Sonno, disturbi respiratori nel sonno, e ictus cerebrale: razionale per una ipotesi di lavoro I disturbi respiratori nel sonno (SDB) influiscono negativamente sulla prognosi dei pazienti con ictus cerebrale1-3. La strategia più promettente per il loro trattamento è la “ventilazione meccanica a pressione positiva” (CPAP)4-8. Nonostante ciò, gli studi clinici finora effettuati hanno mostrato che il rapporto tra efficacia e tollerabilità di questo trattamento non è sempre positivo, vale a dire che la CPAP non è una terapia adatta a tutti i pazienti con SDB dopo ictus 9. Rimane quindi il problema di quali criteri utilizzare per individuare i casi che hanno le maggiori probabilità di beneficiarsi del trattamento. A questo scopo si propone di suddividere i pazienti secondo lo schema seguente: 1. casi che manifestano una apnea centrale (CSA) come conseguenza diretta dell’ictus sui centri del respiro; 2. pazienti con ostruzione (anatomica o funzionale) delle vie respiratorie, i quali terminano l’apnea risvegliandosi; si tratta dei casi con vera e propria Sindrome delle apnee ostruttive (OSAS), nei quali i continui risvegli minano l’effetto ristoratore del sonno10; 3. casi che non si risvegliano per terminare l’apnea, ma alternano gli eventi ostruttivi (OSA ) a quelli centrali; sono i pazienti con un loop gain alterato in conseguenza ad una chemosensitività non più normale (vedi oltre); 4. casi nei quali l’ictus ha alterato la microstruttura del sonno (CAP) e che manifestano un SDB in conseguenza dell’ alterazione (vedi oltre) (Fig. 1). Fig. 1 - Ipotesi patogeniche per lo sviluppo di un disturbo respiratorio nel sonno in pazienti con ictus cerebrale Questa impostazione del problema implica una relazione causa-effetto tra il danno anatomico cerebrovascolare e la disfunzione sia del respiro durante il sonno sia del sonno stesso. In questo articolo riassumiamo le conoscenze di base insieme con le evidenze a sostegno di quanto brevemente esposto finora. 1. La maturazione del danno cerebrovascolare ischemico e i meccanismi riparativi. La maturazione del danno cerebrovascolare consiste in una catena di eventi (neurofisiologici, molecolari, metabolici, e perfusionali) che non colpiscono solo i neuroni e l’endotelio dei vasi, ma anche astrociti, cellule muscolari peri-arteriolari, e lo spazio peri-vascolare. Per sottolineare il legame strutturale e funzionale tra questi elementi è stato dato loro il nome di unità neurovascolare (UNV) 11,12. Il ridotto apporto di substrati nutritivi (in particolare ossigeno e glucosio) danneggia le membrane dell’UNV a causa di due principali disfunzioni: l’incapacità a mantenere l’equilibrio ionico di trans-membrana e il metabolismo anaerobico. Come conseguenza di questi due eventi le cellule si rigonfiano e/o trasudano (edema citotossico e vasogenico), i neurotrasmettitori prodotti si accumulano nello spazio intersinaptico dando origine ad onde di depolarizzazione spontanea che si propagano per contiguità anatomica, indipendentemente dalle proprie connessioni funzionali o di territorio vascolare. Questo fenomeno prende il nome di spreading depression (SD) e di peri-infarct spreading depression (PISD)13-15. La liberazione di trasmettitori eccitatori, principalmente glutammato (Glu), norepineprina (NE), e serotonina (5HT) induce un aumento nella domanda di substrati nutritivi con conseguente effetto tossico sul tessuto (eccito tossicità). La stimolazione di neuroni inibitori, in particolare di quelli GABAergici, causa invece la riduzione di domanda di substrati energetici, con conseguente effetto neuro protettivo16. L’interessamento dello spazio peri-vascolare comporta l’attivazione dei macrofagi e mastcellule residenti, e la liberazione di mediatori