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Rainer Maria Rilke
Rainer Maria Rilke • Il libro d’ore
Rainer Maria Rilke
Nacque a Praga da famiglia cattolica di lingua
tedesca nel 1875 e morì a Val Mont nel 1926. È
uno dei poeti più conosciuti e amati del primo
Novecento tedesco ed europeo, ed esprime con
straordinaria acutezza i drammatici motivi di
fondo della trasformazione culturale che ha segnato l’epoca alla quale apparteniamo.
Tra le sue opere: Prime poesie; Canto d’amore e morte dell’alfiere Cristoph Rilke; Storie
del Buon Dio; Rodin; I quaderni di Malte Laudris Brigge; Nuove poesie; Libro delle immagini; Vita di Maria; Sonetti a Orfeo; Elegie
duinesi.
Per questa traduzione Lorenzo Gobbi ha ottenuto il Premio Catullo dell’Accademia Mondiale
della Poesia dell’UNESCO.
Lorenzo Gobbi
(Verona, 1966) ha pubblicato saggi e raccolte di poesie. Ha tradotto e curato diverse
opere di Rainer Maria Rilke, e recentemente
la raccolta Sento le cose cantare, poesie per
Maria (2011).
Sue opere presso Servitium:
Elogio del frammento (2010); Le api del sogno (2009); Lessico della gioia (2008); Carità della notte (2007).
ISBN 978-88-8166-363-7
9 78 8 8 8 1 6 6 36 37
Il libro d’ore
a cura di Lorenzo Gobbi
Il libro d’ore ebbe, nella prima metà del Novecento, vastissima fortuna e fu la base della
fama di Rilke presso i suoi contemporanei. Il
testo racchiude tre serie di liriche che il poeta concepì come intensamente spirituali, nella
ricerca di una religiosità radicata nell’incontro tra l’occidente e l’oriente cristiani, capace
a propria volta di illuminare i nuovi scenari
aperti dalla nascente civiltà industriale. L’incompiutezza di Dio, la sua condizione di esule in un mondo che pure gli appartiene, la necessità di aiutarlo donandogli nuovamente gli
spazi dell’esistenza, la consapevolezza del
proprio fremere interiore al cospetto dell’infinito silenzio di Dio e del rumore crescente
della vita sociale, la dignità indiscutibile della
sofferenza e della povertà sono motivi che
Rilke affida alla voce di un giovane monaco
russo pittore di icone, protagonista di una vicenda che dalla vita monastica porta al pellegrinaggio nella vastità della Russia e poi alla
contemplazione della povertà e della morte.
Rainer Maria Rilke
Il libro d’ore
(Das Stunden-Buch)
Introduzione, traduzione e note
di Lorenzo Gobbi
Servitium
Sommario
Il libro d’ore di Rainer Maria Rilke:
una lettura spirituale (L. Gobbi)
Il libro d’ore
Il libro della vita monastica
(Das Buch vom Mönchischen leben)
II. Il libro del pellegrinaggio
(Das Buch von der Pilgerschaft)
III. Il libro della povertà e della morte
(Das Buch von der Armut und vom Tode)
7
21
I.
23
165
261
Il libro d’ore di Rainer Maria Rilke:
una lettura spirituale
«Sei il prodigio, tu, che nel deserto
accade solo a chi vive l’esilio.»
R.M. Rilke
Tra i venti e i trent’anni, a volte, accade di ricevere
straordinari doni di grazia: ciò che seguirà, nella maturità incipiente dei trent’anni, così esposta a eccessi
di fiducia, o nella solidità dei quaranta, segnata spesso
da trattenuta amarezza, difficilmente riuscirà a eguagliare l’intuizione bruciante di quei primi pensieri, né
saprà conservarne la sorprendente freschezza – avrà
altre virtù, se solo potrà esistere. Così fu per Etty Hillesum e per il suo straordinario Diario1 – al quale, purtroppo, nulla poté seguire: la lucidità generosa delle
riflessioni che vi furono raccolte sbalordisce chi le legga; gli slanci e le molteplici incertezze, dalle quali spiccano all’improvviso le sempre più frequenti accelerazioni della visione interiore, possono sembrare miracoli di ingenuità o di giovinezza, e indurci a scuotere
1
E. Hillesum, Diario 1941-1943, a cura di J.G. Gaarlandt, Adelphi,
Milano 1985; E. Hillesum, Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990.
7
la testa – colmi d’ammirazione, ma anche scettici sulla loro reale profondità. Oppure, possiamo renderci
conto di essere al cospetto di prodigi di profezia: oracoli ineguagliati, dei quali nulla può rendere ragione;
doni di grazia, appunto, che ci riempiono di gratitudine – tanto più se li sappiamo nati di getto, d’istinto, in
condizioni disagevoli e in tempi rapidissimi; frutto di
concreta esperienza di vita, senza pose né menzogne;
costellati di ingenuità che non ci urtano, perché le riconosciamo parte di un’autenticità senza finzioni. Un
solo libro Etty Hillesum si augurò di poter portare nel
campo di transito al quale venne destinata dalle forze
d’occupazione naziste in Olanda: Il libro d’ore, di Rainer Maria Rilke – tutt’uno, per lei, con Lettere a un
giovane poeta, dello stesso Rilke2. Entrambi i volumi
trovarono posto nel suo zaino quando ricevette l’ordine di partenza, e furono le uniche letture che poté
concedersi nel campo di Westerbork – in consapevole attesa del treno che l’avrebbe portata ad Auschwitz.
Per tutta la vita, Rilke amò Il libro d’ore (Das Stunden-Buch), che aveva composto tra i 23 e i 28 anni
d’età3. Ne parlò con frequenza nelle lettere, e ne fece
sistematicamente omaggio ai propri amici e ai nuovi
2
R.Maria Rilke, Lettere a un giovane poeta. Lettere a una giovane signora. Su Dio, Adelphi, Milano 1980.
3
Per una puntuale introduzione all’opera di Rilke, e in particolare al
Libro d’ore, non si può che rimandare al testo di Giuliano Baioni, «Rainer Maria Rilke. La musica e la geometria» e al preziosissimo «Commento» di Andreina Lavagetto, entrambi nel vol. di R.M. Rilke, Poesie, Einaudi-Gallimard, Torino 1995, vol. I, pp. IX-LXXIV e pp. 726-770; il volume dell’edizione Einaudi-Gallimard, come il seguente (Poesie, vol. II, Torino 1996), è corredato di ampia bibliografia e di una precisa sezione cronologica. Da tale edizione è tratto anche il testo tedesco qui riportato.
8
conoscenti, fino ai primi anni ’20 – come se Il Libro
d’ore rappresentasse per il suo autore un ritratto intimo, o anche una sorta di biglietto di presentazione:
un compendio della sua identità di uomo e di poeta.
Eppure, altri capolavori ne testimoniavano la bravura e la crescita spirituale: Nuove poesie, Il libro delle
immagini, Sonetti a Orfeo, Elegie duinesi... Assieme a
Canto d’amore e morte dell’alfiere Cristoph Rilke, altro mirabile frutto dei vent’anni del poeta praghese,
Il libro d’ore conobbe una straordinaria fortuna, e fu
la base della fama vastissima di Rilke presso i contemporanei, a livello europeo.
L’opera compiuta fu pubblicata a Berlino, presso
le edizioni Insel, nel 1905. Essa univa in sé tre diversi cicli di poesie, nati in tre distinti periodi di prodigiosa, assoluta ed esclusiva concentrazione: «Il libro
della vita monastica» (Das Buch vom Mönchischen
Leben), composto a Berlino tra il 20 settembre e il 19
ottobre 1899, al ritorno dal primo viaggio in Russia
che Rilke compì con Lou Andreas-Salomè; «Il libro
del pellegrinaggio» (Das Buch von der Pilgerschaft),
redatto nel settembre 1901; e «Il libro della povertà e
della morte» (Das Buch von Armuth und vom Tode),
che vide la luce a Viareggio nell’aprile 1903, anch’esso in pochi giorni.
Il libro d’ore fu a lungo al centro del carteggio tra
Rilke e Lou Andreas-Salomé, la donna che lo iniziò alla conoscenza dell’arte e della cultura russa, e che in
Russia lo accompagnò due volte, nel 1899 e nel 19004.
4
R.M. Rilke-L. Andreas-Salomè, Epistolario 1897-1926, a cura di E.
Pfeiffer, La Tartaruga, Milano 1984. Sul rapporto tra i due, Rilke e Lou. Il
9
Le poesie che vi confluirono furono materia di un colloquio quotidiano tra i due, ed ebbero a lungo un nome “familiare” molto significativo: Gebete, “preghiere” (scrivendo a Lou, Rilke le definì così anche molto
tempo dopo la pubblicazione). Il terzo ciclo, inoltre,
non fu concepito come ultimo: a più riprese Rilke ne
progettò ampliamenti, redigendo annotazioni e abbozzi di liriche (che non sono compresi, secondo la
consuetudine editoriale diffusa nei paesi di lingua tedesca, in questa edizione).
Etty Hillesum lesse Il libro d’ore come un libro
spirituale: difficilmente una ragazza di ventisei anni,
nel furore dell’occupazione nazista in Olanda, certa
a poco a poco del proprio inevitabile destino e di
quello del proprio popolo, avrebbe potuto apprezzare qualcosa di diverso. Studente di letterature slave,
Etty trovò in Dostoevskij e in Tolstoj squarci insuperabili di lucidità sull’animo umano, che le permisero
di comprendere a fondo i propri simili, quale che
fosse la loro condizione nell’urgenza degli avvenimenti; e in Rilke, che concepì Il libro d’ore alla sua
stessa età e nel contatto con la cultura russa che Etty
tanto amava, identificò il proprio maestro di vita spirituale. Scorrendo in parallelo i Diari della Hillesum
e Il libro d’ore, infatti, si notano infinite consonanze:
Etty sviluppa spunti de Il libro d’ore, li riprende e li
trasforma alla luce delle proprie esigenze interiori, e
ne fa vita vissuta. Quando Etty parla dell’incompiutezza di Dio, della necessità di aiutarlo (dal momenIl visibile e l’invisibile, Skira, Milano 1997. Sui due viaggi in Russia, L.
Andreas-Salomè, In Russia con Rainer, testo tedesco stabilito da D.
Pfeiffer e S. Micxhaud, Bollati Boringhieri, Torino 1994.
10
to che egli non può aiutare noi), della possibilità di
restituirgli il mondo nel quale egli è pellegrino e straniero, della dignità e della bellezza dei sofferenti, della necessità di riconoscere il valore della sofferenza
presente per trarne forza e migliorare se stessi; quando afferma l’assoluta bellezza del mondo, anche contemplando il profilo di una baracca sotto la luna nel
campo di transito, e ribadisce la necessità di scendere in sé, di partire da sé, di far nascere Dio dentro di
sé senza cedere all’odio – in tutto ciò, Etty non si limita a sviluppare elementi della tradizione ebraica
hassidica, che non conosceva più di tanto ma che comunque le giungeva per vie sotterranee: riprende anche e soprattutto Il libro d’ore di Rilke, in una lettura
compiuta con tutto l’essere, avendo assimilato e trasformato le parole del poeta praghese in nutrimento
vero, necessario per vivere in piena coscienza5.
Così Rilke avrebbe voluto che il suo Libro d’ore
venisse letto: nell’urgenza e nella pena, perché vita
nuova e degna sgorgasse da un incontro vero; come
un libro spirituale, in senso proprio.
Nella Russia di Lou Andreas-Salomè, Rilke trovò
una vera e propria patria spirituale: persino le sue ultime parole, rivolte per lettera a Lou, furono in russo.
Rilke e Lou si conoscono a Monaco il 12 maggio
del 1897: Rilke ha ventidue anni, ed è un giovane poe5
Preparando questa nota, ho schedato un discreto numero di passi
paralleli; non ho, però, ritenuto opportuno segnalarne alcuni con precisione. Mi sono reso conto, infatti, che è ben difficile condensare in poche
righe una ricchezza di lettura che mi ha sbalordito, e che meriterebbe
davvero un saggio a sé stante; e anche che la cosa migliore è invitare un
lettore a seguire in proprio questa pista, in modo intensamente personale, in coerenza con l’intensità dei due testi coinvolti.
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ta traboccante di lirismo, febbrilmente proteso verso
l’esterno, egocentrico e infaticabile protagonista di
iniziative culturali ai livelli più alti della società tedesca (tutto ciò che, molti anni più tardi, sconsiglierà all’esordiente Joseph Kappus nelle Lettere a un giovane
poeta). La facile cantabilità della prima poesia di Rilke
incontra il severo giudizio di Lou, brillante trentaseienne, russa e cosmopolita, moglie dell’orientalista
Karl Andreas (che aveva tentato il suicidio per lei), già
amata da Nietzsche (che aveva più volte chiesto la sua
mano, ottenendo secchi rifiuti): ella lo inizia alla conoscenza della lingua e della cultura russe, e lo mette
in contatto con quanto di più vivo si va muovendo
nella cultura del tempo; in particolare, Lou gli fornisce contenuti filosofici ed estetici di primissimo ordine, materiali vivi di riflessione, indicazioni di lettura,
concezioni ampie e attuali del ruolo dell’artista nella
società che andava velocemente mutando. Avendone
fatto il proprio amante, Lou lo accompagna per due
volte in Russia, portandolo a visitare Tolstoj e facendogli ammirare le grandi città (Mosca, Pietroburgo,
Kiev) con i loro tesori d’arte e di spiritualità. Per Lou,
i due viaggi sono un ritorno e una riappropriazione:
ella ritrova la propria religiosità, nel senso più personale; tutto ciò che accade viene discusso e commentato dai due viaggiatori; tanto le esperienze quanto i colloqui agiscono in profondità sul giovane Rilke.
Al ritorno dal primo viaggio, in poco più di venti
giorni, Rilke porta a termine il primo dei tre cicli che
compongono Il libro d’ore: «Il libro della vita monastica».
È un fluire di liriche in sé compiuto, e insieme
aperto. Protagonista, un giovane monaco russo, pit-
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tore di icone, che dialoga tra sé e con Dio nel silenzio
della cella. Il discorso si snoda tra diverse coppie di
polarità: l’umano e il divino, innanzitutto, nella vastità della pianura russa. Se è buio l’umano, buio è
ancora più il divino; l’uomo non si conosce, e cerca
nel dialogo con Dio, che non conosce, tracce di sé oltre che immagini di lui; neppure Dio si conosce, e nel
dialogo con l’uomo cerca il proprio volto come in
uno specchio. Profondo è l’animo dell’uomo, e insondabile; altrettanto è la realtà di Dio – l’abisso della sua conoscenza. Dio attraversa il tempo: come
l’uomo, anch’egli è esposto a soffrire nel tempo; se
l’uomo è consapevole della propria incompiutezza,
altrettanto incompiuto è Dio. L’agire umano – il paziente agire del monaco, che prega e dipinge, nella
solitudine, istante dopo istante, fedelmente – edifica
Dio: lo porta al compimento, e compie insieme anche se stesso. Ancora, l’arte dell’oriente e l’arte dell’occidente si fronteggiano nei pensieri del giovane
iconografo, e si completano a vicenda, come l’uomo
e Dio; la vita monastica, nel proprio silenzio operoso,
è lungimiranza e consapevolezza, ma anche timore e
speranza, lotta con i sensi e con il ragionamento,
buio e luce quotidiani, confronto e solitudine che si
chiude su di sé per riposare in Dio – mentre Dio ritorna a sé per sostenere il tempo, e si disperde poi nei
giorni: spetta all’uomo raccoglierne i frantumi, riunirli e restituirli a colui che li ha offerti in dono al
tempo, per amore.
Ricchissimo di spunti e riflessioni, «Il libro della
vita monastica» è teso e animato, emotivamente carico; certezze e presagi, estetica e spiritualità, inquietudini e conquiste vi si incontrano e si osservano a vi-
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cenda: vi confluiscono mirabilmente le problematiche filosofiche e spirituali del primo Novecento, con
gli elementi del travaglio artistico di Rilke – ma non è
tutto: il monaco parla di se stesso, si ascolta e si osserva, scende a fondo dentro sé mentre allarga lo
sguardo al mondo intero, e in esso alla presenza indicibile di Dio. Una profondità psicologica ineguagliabile contraddistingue le sue pagine: un uomo religioso può leggervi molto di se stesso.
L’oriente russo è per Rilke una patria spirituale
scoperta e immensamente amata, studiata con passione, visitata e poi continuamente ricordata. In «Il
libro della vita monastica», inoltre, la sonorità sovrabbondante che caratterizza il primo Rilke prodigiosamente inizia a concentrarsi: si condensa attorno
ad alcune lame di luce e le percorre a ritroso fino a
scorgere l’ampiezza da cui vengono. Rilke scende in
sé portando l’eco della Divina liturgia, lo sfavillare
dell’iconostasi, le linee e i colori delle icone: li ascolta, li contempla, e li confronta con la terra della propria provenienza e della propria formazione – la Mitteleuropa e l’Italia, Dürer, Botticelli e Michelangelo,
Praga, Berlino e Firenze. La solitudine dei monaci
russi gli insegna che il segreto dell’esistenza è la fedeltà, non la riuscita; l’attesa, non l’evidenza; la sobrietà concreta della disciplina dello spirito, non il
diffondersi febbrile intorno a sé – e il gesto misurato,
il cui ritmo sa domare la tensione e trattenere il desiderio ardente fino a quando il compimento sia possibile, anzi: fino a rendere possibile il miracolo della
compiutezza. Fedeltà è solitudine, e insieme amore
immenso: una pienezza quasi traboccante, eppure
spoglia. Silenzio, e canto nel silenzio. Il silenzio è un
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continente sterminato, nel quale tutto parla: il mondo svela un’anima preziosa e vasta, che pervade ogni
singolo aspetto della realtà; tutto è animato per chi
guarda, fedele, operoso e solitario, dal silenzio.
Le fonti di Rilke sono per lo più i grandi narratori russi: Tolstoj e Dostoevskij. Non sembra che il
poeta approfondisca più di tanto la storia dell’arte
russa, né che comprenda i testi della Divina liturgia;
anche la Filocalia 6 è assai poco presente nelle liriche
de Il libro d’ore. Rilke è percettivo, intuitivo: mai superficiale, ma coinvolto in un percorso di crescita
spirituale del quale i monasteri russi, le icone, i suoni
della liturgia, le campane del Cremlino e la folla dei
pellegrini sono i catalizzatori – per la mediazione della “gente di Dio” che la principessina Marija riceve
di nascosto dal padre in Guerra e pace; e dello starecˇ
luminoso che guida Alësa ne I fratelli Karamazov. Assente, nelle sue meditazioni, la peculiare spiritualità
della “preghiera di Gesù”, anima della Filocalia e
principale pratica ascetica monastica (si tratta della
ripetizione del nome di Gesù sotto forma di invocazione, che è al centro di opere come Racconti di un
pellegrino russo e Filocalia); la concreta vita dei monasteri, con la presenza dei pellegrini che vagano dall’uno all’altro, le tentazioni a cui il monaco è sottoposto e la pratica dell’assistenza ai poveri e ai bisognosi, invece, sono oggetto di turbamento e di sguardo rapito. Pochissimi i luoghi precisamente identifi6
Filokalìa. Testi di ascetica e mistica della chiesa orientale, a cura di
G. Vannucci, voll. I e II, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1998; La Filocalia. Amore del bello, introduzione, scelta e trad. a cura di L. Cremaschi, Qiqajon, Bose 2006.
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cabili: la voce narrante vive tra luoghi tipizzati, tra tipi umani (il monastero, i monaci, i pellegrini, la pianura...). Eppure, chi legga tenendo presenti i passi
della Filocalia, gli splendori delle icone, i suoni e i gesti della Divina liturgia avverte come un risuonare di
armonici attorno ai versi di Rilke; o meglio, sente come un basso profondo, polifonico, che sostiene la
melodia della voce solista e ne completa il timbro7.
Nel secondo ciclo, «Il libro del pellegrinaggio», il
monaco russo che parlava ne «Il libro della vita monastica» torna a rivolgersi a Dio: ha lasciato il monastero, e gli sembra di non potersi più riconoscere; eppure, torna in sé, e cerca il proprio Dio nel mondo –
consapevole che il mondo è mutato parallelamente al
mutare della sua anima. Egli si è disperso, e ha sofferto tutte le conseguenze dell’errore: la sua ricerca
di Dio è ancora più urgente. Più che Padre, Dio gli
appare figlio; la sua forza è nella debolezza. Chi ha
subìto violenza, chi si è disseminato, può ricomporre
7
Anche qui, come già per i paralleli con Etty Hillesum, mi è parso
difficile quando non inopportuno appesantire questa nota con dati precisi, che pure ho raccolto con estrema cura e che meriterebbero di essere sviluppati in un saggio a sé stante: ho avuto l’impressione che tali risonanze siano così personali, in Rilke come nel suo lettore, che esplicitarle
anche solo in parte, in un breve sommario, fosse come tradirne il senso
profondo. Preferisco invitare il lettore a scoprirle da sé, in un colloquio
personale e intimo con il poeta praghese e con la spiritualità russa. Tra le
innumerevoli letture possibili, alcune segnalazioni: Aa.Vv., In un’altra
forma. Percorsi di iniziazione all’icona, Servitium, Sotto il Monte 1996; P.
Florenskij, Le porte regali. Saggio sull’icona, Adelphi, Milano 1977; P.N.
Evdokimov, Teologia della bellezza. L’arte dell’icona, San Paolo, Cinisello Balsamo 1990; A. Asnaghi, Le Porte belle. Viaggio interiore nella ortodossia, CENS, Sotto il Monte 1991; Aa.Vv., Andrei Rublev e l’icona russa,
Qiqajon, Bose 2006; Aa.Vv., La preghiera di Gesù nella spiritualità russa
del xIx secolo, Qiqajon, Bose 2005; Aa.Vv., Forme della santità russa, Qiqajon, Bose 2002.
16
tanto lui quanto se stesso «con i pezzi della propria
vergogna». Di fronte a Dio, l’anima è come Ruth, la
serva che dorme ai piedi del padrone; ma Dio è bambino, e vecchio al tempo stesso. Il mondo fluisce verso Dio, come l’acqua di una fonte che cade nella coppa marmorea che l’attende e se ne colma, ma continua ad accoglierla senza mai saziarsi (immagine che
tornerà nella poesia più tarda di Rilke). La vita umana sembra spesso non vissuta: dissipata. Dalle cose, è
necessario imparare l’arte del cadere (anche questa
immagine tornerà, alla fine delle Elegie duinesi).
La riflessione si amplia, si approfondisce: gli spunti spirituali che Rilke elabora in sé e offre nelle sue
brucianti intuizioni sono sorprendenti – da ciascuno,
può nascere davvero una meditazione infinita. Le
poesie si generano una dall’altra, e si riprendono a vicenda in un fitto tessuto di echi e rimandi; le domande incalzano, e hanno per oggetto la concretezza dell’esistenza.
Basti immaginare Etty Hillesum, alla sera, in una
baracca circondata dal fango e dal gelo, nel campo di
transito – e pensare a come avrà letto alcuni dei versi
di Rilke: essi, forse, le saranno sembrati scritti proprio
per descrivere la sua vita di allora, e avranno rafforzato in lei le idee alle quali si aggrappava nell’orrore
quotidiano. Basti constatare come Etty lo riprenda
puntualmente per rendersi conto di quanta ricchezza
Il libro d’ore, letto come libro spirituale, possa donare
a chi desideri capire come vivere. Il colloquio non può
che essere intimo e teso all’estremo, in una febbre di
conoscenza delle questioni ultime: il bene e il male,
Dio, lo smarrimento, il mondo, la bellezza, il dolore.
17
Nel terzo ciclo, Rilke contempla la povertà e la
morte («Il libro della povertà e della morte»): si rende conto che nelle città dell’occidente i poveri, ormai, «sono solo i non-ricchi». La civiltà industriale
misconosce il valore della povertà: il non-avere, per
essa, è una colpa inespiabile. Di fronte a Dio, invece
– ed è così nella cultura russa, nella quale la povertà
è rivestita di valore spirituale, pur essendo una durissima e diffusa condizione di vita –, la povertà «è una
luce intensa»; i poveri devono poterlo essere degnamente, perché di null’altro, in realtà, hanno bisogno.
Non si muore più della propria morte; la vita stessa
non è più realmente vissuta; l’illusione del possesso e
del progresso, nei fatti, aliena dalla partecipazione all’esistere; le città umiliano chi ci vive. Con l’invocazione a san Francesco, portatore di verità e bellezza
nella povertà, si chiude il terzo gruppo di liriche.
Tradurre Rilke è una gioia, sempre: è bello accarezzarne le parole, per lasciarle vibrare e vibrare con
loro, nell’emotività e nella conoscenza. Tradurre è un
modo di accogliere in sé: è come assimilare, come masticare, quasi, a poco a poco, ripetendo a occhi chiusi
per risillabare nella propria lingua. In particolare, le
liriche de Il libro d’ore suscitano un’intelligenza musicale del mondo, perché sono musica, cioè timbri e
ritmi – ma musica percettiva prima che espressiva:
timbri e ritmi come organi di senso protesi all’esterno, acuti e pronti. Tra tanti doni, forse è questo che
ci attira: la nostra capacità di articolare suoni si comporta nei versi come la nostra facoltà di vedere e di
toccare. Traducendo Rilke, ci esercitiamo un poco a
fare come lui: a protenderci con «parole tattili» (Paul
Celan), e con timbri e ritmi come occhi. La traduzio-
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ne che segue vuole essere, in questo senso, un esercizio di attenzione e di coinvolgimento personale, sulla base di una lunga e privata intimità con i testi del
poeta praghese.
Dopo Il libro d’ore, il cammino poetico di Rilke
prese diverse direzioni – eppure, esso restò per il
poeta un esito caro e insostituibile.
Forse, i tempi sono maturi per tornare a leggerlo
come lo lesse Etty Hillesum: come autentico «libro
spirituale». Per leggerlo, cioè, nell’urgenza delle nostre esistenze e in un colloquio privato, dal quale sorga vita nuova; per incontrarlo nella concretezza dei
nostri giorni. Essi, infatti, chiedono luce – e hanno
diritto di incontrarne.
RINGRAZIAMENTI
Desidero esprimere la mia gratitudine alla prof.
Lorenza Dalla Tezza, che mi ha generosamente fornito un valido, necessario e competente aiuto nelle fasi
di controllo della traduzione.
Ringrazio di tutto cuore padre Espedito D’Agostini, direttore di Servitium, che ha prontamente accolto questo mio progetto rilkiano, a lungo meditato
e desiderato.
Lorenzo Gobbi
19
IL LIBRO D’ORE
(Das Stunden-Buch)
Gelegt in die Hände von Lou
Deposto nelle mani di Lou
I. IL LIBRO DELLA VITA MONASTICA
(I. Das Buch vom Mönchischen Leben)
1
Da neigt sich die Stunde und rührt mich an
mit klarem, metallenem Schlag:
mir zittern die Sinne. Ich fühle: ich kann –
und ich fasse den plastischen Tag.
Nichts war noch vollendet, eh ich es erschaut,
ein jedes Werden stand still.
Meine Blicke sind reif, und wie eine Braut
kommt jedem das Ding, das er will.
Nichts ist mir zu klein, und ich lieb es trotzdem
und mal es auf Goldgrund und groß
und halte es hoch, und ich weiß nicht wem
löst es die Seele los...
24
Ecco, l’ora si flette su di sé, mi tocca
con battito chiaro, metallico:
mi tremano i sensi. Lo sento: io posso –
afferro il giorno, che è come scolpito.
Niente ancora era compiuto, prima che fossi io a
intuirlo,
e ogni divenire stava immobile.
Sono maturi i miei sguardi, e come una sposa
a ciascuno l’oggetto viene incontro, quello che lui
vuole.
Nulla è troppo piccolo per me – io lo amo
e lo dipingo da uno sfondo d’oro, e grande,
e lo sostengo là nell’alto, e non so a chi
libererà l’anima dischiusa...
25
2
Ich lebe mein Leben in wachsenden Ringen,
die sich über die Dinge ziehn.
Ich werde den letzten vielleicht nicht vollbringen,
aber versuchen will ich ihn.
Ich kreise um Gott, um den uralten Turm,
und ich kreise jahrtausendelang,
und ich weiß noch nicht: bin ich ein Falke, ein Sturm
oder ein großer Gesang.
26
Vivo la mia vita in cerchi che si allargano,
che passano sopra le cose.
L’ultimo, forse, non potrò portarlo a compimento,
ma voglio protendermi, tentare.
Giro attorno a Dio, alla torre antica dell’inizio,
le giro attorno da migliaia d’anni:
e ancora non so: sono un falco, o una tempesta,
o un canto, forse – e grande.
27
3
Ich habe viele Brüder in Soutanen
im Süden, wo in Klöstern Lorbeer steht.
Ich weiß, wie menschlich sie Madonnen planen
und träume oft von jungen Tizianen,
durch die der Gott in Gluten geht.
Doch wie ich mich auch in mich selber neige:
Mein Gott ist dunkel und wie ein Gewebe
von hundert Wurzeln, welche schweigsam trinken.
Nur, dass ich mich aus seiner Wärme hebe,
mehr weiß ich nicht, weil alle meine Zweige
tief unten ruhn und nur im Winde winken.
28
Ho tanti fratelli in lunghe vesti,
nel sud, dove l’alloro cresce nei chiostri.
Io lo so, come umanamente disegnano Madonne
nel pensiero,
e sogno spesso giovani Tiziani
grazie ai quali Dio passi nelle braci.
Però, per quanto io mi pieghi, giù, verso me stesso:
il mio Dio è buio, è come un tessuto
di cento radici, e ciascuna beve silenziosa.
Ora, poiché m’innalzo anch’io dal suo calore,
nulla so di più, se non che i rami, tutti – i miei –
sono quieti nel profondo, e nel vento solamente
danno cenni.
29
4
Wir dürfen dich nicht eigenmächtig malen,
du Dämmernde, aus der der Morgen stieg.
Wir holen aus den alten Farbenschalen
die gleichen Striche und die gleichen Strahlen,
mit denen dich der Heilige verschwieg.
Wir bauen Bilder von dir auf wie Wände;
so dass schon tausend Mauern um dich stehn.
Denn dich verhüllen unsre frommen Hände,
sooft dich unsre Herzen offen sehn.
30
Non ci è permesso dipingerti così come vorremmo,
tu albeggiante, tu da cui uscì il mattino.
Attingiamo dalle antiche tavolozze
le stesse linee, gli stessi raggi
con i quali il Santo te nascose.
Innalziamo come mura immagini di te;
sono mille ormai, ti stanno intorno.
Poiché ti fanno schermo le devote mani, le nostre,
ogni volta che ti vedono, dischiusi, i nostri cuori.
31
5
Ich liebe meines Wesens Dunkelstunden,
in welchen meine Sinne sich vertiefen;
in ihnen hab ich, wie in alten Briefen,
mein täglich Leben schon gelebt gefunden
und wie Legende weit und überwunden.
Aus ihnen kommt mir Wissen, dass ich Raum
zu einem zweiten zeitlos breiten Leben habe.
Und manchmal bin ich wie der Baum,
der, reif und rauschend, über einem Grabe
den Traum erfüllt, den der vergangne Knabe
(um den sich seine warmen Wurzeln drängen)
verlor in Traurigkeiten und Gesängen.
32
Amo, della mia natura, le ore oscure,
nelle quali i miei sensi vanno nel profondo;
in esse, come in vecchie lettere,
ho trovato già vissuta la mia vita quotidiana,
e distante come una leggenda, ormai passata.
Sono loro ad insegnarmi che c’è spazio in me
per una vasta nuova vita senza tempo.
E sono a volte come l’albero che sta sopra una
tomba,
maturo e frusciante – lui che porta alla pienezza il
sogno
che il fanciullo, morto (radici calde intorno
gli s’affollano), in tristezze e canti aveva perso.
33
6
Du, Nachbar Gott, wenn ich dich manches Mal
in langer Nacht mit hartem Klopfen störe, –
so ists, weil ich dich selten atmen höre
und weiß: Du bist allein im Saal.
Und wenn du etwas brauchst, ist keiner da,
um deinem Tasten einen Trank zu reichen:
ich horche immer. Gib ein kleines Zeichen.
Ich bin ganz nah.
