Rainer Maria Rilke Rainer Maria Rilke • Il libro d’ore Rainer Maria Rilke Nacque a Praga da famiglia cattolica di lingua tedesca nel 1875 e morì a Val Mont nel 1926. È uno dei poeti più conosciuti e amati del primo Novecento tedesco ed europeo, ed esprime con straordinaria acutezza i drammatici motivi di fondo della trasformazione culturale che ha segnato l’epoca alla quale apparteniamo. Tra le sue opere: Prime poesie; Canto d’amore e morte dell’alfiere Cristoph Rilke; Storie del Buon Dio; Rodin; I quaderni di Malte Laudris Brigge; Nuove poesie; Libro delle immagini; Vita di Maria; Sonetti a Orfeo; Elegie duinesi. Per questa traduzione Lorenzo Gobbi ha ottenuto il Premio Catullo dell’Accademia Mondiale della Poesia dell’UNESCO. Lorenzo Gobbi (Verona, 1966) ha pubblicato saggi e raccolte di poesie. Ha tradotto e curato diverse opere di Rainer Maria Rilke, e recentemente la raccolta Sento le cose cantare, poesie per Maria (2011). Sue opere presso Servitium: Elogio del frammento (2010); Le api del sogno (2009); Lessico della gioia (2008); Carità della notte (2007). ISBN 978-88-8166-363-7 9 78 8 8 8 1 6 6 36 37 Il libro d’ore a cura di Lorenzo Gobbi Il libro d’ore ebbe, nella prima metà del Novecento, vastissima fortuna e fu la base della fama di Rilke presso i suoi contemporanei. Il testo racchiude tre serie di liriche che il poeta concepì come intensamente spirituali, nella ricerca di una religiosità radicata nell’incontro tra l’occidente e l’oriente cristiani, capace a propria volta di illuminare i nuovi scenari aperti dalla nascente civiltà industriale. L’incompiutezza di Dio, la sua condizione di esule in un mondo che pure gli appartiene, la necessità di aiutarlo donandogli nuovamente gli spazi dell’esistenza, la consapevolezza del proprio fremere interiore al cospetto dell’infinito silenzio di Dio e del rumore crescente della vita sociale, la dignità indiscutibile della sofferenza e della povertà sono motivi che Rilke affida alla voce di un giovane monaco russo pittore di icone, protagonista di una vicenda che dalla vita monastica porta al pellegrinaggio nella vastità della Russia e poi alla contemplazione della povertà e della morte. Rainer Maria Rilke Il libro d’ore (Das Stunden-Buch) Introduzione, traduzione e note di Lorenzo Gobbi Servitium Sommario Il libro d’ore di Rainer Maria Rilke: una lettura spirituale (L. Gobbi) Il libro d’ore Il libro della vita monastica (Das Buch vom Mönchischen leben) II. Il libro del pellegrinaggio (Das Buch von der Pilgerschaft) III. Il libro della povertà e della morte (Das Buch von der Armut und vom Tode) 7 21 I. 23 165 261 Il libro d’ore di Rainer Maria Rilke: una lettura spirituale «Sei il prodigio, tu, che nel deserto accade solo a chi vive l’esilio.» R.M. Rilke Tra i venti e i trent’anni, a volte, accade di ricevere straordinari doni di grazia: ciò che seguirà, nella maturità incipiente dei trent’anni, così esposta a eccessi di fiducia, o nella solidità dei quaranta, segnata spesso da trattenuta amarezza, difficilmente riuscirà a eguagliare l’intuizione bruciante di quei primi pensieri, né saprà conservarne la sorprendente freschezza – avrà altre virtù, se solo potrà esistere. Così fu per Etty Hillesum e per il suo straordinario Diario1 – al quale, purtroppo, nulla poté seguire: la lucidità generosa delle riflessioni che vi furono raccolte sbalordisce chi le legga; gli slanci e le molteplici incertezze, dalle quali spiccano all’improvviso le sempre più frequenti accelerazioni della visione interiore, possono sembrare miracoli di ingenuità o di giovinezza, e indurci a scuotere 1 E. Hillesum, Diario 1941-1943, a cura di J.G. Gaarlandt, Adelphi, Milano 1985; E. Hillesum, Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990. 7 la testa – colmi d’ammirazione, ma anche scettici sulla loro reale profondità. Oppure, possiamo renderci conto di essere al cospetto di prodigi di profezia: oracoli ineguagliati, dei quali nulla può rendere ragione; doni di grazia, appunto, che ci riempiono di gratitudine – tanto più se li sappiamo nati di getto, d’istinto, in condizioni disagevoli e in tempi rapidissimi; frutto di concreta esperienza di vita, senza pose né menzogne; costellati di ingenuità che non ci urtano, perché le riconosciamo parte di un’autenticità senza finzioni. Un solo libro Etty Hillesum si augurò di poter portare nel campo di transito al quale venne destinata dalle forze d’occupazione naziste in Olanda: Il libro d’ore, di Rainer Maria Rilke – tutt’uno, per lei, con Lettere a un giovane poeta, dello stesso Rilke2. Entrambi i volumi trovarono posto nel suo zaino quando ricevette l’ordine di partenza, e furono le uniche letture che poté concedersi nel campo di Westerbork – in consapevole attesa del treno che l’avrebbe portata ad Auschwitz. Per tutta la vita, Rilke amò Il libro d’ore (Das Stunden-Buch), che aveva composto tra i 23 e i 28 anni d’età3. Ne parlò con frequenza nelle lettere, e ne fece sistematicamente omaggio ai propri amici e ai nuovi 2 R.Maria Rilke, Lettere a un giovane poeta. Lettere a una giovane signora. Su Dio, Adelphi, Milano 1980. 3 Per una puntuale introduzione all’opera di Rilke, e in particolare al Libro d’ore, non si può che rimandare al testo di Giuliano Baioni, «Rainer Maria Rilke. La musica e la geometria» e al preziosissimo «Commento» di Andreina Lavagetto, entrambi nel vol. di R.M. Rilke, Poesie, Einaudi-Gallimard, Torino 1995, vol. I, pp. IX-LXXIV e pp. 726-770; il volume dell’edizione Einaudi-Gallimard, come il seguente (Poesie, vol. II, Torino 1996), è corredato di ampia bibliografia e di una precisa sezione cronologica. Da tale edizione è tratto anche il testo tedesco qui riportato. 8 conoscenti, fino ai primi anni ’20 – come se Il Libro d’ore rappresentasse per il suo autore un ritratto intimo, o anche una sorta di biglietto di presentazione: un compendio della sua identità di uomo e di poeta. Eppure, altri capolavori ne testimoniavano la bravura e la crescita spirituale: Nuove poesie, Il libro delle immagini, Sonetti a Orfeo, Elegie duinesi... Assieme a Canto d’amore e morte dell’alfiere Cristoph Rilke, altro mirabile frutto dei vent’anni del poeta praghese, Il libro d’ore conobbe una straordinaria fortuna, e fu la base della fama vastissima di Rilke presso i contemporanei, a livello europeo. L’opera compiuta fu pubblicata a Berlino, presso le edizioni Insel, nel 1905. Essa univa in sé tre diversi cicli di poesie, nati in tre distinti periodi di prodigiosa, assoluta ed esclusiva concentrazione: «Il libro della vita monastica» (Das Buch vom Mönchischen Leben), composto a Berlino tra il 20 settembre e il 19 ottobre 1899, al ritorno dal primo viaggio in Russia che Rilke compì con Lou Andreas-Salomè; «Il libro del pellegrinaggio» (Das Buch von der Pilgerschaft), redatto nel settembre 1901; e «Il libro della povertà e della morte» (Das Buch von Armuth und vom Tode), che vide la luce a Viareggio nell’aprile 1903, anch’esso in pochi giorni. Il libro d’ore fu a lungo al centro del carteggio tra Rilke e Lou Andreas-Salomé, la donna che lo iniziò alla conoscenza dell’arte e della cultura russa, e che in Russia lo accompagnò due volte, nel 1899 e nel 19004. 4 R.M. Rilke-L. Andreas-Salomè, Epistolario 1897-1926, a cura di E. Pfeiffer, La Tartaruga, Milano 1984. Sul rapporto tra i due, Rilke e Lou. Il 9 Le poesie che vi confluirono furono materia di un colloquio quotidiano tra i due, ed ebbero a lungo un nome “familiare” molto significativo: Gebete, “preghiere” (scrivendo a Lou, Rilke le definì così anche molto tempo dopo la pubblicazione). Il terzo ciclo, inoltre, non fu concepito come ultimo: a più riprese Rilke ne progettò ampliamenti, redigendo annotazioni e abbozzi di liriche (che non sono compresi, secondo la consuetudine editoriale diffusa nei paesi di lingua tedesca, in questa edizione). Etty Hillesum lesse Il libro d’ore come un libro spirituale: difficilmente una ragazza di ventisei anni, nel furore dell’occupazione nazista in Olanda, certa a poco a poco del proprio inevitabile destino e di quello del proprio popolo, avrebbe potuto apprezzare qualcosa di diverso. Studente di letterature slave, Etty trovò in Dostoevskij e in Tolstoj squarci insuperabili di lucidità sull’animo umano, che le permisero di comprendere a fondo i propri simili, quale che fosse la loro condizione nell’urgenza degli avvenimenti; e in Rilke, che concepì Il libro d’ore alla sua stessa età e nel contatto con la cultura russa che Etty tanto amava, identificò il proprio maestro di vita spirituale. Scorrendo in parallelo i Diari della Hillesum e Il libro d’ore, infatti, si notano infinite consonanze: Etty sviluppa spunti de Il libro d’ore, li riprende e li trasforma alla luce delle proprie esigenze interiori, e ne fa vita vissuta. Quando Etty parla dell’incompiutezza di Dio, della necessità di aiutarlo (dal momenIl visibile e l’invisibile, Skira, Milano 1997. Sui due viaggi in Russia, L. Andreas-Salomè, In Russia con Rainer, testo tedesco stabilito da D. Pfeiffer e S. Micxhaud, Bollati Boringhieri, Torino 1994. 10 to che egli non può aiutare noi), della possibilità di restituirgli il mondo nel quale egli è pellegrino e straniero, della dignità e della bellezza dei sofferenti, della necessità di riconoscere il valore della sofferenza presente per trarne forza e migliorare se stessi; quando afferma l’assoluta bellezza del mondo, anche contemplando il profilo di una baracca sotto la luna nel campo di transito, e ribadisce la necessità di scendere in sé, di partire da sé, di far nascere Dio dentro di sé senza cedere all’odio – in tutto ciò, Etty non si limita a sviluppare elementi della tradizione ebraica hassidica, che non conosceva più di tanto ma che comunque le giungeva per vie sotterranee: riprende anche e soprattutto Il libro d’ore di Rilke, in una lettura compiuta con tutto l’essere, avendo assimilato e trasformato le parole del poeta praghese in nutrimento vero, necessario per vivere in piena coscienza5. Così Rilke avrebbe voluto che il suo Libro d’ore venisse letto: nell’urgenza e nella pena, perché vita nuova e degna sgorgasse da un incontro vero; come un libro spirituale, in senso proprio. Nella Russia di Lou Andreas-Salomè, Rilke trovò una vera e propria patria spirituale: persino le sue ultime parole, rivolte per lettera a Lou, furono in russo. Rilke e Lou si conoscono a Monaco il 12 maggio del 1897: Rilke ha ventidue anni, ed è un giovane poe5 Preparando questa nota, ho schedato un discreto numero di passi paralleli; non ho, però, ritenuto opportuno segnalarne alcuni con precisione. Mi sono reso conto, infatti, che è ben difficile condensare in poche righe una ricchezza di lettura che mi ha sbalordito, e che meriterebbe davvero un saggio a sé stante; e anche che la cosa migliore è invitare un lettore a seguire in proprio questa pista, in modo intensamente personale, in coerenza con l’intensità dei due testi coinvolti. 11 ta traboccante di lirismo, febbrilmente proteso verso l’esterno, egocentrico e infaticabile protagonista di iniziative culturali ai livelli più alti della società tedesca (tutto ciò che, molti anni più tardi, sconsiglierà all’esordiente Joseph Kappus nelle Lettere a un giovane poeta). La facile cantabilità della prima poesia di Rilke incontra il severo giudizio di Lou, brillante trentaseienne, russa e cosmopolita, moglie dell’orientalista Karl Andreas (che aveva tentato il suicidio per lei), già amata da Nietzsche (che aveva più volte chiesto la sua mano, ottenendo secchi rifiuti): ella lo inizia alla conoscenza della lingua e della cultura russe, e lo mette in contatto con quanto di più vivo si va muovendo nella cultura del tempo; in particolare, Lou gli fornisce contenuti filosofici ed estetici di primissimo ordine, materiali vivi di riflessione, indicazioni di lettura, concezioni ampie e attuali del ruolo dell’artista nella società che andava velocemente mutando. Avendone fatto il proprio amante, Lou lo accompagna per due volte in Russia, portandolo a visitare Tolstoj e facendogli ammirare le grandi città (Mosca, Pietroburgo, Kiev) con i loro tesori d’arte e di spiritualità. Per Lou, i due viaggi sono un ritorno e una riappropriazione: ella ritrova la propria religiosità, nel senso più personale; tutto ciò che accade viene discusso e commentato dai due viaggiatori; tanto le esperienze quanto i colloqui agiscono in profondità sul giovane Rilke. Al ritorno dal primo viaggio, in poco più di venti giorni, Rilke porta a termine il primo dei tre cicli che compongono Il libro d’ore: «Il libro della vita monastica». È un fluire di liriche in sé compiuto, e insieme aperto. Protagonista, un giovane monaco russo, pit- 12 tore di icone, che dialoga tra sé e con Dio nel silenzio della cella. Il discorso si snoda tra diverse coppie di polarità: l’umano e il divino, innanzitutto, nella vastità della pianura russa. Se è buio l’umano, buio è ancora più il divino; l’uomo non si conosce, e cerca nel dialogo con Dio, che non conosce, tracce di sé oltre che immagini di lui; neppure Dio si conosce, e nel dialogo con l’uomo cerca il proprio volto come in uno specchio. Profondo è l’animo dell’uomo, e insondabile; altrettanto è la realtà di Dio – l’abisso della sua conoscenza. Dio attraversa il tempo: come l’uomo, anch’egli è esposto a soffrire nel tempo; se l’uomo è consapevole della propria incompiutezza, altrettanto incompiuto è Dio. L’agire umano – il paziente agire del monaco, che prega e dipinge, nella solitudine, istante dopo istante, fedelmente – edifica Dio: lo porta al compimento, e compie insieme anche se stesso. Ancora, l’arte dell’oriente e l’arte dell’occidente si fronteggiano nei pensieri del giovane iconografo, e si completano a vicenda, come l’uomo e Dio; la vita monastica, nel proprio silenzio operoso, è lungimiranza e consapevolezza, ma anche timore e speranza, lotta con i sensi e con il ragionamento, buio e luce quotidiani, confronto e solitudine che si chiude su di sé per riposare in Dio – mentre Dio ritorna a sé per sostenere il tempo, e si disperde poi nei giorni: spetta all’uomo raccoglierne i frantumi, riunirli e restituirli a colui che li ha offerti in dono al tempo, per amore. Ricchissimo di spunti e riflessioni, «Il libro della vita monastica» è teso e animato, emotivamente carico; certezze e presagi, estetica e spiritualità, inquietudini e conquiste vi si incontrano e si osservano a vi- 13 cenda: vi confluiscono mirabilmente le problematiche filosofiche e spirituali del primo Novecento, con gli elementi del travaglio artistico di Rilke – ma non è tutto: il monaco parla di se stesso, si ascolta e si osserva, scende a fondo dentro sé mentre allarga lo sguardo al mondo intero, e in esso alla presenza indicibile di Dio. Una profondità psicologica ineguagliabile contraddistingue le sue pagine: un uomo religioso può leggervi molto di se stesso. L’oriente russo è per Rilke una patria spirituale scoperta e immensamente amata, studiata con passione, visitata e poi continuamente ricordata. In «Il libro della vita monastica», inoltre, la sonorità sovrabbondante che caratterizza il primo Rilke prodigiosamente inizia a concentrarsi: si condensa attorno ad alcune lame di luce e le percorre a ritroso fino a scorgere l’ampiezza da cui vengono. Rilke scende in sé portando l’eco della Divina liturgia, lo sfavillare dell’iconostasi, le linee e i colori delle icone: li ascolta, li contempla, e li confronta con la terra della propria