Buddhismo in Europa - DIOCESI di Padova

CENTRO TENZIN
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Buddhismo
in Europa
MARIA ANGELA FALÀ
DIFFUSIONE IN OCCIDENTE
I
Maria Angela Falà, già
presidente dell’Unione
buddhista europea, è
vicepresidente
dell’Unione buddhista
italiana (Ubi) e
presidente della
Fondazione Maitreya, il
più rilevante istituto di
cultura buddhista in
Italia. L’Ubi nel dicembre
del 2012 ha visto
approvata l’intesa con lo
Stato italiano.È direttore
della rivista “Dharma”.
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Missione Oggi | aprile 2014
n contrasto con ciò che è generalmente avvenuto per la sua diffusione nei paesi orientali,
il Dharma non è stato portato in Occidente per
autonoma volontà dei buddhisti asiatici, ma sono
stati gli stessi occidentali ad andare verso est per
riportare a casa testi, maestri e monaci e con essi
l’insegnamento. Nel 1882 Thomas Rhys Davids
fondò a Londra la Pali Text Society che si dedicò
alla pubblicazione dei testi in lingua pāli della
tradizione theravāda e nello stesso anno fu pubblicato il saggio di H. Oldenerg, Buddha, che ebbe un’enorme diffusione. Da questo momento
cominciò a diffondersi la pratica buddhista che
favorì la traduzione di testi e un certo proselitismo come religione etica che si diffuse in ambiente ristretti soprattutto borghesi e di intellettuali, che trovavano nel buddhismo una risposta
razionale contro i dogmi delle religioni di provenienza, cristianesimo ed ebraismo, esaltando
l’esperienza individuale e l’etica della ragione.
La conoscenza e soprattutto la
pratica del buddhismo nei paesi
occidentali è un fenomeno
relativamente recente, se paragonato
alla storia millenaria del Dharma, e si
può datare all’incirca all’inizio del
XIX secolo, quando in Francia, Gran
Bretagna e Germania cominciarono
ad essere tradotti e pubblicati
importanti testi buddhisti e varie
personalità in campo filosofico,
artistico e religioso, come
A. Schopenauer o R. Wagner,
si interessarono al messaggio del
Buddha in un momento di crisi e di
grandi cambiamenti nella cultura,
nell’economia e nella società
occidentale.
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Le prime comunità buddhiste
All’inizio del XX secolo sorsero le prime
comunità buddhiste, non più cenacoli
accademici, ma luoghi di pratica: in
Germania per opera del giurista Georg
Grimm e del dottor Paul Dahlke venne creata
una “Comunità” e Dahlke costruì nel 1926
una “Casa buddhista” a Berlino, ancora
esistente, dove nei giorni di plenilunio
(uposatha) si riunivano alcune centinaia di
praticanti.
Nel corso del XX secolo soprattutto nel
secondo dopoguerra si assistette a un
cambiamento con una progressiva diffusione
negli ambienti più disparati. Ecco quindi
negli anni Sessanta nascere corsi di
meditazione zen (sesshin) e theravāda
(vipassanā) frequentati spesso da giovani
“alternativi” sull’onda della beat generation
e dell’esempio dei miti della West Coast
americana, J. Kerouak, G. Corso
e A. Ginsberg. (m.a.f.)
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poce, per esempio, della tradizione kagyupa,
maestro spirituale di molti occidentali; lama Yeshe, fondatore della Foundation for the Preservation of Mahayana Tradition (Fpmt), che ha
centri sparsi in vari paesi tra cui l’Italia; Chögyam Trungpa, fautore di una progressiva osmosi tra Dharma ed Occidente e molti altri.
PER SAPERNE DI PIU’
SITUAZIONE DIVERSA NEI PAESI EUROPEI
ESPANSIONE DEL BUDDHISMO TIBETANO
Alla fine degli anni Settanta cominciò l’espansione del buddhismo tibetano nelle sue varie scuole con l’arrivo di Lama e Maestri di grande levatura spirituale. “Quando volerà l’aquila di ferro
e i cavalli correranno su ruote, il popolo tibetano
sarà disperso per tutto il mondo e il Dharma approderà nella terra dell’uomo rosso”. Così suonava la predizione che nell’VIII secolo fece il
saggio indiano Padmasambhava, cui si deve
l’espansione del buddhismo nel Tibet. Oggi i cavalli-vapore su ruote e gli aerei-aquile di ferro
sono parte della nostra vita quotidiana e il popolo
tibetano, disperso in tutto il mondo dopo l’invasione cinese del 1959, ha portato in Occidente il
nobile insegnamento del Buddha per farlo custodire, vivificare e sviluppare.
