe gestorie» articolano l'originario indistinto assetto organizzativo del consiglio, sono inevitabili delle conseguenze giuridiche. La delega gestoria Secondo l'articolo 2381, comma 2, del Codice civile, il Cda può delegare, attraverso lo strumento organizzativo-giuridico della «delega gestoria», proprie attribuzioni a uno o più suoi componenti, assicurando così, con la suddivisione di compiti, maggiore efficacia ed efficienza gestionale alla propria azione. Nel determinare il contenuto e i limiti di questa delega (articolo 2381, comma 3 del Codice civile), il consiglio, inoltre, può incidere sull'architettura della gestione direttiva e di quella operativa della società, anche relativa alla sicurezza lavorativa. Ogni scelta fatta con la delega, ma, persino, l'inazione del Cda, determinano, quindi, un qualche assetto organizzativo della società, cui sono collegate conseguenze sulla individuazione del datore per la sicurezza. Come insegna la giurisprudenza della Cassazione, le scelte (o le non-scelte) del consiglio influiscono sul ruolo, ai fini della sicurezza del lavoro, di presidenti, eventuali amministratori delegati e dell'intero Cda, con implicazioni di responsabilità individuale. In questo senso i giudici (Cassazione penale, sezione 4, sentenza 21628/2013) hanno ritenuto che la responsabilità per lesioni è, di regola, dell'intero organo, salvo delega di gestione a un singolo consigliere. In questo caso, l'obbligo di adottare le misure antinfortunistiche si trasferisce dal consiglio al delegato. Le funzioni residue del Cda Anche in caso di uso accurato della delega gestoria, tuttavia, il Cda conserva compiti residui e quindi ha responsabilità per la sua eventuale inattività nella tutela della salute. In primo luogo perché le norme sull'assetto organizzativo post-delega gestoria legano, indissolubilmente, alcuni compiti e poteri al Cda: il comma 3 dell'articolo 2381 del Codice civile prevede che, dopo la delega, Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 24 il Cda debba valutare l'adeguatezza dell'assetto organizzativo, possa impartire direttive agli organi delegati e avocare operazioni delegate. L'affermazione si evince, implicitamente, anche dall'articolo 2, comma 1, lettera b) del Dlgs 81/2008 che connette datore ad assetto organizzativo: perciò, se alcuni compiti e poteri restano al Cda, anche la parte del ruolo di datore a essi inerente rimane a quell'organo. Inoltre, nella prassi, è frequente che il Cda riservi a sé alcuni poteri (il principale è definire il bugdet) o ponga limiti all'azione del delegato, così lasciandoli a sé. Tutto ciò rileva ai fini della responsabilità penale per la sicurezza sul lavoro. La Cassazione, infatti, ha affermato la non esclusione di responsabilità dell'intero organo, pur esistendo delega gestoria ad amministratore per compiti sulla salute lavorativa, argomentando che il consiglio conserva residui doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo in caso di mancato esercizio della delega (tra le altre, si veda la sentenza della Cassazione penale 21628 del 2013). Altre volte la Corte ha stabilito che, pur in presenza di un consigliere delegato ad hoc, resta un ruolo del Cda su profili strutturali e del processo produttivo incidenti sulla tutela della salute (Cassazione penale, sentenza 4968/2014). Parola chiave Delega gestoria È l'atto con il quale il consiglio di amministrazione di una società può delegare proprie attribuzioni a un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti oppure a uno o più dei suoi membri. Il Cda determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di esercizio della delega. Può dare direttive ai delegati e avocare a sé operazioni che rientrano nella delega. Le pronunce LE GRANDI IMPRESE A garantire non è sempre il vertice Il presidente di un Cda è condannato per lesioni colpose a un dipendente, non avendo redatto, come datore, il documento di valutazione dei rischi (Dvr). La Cassazione, pur confermando la condanna, sostiene che, nelle grandi imprese, non è attribuibile, a priori, al Cda la responsabilità per inosservanza di normative: bisogna accertare l'effettiva situazione di gerarchia delle responsabilità all'interno dell'apparato organizzativo. Non rileva giuridicamente il fatto che ci sia un responsabile del servizio di prevenzione e protezione, che è un semplice consulente del datore (Cassazione, sezione IV penale, sentenza 38100 del 17 settembre 2014) LA DELEGA È responsabile il delegato del Cda Il presidente del consiglio di amministrazione di una Spa è condannato per omicidio colposo, in seguito all'infortunio di un dipendente. La Cassazione conferma, in larga parte, la sentenza. La Corte stabilisce che, in una società di capitali, gli obblighi datoriali di prevenzione gravano su tutto il Cda, ma anche che, se c'è stata delega a un amministratore delegato (nel caso specifico, una delibera di Cda con delega delle funzioni di «datore di lavoro per la sicurezza»), l'obbligo di adottare le misure antinfortunistiche si trasferisce sul delegato (Cassazione, sezione IV penale, sentenza n. 21628 del 20 maggio 2013) IL RUOLO DEL CONSIGLIO Le scelte strutturali sono del Cda Il legale rappresentante di una Spa è condannato per lesioni colpose da infortunio, benché un altro componente del Cda fosse delegato per la sicurezza. La Cassazione conferma la sentenza, sostenendo che la delega gestoria sulla prevenzione riduce il ruolo di garanzia del Cda ma non del tutto: le scelte sui difetti strutturali e del processo produttivo attengono, di regola, al ruolo di garanzia del Cda e, dunque, permane la sua responsabilità. Diversamente, si violerebbe il principio del permanere sul delegante di obblighi di vigilanza e di intervento sostitutivo (Cassazione, sezione IV penale, sentenza 4968 del 31 gennaio 2014) LA DIREZIONE DEL LAVORO Non decide il rappresentante legale Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 25 Il legale rappresentante di una Spa è condannato per un infortunio avvenuto in uno degli stabilimenti. La Cassazione annulla la sentenza, sostenendo che, nelle aziende di grandi dimensioni, il legale rappresentante spesso non coincide con chi ha potere di organizzare il lavoro, al quale