provenienza e della propria formazione – la Mitteleuropa e l’Italia, Dürer, Botticelli e Michelangelo, Praga, Berlino e Firenze. La solitudine dei monaci russi gli insegna che il segreto dell’esistenza è la fedeltà, non la riuscita; l’attesa, non l’evidenza; la sobrietà concreta della disciplina dello spirito, non il diffondersi febbrile intorno a sé – e il gesto misurato, il cui ritmo sa domare la tensione e trattenere il desiderio ardente fino a quando il compimento sia possibile, anzi: fino a rendere possibile il miracolo della compiutezza. Fedeltà è solitudine, e insieme amore immenso: una pienezza quasi traboccante, eppure spoglia. Silenzio, e canto nel silenzio. Il silenzio è un 14 continente sterminato, nel quale tutto parla: il mondo svela un’anima preziosa e vasta, che pervade ogni singolo aspetto della realtà; tutto è animato per chi guarda, fedele, operoso e solitario, dal silenzio. Le fonti di Rilke sono per lo più i grandi narratori russi: Tolstoj e Dostoevskij. Non sembra che il poeta approfondisca più di tanto la storia dell’arte russa, né che comprenda i testi della Divina liturgia; anche la Filocalia 6 è assai poco presente nelle liriche de Il libro d’ore. Rilke è percettivo, intuitivo: mai superficiale, ma coinvolto in un percorso di crescita spirituale del quale i monasteri russi, le icone, i suoni della liturgia, le campane del Cremlino e la folla dei pellegrini sono i catalizzatori – per la mediazione della “gente di Dio” che la principessina Marija riceve di nascosto dal padre in Guerra e pace; e dello starecˇ luminoso che guida Alësa ne I fratelli Karamazov. Assente, nelle sue meditazioni, la peculiare spiritualità della “preghiera di Gesù”, anima della Filocalia e principale pratica ascetica monastica (si tratta della ripetizione del nome di Gesù sotto forma di invocazione, che è al centro di opere come Racconti di un pellegrino russo e Filocalia); la concreta vita dei monasteri, con la presenza dei pellegrini che vagano dall’uno all’altro, le tentazioni a cui il monaco è sottoposto e la pratica dell’assistenza ai poveri e ai bisognosi, invece, sono oggetto di turbamento e di sguardo rapito. Pochissimi i luoghi precisamente identifi6 Filokalìa. Testi di ascetica e mistica della chiesa orientale, a cura di G. Vannucci, voll. I e II, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1998; La Filocalia. Amore del bello, introduzione, scelta e trad. a cura di L. Cremaschi, Qiqajon, Bose 2006. 15 cabili: la voce narrante vive tra luoghi tipizzati, tra tipi umani (il monastero, i monaci, i pellegrini, la pianura...). Eppure, chi legga tenendo presenti i passi della Filocalia, gli splendori delle icone, i suoni e i gesti della Divina liturgia avverte come un risuonare di armonici attorno ai versi di Rilke; o meglio, sente come un basso profondo, polifonico, che sostiene la melodia della voce solista e ne completa il timbro7. Nel secondo ciclo, «Il libro del pellegrinaggio», il monaco russo che parlava ne «Il libro della vita monastica» torna a rivolgersi a Dio: ha lasciato il monastero, e gli sembra di non potersi più riconoscere; eppure, torna in sé, e cerca il proprio Dio nel mondo – consapevole che il mondo è mutato parallelamente al mutare della sua anima. Egli si è disperso, e ha sofferto tutte le conseguenze dell’errore: la sua ricerca di Dio è ancora più urgente. Più che Padre, Dio gli appare figlio; la sua forza è nella debolezza. Chi ha subìto violenza, chi si è disseminato, può ricomporre 7 Anche qui, come già per i paralleli con Etty Hillesum, mi è parso difficile quando non inopportuno appesantire questa nota con dati precisi, che pure ho raccolto con estrema cura e che meriterebbero di essere sviluppati in un saggio a sé stante: ho avuto l’impressione che tali risonanze siano così personali, in Rilke come nel suo lettore, che esplicitarle anche solo in parte, in un breve sommario, fosse come tradirne il senso profondo. Preferisco invitare il lettore a scoprirle da sé, in un colloquio personale e intimo con il poeta praghese e con la spiritualità russa. Tra le innumerevoli letture possibili, alcune segnalazioni: Aa.Vv., In un’altra forma. Percorsi di iniziazione all’icona, Servitium, Sotto il Monte 1996; P. Florenskij, Le porte regali. Saggio sull’icona, Adelphi, Milano 1977; P.N. Evdokimov, Teologia della bellezza. L’arte dell’icona, San Paolo, Cinisello Balsamo 1990; A. Asnaghi, Le Porte belle. Viaggio interiore nella ortodossia, CENS, Sotto il Monte 1991; Aa.Vv., Andrei Rublev e l’icona russa, Qiqajon, Bose 2006; Aa.Vv., La preghiera di Gesù nella spiritualità russa del xIx secolo, Qiqajon, Bose 2005; Aa.Vv., Forme della santità russa, Qiqajon, Bose 2002. 16 tanto lui quanto se stesso «con i pezzi della propria vergogna». Di fronte a Dio, l’anima è come Ruth, la serva che dorme ai piedi del padrone; ma Dio è bambino, e vecchio al tempo stesso. Il mondo fluisce verso Dio, come l’acqua di una fonte che cade nella coppa marmorea che l’attende e se ne colma, ma continua ad accoglierla senza mai saziarsi (immagine che tornerà nella poesia più tarda di Rilke). La vita umana sembra spesso non vissuta: dissipata. Dalle cose, è necessario imparare l’arte del cadere (anche questa immagine tornerà, alla fine delle Elegie duinesi). La riflessione si amplia, si approfondisce: gli spunti spirituali che Rilke elabora in sé e offre nelle sue brucianti intuizioni sono sorprendenti – da ciascuno, può nascere davvero una meditazione infinita. Le poesie si generano una dall’altra, e si riprendono a vicenda in un fitto tessuto di echi e rimandi; le domande incalzano, e hanno per oggetto la concretezza dell’esistenza. Basti immaginare Etty Hillesum, alla sera, in una baracca circondata dal fango e dal gelo, nel campo di transito – e pensare a come avrà letto alcuni dei versi di Rilke: essi, forse, le saranno sembrati scritti proprio per descrivere la sua vita di allora, e avranno rafforzato in lei le idee alle quali si aggrappava nell’orrore quotidiano. Basti constatare come Etty lo riprenda puntualmente per rendersi conto di quanta ricchezza Il libro d’ore, letto come libro spirituale, possa donare a chi desideri capire come vivere. Il colloquio non può che essere intimo e teso all’estremo, in una febbre di conoscenza delle questioni ultime: il bene e il male, Dio, lo smarrimento, il mondo, la bellezza, il dolore. 17 Nel terzo ciclo, Rilke contempla la povertà e la morte («Il libro della povertà e della morte»): si rende conto che nelle città dell’occidente i poveri, ormai, «sono solo i non-ricchi». La civiltà industriale misconosce il valore della povertà: il non-avere, per essa, è una colpa inespiabile. Di fronte a Dio, invece – ed è così nella cultura russa, nella quale la povertà è rivestita di valore spirituale, pur essendo una durissima e diffusa condizione di vita –, la povertà «è una luce intensa»; i poveri devono poterlo essere degnamente, perché di null’altro, in realtà, hanno bisogno. Non si muore più della propria morte; la vita stessa non è più realmente vissuta; l’illusione del possesso e del progresso, nei fatti, aliena dalla partecipazione all’esistere; le città umiliano chi ci vive. Con l’invocazione a san Francesco, portatore di verità e bellezza nella povertà, si chiude il terzo gruppo di liriche. Tradurre Rilke è una gioia, sempre: è bello accarezzarne le parole, per lasciarle vibrare e vibrare con loro, nell’emotività e nella conoscenza. Tradurre è un modo di accogliere in sé: è come assimilare, come masticare, quasi, a poco a poco, ripetendo a occhi chiusi per risillabare nella propria lingua. In particolare, le liriche de Il libro d’ore suscitano un’intelligenza musicale del mondo, perché sono musica, cioè timbri e ritmi – ma musica percettiva prima che espressiva: timbri e ritmi come organi di senso protesi all’esterno, acuti e pronti. Tra tanti doni, forse è questo che ci attira: la nostra capacità di articolare suoni si comporta nei versi come la nostra facoltà di vedere e di toccare. Traducendo Rilke, ci esercitiamo un poco a fare come lui: a protenderci con «parole tattili» (Paul Celan), e con timbri e ritmi come occhi. La traduzio- 18 ne che segue vuole essere, in questo senso, un esercizio di attenzione e di coinvolgimento personale, sulla base di una lunga e privata intimità con i testi del poeta praghese. Dopo Il libro d’ore, il cammino poetico di Rilke prese diverse direzioni – eppure, esso restò per il poeta un esito caro e insostituibile. Forse, i tempi sono maturi per tornare a leggerlo come lo lesse Etty Hillesum: come autentico «libro spirituale». Per leggerlo, cioè, nell’urgenza delle nostre esistenze e in un colloquio privato, dal quale sorga vita nuova; per incontrarlo nella concretezza dei nostri giorni. Essi, infatti, chiedono luce – e hanno diritto di incontrarne. RINGRAZIAMENTI Desidero esprimere la mia gratitudine alla prof. Lorenza Dalla Tezza, che mi ha generosamente fornito un valido, necessario e competente aiuto nelle fasi di controllo della traduzione. Ringrazio di tutto cuore padre Espedito D’Agostini, direttore di Servitium, che ha prontamente accolto questo mio progetto rilkiano, a lungo meditato e desiderato. Lorenzo Gobbi 19 IL LIBRO D’ORE (Das Stunden-Buch) Gelegt in die Hände von Lou Deposto nelle mani di Lou I. IL LIBRO DELLA VITA MONASTICA (I. Das Buch vom Mönchischen Leben) 1 Da neigt sich die Stunde und rührt mich an mit klarem, metallenem Schlag: mir zittern die Sinne. Ich fühle: ich kann – und ich fasse den plastischen Tag. Nichts war noch vollendet, eh ich es erschaut, ein jedes Werden stand still. Meine Blicke sind reif, und wie eine Braut kommt jedem das Ding, das er will. Nichts ist mir zu klein, und ich lieb es trotzdem und mal es auf Goldgrund und groß und halte es hoch, und ich weiß nicht wem löst es die Seele los... 24 Ecco, l’ora si flette su di sé, mi tocca con battito chiaro, metallico: mi tremano i sensi. Lo sento: io posso – afferro il giorno, che è come scolpito. Niente ancora era compiuto, prima che fossi io a intuirlo, e ogni divenire stava immobile. Sono maturi i miei sguardi, e come una sposa a ciascuno l’oggetto viene incontro, quello che lui vuole. Nulla è troppo piccolo per me – io lo amo e lo dipingo da uno sfondo d’oro, e grande, e lo sostengo là nell’alto, e non so a chi libererà l’anima dischiusa... 25 2 Ich lebe mein Leben in wachsenden Ringen, die sich über die Dinge ziehn. Ich werde den letzten vielleicht nicht vollbringen, aber versuchen will ich ihn. Ich kreise um Gott, um den uralten Turm, und ich kreise jahrtausendelang, und ich weiß noch nicht: bin ich ein Falke, ein Sturm oder ein großer Gesang. 26 Vivo la mia vita in cerchi che si allargano, che passano sopra le cose. L’ultimo, forse, non potrò portarlo a compimento, ma voglio protendermi, tentare. Giro attorno a Dio, alla torre antica dell’inizio, le giro attorno da migliaia d’anni: e ancora non so: sono un falco, o una tempesta, o un canto, forse – e grande. 27 3 Ich habe viele Brüder in Soutanen im Süden, wo in Klöstern Lorbeer steht. Ich weiß, wie menschlich sie Madonnen planen und träume oft von jungen Tizianen, durch die der Gott in Gluten geht. Doch wie ich mich auch in mich selber neige: Mein Gott ist dunkel und wie ein Gewebe von hundert Wurzeln, welche schweigsam trinken. Nur, dass ich mich aus seiner Wärme hebe, mehr weiß ich nicht, weil alle meine Zweige tief unten ruhn und nur im Winde winken. 28 Ho tanti fratelli in lunghe vesti, nel sud, dove l’alloro cresce nei chiostri. Io lo so, come umanamente disegnano Madonne nel pensiero, e sogno spesso giovani Tiziani grazie ai quali Dio passi nelle braci. Però, per quanto io mi pieghi, giù, verso me stesso: il mio Dio è buio, è come un tessuto di cento radici, e ciascuna beve silenziosa. Ora, poiché m’innalzo anch’io dal suo calore, nulla so di più, se non che i rami, tutti – i miei – sono quieti nel profondo, e nel vento solamente danno cenni. 29 4 Wir dürfen dich nicht eigenmächtig malen, du Dämmernde, aus der der Morgen stieg. Wir holen aus den alten Farbenschalen die gleichen Striche und die gleichen Strahlen, mit denen dich der Heilige verschwieg. Wir bauen Bilder von dir auf wie Wände; so dass schon tausend Mauern um dich stehn. Denn dich verhüllen unsre frommen Hände, sooft dich unsre Herzen offen sehn. 30 Non ci è permesso dipingerti così come vorremmo, tu albeggiante, tu da cui uscì il mattino. Attingiamo dalle antiche tavolozze le stesse linee, gli stessi raggi con i quali il Santo te nascose. Innalziamo come mura immagini di te; sono mille ormai, ti stanno intorno. Poiché ti fanno schermo le devote mani, le nostre, ogni volta che ti vedono, dischiusi, i nostri cuori. 31 5 Ich liebe meines Wesens Dunkelstunden, in welchen meine Sinne sich vertiefen; in ihnen hab ich, wie in alten Briefen, mein täglich Leben schon gelebt gefunden und wie Legende weit und überwunden. Aus ihnen kommt mir Wissen, dass ich Raum zu einem zweiten zeitlos breiten Leben habe. Und manchmal bin ich wie der Baum, der, reif und rauschend, über einem Grabe den Traum erfüllt, den der vergangne Knabe (um den sich seine warmen Wurzeln drängen) verlor in Traurigkeiten und Gesängen. 32 Amo, della mia natura, le ore oscure, nelle quali i miei sensi vanno nel profondo; in esse, come in vecchie lettere, ho trovato già vissuta la mia vita quotidiana, e distante come una leggenda, ormai passata. Sono loro ad insegnarmi che c’è spazio in me per una vasta nuova vita senza tempo. E sono a volte come l’albero che sta sopra una tomba, maturo e frusciante – lui che porta alla pienezza il sogno che il fanciullo, morto (radici calde intorno gli s’affollano), in tristezze e canti aveva perso. 33 6 Du, Nachbar Gott, wenn ich dich manches Mal in langer Nacht mit hartem Klopfen störe, – so ists, weil ich dich selten atmen höre und weiß: Du bist allein im Saal. Und wenn du etwas brauchst, ist keiner da, um deinem Tasten einen Trank zu reichen: ich horche immer. Gib ein kleines Zeichen. Ich bin ganz nah. Nur eine schmale Wand ist zwischen uns, durch Zufall; denn es könnte sein: ein Rufen deines oder meines Munds – und sie bricht ein ganz ohne Lärm und Laut. Aus deinen Bildern ist sie aufgebaut. Und deine Bilder stehn vor dir wie Namen. Und wenn einmal in mir das Licht entbrennt, mit welchem meine Tiefe dich erkennt, vergeudet sichs als Glanz auf ihren Rahmen. Und meine Sinne, welche schnell erlahmen, sind ohne Heimat und von dir getrennt. 34 Tu, vicino Dio, se te talvolta nella più lunga notte con violento battere disturbo, – è per questo, perché è raro che ti senta respirare: sei solo nella stanza: io so. E se qualcosa ti fosse necessario, non c’è nessuno che porga una bevanda a te che cerchi al tatto: io sempre sto in ascolto. Da’ un piccolo cenno. Sono molto vicino. Soltanto una sottile parete sta tra noi, per caso; e dunque, potrebbe accadere: un richiamo della tua o della mia bocca – e crollerebbe lei completamente, senza suono né fragore. Con le tue immagini è stata edificata. E le tue immagini stanno ritte innanzi a te come dei Nomi. E quando una volta la luce in me si accende – grazie a lei ti riconosce il mio profondo – come bagliore va dispersa su ciò che le contorna. E i miei sensi, che presto perdono le forze, non hanno patria, sono separati da te. 35 7 Wenn es nur einmal so ganz stille wäre. Wenn das Zufällige und Ungefähre verstummte und das nachbarliche Lachen, wenn das Geräusch, das meine Sinne machen, mich nicht so sehr verhinderte am Wachen –: Dann könnte ich in einem tausendfachen Gedanken bis an deinen Rand dich denken und dich besitzen (nur ein Lächeln lang), um dich an alles Leben zu verschenken wie einen Dank. 36 Se una volta soltanto si facesse tutto così completamente silenzioso! Se la casualità e l’imprecisione ammutolissero, e il riso di chi mi sta vicino, se il clamore che producono i miei sensi non mi impedisse così tanto nella veglia –: potrei, allora, in un pensiero dalle mille forme, pensarti fino al tuo confine, e possederti (come il tempo appena di sorridere) per donarti poi a ogni vita come un grazie. 