Nur eine schmale Wand ist zwischen uns,
durch Zufall; denn es könnte sein:
ein Rufen deines oder meines Munds –
und sie bricht ein
ganz ohne Lärm und Laut.
Aus deinen Bildern ist sie aufgebaut.
Und deine Bilder stehn vor dir wie Namen.
Und wenn einmal in mir das Licht entbrennt,
mit welchem meine Tiefe dich erkennt,
vergeudet sichs als Glanz auf ihren Rahmen.
Und meine Sinne, welche schnell erlahmen,
sind ohne Heimat und von dir getrennt.
34
Tu, vicino Dio, se te talvolta
nella più lunga notte con violento battere disturbo, –
è per questo, perché è raro che ti senta respirare:
sei solo nella stanza: io so.
E se qualcosa ti fosse necessario, non c’è nessuno
che porga una bevanda a te che cerchi al tatto:
io sempre sto in ascolto. Da’ un piccolo cenno.
Sono molto vicino.
Soltanto una sottile parete sta tra noi,
per caso; e dunque, potrebbe accadere:
un richiamo della tua o della mia bocca –
e crollerebbe lei
completamente, senza suono né fragore.
Con le tue immagini è stata edificata.
E le tue immagini stanno ritte innanzi a te come dei
Nomi.
E quando una volta la luce in me si accende –
grazie a lei ti riconosce il mio profondo –
come bagliore va dispersa su ciò che le contorna.
E i miei sensi, che presto perdono le forze,
non hanno patria, sono separati da te.
35
7
Wenn es nur einmal so ganz stille wäre.
Wenn das Zufällige und Ungefähre
verstummte und das nachbarliche Lachen,
wenn das Geräusch, das meine Sinne machen,
mich nicht so sehr verhinderte am Wachen –:
Dann könnte ich in einem tausendfachen
Gedanken bis an deinen Rand dich denken
und dich besitzen (nur ein Lächeln lang),
um dich an alles Leben zu verschenken
wie einen Dank.
36
Se una volta soltanto si facesse
tutto così completamente silenzioso!
Se la casualità e l’imprecisione
ammutolissero, e il riso di chi mi sta vicino,
se il clamore che producono i miei sensi
non mi impedisse così tanto nella veglia –:
potrei, allora, in un pensiero dalle mille forme,
pensarti fino al tuo confine,
e possederti (come il tempo appena di sorridere)
per donarti poi a ogni vita
come un grazie.
37
8
Ich lebe grad, da das Jahrhundert geht.
Man fühlt den Wind von einem großen Blatt,
das Gott und du und ich beschrieben hat
und das sich hoch in fremden Händen dreht.
Man fühlt den Glanz von einer neuen Seite,
auf der noch Alles werden kann.
Die stillen Kräfte prüfen ihre Breite
und sehn einander dunkel an.
38
Con intensità io vivo, ora che il secolo va oltre.
Si può avvertire il vento d’una grande pagina,
sulla quale Dio e tu e io tracciammo segni
e che ora nell’alto si rigira, tra straniere mani.
Si può avvertire lo splendore di un suo lato nuovo,
e su esso tutto ancora può avvenire.
Le silenziose forze saggiano la propria vastità.
E si guardano l’un l’altra, oscuramente.
39
9
Ich lese es heraus aus deinem Wort,
aus der Geschichte der Gebärden,
mit welchen deine Hände um das Werden
sich ründeten, begrenzend, warm und weise.
Du sagtest leben laut und sterben leise
und wiederholtest immer wieder: Sein.
Doch vor dem ersten Tode kam der Mord.
Da ging ein Riss durch deine reifen Kreise
und ging ein Schrein
und riss die Stimmen fort,
die eben erst sich sammelten
um dich zu sagen,
um dich zu tragen
alles Abgrunds Brücke –
Und was sie seither stammelten,
sind Stücke
deines alten Namens.
40
Leggendo lo intuisco nella tua Parola,
nella storia dei gesti
con i quali le tue mani attorno al divenire
si chiusero in cerchio, limitando, calde e sagge.
Hai detto a voce alta vivere – e morire, poi,
sommessamente,
e sempre ancora hai ripetuto: Essere.
Ma venne il delitto, e precedette la prima delle
morti.
E fu una crepa per i tuoi maturi cerchi,
e un grido si levò
e strappò via le voci
per la prima volta unite, da un istante,
a dire te,
a reggerti,
tu ponte di ogni abisso –
e ciò che balbettarono da allora
sono frammenti
del tuo Nome antico.
41
10
Der blasse Abelknabe spricht:
Ich bin nicht. Der Bruder hat mir was getan,
was meine Augen nicht sahn.
Er hat mir das Licht verhängt.
Er hat mein Gesicht verdrängt
mit seinem Gesicht.
Er ist jetzt allein.
Ich denke, er muss noch sein.
Denn ihm tut niemand, wie er mir getan.
Es gingen alle meine Bahn,
kommen alle vor seinen Zorn,
gehen alle an ihm verloren.
Ich glaube, mein großer Bruder wacht
wie ein Gericht.
An mich hat die Nacht gedacht;
an ihn nicht.
42
Parla il pallido fanciullo Abele:
Io non sono. Mio fratello mi ha fatto qualcosa,
qualcosa che i miei occhi non hanno visto.
Mi ha oscurato la luce.
Il mio volto, lo ha scalzato via
con il suo volto.
Adesso è solo.
Penso che esista ancora.
Perché nessuno gli ha fatto ciò che lui ha fatto a me.
Tutti hanno percorso il mio sentiero,
tutti sono giunti in fronte al suo furore,
tutti in lui sono perduti.
Credo che mio fratello, il maggiore, sia vigile
come un tribunale.
A me ha pensato la notte;
a lui, no.
43
11
Du Dunkelheit, aus der ich stamme,
ich liebe dich mehr als die Flamme,
welche die Welt begrenzt,
indem sie glänzt
für irgend einen Kreis,
aus dem heraus kein Wesen von ihr weiß.
Aber die Dunkelheit hält alles an sich:
Gestalten und Flammen, Tiere und mich,
wie sie’s errafft,
Menschen und Mächte –
Und es kann sein: eine große Kraft
rührt sich in meiner Nachbarschaft.
Ich glaube an Nächte.
44
Tu, Oscurità, – da te provengo –
amo te più che la fiamma
che dà confine al mondo,
risplendendo
per qualcosa che somiglia a un cerchio –
e là, nell’oltre, non v’è alcuno che sappia ciò che sia.
Ma l’Oscurità trattiene insieme tutte le cose,
figure e fiamme, viventi e me,
come li abbranca,
uomini e potenze –
e può esistere: una forza grande
si agita vicino a me.
Ho fede nelle notti.
45
12
Ich glaube an Alles noch nie Gesagte.
Ich will meine frömmsten Gefühle befrein.
Was noch keiner zu wollen wagte,
wird mir einmal unwillkürlich sein.
Ist das vermessen, mein Gott, vergieb.
Aber ich will dir damit nur sagen:
Meine beste Kraft soll sein wie ein Trieb,
so ohne Zürnen und ohne Zagen;
so haben dich ja die Kinder lieb.
Mit diesem Hinfluten, mit diesem Münden
in breiten Armen ins offene Meer,
mit dieser wachsenden Wiederkehr
will ich dich bekennen, will ich dich verkünden
wie keiner vorher.
Und ist das Hoffahrt, so lass mich hoffährtig sein
für mein Gebet,
das so ernst und allein
vor deiner wolkigen Stirne steht.
46
Ho fede in tutto ciò che mai è stato detto.
Ciò che più devotamente sento, voglio liberarlo.
Ciò che nessuno ancora osò volere
senza che lo voglia mi potrà accadere.
Se ciò è avventato, mio Dio, tu perdona.
Ma voglio in questo modo dirti solamente:
la mia migliore forza dovrà farsi come un tendere
istintivo,
e dunque senza astio né incertezza;
è così che i bimbi sanno amarti.
Con questi rivoli che scendono, con queste bocche
in larghe braccia dentro il mare aperto,
con un ritorno – questo – che è una crescita,
te io voglio riconoscere, te voglio annunciare
come nessuno fino ad ora.
Se sono superbo, lascia che superbamente esista
nella mia preghiera,
che così fiera e sola
sta davanti alla tua fronte annuvolata.
47
13
Ich bin auf der Welt zu allein und doch nicht allein genug
um jede Stunde zu weihn.
Ich bin auf der Welt zu gering und doch nicht klein genug
um vor dir zu sein wie ein Ding,
dunkel und klug.
Ich will meinen Willen und will meinen Willen
begleiten
die Wege zur Tat;
und will in stillen, irgendwie zögernden Zeiten,
wenn etwas naht,
unter den Wissenden sein
oder allein.
Ich will dich immer spiegeln in ganzer Gestalt,
und will niemals blind sein oder zu alt
um dein schweres schwankendes Bild zu halten.
Ich will mich entfalten.
Nirgends will ich gebogen bleiben,
denn dort bin ich gelogen, wo ich gebogen bin.
Und ich will meinen Sinn
wahr vor dir. Ich will mich beschreiben
wie ein Bild das ich sah,
lange und nah,
wie ein Wort, das ich begriff,
wie meinen täglichen Krug,
wie meiner Mutter Gesicht,
wie ein Schiff,
das mich trug
durch den tödlichsten Sturm.
48
Sono così solo al mondo – ma solo abbastanza non
ancora
da benedire ogni momento.
Sono così insignificante al mondo – ma piccolo
abbastanza non ancora
da stare in fronte a te come una cosa,
oscura e sapiente.
Io voglio ciò che voglio, e voglio che le mie volontà
percorrano
i sentieri verso il fare;
e voglio nei tempi silenziosi, che stanno come in attesa,
se mai si approssima qualcosa,
essere tra i saggi
oppure essere solo.
Voglio specchiarti sempre, in tutta la figura,
non voglio essere cieco mai né troppo vecchio
a sostenere la tua immagine pesante, che vacilla.
Voglio potermi dispiegare.
Non c’è luogo in cui io voglia rimanere curvo a terra,
perché là dove sto curvo divento come una menzogna.
Voglio i miei sensi
veritieri innanzi a te. Voglio potermi rappresentare
come un quadro che ho visto,
a lungo e da vicino,
come una parola che ho compreso,
come il mio bacile d’ogni giorno,
come il volto di mia madre,
come una nave
che mi abbia tratto in salvo
dalla tempesta più mortale.
49
14
Du siehst, ich will viel.
Vielleicht will ich Alles:
das Dunkel jedes unendlichen Falles
und jedes Steigens lichtzitterndes Spiel.
Es leben so viele und wollen nichts,
und sind durch ihres leichten Gerichts
glatte Gefühle gefürstet.
Aber du freust dich jedes Gesichts,
das dient und dürstet.
Du freust dich Aller, die dich gebrauchen
wie ein Gerät.
Noch bist du nicht kalt, und es ist nicht zu spät,
in deine werdenden Tiefen zu tauchen,
wo sich das Leben ruhig verrät.
50
Voglio molto, vedi.
Forse, voglio tutto:
il buio di ogni caduta senza fine,
e il gioco di ogni ascesa – tremolante di luce.
Così tanti vivono, e non vogliono nulla,
e attraverso i loro facili giudizi
sentimenti semplici li portano.
Ma gioisci tu per ogni volto
che si metta a servizio, che abbia sete.
Gioisci per coloro, tutti, che si servono di te
come strumento.
Ancora non sei freddo, ancora non è troppo tardi
per immergerci nel tuo profondo che diviene,
là dove la vita quietamente si rivela.
51
15
Wir bauen an dir mit zitternden Händen
und wir türmen Atom auf Atom.
Aber wer kann dich vollenden,
du Dom.
Was ist Rom?
Es zerfällt.
Was ist die Welt?
Sie wird zerschlagen
eh deine Türme Kuppeln tragen,
eh aus Meilen von Mosaik
deine strahlende Stirne stieg.
Aber manchmal im Traum
kann ich deinen Raum
überschaun,
tief vom Beginne
bis zu des Daches goldenem Grate.
Und ich seh: meine Sinne
bilden und baun
die letzten Zierate.
52
Ti edifichiamo, noi, con mani tremolanti,
e accatastiamo atomo su atomo.
Ma chi può portarti a compimento –
Te, cattedrale?
Cos’è Roma?
Cade in rovine.
Cos’è il mondo?
Andrà in frantumi
prima che le tue torri sostengano le cupole,
prima che da migliaia di mosaici
la tua fronte risplendente appaia.
Ma a volte, nel sogno,
posso il tuo spazio
abbracciarlo con lo sguardo,
a fondo, dagli inizi
fino al colmo d’oro del tetto..
E vedo: i miei sensi
dare forma ed esistenza
agli ultimi ornamenti.
53
16
Daraus, dass Einer dich einmal gewollt hat,
weiß ich, dass wir dich wollen dürfen.
Wenn wir auch alle Tiefen verwürfen:
wenn ein Gebirge Gold hat
und keiner mehr es ergraben mag,
trägt es einmal der Fluss zutag,
der in die Stille der Steine greift,
der vollen.
Auch wenn wir nicht wollen:
Gott reift.
54
Per questo, perché Uno un tempo t’ha voluta,
io so che anche noi possiamo qui volerti.
Anche se d’alcuna profondità non ci curassimo,
se nasconde oro una montagna
ma nessuno vuole andarne alla ricerca,
il fiume un giorno lo trarrà alla luce –
lui che cerca tra il silenzio delle pietre,
colme.
Anche se noi non lo volessimo:
Dio tende al compimento.
55
17
Wer seines Lebens viele Widersinne
versöhnt und dankbar in ein Sinnbild fasst,
der drängt
die Lärmenden aus dem Palast,
wird anders festlich, und du bist der Gast,
den er an sanften Abenden empfängt.
Du bist der Zweite seiner Einsamkeit,
die ruhige Mitte seinen Monologen;
und jeder Kreis, um dich gezogen,
spannt ihm den Zirkel aus der Zeit.
56
Chi della propria vita i molti controsensi, grato,
sa riconciliare dentro a un simbolo,
espelle
dal palazzo colui che genera frastuono,
si fa festoso in altro modo – tu sei l’Ospite
ed egli te riceve nelle sere delicate.
Della sua solitudine, tu sei il secondo,
il centro quieto del suo monologare;
e ogni cerchio che ti sia tracciato intorno
via dal tempo estende il suo compasso.
57
18
Was irren meine Hände in den Pinseln?
Wenn ich dich male, Gott, du merkst es kaum.
Ich fühle dich. An meiner Sinne Saum
beginnst du zögernd, wie mit vielen Inseln,
und deinen Augen, welche niemals blinseln,
bin ich der Raum.
Du bist nicht mehr inmitten deines Glanzes,
wo alle Linien des Engeltanzes
die Fernen dir verbrauchen wie Musik, –
du wohnst in deinem allerletzten Haus.
Dein ganzer Himmel horcht in mich hinaus,
weil ich mich sinnend dir verschwieg.
58
Perché vagano le mani tra i pennelli?
Se te dipingo, Dio, a stento te ne accorgi.
Ti percepisco. Al limitare dei miei sensi
inizi tu, indugiante, come con molte isole,
e per i tuoi occhi, mai socchiusi,
io sono lo spazio.
Tu non sei più, no, in mezzo ai tuoi bagliori,
dove tutte le figure di danza degli angeli
consumano per te le lontananze come musica –
tu vivi nella tua dimora estrema.
Il tuo cielo, tutto, ascolta in me, proteso,
perché con te ho taciuto di me stesso, nel pensiero.
59
19
Ich bin, du Ängstlicher. Hörst du mich nicht
mit allen meinen Sinnen an dir branden?
Meine Gefühle, welche Flügel fanden,
umkreisen weiß dein Angesicht.
Siehst du nicht meine Seele, wie sie dicht
vor dir in einem Kleid aus Stille steht?
Reift nicht mein mailiches Gebet
an deinem Blicke wie an einem Baum?
Wenn du der Träumer bist, bin ich dein Traum.
Doch wenn du wachen willst, bin ich dein Wille
und werde mächtig aller Herrlichkeit
und ründe mich wie eine Sternenstille
über der wunderlichen Stadt der Zeit.
60
Sono io, tu che sei nella paura. Non mi senti,
che mi infrango contro te con ogni senso?
Hanno trovato ali i miei sentimenti,
e ròteano bianchi attorno al tuo volto.
Non vedi la mia anima, come densa
ti sta innanzi in una veste di silenzio?
Non matura la mia preghiera di maggio
sul tuo sguardo come sopra un albero?
Se tu sei colui che sogna, io sono il tuo sogno.
Ma quando vuoi vegliare, io sono la tua volontà
e mi rende forte tutto ciò che è splendido
e mi distendo, concavo, come un silenzio di stelle
sulla città del tempo: lei meravigliosa.
61
20
Mein Leben ist nicht diese steile Stunde,
darin du mich so eilen siehst.
Ich bin ein Baum vor meinem Hintergrunde,
ich bin nur einer meiner vielen Munde
und jener, welcher sich am frühsten schließt.
Ich bin die Ruhe zwischen zweien Tönen,
die sich nur schlecht aneinander gewöhnen:
denn der Ton Tod will sich erhöhn –
Aber im dunklen Intervall versöhnen
sich beide zitternd.
Und das Lied bleibt schön.
62
Mia vita non è questo ripido momento
nel quale tu mi vedi tanto urgentemente andare.
Sono un albero di fronte allo spazio che per me
si stende,
una soltanto delle mie molte bocche,
e proprio quella che per prima si dischiude.
Sono l’istante silenzioso tra due suoni,
che a fatica ora s’accordano l’un l’altro:
il suono morte, infatti, vuole prevalere –
Ma nell’oscuro intervallo si conciliano,
entrambi con un fremito.
E rimane bello il canto.
63
21
Wenn ich gewachsen wäre irgendwo,
wo leichtere Tage sind und schlanke Stunden,
ich hätte dir ein großes Fest erfunden,
und meine Hände hielten dich nicht so,
wie sie dich manchmal halten, bang und hart.
Dort hätte ich gewagt, dich zu vergeuden,
du grenzenlose Gegenwart.
Wie einen Ball
hätt ich dich in alle wogenden Freuden
hineingeschleudert, dass einer dich finge
und deinem Fall
mit hohen Händen entgegenspringe,
du Ding der Dinge.
Ich hätte dich wie eine Klinge
blitzen lassen.
Vom goldensten Ringe
ließ ich dein Feuer umfassen,
und er müsste mirs halten
über die weißeste Hand.
Gemalt hätt ich dich: nicht an die Wand,
an den Himmel selber von Rand zu Rand,
und hätt dich gebildet, wie ein Gigant
dich bilden würde: als Berg, als Brand,
als Samum, wachsend aus Wüstensand –
oder
es kann auch sein: ich fand
dich einmal...
64
Se fossi nato in altro luogo, dove
più leggeri sono i giorni, e più slanciate le ore,
avrei inventato per te una grande festa
e ti avrebbero tenuto le mia mani – non così,
come talvolta ora ti tengono, spaventate, dure.
L’avrei rischiato, là: di dissiparti,
tu presenza senza limiti.
Come una palla
dentro tutte le ondeggianti gioie
ti avrei scagliato, così che uno, ad afferarti
nella tua caduta,
con le braccia in alto ti balzasse incontro,
tu cosa tra le cose.
Come una lama
ti avrei fatto risplendere.
Di un anello d’oro e più che d’oro
il fuoco tuo lo farei cingere
così che mi si dovesse fermare
sulla mano più bianca.
Ti avrei dipinto: non sul muro,
ma sul cielo stesso da confine a confine,
e ti avrei dato forma, come un gigante
te la potrebbe dare: monte, fuoco,
vento che si desta dalle sabbie del deserto –
oppure
può anche essere: io trovai
te un giorno...
65
Meine Freunde sind weit,
ich höre kaum noch ihr Lachen schallen;
und du: du bist aus dem Nest gefallen,
bist ein junger Vogel mit gelben Krallen
und großen Augen und tust mir leid.
(Meine Hand ist dir viel zu breit.)
Und ich heb mit dem Finger vom Quell einen Tropfen
und lausche, ob du ihn lechzend langst,
und ich fühle dein Herz und meines klopfen
und beide aus Angst.
66
I miei amici sono lontani,
sento appena risuonare il loro riso;
e tu: tu sei caduto dal nido,
sei un piccolo d’uccello con artigli gialli
e grandi occhi – e mi dai dolore.
(È troppo vasta per te la mia mano).
E attingo col dito alla fonte, una goccia,
e tendo l’orecchio se ti protendi tu desiderandola,
e battere sento il tuo cuore e il mio –
per paura, l’uno e l’altro.
67
22
Ich finde dich in allen diesen Dingen,
denen ich gut und wie ein Bruder bin;
als Samen sonnst du dich in den geringen
und in den großen giebst du groß dich hin.
Das ist das wundersame Spiel der Kräfte,
dass sie so dienend durch die Dinge gehn:
in Wurzeln wachsend, schwindend in die Schäfte
und in den Wipfeln wie ein Auferstehn.
68
Te ritrovo in tutte quelle cose
per le quali sono un bene io come un fratello:
come seme splendi tu nelle più fragili,
nelle più forti ti protendi con potenza.
È lo stupefacente gioco delle forze:
così pronte a servirle attraversano le cose!
Nelle radici si fan grandi, si ritraggono nei tronchi,
ed è come se tornassero alla vita nelle fronde.
69
23
Stimme eines jungen Bruders
Ich verrinne, ich verrinne
wie Sand, der durch Finger rinnt.
Ich habe auf einmal so viele Sinne,
die alle anders durstig sind.
Ich fühle mich an hundert Stellen
schwellen und schmerzen.
Aber am meisten mitten im Herzen.
Ich möchte sterben. Lass mich allein.
Ich glaube, es wird mir gelingen,
so bange zu sein,
dass mir die Pulse zerspringen.
70
Voce di un giovane frate
Io scorro via, scorro via,
come sabbia, che tra le dita scorre.
Ho sensi così tanti all’improvviso,
ciascuno con la sete più diversa.
Mi sento in mille punti
rigonfiare, dolorare.
Ma più che tutto in mezzo al cuore.
Morire vorrei. Lasciami solo.
Penso che avrò presto
una paura tale,
che i miei polsi esploderanno.
71
24
Sieh, Gott, es kommt ein Neuer an dir bauen,
der gestern noch ein Knabe war; von Frauen
sind seine Hände noch zusammgefügt
zu einem Falten, welches halb schon lügt.
Denn seine Rechte will schon von der Linken,
um sich zu wehren oder um zu winken
und um am Arm allein zu sein.
Noch gestern war die Stirne wie ein Stein
im Bach, geründet von den Tagen,
die nichts bedeuten als ein Wellenschlagen
und nichts verlangen, als ein Bild zu tragen
von Himmeln, die der Zufall drüber hängt;
heut drängt
auf ihr sich eine Weltgeschichte
vor einem unerbittlichen Gerichte,
und sie versinkt in seinem Urteilsspruch.
Raum wird auf einem neuen Angesichte.
Es war kein Licht vor diesem Lichte,
und, wie noch nie, beginnt dein Buch.
72
Guarda, Dio: uno nuovo giunge a edificarti,
e solo fino a ieri era un ragazzo; donne
hanno composto le sue mani giunte
in un intreccio, che per metà già sta mentendo.
Perché già vorrebbe la sua destra allontanarsi dalla
sinistra,
per farsi schermo o dare un cenno
ed esser sola con il proprio braccio.
Solo ieri, la sua fronte era una pietra
nel ruscello, levigata dai giorni
che nulla significano se non quel proprio infrangersi
di onde,
e nulla chiedono, se non di portare un’immagine
del cielo, che il caso ha posto sopra di loro;
e su di loro urge, oggi,
una storia che è quella del mondo, innanzi
a un tribunale che non conosce grazia,
e sprofonda nel suo pronunciamento.
Si farà spazio sopra un nuovo volto.
Non ci fu luce avanti questa luce,
e, come mai prima di ora, il tuo Libro prende inizio.
73
25
Ich liebe dich, du sanftestes Gesetz,
an dem wir reiften, da wir mit ihm rangen;
du großes Heimweh, das wir nicht bezwangen,
du Wald, aus dem wir nie hinausgegangen,
du Lied, das wir mit jedem Schweigen sangen,
du dunkles Netz,
darin sich flüchtend die Gefühle fangen.
Du hast dich so unendlich groß begonnen
an jenem Tage, da du uns begannst, –
und wir sind so gereift in deinen Sonnen,
so breit geworden und so tief gepflanzt,
dass du in Menschen, Engeln und Madonnen
dich ruhend jetzt vollenden kannst.
Lass deine Hand am Hang der Himmel ruhn
und dulde stumm, was wir dir dunkel tun.
74
Ti amo, norma leggerissima,
contro la quale maturammo, con la quale
crescemmo fino a ciò che siamo ora;
tu grande nostalgia, che mai potemmo trattenere,
tu foresta, dalla quale mai uscimmo,
tu canto, che con ogni silenzio facemmo risuonare,
tu oscura rete,
nella quale i sentimenti fuggendo sono presi.
Senza fine ti sei fatto grande
nel giorno in cui ci hai dato inizio, –
e siamo così a lungo maturati nel tuo sole,
e così cresciuti nell’ampiezza e poi così
profondamente radicati
che tu in uomini, angeli e madonne
quietamente puoi portarti a compimento.
Lascia che riposi la tua mano sulla convessità del
cielo –
e ciò che noi oscuramente ti facciamo, sopportalo
in silenzio.
75
26
Werkleute sind wir: Knappen, Jünger, Meister,
und bauen dich, du hohes Mittelschiff.
Und manchmal kommt ein ernster Hergereister,
geht wie ein Glanz durch unsre hundert Geister
und zeigt uns zitternd einen neuen Griff.
Wir steigen in die wiegenden Gerüste,
in unsern Händen hängt der Hammer schwer,
bis eine Stunde uns die Stirnen küsste,
die strahlend und als ob sie Alles wüsste
von dir kommt, wie der Wind vom Meer.
Dann ist ein Hallen von dem vielen Hämmern
und durch die Berge geht es Stoß um Stoß.
Erst wenn es dunkelt lassen wir dich los:
Und deine kommenden Konturen dämmern.
Gott, du bist groß.
76
Siamo operai: apprendisti, garzoni, maestri –
e costruiamo te, navata protesa verso l’alto.
Giunge, a volte, un grave forestiero
e come un luccichio percorre i nostri cento spiriti:
ci mostra, tremolando, un nuovo appiglio.
Ci arrampichiamo sui ponteggi vacillanti;
dalle nostre mani, pesante, penzola il martello
fino a che un istante non venne a baciarci sulle fronti,
rilucendo, come se ogni cosa conoscesse –
viene da te, come dal mare il vento.
È un risuonare, allora, di martelli, molti,
e va nelle montagne un colpo dopo l’altro.
Al primo buio, solo allora ti lasciamo:
affiorano i tuoi tratti, e danno luce.
Dio, sei grande!
77
27
Du bist so groß, dass ich schon nicht mehr bin,
wenn ich mich nur in deine Nähe stelle.
Du bist so dunkel; meine kleine Helle
an deinem Saum hat keinen Sinn.
Dein Wille geht wie eine Welle
und jeder Tag ertrinkt darin.
Nur meine Sehnsucht ragt dir bis ans Kinn
und steht vor dir wie aller Engel größter:
ein fremder, bleicher und noch unerlöster,
und hält dir seine Flügel hin.
Er will nicht mehr den uferlosen Flug,
an dem die Monde blass vorüberschwammen,
und von den Welten weiß er längst genug.
Mit seinen Flügeln will er wie mit Flammen
vor deinem schattigen Gesichte stehn
und will bei ihrem weißen Scheine sehn,
ob deine grauen Brauen ihn verdammen.
78
Sei così grande, che io non sono più
Se appena vengo un po’ vicino a te.
Sei così buio; il mio chiarore, piccolo,
dove tu sei non ha più senso.
Si muove il tuo volere come un’onda,
e il giorno annega in lei.
Solo il mio ardore sale a te, fino al tuo mento
e lì ti sta davanti, più grande d’ogni angelo:
uno straniero ardore, e pallido, ancora non salvato,
che apre le sue ali incontro a te.
Non vuole più quel volo senza fine per il quale,
impallidendo, molte lune hanno già percorso il cielo:
da tanto, ciò che sa dei mondi può bastargli.
Come con fiamme, vuole stare innanzi a te
Con le sue ali: al tuo viso, fatto d’ombre;
e vuole, nel loro bianco risplendere, vedere
se le tue ciglia grigie lo condannano.
79
28
So viele Engel suchen dich im Lichte
und stoßen mit den Stirnen nach den Sternen
und wollen dich aus jedem Glanze lernen.
Mir aber ist, sooft ich von dir dichte,
dass sie mit abgewendetem Gesichte
von deines Mantels Falten sich entfernen.
Denn du warst selber nur ein Gast des Golds.
Nur einer Zeit zuliebe, die dich flehte
in ihre klaren marmornen Gebete,
erschienst du wie der König der Komete,
auf deiner Stirne Strahlenströme stolz.
Du kehrtest heim, da jene Zeit zerschmolz.
Ganz dunkel ist dein Mund, von dem ich wehte,
und deine Hände sind von Ebenholz.
80
Angeli – così tanti – cercano te nella tua luce,
e con le fronti colpiscono le stelle
per imparare te dove risplende.
A me, invece, se di te dico poesia,
accade che, distolti i loro volti,
s’allontanino dalle pieghe del tuo manto.
Dunque tu eri appena un ospite dell’oro.
Fu per amore di un’epoca, soltanto – lei che t’invocò
nel marmo con preghiere bianche –
che apparisti come il re delle comete,
fiero dei bagliori: la tua fronte li irradiava.
Ti ritraesti – quando quel tempo venne meno.
È tutta buia, adesso, la tua bocca – io, ne sono un alito;
e le tue mani sono d’ebano.
81
29
Das waren Tage Michelangelo’s,
von denen ich in fremden Büchern las.
Das war der Mann, der über einem Maß,
gigantengroß,
die Unermesslichkeit vergaß.
Das war der Mann, der immer wiederkehrt,
wenn eine Zeit noch einmal ihren Wert,
da sie sich enden will, zusammenfasst.
Da hebt noch einer ihre ganze Last
und wirft sie in den Abgrund seiner Brust.
Die vor ihm hatten Leid und Lust;
er aber fühlt nur noch des Lebens Masse
und dass er Alles wie ein Ding umfasse, –
nur Gott bleibt über seinem Willen weit:
da liebt er ihn mit seinem hohen Hasse
für diese Unerreichbarkeit.
82
Furono i giorni di Michelangelo,
dei quali ho letto in libri d’altre terre.
Fu l’uomo, allora, che oltre ogni misura –
grande, gigantesco –
dimenticò che esiste l’impossibilità di misurare.
Fu l’uomo, che sempre fa ritorno
quando un’epoca raccoglie, per una sola volta ancora,
ciò che vale in lei: ormai, vuole finire.
E un uomo ne solleva tutto il peso,
e lo scaglia nelle profondità del proprio petto.
Per lui, ebbero pena – e gioia;
ma lui la massa della vita avverte, solamente,
e che l’abbraccia come cosa sola.
Dio solo resta oltre il suo volere:
ed egli l’ama con un intimo rancore
perché non può raggiungerlo.
83
30
Der Ast vom Baume Gott, der über Italien reicht,
hat schon geblüht.
Er hätte vielleicht
sich schon gerne, mit Früchten gefüllt, verfrüht,
doch er wurde mitten im Blühen müd,
und er wird keine Früchte haben.
Nur der Frühling Gottes war dort,
nur sein Sohn, das Wort,
vollendete sich.
Es wendete sich
alle Kraft zu dem strahlenden Knaben.
Alle kamen mit Gaben
zu ihm;
alle sangen wie Cherubim
seinen Preis.
Und er duftete leis
als Rose der Rosen.
Er war ein Kreis
um die Heimatlosen.
Er ging in Mänteln und Metamorphosen
durch alle steigenden Stimmen der Zeit.
84
Si dirama l’albero di Dio, si sporge sull’Italia:
ha dato già i suoi fiori.
Avrebbe forse, e volentieri,
sé ancora di frutti ricoperto, nella pienezza della
primavera,
ma nel maturo fiorire s’è sfiancato,
e non avrà più frutto di sorta.