vasoattivi, in particolare le sintetasi dell’ossido nitrico neuronale ed endoteliale (nNOSeNOS)13,15 e le citochine pro-infiammatorie responsabili di ulteriore infiltrazione leucocitaria dell’area lesionata17,18. Per limitare questa reazione dannosa e facilitare la riparazione, dopo pochi giorni dopo l’evento acuto vengono prodotte citochine immuno-modulatrici, come ad esempio l’interleuchina-10 (IL-10) ed il grow factor-β (GF- β)18-21. Gli effetti del danno vascolare sia sui sistemi neurotrasmettitoriali sia su quelli infiammatori possono modificare il ritmo sonno-veglia, la macro e micro-struttura del sonno, e il respiro durante il sonno. Si entrerà in questo dettaglio dopo aver accennato agli aspetti che ne regolano il funzionamento e ne minano l’equilibrio. La veglia, il sonno, il ritmo sonno-veglia ed il respiro durante il sonno La veglia, il sonno, il passaggio dall’uno all’altro stato, ed il loro mantenimento entro limiti fisiologici sono fenomeni complessi, modulati dalla interazione di diversi circuiti neuronali e sistemi neurotrasmettitoriali, e che influiscono e sono a loro volta influenzati dal sistema immunitario22-27, non scollegabili tra loro se non per esigenze descrittive. a. La veglia La veglia viene promossa, mantenuta e consolidata dall’azione modulatoria sulla corteccia cerebrale del glutammato (Glu), della serotonina (5HT), della dopamina (DA), della noradrenalina(NA), dell’ acetilcolina (Ach), dell’ istamina, e dell’ orexina (Or). Queste sostanze aumentano il livello di “arousal” (risvegliabilità? allerta? responsività? ) agendo attraverso la formazione reticolare ascendente (ARAS), struttura che svolge la funzione di cancello sulla partecipazione della corteccia cerebrale agli stimoli provenienti sia dall’ambiente esterno sia da quello interno all’organismo umano28. L’EEG in veglia si caratterizza per essere desincronizzato, e per la presenza di onde rapide ed a basso voltaggio; gli elettrodi per la registrazione muscolare ne dimostrano l’alta attività tonica. b. Il sonno Il sonno è reso possibile per l’azione contemporanea e coordinata di fattori promotori il sonno stesso ed inibitori sulla veglia. I maggiori promotori sono l’ossido nitrico (NO) e l’ adenosina (AD); vie GABAergiche provenienti dalla porzione ventrale del nucleo preottico (NVPO), consentono invece il suo mantenimento e consolidatamento grazie all’azione inibitoria sull’ARAS e sulla corteccia cerebrale28-33. Il sonno è un fenomeno ciclico, fortemente “individuale” la cui struttura (vale a dire numero di cicli, profondità e durata complessiva) risponde ad un orologio biologico interno, e pertanto rimane identica a se stessa per tutta la vita di un individuo adulto34 , seppure venga plasmata dagli stili di vita e influenzata da stimoli esterni. Ciascun ciclo dura circa 90-120 minuti e si compone di una fase REM, così denominata per la presenza di movimenti rapidi degli occhi, e di una fase non-REM (NREM) in cui questi movimenti sono assenti. Durante il sonno REM l’attività elettrica cerebrale è desincronizzata come in veglia e quella dei muscoli antigravitari è assente; per questo motivo il sonno REM è stato nominato anche “sonno paradosso”. Di contro nella fase NREM il tracciato EEG è sincrono ed è possibile registrare movimenti oculari lenti e contrazioni muscolari toniche. La fase REM del sonno non è uno stato uniforme. All’EEG sono infatti registrabili periodi con onde frequenti e di basso voltaggio, in concomitanza con atonia muscolare (attività tonica e persistente), così come periodi (attività fasica ed episodica) con sequenze di onde che originano dal tegmento ponto-mesencefalico (onde ponto-genicolo-occipitali- PGO), ad azione inibitoria sull’accesso alla