37 8 Ich lebe grad, da das Jahrhundert geht. Man fühlt den Wind von einem großen Blatt, das Gott und du und ich beschrieben hat und das sich hoch in fremden Händen dreht. Man fühlt den Glanz von einer neuen Seite, auf der noch Alles werden kann. Die stillen Kräfte prüfen ihre Breite und sehn einander dunkel an. 38 Con intensità io vivo, ora che il secolo va oltre. Si può avvertire il vento d’una grande pagina, sulla quale Dio e tu e io tracciammo segni e che ora nell’alto si rigira, tra straniere mani. Si può avvertire lo splendore di un suo lato nuovo, e su esso tutto ancora può avvenire. Le silenziose forze saggiano la propria vastità. E si guardano l’un l’altra, oscuramente. 39 9 Ich lese es heraus aus deinem Wort, aus der Geschichte der Gebärden, mit welchen deine Hände um das Werden sich ründeten, begrenzend, warm und weise. Du sagtest leben laut und sterben leise und wiederholtest immer wieder: Sein. Doch vor dem ersten Tode kam der Mord. Da ging ein Riss durch deine reifen Kreise und ging ein Schrein und riss die Stimmen fort, die eben erst sich sammelten um dich zu sagen, um dich zu tragen alles Abgrunds Brücke – Und was sie seither stammelten, sind Stücke deines alten Namens. 40 Leggendo lo intuisco nella tua Parola, nella storia dei gesti con i quali le tue mani attorno al divenire si chiusero in cerchio, limitando, calde e sagge. Hai detto a voce alta vivere – e morire, poi, sommessamente, e sempre ancora hai ripetuto: Essere. Ma venne il delitto, e precedette la prima delle morti. E fu una crepa per i tuoi maturi cerchi, e un grido si levò e strappò via le voci per la prima volta unite, da un istante, a dire te, a reggerti, tu ponte di ogni abisso – e ciò che balbettarono da allora sono frammenti del tuo Nome antico. 41 10 Der blasse Abelknabe spricht: Ich bin nicht. Der Bruder hat mir was getan, was meine Augen nicht sahn. Er hat mir das Licht verhängt. Er hat mein Gesicht verdrängt mit seinem Gesicht. Er ist jetzt allein. Ich denke, er muss noch sein. Denn ihm tut niemand, wie er mir getan. Es gingen alle meine Bahn, kommen alle vor seinen Zorn, gehen alle an ihm verloren. Ich glaube, mein großer Bruder wacht wie ein Gericht. An mich hat die Nacht gedacht; an ihn nicht. 42 Parla il pallido fanciullo Abele: Io non sono. Mio fratello mi ha fatto qualcosa, qualcosa che i miei occhi non hanno visto. Mi ha oscurato la luce. Il mio volto, lo ha scalzato via con il suo volto. Adesso è solo. Penso che esista ancora. Perché nessuno gli ha fatto ciò che lui ha fatto a me. Tutti hanno percorso il mio sentiero, tutti sono giunti in fronte al suo furore, tutti in lui sono perduti. Credo che mio fratello, il maggiore, sia vigile come un tribunale. A me ha pensato la notte; a lui, no. 43 11 Du Dunkelheit, aus der ich stamme, ich liebe dich mehr als die Flamme, welche die Welt begrenzt, indem sie glänzt für irgend einen Kreis, aus dem heraus kein Wesen von ihr weiß. Aber die Dunkelheit hält alles an sich: Gestalten und Flammen, Tiere und mich, wie sie’s errafft, Menschen und Mächte – Und es kann sein: eine große Kraft rührt sich in meiner Nachbarschaft. Ich glaube an Nächte. 44 Tu, Oscurità, – da te provengo – amo te più che la fiamma che dà confine al mondo, risplendendo per qualcosa che somiglia a un cerchio – e là, nell’oltre, non v’è alcuno che sappia ciò che sia. Ma l’Oscurità trattiene insieme tutte le cose, figure e fiamme, viventi e me, come li abbranca, uomini e potenze – e può esistere: una forza grande si agita vicino a me. Ho fede nelle notti. 45 12 Ich glaube an Alles noch nie Gesagte. Ich will meine frömmsten Gefühle befrein. Was noch keiner zu wollen wagte, wird mir einmal unwillkürlich sein. Ist das vermessen, mein Gott, vergieb. Aber ich will dir damit nur sagen: Meine beste Kraft soll sein wie ein Trieb, so ohne Zürnen und ohne Zagen; so haben dich ja die Kinder lieb. Mit diesem Hinfluten, mit diesem Münden in breiten Armen ins offene Meer, mit dieser wachsenden Wiederkehr will ich dich bekennen, will ich dich verkünden wie keiner vorher. Und ist das Hoffahrt, so lass mich hoffährtig sein für mein Gebet, das so ernst und allein vor deiner wolkigen Stirne steht. 46 Ho fede in tutto ciò che mai è stato detto. Ciò che più devotamente sento, voglio liberarlo. Ciò che nessuno ancora osò volere senza che lo voglia mi potrà accadere. Se ciò è avventato, mio Dio, tu perdona. Ma voglio in questo modo dirti solamente: la mia migliore forza dovrà farsi come un tendere istintivo, e dunque senza astio né incertezza; è così che i bimbi sanno amarti. Con questi rivoli che scendono, con queste bocche in larghe braccia dentro il mare aperto, con un ritorno – questo – che è una crescita, te io voglio riconoscere, te voglio annunciare come nessuno fino ad ora. Se sono superbo, lascia che superbamente esista nella mia preghiera, che così fiera e sola sta davanti alla tua fronte annuvolata. 47 13 Ich bin auf der Welt zu allein und doch nicht allein genug um jede Stunde zu weihn. Ich bin auf der Welt zu gering und doch nicht klein genug um vor dir zu sein wie ein Ding, dunkel und klug. Ich will meinen Willen und will meinen Willen begleiten die Wege zur Tat; und will in stillen, irgendwie zögernden Zeiten, wenn etwas naht, unter den Wissenden sein oder allein. Ich will dich immer spiegeln in ganzer Gestalt, und will niemals blind sein oder zu alt um dein schweres schwankendes Bild zu halten. Ich will mich entfalten. Nirgends will ich gebogen bleiben, denn dort bin ich gelogen, wo ich gebogen bin. Und ich will meinen Sinn wahr vor dir. Ich will mich beschreiben wie ein Bild das ich sah, lange und nah, wie ein Wort, das ich begriff, wie meinen täglichen Krug, wie meiner Mutter Gesicht, wie ein Schiff, das mich trug durch den tödlichsten Sturm. 48 Sono così solo al mondo – ma solo abbastanza non ancora da benedire ogni momento. Sono così insignificante al mondo – ma piccolo abbastanza non ancora da stare in fronte a te come una cosa, oscura e sapiente. Io voglio ciò che voglio, e voglio che le mie volontà percorrano i sentieri verso il fare; e voglio nei tempi silenziosi, che stanno come in attesa, se mai si approssima qualcosa, essere tra i saggi oppure essere solo. Voglio specchiarti sempre, in tutta la figura, non voglio essere cieco mai né troppo vecchio a sostenere la tua immagine pesante, che vacilla. Voglio potermi dispiegare. Non c’è luogo in cui io voglia rimanere curvo a terra, perché là dove sto curvo divento come una menzogna. Voglio i miei sensi veritieri innanzi a te. Voglio potermi rappresentare come un quadro che ho visto, a lungo e da vicino, come una parola che ho compreso, come il mio bacile d’ogni giorno, come il volto di mia madre, come una nave che mi abbia tratto in salvo dalla tempesta più mortale. 49 14 Du siehst, ich will viel. Vielleicht will ich Alles: das Dunkel jedes unendlichen Falles und jedes Steigens lichtzitterndes Spiel. Es leben so viele und wollen nichts, und sind durch ihres leichten Gerichts glatte Gefühle gefürstet. Aber du freust dich jedes Gesichts, das dient und dürstet. Du freust dich Aller, die dich gebrauchen wie ein Gerät. Noch bist du nicht kalt, und es ist nicht zu spät, in deine werdenden Tiefen zu tauchen, wo sich das Leben ruhig verrät. 50 Voglio molto, vedi. Forse, voglio tutto: il buio di ogni caduta senza fine, e il gioco di ogni ascesa – tremolante di luce. Così tanti vivono, e non vogliono nulla, e attraverso i loro facili giudizi sentimenti semplici li portano. Ma gioisci tu per ogni volto che si metta a servizio, che abbia sete. Gioisci per coloro, tutti, che si servono di te come strumento. Ancora non sei freddo, ancora non è troppo tardi per immergerci nel tuo profondo che diviene, là dove la vita quietamente si rivela. 51 15 Wir bauen an dir mit zitternden Händen und wir türmen Atom auf Atom. Aber wer kann dich vollenden, du Dom. Was ist Rom? Es zerfällt. Was ist die Welt? Sie wird zerschlagen eh deine Türme Kuppeln tragen, eh aus Meilen von Mosaik deine strahlende Stirne stieg. Aber manchmal im Traum kann ich deinen Raum überschaun, tief vom Beginne bis zu des Daches goldenem Grate. Und ich seh: meine Sinne bilden und baun die letzten Zierate. 52 Ti edifichiamo, noi, con mani tremolanti, e accatastiamo atomo su atomo. Ma chi può portarti a compimento – Te, cattedrale? Cos’è Roma? Cade in rovine. Cos’è il mondo? Andrà in frantumi prima che le tue torri sostengano le cupole, prima che da migliaia di mosaici la tua fronte risplendente appaia. Ma a volte, nel sogno, posso il tuo spazio abbracciarlo con lo sguardo, a fondo, dagli inizi fino al colmo d’oro del tetto.. E vedo: i miei sensi dare forma ed esistenza agli ultimi ornamenti. 53 16 Daraus, dass Einer dich einmal gewollt hat, weiß ich, dass wir dich wollen dürfen. Wenn wir auch alle Tiefen verwürfen: wenn ein Gebirge Gold hat und keiner mehr es ergraben mag, trägt es einmal der Fluss zutag, der in die Stille der Steine greift, der vollen. Auch wenn wir nicht wollen: Gott reift. 54 Per questo, perché Uno un tempo t’ha voluta, io so che anche noi possiamo qui volerti. Anche se d’alcuna profondità non ci curassimo, se nasconde oro una montagna ma nessuno vuole andarne alla ricerca, il fiume un giorno lo trarrà alla luce – lui che cerca tra il silenzio delle pietre, colme. Anche se noi non lo volessimo: Dio tende al compimento. 55 17 Wer seines Lebens viele Widersinne versöhnt und dankbar in ein Sinnbild fasst, der drängt die Lärmenden aus dem Palast, wird anders festlich, und du bist der Gast, den er an sanften Abenden empfängt. Du bist der Zweite seiner Einsamkeit, die ruhige Mitte seinen Monologen; und jeder Kreis, um dich gezogen, spannt ihm den Zirkel aus der Zeit. 56 Chi della propria vita i molti controsensi, grato, sa riconciliare dentro a un simbolo, espelle dal palazzo colui che genera frastuono, si fa festoso in altro modo – tu sei l’Ospite ed egli te riceve nelle sere delicate. Della sua solitudine, tu sei il secondo, il centro quieto del suo monologare; e ogni cerchio che ti sia tracciato intorno via dal tempo estende il suo compasso. 57 18 Was irren meine Hände in den Pinseln? Wenn ich dich male, Gott, du merkst es kaum. Ich fühle dich. An meiner Sinne Saum beginnst du zögernd, wie mit vielen Inseln, und deinen Augen, welche niemals blinseln, bin ich der Raum. Du bist nicht mehr inmitten deines Glanzes, wo alle Linien des Engeltanzes die Fernen dir verbrauchen wie Musik, – du wohnst in deinem allerletzten Haus. Dein ganzer Himmel horcht in mich hinaus, weil ich mich sinnend dir verschwieg. 58 Perché vagano le mani tra i pennelli? Se te dipingo, Dio, a stento te ne accorgi. Ti percepisco. Al limitare dei miei sensi inizi tu, indugiante, come con molte isole, e per i tuoi occhi, mai socchiusi, io sono lo spazio. Tu non sei più, no, in mezzo ai tuoi bagliori, dove tutte le figure di danza degli angeli consumano per te le lontananze come musica – tu vivi nella tua dimora estrema. Il tuo cielo, tutto, ascolta in me, proteso, perché con te ho taciuto di me stesso, nel pensiero. 59 19 Ich bin, du Ängstlicher. Hörst du mich nicht mit allen meinen Sinnen an dir branden? Meine Gefühle, welche Flügel fanden, umkreisen weiß dein Angesicht. Siehst du nicht meine Seele, wie sie dicht vor dir in einem Kleid aus Stille steht? Reift nicht mein mailiches Gebet an deinem Blicke wie an einem Baum? Wenn du der Träumer bist, bin ich dein Traum. Doch wenn du wachen willst, bin ich dein Wille und werde mächtig aller Herrlichkeit und ründe mich wie eine Sternenstille über der wunderlichen Stadt der Zeit. 60 Sono io, tu che sei nella paura. Non mi senti, che mi infrango contro te con ogni senso? Hanno trovato ali i miei sentimenti, e ròteano bianchi attorno al tuo volto. Non vedi la mia anima, come densa ti sta innanzi in una veste di silenzio? Non matura la mia preghiera di maggio sul tuo sguardo come sopra un albero? Se tu sei colui che sogna, io sono il tuo sogno. Ma quando vuoi vegliare, io sono la tua volontà e mi rende forte tutto ciò che è splendido e mi distendo, concavo, come un silenzio di stelle sulla città del tempo: lei meravigliosa. 61 20 Mein Leben ist nicht diese steile Stunde, darin du mich so eilen siehst. Ich bin ein Baum vor meinem Hintergrunde, ich bin nur einer meiner vielen Munde und jener, welcher sich am frühsten schließt. Ich bin die Ruhe zwischen zweien Tönen, die sich nur schlecht aneinander gewöhnen: denn der Ton Tod will sich erhöhn – Aber im dunklen Intervall versöhnen sich beide zitternd. Und das Lied bleibt schön. 62 Mia vita non è questo ripido momento nel quale tu mi vedi tanto urgentemente andare. Sono un albero di fronte allo spazio che per me si stende, una soltanto delle mie molte bocche, e proprio quella che per prima si dischiude. Sono l’istante silenzioso tra due suoni, che a fatica ora s’accordano l’un l’altro: il suono morte, infatti, vuole prevalere – Ma nell’oscuro intervallo si conciliano, entrambi con un fremito. E rimane bello il canto. 63 21 Wenn ich gewachsen wäre irgendwo, wo leichtere Tage sind und schlanke Stunden, ich hätte dir ein großes Fest erfunden, und meine Hände hielten dich nicht so, wie sie dich manchmal halten, bang und hart. Dort hätte ich gewagt, dich zu vergeuden, du grenzenlose Gegenwart. Wie einen Ball hätt ich dich in alle wogenden Freuden hineingeschleudert, dass einer dich finge und deinem Fall mit hohen Händen entgegenspringe, du Ding der Dinge. Ich hätte dich wie eine Klinge blitzen lassen. Vom goldensten Ringe ließ ich dein Feuer umfassen, und er müsste mirs halten über die weißeste Hand. Gemalt hätt ich dich: nicht an die Wand, an den Himmel selber von Rand zu Rand, und hätt dich gebildet, wie ein Gigant dich bilden würde: als Berg, als Brand, als Samum, wachsend aus Wüstensand – oder es kann auch sein: ich fand dich einmal... 64 Se fossi nato in altro luogo, dove più leggeri sono i giorni, e più slanciate le ore, avrei inventato per te una grande festa e ti avrebbero tenuto le mia mani – non così, come talvolta ora ti tengono, spaventate, dure. L’avrei rischiato, là: di dissiparti, tu presenza senza limiti. Come una palla dentro tutte le ondeggianti gioie ti avrei scagliato, così che uno, ad afferarti nella tua caduta, con le braccia in alto ti balzasse incontro, tu cosa tra le cose. Come una lama ti avrei fatto risplendere. Di un anello d’oro e più che d’oro il fuoco tuo lo farei cingere così che mi si dovesse fermare sulla mano più bianca. Ti avrei dipinto: non sul muro, ma sul cielo stesso da confine a confine, e ti avrei dato forma, come un gigante te la potrebbe dare: monte, fuoco, vento che si desta dalle sabbie del deserto – oppure può anche essere: io trovai te un giorno... 