spettano le responsabilità di prevenzione. La responsabilità di chi dirige l'unità è, però, condizionata alla congruità dei suoi poteri decisionali e di spesa rispetto alle esigenze concrete di prevenzione. Se l'intervento rientra nei suoi poteri, egli è onerato a titolo originario, non per delega. (Cassazione, sezione IV penale, sentenza n. 4106 del 3 febbraio 2011) 26 Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Prevenzione infortuni Nell'incarico autonomia e risorse ad hoc Aldo Monea, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 27 ottobre 2014 La redazione del documento. È necessario specificare nel dettaglio i compiti attribuiti Una buona organizzazione del Cda richiede, sulla tutela della salute dei lavoratori, una «delega gestoria» formulata con la massima accuratezza organizzativa e giuridica. In realtà, invece, spesso 27 i testi non sono di elevata qualità. Peraltro, in generale si intende la tutela della salute per lo più come anti-infortunistica, senza considerare che la salute lavorativa comprende anche la cura del benessere mentale e relazionale di chi lavora e, quindi, la prevenzione di fenomeni di mobbing, burn-out e stalking lavorativo. I documenti redatti nelle aziende sono spesso dettagliati e giuridicamente "raffinati" su deleghe di attività centrali (ad esempio commerciali, di marketing, di produzione) e sono invece laconici e ambigui sulle deleghe di attività "trasversali", come la sicurezza sul lavoro. Una buona delega gestoria In ogni società di capitali è invece essenziale una grande attenzione sulla formulazione di deleghe gestorie comprensive dell'organizzazione della sicurezza sul lavoro. Il documento dovrebbe essere: - il più possibile univoco, cioè chiaro ed esplicito nella determinazione operata. Un classico errore è l'attribuzione del ruolo di datore lavoristico, pensando di avere così conferito anche il ruolo di datore per la sicurezza. È invece auspicabile un'esplicita indicazione della denominazione di «datore di lavoro per la sicurezza», prevista dal Dlgs 81/2008; - non contraddittorio rispetto alla restante azione organizzativa. Un esempio negativo è un Cda (o il presidente) che riservi a sé (e a scapito dell'amministratore delegato-presunto datore per la sicurezza) poteri e leve funzionali alla sicurezza sul lavoro; - congruo, cioé che si prospetti adeguato nei poteri e nelle risorse date rispetto alle esigenze di sicurezza della specifica organizzazione. Bisogna evitare, ad esempio, la carenza di budget; - esauriente, identificando nella descrizione del ruolo di delegato anche i profili principali di datore per la sicurezza emergenti dal Dlgs 81/2008. È assolutamente necessaria, per esempio, una specifica attenta dell'attribuzione dei compiti e dei poteri, tra cui quello della delega di funzioni prevista dall'articolo 16 del Dlgs 81/2008; - specifico, vale a dire puntuale nell'indicazione delle attribuzioni in materia di sicurezza; - evocativo di un'assoluta autonomia di ruolo, in modo tale che il datore di lavoro per la sicurezza non debba chiedere al Cda una convalida di proprie decisioni in materia. Semplificando, la delega deve essere idonea a costruire un ruolo di datore per la sicurezza «a tutto tondo» e a comunicarlo con chiarezza, all'interno della società e, se necessario, al suo esterno. La delega di funzioni Un discorso diverso è da fare quando alla macro-articolazione organizzativa nell'ambito del Cda, mediante la delega finora descritta, segua una micro-organizzazione al livello dirigenziale ed esecutivo sottostante della società. In questo caso, si entra nel ben differente capitolo giuridico e organizzativo della «delega di funzioni» del datore di lavoro per la sicurezza (come detto, di solito, lo stesso Cda o un amministratore) verso propri delegati di funzione sulla sicurezza sul lavoro (Cassazione penale, sezione IV, sentenza 20062/2010). Per questa delega, bisogna prendere come riferimento normativo non il Codice civile, ma le regole fissate dal Testo unico sulla sicurezza, Dlgs 81/2008 (principalmente l'articolo 16 sulla delega di funzioni e l'articolo 18 sulle attribuzioni trasferibili dal datore al dirigente). Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Antincendio La pianificazione e le modalità dei controlli delle attrezzature e degli impianti di protezione Stefano Zanut, Il Sole 24 ORE Antincendio24, 15 ottobre 2014 La sicurezza di un luogo di lavoro, ma lo stesso si può dire anche per altri ambienti, si realizza in gran parte garantendo il rispetto di specifiche condizioni di esercizio e l’efficienza dei dispositivi predisposti a tal fine. Nel campo della prevenzione incendi, in particolare, questa attenzione viene 28 prevalentemente indirizzata verso i sistemi d’esodo, al fine di permettere alle persone di allontanarsi agevolmente in caso di pericolo, e le attrezzature e gli impianti di protezione. Per garantire continuità ed efficacia nelle loro prestazioni ed avere ragionevole certezza che in caso di necessità risultino disponibili, è necessario pianificare attentamente i loro controlli periodici e le modalità per risolvere gli eventuali problemi riscontrati. Tali attività, solitamente identificata come gestione della sicurezza antincendio, richiede non solo attenzione. D’altra parte, come recita un autorevole riferimento d’oltre oceano (NFPA 101, "Life Safety Code") "ogni sistema di protezione, dispositivo o impianto che non sia mantenuto in condizioni di affidabilità operativa o sia utilizzato in modo da rendere inefficace la prefissata funzione protettiva, dovrebbe essere considerato come inesistente e non avere alcun credito nella valutazione globale del livello di sicurezza." Nella gestione della sicurezza di un'attività, gli aspetti connessi con il mantenimento in efficienza dei presidi destinati alla salvaguardia delle persone in caso d'incendio, dagli impianti di spegnimento fino ai sistemi per a garantire l'evacuazione, sono considerati con attenzione a partire dal D.Lgs 81/08, che richiama alla necessità che nei luoghi di lavoro " devono essere adottate idonee misure per prevenire gli incendi e per tutelare l'incolumità dei lavoratori" (art. 46 Prevenzione incendi). Più oltre, ovvero