corteccia degli stimoli esterni, associati ai movimenti oculari rapidi e “scosse muscolari isolate”35-37. Il sonno NREM si caratterizza invece per il susseguirsi di "stadi" costituiti da un ritmo EEG sempre più lento al passare dei minuti, associato a scarsa attivazione del sistema nervoso autonomo (SNA); all’interno di questa tendenza del sonno NREM ad approfondirsi, si registrano momenti in cui il ritmo ritorna rapido, la frequenza cardiaca (FC), la pressione arteriosa sistemica (PA) e la frequenza respiratoria (Fr) aumentano (segni di attivazione del SNA) ed il sonno ridiviene superficiale (i così detti risvegli – arousals o veri e propri awakenings). Il tracciato EEG del sonno NREM più superficiale si compone prevalentemente di elementi rapidi (alfa nei settori posteriori e theta negli anteriori), quello più profondo di onde lente a 0.5–4 Hz e di grande ampiezza38, nominato per questo sonno ad onde lente (slow-wave sleep), segno della prevalenza degli input inibitori sulla corteccia cerebrale. Il passaggio dal REM al NREM e vice versa, è possibile grazie all’attivazione di un complesso sistema neuronale locato nel tronco encefalo e nominato sistema “REMon-REMoff”, che funziona tramite il controllo GABAergico, colinergico, e glutamatergico a cui si fa solo cenno; per dettagli su questo argomento si rimanda alla lettura della revisione di Brown R.E. et al.28 Affinché il sonno possa essere riposante sono necessarie diverse condizioni: i risvegli debbono avere una durata media inferiore ai 15 secondi del tempo totale di sonno (vale a dire del tempo in cui la persona effettivamente dorme), e l’attività cerebrale deve essere sincronizzata con quella del SNA, in particolare con il controllo del tono muscolare, del ritmo respiratorio, della frequenza cardiaca, e della pressione arteriosa39-45. Il grado di propensione verso la veglia, o di instabilità del sonno, è desumibile studiandone la sua microstruttura46,47. Si accenna al fenomeno solo brevemente; per approfondimenti si consiglia la lettura degli articoli pubblicati sul tema da Terzano e dai suoi collaboratori45,48-73. Durante il sonno NREM sono registrabili eventi con andamento bifasico (nominati rispettivamente fase A e fase B), ciascuno dei quali perdura meno di 60 secondi, che si ripetono ciclicamente, e per questo nominati CAP- cycling alternating patterns. Ciascun periodo di CAP si alterna ad un periodo di non-CAP, della durata superiore a 60 secondi, con attività EEG di fondo tipica della fase NREM in corso69,71,74. Gli elementi che compongono la fase A del CAP possono essere sincroni (A1), o desincronizzati (A2-A3)49; a differenza dei primi, i secondi hanno un grande effetto sul SNA e su quello somatosensitivo, destabilizzando sia il sonno sia la respirazione durante il sonno; la fase B del CAP si distingue dal nonCAP perché di durata inferiore a 60 secondi; dal punto di vista EEG si compone del ritmo di fondo della fase, ed ha lo stesso impatto sul SNA e sul sistema somatosensitivo delle fase A2 ed A369. Il significato funzionale degli A2-A3 è quello di garantire la reversibilità del sonno a seconda degli stimoli esterni ed interni all’organismo umano, e si accompagnano quindi ad aumento dell’attività EMG, della frequenza cardiaca e respiratoria, e da movimenti del corpo. La diversa natura delle varie fasi del CAP si comprende bene inducendo stimolazioni esterne che disturbano il sonno senza determinare il risveglio: potremo osservare che durante il non-CAP il tracciato EEG diviene ipersincrono, quindi come se cercasse di antagonizzare l’effetto disturbante il sonno da parte dello stimolo; lo stesso stimolo indotto durante la fase B porta il tracciato ad assumere le caratteristiche della fase A2-A3, quindi