65 Meine Freunde sind weit, ich höre kaum noch ihr Lachen schallen; und du: du bist aus dem Nest gefallen, bist ein junger Vogel mit gelben Krallen und großen Augen und tust mir leid. (Meine Hand ist dir viel zu breit.) Und ich heb mit dem Finger vom Quell einen Tropfen und lausche, ob du ihn lechzend langst, und ich fühle dein Herz und meines klopfen und beide aus Angst. 66 I miei amici sono lontani, sento appena risuonare il loro riso; e tu: tu sei caduto dal nido, sei un piccolo d’uccello con artigli gialli e grandi occhi – e mi dai dolore. (È troppo vasta per te la mia mano). E attingo col dito alla fonte, una goccia, e tendo l’orecchio se ti protendi tu desiderandola, e battere sento il tuo cuore e il mio – per paura, l’uno e l’altro. 67 22 Ich finde dich in allen diesen Dingen, denen ich gut und wie ein Bruder bin; als Samen sonnst du dich in den geringen und in den großen giebst du groß dich hin. Das ist das wundersame Spiel der Kräfte, dass sie so dienend durch die Dinge gehn: in Wurzeln wachsend, schwindend in die Schäfte und in den Wipfeln wie ein Auferstehn. 68 Te ritrovo in tutte quelle cose per le quali sono un bene io come un fratello: come seme splendi tu nelle più fragili, nelle più forti ti protendi con potenza. È lo stupefacente gioco delle forze: così pronte a servirle attraversano le cose! Nelle radici si fan grandi, si ritraggono nei tronchi, ed è come se tornassero alla vita nelle fronde. 69 23 Stimme eines jungen Bruders Ich verrinne, ich verrinne wie Sand, der durch Finger rinnt. Ich habe auf einmal so viele Sinne, die alle anders durstig sind. Ich fühle mich an hundert Stellen schwellen und schmerzen. Aber am meisten mitten im Herzen. Ich möchte sterben. Lass mich allein. Ich glaube, es wird mir gelingen, so bange zu sein, dass mir die Pulse zerspringen. 70 Voce di un giovane frate Io scorro via, scorro via, come sabbia, che tra le dita scorre. Ho sensi così tanti all’improvviso, ciascuno con la sete più diversa. Mi sento in mille punti rigonfiare, dolorare. Ma più che tutto in mezzo al cuore. Morire vorrei. Lasciami solo. Penso che avrò presto una paura tale, che i miei polsi esploderanno. 71 24 Sieh, Gott, es kommt ein Neuer an dir bauen, der gestern noch ein Knabe war; von Frauen sind seine Hände noch zusammgefügt zu einem Falten, welches halb schon lügt. Denn seine Rechte will schon von der Linken, um sich zu wehren oder um zu winken und um am Arm allein zu sein. Noch gestern war die Stirne wie ein Stein im Bach, geründet von den Tagen, die nichts bedeuten als ein Wellenschlagen und nichts verlangen, als ein Bild zu tragen von Himmeln, die der Zufall drüber hängt; heut drängt auf ihr sich eine Weltgeschichte vor einem unerbittlichen Gerichte, und sie versinkt in seinem Urteilsspruch. Raum wird auf einem neuen Angesichte. Es war kein Licht vor diesem Lichte, und, wie noch nie, beginnt dein Buch. 72 Guarda, Dio: uno nuovo giunge a edificarti, e solo fino a ieri era un ragazzo; donne hanno composto le sue mani giunte in un intreccio, che per metà già sta mentendo. Perché già vorrebbe la sua destra allontanarsi dalla sinistra, per farsi schermo o dare un cenno ed esser sola con il proprio braccio. Solo ieri, la sua fronte era una pietra nel ruscello, levigata dai giorni che nulla significano se non quel proprio infrangersi di onde, e nulla chiedono, se non di portare un’immagine del cielo, che il caso ha posto sopra di loro; e su di loro urge, oggi, una storia che è quella del mondo, innanzi a un tribunale che non conosce grazia, e sprofonda nel suo pronunciamento. Si farà spazio sopra un nuovo volto. Non ci fu luce avanti questa luce, e, come mai prima di ora, il tuo Libro prende inizio. 73 25 Ich liebe dich, du sanftestes Gesetz, an dem wir reiften, da wir mit ihm rangen; du großes Heimweh, das wir nicht bezwangen, du Wald, aus dem wir nie hinausgegangen, du Lied, das wir mit jedem Schweigen sangen, du dunkles Netz, darin sich flüchtend die Gefühle fangen. Du hast dich so unendlich groß begonnen an jenem Tage, da du uns begannst, – und wir sind so gereift in deinen Sonnen, so breit geworden und so tief gepflanzt, dass du in Menschen, Engeln und Madonnen dich ruhend jetzt vollenden kannst. Lass deine Hand am Hang der Himmel ruhn und dulde stumm, was wir dir dunkel tun. 74 Ti amo, norma leggerissima, contro la quale maturammo, con la quale crescemmo fino a ciò che siamo ora; tu grande nostalgia, che mai potemmo trattenere, tu foresta, dalla quale mai uscimmo, tu canto, che con ogni silenzio facemmo risuonare, tu oscura rete, nella quale i sentimenti fuggendo sono presi. Senza fine ti sei fatto grande nel giorno in cui ci hai dato inizio, – e siamo così a lungo maturati nel tuo sole, e così cresciuti nell’ampiezza e poi così profondamente radicati che tu in uomini, angeli e madonne quietamente puoi portarti a compimento. Lascia che riposi la tua mano sulla convessità del cielo – e ciò che noi oscuramente ti facciamo, sopportalo in silenzio. 75 26 Werkleute sind wir: Knappen, Jünger, Meister, und bauen dich, du hohes Mittelschiff. Und manchmal kommt ein ernster Hergereister, geht wie ein Glanz durch unsre hundert Geister und zeigt uns zitternd einen neuen Griff. Wir steigen in die wiegenden Gerüste, in unsern Händen hängt der Hammer schwer, bis eine Stunde uns die Stirnen küsste, die strahlend und als ob sie Alles wüsste von dir kommt, wie der Wind vom Meer. Dann ist ein Hallen von dem vielen Hämmern und durch die Berge geht es Stoß um Stoß. Erst wenn es dunkelt lassen wir dich los: Und deine kommenden Konturen dämmern. Gott, du bist groß. 76 Siamo operai: apprendisti, garzoni, maestri – e costruiamo te, navata protesa verso l’alto. Giunge, a volte, un grave forestiero e come un luccichio percorre i nostri cento spiriti: ci mostra, tremolando, un nuovo appiglio. Ci arrampichiamo sui ponteggi vacillanti; dalle nostre mani, pesante, penzola il martello fino a che un istante non venne a baciarci sulle fronti, rilucendo, come se ogni cosa conoscesse – viene da te, come dal mare il vento. È un risuonare, allora, di martelli, molti, e va nelle montagne un colpo dopo l’altro. Al primo buio, solo allora ti lasciamo: affiorano i tuoi tratti, e danno luce. Dio, sei grande! 77 27 Du bist so groß, dass ich schon nicht mehr bin, wenn ich mich nur in deine Nähe stelle. Du bist so dunkel; meine kleine Helle an deinem Saum hat keinen Sinn. Dein Wille geht wie eine Welle und jeder Tag ertrinkt darin. Nur meine Sehnsucht ragt dir bis ans Kinn und steht vor dir wie aller Engel größter: ein fremder, bleicher und noch unerlöster, und hält dir seine Flügel hin. Er will nicht mehr den uferlosen Flug, an dem die Monde blass vorüberschwammen, und von den Welten weiß er längst genug. Mit seinen Flügeln will er wie mit Flammen vor deinem schattigen Gesichte stehn und will bei ihrem weißen Scheine sehn, ob deine grauen Brauen ihn verdammen. 78 Sei così grande, che io non sono più Se appena vengo un po’ vicino a te. Sei così buio; il mio chiarore, piccolo, dove tu sei non ha più senso. Si muove il tuo volere come un’onda, e il giorno annega in lei. Solo il mio ardore sale a te, fino al tuo mento e lì ti sta davanti, più grande d’ogni angelo: uno straniero ardore, e pallido, ancora non salvato, che apre le sue ali incontro a te. Non vuole più quel volo senza fine per il quale, impallidendo, molte lune hanno già percorso il cielo: da tanto, ciò che sa dei mondi può bastargli. Come con fiamme, vuole stare innanzi a te Con le sue ali: al tuo viso, fatto d’ombre; e vuole, nel loro bianco risplendere, vedere se le tue ciglia grigie lo condannano. 79 28 So viele Engel suchen dich im Lichte und stoßen mit den Stirnen nach den Sternen und wollen dich aus jedem Glanze lernen. Mir aber ist, sooft ich von dir dichte, dass sie mit abgewendetem Gesichte von deines Mantels Falten sich entfernen. Denn du warst selber nur ein Gast des Golds. Nur einer Zeit zuliebe, die dich flehte in ihre klaren marmornen Gebete, erschienst du wie der König der Komete, auf deiner Stirne Strahlenströme stolz. Du kehrtest heim, da jene Zeit zerschmolz. Ganz dunkel ist dein Mund, von dem ich wehte, und deine Hände sind von Ebenholz. 80 Angeli – così tanti – cercano te nella tua luce, e con le fronti colpiscono le stelle per imparare te dove risplende. A me, invece, se di te dico poesia, accade che, distolti i loro volti, s’allontanino dalle pieghe del tuo manto. Dunque tu eri appena un ospite dell’oro. Fu per amore di un’epoca, soltanto – lei che t’invocò nel marmo con preghiere bianche – che apparisti come il re delle comete, fiero dei bagliori: la tua fronte li irradiava. Ti ritraesti – quando quel tempo venne meno. È tutta buia, adesso, la tua bocca – io, ne sono un alito; e le tue mani sono d’ebano. 81 29 Das waren Tage Michelangelo’s, von denen ich in fremden Büchern las. Das war der Mann, der über einem Maß, gigantengroß, die Unermesslichkeit vergaß. Das war der Mann, der immer wiederkehrt, wenn eine Zeit noch einmal ihren Wert, da sie sich enden will, zusammenfasst. Da hebt noch einer ihre ganze Last und wirft sie in den Abgrund seiner Brust. Die vor ihm hatten Leid und Lust; er aber fühlt nur noch des Lebens Masse und dass er Alles wie ein Ding umfasse, – nur Gott bleibt über seinem Willen weit: da liebt er ihn mit seinem hohen Hasse für diese Unerreichbarkeit. 82 Furono i giorni di Michelangelo, dei quali ho letto in libri d’altre terre. Fu l’uomo, allora, che oltre ogni misura – grande, gigantesco – dimenticò che esiste l’impossibilità di misurare. Fu l’uomo, che sempre fa ritorno quando un’epoca raccoglie, per una sola volta ancora, ciò che vale in lei: ormai, vuole finire. E un uomo ne solleva tutto il peso, e lo scaglia nelle profondità del proprio petto. Per lui, ebbero pena – e gioia; ma lui la massa della vita avverte, solamente, e che l’abbraccia come cosa sola. Dio solo resta oltre il suo volere: ed egli l’ama con un intimo rancore perché non può raggiungerlo. 83 30 Der Ast vom Baume Gott, der über Italien reicht, hat schon geblüht. Er hätte vielleicht sich schon gerne, mit Früchten gefüllt, verfrüht, doch er wurde mitten im Blühen müd, und er wird keine Früchte haben. Nur der Frühling Gottes war dort, nur sein Sohn, das Wort, vollendete sich. Es wendete sich alle Kraft zu dem strahlenden Knaben. Alle kamen mit Gaben zu ihm; alle sangen wie Cherubim seinen Preis. Und er duftete leis als Rose der Rosen. Er war ein Kreis um die Heimatlosen. Er ging in Mänteln und Metamorphosen durch alle steigenden Stimmen der Zeit. 84 Si dirama l’albero di Dio, si sporge sull’Italia: ha dato già i suoi fiori. Avrebbe forse, e volentieri, sé ancora di frutti ricoperto, nella pienezza della primavera, ma nel maturo fiorire s’è sfiancato, e non avrà più frutto di sorta. La primavera di Dio fu là, soltanto essa, il suo Figlio solo, la Parola, ha portato se stesso a compimento. Ogni forza s’è rivolta al fanciullo che dà raggi. Tutti giunsero a lui portando doni; il suo valore tutti lo cantarono, come cherubini. Ed egli intorno sparse un profumo delicato, come rosa tra le rose. Fu un cerchio attorno a chi era senza patria. Tra mantelli andava, e in sé mutava: ogni voce che dal tempo si levasse attraversava. 85 31 Da ward auch die zur Frucht Erweckte, die schüchterne und schönerschreckte, die heimgesuchte Magd geliebt. Die Blühende, die Unentdeckte, in der es hundert Wege giebt. Da ließen sie sie gehn und schweben und treiben mit dem jungen Jahr; ihr dienendes Marien-Leben ward königlich und wunderbar. Wie feiertägliches Geläute ging es durch alle Häuser groß; und die einst mädchenhaft Zerstreute war so versenkt in ihren Schoß und so erfüllt von jenem Einen und so für Tausende genug, dass alles schien, sie zu bescheinen, die wie ein Weinberg war und trug. 86 Così fu amata anche colei8 che fu destata a dare frutto – la timida, la colma di timore, lei che fu nell’intimo cercata: la fiorente fanciulla, la nascosta – lei che ospita in se stessa mille strade. Le permisero di andare, di librarsi, e nel giovane anno dare fremiti – la loro umile vita di Maria regale diventò, e meravigliosa: come campane a festa in giorni santi da una casa corse all’altra, immensa; e lei, svagata un tempo nella fanciullezza, così compresa si trovava nel suo grembo, così colma di quell’Uno – per migliaia già bastante – e sembrava tutto porla in luce: lei che come vigna era, e dava frutto. 8 A. Lavagetto, «Commento», in R.M. Rilke, Poesie, vol. I, p. 758: «Questa poesia e la successiva furono scritte a Worpswede intorno al 1° maggio 1905, durante il lavoro di revisione dello Stundenbuch. Erano in origine un unico testo; solo nel volume a stampa divennero due liriche distinte. [...] Ruth Mövius indica, come possibili modelli dello splendore pittorico cui Rilke allude, la Madonna di Castelfranco del Giorgione a Venezia, la Madonna della pala di Pesaro di Tiziano a Venezia, l’Adorazione dei Magi del Tiepolo a Monaco». 87 32 Aber als hätte die Last der Fruchtgehänge und der Verfall der Säulen und Bogengänge und der Abgesang der Gesänge sie beschwert, hat die Jungfrau sich in anderen Stunden, wie von Größerem noch unentbunden, kommenden Wunden zugekehrt. Ihre Hände, die sich lautlos lösten, liegen leer. Wehe, sie gebar noch nicht den Größten. Und die Engel, die nicht trösten, stehen fremd und furchtbar um sie her. 88 Ma come se l’avessero il carico dei frutti9, la rovina degli archi e delle colonne, e il commiato dei canti poi oppressa, si trovò la giovinetta in altre ore, come da qualcosa di più grande già avvinghiata, a ferite che giungevano rivolta. Le sue mani, che senza suono si protendevano10, giacciono svuotate. Ah, non ancora ha partorito lei l’Immenso. E gli angeli, che non rendono conforto, le stanno intorno, terribili e ignoti. 9 Lavagetto, «Commento», in Rilke, Poesie, cit., p. 759: «Ruth Mövius suppone che Rilke abbia conosciuto anche Crivelli e la sua scuola, nelle cui opere compaiono sempre rovine di templi e di palazzi, e pesanti serti di frutti». 10 Lavagetto, «Commento», in Rilke, Poesie, cit., p. 759: «Si avanza l’ipotesi [...] che questa strofa si riferisca a un tondo di Botticelli che Rilke quasi certamente vide a Berlino (Maria col bambino e angeli con candelieri): in esso la Madonna tiene il bambino in grembo, fra le mani molli e aperte; la circondano sette angeli che reggono candele e volgono lo sguardo lontano da lei. Le “sette candele angeliche” tornano nella poesia successiva». 89 33 So hat man sie gemalt; vor allem Einer, der seine Sehnsucht aus der Sonne trug. Ihm reifte sie aus allen Rätseln reiner, aber im Leiden immer allgemeiner: sein ganzes Leben war er wie ein Weiner, dem sich das Weinen in die Hände schlug. Er ist der schönste Schleier ihrer Schmerzen, der sich an ihre wehen Lippen schmiegt, sich über ihnen fast zum Lächeln biegt – und von dem Licht aus sieben Engelskerzen wird sein Geheimnis nicht besiegt. 90 Così l’hanno ritratta; uno tra tutti, che dal sole trasse il suo anelare11. Per lui, più pura giunse a compimento lei dai molti enigmi, ma nel dolore più e più forte: egli fu per la vita uno che piange, e il suo pianto nelle mani si versò. È il velo più bello al suo dolore colui che s’inchina alle sue labbra di pena e vi si flette sopra prossimo al sorriso – e neanche dalla luce di sette candele d’angeli sarà vinto mai il suo mistero. 11 Lavagetto, «Commento», in Rilke, Poesie, cit., p. 758: «Il “più triste dei pittori” [...] è Sandro Botticelli. Ivi., p. 759: «Botticelli, l’artista che in un’epoca di splendore dipinse l’angoscia, protegge il segreto di Maria anziché disperderlo in raffigurazioni ricche e lucenti, e diventa il velo del suo dolore». 