nel suo allegato IV, punto 4, così si esprime nell’ambito delle “m: 4.1.3. Devono essere predisposti mezzi ed impianti di estinzione idonei in rapporto alle particolari condizioni in cui possono essere usati, in essi compresi gli apparecchi estintori portatili o carrellati di primo intervento. Detti mezzi ed impianti devono essere mantenuti in efficienza e controllati almeno una volta ogni sei mesi da personale esperto”. Contestualmente il legislatore puntualizza alcuni aspetti su cui si riserva di emanare specifiche indicazioni in merito, ovvero: a) I criteri diretti a individuare: 1) misure intese ad evitare l'insorgere di un incendio ed a limitarne le conseguenze qualora esso si verifichi; 2) misure precauzionali di esercizio; 3) metodi di controllo e manutenzione degli impianti e delle attrezzature antincendio; 4) criteri per la gestione delle emergenze; b) le caratteristiche dello specifico servizio di prevenzione e protezione antincendio, compresi i requisiti del personale addetto e la sua formazione. In attesa di tali disposizioni, permane come irrinunciabile riferimento il D.M. 10 marzo 1998 (Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell'emergenza nei luoghi di lavoro), nel cui ambito vengono date indicazioni sufficientemente precise su ognuno di tali aspetti. Per quanto concerne il tema del controllo e della manutenzione delle attrezzature antincendio, in particolare, è da considerare l'allegato VI (Controlli e manutenzione sulle misure di protezione antincendio), strutturato in quattro parti: - Generalità, con indicati gli obiettivi; - Definizioni; - Vie di uscita; - Attrezzature e impianti di protezione antincendio. Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Nelle generalità viene evidenziata l'importanza che "tutte le misure di protezione antincendio previste: - per garantire il sicuro utilizzo delle vie di uscita - per l'estinzione degli incendi - per la rivelazione e l'allarme in caso di incendio; Devono essere oggetto di sorveglianza, controlli periodici e mantenute in efficienza". D'altra parte questo stesso concetto viene richiamato anche dall'art. 64, punto e, del D.Lgs 81/08, che pone a carico del datore di lavoro la necessità di provvedere affinché "gli impianti e i dispositivi di sicurezza, destinati alla prevenzione o all'eliminazione dei pericoli, vengano sottoposti a regolare manutenzione e al controllo del loro funzionamento." Le definizioni servono a definire un tessuto condiviso anche di tipo terminologico e idoneo a rappresentare le modalità di gestione. Il primo termine, di strategica importanza e ricorrente in molte norme, è quello di sorveglianza, definita come "controllo visivo atto a verificare che le attrezzature e gli impianti antincendio siano nelle normali condizioni operative, siano facilmente accessibili e non presentino danni materiali accertabili tramite esame visivo. La sorveglianza può 29 essere effettuata dal personale normalmente presente nelle aree protette dopo aver ricevuto adeguate istruzioni ". E' senza dubbio una componente fondamentale per garantire continuità tra le fasi più strutturate del controllo e che può essere effettuata dal personale presente sul luogo di lavoro purché abbia ricevuto adeguate informazioni su come operare. Il controllo periodico, ovvero "l'insieme di operazioni da effettuarsi con frequenza almeno semestrale, per verificare la completa e corretta funzionalità delle attrezzature e degli impianti", viene invece effettuato da personale specializzato ordinariamente dipendente da ditte specializzate in materia, oppure, per le attività più strutturate, anche da personale tecnico interno. È un'attività di livello superiore rispetto alla sorveglianza e chi lo esegue deve essere specificamente preparato. Infine la manutenzione, intesa come "operazione od intervento finalizzato a mantenere in efficienza ed in buono stato le attrezzature e gli impianti", che si articola in ordinaria e straordinaria: la prima si realizza con "riparazioni di lieve entità, abbisognevoli unicamente di minuterie e comporta l'impiego di materiali di consumo di uso corrente o la sostituzione di parti di modesto valore espressamente previste operazione che si attua in loco, con strumenti ed attrezzi di uso corrente" , mentre la seconda "non può essere eseguita in loco o pur essendo eseguita in loco, richiede mezzi di particolare importanza oppure attrezzature o strumentazioni particolari o che comporti sostituzioni di intere parti di impianto o la completa revisione o sostituzione di apparecchi per i quali non sia possibile o conveniente la riparazione" . Per provare a identificare ragionevolmente il profilo delle persone che possono effettuare tali attività è possibile attingere alla norma UNI 9994-1:2013 (Estintori di incendio - Parte 1: Controllo iniziale e manutenzione), che propone la seguente terminologia: - Azienda di manutenzione: Azienda organizzata e strutturata che abbia nel proprio oggetto sociale l'attività di manutenzione di estintori, dotata di persone competenti. - Persone addette alla sorveglianza: Persona responsabile che abbia ricevuto adeguate informazioni atte a controllare lo stato dell'estintore. - Persona competente (manutentore, colui che si occupa della manutenzione): Persona dotata della necessaria formazione ed esperienza che ha accesso ad attrezzature, apparecchiature ed informazioni, manuali e conoscenze significative di qualsiasi procedura speciale raccomandata da produttore di un estintore, in grado di eseguire su detto estintore le procedure di manutenzione specificate dalla presente norma. Ovviamente la norma si riferisce agli estintori portatili, ma i concetti espressi possono essere impiegati anche in altri contesti. È in ogni caso da evidenziare come il D.M. 10 marzo 1998 si riferisca genericamente a tutti gli ambienti di lavoro, ma potrebbe anche prospettarsi il caso di un'attività regolamentata da una specifica norma di prevenzione incendi (ad esempio nel caso delle scuole, dei locali di pubblico spettacolo, degli alberghi, ecc.), contenente indicazioni sugli stessi aspetti e da considerare con altrettanta attenzione. Nel contesto specifico delle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi, in