verso una maggiore risvegliabilità. Non avviene mai l’inverso63. c. Regolazione del respiro durante il sonno. Il mantenimento dei livelli emogasanalitici di CO2 ed O2 entro limiti di normalità è reso possibile da un meccanismo a feedback negativo (loop gain) tra la loro concentrazione ematica (in particolare della PaCO2) e la risposta ventilatoria da parte dei chemocettori centrali e periferici. Il sistema è efficace a condizione che le soglie per l’apnea e per l’eupnea della PaCO2 non siano troppo vicine tra loro: quando questo accade, il sistema diviene instabile ed il paziente è soggetto a ripetuti episodi di apnea ed iperpnea tra loro alterni75-77. Il tipo di apnea/ipopnea (centrale, ostruttiva o mista/complessa) ed il meccanismo attraverso cui il disturbo verrà contrastato (risveglio o sviluppo di una apnea centrale) è condizionato dal grado di collassabilità delle vie aeree, dal grado d’ instabilità del sistema ventilatorio (cioè del loop-gain), e dalla soglia di risvegliabilità agli stimoli del singolo paziente76-91. Studi eseguiti su adulti sani hanno dimostrato che molte strutture partecipano a determinare la risposta ventilatoria agli stimoli chimici (chemocezione), regolano l’accesso alla corteccia delle informazioni provenienti dal sistema respiratorio ed integrano i segnali respiratori da e verso i centri del tronco33, tra queste sono di particolare importanza il talamo, il cingolo, il cervelletto, il ponte così come gli stessi nuclei respiratori situati nel tronco92. Questo network contribuisce a mantenere elevato il tono dei muscoli dilatatori del faringe, impedendo all’apnea di verificarsi durante la veglia anche nei soggetti con chemosensitività alterata. Durante il sonno invece, la respirazione risente maggiormente dei cambiamenti di stato neurofisiologici e l’apnea diviene un fenomeno frequente. I meccanismi attraverso cui il sonno predispone al disturbo respiratorio sono sostanzialmente i seguenti: 1. A causa degli stimoli eccitatori ed inibitori che si alternano tra loro, la pervietà delle vie respiratorie muta durante il sonno. Ai nostri fini vanno ricordati solo alcuni elementi importanti: a. l’attività muscolare dei muscoli dilatatori del faringe si riduce enormemente nel passaggio dalla veglia al sonno; man mano che si approfondisce il sonno NREM i motoneuroni sono solo modicamente iperpolarizzati, a differenza di quanto accade durante il REM in cui l’inibizione motoria è molto più marcata, specie durante la sua fase tonica; b. il sonno influisce differentemente sui muscoli delle vie aeree superiori e su quelli della gabbia toracica e del diaframma. I muscoli dilatatori delle prime vie respiratorie man mano che il sonno NREM si approfondisce vengono sempre più inibiti, non così per i muscoli inspiratori e per il diaframma, i quali non perdono tono durante il sonno NREM, oppure lo perdono solo transitoriamente. 2. In conseguenza della perdita degli stimoli eccitatori provenienti dall’ARAS e/o dalle regioni soprapontine, il respiro perde totalmente il controllo “volontario”. divenendo molto sensibile ad ogni variazione della PaCO2 e della PaO2 e dell’attività del SNA: è relativamente stabile durante la fase tonica del REM e durante il sonno ad onde lente, diventa invece più vulnerabile instabile negli stati superficiali del sonno NREM e durante la fase fasica del REM, in cui diviene sensibile agli stimoli eccitatori ed inibitori provenienti dal tronco encefalo; 3. la ridotta risposta ventilatoria agli stimoli meccanici e chimici. E’ noto infatti che la soglia di eccitabilità muscolare nel sonno, in particolare durante la fase REM, è aumentata. Tra questi, i muscoli dilatatori del faringe i quali risponderanno più tardivamente e meno