91 34 Mit einem Ast, der jenem niemals glich, wird Gott, der Baum, auch einmal sommerlich verkündend werden und aus Reife rauschen; in einem Lande, wo die Menschen lauschen, wo jeder ähnlich einsam ist wie ich. Denn nur dem Einsamen wird offenbart, und vielen Einsamen der gleichen Art wird mehr gegeben als dem schmalen Einen. Denn jedem wird ein andrer Gott erscheinen, bis sie erkennen, nah am Weinen, dass durch ihr meilenweites Meinen, durch ihr Vernehmen und Verneinen, verschieden nur in hundert Seinen ein Gott wie eine Welle geht. Das ist das endlichste Gebet, das dann die Sehenden sich sagen: Die Wurzel Gott hat Frucht getragen, geht hin, die Glocken zu zerschlagen; wir kommen zu den stillern Tagen, in denen reif die Stunde steht. Die Wurzel Gott hat Frucht getragen. Seid ernst und seht. 92 Con un ramo, al quale nulla mai fu somigliante, ancora una volta nell’estate Dio sarà annunciato – lui, la pianta – e stormirà incontro al compimento: in una terra in cui gli uomini ascoltano in silenzio, dove ciascuno è solo, così come lo sono io. A chi è solo unicamente viene schiuso, e a molti che lo sono in modo uguale è dato più che a uno solo. Poiché a ciascuno un Dio diverso si vorrà mostrare, finché sapranno, prossimi alle lacrime, che attraverso il loro innumerabile indagare, il loro udire e dubitare, disperso in cento modi d’essere, un Dio soltanto avanza come un’onda. Questa è la preghiera estrema che quelli che avran visto si diranno: Dio, radice, ha dato frutto, andate, frantumate le campane; siamo arrivati ai più silenti giorni, in cui matura l’ora si riposa. Dio, radice, ha dato frutti. Siate fervidi, guardate. 93 35 Ich kann nicht glauben, dass der kleine Tod, dem wir doch täglich übern Scheitel schauen, uns eine Sorge bleibt und eine Not. Ich kann nicht glauben, dass er ernsthaft droht; ich lebe noch, ich habe Zeit zu bauen: mein Blut ist länger als die Rosen rot. Mein Sinn ist tiefer als das witzige Spiel mit unsrer Furcht, darin er sich gefällt. Ich bin die Welt, aus der er irrend fiel. Wie er kreisende Mönche wandern so umher; man fürchtet sich vor ihrer Wiederkehr, man weiß nicht: ist es jedesmal derselbe, sinds zwei, sinds zehn, sinds tausend oder mehr? Man kennt nur diese fremde gelbe Hand, die sich ausstreckt so nackt und nah – da da: als käm sie aus dem eigenen Gewand. 94 Che la piccola morte che scorgiamo un giorno dopo l’altro sopra il nostro capo, che sia per noi pensiero d’ansia, e pena, non so crederlo. Che minacci seriamente, non so credere: sono vivo, ora; e ho tempo, per costruire; più a lungo d’una rosa il mio sangue resta rosso. Più profondo è il mio capire, più del gioco sottile che ella intesse con il nostro terrore. Io sono il mondo da cui, errando, cadde. Come lei, così, monaci mendichi vagano qui intorno: c’è il timore, sempre, che ritornino, e non si può sapere se sia uno, solitario, o siano due, o dieci, o mille – o ancora, quanti? Soltanto questa mano si conosce: straniera, gialla, che si protende nuda ed è vicina – qui: come se uscisse dalla tunica di ognuno. 95 36 Was wirst du tun, Gott, wenn ich sterbe? Ich bin dein Krug (wenn ich zerscherbe?) Ich bin dein Trank (wenn ich verderbe?) Bin dein Gewand und dein Gewerbe, mit mir verlierst du deinen Sinn. Nach mir hast du kein Haus, darin dich Worte, nah und warm, begrüßen. Es fällt von deinen müden Füßen die Samtsandale, die ich bin. Dein großer Mantel lässt dich los. Dein Blick, den ich mit meiner Wange warm, wie mit einem Pfühl, empfange, wird kommen, wird mich suchen, lange – und legt beim Sonnenuntergange sich fremden Steinen in den Schoß. Was wirst du tun, Gott? Ich bin bange. 96 Cosa farai, Dio, se muoio? Sono la tua brocca (e se m’infrango?). Sono la tua acqua (e se marcisco?). Sono la tua veste e il tuo lavoro: perderesti assieme a me il tuo stesso senso. Dopo di me, tu non hai casa in cui t’accolgano parole d’intimo calore. Dai tuoi piedi stanchi, i sandali scivolerebbero via – loro: sono io. Il tuo mantello grande si slaccia via da te. Il tuo sguardo, che io accolgo sulle guance calde come su un cuscino, verrà, mi cercherà, per lungo tempo – e giacerà tra pietre estranee nel sole che discende oltre la terra. Cosa farai, Dio? Sono in angoscia. 97 37 Du bist der raunende Verrußte, auf allen Öfen schläfst du breit. Das Wissen ist nur in der Zeit. Du bist der dunkle Unbewusste von Ewigkeit zu Ewigkeit. Du bist der Bittende und Bange, der aller Dinge Sinn beschwert. Du bist die Silbe im Gesange, die immer zitternder im Zwange der starken Stimmen wiederkehrt. Du hast dich anders nie gelehrt: Denn du bist nicht der Schönumscharte, um welchen sich der Reichtum reiht. Du bist der Schlichte, welcher sparte. Du bist der Bauer mit dem Barte von Ewigkeit zu Ewigkeit. 98 Sei tu colui che mormora, coperto di fuliggine, ed è vasto il tuo sonno sulle stufe. La conoscenza è solo qui, nel tempo. Tu sei l’oscuro inconsapevole – dall’eternità, per l’eternità. Sei tu colui che prega, colui che sta in angoscia e il senso d’ogni cosa rende grave. Sei tu la sillaba del canto che più tremante sempre fa ritorno nella forza delle voci più potenti. Non altro che così ti sei offerto: non sei la bella roccaforte attorno a cui si schiera l’abbondanza. Sei il semplice, che ha messo da parte. Sei il contadino con la barba. Dall’eternità, per l’eternità. 99 38 An den jungen Bruder Du, gestern Knabe, dem die Wirrnis kam: Dass sich dein Blut in Blindheit nicht vergeude. Du meinst nicht den Genuss, du meinst die Freude; du bist gebildet als ein Bräutigam, und deine Braut soll werden: deine Scham. Die große Lust hat auch nach dir Verlangen, und alle Arme sind auf einmal nackt. Auf frommen Bildern sind die bleichen Wangen von fremden Feuern überflackt; und deine Sinne sind wie viele Schlangen, die, von des Tones Rot umfangen, sich spannen in der Tamburine Takt. Und plötzlich bist du ganz allein gelassen mit deinen Händen, die dich hassen – und wenn dein Wille nicht ein Wunder tut: ……………………………………………. Aber da gehen wie durch dunkle Gassen von Gott Gerüchte durch dein dunkles Blut. 100 Al giovane frate Tu, fanciullo ieri, al quale è giunto addosso il turbamento: non si dissipi il tuo sangue nella cecità. Non è il piacere ciò a cui pensi, ma la gioia; sei stato creato come sposo, e la sposa sarà questa: il tuo pudore. Il piacere, grande, anch’esso ti reclama, e le braccia tutte sono nude in un istante. Sulle sacre immagini, le guance pallide percorrono guizzando fuochi estranei; i tuoi sensi sono come serpi, molte, che nel rosso dell’argilla stanno chiuse e si tendono nei colpi del tamburo. E sei solo in un istante, abbandonato lì con le tue mani, che ti odiano – e se la volontà non operasse un miracolo: ……………………………………………. Ma è là che va, come nei vicoli più bui, ciò che di Dio qui viene detto: nel tuo sangue: buio. 101 39 An den jungen Bruder Dann bete du, wie es dich dieser lehrt, der selber aus der Wirrnis wiederkehrt und so, dass er zu heiligen Gestalten, die alle ihres Wesens Würde halten, in einer Kirche und auf goldnen Smalten die Schönheit malte, und sie hielt ein Schwert. Er lehrt dich sagen: Du mein tiefer Sinn, vertraue mir, dass ich dich nicht enttäusche; in meinem Blute sind so viel Geräusche, ich aber weiß, dass ich aus Sehnsucht bin. Ein großer Ernst bricht über mich herein. In seinem Schatten ist das Leben kühl. Ich bin zum erstenmal mit dir allein, du, mein Gefühl. Du bist so mädchenhaft. Es war ein Weib in meiner Nachbarschaft und winkte mir aus welkenden Gewändern. Du aber sprichst mir von so fernen Ländern. Und meine Kraft schaut nach den Hügelrändern. 102 Al giovane frate Prega, dunque – come te l’insegnò colui che ritornò dal turbamento, e fu così: le sacre immagini, che tutta in sé trattengono la dignità della loro natura, egli ne dipinse in una chiesa, sull’oro degli smalti, la bellezza – armata, essa, d’una spada. Così ti parla, per insegnamento: tu, mio senso più profondo, abbi fiducia in me, che io non ti deluda; così tanto è nel mio sangue, e lì rimbomba, ma io lo so: ardentemente tendo a te. Una profonda serietà mi vive dentro. Nella sua ombra, la vita si rinfresca. Sono con te, da solo, per la prima volta: con te, mio sentimento. E sei così: quasi una fanciulla. C’era una donna, qui, vicino a me: dai suoi abiti sciupati, per me faceva cenni: mi chiamava. Tu, invece, mi parli di terre così lontane! E il mio vigore ai profili delle alture spinge gli occhi. 103 40 Ich habe Hymnen, die ich schweige. Es giebt ein Aufgerichtet sein, darin ich meine Sinne neige: du siehst mich groß und ich bin klein. Du kannst mich dunkel unterscheiden von jenen Dingen, welche knien; sie sind wie Herden und sie weiden, ich bin der Hirt am Hang der Heiden, vor welchem sie zu Abend ziehn. Dann komm ich hinter ihnen her und höre dumpf die dunklen Brücken, und in dem Rauch von ihren Rücken verbirgt sich meine Wiederkehr. 104 Possiedo inni, e in me li taccio. Essere proteso verso l’alto: esiste, e ad esso unicamente tendono i miei sensi: tu mi vedi grande, ma io sono piccolo. Indistinto so che puoi vedermi tra le cose, in tutto ciò che genuflette; esse sono come greggi intente al pascolo, e io il pastore al margine del prato: accanto passano, la sera. Io vado, seguo loro: e ascolto cupi i ponti oscuri; nel fumo bianco delle loro schiene sta nascosto il mio ritorno. 105 41 Gott, wie begreif ich deine Stunde, als du, dass sie im Raum sich runde, die Stimme vor dich hingestellt; dir war das Nichts wie eine Wunde, da kühltest du sie mit der Welt. Jetzt heilt es leise unter uns. Denn die Vergangenheiten tranken die vielen Fieber aus dem Kranken, wir fühlen schon in sanftem Schwanken den ruhigen Puls des Hintergrunds. Wir liegen lindernd auf dem Nichts und wir verhüllen alle Risse; du aber wächst ins Ungewisse im Schatten deines Angesichts. 106 Dio, come posso capirla la tua ora – quando tu, perché trovasse compimento nello spazio, mandasti la tua voce innanzi a te? Il nulla era per te come una ferita, e le desti sollievo con il mondo. Ora, a poco a poco, guarisce tra di noi. Poiché il tempo che è trascorso ha prosciugato in sé le tante febbri del malato, già sentiamo, noi, che delicatamente batte il polso quieto di ciò che sta sul fondo. Posiamo, noi, sul nulla, dandogli sollievo; ne avvolgiamo ogni apertura; tu, però, maturi nell’incerto, all’ombra del tuo volto. 107 42 Alle, die ihre Hände regen nicht in der Zeit, der armen Stadt, alle, die sie an Leises legen, an eine Stelle, fern den Wegen, die kaum noch einen Namen hat, – sprechen dich aus, du Alltagssegen, und sagen sanft auf einem Blatt: Es giebt im Grunde nur Gebete, so sind die Hände uns geweiht, dass sie nichts schufen, was nicht flehte; ob einer malte oder mähte, schon aus dem Ringen der Geräte entfaltete sich Frömmigkeit. Die Zeit ist eine vielgestalte. Wir hören manchmal von der Zeit, und tun das Ewige und Alte; wir wissen, dass uns Gott umwallte groß wie ein Bart und wie ein Kleid. Wir sind wie Adern im Basalte in Gottes harter Herrlichkeit. 108 Tutti coloro che muovono le proprie mani – ma non nel tempo, ch’è città di povertà – tutti, che a lievi cose le rivolgono, in un luogo, lontano dalle strade, che quasi ancora non ha nome, – ti pronunciano, benedizione d’ogni giorno, e con delicatezza dicono su un foglio: c’è preghiera, infine, solamente, e le nostre mani sono consacrate perché tutto ciò che fanno sia invocare – che dipinga, ognuno, o mieta, dalla sola fatica degli attrezzi già si leva intorno devozione. Il tempo ha molti modi di apparire: noi dal tempo udiamo, a volte, e facciamo poi l’eterno, l’antico; lo sappiamo: Dio si libra intorno a noi come una barba, grande; come una veste. Come vene di basalto siamo – noi, nella gloria di Dio che dura splende. 109 43 Der Name ist uns wie ein Licht hart an die Stirn gestellt. Da senkte sich mein Angesicht vor diesem zeitigen Gericht und sah (von dem es seither spricht) dich, großes dunkelndes Gewicht an mir und an der Welt. Du bogst mich langsam aus der Zeit, in die ich schwankend stieg; ich neigte mich nach leisem Streit: jetzt dauert deine Dunkelheit um deinen sanften Sieg. Jetzt hast du mich und weißt nicht wen, denn deine breiten Sinne sehn mir, dass ich dunkel ward. Du hältst mich seltsam zart und horchst, wie meine Hände gehn durch deinen alten Bart. 110 Per noi, come una luce è il nome, con durezza impressa sulla fronte. E s’inchinò il mio sguardo Di fronte al tuo giudizio tempestivo e vide (da quel tempo, di questo unicamente parla): te, peso immenso, rabbuiante peso su di me; sul mondo. Hai fatto sì che io deviassi, a poco a poco, dal tempo in cui crescevo vacillando; e dopo lieve lotta, eccomi chino: ma dura adesso la tenebra che ti appartiene attorno alla dolcezza della tua vittoria. Hai me, adesso – e non sai chi: i tuoi diffusi sensi solamente vedono che buio io mi sono fatto. Mi sostieni tu con strana tenerezza e le mie mani ascolti, come vanno dentro la tua barba antica. 111 44 Dein allererstes Wort war: Licht: da ward die Zeit. Dann schwiegst du lange. Dein zweites Wort ward Mensch und bange (wir dunkeln noch in seinem Klange) und wieder sinnt dein Angesicht. Ich aber will dein drittes nicht. Ich bete nachts oft: Sei der Stumme, der wachsend in Gebärden bleibt und den der Geist im Traume treibt, dass er des Schweigens schwere Summe in Stirnen und Gebirge schreibt. Sei du die Zuflucht vor dem Zorne, der das Unsagbare verstieß. Es wurde Nacht im Paradies: sei du der Hüter mit dem Horne, und man erzählt nur, dass er blies. 112 La tua primissima parola fu: luce – E il tempo fu; poi, tacesti a lungo. La seconda tua parola fu: uomo, e angoscia (per noi, ancora è farci notte nel suo suono), e medita il tuo viso, nuovamente. Io, però, la tua terza parola non la voglio. Spesso, così prego nella notte: sii colui che tace, che veglia e resta e dice a gesti, e lo spirito lo agita nel sogno perché scriva sulle fronti, sulle alture, la gravosa somma del tacere. Sii tu il riparo dal furore che colpì colui che non si deve nominare. Fu notte in Paradiso: sii tu la sentinella con il corno della quale si racconta solamente che suonava. 113 45 Du kommst und gehst. Die Türen fallen viel sanfter zu, fast ohne Wehn. Du bist der Leiseste von Allen, die durch die leisen Häuser gehn. Man kann sich so an dich gewöhnen, dass man nicht aus dem Buche schaut, wenn seine Bilder sich verschönen, von deinem Schatten überblaut; weil dich die Dinge immer tönen, nur einmal leis und einmal laut. Oft wenn ich dich in Sinnen sehe, verteilt sich deine Allgestalt: du gehst wie lauter lichte Rehe und ich bin dunkel und bin Wald. Du bist ein Rad, an dem ich stehe: von deinen vielen dunklen Achsen wird immer wieder eine schwer und dreht sich näher zu mir her, und meine willigen Werke wachsen von Wiederkehr zu Wiederkehr. 114 Tu vieni e vai. Le porte cadono con più dolcezza, senza quasi un alito di vento. Sei tu che taci più tra tutti – tra chi vaga per le case silenziose. A te, ci si può così perfettamente abituare che nemmeno più si cerca dentro i libri: e crescono le immagini in bellezza, superate nel blu dalla tua ombra; perché, le cose è te che fanno risuonare, sempre – piano, a volte; altre, a piena voce. Spesso, quando è te che vedo nei miei sensi, la tua figura immensa va in frantumi: tu vai come un lucente, forte capriolo – e tenebra io sono; sono bosco. Sei una ruota, e ti sto accanto: dei molti raggi oscuri, uno sempre più si fa pesante e resta sempre più vicino a me, e crescono le opere – le mie zelanti occupazioni: un giro dopo l’altro. 