particolare il tema della gestione in sicurezza dell'attività è definito dall'art. 6 (Obblighi connessi con l'esercizio dell'attività) del D.P.R. 151/2011 (Regolamento recante disciplina dei procedimenti relativi alla Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 prevenzione incendi), che fornisce in merito le seguenti indicazioni: "Gli enti e i privati responsabili di attività di cui all'Allegato 1 del presente regolamento, non soggette alla disciplina del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni, hanno l'obbligo di mantenere in stato di efficienza i sistemi, i dispositivi, le attrezzature e le altre misure di sicurezza antincendio adottate e di effettuare verifiche di controllo ed interventi di manutenzione secondo le cadenze temporali che sono indicate dal Comando nel certificato di prevenzione o all'atto del rilascio della ricevuta a seguito della presentazione della SCIA" . Infine da indicazioni per l'istituzione di un registro su cui annotare i controlli, le verifiche, gli interventi di manutenzione e l'informazione del personale, che "dovrà essere mantenuto aggiornato e reso disponibile ai fini dei controlli di competenza del Comando". Le vie di uscita. Per via di uscita, da utilizzare in caso di emergenza, s'intende un "percorso senza ostacoli al deflusso che consente agli occupanti un edificio o un locale di raggiungere un luogo sicuro" (definizione tratta dall'allegato III al D.M. 10 marzo 1998). Quando la consideriamo dobbiamo quindi comprendere anche le porte, con i relativi dispositivi di apertura, ed i percorsi per 30 raggiungerle, nonchè tutti gli altri ausili ambientali funzionali a consentire che l'esodo si realizzi con la massima efficacia. In quest'ultima categoria rientrano i sistemi di allarme per attivare l'evacuazione, la cartellonistica e l'illuminazione di sicurezza, con l'obiettivo di permettere che le persone si posano muovere agevolmente, ma anche gli eventuali sistemi e/o impianti finalizzati a impedire la propagazione dell'incendio o del fumo lungo i percorsi. Nell'ambito di tali sistemi si considerano solitamente le porte resistenti al fuoco e le eventuali serrande tagliafuoco presenti sui condotti di ventilazione, oppure altre modalità di compartimentazione, oltre che impedire al fumo di compromettere i percorsi. Tali aspetti sono così proposti nella norma: - Percorsi. "Tutte quelle parti del luogo di lavoro destinate a via di uscita, quali passaggi, corridoi, scale, devono essere sorvegliate periodicamente al fine di assicurare che siano libere da ostruzioni e da pericoli che possano comprometterne il sicuro utilizzo in caso di esodo". - Porte sulle uscite di sicurezza "Tutte le porte sulle vie di uscita devono essere regolarmente controllate per assicurare che si aprano facilmente. Ogni difetto deve essere riparato il più presto possibile ed ogni ostruzione deve essere immediatamente rimossa. Particolare attenzione deve essere dedicata ai serramenti delle porte". - Porte resistenti al fuoco. "Tutte le porte resistenti al fuoco devono essere regolarmente controllate per assicurarsi che non sussistano danneggiamenti e che chiudano regolarmente. Qualora siano previsti dispositivi di autochiusura, il controllo deve assicurare che la porta ruoti liberamente e che il dispositivo di autochiusura operi effettivamente". - "Le porte munite di dispositivi di chiusura automatici devono essere controllate periodicamente per assicurare che i dispositivi siano efficienti e che le porte si chiudano perfettamente. Tali porte devono essere tenute libere da ostruzioni". - Segnaletica di sicurezza. "La segnaletica direzionale e delle uscite deve essere oggetto di sorveglianza per assicurarne la visibilità in caso di emergenza". - Altre azioni finalizzate al miglioramento della prestazione generale. "Tutte le misure antincendio previste per migliorare la sicurezza delle vie di uscita, quali per esempio gli impianti di evacuazione fumo, devono essere verificati secondo le norme di buona tecnica e manutenzionati da persona competente". Relativamente ai percorsi è ovviamente l'azione di sorveglianza quotidiana a garantire che siano lasciati liberti da impedimenti che ne compromettano l'efficacia, mentre per quanto concerne i dispositivi di apertura delle porte risulta necessario fare un riferimento al D.M. 3 novembre 2004 (Disposizioni relative all'installazione ed alla manutenzione dei dispositivi per l'apertura delle porte installate lungo le vie di esodo, relativamente alla sicurezza in caso d'incendio), che li considera nell'ambito dell'art. 4 (Commercializzazione, installazione e manutenzione dei dispositivi). In questo caso la filiera delle figure coinvolte parte dal produttore, che deve fornire le necessarie informazioni ai fini dell'installazione e manutenzione dei dispositivi, per arrivare al titolare dell'attività a cui aspetta il compito di "effettuare la corretta manutenzione del dispositivo osservando tutte le istruzioni per la manutenzione fornite dal produttore del dispositivo stesso" e di "annotare le operazioni di manutenzione e controllo sul registro di cui all'art. 6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 1 agosto 2011, n. 151". Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Le attrezzature e gli impianti di protezione antincendio Relativamente a questo aspetto, oltre al necessario riferimento al punto 6.4 dell'allegato VI è disponibile anche una ricca filiera di norme UNI che intervengono sulle varie tipologie di impianti e attrezzature. Nello specifico la norma si esprime nel seguente modo: "Il datore di lavoro è responsabile del mantenimento delle condizioni di efficienza delle attrezzature ed impianti di protezione antincendio. Il datore di lavoro deve attuare la sorveglianza, il controllo e la manutenzione delle attrezzature ed impianti di protezione antincendio in conformità a quanto previsto dalle disposizioni legislative e regolamentari vigenti". Successivamente ritorna sulle modalità per condurre l'attività di controllo nelle sue varie articolazioni: "Scopo dell'attività di sorveglianza, controllo e manutenzione è quello di rilevare e rimuovere qualunque causa, deficienza, danno od impedimento