La primavera di Dio fu là, soltanto essa,
il suo Figlio solo, la Parola,
ha portato se stesso a compimento.
Ogni forza s’è rivolta
al fanciullo che dà raggi.
Tutti giunsero a lui
portando doni;
il suo valore tutti lo cantarono,
come cherubini.
Ed egli intorno sparse un profumo delicato,
come rosa tra le rose.
Fu un cerchio
attorno a chi era senza patria.
Tra mantelli andava, e in sé mutava:
ogni voce che dal tempo si levasse attraversava.
85
31
Da ward auch die zur Frucht Erweckte,
die schüchterne und schönerschreckte,
die heimgesuchte Magd geliebt.
Die Blühende, die Unentdeckte,
in der es hundert Wege giebt.
Da ließen sie sie gehn und schweben
und treiben mit dem jungen Jahr;
ihr dienendes Marien-Leben
ward königlich und wunderbar.
Wie feiertägliches Geläute
ging es durch alle Häuser groß;
und die einst mädchenhaft Zerstreute
war so versenkt in ihren Schoß
und so erfüllt von jenem Einen
und so für Tausende genug,
dass alles schien, sie zu bescheinen,
die wie ein Weinberg war und trug.
86
Così fu amata anche colei8
che fu destata a dare frutto – la timida,
la colma di timore, lei che fu nell’intimo
cercata: la fiorente fanciulla, la nascosta –
lei che ospita in se stessa mille strade.
Le permisero di andare, di librarsi,
e nel giovane anno dare fremiti –
la loro umile vita di Maria
regale diventò, e meravigliosa:
come campane a festa in giorni santi
da una casa corse all’altra, immensa;
e lei, svagata un tempo nella fanciullezza,
così compresa si trovava nel suo grembo,
così colma di quell’Uno –
per migliaia già bastante –
e sembrava tutto porla in luce:
lei che come vigna era, e dava frutto.
8
A. Lavagetto, «Commento», in R.M. Rilke, Poesie, vol. I, p. 758:
«Questa poesia e la successiva furono scritte a Worpswede intorno al 1°
maggio 1905, durante il lavoro di revisione dello Stundenbuch. Erano in
origine un unico testo; solo nel volume a stampa divennero due liriche
distinte. [...] Ruth Mövius indica, come possibili modelli dello splendore
pittorico cui Rilke allude, la Madonna di Castelfranco del Giorgione a Venezia, la Madonna della pala di Pesaro di Tiziano a Venezia, l’Adorazione
dei Magi del Tiepolo a Monaco».
87
32
Aber als hätte die Last der Fruchtgehänge
und der Verfall der Säulen und Bogengänge
und der Abgesang der Gesänge
sie beschwert,
hat die Jungfrau sich in anderen Stunden,
wie von Größerem noch unentbunden,
kommenden Wunden
zugekehrt.
Ihre Hände, die sich lautlos lösten,
liegen leer.
Wehe, sie gebar noch nicht den Größten.
Und die Engel, die nicht trösten,
stehen fremd und furchtbar um sie her.
88
Ma come se l’avessero il carico dei frutti9,
la rovina degli archi e delle colonne,
e il commiato dei canti
poi oppressa,
si trovò la giovinetta in altre ore,
come da qualcosa di più grande già avvinghiata,
a ferite che giungevano
rivolta.
Le sue mani, che senza suono si protendevano10,
giacciono svuotate.
Ah, non ancora ha partorito lei l’Immenso.
E gli angeli, che non rendono conforto,
le stanno intorno, terribili e ignoti.
9
Lavagetto, «Commento», in Rilke, Poesie, cit., p. 759: «Ruth Mövius suppone che Rilke abbia conosciuto anche Crivelli e la sua scuola,
nelle cui opere compaiono sempre rovine di templi e di palazzi, e pesanti serti di frutti».
10
Lavagetto, «Commento», in Rilke, Poesie, cit., p. 759: «Si avanza
l’ipotesi [...] che questa strofa si riferisca a un tondo di Botticelli che
Rilke quasi certamente vide a Berlino (Maria col bambino e angeli con
candelieri): in esso la Madonna tiene il bambino in grembo, fra le mani
molli e aperte; la circondano sette angeli che reggono candele e volgono
lo sguardo lontano da lei. Le “sette candele angeliche” tornano nella
poesia successiva».
89
33
So hat man sie gemalt; vor allem Einer,
der seine Sehnsucht aus der Sonne trug.
Ihm reifte sie aus allen Rätseln reiner,
aber im Leiden immer allgemeiner:
sein ganzes Leben war er wie ein Weiner,
dem sich das Weinen in die Hände schlug.
Er ist der schönste Schleier ihrer Schmerzen,
der sich an ihre wehen Lippen schmiegt,
sich über ihnen fast zum Lächeln biegt –
und von dem Licht aus sieben Engelskerzen
wird sein Geheimnis nicht besiegt.
90
Così l’hanno ritratta; uno tra tutti,
che dal sole trasse il suo anelare11.
Per lui, più pura giunse a compimento lei dai molti
enigmi,
ma nel dolore più e più forte:
egli fu per la vita uno che piange,
e il suo pianto nelle mani si versò.
È il velo più bello al suo dolore
colui che s’inchina alle sue labbra di pena
e vi si flette sopra prossimo al sorriso –
e neanche dalla luce di sette candele d’angeli
sarà vinto mai il suo mistero.
11
Lavagetto, «Commento», in Rilke, Poesie, cit., p. 758: «Il “più triste dei pittori” [...] è Sandro Botticelli. Ivi., p. 759: «Botticelli, l’artista
che in un’epoca di splendore dipinse l’angoscia, protegge il segreto di
Maria anziché disperderlo in raffigurazioni ricche e lucenti, e diventa il
velo del suo dolore».
91
34
Mit einem Ast, der jenem niemals glich,
wird Gott, der Baum, auch einmal sommerlich
verkündend werden und aus Reife rauschen;
in einem Lande, wo die Menschen lauschen,
wo jeder ähnlich einsam ist wie ich.
Denn nur dem Einsamen wird offenbart,
und vielen Einsamen der gleichen Art
wird mehr gegeben als dem schmalen Einen.
Denn jedem wird ein andrer Gott erscheinen,
bis sie erkennen, nah am Weinen,
dass durch ihr meilenweites Meinen,
durch ihr Vernehmen und Verneinen,
verschieden nur in hundert Seinen
ein Gott wie eine Welle geht.
Das ist das endlichste Gebet,
das dann die Sehenden sich sagen:
Die Wurzel Gott hat Frucht getragen,
geht hin, die Glocken zu zerschlagen;
wir kommen zu den stillern Tagen,
in denen reif die Stunde steht.
Die Wurzel Gott hat Frucht getragen.
Seid ernst und seht.
92
Con un ramo, al quale nulla mai fu somigliante,
ancora una volta nell’estate Dio sarà annunciato –
lui, la pianta – e stormirà incontro al compimento:
in una terra in cui gli uomini ascoltano in silenzio,
dove ciascuno è solo, così come lo sono io.
A chi è solo unicamente viene schiuso,
e a molti che lo sono in modo uguale
è dato più che a uno solo.
Poiché a ciascuno un Dio diverso si vorrà mostrare,
finché sapranno, prossimi alle lacrime,
che attraverso il loro innumerabile indagare,
il loro udire e dubitare,
disperso in cento modi d’essere,
un Dio soltanto avanza come un’onda.
Questa è la preghiera estrema
che quelli che avran visto si diranno:
Dio, radice, ha dato frutto,
andate, frantumate le campane;
siamo arrivati ai più silenti giorni,
in cui matura l’ora si riposa.
Dio, radice, ha dato frutti.
Siate fervidi, guardate.
93
35
Ich kann nicht glauben, dass der kleine Tod,
dem wir doch täglich übern Scheitel schauen,
uns eine Sorge bleibt und eine Not.
Ich kann nicht glauben, dass er ernsthaft droht;
ich lebe noch, ich habe Zeit zu bauen:
mein Blut ist länger als die Rosen rot.
Mein Sinn ist tiefer als das witzige Spiel
mit unsrer Furcht, darin er sich gefällt.
Ich bin die Welt,
aus der er irrend fiel.
Wie er
kreisende Mönche wandern so umher;
man fürchtet sich vor ihrer Wiederkehr,
man weiß nicht: ist es jedesmal derselbe,
sinds zwei, sinds zehn, sinds tausend oder mehr?
Man kennt nur diese fremde gelbe Hand,
die sich ausstreckt so nackt und nah –
da da:
als käm sie aus dem eigenen Gewand.
94
Che la piccola morte che scorgiamo un giorno
dopo l’altro sopra il nostro capo, che sia
per noi pensiero d’ansia, e pena, non so crederlo.
Che minacci seriamente, non so credere:
sono vivo, ora; e ho tempo, per costruire;
più a lungo d’una rosa il mio sangue resta rosso.
Più profondo è il mio capire, più del gioco
sottile che ella intesse con il nostro terrore.
Io sono il mondo
da cui, errando, cadde.
Come lei,
così, monaci mendichi vagano qui intorno:
c’è il timore, sempre, che ritornino,
e non si può sapere se sia uno, solitario,
o siano due, o dieci, o mille – o ancora, quanti?
Soltanto questa mano si conosce: straniera, gialla,
che si protende nuda ed è vicina –
qui:
come se uscisse dalla tunica di ognuno.
95
36
Was wirst du tun, Gott, wenn ich sterbe?
Ich bin dein Krug (wenn ich zerscherbe?)
Ich bin dein Trank (wenn ich verderbe?)
Bin dein Gewand und dein Gewerbe,
mit mir verlierst du deinen Sinn.
Nach mir hast du kein Haus, darin
dich Worte, nah und warm, begrüßen.
Es fällt von deinen müden Füßen
die Samtsandale, die ich bin.
Dein großer Mantel lässt dich los.
Dein Blick, den ich mit meiner Wange
warm, wie mit einem Pfühl, empfange,
wird kommen, wird mich suchen, lange –
und legt beim Sonnenuntergange
sich fremden Steinen in den Schoß.
Was wirst du tun, Gott? Ich bin bange.
96
Cosa farai, Dio, se muoio?
Sono la tua brocca (e se m’infrango?).
Sono la tua acqua (e se marcisco?).
Sono la tua veste e il tuo lavoro:
perderesti assieme a me il tuo stesso senso.
Dopo di me, tu non hai casa
in cui t’accolgano parole d’intimo calore.
Dai tuoi piedi stanchi, i sandali
scivolerebbero via – loro: sono io.
Il tuo mantello grande si slaccia via da te.
Il tuo sguardo, che io accolgo sulle guance calde
come su un cuscino, verrà,
mi cercherà, per lungo tempo –
e giacerà tra pietre estranee
nel sole che discende oltre la terra.
Cosa farai, Dio? Sono in angoscia.
97
37
Du bist der raunende Verrußte,
auf allen Öfen schläfst du breit.
Das Wissen ist nur in der Zeit.
Du bist der dunkle Unbewusste
von Ewigkeit zu Ewigkeit.
Du bist der Bittende und Bange,
der aller Dinge Sinn beschwert.
Du bist die Silbe im Gesange,
die immer zitternder im Zwange
der starken Stimmen wiederkehrt.
Du hast dich anders nie gelehrt:
Denn du bist nicht der Schönumscharte,
um welchen sich der Reichtum reiht.
Du bist der Schlichte, welcher sparte.
Du bist der Bauer mit dem Barte
von Ewigkeit zu Ewigkeit.
98
Sei tu colui che mormora, coperto di fuliggine,
ed è vasto il tuo sonno sulle stufe.
La conoscenza è solo qui, nel tempo.
Tu sei l’oscuro inconsapevole –
dall’eternità, per l’eternità.
Sei tu colui che prega, colui che sta in angoscia
e il senso d’ogni cosa rende grave.
Sei tu la sillaba del canto
che più tremante sempre fa ritorno
nella forza delle voci più potenti.
Non altro che così ti sei offerto:
non sei la bella roccaforte
attorno a cui si schiera l’abbondanza.
Sei il semplice, che ha messo da parte.
Sei il contadino con la barba.
Dall’eternità, per l’eternità.
99
38
An den jungen Bruder
Du, gestern Knabe, dem die Wirrnis kam:
Dass sich dein Blut in Blindheit nicht vergeude.
Du meinst nicht den Genuss, du meinst die Freude;
du bist gebildet als ein Bräutigam,
und deine Braut soll werden: deine Scham.
Die große Lust hat auch nach dir Verlangen,
und alle Arme sind auf einmal nackt.
Auf frommen Bildern sind die bleichen Wangen
von fremden Feuern überflackt;
und deine Sinne sind wie viele Schlangen,
die, von des Tones Rot umfangen,
sich spannen in der Tamburine Takt.
Und plötzlich bist du ganz allein gelassen
mit deinen Händen, die dich hassen –
und wenn dein Wille nicht ein Wunder tut:
…………………………………………….
Aber da gehen wie durch dunkle Gassen
von Gott Gerüchte durch dein dunkles Blut.
100
Al giovane frate
Tu, fanciullo ieri, al quale è giunto addosso il
turbamento:
non si dissipi il tuo sangue nella cecità.
Non è il piacere ciò a cui pensi, ma la gioia;
sei stato creato come sposo,
e la sposa sarà questa: il tuo pudore.
Il piacere, grande, anch’esso ti reclama,
e le braccia tutte sono nude in un istante.
Sulle sacre immagini, le guance pallide
percorrono guizzando fuochi estranei;
i tuoi sensi sono come serpi, molte,
che nel rosso dell’argilla stanno chiuse
e si tendono nei colpi del tamburo.
E sei solo in un istante, abbandonato
lì con le tue mani, che ti odiano –
e se la volontà non operasse un miracolo:
…………………………………………….
Ma è là che va, come nei vicoli più bui,
ciò che di Dio qui viene detto: nel tuo sangue: buio.
101
39
An den jungen Bruder
Dann bete du, wie es dich dieser lehrt,
der selber aus der Wirrnis wiederkehrt
und so, dass er zu heiligen Gestalten,
die alle ihres Wesens Würde halten,
in einer Kirche und auf goldnen Smalten
die Schönheit malte, und sie hielt ein Schwert.
Er lehrt dich sagen:
Du mein tiefer Sinn,
vertraue mir, dass ich dich nicht enttäusche;
in meinem Blute sind so viel Geräusche,
ich aber weiß, dass ich aus Sehnsucht bin.
Ein großer Ernst bricht über mich herein.
In seinem Schatten ist das Leben kühl.
Ich bin zum erstenmal mit dir allein,
du, mein Gefühl.
Du bist so mädchenhaft.
Es war ein Weib in meiner Nachbarschaft
und winkte mir aus welkenden Gewändern.
Du aber sprichst mir von so fernen Ländern.
Und meine Kraft
schaut nach den Hügelrändern.
102
Al giovane frate
Prega, dunque – come te l’insegnò colui
che ritornò dal turbamento, e fu così:
le sacre immagini, che tutta in sé trattengono
la dignità della loro natura, egli
ne dipinse in una chiesa, sull’oro degli smalti,
la bellezza – armata, essa, d’una spada.
Così ti parla, per insegnamento:
tu, mio senso più profondo,
abbi fiducia in me, che io non ti deluda;
così tanto è nel mio sangue, e lì rimbomba,
ma io lo so: ardentemente tendo a te.
Una profonda serietà mi vive dentro.
Nella sua ombra, la vita si rinfresca.
Sono con te, da solo, per la prima volta:
con te, mio sentimento.
E sei così: quasi una fanciulla.
C’era una donna, qui, vicino a me:
dai suoi abiti sciupati, per me faceva cenni:
mi chiamava.
Tu, invece, mi parli di terre così lontane!
E il mio vigore
ai profili delle alture spinge gli occhi.
103
40
Ich habe Hymnen, die ich schweige.
Es giebt ein Aufgerichtet sein,
darin ich meine Sinne neige:
du siehst mich groß und ich bin klein.
Du kannst mich dunkel unterscheiden
von jenen Dingen, welche knien;
sie sind wie Herden und sie weiden,
ich bin der Hirt am Hang der Heiden,
vor welchem sie zu Abend ziehn.
Dann komm ich hinter ihnen her
und höre dumpf die dunklen Brücken,
und in dem Rauch von ihren Rücken
verbirgt sich meine Wiederkehr.
104
Possiedo inni, e in me li taccio.
Essere proteso verso l’alto: esiste,
e ad esso unicamente tendono i miei sensi:
tu mi vedi grande, ma io sono piccolo.
Indistinto so che puoi vedermi
tra le cose, in tutto ciò che genuflette;
esse sono come greggi intente al pascolo,
e io il pastore al margine del prato:
accanto passano, la sera.
Io vado, seguo loro:
e ascolto cupi i ponti oscuri;
nel fumo bianco delle loro schiene
sta nascosto il mio ritorno.
105
41
Gott, wie begreif ich deine Stunde,
als du, dass sie im Raum sich runde,
die Stimme vor dich hingestellt;
dir war das Nichts wie eine Wunde,
da kühltest du sie mit der Welt.
Jetzt heilt es leise unter uns.
Denn die Vergangenheiten tranken
die vielen Fieber aus dem Kranken,
wir fühlen schon in sanftem Schwanken
den ruhigen Puls des Hintergrunds.
Wir liegen lindernd auf dem Nichts
und wir verhüllen alle Risse;
du aber wächst ins Ungewisse
im Schatten deines Angesichts.
106
Dio, come posso capirla la tua ora – quando tu,
perché trovasse compimento nello spazio,
mandasti la tua voce innanzi a te?
Il nulla era per te come una ferita,
e le desti sollievo con il mondo.
Ora, a poco a poco, guarisce tra di noi.
Poiché il tempo che è trascorso ha prosciugato
in sé le tante febbri del malato,
già sentiamo, noi, che delicatamente batte
il polso quieto di ciò che sta sul fondo.
Posiamo, noi, sul nulla, dandogli sollievo;
ne avvolgiamo ogni apertura;
tu, però, maturi nell’incerto,
all’ombra del tuo volto.
107
42
Alle, die ihre Hände regen
nicht in der Zeit, der armen Stadt,
alle, die sie an Leises legen,
an eine Stelle, fern den Wegen,
die kaum noch einen Namen hat, –
sprechen dich aus, du Alltagssegen,
und sagen sanft auf einem Blatt:
Es giebt im Grunde nur Gebete,
so sind die Hände uns geweiht,
dass sie nichts schufen, was nicht flehte;
ob einer malte oder mähte,
schon aus dem Ringen der Geräte
entfaltete sich Frömmigkeit.
Die Zeit ist eine vielgestalte.
Wir hören manchmal von der Zeit,
und tun das Ewige und Alte;
wir wissen, dass uns Gott umwallte
groß wie ein Bart und wie ein Kleid.
Wir sind wie Adern im Basalte
in Gottes harter Herrlichkeit.
108
Tutti coloro che muovono le proprie mani –
ma non nel tempo, ch’è città di povertà –
tutti, che a lievi cose le rivolgono,
in un luogo, lontano dalle strade,
che quasi ancora non ha nome, –
ti pronunciano, benedizione d’ogni giorno,
e con delicatezza dicono su un foglio:
c’è preghiera, infine, solamente,
e le nostre mani sono consacrate
perché tutto ciò che fanno sia invocare –
che dipinga, ognuno, o mieta,
dalla sola fatica degli attrezzi
già si leva intorno devozione.
Il tempo ha molti modi di apparire:
noi dal tempo udiamo, a volte,
e facciamo poi l’eterno, l’antico;
lo sappiamo: Dio si libra intorno a noi
come una barba, grande; come una veste.
Come vene di basalto siamo – noi,
nella gloria di Dio che dura splende.
109
43
Der Name ist uns wie ein Licht
hart an die Stirn gestellt.
Da senkte sich mein Angesicht
vor diesem zeitigen Gericht
und sah (von dem es seither spricht)
dich, großes dunkelndes Gewicht
an mir und an der Welt.
Du bogst mich langsam aus der Zeit,
in die ich schwankend stieg;
ich neigte mich nach leisem Streit:
jetzt dauert deine Dunkelheit
um deinen sanften Sieg.
Jetzt hast du mich und weißt nicht wen,
denn deine breiten Sinne sehn
mir, dass ich dunkel ward.
Du hältst mich seltsam zart
und horchst, wie meine Hände gehn
durch deinen alten Bart.
110
Per noi, come una luce è il nome,
con durezza impressa sulla fronte.
E s’inchinò il mio sguardo
Di fronte al tuo giudizio tempestivo
e vide (da quel tempo, di questo unicamente parla):
te, peso immenso, rabbuiante peso
su di me; sul mondo.
Hai fatto sì che io deviassi, a poco a poco,
dal tempo in cui crescevo vacillando;
e dopo lieve lotta, eccomi chino:
ma dura adesso la tenebra che ti appartiene
attorno alla dolcezza della tua vittoria.
Hai me, adesso – e non sai chi:
i tuoi diffusi sensi solamente
vedono che buio io mi sono fatto.
Mi sostieni tu con strana tenerezza
e le mie mani ascolti, come vanno
dentro la tua barba antica.
111
44
Dein allererstes Wort war: Licht:
da ward die Zeit. Dann schwiegst du lange.
Dein zweites Wort ward Mensch und bange
(wir dunkeln noch in seinem Klange)
und wieder sinnt dein Angesicht.
Ich aber will dein drittes nicht.
Ich bete nachts oft: Sei der Stumme,
der wachsend in Gebärden bleibt
und den der Geist im Traume treibt,
dass er des Schweigens schwere Summe
in Stirnen und Gebirge schreibt.
Sei du die Zuflucht vor dem Zorne,
der das Unsagbare verstieß.
Es wurde Nacht im Paradies:
sei du der Hüter mit dem Horne,
und man erzählt nur, dass er blies.
112
La tua primissima parola fu: luce –
E il tempo fu; poi, tacesti a lungo.
La seconda tua parola fu: uomo, e angoscia
(per noi, ancora è farci notte nel suo suono),
e medita il tuo viso, nuovamente.
Io, però, la tua terza parola non la voglio.
Spesso, così prego nella notte: sii colui che tace,
che veglia e resta e dice a gesti,
e lo spirito lo agita nel sogno
perché scriva sulle fronti, sulle alture,
la gravosa somma del tacere.
Sii tu il riparo dal furore
che colpì colui che non si deve nominare.
Fu notte in Paradiso:
sii tu la sentinella con il corno
della quale si racconta solamente che suonava.
113
45
Du kommst und gehst. Die Türen fallen
viel sanfter zu, fast ohne Wehn.
Du bist der Leiseste von Allen,
die durch die leisen Häuser gehn.
Man kann sich so an dich gewöhnen,
dass man nicht aus dem Buche schaut,
wenn seine Bilder sich verschönen,
von deinem Schatten überblaut;
weil dich die Dinge immer tönen,
nur einmal leis und einmal laut.
Oft wenn ich dich in Sinnen sehe,
verteilt sich deine Allgestalt:
du gehst wie lauter lichte Rehe
und ich bin dunkel und bin Wald.
Du bist ein Rad, an dem ich stehe:
von deinen vielen dunklen Achsen
wird immer wieder eine schwer
und dreht sich näher zu mir her,
und meine willigen Werke wachsen
von Wiederkehr zu Wiederkehr.
114
Tu vieni e vai. Le porte cadono
con più dolcezza, senza quasi un alito di vento.
Sei tu che taci più tra tutti –
tra chi vaga per le case silenziose.
A te, ci si può così perfettamente abituare
che nemmeno più si cerca dentro i libri:
e crescono le immagini in bellezza,
superate nel blu dalla tua ombra;
perché, le cose è te che fanno risuonare,
sempre – piano, a volte; altre, a piena voce.
Spesso, quando è te che vedo nei miei sensi,
la tua figura immensa va in frantumi:
tu vai come un lucente, forte capriolo –
e tenebra io sono; sono bosco.
Sei una ruota, e ti sto accanto:
dei molti raggi oscuri,
uno sempre più si fa pesante
e resta sempre più vicino a me,
e crescono le opere – le mie
zelanti occupazioni: un giro dopo l’altro.
115
46
Du bist der Tiefste, welcher ragte,
der Taucher und der Türme Neid.
Du bist der Sanfte, der sich sagte,
und doch: wenn dich ein Feiger fragte,
so schwelgtest du in Schweigsamkeit.
Du bist der Wald der Widersprüche.
Ich darf dich wiegen wie ein Kind,
und doch vollziehn sich deine Flüche,
die über Völkern furchtbar sind.
Dir ward das erste Buch geschrieben,
das erste Bild versuchte dich,
du warst im Leiden und im Lieben,
dein Ernst war wie aus Erz getrieben
auf jeder Stirn, die mit den sieben
erfüllten Tagen dich verglich.
Du gingst in Tausenden verloren,
und alle Opfer wurden kalt;
bis du in hohen Kirchenchoren
dich rührtest hinter goldnen Toren;
und eine Bangnis, die geboren,
umgürtete dich mit Gestalt.
116
Sei ciò che è più profondo, e ciò che s’erge in alto:
colui che dentro scende e poi l’invidia delle torri.
Il mite sei, che di sé volle parlare,
e poi: quando un vile ti rivolse una domanda,
ti compiacesti del tuo saper tacere.
Sei la foresta dei contrari.
Cullarti posso, come un bimbo,
e intanto, le tue maledizioni vanno a segno,
tremende contro i popoli.
Per te fu scritto il primo libro,
ritrasse te le prima immagine,
nel dolore fosti, e nell’amore –
e la tua cupezza austera fu come
impressa nel metallo: sulle fronti che nei sette
pieni giorni con te si confrontarono.
In migliaia, diffuso, ti smarristi,
e fredde, tutte, diventarono le offerte;
finché nei cori alti delle chiese
ti destasti dietro porte d’oro:
e un’angoscia, nata allora,
cinse te col suo apparire.
117
47
Ich weiß: Du bist der Rätselhafte,
um den die Zeit in Zögern stand.
O wie so schön ich dich erschaffte
in einer Stunde, die mich straffte,
in einer Hoffahrt meiner Hand.
Ich zeichnete viel ziere Risse,
behorchte alle Hindernisse, –
dann wurden mir die Pläne krank:
es wirrten sich wie Dorngerank
die Linien und die Ovale,
bis tief in mir mit einem Male
aus einem Griff ins Ungewisse
die frommste aller Formen sprang.
Ich kann mein Werk nicht überschaun
und fühle doch: es steht vollendet.
Aber, die Augen abgewendet,
will ich es immer wieder baun.
118
Lo so: tu sei l’enigma attorno al quale
il tempo stava immobile, indugiando.
Oh, come fui io a crearti
In una sola ora, teso in lei,
in un superbo movimento delle mani.
Ho tracciato, infine, righe come fregi,
d’ogni ostacolo ho cercato la ragione, –
ma i miei disegni s’ammalarono:
come in roveti si confusero
le linee e gli ovali,
finché profonda in me, improvvisa,
come da una mano che afferri nell’ignoto,
scaturì la più devota delle forme.
La mia opera, non posso più abbracciarla con
lo sguardo,
eppure sento: è qui, è compiuta.
E non appena gli occhi abbia distolto,
ancora io la voglio realizzare.
119
48
So ist mein Tagwerk, über dem
mein Schatten liegt wie eine Schale.
Und bin ich auch wie Laub und Lehm,
sooft ich bete oder male
ist Sonntag, und ich bin im Tale
ein jubelndes Jerusalem.
Ich bin die stolze Stadt des Herrn
und sage ihn mit hundert Zungen;
in mir ist Davids Dank verklungen:
ich lag in Harfendämmerungen
und atmete den Abendstern.
Nach Aufgang gehen meine Gassen.
Und bin ich lang vom Volk verlassen,
so ists: damit ich größer bin.
Ich höre jeden in mir schreiten
und breite meine Einsamkeiten
von Anbeginn zu Anbeginn.
120
Così è il mio lavoro d’ogni giorno,
e su di esso la mia ombra giace come scorza.
Che io sia come foglia o come argilla,
non appena prego o dipingo
è Domenica, e nella vale
una Gerusalemme sono, giubilante.
Sono la città di Dio, superba,
e canto lui con cento lingue:
Davide risuona in me, con il suo grazie:
in un crepuscolo d’arpe ero disteso
e respiravo la stella della sera.
Verso l’alto vanno i miei sentieri.
E se da molto sono stato abbandonato,
è per questo: perché sia più grande.
Sento che ciascuno avanza in me;
e la mia solitudine distendo
da un inizio a un altro inizio.
121
49
Ihr vielen unbestürmten Städte,
habt ihr euch nie den Feind ersehnt?
O dass er euch belagert hätte
ein langes schwankendes Jahrzehnt.
Bis ihr ihn trostlos und in Trauern,
bis dass ihr hungernd ihn ertrugt;
er liegt wie Landschaft vor den Mauern,
denn also weiß er auszudauern
um jene, die er heimgesucht.
Schaut aus vom Rande eurer Dächer
da lagert er und wird nicht matt
und wird nicht weniger und schwächer
und schickt nicht Droher und Versprecher
und Überreder in die Stadt.
Er ist der große Mauerbrecher,
der eine stumme Arbeit hat.
122
Voi, molte città che mai avete avuto assedio,
il nemico non l’avete mai bramato?
Oh, se vi fosse stato intorno
per dieci lunghi anni d’incertezza!
E fino ad allora, senza consolazione, afflitte,
resistergli affamate; a fronte delle mura,
egli come un paesaggio sta diffuso:
egli sa perseverare
intorno a chi a deciso di colpire.
Dall’orlo dei tetti, guardate:
è là, accampato, e non si stanca,
non riduce il proprio numero, né s’indebolisce:
non manda mai nessuno alla città,
che minacci o che prometta, che convinca.
È immenso ariete, lui,
e compie nel silenzio il suo lavoro.
123
50
Ich komme aus meinen Schwingen heim,
mit denen ich mich verlor.
Ich war Gesang, und Gott, der Reim,
rauscht noch in meinem Ohr.
Ich werde wieder still und schlicht,
und meine Stimme steht;
es senkte sich mein Angesicht
zu besserem Gebet.
Den andern war ich wie ein Wind,
da ich sie rüttelnd rief.
Weit war ich, wo die Engel sind,
hoch, wo das Licht in Nichts zerrinnt –
Gott aber dunkelt tief.
Die Engel sind das letzte Wehn
an seines Wipfels Saum;
dass sie aus seinen Ästen gehn,
ist ihnen wie ein Traum.
Sie glauben dort dem Lichte mehr
als Gottes schwarzer Kraft,
es flüchtete sich Lucifer
in ihre Nachbarschaft.
Er ist der Fürst im Land des Lichts,
und seine Stirne steht
so steil am großen Glanz des Nichts,
dass er, versengten Angesichts,
nach Finsternissen fleht.
Er ist der helle Gott der Zeit,
124
Dal volo torno a casa, in cui
m’ero smarrito.
Ero un canto, io – e Dio, la rima;
ancora è nel mio orecchio, come un mormorio.
Nuovamente mi faccio silenzioso, e semplice;
la mia voce si trattiene;
s’era inchinato il mio volto
a una migliore preghiera.
Per gli altri, ero come un vento:
scuotendoli, li richiamavo.
Lontano ero: dove angeli sono, là nell’alto:
dove la luce in nulla si dissolve.
Ma Dio è tenebra profonda.
Sono gli angeli l’ultimo soffiare
all’orlo della sua cima – è come d’albero;
per loro, ritrovarsi appena fuori dai suoi rami
è come andare in sogno.
Hanno più fede nella luce
che nella forza oscura che è di Dio:
e nei loro vicini territori
Lucifero trovò per sé riparo.
È il principe del regno della luce,
e la sua fronte s’erge così alta
davanti allo splendore immenso che è del nulla
che egli, bruciato nel volto,
supplica rivolto a ciò che è oscuro.
È il chiaro Dio del tempo
125
zu dem sie laut erwacht,
und weil er oft in Schmerzen schreit
und oft in Schmerzen lacht,
glaubt sie an seine Seligkeit
und hangt an seiner Macht.
Die Zeit ist wie ein welker Rand
an einem Buchenblatt.
Sie ist das glänzende Gewand,
das Gott verworfen hat,
als Er, der immer Tiefe war,
ermüdete des Flugs
und sich verbarg vor jedem Jahr,
bis ihm sein wurzelhaftes Haar
durch alle Dinge wuchs.