115 46 Du bist der Tiefste, welcher ragte, der Taucher und der Türme Neid. Du bist der Sanfte, der sich sagte, und doch: wenn dich ein Feiger fragte, so schwelgtest du in Schweigsamkeit. Du bist der Wald der Widersprüche. Ich darf dich wiegen wie ein Kind, und doch vollziehn sich deine Flüche, die über Völkern furchtbar sind. Dir ward das erste Buch geschrieben, das erste Bild versuchte dich, du warst im Leiden und im Lieben, dein Ernst war wie aus Erz getrieben auf jeder Stirn, die mit den sieben erfüllten Tagen dich verglich. Du gingst in Tausenden verloren, und alle Opfer wurden kalt; bis du in hohen Kirchenchoren dich rührtest hinter goldnen Toren; und eine Bangnis, die geboren, umgürtete dich mit Gestalt. 116 Sei ciò che è più profondo, e ciò che s’erge in alto: colui che dentro scende e poi l’invidia delle torri. Il mite sei, che di sé volle parlare, e poi: quando un vile ti rivolse una domanda, ti compiacesti del tuo saper tacere. Sei la foresta dei contrari. Cullarti posso, come un bimbo, e intanto, le tue maledizioni vanno a segno, tremende contro i popoli. Per te fu scritto il primo libro, ritrasse te le prima immagine, nel dolore fosti, e nell’amore – e la tua cupezza austera fu come impressa nel metallo: sulle fronti che nei sette pieni giorni con te si confrontarono. In migliaia, diffuso, ti smarristi, e fredde, tutte, diventarono le offerte; finché nei cori alti delle chiese ti destasti dietro porte d’oro: e un’angoscia, nata allora, cinse te col suo apparire. 117 47 Ich weiß: Du bist der Rätselhafte, um den die Zeit in Zögern stand. O wie so schön ich dich erschaffte in einer Stunde, die mich straffte, in einer Hoffahrt meiner Hand. Ich zeichnete viel ziere Risse, behorchte alle Hindernisse, – dann wurden mir die Pläne krank: es wirrten sich wie Dorngerank die Linien und die Ovale, bis tief in mir mit einem Male aus einem Griff ins Ungewisse die frommste aller Formen sprang. Ich kann mein Werk nicht überschaun und fühle doch: es steht vollendet. Aber, die Augen abgewendet, will ich es immer wieder baun. 118 Lo so: tu sei l’enigma attorno al quale il tempo stava immobile, indugiando. Oh, come fui io a crearti In una sola ora, teso in lei, in un superbo movimento delle mani. Ho tracciato, infine, righe come fregi, d’ogni ostacolo ho cercato la ragione, – ma i miei disegni s’ammalarono: come in roveti si confusero le linee e gli ovali, finché profonda in me, improvvisa, come da una mano che afferri nell’ignoto, scaturì la più devota delle forme. La mia opera, non posso più abbracciarla con lo sguardo, eppure sento: è qui, è compiuta. E non appena gli occhi abbia distolto, ancora io la voglio realizzare. 119 48 So ist mein Tagwerk, über dem mein Schatten liegt wie eine Schale. Und bin ich auch wie Laub und Lehm, sooft ich bete oder male ist Sonntag, und ich bin im Tale ein jubelndes Jerusalem. Ich bin die stolze Stadt des Herrn und sage ihn mit hundert Zungen; in mir ist Davids Dank verklungen: ich lag in Harfendämmerungen und atmete den Abendstern. Nach Aufgang gehen meine Gassen. Und bin ich lang vom Volk verlassen, so ists: damit ich größer bin. Ich höre jeden in mir schreiten und breite meine Einsamkeiten von Anbeginn zu Anbeginn. 120 Così è il mio lavoro d’ogni giorno, e su di esso la mia ombra giace come scorza. Che io sia come foglia o come argilla, non appena prego o dipingo è Domenica, e nella vale una Gerusalemme sono, giubilante. Sono la città di Dio, superba, e canto lui con cento lingue: Davide risuona in me, con il suo grazie: in un crepuscolo d’arpe ero disteso e respiravo la stella della sera. Verso l’alto vanno i miei sentieri. E se da molto sono stato abbandonato, è per questo: perché sia più grande. Sento che ciascuno avanza in me; e la mia solitudine distendo da un inizio a un altro inizio. 121 49 Ihr vielen unbestürmten Städte, habt ihr euch nie den Feind ersehnt? O dass er euch belagert hätte ein langes schwankendes Jahrzehnt. Bis ihr ihn trostlos und in Trauern, bis dass ihr hungernd ihn ertrugt; er liegt wie Landschaft vor den Mauern, denn also weiß er auszudauern um jene, die er heimgesucht. Schaut aus vom Rande eurer Dächer da lagert er und wird nicht matt und wird nicht weniger und schwächer und schickt nicht Droher und Versprecher und Überreder in die Stadt. Er ist der große Mauerbrecher, der eine stumme Arbeit hat. 122 Voi, molte città che mai avete avuto assedio, il nemico non l’avete mai bramato? Oh, se vi fosse stato intorno per dieci lunghi anni d’incertezza! E fino ad allora, senza consolazione, afflitte, resistergli affamate; a fronte delle mura, egli come un paesaggio sta diffuso: egli sa perseverare intorno a chi a deciso di colpire. Dall’orlo dei tetti, guardate: è là, accampato, e non si stanca, non riduce il proprio numero, né s’indebolisce: non manda mai nessuno alla città, che minacci o che prometta, che convinca. È immenso ariete, lui, e compie nel silenzio il suo lavoro. 123 50 Ich komme aus meinen Schwingen heim, mit denen ich mich verlor. Ich war Gesang, und Gott, der Reim, rauscht noch in meinem Ohr. Ich werde wieder still und schlicht, und meine Stimme steht; es senkte sich mein Angesicht zu besserem Gebet. Den andern war ich wie ein Wind, da ich sie rüttelnd rief. Weit war ich, wo die Engel sind, hoch, wo das Licht in Nichts zerrinnt – Gott aber dunkelt tief. Die Engel sind das letzte Wehn an seines Wipfels Saum; dass sie aus seinen Ästen gehn, ist ihnen wie ein Traum. Sie glauben dort dem Lichte mehr als Gottes schwarzer Kraft, es flüchtete sich Lucifer in ihre Nachbarschaft. Er ist der Fürst im Land des Lichts, und seine Stirne steht so steil am großen Glanz des Nichts, dass er, versengten Angesichts, nach Finsternissen fleht. Er ist der helle Gott der Zeit, 124 Dal volo torno a casa, in cui m’ero smarrito. Ero un canto, io – e Dio, la rima; ancora è nel mio orecchio, come un mormorio. Nuovamente mi faccio silenzioso, e semplice; la mia voce si trattiene; s’era inchinato il mio volto a una migliore preghiera. Per gli altri, ero come un vento: scuotendoli, li richiamavo. Lontano ero: dove angeli sono, là nell’alto: dove la luce in nulla si dissolve. Ma Dio è tenebra profonda. Sono gli angeli l’ultimo soffiare all’orlo della sua cima – è come d’albero; per loro, ritrovarsi appena fuori dai suoi rami è come andare in sogno. Hanno più fede nella luce che nella forza oscura che è di Dio: e nei loro vicini territori Lucifero trovò per sé riparo. È il principe del regno della luce, e la sua fronte s’erge così alta davanti allo splendore immenso che è del nulla che egli, bruciato nel volto, supplica rivolto a ciò che è oscuro. È il chiaro Dio del tempo 125 zu dem sie laut erwacht, und weil er oft in Schmerzen schreit und oft in Schmerzen lacht, glaubt sie an seine Seligkeit und hangt an seiner Macht. Die Zeit ist wie ein welker Rand an einem Buchenblatt. Sie ist das glänzende Gewand, das Gott verworfen hat, als Er, der immer Tiefe war, ermüdete des Flugs und sich verbarg vor jedem Jahr, bis ihm sein wurzelhaftes Haar durch alle Dinge wuchs. 126 che si ridesta per lui, con altro suono; e, poiché soffrendo spesso grida, o ride a volte tra i dolori, ha fede il tempo nella sua felicità e si prostra al suo potere. Il tempo è come un appassito orlo d’una foglia di faggio. È la veste rilucente che Dio scagliò lontano quando lui che abisso eterno era fu stanco d’ogni volo e negli anni si nascose, dentro ognuno, finché come radici i suoi capelli in ogni cosa andavano, crescevano. 127 51 Du wirst nur mit der Tat erfasst; mit Händen nur erhellt; ein jeder Sinn ist nur ein Gast und sehnt sich aus der Welt. Ersonnen ist ein jeder Sinn, man fühlt den feinen Saum darin und dass ihn einer spann: Du aber kommst und giebst dich hin und fällst den Flüchtling an. Ich will nicht wissen, wo du bist, sprich mir aus überall. Dein williger Evangelist verzeichnet alles und vergisst zu schauen nach dem Schall. Ich geh doch immer auf dich zu mit meinem ganzen Gehn; denn wer bin ich und wer bist du, wenn wir uns nicht verstehn? 128 Con l’agire solamente tu puoi essere afferrato, con le mani unicamente illuminato; ogni pensiero, adesso, è solo un ospite che ardentemente vuole sé fuori dal mondo. È qualcosa che sorge, ogni pensiero: puoi sentire il suo sottile bordo, e che qualcuno l’ha intessuto: ma tu vieni, offri te stesso, e cogli di sorpresa chi ti fugge. Io non voglio sapere dove sei – da tutti i luoghi parlami. Il tuo volonteroso evangelista tutto annota, ma dimentica d’inseguire l’eco con lo sguardo. Eppure, sempre vado verso te – Completamente, nel mio andare; perché, chi sono io, chi sei tu se reciprocamente noi non ci capiamo? 129 52 Mein Leben hat das gleiche Kleid und Haar wie aller alten Zaren Sterbestunde. Die Macht entfremdete nur meinem Munde, doch meine Reiche, die ich schweigend runde, versammeln sich in meinem Hintergrunde und meine Sinne sind noch Gossudar. Für sie ist beten immer noch: Erbauen, aus allen Maßen bauen, dass das Grauen fast wie die Größe wird und schön, – und: jedes Hinknien und Vertrauen (dass es die andern nicht beschauen) mit vielen goldenen und blauen und bunten Kuppeln überhöhn. Denn was sind Kirchen und sind Klöster in ihrem Steigen und Erstehn als Harfen, tönende Vertröster, durch die die Hände Halberlöster vor Königen und Jungfraun gehn. 130 La mia vita ha veste uguale e capelli come tutti i vecchi zar nell’ora della morte. Il potere ha disertato la mia bocca; i miei regni – col silenzio io li plasmo – dietro me si trovano ad unirsi, e miei sensi, ancora, sono godusàr’12. Per loro, pregare è sempre edificare verso l’alto, da ogni peso inerte costruire, così che quasi come ciò che è grande e bello l’orrore possa farsi – e: gli inchini, tutti, e le genuflessioni (che gli altri non le possano vedere) ricoprirle con dorate cupole, e blu, e variopinte: molte. Perché, cos’è che sono chiese e monasteri nel salire loro, ed elevarsi, se non arpe che risuonano e confortano – su cui mani, per metà salvate, di re e fanciulle vanno a porsi? 12 «Godusar’ (autocrate) – spiega Lavagetto nel suo «Commento», in Rilke, Poesie, cit., p. 765 – «è il titolo degli zar e dei grandi principi dell’impero. Con la morte, lo zar perde il potere esteriore, non quello spirituale». 131 52 Und Gott befiehlt mir, dass ich schriebe: Den Königen sei Grausamkeit. Sie ist der Engel vor der Liebe, und ohne diesen Bogen bliebe mir keine Brücke in die Zeit. Und Gott befiehlt mir, dass ich male: Die Zeit ist mir mein tiefstes Weh, so legte ich in ihre Schale: das wache Weib, die Wundenmale, den reichen Tod (dass er sie zahle), der Städte bange Bacchanale, den Wahnsinn und die Könige. Und Gott befiehlt mir, dass ich baue: Denn König bin ich von der Zeit. Dir aber bin ich nur der graue Mitwisser deiner Einsamkeit. Und bin das Auge mit der Braue... Das über meine Schulter schaue von Ewigkeit zu Ewigkeit. 132 E Dio mi comandò, perché scrivessi: nei re, vi sia ferocia. È l’angelo, essa, dell’amore, e non avrei senza quest’arco feritoie aperte verso il tempo. E Dio mi comandò, ché dipingessi: il tempo è la mia pena più profonda, e così, sul suo piatto posai: l’astuta donna, le ferite aperte, la ricca morte (che lo ricompensasse), delle città gli ansiosi baccanali, il vaneggiare e i re. E Dio mi comandò, ché costruissi: perché io sono il re del tempo. Per te, però, io sono appena il grigio confidente delle tua solitudine. E sono l’occhio con il ciglio... Che al di là delle mie spalle scorga, dall’eterno e per l’eterno. 133 54 Es tauchten tausend Theologen in deines Namens alte Nacht. Jungfrauen sind zu dir erwacht, und Jünglinge in Silber zogen und schimmerten in dir, du Schlacht. In deinen langen Bogengängen begegneten die Dichter sich und waren Könige von Klängen und mild und tief und meisterlich. Du bist die sanfte Abendstunde, die alle Dichter ähnlich macht; du drängst dich dunkel in die Munde, und im Gefühl von einem Funde umgiebt ein jeder dich mit Pracht. Dich heben hunderttausend Harfen wie Schwingen aus der Schweigsamkeit. Und deine alten Winde warfen zu allen Dingen und Bedarfen den Hauch von deiner Herrlichkeit. 134 Mille teologi s’immersero nella notte antica del tuo nome. Vergini vegliarono per te, e giovani partirono in argento e sfavillarono – in te, che sei battaglia. Nei tuoi lunghi portici, i poeti s’incontrarono e re dei suoni diventarono, dolcemente e profondamente, con maestria. Sei l’ora lieve della sera che tutti i poeti rende somiglianti; tu, buio, fai ressa nelle loro bocche, e appena ti ha scoperto, e l’ha avvertito, ti contorna ognuno con la gloria. Levano per te infinite arpe, come un risuonare dal silenzio più perfetto. E i tuoi venti antichi scagliarono su tutte le cose – di tanto sono prive – il soffio della tua maestà. 135 55 Die Dichter haben dich verstreut (es ging ein Sturm durch alles Stammeln), ich aber will dich wieder sammeln in dem Gefäß, das dich erfreut. Ich wanderte in vielem Winde; da triebst du tausendmal darin. Ich bringe alles was ich finde: als Becher brauchte dich der Blinde, sehr tief verbarg dich das Gesinde, der Bettler aber hielt dich hin; und manchmal war bei einem Kinde ein großes Stück von deinem Sinn. Du siehst, dass ich ein Sucher bin. Einer, der hinter seinen Händen verborgen geht und wie ein Hirt; (mögst du den Blick der ihn beirrt, den Blick der Fremden von ihm wenden). Einer der träumt, dich zu vollenden und: dass er sich vollenden wird. 136 I poeti: hanno te disseminato (una tempesta attraversava il loro balbettare); io, però, ti voglio unificare nel vaso che dà felicità. In molti venti sono stato, vagabondo, e tu per mille volte in loro ti agitavi. Tutto ciò che vi ho trovato, l’ho con me: il cieco usava te come bicchiere, i servi ben nascosto ti tenevano, il mendicante, invece, ti spartiva – e qualche volta, in un bambino, del tuo sentire c’era un poco, e grande. Lo vedi: sono un uomo che va in cerca. Uno, che si nasconde, andando, dietro le sue stesse mani – e come un pastore; (possa tu lo sguardo allontanargli, che lo confonde: l’occhio dell’estraneo). Uno che sogna di portarti a compimento, e che anch’egli assieme a te sarà compiuto. 137 56 Selten ist Sonne im Sobór. Die Wände wachsen aus Gestalten, und durch die Jungfraun und die Alten drängt sich, wie Flügel im Entfalten, das goldene, das Kaiser-Tor. An seinem Säulenrand verlor die Wand sich hinter den Ikonen; und, die im stillen Silber wohnen, die Steine, steigen wie ein Chor und fallen wieder in die Kronen und schweigen schöner als zuvor. Und über sie, wie Nächte blau, von Angesichte blass, schwebt, die dich freuete, die Frau: die Pförtnerin, der Morgentau, die dich umblüht wie eine Au und ohne Unterlass. Die Kuppel ist voll deines Sohns und bindet rund den Bau. Willst du geruhen deines Throns, den ich in Schauern schau. 