che possa pregiudicare il corretto funzionamento ed uso dei presidi antincendio. L'attività di controllo periodica e la manutenzione deve essere eseguita da personale competente e qualificato ". Sorveglianza La sorveglianza consiste in una misura di prevenzione, che deve essere effettuata da persona 31 responsabile che abbia ricevuto adeguate informazioni. La sorveglianza è finalizzata ad esaminare lo stato dell'estintore tramite l'effettuazione dei seguenti accertamenti: - L'estintore è il suo supporto siano integri; - L'estintore sia presente e segnalato con apposito cartello ai sensi della legislazione vigente; - Il cartello sia chiaramente visibile, l'estintore sia immediatamente utilizzabile e l'accesso allo stesso sia libero da ostacoli; - L'estintore non sia stato manomesso, in particolare risulti sigillato il dispositivo di sicurezza per evitare azionamenti accidentali; - Le iscrizioni siano leggibili; - L'indicatore di pressione, se presente, indichi un valore di pressione compreso all'interno del campo verde; - Il cartellino di manutenzione sia presente sull'apparecchio e che non sia stata superata la data per le attività previste; - L'estintore portatile non sia collocato a pavimento. La periodicità dell'azione di sorveglianza è definita dalla persona responsabile in relazione al rischio di incendio presente. Le anomalie riscontrate devono essere immediatamente eliminate. L'esito dell'attività di sorveglianza deve essere registrato. Controllo periodico Il controllo periodico deve essere eseguito dalla persona competente. Consiste in una misura di prevenzione atta a verificare, con periodicità massima di 6 mesi (entro la fine del mese di competenza), l'efficienza degli estintori portatili o carrellati, tramite l'effettuazione dei seguenti accertamenti: - Verifiche di cui alla fase di sorveglianza; - Per gli estintori pressurizzati a pressione permanente il controllo della pressione interna con uno strumento indipendente; - Per gli estintori a biossido di carbonio il controllo dello stato di carica tramite pesatura; - Controllo della presenza, del tipo e della carica delle bombole di gas ausiliario degli estintori pressurizzati con tale sistema; - L'estintore non presenti anomalie quali ugelli ostruiti, perdite, tracce di corrosione, sconnessioni o incrinature dei tubi flessibili, ecc. - L'estintore sia esente da danni alle strutture di supporto e alla maniglia di trasporto; in particolare, se carrellato, abbia ruote funzionanti; - Sia esente da danni e ammaccature al serbatoio. Il produttore deve fornire tutte le informazioni necessarie per effettuare gli accertamenti sopra elencati. Gli strumenti utilizzati per i controlli devono essere tarati e/o verificati ad intervalli specificati, o prima della loro utilizzazione, a fronte a campioni di misura riferibili a campioni internazionali o nazionali. Devono essere mantenute registrazioni dei risultati della taratura e della verifica. Le anomalie riscontrate devono essere immediatamente eliminate, in caso contrario l'estintore deve essere dichiarato non idoneo, collocando sull'apparecchiatura un'etichetta "ESTINTORE FUORI SERVIZIO"; si deve informare la persona responsabile e indicare la dizione "FUORI SERVIZIO" sul cartellino di manutenzione. Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Tabella 1. Modalità di sorveglianza e controllo degli estintori portatili estratte dalla UNI 94941:2013. L'annotazione dei controlli: il registro antincendio Il tema delle modalità di gestione dei controlli e della loro annotazione, sia ai fini degli obblighi connessi con la gestione dell'attività lavorativa ai sensi del D.Lgs 81/08, sia per quanto concerne i procedimenti di prevenzione incendi di cui al D.P.R. 151/2011, rappresenta una condizione di cui è intriso tutto il percorso connesso con la gestione della sicurezza antincendio. A tal proposito sono da evidenziare due importanti aspetti: 1) Nell'ambito dei luoghi di lavoro non devono esistere "due registri", di cui uno antincendio e l'altro connesso con la gestione dell'attività per altri aspetti, ma uno solo (su questo aspetto l'art. 6 del D.P.R. 151/2011 è ben chiaro perché elimina il registro come duplicato di altri adempimenti già previsti dalla normativa di sicurezza nei luoghi di lavoro). 2) Non esiste un registro tipo, ma una modalità corretta di gestire i procedimento di controllo e la 32 loro annotazione. Ogni datore di lavoro nell'ambito della propria struttura organizzativa può pertanto costruirsi un proprio registro, purché sia tenuto aggiornato con l'indicazione delle attività compiute i provvedimenti intrapresi e sia disponibile per i controlli dei vigili del fuoco. Per aiutare in tal senso possono essere prese come riferimento alcune iniziative finalizzate a proporre una modalità per gestire i controlli. A puro titolo di esempio, giova ricordare la norma UNI CEI 11222 (Impianti di illuminazione di sicurezza negli edifici - Procedure per la verifica periodica, la manutenzione, la revisione e il collaudo), che definisce le modalità di controllo dei sistemi di illuminazione di sicurezza e propone una modalità per registrare le attività svolte. Nella stessa norma i dati da considerare nel caso di verifica del funzionamento degli apparecchi, da effettuare con cadenza semestrale, sono i seguenti: - Data - Sorveglianza effettuata da (nome e cognome) - Apparecchio N° - Anomalie riscontrate - Azioni intraprese - Data prossima verifica - Firma Altre UNI, invece, forniscono delle vere e proprie check-list che posso essere trasformate in strumenti di lavoro per le azioni da compiere. E' il caso della più volte citata UNI 9994-1:2013 che fornisce per ogni tipologia di controllo un elenco degli aspetti da verificare. Attività Punto Periodicità norma massima Circostanza Documenti necessari Operazioni minime Controllo iniziale 4.3 Non applicabile Nel controllo iniziale Registrazione della Controlli degli estintori presa in carico visivi e documentali Sorveglianza 4.4 Raccomandata 1 mese Secondo il piano di manutenzione programmata da persona responsabile Controllo periodico 4.5 6 mesi (entro la Durante le visite di Compilazione fine del mese di manutenzione rapporto competenza) intervento