126
che si ridesta per lui, con altro suono;
e, poiché soffrendo spesso grida,
o ride a volte tra i dolori,
ha fede il tempo nella sua felicità
e si prostra al suo potere.
Il tempo è come un appassito orlo
d’una foglia di faggio.
È la veste rilucente
che Dio scagliò lontano
quando lui che abisso eterno era
fu stanco d’ogni volo
e negli anni si nascose, dentro ognuno,
finché come radici i suoi capelli
in ogni cosa andavano, crescevano.
127
51
Du wirst nur mit der Tat erfasst;
mit Händen nur erhellt;
ein jeder Sinn ist nur ein Gast
und sehnt sich aus der Welt.
Ersonnen ist ein jeder Sinn,
man fühlt den feinen Saum darin
und dass ihn einer spann:
Du aber kommst und giebst dich hin
und fällst den Flüchtling an.
Ich will nicht wissen, wo du bist,
sprich mir aus überall.
Dein williger Evangelist
verzeichnet alles und vergisst
zu schauen nach dem Schall.
Ich geh doch immer auf dich zu
mit meinem ganzen Gehn;
denn wer bin ich und wer bist du,
wenn wir uns nicht verstehn?
128
Con l’agire solamente tu puoi essere afferrato,
con le mani unicamente illuminato;
ogni pensiero, adesso, è solo un ospite
che ardentemente vuole sé fuori dal mondo.
È qualcosa che sorge, ogni pensiero:
puoi sentire il suo sottile bordo,
e che qualcuno l’ha intessuto:
ma tu vieni, offri te stesso,
e cogli di sorpresa chi ti fugge.
Io non voglio sapere dove sei –
da tutti i luoghi parlami.
Il tuo volonteroso evangelista
tutto annota, ma dimentica
d’inseguire l’eco con lo sguardo.
Eppure, sempre vado verso te –
Completamente, nel mio andare;
perché, chi sono io, chi sei tu
se reciprocamente noi non ci capiamo?
129
52
Mein Leben hat das gleiche Kleid und Haar
wie aller alten Zaren Sterbestunde.
Die Macht entfremdete nur meinem Munde,
doch meine Reiche, die ich schweigend runde,
versammeln sich in meinem Hintergrunde
und meine Sinne sind noch Gossudar.
Für sie ist beten immer noch: Erbauen,
aus allen Maßen bauen, dass das Grauen
fast wie die Größe wird und schön, –
und: jedes Hinknien und Vertrauen
(dass es die andern nicht beschauen)
mit vielen goldenen und blauen
und bunten Kuppeln überhöhn.
Denn was sind Kirchen und sind Klöster
in ihrem Steigen und Erstehn
als Harfen, tönende Vertröster,
durch die die Hände Halberlöster
vor Königen und Jungfraun gehn.
130
La mia vita ha veste uguale e capelli
come tutti i vecchi zar nell’ora della morte.
Il potere ha disertato la mia bocca;
i miei regni – col silenzio io li plasmo –
dietro me si trovano ad unirsi,
e miei sensi, ancora, sono godusàr’12.
Per loro, pregare è sempre edificare verso l’alto,
da ogni peso inerte costruire, così che quasi
come ciò che è grande e bello l’orrore possa farsi –
e: gli inchini, tutti, e le genuflessioni
(che gli altri non le possano vedere)
ricoprirle con dorate cupole, e blu,
e variopinte: molte.
Perché, cos’è che sono chiese e monasteri
nel salire loro, ed elevarsi,
se non arpe che risuonano e confortano –
su cui mani, per metà salvate,
di re e fanciulle vanno a porsi?
12
«Godusar’ (autocrate) – spiega Lavagetto nel suo «Commento»,
in Rilke, Poesie, cit., p. 765 – «è il titolo degli zar e dei grandi principi
dell’impero. Con la morte, lo zar perde il potere esteriore, non quello
spirituale».
131
52
Und Gott befiehlt mir, dass ich schriebe:
Den Königen sei Grausamkeit.
Sie ist der Engel vor der Liebe,
und ohne diesen Bogen bliebe
mir keine Brücke in die Zeit.
Und Gott befiehlt mir, dass ich male:
Die Zeit ist mir mein tiefstes Weh,
so legte ich in ihre Schale:
das wache Weib, die Wundenmale,
den reichen Tod (dass er sie zahle),
der Städte bange Bacchanale,
den Wahnsinn und die Könige.
Und Gott befiehlt mir, dass ich baue:
Denn König bin ich von der Zeit.
Dir aber bin ich nur der graue
Mitwisser deiner Einsamkeit.
Und bin das Auge mit der Braue...
Das über meine Schulter schaue
von Ewigkeit zu Ewigkeit.
132
E Dio mi comandò, perché scrivessi:
nei re, vi sia ferocia.
È l’angelo, essa, dell’amore,
e non avrei senza quest’arco
feritoie aperte verso il tempo.
E Dio mi comandò, ché dipingessi:
il tempo è la mia pena più profonda,
e così, sul suo piatto posai:
l’astuta donna, le ferite aperte,
la ricca morte (che lo ricompensasse),
delle città gli ansiosi baccanali,
il vaneggiare e i re.
E Dio mi comandò, ché costruissi:
perché io sono il re del tempo.
Per te, però, io sono appena il grigio
confidente delle tua solitudine.
E sono l’occhio con il ciglio...
Che al di là delle mie spalle scorga,
dall’eterno e per l’eterno.
133
54
Es tauchten tausend Theologen
in deines Namens alte Nacht.
Jungfrauen sind zu dir erwacht,
und Jünglinge in Silber zogen
und schimmerten in dir, du Schlacht.
In deinen langen Bogengängen
begegneten die Dichter sich
und waren Könige von Klängen
und mild und tief und meisterlich.
Du bist die sanfte Abendstunde,
die alle Dichter ähnlich macht;
du drängst dich dunkel in die Munde,
und im Gefühl von einem Funde
umgiebt ein jeder dich mit Pracht.
Dich heben hunderttausend Harfen
wie Schwingen aus der Schweigsamkeit.
Und deine alten Winde warfen
zu allen Dingen und Bedarfen
den Hauch von deiner Herrlichkeit.
134
Mille teologi s’immersero
nella notte antica del tuo nome.
Vergini vegliarono per te,
e giovani partirono in argento
e sfavillarono – in te, che sei battaglia.
Nei tuoi lunghi portici,
i poeti s’incontrarono
e re dei suoni diventarono,
dolcemente e profondamente, con maestria.
Sei l’ora lieve della sera
che tutti i poeti rende somiglianti;
tu, buio, fai ressa nelle loro bocche,
e appena ti ha scoperto, e l’ha avvertito,
ti contorna ognuno con la gloria.
Levano per te infinite arpe,
come un risuonare dal silenzio più perfetto.
E i tuoi venti antichi scagliarono
su tutte le cose – di tanto sono prive –
il soffio della tua maestà.
135
55
Die Dichter haben dich verstreut
(es ging ein Sturm durch alles Stammeln),
ich aber will dich wieder sammeln
in dem Gefäß, das dich erfreut.
Ich wanderte in vielem Winde;
da triebst du tausendmal darin.
Ich bringe alles was ich finde:
als Becher brauchte dich der Blinde,
sehr tief verbarg dich das Gesinde,
der Bettler aber hielt dich hin;
und manchmal war bei einem Kinde
ein großes Stück von deinem Sinn.
Du siehst, dass ich ein Sucher bin.
Einer, der hinter seinen Händen
verborgen geht und wie ein Hirt;
(mögst du den Blick der ihn beirrt,
den Blick der Fremden von ihm wenden).
Einer der träumt, dich zu vollenden
und: dass er sich vollenden wird.
136
I poeti: hanno te disseminato
(una tempesta attraversava il loro balbettare);
io, però, ti voglio unificare
nel vaso che dà felicità.
In molti venti sono stato, vagabondo,
e tu per mille volte in loro ti agitavi.
Tutto ciò che vi ho trovato, l’ho con me:
il cieco usava te come bicchiere,
i servi ben nascosto ti tenevano,
il mendicante, invece, ti spartiva –
e qualche volta, in un bambino,
del tuo sentire c’era un poco, e grande.
Lo vedi: sono un uomo che va in cerca.
Uno, che si nasconde, andando, dietro
le sue stesse mani – e come un pastore;
(possa tu lo sguardo allontanargli,
che lo confonde: l’occhio dell’estraneo).
Uno che sogna di portarti a compimento,
e che anch’egli assieme a te sarà compiuto.
137
56
Selten ist Sonne im Sobór.
Die Wände wachsen aus Gestalten,
und durch die Jungfraun und die Alten
drängt sich, wie Flügel im Entfalten,
das goldene, das Kaiser-Tor.
An seinem Säulenrand verlor
die Wand sich hinter den Ikonen;
und, die im stillen Silber wohnen,
die Steine, steigen wie ein Chor
und fallen wieder in die Kronen
und schweigen schöner als zuvor.
Und über sie, wie Nächte blau,
von Angesichte blass,
schwebt, die dich freuete, die Frau:
die Pförtnerin, der Morgentau,
die dich umblüht wie eine Au
und ohne Unterlass.
Die Kuppel ist voll deines Sohns
und bindet rund den Bau.
Willst du geruhen deines Throns,
den ich in Schauern schau.
13
Lavagetto, «Commento», in Rilke, Poesie, cit., p. 766: «Sobor significa sinodo, concilio. In questo contesto significa chiesa principale,
cattedrale». La porta d’oro, detta anche “regale”, è la porta centrale delle tre che, nello spazio liturgico ortodosso, separano la zona dei fedeli da
quella in cui si svolge la celebrazione, aprendosi nell’iconostasi, cioè nel-
138
Il sole, raramente è a Sobòr.
Si intravedono le mura tra le immagini,
e tra fanciulle e vecchi
si dischiude, come ali nell’aprirsi,
la porta d’oro, la regale13.
Di lato a lei si perdono
le mura, dietro le icone;
e le pietre, mentre abitano argento silenzioso,
come un coro s’innalzano
e ricadono nelle corone
e più belle ancora tornano a tacere.
Su di loro, come notti blu,
pallida nel volto,
si libra colei che seppe darti gioia:
la custode della porta, la rugiada mattutina
che intorno a te fiorisce come in riva a un corso
d’acqua,
e senza smettere mai.
La cupola è piena del tuo Figlio,
e stringe in cerchio l’edificio.
Tu forse ti compiaci del tuo trono;
con un brivido io guardo.
la parete ricoperta di icone (alcune, nella fila inferiore, sono ricoperte di
una foglia d’argento o d’oro che lascia intravedere soltanto il volto e le
mani delle figure sacre che vi sono rappresentate). Impossibile non citare, come riferimento bibliografico e consiglio di lettura, Florenskij, Le
porte d’oro, cit., e Evdokimov, Teologia della bellezza, cit.
139
57
Da trat ich als ein Pilger ein
und fühlte voller Qual
an meiner Stirne dich, du Stein.
Mit Lichtern, sieben an der Zahl,
umstellte ich dein dunkles Sein
und sah in jedem Bilde dein
bräunliches Muttermal.
Da stand ich, wo die Bettler stehn,
die schlecht und hager sind:
aus ihrem Auf – und Niederwehn
begriff ich dich, du Wind.
Ich sah den Bauer, überjahrt,
bärtig wie Joachim,
und daraus, wie er dunkel ward,
von lauter Ähnlichen umschart,
empfand ich dich wie nie so zart,
so ohne Wort geoffenbart
in allen und in ihm.
Du lässt der Zeit den Lauf,
und dir ist niemals Ruh darin:
der Bauer findet deinen Sinn
und hebt ihn auf und wirft ihn hin
und hebt ihn wieder auf.
140
Là entrai, io, pellegrino,
e come pieno tormento sulla fronte
ti sentii: tu, pietra.
Contando sette candele
venni intorno al buio del tuo esistere
e vidi in ogni immagine
la bruna chiazza che ti segna.
Mi misi là dove stanno i mendicanti,
sofferenti, scarni:
nel loro alzarsi e inginocchiarsi14
ho compreso chi sei – tu, vento.
E ho visto un contadino, molto anziano,
come Joachim con la barba;
e poi, com’era scuro,
con gente intorno uguale a sé –
e sentii te, vicino come mai,
così dischiuso in lui
e in tutti, senza una parola.
Tu lasci al tempo la sua corsa,
e in esso mai per te c’è quiete:
il contadino trova il tuo sentire15:
lo raccoglie, lui, e lo disperde,
e lo raccoglie poi ancora.
14
I fedeli ortodossi accompagnano la celebrazione della Divina liturgia con un susseguirsi di profonde e assorte genuflessioni e segni di croce.
15
Vengono alla mente sia le indimenticabili pagine di Tolstoj, in
Guerra e pace, sulla religiosità semplice e autentica, nutrita di inconsapevole ma radicato misticismo monastico, dei contadini russi, sia le pagine
di Dostoevskij sulla peculiare verità del Cristo russo, ne L’idiota, ne I demoni e ne I fratelli Karamazov.
141
58
Wie der Wächter in den Weingeländen
seine Hütte hat und wacht,
bin ich Hütte, Herr, in deinen Händen
und bin Nacht, o Herr, von deiner Nacht.
Weinberg, Weide, alter Apfelgarten,
Acker, der kein Frühjahr überschlägt,
Feigenbaum, der auch im marmorharten
Grunde hundert Früchte trägt:
Duft geht aus aus deinen runden Zweigen.
Und du fragst nicht, ob ich wachsam sei;
furchtlos, aufgelöst in Säften, steigen
deine Tiefen still an mir vorbei.
142
Come il custode ha la capanna
tra le vigne e veglia,
sono capanna, io, Signore, tra le tue mani;
e notte sono io, Signore, della tua notte.
Vigna, pascolo, antico frutteto,
campo, che nessuna primavera mai ha tralasciato,
albero di fico che anche in una terra
tutta pietre porta molti frutti:
c’è un profumo che si spande uscendo dalla tua
rotonda chioma.
E tu non chiedi, se io stia vegliando;
senza spavento, dissolti nei sentori,
quiete a me risalgono le tue profondità.
143
59
Gott spricht zu jedem nur, eh er ihn macht,
dann geht er schweigend mit ihm aus der Nacht.
Aber die Worte, eh jeder beginnt,
diese wolkigen Worte, sind:
Von deinen Sinnen hinausgesandt,
geh bis an deiner Sehnsucht Rand;
gieb mir Gewand.
Hinter den Dingen wachse als Brand,
dass ihre Schatten, ausgespannt,
immer mich ganz bedecken.
Lass dir Alles geschehn: Schönheit und Schrecken.
Man muss nur gehn: Kein Gefühl ist das fernste.
Lass dich von mir nicht trennen.
Nah ist das Land,
das sie das Leben nennen.
Du wirst es erkennen
an seinem Ernste.
Gieb mir die Hand.
144
Dio parla a ciascuno solamente prima ch’egli sia
creato,
e con lui esce poi tacendo dalla notte.
Ma le parole, quelle prima dell’inizio di ciascuno,
le parole come nubi, sono queste:
Sospinto dal tuo intendere,
va’ fino al limite del tuo anelare;
dai a me una veste.
Dietro alle cose come incendio fatti grande,
sicché le loro ombre, diffuse,
coprano sempre me completamente.
Lascia che tutto ti accada: bellezza e terrore.
Si deve sempre andare: nessun sentire è mai troppo
lontano.
Non lasciare che da me tu sia diviso.
Vicina è la terra,
che vita è chiamata.
La riconoscerai
dalla sua solennità.
A me da’ la tua mano.
145
60
Ich war bei den ältesten Mönchen, den Malern und
Mythenmeldern,
die schrieben ruhig Geschichten und zeichneten
Runen des Ruhms.
Und ich seh dich in meinen Gesichten mit Winden,
Wassern und Wäldern
rauschend am Rande des Christentums,
du Land, nicht zu lichten.
Ich will dich erzählen, ich will dich beschaun und
beschreiben,
nicht mit Bol und mit Gold, nur mit Tinte aus
Apfelbaumrinden;
ich kann auch mit Perlen dich nicht an die Blätter
binden,
und das zitterndste Bild, das mir meine Sinne
erfinden,
du würdest es blind durch dein einfaches Sein
übertreiben.
So will ich die Dinge in dir nur bescheiden und
schlichthin benamen,
will die Könige nennen, die ältesten, woher sie kamen,
und will ihre Taten und Schlachten berichten am
Rand meiner Seiten.
Denn du bist der Boden. Dir sind nur wie Sommer die
Zeiten,
und du denkst an die nahen nicht anders als an die
entfernten,
und ob sie dich tiefer besamen und besser bebauen
lernten:
146
Sono stato dai monaci più antichi, che dipinsero e
raccontarono miti,
che narrazioni scrissero, in pace, e disegnarono rune
della gloria.
Ti vedo, nelle mie visioni, con i venti e con le acque,
con i boschi,
frusciante ai confini della cristianità –
terra, tu, ma non da illuminare.
Raccontarti voglio, ammirarti, descriverti,
ma non con lacca e oro, solamente con inchiostro di
scorze di melo;
neanche con fili di perle posso legarti qui ai miei
fogli,
e la più tremante immagine, che i miei sensi in me
potessero trovare,
attraverso il tuo semplice esistere tu, cieco, la
oltrepassi.
Ciò che esiste in te, lo voglio con parole di modestia
e semplici chiamare;
e i re io voglio ricordare, i più antichi: da dove
vennero;
e al bordo dei miei fogli, le loro guerre e azioni
raccontare.
Poiché tu sei la terra. Le epoche, per te, sono come le
estati solamente:
tu pensi in modo uguale alla vicina e alla più lontana,
se avranno appreso a seminarti più nel fondo,
o a meglio coltivarti:
147
du fühlst dich nur leise berührt von den ähnlichen
Ernten
und hörst weder Säer noch Schnitter, die über dich
schreiten.
148
te stesso senti, sfiorato lievemente dalle messi l’una
all’altra somiglianti:
e né il seminatore avverti, né chi miete: eppure,
è sopra te che vanno.
149
61
Du dunkelnder Grund, geduldig erträgst du die Mauern.
Und vielleicht erlaubst du noch eine Stunde den
Städten zu dauern
und gewährst noch zwei Stunden den Kirchen und
einsamen Klöstern
und lässest fünf Stunden noch Mühsal allen Erlöstern
und siehst noch sieben Stunden das Tagwerk des
Bauern –:
Eh du wieder Wald wirst und Wasser und wachsende
Wildnis
in der Stunde der unerfasslichen Angst,
da du dein unvollendetes Bildnis
von allen Dingen zurückverlangst.
Gieb mir noch eine kleine Weile Zeit: ich will die
Dinge so wie keiner lieben
bis sie dir alle würdig sind und weit.
Ich will nur sieben Tage, sieben
auf die sich keiner noch geschrieben,
sieben Seiten Einsamkeit.
Wem du das Buch giebst, welches die umfasst,
der wird gebückt über den Blättern bleiben.
Es sei denn, dass du ihn in Händen hast,
um selbst zu schreiben.
150
Con pazienza le sopporti, le mura – terra, che ti vai
rabbuiando.
E concedi forse alle città di durare ancora un’ora
E alle chiese e ai chiostri solitari due ne accordi,
e cinque ore lasci ancora alla fatica dei credenti,
e sette ne vedi per il contadino – per il suo lavoro
quotidiano:
prima che tu ritorni bosco, e acqua e poi selvaggio
luogo germogliante
nell’ora dell’angoscia incomprensibile –
quando la tua compiuta immagine
tu la vorrai restituita da ogni cosa.
Dammi ancora un breve tempo, un poco:
voglio amarle, le cose,
come mai nessuno – perché tutte siano
degne di te, e vaste.
Solamente sette giorni voglio, sette
su cui mai nessuno ha scritto:
sette pagine di solitudine.
Il libro che le ha in sé, colui al quale lo darai
resterà chino sui suoi fogli.
Oppure, sarai tu ad averli tra le mani,
e proprio tu vi scriverai.
151
62
So bin ich nur als Kind erwacht,
so sicher im Vertraun
nach jeder Angst und jeder Nacht
dich wieder anzuschaun.
Ich weiß, sooft mein Denken misst,
wie tief, wie lang, wie weit –:
du aber bist und bist und bist,
umzittert von der Zeit.
Mir ist, als wär ich jetzt zugleich
Kind, Knab und Mann und mehr.
Ich fühle: nur der Ring ist reich
durch seine Wiederkehr.
Ich danke dir, du tiefe Kraft,
die immer leiser mit mir schafft
wie hinter vielen Wänden;
jetzt ward mir erst der Werktag schlicht
und wie ein heiliges Gesicht
zu meinen dunklen Händen.
152
Mi sono risvegliato, come solo mi accadeva da
bambino,
così sicuro, fiducioso,
dopo ogni notte e ogni angoscia,
di poterti nuovamente contemplare.
Io so, se appena il mio pensiero ti misura,
quanto profondo, e lungo, e quanto vasto –:
ma tu sei, sei e sei,
e il tempo trema intorno a te.
Nello stesso istante, m’accade come fossi
bambino, giovinetto e uomo, e poi più ancora.
Lo sento: l’anello solamente è ricco,
per come torna su di sé.
Ti rendo grazie, tu profonda forza,
che crei con me più lieve sempre,
come se fossi tu al di là di mille mura:
la fatica semplice del giorno mi è più piana, adesso,
ed è come sarebbe un sacro volto
per le mie mani oscure.
153
63
Dass ich nicht war vor einer Weile,
weißt du davon? Und du sagst nein.
Da fühl ich, wenn ich nur nicht eile,
so kann ich nie vergangen sein.
Ich bin ja mehr als Traum im Traume.
Nur was sich sehnt nach einem Saume,
ist wie ein Tag und wie ein Ton;
es drängt sich fremd durch deine Hände,
dass es die viele Freiheit fände,
und traurig lassen sie davon.
So blieb das Dunkel dir allein,
und, wachsend in die leere Lichte,
erhob sich eine Weltgeschichte
aus immer blinderem Gestein.
Ist einer noch, der daran baut?
Die Massen wollen wieder Massen,
die Steine sind wie losgelassen
und keiner ist von dir behauen...
154
Che io non ero fino a poco fa,
lo sai? Tu dici no,
Perciò io sento che, se solo non mi affretto,
anch’io potrò restare.
Io sono ben di più che un sogno in altro sogno.
Ciò che si distende incontro a un limite,
soltanto esso è come un giorno e come un suono;
ti si accalca tra le mani, estraneo,
come se infinite libertà trovasse –
ed esse tristemente lo abbandonano.
Perciò, ti resterebbe il buio solamente;
nella radura vuota germogliando,
s’è levata una storia universale
come da pietre via via più cieche.
Che qualcuno, ancora, che lei stia edificando?
Ancora masse vogliono le masse,
e come abbandonate giacciono le pietre,
e nessuna da te viene tagliata...
155
64
Es lärmt das Licht im Wipfel deines Baumes
und macht dir alle Dinge bunt und eitel,
sie finden dich erst wenn der Tag verglomm.
Die Dämmerung, die Zärtlichkeit des Raumes,
legt tausend Hände über tausend Scheitel,
und unter ihnen wird das Fremde fromm.
Du willst die Welt nicht anders an dich halten
als so, mit dieser sanftesten Gebärde.
Aus ihren Himmeln greifst du dir die Erde
und fühlst sie unter deines Mantels Falten.
Du hast so eine leise Art zu sein.
Und jene, die dir laute Namen weihn,
sind schon vergessen deiner Nachbarschaft.
Von deinen Händen, die sich bergig heben,
steigt, unsern Sinnen das Gesetz zu geben,
mit dunkler Stirne deine stumme Kraft.
156
La luce dà clamore tra le fronde alte del tuo albero,
e per te rende le cose, tutte, variopinte e vane:
appena il giorno viene meno, solo allora ti ritrovano.
Il crepuscolo – tenerezza dello spazio –
Posa mille mani sopra mille teste:
devoto, tra di loro, si fa ciò che è straniero.
In nessun altro modo mai tu vuoi
Reggere il mondo: con un gesto tuo, delicatissimo.
La terra, dai suoi cieli tu la prendi con la mano,
e vuoi sentirla tra le pieghe del tuo manto.
Hai un modo così lieve, tu, di esistere.
E chi consacra a te sonori nomi
la tua prossimità va già dimenticando.
Dalle tue mani, alte e levate come monti,
si erge, per dare legge ai nostri sensi,
con buia fronte il tuo vigore silenzioso.
157
65
Du Williger, und deine Gnade kam
immer in alle ältesten Gebärden.
Wenn einer die Hände zusammenflicht,
so dass sie zahm
und um ein kleines Dunkel sind –:
auf einmal fühlt er dich in ihnen werden,
und wie im Winde
senkt sich sein Gesicht
in Scham.
Und da versucht er, auf dem Stein zu liegen
und aufzustehn, wie er bei andern sieht,
und seine Mühe ist, dich einzuwiegen,
aus Angst, dass er dein Wachsein schon verriet.
Denn wer dich fühlt, kann sich mit dir nicht brüsten;
er ist erschrocken, bang um dich und flieht
vor allen Fremden, die dich merken müssten:
Du bist das Wunder in den Wüsten,
das Ausgewanderten geschieht.
158
Tu sei benevolenza, e la tua grazia
venne sempre in tutti i gesti antichi.
Se qualcuno congiunge le sue mani
per renderle in tal modo mansuete
e fare sì che intorno un po’ di buio esista –:
ed egli sente in loro, all’improvviso, te;
e poi, come nel vento,
piega nel pudore
il proprio volto.
Perciò, tenta di mettersi a giacere sulla pietra
e di rialzarsi, come vede fare ad altri,
ed è la sua fatica farti culla,
nel timore si svelare la tua veglia.
Perché non può di fronte a te vantare nulla
chi ti sente, è spaventato, prova pena e fugge
via da tutti gli estranei: dovrebbero accorgersi di te.
Sei il prodigio, tu, che nel deserto
accade solo a chi vive l’esilio.
159
66
Eine Stunde vom Rande des Tages,
und das Land ist zu allem bereit.
Was du sehnst, meine Seele, sag es:
Sei Heide und, Heide, sei weit.
Habe alte, alte Kurgane,
wachsend und kaumerkannt,
wenn es Mond wird über das plane
langvergangene Land.
Gestalte dich, Stille. Gestalte
die Dinge (es ist ihre Kindheit,
sie werden dir willig sein).
Sei Heide, sei Heide, sei Heide,
dann kommt vielleicht auch der Alte,
den ich kaum von der Nacht unterscheide,
und bringt seine riesige Blindheit
in mein horchendes Haus herein.
Ich seh ihn sitzen und sinnen,
nicht über mich hinaus;
für ihn ist alles innen,
Himmel und Heide und Haus.
Nur die Lieder sind ihm verloren,
die er nie mehr beginnt;
aus vielen tausend Ohren
trank sie die Zeit und der Wind;
aus den Ohren der Toren.
16
Lavagetto, «Commento», in Rilke, Poesie, cit., p. 769: «I tumuli
[...] (kurgany) sono tombe preistoriche a forma di cono che si trovano in
Siberia, nella Russia del sud, nella Bucovina, in Romania e in Bulgaria»;
«I kobzari [il vecchio di cui si fa cenno ai vv. 13ss. è, appunto, un kobzar
160
Un’ora sul confine del giorno,
e la terra è a tutto preparata.
Ciò che ardentemente vuoi, anima mia, puoi dirlo.
Sii brughiera; e tu, brughiera: sii vasta.
Abbi antichi, antichi tumuli,
che si innalzino ma appena si distinguano
quando va la luna sulla piana
terra già dimenticata da gran tempo.
Silenzio, dàtti un volto. Dàllo
Alle cose (è l’età, per loro, della fanciullezza,
e saranno pronte al tuo comando).
Sii brughiera, sii brughiera, sii brughiera,
e verrà, chissà, quel vecchio ancora
che a fatica io distinguo dalla notte,
e porterà la sua grandiosa cecità
nella mia casa in ascolto16.
Lo vedo, siede e pensa,
a nulla che sia al di sopra di me, né fuori di me;
per lui, tutto è già dentro:
cielo, brughiera e casa.
Solo i canti, per lui, sono perduti,
e mai più li inizierà:
da mille e mille orecchie
li hanno bevuti il tempo e il vento:
dalle orecchie dei folli.
(ndt)] erano suonatori di uno strumento a forma di liuto chiamato kobza, diffuso in Russia e in Polonia», ed erano, nella tradizione accettata
qui da Rilke, mendicanti e vagabondi.
161
67
Und dennoch: mir geschieht,
als ob ich ein jedes Lied
tief in mir ihm ersparte.
Er schweigt hinterm bebenden Barte,
er möchte sich wiedergewinnen
aus seinen Melodien.
Da komm ich zu seinen Knien:
und seine Lieder rinnen
rauschend zurück in ihn.
162
Eppure: così mi appare,
come se ogni canto in me, per lui,
profondamente trattenessi.
Tace, lui, dietro la barba tremolante,
e vorrebbe tornare ad ottenersi
nelle proprie melodie.
Eccomi: arrivo ai suoi ginocchi:
i suoi canti, in lui, di nuovo:
scorrono, scrosciando.
163
II. IL LIBRO DEL PELLEGRINAGGIO
(II. Das Buch von der Pilgerschaft)
1
Dich wundert nicht des Sturmes Wucht, –
du hast ihn wachsen sehn; –
die Bäume flüchten. Ihre Flucht
schafft schreitende Alleen.
Da weißt du, der vor dem sie fliehn
ist der, zu dem du gehst,
und deine Sinne singen ihn,
wenn du am Fenster stehst.
Des Sommers Wochen standen still,
es stieg der Bäume Blut;
jetzt fühlst du, daß es fallen will
in den der Alles tut.
Du glaubtest schon erkannt die Kraft,
als du die Frucht erfaßt,
jetzt wird sie wieder rätselhaft,
und du bist wieder Gast.
Der Sommer war so wie dein Haus,
drin weißt du alles stehn –
jetzt mußt du in dein Herz hinaus
wie in die Ebene gehn.
Die große Einsamkeit beginnt,
die Tage werden taub,
aus deinen Sinnen nimmt der Wind
die Welt wie welkes Laub.
Durch ihre leeren Zweige sieht
der Himmel, den du hast;
sei Erde jetzt und Abendlied
und Land, darauf er paßt.
Demütig sei jetzt wie ein Ding,
166
Non ti dà stupore l’impeto della tempesta, –
tu, l’hai vista farsi forte; –
fuggono gli alberi. La loro fuga
fa sì che ogni viale passi oltre.
Lo sai, tu: colui dal quale fuggono
è colui che tu stesso vuoi raggiungere,
ed è lui che cantano i tuoi sensi,
quando ti fermi alla finestra.
Furono quiete le settimane dell’estate,
il sangue cercò l’alto negli alberi;
e tu lo senti, adesso, che ricadere vuole
in colui che fa ogni cosa.
Credesti di conoscerla, la forza,
quando il frutto tu cogliesti,
e adesso nuovamente si fa enigma,
e sei un ospite, tu: ancora.
Così come tua casa era l’estate,
e in lei, lo sai, tutto sostava –
adesso, nel tuo cuore devi muoverti,
all’aperto, come in una piana.
La grande solitudine è all’inizio,
si fanno sordi i giorni,
e il vento accoglie dai tuoi sensi
come foglie disseccate il mondo.
Il cielo – sei tu che lo possiedi – guarda
tra i suoi rami vuoti;
sii terra, ora, e canto della sera,
e patria che lui possa custodire.
Fatti umile, adesso, come cosa
167
zu Wirklichkeit gereift, –
daß Der, von dem die Kunde ging,
dich fühlt, wenn er dich greift.
168
che maturi nella propria verità,
così che lui, dal quale giunse la notizia,
ti senta: quando con la mano te raggiunge.
169
2
Ich bete wieder, du Erlauchter,
du hörst mich wieder durch den Wind,
weil meine Tiefen niegebrauchter
rauschender Worte mächtig sind.
Ich war zerstreut; an Widersacher
in Stücken war verteilt mein Ich.
O Gott, mich lachten alle Lacher
und alle Trinker tranken mich.
In Höfen hab ich mich gesammelt
aus Abfall und aus altem Glas,
mit halbem Mund dich angestammelt,
dich, Ewiger aus Ebenmaß.
Wie hob ich meine halben Hände
zu dir in namenlosem Flehn,
daß ich die Augen wiederfände,
mit denen ich dich angesehn.