13 Lavagetto, «Commento», in Rilke, Poesie, cit., p. 766: «Sobor significa sinodo, concilio. In questo contesto significa chiesa principale, cattedrale». La porta d’oro, detta anche “regale”, è la porta centrale delle tre che, nello spazio liturgico ortodosso, separano la zona dei fedeli da quella in cui si svolge la celebrazione, aprendosi nell’iconostasi, cioè nel- 138 Il sole, raramente è a Sobòr. Si intravedono le mura tra le immagini, e tra fanciulle e vecchi si dischiude, come ali nell’aprirsi, la porta d’oro, la regale13. Di lato a lei si perdono le mura, dietro le icone; e le pietre, mentre abitano argento silenzioso, come un coro s’innalzano e ricadono nelle corone e più belle ancora tornano a tacere. Su di loro, come notti blu, pallida nel volto, si libra colei che seppe darti gioia: la custode della porta, la rugiada mattutina che intorno a te fiorisce come in riva a un corso d’acqua, e senza smettere mai. La cupola è piena del tuo Figlio, e stringe in cerchio l’edificio. Tu forse ti compiaci del tuo trono; con un brivido io guardo. la parete ricoperta di icone (alcune, nella fila inferiore, sono ricoperte di una foglia d’argento o d’oro che lascia intravedere soltanto il volto e le mani delle figure sacre che vi sono rappresentate). Impossibile non citare, come riferimento bibliografico e consiglio di lettura, Florenskij, Le porte d’oro, cit., e Evdokimov, Teologia della bellezza, cit. 139 57 Da trat ich als ein Pilger ein und fühlte voller Qual an meiner Stirne dich, du Stein. Mit Lichtern, sieben an der Zahl, umstellte ich dein dunkles Sein und sah in jedem Bilde dein bräunliches Muttermal. Da stand ich, wo die Bettler stehn, die schlecht und hager sind: aus ihrem Auf – und Niederwehn begriff ich dich, du Wind. Ich sah den Bauer, überjahrt, bärtig wie Joachim, und daraus, wie er dunkel ward, von lauter Ähnlichen umschart, empfand ich dich wie nie so zart, so ohne Wort geoffenbart in allen und in ihm. Du lässt der Zeit den Lauf, und dir ist niemals Ruh darin: der Bauer findet deinen Sinn und hebt ihn auf und wirft ihn hin und hebt ihn wieder auf. 140 Là entrai, io, pellegrino, e come pieno tormento sulla fronte ti sentii: tu, pietra. Contando sette candele venni intorno al buio del tuo esistere e vidi in ogni immagine la bruna chiazza che ti segna. Mi misi là dove stanno i mendicanti, sofferenti, scarni: nel loro alzarsi e inginocchiarsi14 ho compreso chi sei – tu, vento. E ho visto un contadino, molto anziano, come Joachim con la barba; e poi, com’era scuro, con gente intorno uguale a sé – e sentii te, vicino come mai, così dischiuso in lui e in tutti, senza una parola. Tu lasci al tempo la sua corsa, e in esso mai per te c’è quiete: il contadino trova il tuo sentire15: lo raccoglie, lui, e lo disperde, e lo raccoglie poi ancora. 14 I fedeli ortodossi accompagnano la celebrazione della Divina liturgia con un susseguirsi di profonde e assorte genuflessioni e segni di croce. 15 Vengono alla mente sia le indimenticabili pagine di Tolstoj, in Guerra e pace, sulla religiosità semplice e autentica, nutrita di inconsapevole ma radicato misticismo monastico, dei contadini russi, sia le pagine di Dostoevskij sulla peculiare verità del Cristo russo, ne L’idiota, ne I demoni e ne I fratelli Karamazov. 141 58 Wie der Wächter in den Weingeländen seine Hütte hat und wacht, bin ich Hütte, Herr, in deinen Händen und bin Nacht, o Herr, von deiner Nacht. Weinberg, Weide, alter Apfelgarten, Acker, der kein Frühjahr überschlägt, Feigenbaum, der auch im marmorharten Grunde hundert Früchte trägt: Duft geht aus aus deinen runden Zweigen. Und du fragst nicht, ob ich wachsam sei; furchtlos, aufgelöst in Säften, steigen deine Tiefen still an mir vorbei. 142 Come il custode ha la capanna tra le vigne e veglia, sono capanna, io, Signore, tra le tue mani; e notte sono io, Signore, della tua notte. Vigna, pascolo, antico frutteto, campo, che nessuna primavera mai ha tralasciato, albero di fico che anche in una terra tutta pietre porta molti frutti: c’è un profumo che si spande uscendo dalla tua rotonda chioma. E tu non chiedi, se io stia vegliando; senza spavento, dissolti nei sentori, quiete a me risalgono le tue profondità. 143 59 Gott spricht zu jedem nur, eh er ihn macht, dann geht er schweigend mit ihm aus der Nacht. Aber die Worte, eh jeder beginnt, diese wolkigen Worte, sind: Von deinen Sinnen hinausgesandt, geh bis an deiner Sehnsucht Rand; gieb mir Gewand. Hinter den Dingen wachse als Brand, dass ihre Schatten, ausgespannt, immer mich ganz bedecken. Lass dir Alles geschehn: Schönheit und Schrecken. Man muss nur gehn: Kein Gefühl ist das fernste. Lass dich von mir nicht trennen. Nah ist das Land, das sie das Leben nennen. Du wirst es erkennen an seinem Ernste. Gieb mir die Hand. 144 Dio parla a ciascuno solamente prima ch’egli sia creato, e con lui esce poi tacendo dalla notte. Ma le parole, quelle prima dell’inizio di ciascuno, le parole come nubi, sono queste: Sospinto dal tuo intendere, va’ fino al limite del tuo anelare; dai a me una veste. Dietro alle cose come incendio fatti grande, sicché le loro ombre, diffuse, coprano sempre me completamente. Lascia che tutto ti accada: bellezza e terrore. Si deve sempre andare: nessun sentire è mai troppo lontano. Non lasciare che da me tu sia diviso. Vicina è la terra, che vita è chiamata. La riconoscerai dalla sua solennità. A me da’ la tua mano. 145 60 Ich war bei den ältesten Mönchen, den Malern und Mythenmeldern, die schrieben ruhig Geschichten und zeichneten Runen des Ruhms. Und ich seh dich in meinen Gesichten mit Winden, Wassern und Wäldern rauschend am Rande des Christentums, du Land, nicht zu lichten. Ich will dich erzählen, ich will dich beschaun und beschreiben, nicht mit Bol und mit Gold, nur mit Tinte aus Apfelbaumrinden; ich kann auch mit Perlen dich nicht an die Blätter binden, und das zitterndste Bild, das mir meine Sinne erfinden, du würdest es blind durch dein einfaches Sein übertreiben. So will ich die Dinge in dir nur bescheiden und schlichthin benamen, will die Könige nennen, die ältesten, woher sie kamen, und will ihre Taten und Schlachten berichten am Rand meiner Seiten. Denn du bist der Boden. Dir sind nur wie Sommer die Zeiten, und du denkst an die nahen nicht anders als an die entfernten, und ob sie dich tiefer besamen und besser bebauen lernten: 146 Sono stato dai monaci più antichi, che dipinsero e raccontarono miti, che narrazioni scrissero, in pace, e disegnarono rune della gloria. Ti vedo, nelle mie visioni, con i venti e con le acque, con i boschi, frusciante ai confini della cristianità – terra, tu, ma non da illuminare. Raccontarti voglio, ammirarti, descriverti, ma non con lacca e oro, solamente con inchiostro di scorze di melo; neanche con fili di perle posso legarti qui ai miei fogli, e la più tremante immagine, che i miei sensi in me potessero trovare, attraverso il tuo semplice esistere tu, cieco, la oltrepassi. Ciò che esiste in te, lo voglio con parole di modestia e semplici chiamare; e i re io voglio ricordare, i più antichi: da dove vennero; e al bordo dei miei fogli, le loro guerre e azioni raccontare. Poiché tu sei la terra. Le epoche, per te, sono come le estati solamente: tu pensi in modo uguale alla vicina e alla più lontana, se avranno appreso a seminarti più nel fondo, o a meglio coltivarti: 147 du fühlst dich nur leise berührt von den ähnlichen Ernten und hörst weder Säer noch Schnitter, die über dich schreiten. 148 te stesso senti, sfiorato lievemente dalle messi l’una all’altra somiglianti: e né il seminatore avverti, né chi miete: eppure, è sopra te che vanno. 149 61 Du dunkelnder Grund, geduldig erträgst du die Mauern. Und vielleicht erlaubst du noch eine Stunde den Städten zu dauern und gewährst noch zwei Stunden den Kirchen und einsamen Klöstern und lässest fünf Stunden noch Mühsal allen Erlöstern und siehst noch sieben Stunden das Tagwerk des Bauern –: Eh du wieder Wald wirst und Wasser und wachsende Wildnis in der Stunde der unerfasslichen Angst, da du dein unvollendetes Bildnis von allen Dingen zurückverlangst. Gieb mir noch eine kleine Weile Zeit: ich will die Dinge so wie keiner lieben bis sie dir alle würdig sind und weit. Ich will nur sieben Tage, sieben auf die sich keiner noch geschrieben, sieben Seiten Einsamkeit. Wem du das Buch giebst, welches die umfasst, der wird gebückt über den Blättern bleiben. Es sei denn, dass du ihn in Händen hast, um selbst zu schreiben. 150 Con pazienza le sopporti, le mura – terra, che ti vai rabbuiando. E concedi forse alle città di durare ancora un’ora E alle chiese e ai chiostri solitari due ne accordi, e cinque ore lasci ancora alla fatica dei credenti, e sette ne vedi per il contadino – per il suo lavoro quotidiano: prima che tu ritorni bosco, e acqua e poi selvaggio luogo germogliante nell’ora dell’angoscia incomprensibile – quando la tua compiuta immagine tu la vorrai restituita da ogni cosa. Dammi ancora un breve tempo, un poco: voglio amarle, le cose, come mai nessuno – perché tutte siano degne di te, e vaste. Solamente sette giorni voglio, sette su cui mai nessuno ha scritto: sette pagine di solitudine. Il libro che le ha in sé, colui al quale lo darai resterà chino sui suoi fogli. Oppure, sarai tu ad averli tra le mani, e proprio tu vi scriverai. 151 62 So bin ich nur als Kind erwacht, so sicher im Vertraun nach jeder Angst und jeder Nacht dich wieder anzuschaun. Ich weiß, sooft mein Denken misst, wie tief, wie lang, wie weit –: du aber bist und bist und bist, umzittert von der Zeit. Mir ist, als wär ich jetzt zugleich Kind, Knab und Mann und mehr. Ich fühle: nur der Ring ist reich durch seine Wiederkehr. Ich danke dir, du tiefe Kraft, die immer leiser mit mir schafft wie hinter vielen Wänden; jetzt ward mir erst der Werktag schlicht und wie ein heiliges Gesicht zu meinen dunklen Händen. 152 Mi sono risvegliato, come solo mi accadeva da bambino, così sicuro, fiducioso, dopo ogni notte e ogni angoscia, di poterti nuovamente contemplare. Io so, se appena il mio pensiero ti misura, quanto profondo, e lungo, e quanto vasto –: ma tu sei, sei e sei, e il tempo trema intorno a te. Nello stesso istante, m’accade come fossi bambino, giovinetto e uomo, e poi più ancora. Lo sento: l’anello solamente è ricco, per come torna su di sé. Ti rendo grazie, tu profonda forza, che crei con me più lieve sempre, come se fossi tu al di là di mille mura: la fatica semplice del giorno mi è più piana, adesso, ed è come sarebbe un sacro volto per le mie mani oscure. 153 63 Dass ich nicht war vor einer Weile, weißt du davon? Und du sagst nein. Da fühl ich, wenn ich nur nicht eile, so kann ich nie vergangen sein. Ich bin ja mehr als Traum im Traume. Nur was sich sehnt nach einem Saume, ist wie ein Tag und wie ein Ton; es drängt sich fremd durch deine Hände, dass es die viele Freiheit fände, und traurig lassen sie davon. So blieb das Dunkel dir allein, und, wachsend in die leere Lichte, erhob sich eine Weltgeschichte aus immer blinderem Gestein. Ist einer noch, der daran baut? Die Massen wollen wieder Massen, die Steine sind wie losgelassen und keiner ist von dir behauen... 154 Che io non ero fino a poco fa, lo sai? Tu dici no, Perciò io sento che, se solo non mi affretto, anch’io potrò restare. Io sono ben di più che un sogno in altro sogno. Ciò che si distende incontro a un limite, soltanto esso è come un giorno e come un suono; ti si accalca tra le mani, estraneo, come se infinite libertà trovasse – ed esse tristemente lo abbandonano. Perciò, ti resterebbe il buio solamente; nella radura vuota germogliando, s’è levata una storia universale come da pietre via via più cieche. Che qualcuno, ancora, che lei stia edificando? Ancora masse vogliono le masse, e come abbandonate giacciono le pietre, e nessuna da te viene tagliata... 155 64 Es lärmt das Licht im Wipfel deines Baumes und macht dir alle Dinge bunt und eitel, sie finden dich erst wenn der Tag verglomm. Die Dämmerung, die Zärtlichkeit des Raumes, legt tausend Hände über tausend Scheitel, und unter ihnen wird das Fremde fromm. Du willst die Welt nicht anders an dich halten als so, mit dieser sanftesten Gebärde. Aus ihren Himmeln greifst du dir die Erde und fühlst sie unter deines Mantels Falten. Du hast so eine leise Art zu sein. Und jene, die dir laute Namen weihn, sind schon vergessen deiner Nachbarschaft. Von deinen Händen, die sich bergig heben, steigt, unsern Sinnen das Gesetz zu geben, mit dunkler Stirne deine stumme Kraft. 156 La luce dà clamore tra le fronde alte del tuo albero, e per te rende le cose, tutte, variopinte e vane: appena il giorno viene meno, solo allora ti ritrovano. Il crepuscolo – tenerezza dello spazio – Posa mille mani sopra mille teste: devoto, tra di loro, si fa ciò che è straniero. In nessun altro modo mai tu vuoi Reggere il mondo: con un gesto tuo, delicatissimo. La terra, dai suoi cieli tu la prendi con la mano, e vuoi sentirla tra le pieghe del tuo manto. Hai un modo così lieve, tu, di esistere. E chi consacra a te sonori nomi la tua prossimità va già dimenticando. Dalle tue mani, alte e levate come monti, si erge, per dare legge ai nostri sensi, con buia fronte il tuo vigore silenzioso. 157 65 Du Williger, und deine Gnade kam immer in alle ältesten Gebärden. Wenn einer die Hände zusammenflicht, so dass sie zahm und um ein kleines Dunkel sind –: auf einmal fühlt er dich in ihnen werden, und wie im Winde senkt sich sein Gesicht in Scham. Und da versucht er, auf dem Stein zu liegen und aufzustehn, wie er bei andern sieht, und seine Mühe ist, dich einzuwiegen, aus Angst, dass er dein Wachsein schon verriet. Denn wer dich fühlt, kann sich mit dir nicht brüsten; er ist erschrocken, bang um dich und flieht vor allen Fremden, die dich merken müssten: Du bist das Wunder in den Wüsten, das Ausgewanderten geschieht. 158 Tu sei benevolenza, e la tua grazia venne sempre in tutti i gesti antichi. Se qualcuno congiunge le sue mani per renderle in tal modo mansuete e fare sì che intorno un po’ di buio esista –: ed egli sente in loro, all’improvviso, te; e poi, come nel vento, piega nel pudore il proprio volto. Perciò, tenta di mettersi a giacere sulla pietra e di rialzarsi, come vede fare ad altri, ed è la sua fatica farti culla, nel timore si svelare la tua veglia. Perché non può di fronte a te vantare nulla chi ti sente, è spaventato, prova pena e fugge via da tutti gli estranei: dovrebbero accorgersi di te. Sei il prodigio, tu, che nel deserto accade solo a chi vive l’esilio. 159 66 Eine Stunde vom Rande des Tages, und das Land ist zu allem bereit. Was du sehnst, meine Seele, sag es: Sei Heide und, Heide, sei weit. Habe alte, alte Kurgane, wachsend und kaumerkannt, wenn es Mond wird über das plane langvergangene Land. Gestalte dich, Stille. Gestalte die Dinge (es ist ihre Kindheit, sie werden dir willig sein). Sei Heide, sei Heide, sei Heide, dann kommt vielleicht auch der Alte, den ich kaum von der Nacht unterscheide, und bringt seine riesige Blindheit in mein horchendes Haus herein. Ich seh ihn sitzen und sinnen, nicht über mich hinaus; für ihn ist alles innen, Himmel und Heide und Haus. Nur die Lieder sind ihm verloren, die er nie mehr beginnt; aus vielen tausend Ohren trank sie die Zeit und der Wind; aus den Ohren der Toren. 