aggiornamento cartellino manutenzione. del Interventi di tecnici e del di Revisione programmata 4.6 Vedere prospetto 2 * Durante le visite di Compilazione manutenzione rapporto intervento aggiornamento cartellino del Interventi di tecnici e del di Registrazione Controlli dell'avvenuta visivi sorveglianza su apposito registro Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 manutenzione. Collaudo 4.7 Manutenzione 4.8 straordinaria Vedere prospetto 2 * Durante le visite di Compilazione manutenzione rapporto intervento aggiornamento cartellino manutenzione. Non applicabile In caso di utilizzo e/o Compilazione di non conformità rapporto rilevata intervento del Interventi di tecnici e del di Interventi di tecnici Note - Le periodicità possono essere ridotte in funzione del rischio riscontrato o da specifiche indicazioni del fabbricante che possono essere ridotte ma non aumentate. - La data della prima revisione programmata deve essere calcolata a partire dalla data di 33 produzione dell'estintore, qualora non presente fa riferimento la data di produzione del serbatoio/bombola punzonata sullo(a) stesso(a). - La data del primo collaudo deve essere calcolata a partire dalla data di produzione del serbatoio/bombola punzonata sullo(a) stesso(a) Tabella 2. Estratto dalla norma UNI 9994-1:2013 relativamente alle fasi e attività connesse con il mantenimento in efficienza degli estintori portatili (* il riferimento è allo specifico prospetto della norma, che in questo contributo è identificato con tabella 3). Collaudo (mesi) Estinguente Tipo di estintore Revisione (mesi) CE/PED PRE-PED Polvere Tutti 36 144 72 Biossido di carbonio Tutti 60 120 120 A base d'acqua Serbatoio in acciaio al carbonio con agente estinguente 24 premiscelato 72 72 Serbatoio in acciaio al carbonio contenente solo acqua ed 48 eventuali altri additivi in cartuccia 96 72 Serbatoio in acciaio inox o lega 48 di alluminio 144 72 144 72 Idrocarburi alogenati Tutti 72 Tabella 3. Estratto dalla norma UNI 9994-1:2013 relativamente alla periodicità massima di revisione e collaudo portatili. Procedimenti di prevenzione incendi e gestione della sicurezza antincendio. Nell'ambito dei procedimenti di prevenzione incendi l'argomento che si sta trattando viene considerato nell'ambito dell'art. 6 del D.P.R. 151/2011. Ma lo stesso aspetto si ripresenta come quando è necessario presentare la cosiddetta attestazione di rinnovo periodico di conformità antincendio, considerata dall'art. 5 del predetto decreto, ogni 5 o 10 anni in funzione del tipo di attività. Nella modulistica da impiegare per l'attestazione, infatti, il titolare dell'attività dichiara quanto segue: - "di avere assolto gli obblighi gestionali connessi con l'esercizio dell'attività previsti dalla normativa vigente, nonché di aver osservato i divieti, le limitazioni e le prescrizioni delle disposizioni di prevenzione incendi e di sicurezza antincendio disciplinanti l'attività medesima"; Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 - "di aver adempiuto l'obbligo di mantenere in stato di efficienza i sistemi, gli impianti, i dispositivi, le attrezzature, rilevanti ai fini della sicurezza antincendi, e le altre misure di sicurezza antincendio adottate e di aver effettuato le verifiche di controllo e gli interventi di manutenzione in accordo alla regolamentazione vigente, a quanto indicato nelle pertinenti norme tecniche e nelle istruzioni di uso e manutenzione del fabbricante e/o installatore". In sostanza dichiara di aver garantito gli obblighi connessi con la gestione in sicurezza dell'attività, condizione documentabile tramite il registro dei controlli. Preso atto che nella predetta attestazione vengono richiamati gli articoli 75 e 76 del D.P.R. 445/2000, che definiscono le sanzioni a carico di chi sottoscrive dichiarazioni mendaci, si comprendere come l'attuazione di una corretta gestione della sicurezza rappresenti una condizione ineludibile. Reati connessi con l’omesso controllo delle attrezzature antincendio In merito a questo aspetto il riferimento fondamentale è rappresentato dall’art. 451 (Omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro) c.p., che stabilisce quanto segue: “Chiunque, per colpa, omette di collocare, ovvero rimuove o rende inservibili apparecchi o altri 34 mezzi destinati alla estinzione di un incendio o al salvataggio o al soccorso contro disastri o infortuni sul lavoro, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da centotre euro a cinquecentosedici euro”. Nello specifico contesto degli ambienti di lavoro, come evidenziato all’inizio, è il D.Lgs 81/08 a contenere indicazioni in merito, nel cui ambito si riscontrano anche le violazioni correlate con l’omesso controllo periodico delle attrezzature antincendi. Tale reato, in particolare, risulta sanzionabile con le modalità definite dall’art. 68 (Sanzioni per i datore di lavoro e dirigente), comma 1 lett. b), in relazione all’art. 64 (Obblighi del datore di lavoro), comma 1 lett. a) e all’art. 63 (Requisiti di salute e di sicurezza), comma 1, nonché al punto 4.1.3 dell’allegato IV (Requisiti dei luoghi di lavoro) dello stesso decreto. In merito alle specifiche sanzioni, nei casi considerati la violazione comporta per il datore di lavoro l’arresto da 2 a 4 mesi o l’ammenda da 1.096 a 5.260,80 euro. Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 Coordinatore sicurezza Nomina CSE D. Nel caso di affidamento di lavori edilizi ad un'impresa A che subappalta il lavoro ad un'altra impresa B è necessaria la nomina del CSE se nel cantiere opera solo l'impresa B? 35 ---R. L'articolo 90, comma 4, del D.Lgs 81/08 impone al committente o al responsabile dei lavori di designare, prima dell'affidamento dei lavori, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori. La disposizione opera, tuttavia, solo nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese esecutrici, anche non contemporanea. Ne consegue che, nel caso di lavori in cui vi sia un'unica impresa esecutrice oppure come il caso in esame - un'impresa affidataria che subappalta in toto il lavoro ad un'unica impresa esecutrice senza mai fisicamente entrare in cantiere, i coordinatori non sono necessari. Se, invece, in fase progettuale si era ritenuto di eseguire i lavori con un'unica impresa ma, di fatto, in fase di realizzazione l'impresa esecutrice si deve servire di un subappaltatore (anche di un semplice nolo a caldo o di una fornitura in opera), allora, in questo specifico caso, dovrà essere nominato il CSE che dovrà redigere il piano di sicurezza e di coordinamento. (Gianluca Lopergolo, Il Sole 24 ORE – Tecnici24 Risponde, 16 ottobre 2014) Formazione e sicurezza Corsi gestione sicurezza D. Un RSPP, interno o esterno (modulo C), in quali dei seguenti corsi, organizzati da un datore di lavoro, può insegnare: - Rls - Addetti antincendio - Addetti alle emergenze - Addetti al primo soccorso. ---R. Si premette, in via generale, che le tematiche evidenziate nel quesito non rientrano tra quelle per cui è richiesta una qualificazione specifica del formatore, a norma del Decreto Interministeriale 6 marzo 2013 (Cfr. comunicato pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 65 del 18 marzo 2013), entrato in vigore il 18 marzo 2014. Tale decreto si riferisce esclusivamente, infatti, alla formazione ex artt. 34 e 37 del D.Lgs 81/08. Tanto premesso, in relazione alla formazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, la norma di riferimento è l'art. 37, commi 10 e 11, che si limita ad evidenziare che la formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve avvenire, in collaborazione con gli organismi paritetici, ove presenti nel settore e nel territorio in cui si svolge l'attività del datore di lavoro, durante l'orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori. Le modalità ed i contenuti specifici della formazione del RLS sono demandati alla contrattazione collettiva nazionale di categoria. La durata minima dei corsi è di 32 ore. A nostro avviso la formazione può quindi essere erogata dal datore di lavoro, direttamente o attraverso delega a soggetti interni (es. dirigenti o preposti) o esterni (ad es. consulenti, Rspp) all'impresa. Con riferimento all'antincendio e alla gestione delle emergenze, la norma di riferimento è l'articolo 37, comma 9, che prescrive che gli addetti devono ricevere un'adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico e che, in attesa dell'emanazione delle disposizioni di cui al comma 3 dell'articolo 46, continuano a trovare applicazione le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell'interno in data 10 marzo 1998, pubblicato nel S.O. alla Gazzetta Ufficiale n. 81 del 7 aprile 1998, attuativo dell'articolo 13 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626. Si ritiene quindi che l'informazione (ex. Allegato 7.2 del DM 10 marzo 1998) può essere erogata dal datore di lavoro, direttamente o attraverso delega a soggetti interni (es. dirigenti o preposti) o esterni (ad es. consulenti, Rspp) all'impresa. Analoga considerazione vale anche per la formazione antincendio Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 (ex. art. 37, comma 9, del D.Lgs 81/08 e Allegati 9 e 10 del DM 10 marzo 1998), fatta salva l'opportunità, in tal caso, di avvalersi di soggetti esterni qualificati (es Vigili del fuoco) per l'esercitazione pratica. Da ultimo, in relazione al primo soccorso, il secondo comma dell'art. 45 prevede che le caratteristiche minime delle attrezzature di primo soccorso, i requisiti del personale addetto e la sua formazione, individuati in relazione alla natura dell'attività, al numero dei lavoratori occupati ed ai fattori di rischio sono individuati dal decreto ministeriale 15 luglio 2003, n. 388 e dai successivi decreti ministeriali di adeguamento acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. L'articolo 3 di detto decreto, al primo comma, si limita a prevedere che gli addetti al pronto soccorso sono formati con istruzione teorica e pratica per l'attuazione delle misure di primo intervento interno e per l'attivazione degli interventi di pronto soccorso. Il successivo comma 2, tuttavia, prevede che la formazione dei lavoratori designati è svolta da personale medico, in collaborazione, ove possibile, con il sistema di emergenza del Servizio Sanitario Nazionale e che nello svolgimento della parte pratica della formazione il medico può avvalersi della collaborazione di personale infermieristico o di altro personale specializzato. Il Rspp non potrà quindi erogare tale 36 tipo di formazione, a meno che non sia anche medico. (Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Tecnici24 Risponde, 6 ottobre 2014) Schede dati Schede dati di Sicurezza D. La redazione e messa a disposizione dell'utilizzatore a valle della scheda dati di sicurezza, sulla base dei nuovi regolamenti (reach, ecc....), è assolutamente OBBLIGATORIA solo per sostanze e preparati (miscele) PERICOLOSI (D.lgs. 52/97 e D.lgs.65/2003) o per tutti i prodotti messi in vendita? Il dubbio nasce dal fatto che mi son ritrovato delle SDS di sostanze NON PERICOLOSE secondo i D.Lgs sopra citati. ---R. In base alle normative sulle sostanze e miscele chimiche (REACH e CLP), Vi è l'obbligo di fornitura di SDS quando: " La sostanza o la miscela è classificata pericolosa " La sostanza è PBT o vPvB (Allegato XIII Reg. REACH) " La sostanze è inclusa nell'Allegato XIV del Reg. REACH (sostanze soggette ad autorizzazione, esclusi punti a) e b)). La SDS viene fornita su richiesta se la miscela non è pericolosa ma contiene: " Una sostanza pericolosa per la salute o per l'ambiente in concentrazione e1% p/p (0,2% per preparati gassosi) " Una sostanza PBT o vPvB o inclusa nell'allegato XIV (escluso punto a)) e0,1% p/p " Una sostanza che ha un limite di esposizione comunitario. Per le sostanze/miscele non ricomprese sopra, è facoltativa la redazione e fornitura della SDS. (Gianluca Lopergolo, Il Sole 24 ORE – Tecnici24 Risponde, 16 ottobre 2014) Piani di Sicurezza Necessità PSC e linea vita D. Di un rifacimento copertura (sostituzione listelli e tegole) da realizzarsi in Lombardia (lavoro in quota ai sensi dell'art. 37 dlgs 81/08) con un'unica impresa appaltatrice, vi è l'obbligo di redigere il P.S.C con notifica all' A.S.L. o è sufficiente il P.O.S. dell'impresa esecutrice? Vi è obbligo inoltre di installare linea vita anche in assenza di pratica edilizia firmata da tecnico