Ich war ein Haus nach einem Brand,
darin nur Mörder manchmal schlafen,
eh ihre hungerigen Strafen
sie weiterjagen in das Land;
ich war wie eine Stadt am Meer,
wenn eine Seuche sie bedrängte,
die sich wie eine Leiche schwer
den Kindern an die Hände hängte.
Ich war mir fremd wie irgendwer,
und wußte nur von ihm, daß er
einst meine junge Mutter kränkte
als sie mich trug,
170
Io prego, eccelso, nuovamente,
e attraverso il vento nuovamente puoi sentirmi,
perché le mie profondità, potentemente,
sono parole mai usate, mormoranti.
Disseminato, ero; di fronte all’Avversario,
in pezzi il mio io era sparpagliato.
O Dio, tutti m’hanno deriso i derisori,
e i bevitori, tutti, mi hanno tracannato.
Nei cortili mi sono ricomposto,
da ciò che rimaneva e da invecchiato vetro,
con mezza bocca ho balbettato te,
te, eterno, per la tua armonia.
E quando ho alzato le mie troncate mani
a te, in un pianto che non può trovare nome,
così che ritrovassi gli occhi
e potessi grazie a loro riconoscerti.
Una casa, ero, dopo che è bruciata,
nella quale dormono talvolta gli assassini,
prima che la fame coi suoi morsi
li costringa a uscire nel paese;
una città sul mare, ero,
quando la peste ormai l’ha còlta,
lei che come un corpo morto, grave,
alle mani dei bambini va a impigliarsi.
Ero estraneo a me, come se fossi uno qualsiasi,
e di lui sapessi appena
che una volta, quando lei già me portava,
alla mia giovane madre recò offesa;
171
und daß ihr Herz, das eingeengte,
sehr schmerzhaft an mein Keimen schlug.
Jetzt bin ich wieder aufgebaut
aus allen Stücken meiner Schande,
und sehne mich nach einem Bande,
nach einem einigen Verstande,
der mich wie ein Ding überschaut, –
nach deines Herzens großen Händen –
(o kämen sie doch auf mich zu).
Ich zähle mich, mein Gott, und du,
du hast das Recht, mich zu verschwenden.
172
e che il cuore, nella stretta, a lei
batteva con dolore per me che germogliavo.
Sono adesso nuovamente edificato,
con i pezzi, tutti, della mia vergogna,
e qualcosa bramo che mi stringa attorno,
un intelletto, uno, che dall’alto
con lo sguardo abbracci me come una cosa –
le mani grandi del tuo cuore –
(oh, venissero su me, fin qui!).
Mio Dio, io faccio il conto di me stesso, e tu…
hai il diritto, tu, di dissiparmi.
173
3
Ich bin derselbe noch, der kniete
vor dir in mönchischem Gewand:
der tiefe, dienende Levite,
den du erfüllst, der dich erfand.
Die Stimme einer stillen Zelle,
an der die Welt vorüberweht, –
und du bist immer noch die Welle
die über alle Dinge geht.
Es ist nichts andres. Nur ein Meer,
aus dem die Länder manchmal steigen.
Es ist nichts andres denn ein Schweigen
von schönen Engeln und von Geigen,
und der Verschwiegene ist der,
zu dem sich alle Dinge neigen,
von seiner Stärke Strahlen schwer.
Bist du denn Alles, – ich der Eine,
der sich ergiebt und sich empört?
Bin ich denn nicht das Allgemeine,
bin ich nicht Alles, wenn ich weine,
und du der Eine, der es hört?
Hörst du denn etwas neben mir?
Sind da noch Stimmen außer meiner?
Ist da ein Sturm? Auch ich bin einer,
und meine Wälder winken dir.
Ist da ein Lied, ein krankes, kleines,
das dich am Micherhören stört, –
auch ich bin eines, höre meines,
das einsam ist und unerhört.
174
Sono lo stesso, ancora: colui che in fronte a te
s’inginocchiava in abito monastico:
il concavo levita al tuo servizio,
che tu colmasti: lui, che te trovava.
La voce di una cella silenziosa
alla quale il mondo passa appena accanto, –
e tu sei sempre ancora il flutto
che viene sulle cose, tutte, e passa oltre.
Null’altro esiste. Solo un mare,
dal quale a volte s’alzano le terre.
Null’altro esiste: un tacere, unicamente,
di stupendi angeli e violini,
e il taciuto è lui, colui al quale
genuflettono le cose, tutte quante,
che la forza sua raggiando fa pesanti.
Sei tu, allora, il tutto – e l’uno, io,
che si dona e si ribella?
Non sono io, piuttosto, l’universale,
non sono il tutto, io, se appena piango,
e tu sei l’uno, che lo ascolta?
C’è altro che tu senti accanto a me?
Ci sono voci, ancora, oltre la mia?
C’è una tempesta? Io lo sono,
e per te i miei boschi danno cenni.
C’è un canto, piccolo, malato,
che ti disturba quando lo esaudisci –
io sono uno, esaudisci il mio:
è solo, e non ha ascolto.
175
Ich bin derselbe noch, der bange
dich manchmal fragte, wer du seist.
Nach jedem Sonnenuntergange
bin ich verwundet und verwaist,
ein blasser Allem Abgelöster
und ein Verschmähter jeder Schar,
und alle Dinge stehn wie Klöster,
in denen ich gefangen war.
Dann brauch ich dich, du Eingeweihter,
du sanfter Nachbar jeder Not,
du meines Leidens leiser Zweiter,
du Gott, dann brauch ich dich wie Brot.
Du weißt vielleicht nicht, wie die Nächte
für Menschen, die nicht schlafen, sind:
da sind sie alle Ungerechte,
der Greis, die Jungfrau und das Kind.
Sie fahren auf wie totgesagt,
von schwarzen Dingen nah umgeben,
und ihre weißen Hände beben,
verwoben in ein wildes Leben
wie Hunde in ein Bild der Jagd.
Vergangenes steht noch bevor,
und in der Zukunft liegen Leichen,
ein Mann im Mantel pocht am Tor,
und mit dem Auge und dem Ohr
ist noch kein erstes Morgenzeichen,
kein Hahnruf ist noch zu erreichen.
Die Nacht ist wie ein großes Haus.
Und mit der Angst der wunden Hände
reißen sie Türen in die Wände, –
dann kommen Gänge ohne Ende,
und nirgends ist ein Tor hinaus.
176
Sono lo stesso, ancora, il timoroso
che ti chiese, a volte, chi tu sia.
Dopo ogni tramonto
sono ferito, io e abbandonato,
debole e lontano ormai da tutto,
da ogni schiera disprezzato,
e le cose stanno attorno come chiostri:
io stavo recluso in mezzo a loro.
Di te ho bisogno, mio iniziato,
tu vicino delicato d’ogni pena,
tu del mio soffrire amico lieve,
tu, Dio: di te ho bisogno come pane.
Forse tu non sai, com’è che sono le notti
per gli uomini – per quelli che non dormono:
tutti, allora, sono ingiusti,
l’anziano, la vergine e il fanciullo.
Si riscuotono, come chiamati per la morte,
da nere cose strette attorno,
e tremano le loro mani bianche
aggrovigliate in una vita furibonda
come cani in un’immagine di caccia.
Il passato è là nel prima,
e nel futuro giacciono dei morti,
bussa alla porta un uomo in un mantello,
né con l’occhio o con l’orecchio
puoi trovare ancora un primo segno del mattino,
e al richiamo del gallo manca ancora.
La notte è come una casa, grande.
E con l’ansia di ferite mani
scavano nelle pareti aprendo porte –
e corridoi vengono dopo, senza fine,
e in nessun luogo c’è un passaggio per l’aperto.
177
Und so, mein Gott, ist jede Nacht;
immer sind welche aufgewacht,
die gehn und gehn und dich nicht finden.
Hörst du sie mit dem Schritt von Blinden
das Dunkel treten?
Auf Treppen, die sich niederwinden,
hörst du sie beten?
Hörst du sie fallen auf den schwarzen Steinen?
Du mußt sie weinen hören; denn sie weinen.
Ich suche dich, weil sie vorübergehn
an meiner Tür. Ich kann sie beinah sehn.
Wen soll ich rufen, wenn nicht den,
der dunkel ist und nächtiger als Nacht.
Den Einzigen, der ohne Lampe wacht
und doch nicht bangt; den Tiefen, den das Licht
noch nicht verwöhnt hat und von dem ich weiß,
weil er mit Bäumen aus der Erde bricht
und weil er leis
als Duft in mein gesenktes Angesicht
aus Erde steigt.
178
Ed è così, mio Dio, ogni notte;
sempre c’è chi veglia,
e va, e te non trova.
Non li senti? Con il passo dei ciechi
percorrono il buio.
Non li senti? Sulle scale pregano –
le scale, che s’attorcigliano a se stesse.
Non li senti? Sulle nere pietre cadono.
Piangere, però, devi sentirli: perché davvero piangono.
Io cerco te, perché è dinnanzi alla mia porta
che essi passano. Posso vederli, quasi.
Chi devo invocare, se non colui
che è buio e più notturno della notte?
L’unico che veglia senza lume,
eppure non è in ansia; il profondo, colui
che la luce ancora non ha viziato; so di lui
perché lui sgorga dalla terra con gli alberi,
e perché, lieve,
come profumo al mio chinato volto
sorge dalla terra.
179
4
Du Ewiger, du hast dich mir gezeigt.
Ich liebe dich wie einen lieben Sohn,
der mich einmal verlassen hat als Kind,
weil ihn das Schicksal rief auf einen Thron,
vor dem die Länder alle Täler sind.
Ich bin zurückgeblieben wie ein Greis,
der seinen großen Sohn nichtmehr versteht
und wenig von den neuen Dingen weiß,
zu welchen seines Samens Wille geht.
Ich bebe manchmal für dein tiefes Glück,
das auf so vielen fremden Schiffen fährt,
ich wünsche manchmal dich in mich zurück,
in dieses Dunkel, das dich großgenährt.
Ich bange manchmal, daß du nichtmehr bist,
wenn ich mich sehr verliere an die Zeit.
Dann les ich von dir: der Euangelist
schreibt überall von deiner Ewigkeit.
Ich bin der Vater; doch der Sohn ist mehr,
ist alles, was der Vater war, und der,
der er nicht wurde, wird in jenem groß;
er ist die Zukunft und die Wiederkehr,
er ist der Schooß, er ist das Meer...
180
Tu, Eterno, a me ti sei mostrato.
Amo te come si ama un figlio caro
che mi ha lasciato già quand’era bimbo,
perchè il destino lo ha chiamato a un trono
di fronte al quale i paesi, tutti, non sono che vallate.
Sono rimasto indietro, come un vecchio
che più non riconosce il proprio grande figlio
e poco sa del nuovo, a cui
la volontà di quel suo seme tende.
Io temo, a volte, per la tua profonda sorte
che su straniere navi viaggia, così tante,
e desidero a volte che mi torni,
qui, nel buio che ti ha fatto adulto.
Temo, a volte, che tu non sia più,
se mi perdo così tanto io nel tempo.
Poi, leggo di te: l’Evangelista
del tuo esistere eterno scrive ovunque.
Sono il padre; il figlio, però, è di più:
è tutto ciò che il padre fu, e ciò
che egli non è stato cresce in lui;
egli è il futuro ed il ritorno;
è il grembo, lui; è il mare...
181
5
Dir ist mein Beten keine Blasphemie:
als schlüge ich in alten Büchern nach,
daß ich dir sehr verwandt bin – tausendfach.
Ich will dir Liebe geben. Die und die...
Liebt man denn einen Vater? Geht man nicht,
wie du von mir gingst, Härte im Gesicht,
von seinen hülflos leeren Händen fort?
Legt man nicht leise sein verwelktes Wort
in alte Bücher, die man selten liest?
Fließt man nicht wie von einer Wasserscheide
von seinem Herzen ab zu Lust und Leide?
Ist uns der Vater denn nicht das, was war;
vergangne Jahre, welche fremd gedacht,
veraltete Gebärde, tote Tracht,
verblühte Hände und verblichnes Haar?
Und war er selbst für seine Zeit ein Held,
er ist das Blatt, das, wenn wir wachsen, fällt.
182
La mia preghiera, per te, non è bestemmia:
come se in antichi libri ritrovassi
che ti sono affine, e molto – e mille volte.
Amore voglio darti. Questo e questo...
Ma lo si ama, un padre? Non si va lontano –
come tu da me partisti –, duri in volto,
dalle sue mani inermi e vuote?
Non si depone, piano, la sua parola ormai sfiorita
in vecchi libri, che si leggono di rado?
Non si fluisce via, come da uno spartiacque?
Via dal suo cuore – verso la gioia, verso il dolore?
Il padre, cos’è per noi se non ciò che è già stato?
Anni trascorsi, ormai estranei;
gesti d’un tempo, vestiti morti,
sfiorite mani e capelli scoloriti?
Sia pure stato eroe per il suo tempo:
è foglia, ora: cade, mentre noi cresciamo.
183
6
Und seine Sorgfalt ist uns wie ein Alb,
und seine Stimme ist uns wie ein Stein, –
wir möchten seiner Rede hörig sein,
aber wir hören seine Worte halb.
Das große Drama zwischen ihm und uns
lärmt viel zu laut, einander zu verstehn,
wir sehen nur die Formen seines Munds,
aus denen Silben fallen, die vergehn.
So sind wir noch viel ferner ihm als fern,
wenn auch die Liebe uns noch weit verwebt,
erst wenn er sterben muß auf diesem Stern,
sehn wir, daß er auf diesem Stern gelebt.
Das ist der Vater uns. Und ich – ich soll
dich Vater nennen?
Das hieße tausendmal mich von dir trennen.
Du bist mein Sohn. Ich werde dich erkennen,
wie man sein einzigliebes Kind erkennt, auch dann,
wenn es ein Mann geworden ist, ein alter Mann.
184
La sua cura di noi ci turba il sonno,
e la sua voce per noi è come pietra, –
a ciò che dice ci vorremmo assoggettare,
ma le sue parole, è a metà che le sentiamo.
Tra noi e lui, il dramma grande
dà un rumore troppo forte perché l’uno intenda l’altro,
noi vediamo solamente le linee della bocca, solamente,
da cui cadono sillabe e si perdono.
Così, siamo ancora più lontani, ancora e sempre,
benché ci intrecci ancora amore, e lungamente;
e solo quando, qui su questa stella, morirà,
allora lo vedremo – ciò che ha vissuto qui, su questa
stella.
Questo è il padre per noi. E io – dovrei, io,
chiamarti padre?
Separarmi da te vorrebbe dire, e mille volte.
Tu sei mio figlio. Ti riconoscerò, come
un uomo il suo unico bambino, l’amatissimo, benché
sia fatto adulto, ormai: un vecchio.
185
7
Lösch mir die Augen aus: ich kann dich sehn,
wirf mir die Ohren zu: ich kann dich hören,
und ohne Füße kann ich zu dir gehn,
und ohne Mund noch kann ich dich beschwören.
Brich mir die Arme ab, ich fasse dich
mit meinem Herzen wie mit einer Hand,
halt mir das Herz zu, und mein Hirn wird schlagen,
und wirfst du in mein Hirn den Brand,
so werd ich dich auf meinem Blute tragen.
186
Chiudi pure i miei occhi: ti posso vedere;
serra le mie orecchie: ti posso ascoltare,
e senza piedi a te posso arrivare,
e senza bocca ancora posso te invocare.
Spezza le mie braccia, e a te m’afferro
col mio cuore come con una delle mani;
arresta il cuore, e pulserà la mente;
accendi pure nella mente un fuoco immenso,
e nel mio sangue te potrò portare.
187
8
Und meine Seele ist ein Weib vor dir.
Und ist wie der Naëmi Schnur, wie Ruth.
Sie geht bei Tag um deiner Garben Hauf
wie eine Magd, die tiefe Dienste tut.
Aber am Abend steigt sie in die Flut
und badet sich und kleidet sich sehr gut
und kommt zu dir, wenn alles um dich ruht,
und kommt und deckt zu deinen Füßen auf.
Und fragst du sie um Mitternacht, sie sagt
mit tiefer Einfalt: Ich bin Ruth, die Magd.
Spann deine Flügel über deine Magd.
Du bist der Erbe...
Und meine Seele schläft dann bis es tagt
bei deinen Füßen, warm von deinem Blut.
Und ist ein Weib vor dir. Und ist wie Ruth.
188
In fronte a te, la mia anima è una donna.
Come la nuora di Noemi: come Ruth.
Va, di giorno, attorno ai tuoi covoni
come una serva, che un servizio umile ha da fare.
Ma la sera, s’immerge nel fiume,
si lava, si veste, e così bene!
Viene da te, quando tutto intorno è quiete,
viene e si corica ai tuoi piedi.
A mezzanotte, se le chiedi, con candore
umile risponde: Sono Ruth, la serva.
Le tue ali distendi sopra la tua serva.
Tu sei l’erede...
E la mia anima dorme, finché giunge il giorno,
ai tuoi piedi, calda del tuo sangue.
È una donna in fronte a te. È come Ruth.
189
9
Du bist der Erbe.
Söhne sind die Erben,
denn Väter sterben.
Söhne stehn und blühn.
Du bist der Erbe:
190
Tu sei l’erede.
Figli sono gli eredi,
poiché muoiono i padri.
Figli, rimangono e fioriscono.
Tu sei l’erede:
191
10
Und du erbst das Grün
vergangner Gärten und das stille Blau
zerfallner Himmel.
Tau aus tausend Tagen,
die vielen Sommer, die die Sonnen sagen,
und lauter Frühlinge mit Glanz und Klagen
wie viele Briefe einer jungen Frau.
Du erbst die Herbste, die wie Prunkgewänder
in der Erinnerung von Dichtern liegen,
und alle Winter, wie verwaiste Länder,
scheinen sich leise an dich anzuschmiegen.
Du erbst Venedig und Kasan und Rom,
Florenz wird dein sein, der Pisaner Dom,
die Troïtzka Lawra und das Monastir,
das unter Kiews Gärten ein Gewirr
von Gängen bildet, dunkel und verschlungen, –
Moskau mit Glocken wie Erinnerungen, –
und Klang wird dein sein Geigen, Hörner, Zungen,
und jedes Lied, das tief genug erklungen,
wird an dir glänzen wie ein Edelstein.
Für dich nur schließen sich die Dichter ein
und sammeln Bilder, rauschende und reiche,
und gehn hinaus und reifen durch Vergleiche
und sind ihr ganzes Leben so allein...
Und Maler malen ihre Bilder nur,
damit du unvergänglich die Natur,
die du vergänglich schufst, zurückempfängst:
alles wird ewig. Sieh, das Weib ist längst
in der Madonna Lisa reif wie Wein;
es müßte nie ein Weib mehr sein,
denn Neues bringt kein neues Weib hinzu.
192
Ed erediti, tu, il verde
di giardini ormai trascorsi e l’azzurro silenzioso
di cieli ormai disfatti.
Rugiada di mille giorni,
che le estati numerose, che i soli hanno pronunciato
e sonore primavere, con splendore, con lamenti,
come le molte lettere di una giovinetta.
Erediti gli autunni, come abiti di gala
là distesi nei ricordi dei poeti,
e gli inverni, tutti, come terre desolate
a te si stringono, leggeri: così sembra.
Erediti, tu, Venezia, Kazan’ e Roma,
Firenze sarà tua, il duomo di Pisa,
La Troice Lavra e il Monastyr’,
che al di sotto di Kiev, dei suoi giardini, dà
un intreccio di camminamenti, scavati dentro il buio –
Mosca con le sue campane, come dei ricordi, –
e il suono sarà tuo: violini, corni, lingue,
e ogni canto, cui nel fondo quanto basta danno suono,
per te risplenderà come una gemma.
Per te soltanto si recludono i poeti
e immagini radunano, preziose, mormoranti,
e vanno oltre, e maturano incontrando,
e per la vita, tanto, sono soli...
E dipingono i pittori i loro quadri, solamente
perché tu riottenga in loro la natura intrascorribile:
lei, che scorre via: così tu l’hai creata:
tutto si fa eterno. Guarda: come vino, già
è matura la donna in Monna Lisa;
non potrà più esserci una donna,
perché nessuna nuova donna porterà con sé del nuovo.
193
Die, welche bilden, sind wie du.
Sie wollen Ewigkeit. Sie sagen: Stein,
sei ewig. Und das heißt: sei dein!
Und auch, die lieben, sammeln für dich ein:
Sie sind die Dichter einer kurzen Stunde,
sie küssen einem ausdruckslosen Munde
ein Lächeln auf, als formten sie ihn schöner,
und bringen Lust und sind die Angewöhner
zu Schmerzen, welche erst erwachsen machen.
Sie bringen Leiden mit in ihrem Lachen,
Sehnsüchte, welche schlafen, und erwachen,
um aufzuweinen in der fremden Brust.
Sie häufen Rätselhaftes an und sterben,
wie Tiere sterben, ohne zu begreifen, –
aber sie werden vielleicht Enkel haben,
in denen ihre grünen Leben reifen;
durch diese wirst du jene Liebe erben,
die sie sich blind und wie im Schlafe gaben.
So fließt der Dinge Überfluß dir zu.
Und wie die obern Becken von Fontänen
beständig überströmen, wie von Strähnen
gelösten Haares, in die tiefste Schale, –
so fällt die Fülle dir in deine Tale,
wenn Dinge und Gedanken übergehn.
194
Coloro che scolpiscono sono come te.
Vogliono eternità. Dicono: pietra,
sii eterna. E ciò vuol dire che sia tua.
Gli amanti, anche, raccolgono per te:
sono i poeti, loro, di un’ora che non dura,
baciano una bocca che non dice e ne traggono
un sorriso, come a modellarla, a renderla più bella,
e desiderio portano, e sono come colui che è già
assuefatto
ai suoi dolori – essi che li crescono, soltanto.
Sofferenze portano, che ridono,
struggimenti che dormono e si svegliano
per piangere su un petto sconosciuto.
Accumulano enigmi uno sull’altro, e muoiono,
come animali muoiono, senza capire, –
ma avranno discendenti, forse,
e solo in loro maturerà la loro vita, verde;
e tu quell’amore potrai ereditare,
quello che essi si donarono, nel sonno, ciecamente.
Così fluisce l’abbondanza delle cose: verso te.
E come i bacili alti della fontana
traboccano incessantemente, come capelli sciolti
da una ciocca, nei recipienti posti in basso, –
in te, così, la pienezza va a cadere, nelle tue valli,
quando traboccano cose e pensieri.
195
11
Ich bin nur einer deiner Ganzgeringen,
der in das Leben aus der Zelle sieht
und der, den Menschen ferner als den Dingen,
nicht wagt zu wägen, was geschieht.
Doch willst du mich vor deinem Angesicht,
aus dem sich dunkel deine Augen heben,
dann halte es für meine Hoffahrt nicht,
wenn ich dir sage: Keiner lebt sein Leben.
Zufälle sind die Menschen, Stimmen, Stücke,
Alltage, Ängste, viele kleine Glücke,
verkleidet schon als Kinder, eingemummt,
als Masken mündig, als Gesicht – verstummt.
Ich denke oft: Schatzhäuser müssen sein,
wo alle diese vielen Leben liegen
wie Panzer oder Sänften oder Wiegen,
in welche nie ein Wirklicher gestiegen,
und wie Gewänder, welche ganz allein
nicht stehen können und sich sinkend schmiegen
an starke Wände aus gewölbtem Stein.
Und wenn ich abends immer weiterginge
aus meinem Garten, drin ich müde bin, –
ich weiß: dann führen alle Wege hin
zum Arsenal der ungelebten Dinge.
Dort ist kein Baum, als legte sich das Land,
und wie um ein Gefängnis hängt die Wand
ganz fensterlos in siebenfachem Ringe.
Und ihre Tore mit den Eisenspangen,
die denen wehren, welche hinverlangen,
und ihre Gitter sind von Menschenhand.
196
Sono uno dei più piccoli, dei tuoi,
uno che osserva, dalla sua cella, la vita:
più lontano dagli uomini che dalle cose,
ciò che accade egli non osa giudicare.
Eppure, è di fronte al tuo volto che tu mi vuoi,
là dove, oscuri, si levano i tuoi occhi,
ma non attribuirlo alla mia superbia
se ti dico: la sua vita, nessuno qui la vive.
A caso esistono gli uomini – voci, pezzi,
giorni, angosce; piccole gioie, numerose;
camuffati fin da piccoli, imbacuccati;
come maschere, dotati di parola – come volti, invece:
muti.
Io penso, spesso: devono esserci le stanze del tesoro
dove le molte vite – queste – trovino riposo,
come corazze, o portantine, o culle
su cui mai un uomo vero sia salito,
e le vesti, che da sole unicamente
non sanno sostenersi, e s’adattano lasciandosi cadere
alle forti mura, nella pietra trasformata in vòlta.
E sempre, se la sera mi spingessi al di là
del mio giardino, nel quale sono stanco –
lo so: mi guiderebbero i sentieri
a un magazzino di cose senza vita.
Non c’è albero là, come se la terra, distesa, vivesse
nel riposo,
e un muro si erge, come attorno a un carcere,
senza finestra alcuna, in sette cerchi.
Le sue porte, con i catenacci,
che si oppongono a chi volesse entrare,
e le inferriate: mani d’uomo le hanno fatte.
197
12
Und doch, obwohl ein jeder von sich strebt
wie aus dem Kerker, der ihn haßt und hält, –
es ist ein großes Wunder in der Welt:
ich fühle: alles Leben wird gelebt.
Wer lebt es denn? Sind das die Dinge, die
wie eine ungespielte Melodie
im Abend wie in einer Harfe stehn?
Sind das die Winde, die von Wassern wehn,
sind das die Zweige, die sich Zeichen geben,
sind das die Blumen, die die Düfte weben,
sind das die langen alternden Alleen?
Sind das die warmen Tiere, welche gehn,
sind das die Vögel, die sich fremd erheben?
Wer lebt es denn? Lebst du es, Gott, – das Leben?
198
Eppure, benché ciascuno si proietti fuori da se stesso,
come da un carcere che ha in odio e lo trattiene, –
c’è un miracolo grande in questo mondo:
lo sento: le vite, tutte, vengono vissute.
Chi, però, la vive? Sono le cose, forse,
come una mai suonata melodia,
che nella sera stanno erette come arpa?
Sono i venti, forse, che soffiano sull’acqua?
Sono i rami, che l’uno all’altro danno cenni?
Sono i fiori, che intessono i profumi?
O i viali, forse, lumghi, antichi sempre più?
O i caldi, vagabondi animali?
O gli uccelli, sconosciuti, che stanno in volo?
Chi la vive, dunque? La vivi tu, Dio – la vita?
199
13
Du bist der Alte, dem die Haare
von Ruß versengt sind und verbrannt,
du bist der große Unscheinbare,
mit deinem Hammer in der Hand.
Du bist der Schmied, das Lied der Jahre,
der immer an dem Amboß stand.
Du bist, der niemals Sonntag hat,
der in die Arbeit Eingekehrte,
der sterben könnte überm Schwerte,
das noch nicht glänzend wird und glatt.
Wenn bei uns Mühle steht und Säge
und alle trunken sind und träge,
dann hört man deine Hammerschläge
an allen Glocken in der Stadt.
Du bist der Mündige, der Meister,
und keiner hat dich lernen sehn;
ein Unbekannter, Hergereister,
von dem bald flüsternder, bald dreister
die Reden und Gerüchte gehn.
200
Sei il vecchio, al quale la fuliggine
i capelli ha disseccato, li ha bruciati;
sei il grande, tu, che non si fa notare,
con il tuo martello nella mano.
Il fabbro sei, il canto degli anni,
in piedi sempre alla sua incudine.
Sei colui che mai non ha domenica,
rivolto tutto al suo lavoro,
che sopra una spada potrebbe morire,
ma non ancora resa luccicante, né tagliente.
Quando, da noi, mulini e segherie stanno in riposo
e tutti hanno bevuto e sono grevi,
anche allora contro tutte le campane
nella città i tuoi colpi danno suoni.
Sei l’adulto, il Maestro,
ma nessuno mai t’ha visto che imparavi;
un uomo sconosciuto, chissà da dove giunto,
sul quale a volte in un sussurro, a volte, invece,
apertamente, vanno intorno discorsi e dicerie.
201
14
Gerüchte gehn, die dich vermuten,
und Zweifel gehn, die dich verwischen.
Die Trägen und die Träumerischen
mißtrauen ihren eignen Gluten
und wollen, daß die Berge bluten,
denn eher glauben sie dich nicht.
Du aber senkst dein Angesicht.
Du könntest den Bergen die Adern aufschneiden
als Zeichen eines großen Gerichts;
aber dir liegt nichts
an den Heiden.
Du willst nicht streiten mit allen Listen
und nicht suchen die Liebe des Lichts;
denn dir liegt nichts
an den Christen.
Dir liegt an den Fragenden nichts.
Sanften Gesichts
siehst du den Tragenden zu.
202
Dicerie vanno, che avanzano ipotesi su te;
e dubbi, che ti cancellano.
I pigri e i sognatori
diffidano del proprio stesso ardore
e vogliono che i monti diano sangue:
altrimenti no, non hanno fede in te.
Ma il volto, tu, lo abbassi.
Alle montagne tu potresti recidere le vene
come prova di un giudizio di potenza;
ma non è ai pagani che tu
tieni.
Tu non vuoi questionare con gli scaltri,
né cercare l’amore della luce;
non è ai cristiani che tu
tieni.
Non t’importa nulla di chi chiede.
Le delicatezze del tuo viso
tu le offri a chi sa sopportare.
203
15
Alle, welche dich suchen, versuchen dich.
Und die, so dich finden, binden dich
an Bild und Gebärde.
Ich aber will dich begreifen
wie dich die Erde begreift;
mit meinem Reifen
reift
dein Reich.
Ich will von dir keine Eitelkeit,
die dich beweist.
Ich weiß, daß die Zeit
anders heißt
als du.
Tu mir kein Wunder zulieb.
Gieb deinen Gesetzen recht,
die von Geschlecht zu Geschlecht
sichtbarer sind.
204
Coloro che ti cercano, tutti, ti mettono alla prova.
E poi – così ti trovano – ti costringono
nei gesti, nelle immagini.
Io, però, voglio comprenderti
come la terra ti comprende;
con il mio farmi maturo
matura
il tuo Regno.
Da te, nulla di futile io voglio,
che ti dia testimonianza.
Lo so: il tempo
diversamente da te
va nominato.
Non fare prodigi per amarmi,
ma sii fedele alle tue leggi:
di generazione in generazione
sempre più si manifestano.
205
16
Wenn etwas mir vom Fenster fällt
(und wenn es auch das Kleinste wäre)
wie stürzt sich das Gesetz der Schwere
gewaltig wie ein Wind vom Meere
auf jeden Ball und jede Beere
und trägt sie in den Kern der Welt.
Ein jedes Ding ist überwacht
von einer flugbereiten Güte
wie jeder Stein und jede Blüte
und jedes kleine Kind bei Nacht.
Nur wir, in unsrer Hoffahrt, drängen
aus einigen Zusammenhängen
in einer Freiheit leeren Raum,
statt, klugen Kräften hingegeben,
uns aufzuheben wie ein Baum.
Statt in die weitesten Geleise
sich still und willig einzureihn,
verknüpft man sich auf manche Weise, –
und wer sich ausschließt jedem Kreise,
ist jetzt so namenlos allein.
Da muß er lernen von den Dingen,
anfangen wieder wie ein Kind,
weil sie, die Gott am Herzen hingen,
nicht von ihm fortgegangen sind.
Eins muß er wieder können: fallen,
geduldig in der Schwere ruhn,
der sich vermaß, den Vögeln allen
im Fliegen es zuvorzutun.
206
Se mi cade qualcosa dalla finestra
(e fosse anche la più piccola),
come si slancia la legge dei pesi,
violentemente, come un vento dal mare,
su ogni palla, su ogni bacca,
e verso il centro del mondo la trascina.
È vegliata ogni cosa, dall’alto,
da un bene pronto al volo
come ogni pietra, ogni fiore,
e ogni piccolo bambino nella notte.
Noi, soltanto, nella nostra superbia,
ci spingiamo in libertà di spazio vuoto,
da legami nostri,
invece che affidarci a forze sagge
e innalzare noi stessi come un albero.