Gli anni Ottanta hanno visto l’intensificazione di questo sviluppo: in tutta Europa sono sorti
molti centri legati alla tradizione tibetana sotto
la guida di importanti maestri come Kalu Rim-
Diversa è oggi la situazione nei paesi europei
per numero di praticanti e di centri: in Gran Bretagna e in Francia la lunga presenza del buddhismo tradizionale e di comunità di pratica, dovuta
anche al passato coloniale, ha permesso l’educazione di una nuova generazione di maestri e insegnanti europei, che fanno da tramite tra la cultura occidentale in cui sono nati e sono stati educati e quella buddhista a cui si sono avvicinati nel
corso della loro ricerca spirituale; in altri paesi
come la Germania e i Paesi Bassi o gli Usa sono
presenti numerosi gruppi di praticanti ed operano
vari maestri asiatici sensibili a questa esigenza,
che hanno fondato centri e comunità in cui si cerca per esempio di favorire il rapporto tra Dharma
e psicologia, Dharma e scienza e così via.
In questo senso va anche vista l’opera di alcuni gruppi di ricercatori che su impulso dello
scienziato cileno Francisco Varela hanno dato
vita alla fine degli anni Ottanta a Dharamsala a
una serie di incontri con il Dalai Lama che hanno messo in azione il progetto internazionale
Mind and Life, dialogo tra scienziati e tradizioni
contemplative per uno scambio cross-culturale
GIANGIORGIO
PASQUALOTTO
BUDDHISMO
Fattore “R”
Emi, Bologna 2012
pp. 158; € 12,00
presso:
[email protected]
A pag. 42:
monaci buddhisti
durante la cerimonia del tè;
la Ruota del Dharma,
simbolo dell’Unione
buddhista italiana.
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Buddhismi
in Occidente
L
a presenza del buddhismo nell’Europa
del XX secolo e soprattutto oggi, passata la boa del III millennio, è estremamente vitale e sta man mano presentando
una connotazione più precisa con caratteristiche proprie, che inducono alcuni a
pensare tra l’altro alla possibile nascita di
un “buddhismo occidentale” – per lo meno
in tre grandi aree: America settentrionale,
Europa occidentale e Australia – che, pur rimanendo fedele alle tradizioni asiatiche
di provenienza, sia in grado di una sua
identità. Ma la situazione è in realtà molto
più complessa.
Infatti nel momento stesso in cui la grande
esperienza, che ha le sue radici nel Buddha e
che si è ampiamente differenziata nei territori asiatici, viene definita con un solo e univoco termine “buddhismo” si è di fronte a un
grande problema interpretativo, un “prodotto” dell’immaginario occidentale, fondato su
un Oriente spesso mitizzato e considerato
univoco. Tanti infatti sono i buddhismi in
Asia, un ricco e complesso insieme di tradizioni, scuole e istituzioni, che fiorirono sin da
subito dopo la scomparsa del Buddha come
sviluppi dottrinali e rituali del suo insegnamento e che non possono neanche essere disgiunti dalla ricchezza successivamente prodottasi dall’incontro con le diverse culture
asiatiche in cui si è diffuso e l’elaborazione di
ulteriori metodologie di ricerca spirituale.
Ugualmente tanti e diversi sono gli Occidenti
possibili, che non possono essere ridotti a un
sola categoria onnicomprensiva.
Il rapporto buddhismi/Occidenti al plurale
rende quindi possibile una varietà complessa di declinazioni, che ne sottolineano aspetti peculiari: un buddhismo in Occidente se
guardiamo alla presenza delle comunità
asiatiche emigrate dai paesi originari buddhisti dopo la fine del colonialismo e l’era
della globalizzazione che hanno portato con
sé sistemi di credenze, ritualità e aspetti devozionali e sociali dei luoghi di origine, spesso non facilmente accettabili in un società
occidentale, come il ruolo minore della donna, la devozione e sottomissione totale ai
monaci, l’assenza di dibattito interno; un
buddhismo d’Occidente ovvero la creazione di un “buddhismo immaginato” dall’Occidente e avulso dal suo background asiatico
e tradizionale con la nascita di poliedriche
forme di contaminazione di varie culture ed
esperienze spirituali con guru e maestri indipendenti, che creano suggestive commistioni molto sensibili ai miti New Age da
market spirituale e un buddhismo occidentale che, rimanendo fedele alle tradizioni
asiatiche di provenienza, cerca di elaborare
una sua identità radicata nel dialogo con la
cultura, la scienza, le arti e le istituzioni sociali, ma questo, pur nella società di internet
e della velocità delle comunicazioni, richiederà molto tempo per permettere un’osmosi
profonda perché se il buddhismo è plurale
anche l’Occidente non lo è da meno! (m.a.f.)
che spazia dall’educazione alle neuroscienze,
dalla biologia all’etica e all’economia.
IN ITALIA
Dharamsala (India),
il Dalai Lama durante
la visita al tempio tibetano
(1 ottobre 2012).