abilitato? (Semplice comunicazione della proprietà al Comune) ---R. Art.90 del D.Lgs 81/2008 a sua volta modificato ed integrato dal D.lgs. 106/09 stabilisce al comma 3 che "nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese esecutrici, anche non contemporanea, il committente, anche nei casi di coincidenza con l'impresa esecutrice, o il responsabile dei lavori, contestualmente all'affidamento dell'incarico di progettazione, designa il coordinatore per la progettazione, al comma 4 che "nei cantieri in cui è prevista la presenza di più Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 imprese esecutrici, anche non contemporanea, il committente o il responsabile dei lavori, prima dell'affidamento dei lavori, designa il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, in possesso dei requisiti di cui all'articolo 98. L'obbligatorietà della designazione di tali figure professionali implica di conseguenza la redazione del P.S.C. in presenza, come riportato, di più imprese esecutrici. Per quel che concerne l'art.37 del D.Lgs 81/2008 a sua volta modificato ed integrato dal D.lgs. 106/09 si riferisce nello specifico alla formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti e non ai lavori in quota che vengono trattati in altri e più specifici articoli e capitoli del decreto in questione. Tali tipologie di lavori vengono trattate nel Capitolo II ed in modo particolare relativi agli obblighi del datore di lavoro nell'art. 111 del D.Lgs 81/2008 a sua volta modificato ed integrato dal D.lgs. 106/09, mentre nell'allegato XXI sono descritti gli accordi Stato - Regione e le modalità, i corsi ed i requisiti per i lavoratori addetti a lavori in quota. Riguardo l'istallazione della linea vita occorre ricordare che trattasi di lavori in quota, quindi con un coefficiente di pericolosità elevato e sarebbe opportuno valutare a monte se il sistema di linea vita sia nel caso specifico sufficiente a garantire la sicurezza dei lavoratori oppure valutare l'ipotesi di eseguire i lavori con altri mezzi ad esempio ponteggi o piattaforme elevatrici. In tutti i casi per ciascuna delle ipotesi di intervento ritengo sia opportuno attenersi alle prescrizioni vigenti in materia che, è bene ricordare, sono i minimi requisiti 37 imposti e questo per tornare sulla domanda di obbligo di redazione del P.S.C. magari la consulenza di un tecnico specifico o l'esperienza acquisita del datore di lavoro sarà capace di valutare con attenzione l'entità dei lavori da eseguire e di conseguenza coordinare gli stessi anche in assenza di P.S.C. (Gianluca Lopergolo, Il Sole 24 ORE – Tecnici24 Risponde, 15 ottobre 2014) Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 (G.U. 31 ottobre 2014, n. 254) Sicurezza MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI COMUNICATO Nono elenco, di cui al punto 3.7 dell'allegato III del decreto 11 aprile 2011, dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche di cui all'articolo 71, comma 11, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 come modificato e integrato dal decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106 38 (G.U. 3 ottobre 2014, n. 230) NOTA Verifiche periodiche: pubblicato il nono elenco dei soggetti abilitati Emanato il decreto con il nuovo elenco dei soggetti abilitati all’effettuazione delle verifiche periodiche ai sensi dell’art. 71 del D.lgs. 81/08. L’iscrizione ha validità quinquennale a decorrere dalla data di iscrizione che comporta il rispetto degli obblighi previsti dall’art. 2, D.m. 11 aprile 2011, tra cui: - Il rispetto dei termini temporali; - L’obbligo di riportare in apposito registro informatico copia dei verbali delle verifiche effettuate, nonché i dati di cui all’allegato III, D.m. 11 aprile 2011; - L’obbligo di conservare tutti gli atti documentali relativi all’attività di verifica per un periodo non inferiore ai dieci anni; - L’obbligo di trasmettere trimestralmente per via telematica il registro informatizzato. Il Ministero del lavoro, entro il periodo di validità dell’iscrizione (5 anni), può procedere al controllo della permanenza dei presupposti dell’idoneità dei soggetti nominati; inoltre qualsiasi variazione che i soggetti nominati intendano fare, deve essere comunicata al ministero, che su conforme parere della Commissione di cui al D.M. 11 aprile 2011, si esprimerà sulla sua ammissibilità. Ultimo adempimento: all’atto della richiesta di iscrizione negli elenchi di cui all’articolo 2, D.m. 11 aprile 2011, presso il soggetto titolare della funzione, i soggetti abilitati dovranno comunicare l’organigramma generale di cui all’allegato I del D.m. 11 aprile 2011, comprensivo dell’elenco nominativo dei verificatori, del responsabile tecnico e del suo sostituto ed eventualmente le variazioni sia dell’organigramma sia dell’elenco. (Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 6 ottobre 2014) MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI DECRETO 3 ottobre 2014 Individuazione dei requisiti minimi ai fini dell'equiparazione delle strutture organizzate per la sosta e il pernottamento di turisti all'interno delle proprie unita' da diporto ormeggiate nello specchio acqueo appositamente attrezzato alle strutture ricettive all'aria aperta. (G.U. 12 ottobre 2014, n. 238) MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI DETERMINA 22 luglio 2014 Modifiche al disciplinare per le scorte tecniche alle competizioni ciclistiche su strada, approvato con provvedimento del 27 novembre 2002, e successive modificazioni e integrazioni. (G.U. 17 ottobre 2014, n. 242) Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10 39 Proprietario ed Editore: Il Sole 24 Ore S.p.A. Sede legale e amministrazione: Via Monte Rosa 91- 20149 Milano Redazione: Edilizia e PA de Il Sole 24 ORE e-mail: [email protected] © 2014 Il Sole 24 ORE S.p.a. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi strumento. I testi e l’elaborazione dei testi, anche se curati con scrupolosa attenzione, non possono comportare specifiche responsabilità per involontari errori e inesattezze. www.tecnici24.ilsole24ore.com Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, novembre 2014, n. 10
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