Invece, noi, d’allinearci nei più aperti
solchi, silenziosamente, di buon grado,
ci leghiamo in qualche modo, –
e colui che si separa da ogni cerchio
è così solo, adesso: indicibilmente.
Deve imparare, allora, dalle cose,
avere inizio nuovamente come un bimbo,
perché loro, vicine al cuore di Dio,
da lui non si sono allontanate.
Una cosa sola deve imparare ancora: cadere,
con pazienza abbandonarsi al proprio peso
colui che per errore
tutti gli uccelli nel volo ha già sfidato.
207
(Denn auch die Engel fliegen nicht mehr.
Schweren Vögeln gleichen die Seraphim,
welche um ihn sitzen und sinnen;
Trümmern von Vögeln, Pinguinen
gleichen sie, wie sie verkümmern...)
208
(Neanche gli ageli, infatti, volano più.
Come pesanti uccelli sono i Serafini,
che a lui d’attorno siedono, e riflettono;
rovine d’uccelli: pinguini sembrano,
per come a poco a poco perdono le forze...)
209
17
Du meinst die Demut. Angesichter
gesenkt in stillem Dichverstehn.
So gehen abends junge Dichter
in den entlegenen Alleen.
So stehn die Bauern um die Leiche,
wenn sich ein Kind im Tod verlor, –
und was geschieht, ist doch das Gleiche:
es geht ein Übergroßes vor.
Wer dich zum ersten Mal gewahrt,
den stört der Nachbar und die Uhr,
der geht, gebeugt zu deiner Spur,
und wie beladen und bejahrt.
Erst später naht er der Natur
und fühlt die Winde und die Fernen,
hört dich, geflüstert von der Flur,
sieht dich, gesungen von den Sternen,
und kann dich nirgends mehr verlernen,
und alles ist dein Mantel nur.
Ihm bist du neu und nah und gut
und wunderschön wie eine Reise,
die er in stillen Schiffen leise
auf einem großen Flusse tut.
Das Land ist weit, in Winden, eben,
sehr großen Himmeln preisgegeben
und alten Wäldern untertan.
Die kleinen Dörfer, die sich nahn,
vergehen wieder wie Geläute
und wie ein Gestern und ein Heute
und so wie alles, was wir sahn.
Aber an dieses Stromes Lauf
210
L’umiltà, tu intendi. Volti
chini nel silenzio del comprenderti.
Così, a sera, vanno giovani poeti
nei viali in lontananza.
Così stanno i contadini attorno al corpo
quando si perde un bimbo nella morte, –
e ciò che accade, ancora è uguale:
è cosa enorme ciò che accade.
E chi ti percepisce per la prima volta,
e già lo infastidiscono i vicini e gli orologi,
egli va, chinato sui suoi passi,
come gravato, fatto vecchio.
Solo più tardi si avvicina alla natura,
e avverte i venti e poi la lontananza,
e sente te, mormorato dalla campagna,
e vede te, cantato dalle stelle,
e non può più dimenticarti in nessun luogo,
e tutto è unicamente il tuo mantello.
Sei nuovo, tu, per lui, vicino sei, e buono,
meraviglioso come un viaggio
che egli compie scivolando su navi silenziose
sopra un grande fiume.
La terra è vasta, nel vento, piana,
di così grandi cieli fatta preda,
a boschi antichi sottomessa.
I piccoli villaggi, che si avvicinano,
di nuovo s’allontanano, come rintocchi di campane,
o come un giorno ch’è passato, come l’oggi,
e come tutto ciò che abbiamo visto.
Ma di questo fiume al corso
211
stehn immer wieder Städte auf
und kommen wie auf Flügelschlägen
der feierlichen Fahrt entgegen.
Und manchmal lenkt das Schiff zu Stellen,
die einsam, sonder Dorf und Stadt,
auf etwas warten an den Wellen, –
auf den, der keine Heimat hat...
Für solche stehn dort kleine Wagen
(ein jeder mit drei Pferden vor),
die atemlos nach Abend jagen
auf einem Weg, der sich verlor.
212
si mostrano città, di nuovo e ancora,
e come battiti d’ali si fanno incontro
al viaggio, ch’è solenne.
La nave, a volte, approda ad una riva
che, da sola, senza villaggi né città,
qualche cosa attende dalle onde, –
attende chi non ha più casa...
Per loro, sono pronte piccole carrozze
(ciascuna è lì con tre cavalli)
che nella sera vanno in corsa, senza fiato,
per una strada ormi perduta.
213
18
In diesem Dorfe steht das letzte Haus
so einsam wie das letzte Haus der Welt.
Die Straße, die das kleine Dorf nicht hält,
geht langsam weiter in die Nacht hinaus.
Das kleine Dorf ist nur ein Übergang
zwischen zwei Weiten, ahnungsvoll und bang,
ein Weg an Häusern hin statt eines Stegs.
Und die das Dorf verlassen, wandern lang,
und viele sterben vielleicht unterwegs.
214
In questo villaggio l’ultima casa
è sola come fosse l’ultima casa del mondo.
La strada, che il piccolo vollaggio non trattiene,
va oltre, ancora, lenta nella notte.
Il piccolo villaggio è solo un passo tra due luoghi
vasti – colmo di presentimenti, timoroso:
un sentiero tra le case, neanche un ponte.
Chi lascia il villaggio vaga a lungo,
e molti muoiono, forse, per la via.
215
19
Manchmal steht einer auf beim Abendbrot
und geht hinaus und geht und geht und geht, –
weil eine Kirche wo im Osten steht.
Und seine Kinder segnen ihn wie tot.
Und einer, welcher stirbt in seinem Haus,
bleibt drinnen wohnen, bleibt in Tisch und Glas,
so daß die Kinder in die Welt hinaus
zu jener Kirche ziehn, die er vergaß.
216
A volte, uno si alza dalla mensa della sera
e va, lontano, va e va e va –
perché, ad oriente, c’è una chiesa in qualche parte.
Lo benedicono i suoi figli, come morto.
E un altro, che muore nella propria casa,
là rimane ad abitare, nel tavolo rimane, nel bicchiere:
così i suoi figli vanno per il mondo,
per raggiungerla, la chiesa: quella che lui ha già
scordato.
217
20
Nachtwächter ist der Wahnsinn,
weil er wacht.
Bei jeder Stunde bleibt er lachend stehn,
und einen Namen sucht er für die Nacht
und nennt sie: sieben, achtundzwanzig, zehn...
Und ein Triangel tragt er in der Hand,
und weil er zittert, schlägt es an den Rand
des Horns, das er nicht blasen kann, und singt
das Lied, das er zu allen Häusern bringt.
Die Kinder haben eine gute Nacht
und hören träumend, daß der Wahnsinn wacht.
Die Hunde aber reißen sich vom Ring
und gehen in den Häusern groß umher
und zittern, wenn er schon vorüberging,
und fürchten sich vor seiner Wiederkehr.
218
Un custode notturno è la pazzia,
perché veglia.
Ad ogni ora sosta, e ridendo si ferma,
e un nome cerca per la notte
e la chiama: sette, ventotto, dieci...
e porta un triangolo alla mano,
e, poiché vibra, la pazzia percuote l’orlo
del corno: non lo sa suonare, e canta
la canzone che a tutte le case va portando.
I bambini hanno una notte buona
ma lo sentono nel sogno: c’è la pazzia che veglia.
I cani, però, si strappano dalle catene,
e tra le case vanno, tutto intorno;
e tremano, appena sia passata oltre:
il suo ritorno li spaventa.
219
21
Weißt du von jenen Heiligen, mein Herr?
Sie fühlten auch verschloßne Klosterstuben
zu nahe an Gelächter und Geplärr,
so daß sie tief sich in die Erde gruben.
Ein jeder atmete mit seinem Licht
die kleine Luft in seiner Grube aus,
vergaß sein Alter und sein Angesicht
und lebte wie ein fensterloses Haus
und starb nichtmehr, als wär er lange tot.
Sie lasen selten; alles war verdorrt,
als wäre Frost in jedes Buch gekrochen,
und wie die Kutte hing von ihren Knochen,
so hing der Sinn herab von jedem Wort.
Sie redeten einander nichtmehr an,
wenn sie sich fühlten in den schwarzen Gängen,
sie ließen ihre langen Haare hängen,
und keiner wußte, ob sein Nachbarmann
nicht stehend starb.
In einem runden Raum,
wo Silberlampen sich von Balsam nährten,
versammelten sich manchmal die Gefährten
vor goldnen Türen wie vor goldnen Gärten
und schauten voller Mißtraun in den Traum
und rauschten leise mit den langen Bärten.
Ihr Leben war wie tausend Jahre groß,
seit es sich nichtmehr schied in Nacht und Helle;
sie waren, wie gewälzt von einer Welle,
zurückgekehrt in ihrer Mutter Schooß.
220
Conosci, mio Signore, i santi?
Anche le celle sprangate di un convento, troppo
vicine le sentirono al ridere, al lamento,
così che profondamente nella terra penetrarono.
Ciascuno con la propria luce respirava
l’aria piccola nella sua fossa,
dell’età e del proprio volto si scordava
e viveva come una casa che non ha finestre
e mai moriva, poiché da tempo era già morto.
Raramente leggevano: era tutto inaridito,
come se vi fosse gelo in ogni libro,
e come pendeva la tonaca dalle loro ossa,
così pendeva il senso, giù, da ogni parola
Mai più tra loro discorrevano
quando nei neri corridoi c’era un incontro,
e lasciavano fluire lunghe chiome
e nessuno sapeva, se non fosse morto
il suo vicino stando in piedi.
In una tonda stanza, dove lampade d’argento
si cibavano di balsamo,
si riunivano talvolta i confratelli, innanzi
a porte d’oro come di fronte a dorati giardini,
e con sfiducia piena guardavano nel sogno,
e piano con le lunghe barbe mormoravano.
La loro vita, era come se avesse mille anni,
da quando, nella notte oppure al chiaro, più non la
contavano;
era come se un’onda li volgesse;
221
Sie saßen rundgekrümmt wie Embryos
mit großen Köpfen und mit kleinen Händen
und aßen nicht, als ob sie Nahrung fänden
aus jener Erde, die sie schwarz umschloß.
Jetzt zeigt man sie den tausend Pilgern, die
aus Stadt und Steppe zu dem Kloster wallen.
Seit dreimal hundert Jahren liegen sie,
und ihre Leiber können nicht zerfallen.
Das Dunkel häuft sich wie ein Licht das rußt
auf ihren langen lagernden Gestalten,
die unter Tüchern heimlich sich erhalten, –
und ihrer Hände ungelöstes Falten
liegt ihnen wie Gebirge auf der Brust.
Du großer alter Herzog des Erhabnen:
hast du vergessen, diesen Eingegrabnen
den Tod zu schicken, der sie ganz verbraucht,
weil sie sich tief in Erde eingetaucht?
Sind die, die sich Verstorbenen vergleichen,
am ähnlichsten der Unvergänglichkeit?
Ist das das große Leben deiner Leichen,
das überdauern soll den Tod der Zeit?
Sind sie dir noch zu deinen Plänen gut?
Erhältst du unvergängliche Gefäße,
die du, der allen Maßen Ungemäße,
einmal erfüllen willst mit deinem Blut?
222
tornati al grembo della loro madre.
Sedevano, rannicchiati in sé come embrioni,
con teste grandi e mani piccole
e non mangiavano, come se il cibo lo trovassero
nella terra che gli stava, nera, intorno.
Li si mostra, adesso, ai mille pellegrini
che da steppe e città si recano al convento.
Sono distesi da trecento anni,
e i loro corpi non riescono a disfarsi.
Il buio, come luce che dà cenere si addensa
sulle loro lunghe membra abbandonate,
sempre uguali a se stesse nel segreto del sudario, –
e le pieghe delle loro mani unite
come monti stanno sopra i petti.
Tu, grande, antico duca di ciò che sta nell’alto
hai trascurato, a questi trapassati,
d’inviare la morte, che completamente li consumi,
perché già sono immersi, a fondo, nella terra?
Loro, che ai morti si rendono uguali,
sono i più simili, forse, all’immortalità?
È questa, la grande vita dei cadaveri che ti
appartengono –
quella che al di là del tempo e della morte sa durare?
Sono buoni, ancora, per i tuoi progetti?
Li conservi come intatti recipienti
che tu, per qualsiasi metro immisurabile,
un giorno vuoi riempire col tuo sangue?
223
22
Du bist die Zukunft, großes Morgenrot
über den Ebenen der Ewigkeit.
Du bist der Hahnschrei nach der Nacht der Zeit,
der Tau, die Morgenmette und die Maid,
der fremde Mann, die Mutter und der Tod.
Du bist die sich verwandelnde Gestalt,
die immer einsam aus dem Schicksal ragt,
die unbejubelt bleibt und unbeklagt
und unbeschrieben wie ein wilder Wald.
Du bist der Dinge tiefer Inbegriff,
der seines Wesens letztes Wort verschweigt
und sich den Andern immer anders zeigt:
dem Schiff als Küste und dem Land als Schiff.
224
Sei il futuro, tu, il rosso immenso del mattino
sulle pianure dell’eternità.
Sei il canto del gallo, tu, dopo la notte del tempo,
la rugiada, tu, sei la preghiera del mattino
e la fanciulla, lo straniero, la madre e la morte.
Sei la forma che trasmigra,
che sola, sempre, si leva dal destino,
che non riceve festa, né compianto,
come un bosco selvaggio mai descritta.
Sei l’essenza profonda delle cose
che di se stessa tace l’ultima parola
e sempre altra si offre ad ogni altro:
alla nave, come costa; alla terra, come nave.
225
23
Du bist das Kloster zu den Wundenmalen.
Mit zweiunddreißig alten Kathedralen
und fünfzig Kirchen, welche aus Opalen
und Stücken Bernstein aufgemauert sind.
Auf jedem Ding im Klosterhofe
liegt deines Klanges eine Strophe,
und das gewaltige Tor beginnt.
In langen Häusern wohnen Nonnen,
Schwarzschwestern, siebenhundertzehn.
Manchmal kommt eine an den Bronnen,
und eine steht wie eingesponnen,
und eine, wie in Abendsonnen,
geht schlank in schweigsamen Alleen.
Aber die Meisten sieht man nie;
sie bleiben in der Häuser Schweigen
wie in der kranken Brust der Geigen
die Melodie, die keiner kann...
Und um die Kirchen rings im Kreise,
von schmachtendem Jasmin umstellt,
sind Gräberstätten, welche leise
wie Steine reden von der Welt.
Von jener Welt, die nichtmehr ist,
obwohl sie an das Kloster brandet,
in eitel Tag und Tand gewandet
und gleichbereit zu Lust und List.
Sie ist vergangen: denn du bist.
226
Sei il convento delle Stimmate.
Con trentadue antiche cattedrali,
con cinquanta chiese edificate
nell’opale e in parti d’ambra.
Su ogni cosa, nel chiostro,
una strofa sta posata del tuo suono,
e lì comincia la potente porta.
In lunghe case abitano suore,
sorelle in nero, settecentodieci.
Talvolta, una viene al pozzo,
mentre un’altra sosta, come avvolta su di sé;
un’altra, ancora, come nella luce della sera,
esile si muove nei viali silenziosi.
La maggior parte, però, non si vede mai;
rimangono nelle case senza voce
come nel malato petto del violino
la melodia che mai nessuno...
E attorno alle chiese, in forma d’anello,
accerchiate da struggenti gelsomini,
vi sono sepolture: come pietre, impercettibili,
conversano del mondo.
Di quel mondo, che non è più,
benché verso il convento come fiamma venga a
infrangersi,
in vano giorno, in sciocca cosa esperto,
nel desiderio, e nell’inganno.
Venne meno: poiché tu esisti.
227
Sie fließt noch wie ein Spiel von Lichtern
über das teilnahmslose Jahr;
doch dir, dem Abend und den Dichtern
sind, unter rinnenden Gesichtern,
die dunkeln Dinge offenbar.
228
Come un gioco di luci ancora scorre
sopra l’anno che non se ne accorge;
per te, però, per la sera ed i poeti
tra volti che in gocce si disperdono,
le cose oscure stanno rivelate.
229
24
Die Könige der Welt sind alt
und werden keine Erben haben.
Die Söhne sterben schon als Knaben,
und ihre bleichen Töchter gaben
die kranken Kronen der Gewalt.
Der Pöbel bricht sie klein zu Geld,
der zeitgemäße Herr der Welt
dehnt sie im Feuer zu Maschinen,
die seinem Wollen grollend dienen;
aber das Glück ist nicht mit ihnen.
Das Erz hat Heimweh. Und verlassen
will es die Münzen und die Räder,
die es ein kleines Leben lehren.
Und aus Fabriken und aus Kassen
wird es zurück in das Geäder
der aufgetanen Berge kehren,
die sich verschließen hinter ihm.
230
Sono vecchi, i re del mondo:
eredi, non ne avranno.
I figli, muoiono ancora fanciulli;
e le pallide figlie, la malate corone
alla violenza le hanno date.
La plebe, un po’, ne fa denaro,
e colui che adesso domina nel mondo
le fonde dentro il fuoco e ne fa macchine
che servono con ira il suo volere;
eppure, la felicità non è con loro.
Ha nostalgia di casa il bronzo. Abbandonarle,
vuole, le monete, le ruote
che gli insegnano una vita così piccola.
E dalle fabbriche, dalle casse,
nelle vene ancora degli aperti monti
vuole ritornare: chiudersi
sapranno dietro a lui.
231
25
Alles wird wieder groß sein und gewaltig.
Die Lande einfach und die Wasser faltig,
die Bäume riesig und sehr klein die Mauern;
und in den Tälern, stark und vielgestaltig,
ein Volk von Hirten und von Ackerbauern.
Und keine Kirchen, welche Gott umklammern
wie einen Flüchtling und ihn dann bejammern
wie ein gefangenes und wundes Tier, –
die Häuser gastlich allen Einlaßklopfern
und ein Gefühl von unbegrenztem Opfern
in allem Handeln und in dir und mir.
Kein Jenseitswarten und kein Schaun nach drüben,
nur Sehnsucht, auch den Tod nicht zu entweihn
und dienend sich am Irdischen zu üben,
um seinen Händen nicht mehr neu zu sein.
232
Tutto sarà grande, e avrà potenza.
Semplice la terra, e l’acqua tutta rughe;
altissime le piante; le mura, invece, così piccole;
e nelle valli, forte, in tante forme,
di pastori un popolo, e di coltivatori.
Nessuna chiesa, invece, attorno a Dio,
come si bracca uno che fugge e lo si piange, poi,
come una bestia imprigionata e già ferita –
e case pronte ad ogni ospite che bussi,
e uno spirito d’offerta senza limiti
in ogni cosa fatta, e in me e in te.
Non attesa né sguardo a ciò che è oltre,
ma desiderio, invece, di nulla profanare: nemmeno
la morte; farsi servi, piuttosto, della terra:
non più trovarsi nuovi alle sue mani.
233
26
Auch du wirst groß sein. Größer noch als einer,
der jetzt schon leben muß, dich sagen kann.
Viel ungewöhnlicher und ungemeiner
und noch viel älter als ein alter Mann.
Man wird dich fühlen: daß ein Duften ginge
aus eines Gartens naher Gegenwart;
und wie ein Kranker seine liebsten Dinge
wird man dich lieben ahnungsvoll und zart.
Es wird kein Beten geben, das die Leute
zusammenschart. Du bist nicht im Verein;
und wer dich fühlte und sich an dir freute,
wird wie der Einzige auf Erden sein:
Ein Ausgestoßener und ein Vereinter,
gesammelt und vergeudet doch zugleich;
ein Lächelnder und doch ein Halbverweinter,
klein wie ein Haus und mächtig wie ein Reich.
234
Anche tu ti farai grande. Grande più di quanto un
uomo,
che adesso debba vivere, possa mai davvero dirti.
Immenso e inaspettato, molto più;
e ben più vecchio di un uomo che lo sia.
Potremo percepirti, se venisse un profumo
dalla presenza vicina d’un giardino;
come un malato le sue cose amate,
così potremo amarti: delicatamente presentendo.
Non preghiere ci saranno, che la gente
ammassino. Non esisti, tu, nel radunarsi;
e chi poté sentirti, e per te provò la gioia,
sarà su questa terra come l’unico:
come uno che viene ripudiato e insieme accolto,
riunito e dissipato al tempo stesso;
uno che sorride, eppure quasi piange;
piccolo come una casa; potente come un regno.
235
27
Es wird nicht Ruhe in den Häusern, sei’s
daß einer stirbt und sie ihn weitertragen,
sei es daß wer auf heimliches Geheiß
den Pilgerstock nimmt und den Pilgerkragen,
um in der Fremde nach dem Weg zu fragen,
auf welchem er dich warten weiß.
Die Straßen werden derer niemals leer,
die zu dir wollen wie zu jener Rose,
die alle tausend Jahre einmal blüht.
Viel dunkles Volk und beinah Namenlose,
und wenn sie dich erreichen, sind sie müd.
Aber ich habe ihren Zug gesehn;
und glaube seither, daß die Winde wehn
aus ihren Mänteln, welche sich bewegen,
und stille sind wenn sie sich niederlegen –:
so groß war in den Ebenen ihr Gehn.
236
Non ci sarà pace nelle case, sia
che muoia, uno, e fuori lo trasportino, sia
che un altro, per un intimo comando, il bordone
prenda, e il colletto che distingue il pellegrino,
e lontano vada, alla ricerca del sentiero
sul quale sa che te potrà aspettare.
Per lui, le strade mai saranno vuote –
quelle di chi vuol venire a te come una rosa
che fiorisca in un millennio solo un giorno.
Popolo di tenebra, e quasi senza nome;
e quando t’ha raggiunto, ormai, è stanco.
Ma ho visto il loro slancio;
da allora, credo che soffino i venti
dai loro mantelli, quando li distendono,
e siano quieti, invece, quando essi li ripongono –:
il loro andare: così grande la pianura lo avvertiva.
237
28
So möcht ich zu dir gehn: von fremden Schwellen
Almosen sammelnd, die mich ungern nähren.
Und wenn der Wege wirrend viele wären,
so würd ich mich den Ältesten gesellen.
Ich würde mich zu kleinen Greisen stellen,
und wenn sie gingen, schaut ich wie im Traum,
daß ihre Kniee aus der Bärte Wellen
wie Inseln tauchen, ohne Strauch und Baum.
Wir überholten Männer, welche blind
mit ihren Knaben wie mit Augen schauen,
und Trinkende am Fluß und müde Frauen
und viele Frauen, welche schwanger sind.
Und alle waren mir so seltsam nah, –
als ob die Männer einen Blutsverwandten,
die Frauen einen Freund in mir erkannten,
und auch die Hunde kamen, die ich sah.
238
Così vorrei venire a te: elemosine di soglie
straniere raccogliendo, che mi diano controvoglia
il nutrimento. E quando le vie divengon tante,
confondendosi,
io solo mi accompagnerei con i più vecchi.
Ai vegliardi minuti mi porrei vicino,
e mentre vanno, come in sogno vedrei
che i ginocchi loro affiorano dalle onde della barba,
come isole, senza un albero né arbusto.
Oltrepassammo uomini che, ciechi,
con i loro figli guardavano, come con occhi,
e altri che bevevano nel fiume, e donne stanche,
e molte altre che attendevano bambini.
E tutti, per me, così stranamente erano vicini –
come se fossi un consanguineo per gli uomini,
e le donne in me riconoscessero un amico;
e anche i cani vennero: li vidi.
239
29
Du Gott, ich möchte viele Pilger sein,
um so, ein langer Zug, zu dir zu gehn,
und um ein großes Stück von dir zu sein:
du Garten mit den lebenden Alleen.
Wenn ich so gehe wie ich bin, allein, –
wer merkt es denn? Wer sieht mich zu dir gehn?
Wen reißt es hin? Wen regt es auf, und wen
bekehrt es dir?
Als wäre nichts geschehn,
– lachen sie weiter. Und da bin ich froh,
daß ich so gehe wie ich bin; denn so
kann keiner von den Lachenden mich sehn.
240
Tu, Dio: vorrei essere, io, tanti pellegrini,
e così venire a te, in lunga processione,
ed essere di te una parte:
tu, giardino i cui viali sono vivi.
Se me ne vado, solo, come sono –
chi può mai notarlo? Chi è che vede me che vengo a te?
Chi ne resta estasiato? Chi commosso? Chi
converto a te?
Come se nulla fosse accaduto –
ridono ancora. Eppure, io sono felice,
perché è così che vado: come sono; e dunque,
nessuno tra chi ride può vedermi.
241
30
Bei Tag bist du das Hörensagen,
das flüsternd um die Vielen fließt;
die Stille nach dem Stundenschlagen,
welche sich langsam wieder schließt.
Jemehr der Tag mit immer schwächern
Gebärden sich nach Abend neigt,
jemehr bist du, mein Gott. Es steigt
dein Reich wie Rauch aus allen Dächern.
242
Di giorno, sei parola ripetuta
che tra i molti fluisce bisbigliando:
il silenzio dopo il battere dell’ora,
che si chiude lentamente su se stesso.
E più il giorno, con più stanchi gesti sempre,
alla sera si avvicina,
più tu sei, mio Dio. Il tuo regno
da ogni tetto s’innalza come fumo.
243
31
Ein Pilgermorgen. Von den harten Lagern,
auf das ein jeder wie vergiftet fiel,
erhebt sich bei dem ersten Glockenspiel
ein Volk von hagern Morgensegen-Sagern,
auf das die frühe Sonne niederbrennt:
Bärtige Männer, welche sich verneigen,
Kinder, die ernsthaft aus den Pelzen steigen,
und in den Mänteln, schwer von ihrem Schweigen,
die braunen Fraun von Tiflis und Taschkent.
Christen mit den Gebärden des Islam
sind um die Brunnen, halten ihre Hände
wie flache Schalen hin, wie Gegenstände,
in die die Flut wie eine Seele kam.
Sie neigen das Gesicht hinein und trinken,
reißen die Kleider auf mit ihrer Linken
und halten sich das Wasser an die Brust
als wärs ein kühles weinendes Gesicht,
das von den Schmerzen auf der Erde spricht.
Und diese Schmerzen stehen rings umher
mit welken Augen; und du weißt nicht wer
sie sind und waren. Knechte oder Bauern,
vielleicht Kaufleute, welche Wohlstand sahn,
vielleicht auch laue Mönche, die nicht dauern,
und Diebe, die auf die Versuchung lauern,
offene Mädchen, die verkümmert kauern,
und Irrende in einem Wald von Wahn –:
alle wie Fürsten, die in tiefem Trauern
die Überflüsse von sich abgetan.
244
Un mattino di pellegrini. Dai ruvidi giacigli
sui quali ciascuno cadde come avvelenato,
al primo suono di campana sorge
un popolo scarno, e benedice il mattino,
come se l’avesse il primo sole incenerito:
uomini barbuti, che s’inchinano,
bambini che s’alzano solenni dalle pelli,
e nei mantelli, pesanti del proprio tacere,
le scure donne di Tilis e Taskent.
Cristiani con i gesti dell’Islam
sono attorno alle fontane, distendono le mani
come piane tazze: come cose
in cui giungeva il getto come un’anima.
Chinano il viso verso il basso e bevono,
dischiudono le vesti con la mano sinistra
e portano l’acqua al proprio petto,
come se fosse un chiaro volto in pianto
che racconta dei dolori del mondo.
E stanno intorno, in cerchio, questi dolori,
con appassiti occhi: e tu non sai chi fossero,
chi siano. Servi o contadini,
mercanti, forse che videro ricchezza,
o monaci deboli, che non seppero resistere,
e ladri, che spiano l’occasione;
e ragazze che si offrirono: sfiorite si rannicchiano:
a chi vaga in una selva di pazzia;
come principi, tutti, che in profondo
dolore del superfluo si siano liberati.
245
Wie Weise alle, welche viel erfahren,
Erwählte, welche in der Wüste waren,
wo Gott sie nährte durch ein fremdes Tier;
Einsame, die durch Ebenen gegangen
mit vielen Winden an den dunklen Wangen,
von einer Sehnsucht fürchtig und befangen
und doch so wundersam erhöht von ihr.
Gelöste aus dem Alltag, eingeschaltet
in große Orgeln und in Chorgesang,
und Knieende, wie Steigende gestaltet;
Fahnen mit Bildern, welche lang
verborgen waren und zusammgefaltet:
Jetzt hängen sie sich langsam wieder aus.
Und manche stehn und schaun nach einem Haus,
darin die Pilger, welche krank sind, wohnen;
denn eben wand sich dort ein Mönch heraus,
die Haare schlaff und die Sutane kraus,
das schattige Gesicht voll kranker Blaus
und ganz verdunkelt von Dämonen.
Er neigte sich, als bräch er sich entzwei,
und warf sich in zwei Stücken auf die Erde,
die jetzt an seinem Munde wie ein Schrei
zu hängen schien und so als sei
sie seiner Arme wachsende Gebärde.
Und langsam ging sein Fall an ihm vorbei.
Er flog empor, als ob er Flügel spürte,
und sein erleichtertes Gefühl verführte
ihn zu dem Glauben seiner Vogelwerdung.
Er hing in seinen magern Armen schmal,
246
Come saggi, tutti, che molto abbiano appreso,
prescelti che nel deserto sono stati
dove li ha nutriti Dio di carni sconosciute;
solitari, che attraversano pianure
con molti venti contro le scurite guance,
da uno struggimento tratti in ansia, catturati,
eppure, da lui così meravigliosamente resi grandi.
Sciolti dalla vita quotidiana, resi parte
di grandi organi, di cori,
lì a inginocchiarsi, come a darsi una forma verso l’alto;
bandiere con immagini, che a lungo
giacquero nascoste, ripiegate:
lentamente, adesso, dispiegano se stessi.
E si fermano alcuni, e gettano uno sguardo
a una casa: i pellegrini malati abitano là;
proprio adesso un monaco ne è uscito,
coi capelli flosci e la veste trasandata,
il viso ombroso d’un malato blu ricolmo,
completamente reso scuro dai demoni.
Si chinò, come se in due si frantumasse,
e si gettò così, in due pezzi, sulla terra,
che alla tua bocca adesso come un grido
pareva stare appesa, come se fosse
un gesto, lui, delle sue braccia e ingigantisse
E lentamente il suo cadere gli andò accanto.
Volò in alto, come accorgendosi di ali,
e il sentimento della leggerezza lo condusse
alla fede d’essere un uccello.
Esile, alle sue scarne braccia stava appeso,
247
wie eine schiefgeschobne Marionette,
und glaubte, daß er große Schwingen hätte
und daß die Welt schon lange wie ein Tal
sich ferne unter seinen Füßen glätte.
Ungläubig sah er sich mit einem Mal
herabgelassen auf die fremde Stätte
und auf den grünen Meergrund seiner Qual.
Und war ein Fisch und wand sich schlank und schwamm
durch tiefes Wasser, still und silbergrau,
sah Quallen hangen am Korallenstamm
und sah die Haare einer Meerjungfrau,
durch die das Wasser rauschte wie ein Kamm.
Und kam zu Land und war ein Bräutigam
bei einer Toten, wie man ihn erwählt
damit kein Mädchen fremd und unvermählt
des Paradieses Wiesenland beschritte.
Er folgte ihr und ordnete die Tritte
und tanzte rund, sie immer in der Mitte,
und seine Arme tanzten rund um ihn.
Dann horchte er, als wäre eine dritte
Gestalt ganz sachte in das Spiel getreten,
die diesem Tanzen nicht zu glauben schien.
Und da erkannte er: jetzt mußt du beten;
denn dieser ist es, welcher den Propheten
wie eine große Krone sich verliehn.
Wir halten ihn, um den wir täglich flehten,
wir ernten ihn, den einstens Ausgesäeten,
und kehren heim mit ruhenden Geräten
in langen Reihen wie in Melodien.
Und er verneigte sich ergriffen, tief.
Aber der Alte war, als ob er schliefe,
und sah es nicht, obwohl sein Aug nicht schlief.
248
come un’inclinata marionetta,
e credeva di avere grandi ali
e che il mondo già da tempo, come valle,
sotto i suoi piedi, lontano scivolasse.
Si vide inaspettatamente, di schianto,
piombare su di un luogo sconosciuto,
sul marino fondo verde della sua tribolazione.