efficientemente allo stimolo ostruttivo, rendendo le prime vie aeree più collassabili. Inoltre, il ridotto tono simpatico può destabilizzare I corpi carotidei (chemocettori periferici) riducendo la loro sensitività all’ipercapnia ed ipossia. Questi due fenomeni, insieme, possono perpetrare sia l’occlusione delle prime vie aeree sia l’eventuale l’ipercapnia insorte per altri motivi, così come può facilitarne l’instaurarsi93-95. L’ipossia e l’ipercapnia sono inoltre forti stimoli del risveglio che, a sua volta, predispone all’apnea al momento dell’addormentamento attraverso un meccanismo relativamente semplice: l’azione eccitatoria responsabile dell’attivazione corticale legata al risveglio si esplica anche sui centri del respiro i quali aumentano la loro chemoresponsività, causando quindi iperventilazione, ipocapnia e successivo rallentamento della frequenza respiratoria fino all’apnea vera e propria93,96-101(Fig.1). In sintesi, durante il sonno la respirazione è particolarmente vulnerabile per cause meccaniche e neuriochimiche102-109. Il grado di collassabilità delle vie aeree e la propensione verso l’apnea sono tanto maggiori quanto maggiori sono, rispettivamente, la profondità del sonno, il numero dei risvegli, la durata complessiva dei periodi di CAP. Da quanto esposto sopra si comprende che i diversi circuiti e sistemi implicati nella regolazione del sonno e del suo mantenimento, così come del respiro nel sonno, possono venire alterati nel corso della maturazione e stabilizzazione del danno cerebrovascolare, qualunque sia il territorio vascolare interessato e la natura dell’evento. I crocevia tra i meccanismi molecolari implicati nella maturazione del danno cerebrovascolare (ischemico) e nella regolazione del sonno e del respiro durante il sonno Le evidenze a cui si è fatto finora riferimento, nel loro insieme, portano a supporre che una riduzione nell’up-load di neurotrasmettitori dallo spazio inter-sinaptico, insieme con la liberazione di citochine, NO e radicali liberi, siano in grado di sbilanciare il sistema verso una maggiore propensione alla veglia ed a sviluppare apnee all’addormentamento, nel caso in cui prevalessero gli eccitatori, oppure verso il sonno e di nuovo ad una maggiore propensione a sviluppare apnee, nel caso in cui prevalessero gli inibitori110,111. Le ripercussioni sono potenzialmente molte: la struttura del sonno potrebbe risentirne per interferenza con il sistema REMon-REMoff, come lascia supporre il dato che la SD induce un aumento persistente della quantità di sonno NREM112; un SDB ne potrebbe essere l’epifenomeno. Particolare attenzione va riposta al ruolo della 5HT, che nei pazienti con ictus è chiamata in causa da molti anni nel determinismo della sindrome depressiva113-117. La 5HT influenza sia il sonno sia il respiro durante il sonno attraverso diversi meccanismi: 1. Modulazione del livello di risvegliabilità (arousal) 118,119; 2. Modulazione della risposta dei chemosensori centrali120; 3. Regolazione della pervietà delle vie aeree109,121128 . Uno sbilanciamento del sistema verso una maggiore o verso una minore biodisponibilità di 5HT potrebbe avere importanti ripercussioni sia sul sonno sia sul respiro nel sonno, e magari anche sulla insorgenza della sindrome depressiva post-ictus129. Esiste un legame bidirezionale tra il sistema immunitario, i disturbi respiratori nel sonno, e le malattie cerebrovascolari. Infatti la concentrazione di immunomodulatori durante la maturazione e la riparazione del danno cerebrovascolare19,20,28,130, correla con la propensione verso il sonno ed aumenta dopo privazione di sonno così come in condizioni di ipossia intermittente131,132. Non solo. L’aumento di interleuchine (1 β, 6, IL18) e di