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Missione Oggi | aprile 2014
Anche in Italia all’inizio degli anni Ottanta
alcuni praticanti buddhisti cominciarono ad
uscire dal proprio isolamento e a cercare un contatto con altre realtà di Dharma. Nacque così
l’idea, mutuata da quello che era già avvenuto
in altri paesi europei, di creare un’associazione
sovratradizioni che potesse fungere da interlocutore istituzionale con le autorità e favorire i
rapporti tra i vari centri. Dopo alcuni tentativi
TENZIN CHOEJOR
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sulla spinta della forte determinazione di Vincenzo Piga, uno dei fondamentali autori di tanta
storia recente del buddhismo in Italia, l’Unione
buddhista italiana (Ubi) vedrà la luce il 17 aprile del 1985 a Milano con la partecipazione di 9
centri di diverse tradizioni.
Nel dicembre 2012 l’Ubi ha ottenuto, dopo
un iter durato oltre 15 anni, il pieno riconoscimento con la legge di Intesa secondo l’articolo
8 della Costituzione (legge 245/2012 del 31 dicembre) che è divenuta effettiva il 1 febbraio
2013. L'Ubi sin dalle sue origini si è posta come
un’Unione di centri, non rappresenta infatti
un'unica scuola, ma si propone di sostenere l'in-
In Italia all’inizio degli anni
Ottanta alcuni praticanti
buddhisti cominciarono ad
uscire dal proprio
isolamento e a cercare un
contatto con altre realtà di
Dharma. Nacque così
l’ideadi creare
un’associazione
sovratradizioni che potesse
fungere da interlocutore
istituzionale con le autorità
e favorire i rapporti tra i
vari centri
naci e monache, all’educazione delle nuove generazioni, i figli di praticanti o all’elaborazione
di nuove modalità di approccio atte a interessare
i giovani.
INIZIATIVE DI DIALOGO
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L’Ubi è impegnata attivamente nel dialogo
interreligioso e soprattutto nel dialogo cristianobuddhista. Nel 2013 con il Pontificio consiglio
per il dialogo interreligioso è stato organizzato
il IV Colloquio buddhista-cristiano presso l’Università Urbaniana di Roma sul tema “Pace interiore, pace tra i popoli”. Anche il rapporto con
tutte le altre confessioni religiose è vivo e ricco
di stimoli e progetti che si traducono in attività
comuni, conferenze, e la partecipazioni ad associazioni di stampo interreligioso come il Tavolo
Interreligioso di Roma, il Forum delle Religioni
a Milano ed altre.
Un altro campo in cui opera l’Ubi è quello
che riguarda la tutela dei diritti religiosi dei buddhisti che provengono dai paesi asiatici e che risiedono nel nostro paese. L’Italia, che non ha
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sieme del movimento buddhista italiano nel “rispetto di tutte le tradizioni della Dottrina in tutte
le sue articolazioni” (Articolo 2 dello Statuto).
Al suo interno sono presenti le tradizioni
theravāda, mahāyāna; ch’an, zen e soen coreano,
mahāyāna-vajrayāna; gelugpa, kagyupa, nigmapa e sakyapa. I centri che fanno parte dell’Ubi
sono quarantadue. Circa la metà sono guidati da
insegnanti occidentali, riconosciuti dalle tradizioni di origine, ma di questi solo una parte si
dedica esclusivamente all’insegnamento del
Dharma, gli altri hanno una normale occupazione e dirigono i centri come attività collaterale.
Questo è in ordine con la pratica buddhista, specie in Occidente, in cui si privilegia l’integrazione dei princìpi buddhisti nella vita quotidiana
in quanto non vi è dicotomia tra il lavoro su di
sé e il lavoro con gli altri e in cui lo stato di laico
è preponderante.
La prospettiva del buddhismo in Italia è certamente in crescita. Dopo il primo momento di
insediamento delle comunità si sta passando alla
fase più matura in cui cominciano a sorgere progetti relativi alla formazione di insegnanti, mo-
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avuto colonie in paesi asiatici, solo recentemente ha cominciato ad avere una comunità asiatica
residente nel suo territorio. Oggi si stima che i
residenti asiatici di religione buddhista siano circa 30mila, provenienti soprattutto dallo Sri Lanka, dalla Thailandia, dalla Cina, e rappresentano
un problema nuovo per lo Stato, che dovrebbe
garantire loro l’assistenza religiosa. Alcuni di
questi centri di buddhisti originari fanno oggi
parte dell’Ubi, che garantisce loro la possibilità
di ottenere i visti per i propri monaci, la tutela
dei loro interessi locali e favorisce il rapporto
con i praticanti italiani.
MARIA ANGELA FALÀ
Da sinistra:
Vincenzo Piga;
Thomas Rhys Davids;
i coniugi Rhys Davids,
in uno scatto del 1894;
monaci buddhisti
al Centro Studi Tibetani
Tenzin Ciö Ling
di Sondrio.
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