Era un pesce e andava rapido, e nuotava
dentro la profonda acqua, silenzioso, grigio-argenteo,
e meduse vide agli steli dei coralli,
e i cappelli vide d’una sirena,
tra i quali l’acqua mormorava come un pettine.
E venne a riva, e fu lo sposo
d’una morta: l’avevano scelto perché
non una fanciulla percorresse sola,
mai sposata, i prati del Paradiso.
La seguì, e dispose i propri passi,
e danzò in cerchio – lei sempre nel mezzo –
e le sue braccia gli danzavano all’intorno.
E gli sembrò che ci fosse una terza persona
ch’era entrata nel gioco a poco a poco,
e non mostrava di credere a quel ballo.
Subito, la riconobbe: devi pregare, adesso;
egli è colui che rivelò se stesso
come corona grande ai suoi profeti.
Noi lo tratteniamo: ogni giorno l’abbiamo supplicato;
noi lo raccogliamo: un tempo, l’abbiamo seminato:
e a casa ritorniamo con gli attrezzi fatti quieti,
in lunghe file, come in melodie.
Commosso si prostrò, profondamente.
Ma il vecchio era come se dormisse,
e non lo vide, benché i suoi occhi non dormissero.
249
Und er verneigte sich in solche Tiefe,
daß ihm ein Zittern durch die Glieder lief.
Aber der Alte ward es nicht gewahr.
Da faßte sich der kranke Mönch am Haar
und schlug sich wie ein Kleid an einen Baum.
Aber der Alte stand und sah es kaum.
Da nahm der kranke Mönch sich in die Hände
wie man ein Richtschwert in die Hände nimmt,
und hieb und hieb, verwundete die Wände
und stieß sich endlich in den Grund ergrimmt.
Aber der Alte blickte unbestimmt.
Da riß der Mönch sein Kleid sich ab wie Rinde
und knieend hielt er es dem Alten hin.
Und sieh: er kam. Kam wie zu einem Kinde
und sagte sanft: Weißt du auch wer ich bin?
Das wußte er. Und legte sich gelinde
dem Greis wie eine Geige unters Kinn.
250
Ed egli si prostrò così profondamente,
che un tremito passò tra le sue membra.
Il vecchio, però, non se ne accorse.
Il monaco malato, allora, afferrò i propri capelli,
e si gettò come una veste contro un albero.
Ma il vecchio stava lì: vedeva appena.
Prese allora il monaco malato se stesso nelle mani,
come si prende nelle mani la spada d’un boia,
e colpì, colpì, ferì le pareti,
e si gettò alla fine a terra, in preda all’ira.
Ma il vecchio vagamente lo sbirciava.
Il monaco, allora, lacerò la propria veste,
genuflesse e l’offrì al vecchio.
E vide: s’avvicinava. Venne come incontro a un bimbo,
e disse con dolcezza: Anche tu sai chi io sono?
Lo sapeva. E lievemente al vecchio s’appoggiò:
come un violino, sotto il mento.
251
32
Jetzt reifen schon die roten Berberitzen,
alternde Astern atmen schwach im Beet.
Wer jetzt nicht reich ist, da der Sommer geht,
wird immer warten und sich nie besitzen.
Wer jetzt nicht seine Augen schließen kann,
gewiß, daß eine Fülle von Gesichten
in ihm nur wartet bis die Nacht begann,
um sich in seinem Dunkel aufzurichten: –
der ist vergangen wie ein alter Mann.
Dem kommt nichts mehr, dem stößt kein Tag mehr zu,
und alles lügt ihn an, was ihm geschieht;
auch du, mein Gott. Und wie ein Stein bist du,
welcher ihn täglich in die Tiefe zieht.
252
Già i crespini rossi si maturano,
e gli astri invecchiati, nell’aiuola, respirano appena.
Chi non è ricco ancora, adesso che l’estate se ne va,
sempre aspetterà, e mai avrà se stesso.
Chi gli occhi, adesso non può chiudere –
è sicuro che una moltitudine di volti
in lui soltanto attenda che la notte inizi
per ergersi nel buio tutto intorno –
come un vecchio, ormai, è già trascorso.
Nulla più gli giunge, e nessun giorno più lo tocca,
e tutto ciò che incontra, ormai, gli mente:
anche, tu, mio Dio. E come pietra sei,
che ogni giorno lo trascina giù nel fondo.
253
33
Du mußt nicht bangen, Gott. Sie sagen: mein
zu allen Dingen, die geduldig sind.
Sie sind wie Wind, der an die Zweige streift
und sagt: mein Baum.
Sie merken kaum,
wie alles glüht, was ihre Hand ergreift, –
so daß sie’s auch an seinem letzten Saum
nicht halten könnten ohne zu verbrennen.
Sie sagen mein, wie manchmal einer gern
den Fürsten Freund nennt im Gespräch mit Bauern,
wenn dieser Fürst sehr groß ist und – sehr fern.
Sie sagen mein von ihren fremden Mauern
und kennen gar nicht ihres Hauses Herrn.
Sie sagen mein und nennen das Besitz,
wenn jedes Ding sich schließt, dem sie sich nahn,
so wie ein abgeschmackter Charlatan
vielleicht die Sonne sein nennt und den Blitz.
So sagen sie: mein Leben, meine Frau,
mein Hund, mein Kind, und wissen doch genau,
daß alles: Leben, Frau und Hund und Kind
fremde Gebilde sind, daran sie blind
mit ihren ausgestreckten Händen stoßen.
Gewißheit freilich ist das nur den Großen,
die sich nach Augen sehnen. Denn die Andern
wollens nicht hören, daß ihr armes Wandern
mit keinem Dinge rings zusammenhängt,
daß sie, von ihrer Habe fortgedrängt,
nicht anerkannt von ihrem Eigentume
das Weib so wenig haben wie die Blume,
die eines fremden Lebens ist für alle.
254
Non devi stare in ansia, Dio. Dicono: mio –
alle cose, tutte; ed esse portano pazienza.
Come il vento, sono, che sfiora appena i rami
e dice: albero, mio.
Sì o no che s’accorgano
di come s’arroventi tutto ciò che la mano loro afferra –
così che neanche al lembo estremo
possono tenerlo senza averne fiamme.
Dicono mio così come talvolta, volentieri, qualcuno
chiama amico il principe quando conversa con i
contadini,
benché sia grande, il principe – e molto lontano.
Dicono miei dei loro estranei muri;
eppure, non conoscono il padrone delle loro case.
Dicono mie, e lo chiamano possesso,
benché si chiuda in sé ogni cosa al loro avvicinarsi;
così uno sciocco ciarlatano
dice suo del sole, forse, e della folgore.
Così, essi dicono: mia vita, mia donna,
mio cane, mio bambino; pure, già sanno che tutto ciò –
vita, donna, cane e bambino – è fatto di straniere
immagini: ciechi,
con protese mani vi si scontrano.
Solo i grandi hanno certezze, e veramente
desiderano occhi. Gli altri, invece,
non vogliono sentire come il loro misero vagare
nulla abbia in comune con le cose;
che loro, del loro avere resi privi,
dai possessi loro non riconosciuti,
una donna così poco la possiedono! Come il fiore,
255
Falle nicht, Gott, aus deinem Gleichgewicht.
Auch der dich liebt und der dein Angesicht
erkennt im Dunkel, wenn er wie ein Licht
in deinem Atem schwankt, – besitzt dich nicht.
Und wenn dich einer in der Nacht erfaßt,
so daß du kommen mußt in sein Gebet:
Du bist der Gast,
der wieder weiter geht.
Wer kann dich halten, Gott? Denn du bist dein,
von keines Eigentümers Hand gestört,
so wie der noch nicht ausgereifte Wein,
der immer süßer wird, sich selbst gehört.
256
che per tutti ha un’altra vita, estranea a tutti.
Non cadere, Dio, dal tuo equilibrio.
Neanche chi ti ama – o chi nel buio
riconosce il tuo profilo, e come un lume
ondeggia dentro il tuo respiro – neanch’egli ti
possiede.
E se t’afferra uno nella notte,
così che debba giungere, tu, nel suo pregare:
tu sei l’ospite,
che ancora e ancora se ne va.
Chi, Dio, può trattenerti? Perché sei tuo,
né la mano di nessuno che ti voglia può turbarti;
come il vino non maturo ancora,
appartiene a se stesso solamente, più e più dolce.
257
34
In tiefen Nächten grab ich dich, du Schatz.
Denn alle Überflüsse, die ich sah,
sind Armut und armsäliger Ersatz
für deine Schönheit, die noch nie geschah.
Aber der Weg zu dir ist furchtbar weit
und, weil ihn lange keiner ging, verweht.
O du bist einsam. Du bist Einsamkeit,
du Herz, das zu entfernten Talen geht.
Und meine Hände, welche blutig sind
vom Graben, heb ich offen in den Wind,
so daß sie sich verzweigen wie ein Baum.
Ich sauge dich mit ihnen aus dem Raum
als hättest du dich einmal dort zerschellt
in einer ungeduldigen Gebärde,
und fielest jetzt, eine zerstäubte Welt,
aus fernen Sternen wieder auf die Erde
sanft wie ein Frühlingsregen fällt.
258
È te che scavo: tu, tesoro – nella profondità delle notti.
Perché tutte le abbondanze, io l’ho visto,
sono miseria, e un sostituto misero
della tua bellezza, che ancora non accadde.
Ma il sentiero verso te terribilmente è lungo ancora,
e già scompare, perché nessuno ne percorre la
lunghezza.
Oh, sei solo, tu! Tu sei solitudine,
tu cuore, che verso valli lontane muove il passo.
E le mie mani, che lo scavare ha reso
sanguinanti, nel vento spesso io le alzo,
così che diano in rami come un albero.
Con loro io ti suggo dallo spazio
come se te stesso avessi frantumato, un tempo,
proprio tu col tuo impaziente gesto,
e cadessi, ora, mondo tu ridotto a polvere,
da lontane stelle ancora sulla terra,
docilmente come cade una pioggia in primavera.
259
III. IL LIBRO DELLA POVERTÀ
E DELLA MORTE
(III. Das Buch von der Armut und vom Tode)
1
Vielleicht, daß ich durch schwere Berge gehe
in harten Adern, wie ein Erz allein;
und bin so tief, daß ich kein Ende sehe
und keine Ferne: alles wurde Nähe
und alle Nähe wurde Stein.
Ich bin ja noch kein Wissender im Wehe, –
so macht mich dieses große Dunkel klein;
bist Du es aber: mach dich schwer, brich ein:
daß deine ganze Hand an mir geschehe
und ich an dir mit meinem ganzen Schrein.
262
Forse, accade che io vada attraverso vene dure
in aspri monti, solo come lo è un metallo;
e sono così profondo, che non vedo fine
né alcuna lontananza: tutto fu vicino,
e ciò che fu vicino fu di pietra.
Non sono ancora esperto nella pena –
così piccolo mi rende il buio immenso!
Ma Tu lo sei: fatti pesante, irrompi!
Mi si mostri per intero la tua mano
e io a te, con tutto il mio invocare.
263
2
Du Berg, der blieb da die Gebirge kamen, –
Hang ohne Hütten, Gipfel ohne Namen,
ewiger Schnee, in dem die Sterne lahmen,
und Träger jener Tale der Cyclamen,
aus denen aller Duft der Erde geht;
du, aller Berge Mund und Minaret
(von dem noch nie der Abendruf erschallte):
Geh ich in dir jetzt? Bin ich im Basalte
wie ein noch ungefundenes Metall?
Ehrfürchtig füll ich deine Felsenfalte,
und deine Härte fühl ich überall.
Oder ist das die Angst, in der ich bin?
die tiefe Angst der übergroßen Städte,
in die du mich gestellt hast bis ans Kinn?
O daß dir einer recht geredet hätte
von ihres Wesens Wahn und Abersinn.
Du stündest auf, du Sturm aus Anbeginn,
und triebest sie wie Hülsen vor dir hin...
Und willst du jetzt von mir: so rede recht, –
so bin ich nichtmehr Herr in meinem Munde,
der nichts als zugehn will wie eine Wunde;
und meine Hände halten sich wie Hunde
an meinen Seiten, jedem Ruf zu schlecht.
Du zwingst mich, Herr, zu einer fremden Stunde.
264
Tu, montagna che fu immobile quando i monti sorsero –
crinale senza baite, cima senza nomi,
eterna neve a cui s’appoggiano le stelle,
tu che alle valli di ciclamini dai sostegno
(da lei si spande sulla terra ogni profumo),
tu, bocca di tutte le montagne e minareto
(dal quale mai preghiera della sera risuonò):
in te cammino, adesso? Nel basalto sono,
come un metallo non ancora ritrovato?
Con tremore, le pieghe della tua roccia rendo piene
di me stesso, e la tua durezza avverto in ogni punto.
O è l’angoscia, questa, in cui mi trovo?
La profonda angoscia delle città sovrabbondanti:
in lei tu m’hai confitto fino al mento.
Oh, se qualcuno in verità t’avesse detto
del loro vano esistere, e folle,
ti saresti innalzato, tempesta tu che è dall’inizio,
e le avresti spazzate via come baccelli...
Tu vuoi da me qualcosa ancora: dillo apertamente, –
nella mia bocca io non sono più signore,
ed essa più non vuole chiudersi, come farebbe invece
una ferita:
come cani stanno le mie mani, e puntano
ai miei fianchi, e a nulla serve il mio richiamo.
Tu mi forzi, Signore, a un’ora estranea.
265
3
Mach mich zum Wächter deiner Weiten,
mach mich zum Horchenden am Stein,
gieb mir die Augen auszubreiten
auf deiner Meere Einsamsein;
laß mich der Flüsse Gang begleiten
aus dem Geschrei zu beiden Seiten
weit in den Klang der Nacht hinein.
Schick mich in deine leeren Länder,
durch die die weiten Winde gehn,
wo große Klöster wie Gewänder
um ungelebte Leben stehn.
Dort will ich mich zu Pilgern halten,
von ihren Stimmen und Gestalten
durch keinen Trug mehr abgetrennt,
und hinter einem blinden Alten
des Weges gehn, den keiner kennt.
266
Delle tue vastità fammi guardiano,
fammi ascoltatore attento della pietra,
donami di aprire bene gli occhi
su quanto i tuoi mari siano soli;
lascia che accompagni lo scorrere dei fiumi
dall’esultanza di una riva e l’altra
fin dentro il suono della notte, lungamente.
Manda me nei tuoi deserti territori,
là dove vanno i grandi venti,
dove grossi chiostri, come vesti,
si levano d’intorno a vite mai vissute.
Là voglio fermarmi con i pellegrini,
senza più nessun inganno a separarmi
dalle loro voci e figure,
e dietro un vecchio cieco anch’io vorrei
per un sentiero andare, che nessuno sa.
267
4
Denn, Herr, die großen Städte sind
verlorene und aufgelöste;
wie Flucht vor Flammen ist die größte, –
und ist kein Trost, daß er sie tröste,
und ihre kleine Zeit verrinnt.
Da leben Menschen, leben schlecht und schwer,
in tiefen Zimmern, bange von Gebärde,
geängsteter denn eine Erstlingsherde;
und draußen wacht und atmet deine Erde,
sie aber sind und wissen es nicht mehr.
Da wachsen Kinder auf an Fensterstufen,
die immer in demselben Schatten sind,
und wissen nicht, daß draußen Blumen rufen
zu einem Tag voll Weite, Glück und Wind, –
und müssen Kind sein und sind traurig Kind.
Da blühen Jungfraun auf zum Unbekannten
und sehnen sich nach ihrer Kindheit Ruh;
das aber ist nicht da, wofür sie brannten,
und zitternd schließen sie sich wieder zu.
Und haben in verhüllten Hinterzimmern
die Tage der enttäuschten Mutterschaft,
der langen Nächte willenloses Wimmern
und kalte Jahre ohne Kampf und Kraft.
Und ganz im Dunkel stehn die Sterbebetten,
und langsam sehnen sie sich dazu hin;
und sterben lange, sterben wie in Ketten
und gehen aus wie eine Bettlerin.
268
Perché, Signore, le città grandi
sono smarrite e stravolte;
come fuga dalle fiamme è la più grande, –
e non c’è sollievo alcuno, che le possa sollevare,
e il loro tempo, piccolo, va oltre.
Uomini ci vivono, e malamente vivono, a fatica,
in buie camere, impauriti già nei gesti,
più spaventati d’un gregge d’agnelli;
e fuori, là, la terra tua sta sveglia, e respira,
ma loro esistono, e più non lo sanno.
Là crescono bambini, per finestre e scale
sempre avvolte nella propria stessa ombra,
e non sanno che là fuori i fiori chiamano
a un giorno tutto spazio, e gioia e vento, –
e dovrebbero essere bambini: ma è con tristezza che
lo sono.
Là, giovinette fioriscono per sconosciuti uomini,
intensamente vogliono la pace della loro infanzia;
ma non c’è, non là, ciò per cui arsero;
e, tremanti, nuovamente si chiudono in se stesse.
Hanno, nelle loro camere segrete,
della maternità i delusi giorni,
il gemere delle lunghe notti, involontario,
e freddi anni senza lotta e senza forza.
In pieno buio, vi sono letti pronti per la morte,
e lentamente è proprio là che stanno andando;
a lungo muoiono, come incatenate,
e come mendicanti vanno intorno.
269
5
Da leben Menschen, weißerblühte, blasse,
und sterben staunend an der schweren Welt.
Und keiner sieht die klaffende Grimasse,
zu der das Lächeln einer zarten Rasse
in namenlosen Nächten sich entstellt.
Sie gehn umher, entwürdigt durch die Müh,
sinnlosen Dingen ohne Mut zu dienen,
und ihre Kleider werden welk an ihnen,
und ihre schönen Hände altern früh.
Die Menge drängt und denkt nicht sie zu schonen,
obwohl sie etwas zögernd sind und schwach, –
nur scheue Hunde, welche nirgends wohnen,
gehn ihnen leise eine Weile nach.
Sie sind gegeben unter hundert Quäler,
und, angeschrien von jeder Stunde Schlag,
kreisen sie einsam um die Hospitäler
und warten angstvoll auf den Einlaßtag.
Dort ist der Tod. Nicht jener, dessen Grüße
sie in der Kindheit wundersam gestreift, –
der kleine Tod, wie man ihn dort begreift;
ihr eigener hängt grün und ohne Süße
wie eine Frucht in ihnen, die nicht reift.
270
Vivono uomini, là, imbiancati, impalliditi,
e muoiono meravigliandosi per quanto il mondo sia
pesante.
E nessuno può vedere la smorfia dilatata
là dove il sorriso d’una razza che fu fine
in notti senza nome si sfigura.
Intorno vanno, umiliati dalla pena,
a servire cose assurde, senza più coraggio alcuno,
e l’abito su loro si fa vizzo,
e presto invecchiano le loro belle mani.
Preme la folla, non pensa a salvarli,
benchè qualcosa siano di debole, esitante, –
cani timidi soltanto, che non han casa da nessun parte,
per un poco, lentamente, gli van dietro.
A cento supplizi sono destinati,
e, aggrediti dal rintocco d’ogni ora,
solitari vanno intorno agli ospedali, e attendono
nell’ansia il giorno in cui dovranno entrarvi.
Là c’è la morte. Non quella, il cui saluto
li sfiorò mirabilmente nell’infanzia, –
la morte piccola, come lì vicino a loro si capiva;
la loro, invece, pende ancora verde, senza succo:
come un frutto in loro, che ancora non matura.
271
6
O Herr, gieb jedem seinen eignen Tod.
Das Sterben, das aus jenem Leben geht,
darin er Liebe hatte, Sinn und Not.
272
Signore, da’ a ciascuno la sua giusta morte.
Quel venir meno che procede da una vita
in cui ha avuto amore, e ancora conoscenza e pena.
273
7
Denn wir sind nur die Schale und das Blatt.
Der große Tod, den jeder in sich hat,
das ist die Frucht, um die sich alles dreht.
Um ihretwillen heben Mädchen an
und kommen wie ein Baum aus einer Laute,
und Knaben sehnen sich um sie zum Mann;
und Frauen sind den Wachsenden Vertraute
für Ängste, die sonst niemand nehmen kann.
Um ihretwillen bleibt das Angeschaute
wie Ewiges, auch wenn es lang verrann, –
und jeder, welcher bildete und baute,
ward Welt um diese Frucht, und fror und taute
und windete ihr zu und schien sie an.
In sie ist eingegangen alle Wärme
der Herzen und der Hirne weißes Glühn –:
Doch deine Engel ziehn wie Vogelschwärme,
und sie erfanden alle Fruchte grün.
274
Perché noi siamo buccia solamente, siamo foglia.
La morte grande, che ciascuno porta in sé,
è il frutto attorno al quale tutto in cerchio si dispone.
Per lui, le fanciulle crescono,
e come un albero s’innalzano da un liuto,
e per loro bramano i fanciulli di riuscire a farsi uomini;
alle donne, crescendo, confidano le angosce
che nessun altro saprebbe sostenere.
Per lui, ciò che vedemmo resta
come eterno, anche se da tempo se n’è andato, –
e ciascuno, che dipinse o costruì, divenne mondo
attorno
a questo frutto, e si gelò e si sciolse,
e s’intrecciò ad esso: gli diede luce.
In lui è andato ogni calore
del cuore, e l’ardore bianco del cervello –:
i tuoi angeli, però, come uno stormo d’uccelli
l’oltrepassano, e verdi tutti i frutti hanno trovato.
275
8
Herr: Wir sind armer denn die armen Tiere,
die ihres Todes enden, wennauch blind,
weil wir noch alle ungestorben sind.
Den gieb uns, der die Wissenschaft gewinnt,
das Leben aufzubinden in Spaliere,
um welche zeitiger der Mai beginnt.
Denn dieses macht das Sterben fremd und schwer,
daß es nicht unser Tot ist; einer der
uns endlich nimmt, nur weil wir keinen reifen.
Drum geht ein Sturm, uns alle abzustreifen.
Wir stehn in deinem Garten Jahr und Jahr
Und sind die Raume, süßen Tod zu tragen;
aber wir altern in den Erntetagen,
und so wie Frauen, welche du geschlagen,
sind wir verschlossen, schlecht und Unfruchtbar.
Oder ist meine Hoffahrt ungerecht:
sind Bäume besser? Sind wir nur Geschlecht
und Schooß von Frauen, welche viel gewähren? –
Wir haben mit der Ewigkeit gehurt,
und wenn das Kreißbett da ist, so gebären
wir unsres Todes tote Fehlgeburt;
den krummen, kummervollen Embryo,
der sich (als ob ihn Schreckliches erschreckte)
die Augenkeime mit den Händen deckte
und dem schon auf der ausgebauten Stirne
die Angst von allem steht, was er nicht litt, –
und alle schließen so wie eine Dirne
in Kindbettkrämpfen und am Kaiserschnitt.
276
Signore: siamo poveri, dunque, più dei poveri
animali che, benché ciechi, della propria morte
muoiono: perché ancora noi non siamo morti.
Donaci qualcuno, che il potere ottenga
d’intrecciare la vita ad una pergola
sulla quale al tempo giusto il maggio inizi.
Poiché soltanto questo fa il morire estraneo
e greve, che non è la nostra morte; un’altra
alla fine ci cattura, perché nessuna in noi ne abbiamo
maturata. Una tempesta viene, e tutti a noi ci toglie.
Anno dopo anno, cresciamo nel tuo giardino,
e siamo alberi, che la dolce morte portano;
ma siamo vecchi, al tempo del raccolto,
o come donne, che tu abbia colpite,
e chiusi siamo, cattivi e senza frutto.
È ingiusta, forse, la mia superbia:
gli alberi sono migliori? Siamo solo sesso
e lombi di donne, che ne ebbero molto desiderio? –
Con l’eterno ci siamo accoppiati,
e quando giungono le doglie, partoriamo
il morto aborto della nostra morte;
l’embrione curvo, colmo di dolore,
che da sé (come se terribili realtà lo spaventassero)
coprì i suoi germi d’occhi con le mani,
e già sulla formata fronte porta
angocia per quello che non ha sofferto ancora, –
e tutti muoiono come donnette,
sul letto del parto, al taglio cesareo.
277
9
Mach Einen herrlich, Herr, mach Einen groß,
bau seinem Leben einen schönen Schooß,
und seine Scham errichte wie ein Tor
in einem blonden Wald von jungen Haaren,
und ziehe durch das Glied des Unsagbaren
den Reisigen, den weißen Heeresscharen,
den tausend Samen, die sich sammeln, vor.
Und eine Nacht gieb, daß der Mensch empfinge
was keines Menschen Tiefen noch betrat;
gieb eine Nacht da blühen alle Dinge,
und mach sie duftender als die Syringe
und wiegender denn deines Windes Schwinge
und jubelnder als Josaphat.
Und gieb ihm eines langen Tragens Zeit
und mach ihn weit in wachsenden Gewändern,
und schenk ihm eines Sternes Einsamkeit,
daß keines Auges Staunen ihn beschreit,
wenn seine Züge schmelzend sich verändern.
Erneue ihn mit einer reinen Speise,
mit Tau, mit ungetötetem Gericht,
mit jenem Leben, das wie Andacht leise
und warm wie Atem aus den Feldern bricht.
Mach, daß er seine Kindheit wieder weiß;
das Unbewußte und das Wunderbare
und seiner ahnungsvollen Anfangsjahre
unendlich dunkelreichen Sagenkreis.
278
Uno, Signore, fallo splendido, fallo grande,
crea per la sua vita uno stupendo grembo,
e il suo pudore, innalzalo come una porta
in una bionda foresta di giovani capelli,
e schiera innanzi a lui, ch’è parte dell’indicibile,
la cavalleria, le mille armate,
i mille semi, che tutti si radunano.
E dagli una notte, così che in sé raccolga
ciò che nessun abisso umano mai comprese;
dagli una notte: le cose, tutte, là fioriscano:
più profumate falle dei lillà,
e più ondeggianti delle ali del tuo vento,
ed esultanti più di Josaphat.
E donagli una lunga gravidanza,
e fallo largo in vesti che si estendano;
offrigli la solitudine di un astro;
non lo veda lo stupore di alcun occhio
quando svanendo muterà i suoi tratti.
Con un cibo puro fallo nuovo,
con pietanza immortale o con rugiada,
con la vita – lei che, lieve come una preghiera
o calda come un respiro, sorge libera dai campi.
Fa’ che nuovamente conosca la sua infanzia –
l’inconsapevole, il mirabile –
e dei suoi primi anni colmi di presagio
le infinite saghe, così ricche di tenebra.
279
Und also heiß ihn seiner Stunde warten,
da er den Tod gebären wird, den Herrn:
allein und rauschend wie ein großer Garten,
und ein Versammelter aus fern.
280
E ancora chiamalo, che attenda la sua ora:
l’istante in cui partorirà la morte, sua signora:
sola e frusciante come un giardino grande,
come qualcuno che da lungi a noi si ricongiunga.
281
10
Das letzte Zeichen laß an uns geschehen,
erscheine in der Krone deiner Kraft,
und gieb uns jetzt (nach aller Weiber Wehen)
des Menschen ernste Mutterschaft.
Erfülle, du gewaltiger Gewährer,
nicht jenen Traum der Gottgebärerin, –
richt auf den Wichtigen: den Tod-Gebärer,
und führ uns mitten durch die Hände derer,
die ihn verfolgen werden, zu ihm hin.
Denn sieh, ich sehe seine Widersacher,
und sie sind mehr als Lügen in der Zeit, –
und er wird aufstehn in dem Land der Lacher
und wird ein Träumer heißen: denn ein Wacher
ist immer Träumer unter Trunkenheit.
Du aber gründe ihn in deine Gnade,
in deinem alten Glanze pflanz ihn ein;
und mich laß Tänzer dieser Bundeslade,
laß mich den Mund der neuen Messiade,
den Tönenden, den Täufer sein.
282
Il segno ultimo, lascia che ci avvenga,
mostrati nella corona della tua potenza
e finalmente donaci (dopo tante doglie di donne)
la fiera maternità dei maschi.
Compi, tu che doni con potenza,
ma non quel sogno della Madre di Dio –
volgiti a colui che solo importa: a colui che genera
la morte, e portaci, nel cavo delle mani
di chi vorrà seguirlo, fino a lui.
Ecco, guarda: vedo i suoi nemici,
ed essi sono più che menzogne del tempo, –
e lo diranno un sognatore: perché lo è sempre,
un sognatore, uno che vegli tra chi vive ebbro.
Ma fondalo, tu, nella tua benevolenza,
innestalo nel tuo splendore antico;
e fa’ che danzi, io, per questa arca,
fa’ che sia la bocca del nuovo Messia,
quella che lo canta: il suo Battista.
283
11
Ich will ihn preisen. Wie vor einem Heere
die Hörner gehen, will ich gehn und schrein.
Mein Blut soll lauter rauschen denn die Meere,
mein Wort soll süß sein, daß man sein begehre,
und doch nicht irre machen wie der Wein.
Und in den Frühlingsnächten, wenn nicht viele
geblieben sind um meine Lagerstatt,
dann will ich blühn in meinem Saitenspiele
so leise wie die nördlichen Aprile,
die spät und ängstlich sind um jedes Blatt.
Denn meine Stimme wuchs nach zweien Seiten
und ist ein Duften worden und ein Schrein:
die eine will den Fernen vorbereiten,
die andere muß meiner Einsamkeiten
Gesicht und Seligkeit und Engel sein.
284
Lodarlo, voglio. Come di fronte a una schiera
i corni vanno, voglio andare io e gridare.
Deve ribollire, il mio sangue, più del mare,
la mia parola essere dolce, così che sia desiderata,
ma non rendere folli come il vino.
E nelle notti di primavera, quando non molti
si saranno radunati intorno al mio giaciglio,
allora, io voglio fiorire suonando la mia cetra,
lieve così come gli aprili a settentrione,
che sono tardi e attenti ad ogni foglia.
Poiché in due parti è cresciuta la mia voce,
e un profumo è diventata, e già un gridare:
per chi è lontano, l’una vuole dare annuncio;
l’altra, della mia solitudine dev’essere
il volto, l’angelo, la gioia.
285
12
Und gieb, daß beide Stimmen mich begleiten,
streust du mich wieder aus in Stadt und Angst.
Mit ihnen will ich sein im Zorn der Zeiten,
und dir aus meinem Klang ein Bett bereiten
an jeder Stelle, wo du es verlangst.
286
Concedimi che l’una e l’altra voce mi accompagnino,
tra l’angoscia e la città disperdimi di nuovo.
Con loro voglio essere, nell’ira dei tempi,
e prapararti un letto in ogni luogo,
dove tu vuoi, con il mio suono.
287
13
Die großen Städte sind nicht wahr; sie täuschen
den Tag, die Nacht, die Tiere und das Kind;
ihr Schweigen lügt, sie lügen mit Geräuschen
und mit den Dingen, welche willig sind.
Nichts von dem weiten wirklichen Geschehen,
das sich um dich, du Werdender, bewegt,
geschieht in ihnen. Deiner Winde Wehen
fällt in die Gassen, die es anders drehen,
ihr Rauschen wird im Hin – und Wiedergehen
verwirrt, gereizt und aufgeregt.
Sie kommen auch zu Beeten und Alleen –:
288
Le grandi città non sono veritiere: ingannano
il giorno, la notte, gli animali e il bambino;
mente il loro tacere, e mentono con i rumori
e con le cose, che obbedienti sono.
Nulla del vasto, autentico accadere
che intorno a te si muove, divenire,
accade in loro. L’alitare dei tuoi venti
cade nelle vie, che altrove lo conducono;
il loro mormorare che va e viene
si scompiglia, si irrita e si desta.
Raggiungono le aiuole, anche, e i viali –:
289
14
Denn Gärten sind, – von Königen gebaut,
die eine kleine Zeit sich drin vergnügten
mit jungen Frauen, welche Blumen fügten
zu ihres Lachens wunderlichem Laut.
Sie hielten diese müden Parke wach;
sie flüsterten wie Lüfte in den Büschen,
sie leuchteten in Pelzen und in Plüschen,
und ihrer Morgenkleider Seidenrüschen
erklangen auf dem Kiesweg wie ein Bach.
Jetzt gehen ihnen alle Gärten nach –
und fügen still und ohne Augenmerk
sich in des fremden Frühlings helle Gammen
und brennen langsam mit des Herbstes Flammen
auf ihrer Äste großem Rost zusammen,
der kunstvoll wie aus tausend Monogrammen
geschmiedet scheint zu schwarzem Gitterwerk.