TNFα18,133-136, è stata associata a deplezione di 5HT nelle regioni paralimbica, della corteccia frontale ventro-laterale, in quella polare temporale e dei gangli della base, regioni implicate nella modulazione sia del sonno sia del respiro durante il sonno28. A sostegno dell’ipotesi che il danno anatomico cerebrale che coinvolga il network respiratorio possa esitare in una OSA e non necessariamente una CSA abbiamo diverse evidenze. In pazienti con OSA appena diagnosticata, studi di risonanza magnetica funzionale (fMRI) hanno dimostrato la presenza di nuove lesioni, acute, localizzate nel midollo, cervelletto, gangli della base, ippocampo, corpo calloso, corona radiata e sostanza grigia del giro del cingolo, della corteccia frontale ventro-laterale e del cervelletto137-140. Se è un fatto che CSA possa essere conseguenza di lesioni focali che coinvolgono i centri del respiro (tronco encefalo o il midollo spinale, insula, talamo, giro del cingolo141-143), è pur vero che una risposta tissutale inappropriata alle variazioni di CO2144, come è stato osservato accadere nella penombra ischemica, può esitare in una apnea centrale145. I disturbi respiratori nel sonno dopo un ictus cerebrale (Fig. 1) In conclusione, sappiamo che l’OSA è molto frequente nella popolazione generale146,147, quindi certamente una quota di pazienti con ictus cerebrale è affetto da OSA sin da prima dell’evento acuto, seppure la quantificazione di questa popolazione sia difficile da stimare. In ogni caso l’incidenza di SDB dopo un evento cerebrovascolare riportata dai diversi studi, suggeriscono che una quota di pazienti sviluppi il SDB in concomitanza o come conseguenza dell’evento stesso148,149. La domanda alla quale si cerca di rispondere in questo articolo è: in base a quali meccanismi l’ictus si può rendere responsabile di un SDB o peggiorare quello pre-esistente? La domanda è di particolare interesse per i risvolti terapeutici e sui costi per il sistema sanitario. Potrebbe infatti aiutarci a selezionare i pazienti che si beneficiano maggiormente della CPAP, o perlomeno ad escludere i casi che certamente non ne trarrebbero vantaggio150-153. Le evidenze riportate ci indicano che l’ictus cerebrale può danneggiare i centri del respiro direttamente154 (Fig. 1-A), oppure può rompere l’equilibrio tra i sistemi eccitatori ed inibitori che regolano sia il ritmo sonno-veglia sia la struttura del sonno, aumentando di conseguenza la collassabilità delle vie aeree (Fig.1B), la soglia della risposta ventilatoria alla PaCO2 (Fig. 1-C),il livello di “risvegliabilità” dei pazienti (Fig. 1D1), l’entità della risposta ventilatoria a variazioni anche minime di PaCO2 (Fig.1 - D2). Se questa ipotesi è valida, i casi che si dovrebbero giovare maggiormente della terapia con CPAP sono quelli soggetti a ripetuti episodi di OSA e che terminano l’apnea risvegliandosi (Figura 1-B). I pazienti che se ne dovrebbero giovare meno potrebbero essere invece tutti quelli con alterata chemosesitività (Fig. 1 C e D2). Ad oggi però quelle riportate sinora sono solo ipotesi di lavoro. Per confermarle, smentirle o migliorarle è necessario mettere a punto protocolli di studio che valutino sia la macro sia la micro-struttura (CAP) del sonno nei pazienti con ictus, possibilmente corroborati da indagini di risonanza magnetica funzionale. A dirla con il Prof. Terzano, pioniere della medicina del sonno e scopritore del CAP, “Every sleep tells through its fabric of events the story of its own creation, its own history”74 . Se così è, perché non studiarla anche nei pazienti con malattie cerebrovascolari? Maria Luisa Dipartimento di Neurologia e Psichiatria - Sapienza Università di Roma Sacchetti
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