Und durch die Gärten blendet der Palast
(wie blasser Himmel mit verwischtem Lichte),
in seiner Säle welke Bilderlast
versunken wie in innere Gesichte,
fremd jedem Feste, willig zum Verzichte
und schweigsam und geduldig wie ein Gast.
290
Poiché vi sono giardini – da re costruiti,
per darsi gioia un po’ di tempo
con giovani donne; ed esse intrecciavano fiori
sulle loro risate che scrosciavano, meravigliose.
Tenevano desti questi stanchi parchi;
bisbigliavano come brezze nei cespugli,
splendevano nelle pellicce, nei tessuti di felpa,
e il fruscio di seta delle loro mattutine vesti,
sul viottolo, come un ruscello risuonava.
Tutti i giardini, adesso, li inseguono –
e silenziosi s’adattano, senza un cenno d’attenzione,
ai chiari toni di un’estranea primavera,
e lenti bruciano, come le fiamme dell’autunno
sulla grata grande dei loro rami,
come se un artista con mille monogrammi
un cancello nero avesse reso adorno.
Abbaglia il palazzo tra i giardini
(come sbiadito cielo con sfumata luce),
nelle sue sale che, cariche di quadri,
stanno assorte come in intimi pensieri:
estraneo ad ogni festa, pronto alla rinuncia,
silenzioso e, come un ospite, disposto alla pazienza.
291
15
Dann sah ich auch Paläste, welche leben;
sie brüsten sich den schönen Vögeln gleich,
die eine schlechte Stimme von sich geben.
Viele sind reich und wollen sich erheben, –
aber die Reichen sind nicht reich.
Nicht wie die Herren deiner Hirtenvölker,
der klaren, grünen Ebenen Bewölker
wenn sie mit schummerigem Schafgewimmel
darüber zogen wie ein Morgenhimmel.
Und wenn sie lagerten und die Befehle
verklungen waren in der neuen Nacht,
dann wars, als sei jetzt eine andre Seele
in ihrem flachen Wanderland erwacht –:
die dunklen Höhenzüge der Kamele
umgaben es mit der Gebirge Pracht.
Und der Geruch der Rinderherden lag
dem Zuge nach bis in den zehnten Tag,
war warm und schwer und wich dem Wind nicht aus.
Und wie in einem hellen Hochzeitshaus
die ganze Nacht die reichen Weine rinnen:
so kam die Milch aus ihren Eselinnen.
Und nicht wie jene Scheichs der Wüstenstämme,
die nächtens auf verwelktem Teppich ruhten,
aber Rubinen ihren Lieblingsstuten
einsetzen ließen in die Silberkämme.
Und nicht wie jene Fürsten, die des Golds
nicht achteten, das keinen Duft erfand,
292
E palazzi vidi anche, che son vivi;
si danno arie, come fanno alcuni uccelli –
sono belli, ma una cattiva voce traggono da sé.
Molti uomini son ricchi, e vogliono innalzarsi, –
ma i ricchi non sono ricchi.
Non come i signori dei tuoi popoli pastori
che come nuvole passavano su piane verdi e chiare,
quando con greggi brulicanti andavano
oltre, come un cielo mattutino.
E quando si accampavano, e gli ordini
nella nuova notte avevano disperso il loro suono,
così accadeva, come se un’anima diversa,
nella loro piana terra di vagabondaggio, si fosse
destata –:
le gobbe scure dei cammelli
le si facevano intorno con la magnificenza dei monti.
E restava l’odore delle loro mandrie
dopo la partenza fino al decimo giorno,
pesante e caldo, e al vento non si disperdeva.
E come in una casa rischiarata dalla festa
tutta la notte i ricchi vini scorrono:
così veniva il latte dalle loro asine.
E non sono come quegli sceicchi del deserto
che, di notte, su tappeti consunti trovavano riposo
ma rubini ordinavano d’incastonare
per le loro giumente predilette, su pettini d’argento.
E non come quei prìncipi, che in nulla
si curavano dell’oro, perché non manda alcun aroma,
293
und deren stolzes Leben sich verband
mit Ambra, Mandelöl und Sandelholz.
Nicht wie des Ostens weißer Gossudar,
dem Reiche eines Gottes Recht erwiesen;
er aber lag mit abgehärmtem Haar,
die alte Stirne auf des Fußes Fliesen,
und weinte, – weil aus allen Paradiesen
nicht eine Stunde seine war.
Nicht wie die Ersten alter Handelshäfen,
die sorgten, wie sie ihre Wirklichkeit
mit Bildern ohnegleichen überträfen
und ihre Bilder wieder mit der Zeit;
und die in ihres goldnen Mantels Stadt
zusammgefaltet waren wie ein Blatt,
nur leise atmend mit den weißen Schläfen...
Das waren Reiche, die das Leben zwangen
unendlich weit zu sein und schwer und warm.
Aber der Reichen Tage sind vergangen,
und keiner wird sie dir zurückverlangen,
nur mach die Armen endlich wieder arm.
294
e le proprie vite fiere le fasciavano
con ambra e olio di mandorlo, e con sandalo.
Non sono come il bianco Gossudar, l’orientale,
al quale mille regni un decreto divino dispensava:
ma lui giaceva, i capelli scompigliati,
con la fronte anziana al pavimento,
e piangeva, – perché tra tutti i paradisi
nemmeno un’ora sola poteva appartenergli.
Né come i notabili dei porti antichi,
che pensavano a come la realtà, la loro,
con immagini incomparabili potesse essere
trasfigurata,
e poi le immagini, di nuovo, con il tempo;
ed essi, nelle città dei loro mantelli d’oro,
ripiegati erano, come un foglio,
e solo leggermente respiravano, con le tempie
bianche...
Erano ricchi questi, che forzavano la vita
a essere vasta senza fine,e greve e calda.
Ma i giorni dei ricchi, se ne sono andati,
e nessuno li potrà restituire;
tu, però, almeno, fa’ che i poveri, alla fine, siano
poveri di nuovo.
295
16
Sie sind es nicht. Sie sind nur die Nicht-Reichen,
die ohne Willen sind und ohne Welt;
gezeichnet mit der letzten Ängste Zeichen
und überall entblättert und entstellt.
Zu ihnen drängt sich aller Staub der Städte,
und aller Unrat hängt sich an sie an.
Sie sind verrufen wie ein Blatternbette,
wie Scherben fortgeworfen, wie Skelette,
wie ein Kalender, dessen Jahr verrann, –
und doch: wenn deine Erde Nöte hätte:
sie reihte sie an eine Rosenkette und
trüge sie wie einen Talisman.
Denn sie sind reiner als die reinen Steine
und wie das blinde Tier, das erst beginnt,
und voller Einfalt und unendlich Deine
und wollen nichts und brauchen nur das Eine
so arm sein dürfen, wie sie wirklich sind.
296
Essi non lo sono più. Sono solo i non-ricchi,
e senza volere sono, e senza mondo;
con il segno addosso delle angosce estreme,
e ovunque senza foglie, deturpati.
Si accalca su di loro ogni polvere della città,
ogni sporcizia gli si attacca.
Diffamati sino, come un letto infetto,
e gettati via come macerie, come scheletri,
come un calendario il cui anno sia trascorso, –
eppure: se la terra fosse in pena,
li intreccerebbe in un rosario, e come
un talismano li porterebbe su di sé.
Poiché più puri sono delle pure pietre,
e come l’animale cieco appena nato,
ed innocenti in tutto, tuoi senza mai fine,
e nulla vogliono, e di questo solamente hanno bisogno:
essere poveri, poterlo – così: come lo sono in verità.
297
17
Denn Armut ist ein großer Glanz aus Innen...
298
Poiché povertà è una luce intensa ch’è dall’intimo...
299
18
Du bist der Arme, du der Mittellose,
du bist der Stein, der keine Stätte hat,
du bist der fortgeworfene Leprose,
der mit der Klapper umgeht vor der Stadt.
Denn dein ist nichts, so wenig wie des Windes,
und deine Blöße kaum bedeckt der Ruhm;
das Alltagskleidchen eines Waisenkindes
ist herrlicher und wie ein Eigentum.
Du bist so arm wie eines Keimes Kraft
in einem Mädchen, das es gern verbürge
und sich die Lenden preßt, daß sie erwürge
das erste Atmen ihrer Schwangerschaft.
Und du bist arm: so wie der Frühlingsregen,
der selig auf der Städte Dächer fällt,
und wie ein Wunsch, wenn Sträflinge ihn hegen
in einer Zelle, ewig ohne Welt.
Und wie die Kranken, die sich anders legen
und glücklich sind; wie Blumen in Geleisen
so traurig arm im irren Wind der Reisen;
und wie die Hand, in die man weint, so arm...
Und was sind Vögel gegen dich, die frieren,
was ist ein Hund, der tagelang nicht fraß,
und was ist gegen dich das Sichverlieren,
das stille lange Traurigsein von Tieren,
die man als Eingefangene vergaß?
Und alle Armen in den Nachtasylen,
was sind sie gegen dich und deine Not?
300
Sei tu il povero, tu colui che non ha mezzi,
sei tu la pietra, che non ha un suo luogo,
sei tu il lebbroso, lo scacciato,
che va col campanaccio davanti alla città.
Poiché nulla ti appartiene: così poco, come al vento;
la tua nudità, la gloria tua la copre appena;
la veste d’ogni giorno di un bambino abbandonato
e più nobile di lei, ed è come una ricchezza smisurata.
Sei così povero, come la forza di un seme
in una giovane ragazza, che lei nasconderebbe
volentieri,
e stringe i fianchi, così da soffocare
il respiro primo di quel suo diventar madre.
Sei povero, tu: come lo è la pioggia nella primavera
che felice cade sui tetti della città,
e come un desiderio, se un prigioniero lo alimenta
in una cella, sempre senza mondo.
O come i malati, che in un diverso modo si pongono
a giacere, e ne sono felici; come fiori tra i binari,
così tristemente poveri nel folle vento dei viaggi:
e come la mano in cui si piange – tu, così povero...
E cosa sono gli uccelli innanzi a te, i raggelati,
che cosa è mai un cane, che non mastica da giorni,
e cosa innanzi a te questo smarrirsi,
la lunga e silenziosa afflizione delle bestie
che si dimenticano una volta catturate?
301
Sie sind nur kleine Steine, keine Mühlen,
aber sie mahlen doch ein wenig Brot.
Du aber bist der tiefste Mittellose,
der Bettler mit verborgenem Gesicht;
du bist der Armut große Rose,
die ewige Metamorphose
des Goldes in das Sonnenlicht.
Du bist der leise Heimatlose,
der nichtmehr einging in die Welt:
zu groß und schwer zu jeglichem Bedarfe.
Du heulst im Sturm. Du bist wie eine Harfe,
an welcher jeder Spielende zerschellt.
302
E tutti i poveri, nei rifugi per la notte,
cosa sono innanzi a te – di fronte alla tua pena?
Sono piccole pietre appena, e non mulini;
eppure, macinano un po’ di pane.
Ma tu sei quello al quale, più che a tutti, manca
tutto, il mendicante dal nascosto volto;
sei tu la rosa grande della povertà,
l’eterna metamorfosi dell’oro
nella luce del sole.
Sei tu il senza-casa silenzioso
che mai più parte avrà nel mondo:
troppo grande e pesante per ciò che può servirti.
Tu ululi nella tempesta. Sei come un’arpa,
sulla quale chi la suoni va a schiantarsi.
303
19
Du, der du weißt, und dessen weites Wissen
aus Armut ist und Armutsüberfluß:
Mach, daß die Armen nichtmehr fortgeschmissen
und eingetreten werden in Verdruß.
Die andern Menschen sind wie ausgerissen;
sie aber stehn wie eine Blumen-Art
aus Wurzeln auf und duften wie Melissen
und ihre Blätter sind gezackt und zart.
304
Tu che sai, tu che il tuo sapere vasto
da povertà sovrabbondante hai ricavato:
fa’ sì che i poveri non siano più scacciati,
né mai oppressi nel disprezzo.
Sono come snaturati gli altri uomini:
ma essi, invece, da radici come fiori
s’innalzano, e hanno profumo di melissa;
le loro foglie sono fragili, dentate.
305
20
Betrachte sie und sieh, was ihnen gliche:
sie rühren sich wie in den Wind gestellt
und ruhen aus wie etwas, was man hält.
In ihren Augen ist das feierliche
Verdunkeltwerden lichter Wiesenstriche,
auf die ein rascher Sommerregen fällt.
306
Osserva loro, e dimmi: cosa gli assomiglia?
Si muovono come se sempre in mezzo al vento si
trovassero,
come ciò che è trattenuto stanno in quiete.
Negli occhi loro c’è il festivo
farsi scuri di terreni chiari e prati,
sui quali una veloce pioggia estiva cada.
307
21
Sie sind so still; fast gleichen sie den Dingen.
Und wenn man sich sie in die Stube lädt,
sind sie wie Freunde, die sich wiederbringen,
und gehn verloren unter dem Geringen
und dunkeln wie ein ruhiges Gerät.
Sie sind wie Wächter bei verhängten Schätzen,
die sie bewahren, aber selbst nicht sahn, –
getragen von den Tiefen wie ein Kahn,
und wie das Leinen auf den Bleicheplätzen
so ausgebreitet und so aufgetan.
308
Sono così silenziosi! Come le cose, quasi!
E quando, in cucina tu li fai accomodare,
come amici sono, che facciano ritorno,
e si smarriscono nel poco,
ed anneriscono come un attrezzo che riposi.
Come sentinelle sono, di fronte a nascosti tesori:
montano la guardia, eppure mai li hanno veduti, –
come una barca, sostenuti dagli abissi;
e come i panni sullo stenditoio,
così: distesi e aperti.
309
22
Und sieh, wie ihrer Füße Leben geht:
wie das der Tiere, hundertfach verschlungen
mit jedem Wege; voll Erinnerungen
an Stein und Schnee und an die leichten, jungen
gekühlten Wiesen, über die es weht.
Sie haben Leid von jenem großen Leide,
aus dem der Mensch zu kleinem Kummer fiel;
des Grases Balsam und der Steine Schneide
ist ihnen Schicksal, – und sie lieben beide
und gehen wie auf deiner Augen Weide
und so wie Hände gehn im Saitenspiel.
310
E guarda, com’è la vita dei loro piedi:
come quella delle bestie, vincolata in mille modi
a ogni sentiero; tutta memorante
pietra e neve, e lievi prati,
freschi e giovani, sui quali soffia il vento.
Hanno dolore da quel dolore immenso
da cui decadde l’uomo a un piccolo soffrire;
delle erbe aromatiche, delle taglienti pietre
hanno il destino, – e le amano entrambe
e vanno, sui tuoi occhi come su di un pascolo,
e come mani vanno su una cetra.
311
23
Und ihre Hände sind wie die von Frauen,
und irgendeiner Mutterschaft gemäß;
so heiter wie die Vögel wenn sie bauen, –
im Fassen warm und ruhig im Vertrauen,
und anzufühlen wie ein Trinkgefäß.
312
Le loro mani sono come quelle di una donna,
in tutto adatte a una maternità;
così allegre, come gli uccelli quando un nido
costruiscono, –
nel cogliere, calde; quiete nell’offrirsi;
e nel toccare come una scodella.
313
24
Ihr Mund ist wie der Mund an einer Büste,
der nie erklang und atmete und küßte
und doch aus einem Leben das verging
das alles, weise eingeformt, empfing
und sich nun wölbt, als ob er alles wüßte –
und doch nur Gleichnis ist und Stein und Ding...
314
La loro bocca è come la bocca che ha una statua,
che mai ha dato suoni, né respiro o bacio,
eppure, da una vita che è trascorsa
lei, formata con sapienza, tutto ha ricevuto,
e s’incurva, adesso, come se tutto conoscesse –
ed è soltanto immagine, null’altro: e pietra e cosa.
315
25
Und ihre Stimme kommt von ferneher
und ist vor Sonnenaufgang aufgebrochen,
und war in großen Wäldern, geht seit Wochen,
und hat im Schlaf mit Daniel gesprochen
und hat das Meer gesehn, und sagt vom Meer.
316
La loro voce giunge da lontano,
e già prima dell’alba s’era alzata,
e fu nelle foreste grandi, e va da settimane,
e nel sonno ha parlato con Daniele,
e il mare ha visto: e dice il mare.
317
26
Und wenn sie schlafen, sind sie wie an alles
zurückgegeben was sie leise leiht,
und weit verteilt wie Brot in Hungersnöten
an Mitternächte und an Morgenröten,
und sind wie Regen voll des Niederfalles
in eines Dunkels junge Fruchtbarkeit.
Dann bleibt nicht eine Narbe ihres Namens
auf ihrem Leib zurück, der keimbereit
sich bettet wie der Samen jenes Samens,
aus dem du stammen wirst von Ewigkeit.
318
E quando dormono, sono come se fossero tornati
indietro a tutto ciò che lieve li sostenta,
e sbriciolati intorno, come pane in una carestia,
a mezzanotte e nel rosso dell’aurora,
e sono come pioggia colma del cadere
nella fecondità giovane d’un buio.
Dopo, neanche resta, del loro nome, una sola cicatrice
sul corpo ancora – esso che si corica, pronto
a dare frutti, come il seme di quel seme
dal quale dall’eterno tu germogli.
319
27
Und sieh: ihr Leib ist wie ein Bräutigam
und fließt im Liegen hin gleich einem Bache,
und lebt so schön wie eine schöne Sache,
so leidenschaftlich und so wundersam.
In seiner Schlankheit sammelt sich das Schwache,
das Bange, das aus vielen Frauen kam;
doch sein Geschlecht ist stark und wie ein Drache
und wartet schlafend in dem Tal der Scham.
320
E guarda: come uno sposo è il loro corpo
e nel giacere scorre come fa un ruscello,
e vive bello come cosa bella, così
passionale e poi così meraviglioso.
Nella sua magrezza si raccolgie la fragilità,
il timore che da molte donne venne;
ma forte è il sesso, e come un drago
dormendo attende in una valle di vergogna.
321
28
Denn sieh: sie werden leben und sich mehren
und nicht bezwungen werden von der Zeit,
und werden wachsen wie des Waldes Beeren
den Boden bergend unter Süßigkeit.
Denn selig sind, die niemals sich entfernten
und still im Regen standen ohne Dach;
zu ihnen werden kommen alle Ernten,
und ihre Frucht wird voll sein tausendfach.
Sie werden dauern über jedes Ende
und über Reiche, deren Sinn verrinnt,
und werden sich wie ausgeruhte Hände
erheben, wenn die Hände aller Stände
und aller Völker müde sind.
322
Guarda, dunque: vivranno, e si moltiplicheranno,
e mai del tempo servi non saranno,
e come bacche del bosco cresceranno
la terra nascondendo sotto la dolcezza.
Poiché sono beati coloro che mai s’allontanarono
e rimasero in silenzio nella pioggia, senza un tetto;
per loro ogni messe giungerà,
e mille volte sarà pieno il loro frutto.
E dureranno, al di là d’ogni fine,
al di là dei regni, il cui senso venne meno,
e s’alzeranno con le fresche loro mani
quando stanche ormai saranno
d’ogni classe, d’ogni popolo le mani.
323
29
Nur nimm sie wieder aus der Städte Schuld,
wo ihnen alles Zorn ist und verworren
und wo sie in den Tagen aus Tumult
verdorren mit verwundeter Geduld.
Hat denn für sie die Erde keinen Raum?
Wen sucht der Wind? Wer trinkt des Baches Helle?
Ist in der Teiche tiefem Ufertraum
kein Spiegelbild mehr frei für Tür und Schwelle?
Sie brauchen ja nur eine kleine Stelle,
auf der sie alles haben wie ein Baum.
324
Ora, di nuovo toglili dalla colpa delle città,
là dove tutto è rabbia e confusione,
dove essi nei giorni del tumulto
con ferita pazienza inaridiscono.
Non ha la terra, per loro, alcuno spazio?
Di chi va in cerca il vento? Chi è che beve al limpido
ruscello? Non c’è, non ne sognano nel fondo le rive
dello stagno,
un luogo come specchio, libero per una soglia e una
porta?
Hanno bisogno, solamente, di un luogo
in cui sostare: e tutto averne, come un albero.
325
30
Des Armen Haus ist wie ein Altarschrein.
Drin wandelt sich das Ewige zur Speise,
und wenn der Abend kommt, so kehrt es leise
zu sich zurück in einem weiten Kreise
und geht voll Nachklang langsam in sich ein.
Des Armen Haus ist wie ein Altarschrein.
Des Armen Haus ist wie des Kindes Hand.
Sie nimmt nicht, was Erwachsene verlangen;
nur einen Käfer mit verzierten Zangen,
den runden Stein, der durch den Bach gegangen,
den Sand, der rann, und Muscheln, welche klangen;
sie ist wie eine Waage aufgehangen
und sagt das allerleiseste Empfangen
langschwankend an mit ihrer Schalen Stand.
Des Armen Haus ist wie des Kindes Hand.
Und wie die Erde ist des Armen Haus:
Der Splitter eines künftigen Kristalles,
bald licht, bald dunkel in der Flucht des Falles;
arm wie die warme Armut eines Stalles, –
und doch sind Abende: da ist sie alles,
und alle Sterne gehen von ihr aus.
326
La casa del povero è come un tabernacolo.
Là l’eterno si tramuta in cibo,
e quando la sera viene, lieve si rivolge
indietro verso sé, con ampio cerchio,
e lentamente su di sé, ricolmo d’echi, si richiude.
La casa del povero è come un tabernacolo.
La casa del povero è come la mano del bambino.
Ciò che reclamano gli adulti, non lo prende;
solo un insetto con bizzarre antenne,
la pietra levigata, che viaggiò dentro il ruscello,
la sabbia che scorreva e le conchiglie che suonavano.
È come una bilancia appesa e pronta,
e anche il peso più leggero lo sa dire
oscillando sempre meno coi suoi piatti.
La casa del povero è come la mano del bambino.
È come la terra la casa del povero:
la scheggia di un cristallo che sarà,
chiara adesso e adesso buia, nella fuga del cadere;
povera, come la calda povertà di una stalla; –
eppure, vi sono sere: ed essa è tutto,
ed escono da lei tutte le stelle.
327
31
Die Städte aber wollen nur das Ihre
und reißen alles mit in ihren Lauf.
Wie hohles Holz zerbrechen sie die Tiere
und brauchen viele Völker brennend auf.
Und ihre Menschen dienen in Kulturen
und fallen tief aus Gleichgewicht und Maß,
und nennen Fortschritt ihre Schneckenspuren
und fahren rascher, wo sie langsam fuhren,
und fühlen sich und funkeln wie die Huren
und lärmen lauter mit Metall und Glas.
Es ist, als ob ein Trug sie täglich äffte,
sie können gar nicht mehr sie selber sein;
das Geld wächst an, hat alle ihre Kräfte
und ist wie Ostwind groß, und sie sind klein
und ausgeholt und warten, daß der Wein
und alles Gift der Tier – und Menschensäfte
sie reize zu vergänglichem Geschäfte.
328
Ciò che è loro proprio, però, le città lo vogliono,
e con la loro corsa tutto abbattono.
Come fossero legname marcio, frantumano le bestie;
molti popoli, bruciandoli, consumano.
Sono servi i loro uomini, nelle civiltà,
e dall’esatto peso cadono lontano, e dalla misura,
e i loro passi di lumaca li chiamano progresso,
e vanno svelti dove prima andavan lenti,
come sgualdrine s’atteggiano e sfavillano,
e rumore danno, con più forza, con metallo e vetro.
È come se un inganno ogni giorno li cogliesse,
e più non sanno essere se stessi;
cresce il denaro, e ha in sé le loro forze,
ed è grande come il vento dell’est, e loro invece
sono piccoli e vuoti, e attendono che il vino
e il veleno d’ogni umore umano e animale
li inciti a cammini senza scopo.
329
32
Und deine Armen leiden unter diesen
und sind von allem, was sie schauen, schwer
und glühen frierend wie in Fieberkrisen
und gehn, aus jeder Wohnung ausgewiesen,
wie fremde Tote in der Nacht umher;
und sind beladen mit dem ganzen Schmutze,
und wie in Sonne Faulendes bespien, –
von jedem Zufall, von der Dirnen Putze,
von Wagen und Laternen angeschrien.
Und giebt es einen Mund zu ihrem Schutze,
so mach ihn mündig und bewege ihn.
330
Per tutto questo, soffrono i tuoi poveri;
sono gravati da tutto ciò che vedono
e ardono gelando, come nella febbre,
e vanno, da ogni abitazione allontanati,
come morti estranei intorno, nella notte;
di tutta la sporcizia sono caricati;
sono come nel sole carne guasta: rigettati, –
da ogni caso, dalle donnette in ghingheri aggrediti,
da carrozze e da lanterne.
E se una bocca esiste per salvarli,
fa’ che parli: dalle movimento.
331
33
O wo ist der, der aus Besitz und Zeit
zu seiner großen Armut so erstarkte,
daß er die Kleider abtat auf dem Markte
und bar einherging vor des Bischofs Kleid.
Der Innigste und Liebendste von allen,
der kam und lebte wie ein junges Jahr;
der braune Bruder deiner Nachtigallen,
in dem ein Wundern und ein Wohlgefallen
und ein Entzücken an der Erde war.
Denn er war keiner von den immer Müdern,
die freudeloser werden nach und nach,
mit kleinen Blumen wie mit kleinen Brüdern
ging er den Wiesenrand entlang und sprach.
Und sprach von sich und wie er sich verwende
so daß es allem eine Freude sei;
und seines hellen Herzens war kein Ende,
und kein Geringes ging daran vorbei.
Er kam aus Licht zu immer tieferm Lichte,
und seine Zelle stand in Heiterkeit.
Das Lächeln wuchs auf seinem Angesichte
und hatte seine Kindheit und Geschichte
und wurde reif wie eine Mädchenzeit.
Und wenn er sang, so kehrte selbst das Gestern
und das Vergessene zurück und kam;
und eine Stille wurde in den Nestern,
und nur die Herzen schrieen in den Schwestern,
die er berührte wie ein Bräutigam.
332
Oh, dov’è colui che si fece così forte,
da ricchezza e tempo nella sua povertà grande,
che di fronte al mercato si levò le vesti
e nudo andò davanti ai paramenti del suo vescovo?
Il più sincero, colui che più tra tutti amava,
che giunse e visse come un giovane anno;
il bruno fratello dei tuoi usignoli –
ed era meraviglia in lui, compiacimento,
e un estasiarsi per la terra.
Poiché non era uno di coloro che sempre sono stanchi,
e senza gioia si fanno a poco a poco
con fiori piccoli, così come con piccoli fratelli,
andava e conversava lungo il limite dei prati.
Di sé parlava, e di come egli tendesse
a essere una gioia per ciascuno;
confine non era per il suo limpido cuore,
nulla di piccolo lo poteva oltrepassare.
Da luce veniva, verso più profonda notte:
nella letizia la sua cella si trovava.
Il sorridere fioriva sul suo volto,
e aveva la sua infanzia e la sua storia,
e maturò come una bimba si fa donna.
E se cantava, da sé il passato si voltava,
e indietro ritornava ciò che era già dimenticato;
un silenzio sussisteva dentro i nidi,
e gridavano soltanto i cuori in petto alle sorelle:
li toccava come fa uno sposo.
333
Dann aber lösten seines Liedes Pollen
sich leise los aus seinem roten Mund
und trieben träumend zu den Liebevollen
und fielen in die offenen Corollen
und sanken langsam auf den Blütengrund.
Und sie empfingen ihn, den Makellosen,
in ihrem Leib, der ihre Seele war.
Und ihre Augen schlossen sich wie Rosen,
und voller Liebesnächte war ihr Haar.
Und ihn empfing das Große und Geringe.
Zu vielen Tieren kamen Cherubim
zu sagen, daß ihr Weibchen Früchte bringe, –
und waren wunderschöne Schmetterlinge:
denn ihn erkannten alle Dinge
und hatten Fruchtbarkeit aus ihm.
Und als er starb, so leicht wie ohne Namen,
da war er ausgeteilt: sein Samen rann
in Bächen, in den Bäumen sang sein Samen
und sah ihn ruhig aus den Blumen an.
Er lag und sang. Und als die Schwestern kamen,
da weinten sie um ihren lieben Mann.
334
E dal suo canto, poi, si liberarono
i pollini leggeri dalla sua vermiglia bocca,
e si spinsero sognando dagli amanti,
e caddero nelle corolle aperte, e lentamente
sprofondarono nell’intimo dei fiori.
Lo accolsero – lui, che era senza macchia –
nel loro corpo, che era l’anima per loro.
I loro occhi, come rose si richiusero su sé,
e i capelli loro si colmarono di notti d’amore.
Lo accolse ciò che e grande, e ciò che è piccolo.
Alle moltitudini degli animali, cherubini vennero per
dire
che la sposa loro aveva concepito, –
farfalle erano, meravigliose:
poiché le cose lo riconoscevano,
e concepivano da lui.
E quando morì, così lieve come senza nome,
allora si disperse: il suo seme corse
nei ruscelli, e negli alberi cantò il suo seme,
e quietamente lui guardò, dai fiori.
Giaceva, e cantava. E le sorelle, quando vennero,
piansero intorno al loro amato sposo.
335
34
O wo ist er, der Klare, hingeklungen?
Was fühlen ihn, den Jubelnden und Jungen,
die Armen, welche harren, nicht von fern?
Was steigt er nicht in ihre Dämmerungen –
der Armut großer Abendstern.
336
Luminoso, lui, dov’è che è andato a perdersi?
Perché da vicino non lo avvertono, esultante
e giovane, i poveri che attendono?
Perché non s’innalza nei loro crepuscoli
la serale stella grande della povertà?
337
Priorato S. Egidio
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In copertina: Paul Klee, Angelo smemorato
Rainer Maria Rilke
Rainer Maria Rilke • Il libro d’ore
Rainer Maria Rilke
Nacque a Praga da famiglia cattolica di lingua
tedesca nel 1875 e morì a Val Mont nel 1926. È
uno dei poeti più conosciuti e amati del primo
Novecento tedesco ed europeo, ed esprime con
straordinaria acutezza i drammatici motivi di
fondo della trasformazione culturale che ha segnato l’epoca alla quale apparteniamo.
Tra le sue opere: Prime poesie; Canto d’amore e morte dell’alfiere Cristoph Rilke; Storie
del Buon Dio; Rodin; I quaderni di Malte Laudris Brigge; Nuove poesie; Libro delle immagini; Vita di Maria; Sonetti a Orfeo; Elegie
duinesi.
Per questa traduzione Lorenzo Gobbi ha ottenuto il Premio Catullo dell’Accademia Mondiale
della Poesia dell’UNESCO.
Lorenzo Gobbi
(Verona, 1966) ha pubblicato saggi e raccolte di poesie. Ha tradotto e curato diverse
opere di Rainer Maria Rilke, e recentemente
la raccolta Sento le cose cantare, poesie per
Maria (2011).
Sue opere presso Servitium:
Elogio del frammento (2010); Le api del sogno (2009); Lessico della gioia (2008); Carità della notte (2007).
ISBN 978-88-8166-363-7
9 78 8 8 8 1 6 6 36 37
Il libro d’ore
a cura di Lorenzo Gobbi
Il libro d’ore ebbe, nella prima metà del Novecento, vastissima fortuna e fu la base della
fama di Rilke presso i suoi contemporanei. Il
testo racchiude tre serie di liriche che il poeta concepì come intensamente spirituali, nella
ricerca di una religiosità radicata nell’incontro tra l’occidente e l’oriente cristiani, capace
a propria volta di illuminare i nuovi scenari
aperti dalla nascente civiltà industriale. L’incompiutezza di Dio, la sua condizione di esule in un mondo che pure gli appartiene, la necessità di aiutarlo donandogli nuovamente gli
spazi dell’esistenza, la consapevolezza del
proprio fremere interiore al cospetto dell’infinito silenzio di Dio e del rumore crescente
della vita sociale, la dignità indiscutibile della
sofferenza e della povertà sono motivi che
Rilke affida alla voce di un giovane monaco
russo pittore di icone, protagonista di una vicenda che dalla vita monastica porta al pellegrinaggio nella vastità della Russia e poi alla
contemplazione della povertà e della morte.