16 Lavagetto, «Commento», in Rilke, Poesie, cit., p. 769: «I tumuli [...] (kurgany) sono tombe preistoriche a forma di cono che si trovano in Siberia, nella Russia del sud, nella Bucovina, in Romania e in Bulgaria»; «I kobzari [il vecchio di cui si fa cenno ai vv. 13ss. è, appunto, un kobzar 160 Un’ora sul confine del giorno, e la terra è a tutto preparata. Ciò che ardentemente vuoi, anima mia, puoi dirlo. Sii brughiera; e tu, brughiera: sii vasta. Abbi antichi, antichi tumuli, che si innalzino ma appena si distinguano quando va la luna sulla piana terra già dimenticata da gran tempo. Silenzio, dàtti un volto. Dàllo Alle cose (è l’età, per loro, della fanciullezza, e saranno pronte al tuo comando). Sii brughiera, sii brughiera, sii brughiera, e verrà, chissà, quel vecchio ancora che a fatica io distinguo dalla notte, e porterà la sua grandiosa cecità nella mia casa in ascolto16. Lo vedo, siede e pensa, a nulla che sia al di sopra di me, né fuori di me; per lui, tutto è già dentro: cielo, brughiera e casa. Solo i canti, per lui, sono perduti, e mai più li inizierà: da mille e mille orecchie li hanno bevuti il tempo e il vento: dalle orecchie dei folli. (ndt)] erano suonatori di uno strumento a forma di liuto chiamato kobza, diffuso in Russia e in Polonia», ed erano, nella tradizione accettata qui da Rilke, mendicanti e vagabondi. 161 67 Und dennoch: mir geschieht, als ob ich ein jedes Lied tief in mir ihm ersparte. Er schweigt hinterm bebenden Barte, er möchte sich wiedergewinnen aus seinen Melodien. Da komm ich zu seinen Knien: und seine Lieder rinnen rauschend zurück in ihn. 162 Eppure: così mi appare, come se ogni canto in me, per lui, profondamente trattenessi. Tace, lui, dietro la barba tremolante, e vorrebbe tornare ad ottenersi nelle proprie melodie. Eccomi: arrivo ai suoi ginocchi: i suoi canti, in lui, di nuovo: scorrono, scrosciando. 163 II. IL LIBRO DEL PELLEGRINAGGIO (II. Das Buch von der Pilgerschaft) 1 Dich wundert nicht des Sturmes Wucht, – du hast ihn wachsen sehn; – die Bäume flüchten. Ihre Flucht schafft schreitende Alleen. Da weißt du, der vor dem sie fliehn ist der, zu dem du gehst, und deine Sinne singen ihn, wenn du am Fenster stehst. Des Sommers Wochen standen still, es stieg der Bäume Blut; jetzt fühlst du, daß es fallen will in den der Alles tut. Du glaubtest schon erkannt die Kraft, als du die Frucht erfaßt, jetzt wird sie wieder rätselhaft, und du bist wieder Gast. Der Sommer war so wie dein Haus, drin weißt du alles stehn – jetzt mußt du in dein Herz hinaus wie in die Ebene gehn. Die große Einsamkeit beginnt, die Tage werden taub, aus deinen Sinnen nimmt der Wind die Welt wie welkes Laub. Durch ihre leeren Zweige sieht der Himmel, den du hast; sei Erde jetzt und Abendlied und Land, darauf er paßt. Demütig sei jetzt wie ein Ding, 166 Non ti dà stupore l’impeto della tempesta, – tu, l’hai vista farsi forte; – fuggono gli alberi. La loro fuga fa sì che ogni viale passi oltre. Lo sai, tu: colui dal quale fuggono è colui che tu stesso vuoi raggiungere, ed è lui che cantano i tuoi sensi, quando ti fermi alla finestra. Furono quiete le settimane dell’estate, il sangue cercò l’alto negli alberi; e tu lo senti, adesso, che ricadere vuole in colui che fa ogni cosa. Credesti di conoscerla, la forza, quando il frutto tu cogliesti, e adesso nuovamente si fa enigma, e sei un ospite, tu: ancora. Così come tua casa era l’estate, e in lei, lo sai, tutto sostava – adesso, nel tuo cuore devi muoverti, all’aperto, come in una piana. La grande solitudine è all’inizio, si fanno sordi i giorni, e il vento accoglie dai tuoi sensi come foglie disseccate il mondo. Il cielo – sei tu che lo possiedi – guarda tra i suoi rami vuoti; sii terra, ora, e canto della sera, e patria che lui possa custodire. Fatti umile, adesso, come cosa 167 zu Wirklichkeit gereift, – daß Der, von dem die Kunde ging, dich fühlt, wenn er dich greift. 168 che maturi nella propria verità, così che lui, dal quale giunse la notizia, ti senta: quando con la mano te raggiunge. 169 2 Ich bete wieder, du Erlauchter, du hörst mich wieder durch den Wind, weil meine Tiefen niegebrauchter rauschender Worte mächtig sind. Ich war zerstreut; an Widersacher in Stücken war verteilt mein Ich. O Gott, mich lachten alle Lacher und alle Trinker tranken mich. In Höfen hab ich mich gesammelt aus Abfall und aus altem Glas, mit halbem Mund dich angestammelt, dich, Ewiger aus Ebenmaß. Wie hob ich meine halben Hände zu dir in namenlosem Flehn, daß ich die Augen wiederfände, mit denen ich dich angesehn. Ich war ein Haus nach einem Brand, darin nur Mörder manchmal schlafen, eh ihre hungerigen Strafen sie weiterjagen in das Land; ich war wie eine Stadt am Meer, wenn eine Seuche sie bedrängte, die sich wie eine Leiche schwer den Kindern an die Hände hängte. Ich war mir fremd wie irgendwer, und wußte nur von ihm, daß er einst meine junge Mutter kränkte als sie mich trug, 170 Io prego, eccelso, nuovamente, e attraverso il vento nuovamente puoi sentirmi, perché le mie profondità, potentemente, sono parole mai usate, mormoranti. Disseminato, ero; di fronte all’Avversario, in pezzi il mio io era sparpagliato. O Dio, tutti m’hanno deriso i derisori, e i bevitori, tutti, mi hanno tracannato. Nei cortili mi sono ricomposto, da ciò che rimaneva e da invecchiato vetro, con mezza bocca ho balbettato te, te, eterno, per la tua armonia. E quando ho alzato le mie troncate mani a te, in un pianto che non può trovare nome, così che ritrovassi gli occhi e potessi grazie a loro riconoscerti. Una casa, ero, dopo che è bruciata, nella quale dormono talvolta gli assassini, prima che la fame coi suoi morsi li costringa a uscire nel paese; una città sul mare, ero, quando la peste ormai l’ha còlta, lei che come un corpo morto, grave, alle mani dei bambini va a impigliarsi. Ero estraneo a me, come se fossi uno qualsiasi, e di lui sapessi appena che una volta, quando lei già me portava, alla mia giovane madre recò offesa; 171 und daß ihr Herz, das eingeengte, sehr schmerzhaft an mein Keimen schlug. Jetzt bin ich wieder aufgebaut aus allen Stücken meiner Schande, und sehne mich nach einem Bande, nach einem einigen Verstande, der mich wie ein Ding überschaut, – nach deines Herzens großen Händen – (o kämen sie doch auf mich zu). Ich zähle mich, mein Gott, und du, du hast das Recht, mich zu verschwenden. 172 e che il cuore, nella stretta, a lei batteva con dolore per me che germogliavo. Sono adesso nuovamente edificato, con i pezzi, tutti, della mia vergogna, e qualcosa bramo che mi stringa attorno, un intelletto, uno, che dall’alto con lo sguardo abbracci me come una cosa – le mani grandi del tuo cuore – (oh, venissero su me, fin qui!). Mio Dio, io faccio il conto di me stesso, e tu… hai il diritto, tu, di dissiparmi. 173 3 Ich bin derselbe noch, der kniete vor dir in mönchischem Gewand: der tiefe, dienende Levite, den du erfüllst, der dich erfand. Die Stimme einer stillen Zelle, an der die Welt vorüberweht, – und du bist immer noch die Welle die über alle Dinge geht. Es ist nichts andres. Nur ein Meer, aus dem die Länder manchmal steigen. Es ist nichts andres denn ein Schweigen von schönen Engeln und von Geigen, und der Verschwiegene ist der, zu dem sich alle Dinge neigen, von seiner Stärke Strahlen schwer. Bist du denn Alles, – ich der Eine, der sich ergiebt und sich empört? Bin ich denn nicht das Allgemeine, bin ich nicht Alles, wenn ich weine, und du der Eine, der es hört? Hörst du denn etwas neben mir? Sind da noch Stimmen außer meiner? Ist da ein Sturm? Auch ich bin einer, und meine Wälder winken dir. Ist da ein Lied, ein krankes, kleines, das dich am Micherhören stört, – auch ich bin eines, höre meines, das einsam ist und unerhört. 174 Sono lo stesso, ancora: colui che in fronte a te s’inginocchiava in abito monastico: il concavo levita al tuo servizio, che tu colmasti: lui, che te trovava. La voce di una cella silenziosa alla quale il mondo passa appena accanto, – e tu sei sempre ancora il flutto che viene sulle cose, tutte, e passa oltre. Null’altro esiste. Solo un mare, dal quale a volte s’alzano le terre. Null’altro esiste: un tacere, unicamente, di stupendi angeli e violini, e il taciuto è lui, colui al quale genuflettono le cose, tutte quante, che la forza sua raggiando fa pesanti. Sei tu, allora, il tutto – e l’uno, io, che si dona e si ribella? Non sono io, piuttosto, l’universale, non sono il tutto, io, se appena piango, e tu sei l’uno, che lo ascolta? C’è altro che tu senti accanto a me? Ci sono voci, ancora, oltre la mia? C’è una tempesta? Io lo sono, e per te i miei boschi danno cenni. C’è un canto, piccolo, malato, che ti disturba quando lo esaudisci – io sono uno, esaudisci il mio: è solo, e non ha ascolto. 175 Ich bin derselbe noch, der bange dich manchmal fragte, wer du seist. Nach jedem Sonnenuntergange bin ich verwundet und verwaist, ein blasser Allem Abgelöster und ein Verschmähter jeder Schar, und alle Dinge stehn wie Klöster, in denen ich gefangen war. Dann brauch ich dich, du Eingeweihter, du sanfter Nachbar jeder Not, du meines Leidens leiser Zweiter, du Gott, dann brauch ich dich wie Brot. Du weißt vielleicht nicht, wie die Nächte für Menschen, die nicht schlafen, sind: da sind sie alle Ungerechte, der Greis, die Jungfrau und das Kind. Sie fahren auf wie totgesagt, von schwarzen Dingen nah umgeben, und ihre weißen Hände beben, verwoben in ein wildes Leben wie Hunde in ein Bild der Jagd. Vergangenes steht noch bevor, und in der Zukunft liegen Leichen, ein Mann im Mantel pocht am Tor, und mit dem Auge und dem Ohr ist noch kein erstes Morgenzeichen, kein Hahnruf ist noch zu erreichen. Die Nacht ist wie ein großes Haus. Und mit der Angst der wunden Hände reißen sie Türen in die Wände, – dann kommen Gänge ohne Ende, und nirgends ist ein Tor hinaus. 176 Sono lo stesso, ancora, il timoroso che ti chiese, a volte, chi tu sia. Dopo ogni tramonto sono ferito, io e abbandonato, debole e lontano ormai da tutto, da ogni schiera disprezzato, e le cose stanno attorno come chiostri: io stavo recluso in mezzo a loro. Di te ho bisogno, mio iniziato, tu vicino delicato d’ogni pena, tu del mio soffrire amico lieve, tu, Dio: di te ho bisogno come pane. Forse tu non sai, com’è che sono le notti per gli uomini – per quelli che non dormono: tutti, allora, sono ingiusti, l’anziano, la vergine e il fanciullo. Si riscuotono, come chiamati per la morte, da nere cose strette attorno, e tremano le loro mani bianche aggrovigliate in una vita furibonda come cani in un’immagine di caccia. Il passato è là nel prima, e nel futuro giacciono dei morti, bussa alla porta un uomo in un mantello, né con l’occhio o con l’orecchio puoi trovare ancora un primo segno del mattino, e al richiamo del gallo manca ancora. La notte è come una casa, grande. E con l’ansia di ferite mani scavano nelle pareti aprendo porte – e corridoi vengono dopo, senza fine, e in nessun luogo c’è un passaggio per l’aperto. 177 Und so, mein Gott, ist jede Nacht; immer sind welche aufgewacht, die gehn und gehn und dich nicht finden. Hörst du sie mit dem Schritt von Blinden das Dunkel treten? Auf Treppen, die sich niederwinden, hörst du sie beten? Hörst du sie fallen auf den schwarzen Steinen? Du mußt sie weinen hören; denn sie weinen. Ich suche dich, weil sie vorübergehn an meiner Tür. Ich kann sie beinah sehn. Wen soll ich rufen, wenn nicht den, der dunkel ist und nächtiger als Nacht. Den Einzigen, der ohne Lampe wacht und doch nicht bangt; den Tiefen, den das Licht noch nicht verwöhnt hat und von dem ich weiß, weil er mit Bäumen aus der Erde bricht und weil er leis als Duft in mein gesenktes Angesicht aus Erde steigt. 178 Ed è così, mio Dio, ogni notte; sempre c’è chi veglia, e va, e te non trova. Non li senti? Con il passo dei ciechi percorrono il buio. Non li senti? Sulle scale pregano – le scale, che s’attorcigliano a se stesse. Non li senti? Sulle nere pietre cadono. Piangere, però, devi sentirli: perché davvero piangono. Io cerco te, perché è dinnanzi alla mia porta che essi passano. Posso vederli, quasi. Chi devo invocare, se non colui che è buio e più notturno della notte? L’unico che veglia senza lume, eppure non è in ansia; il profondo, colui che la luce ancora non ha viziato; so di lui perché lui sgorga dalla terra con gli alberi, e perché, lieve, come profumo al mio chinato volto sorge dalla terra. 179 4 Du Ewiger, du hast dich mir gezeigt. Ich liebe dich wie einen lieben Sohn, der mich einmal verlassen hat als Kind, weil ihn das Schicksal rief auf einen Thron, vor dem die Länder alle Täler sind. Ich bin zurückgeblieben wie ein Greis, der seinen großen Sohn nichtmehr versteht und wenig von den neuen Dingen weiß, zu welchen seines Samens Wille geht. Ich bebe manchmal für dein tiefes Glück, das auf so vielen fremden Schiffen fährt, ich wünsche manchmal dich in mich zurück, in dieses Dunkel, das dich großgenährt. Ich bange manchmal, daß du nichtmehr bist, wenn ich mich sehr verliere an die Zeit. Dann les ich von dir: der Euangelist schreibt überall von deiner Ewigkeit. Ich bin der Vater; doch der Sohn ist mehr, ist alles, was der Vater war, und der, der er nicht wurde, wird in jenem groß; er ist die Zukunft und die Wiederkehr, er ist der Schooß, er ist das Meer... 180 Tu, Eterno, a me ti sei mostrato. Amo te come si ama un figlio caro che mi ha lasciato già quand’era bimbo, perchè il destino lo ha chiamato a un trono di fronte al quale i paesi, tutti, non sono che vallate. Sono rimasto indietro, come un vecchio che più non riconosce il proprio grande figlio e poco sa del nuovo, a cui la volontà di quel suo seme tende. Io temo, a volte, per la tua profonda sorte che su straniere navi viaggia, così tante, e desidero a volte che mi torni, qui, nel buio che ti ha fatto adulto. Temo, a volte, che tu non sia più, se mi perdo così tanto io nel tempo. Poi, leggo di te: l’Evangelista del tuo esistere eterno scrive ovunque. Sono il padre; il figlio, però, è di più: è tutto ciò che il padre fu, e ciò che egli non è stato cresce in lui; egli è il futuro ed il ritorno; è il grembo, lui; è il mare... 181 5 Dir ist mein Beten keine Blasphemie: als schlüge ich in alten Büchern nach, daß ich dir sehr verwandt bin – tausendfach. Ich will dir Liebe geben. Die und die... Liebt man denn einen Vater? Geht man nicht, wie du von mir gingst, Härte im Gesicht, von seinen hülflos leeren Händen fort? Legt man nicht leise sein verwelktes Wort in alte Bücher, die man selten liest? Fließt man nicht wie von einer Wasserscheide von seinem Herzen ab zu Lust und Leide? Ist uns der Vater denn nicht das, was war; vergangne Jahre, welche fremd gedacht, veraltete Gebärde, tote Tracht, verblühte Hände und verblichnes Haar? Und war er selbst für seine Zeit ein Held, er ist das Blatt, das, wenn wir wachsen, fällt. 182 La mia preghiera, per te, non è bestemmia: come se in antichi libri ritrovassi che ti sono affine, e molto – e mille volte. Amore voglio darti. Questo e questo... Ma lo si ama, un padre? Non si va lontano – come tu da me partisti –, duri in volto, dalle sue mani inermi e vuote? Non si depone, piano, la sua parola ormai sfiorita in vecchi libri, che si leggono di rado? Non si fluisce via, come da uno spartiacque? Via dal suo cuore – verso la gioia, verso il dolore? Il padre, cos’è per noi se non ciò che è già stato? Anni trascorsi, ormai estranei; gesti d’un tempo, vestiti morti, sfiorite mani e capelli scoloriti? Sia pure stato eroe per il suo tempo: è foglia, ora: cade, mentre noi cresciamo. 183 6 Und seine Sorgfalt ist uns wie ein Alb, und seine Stimme ist uns wie ein Stein, – wir möchten seiner Rede hörig sein, aber wir hören seine Worte halb. Das große Drama zwischen ihm und uns lärmt viel zu laut, einander zu verstehn, wir sehen nur die Formen seines Munds, aus denen Silben fallen, die vergehn. So sind wir noch viel ferner ihm als fern, wenn auch die Liebe uns noch weit verwebt, erst wenn er sterben muß auf diesem Stern, sehn wir, daß er auf diesem Stern gelebt. Das ist der Vater uns. Und ich – ich soll dich Vater nennen? Das hieße tausendmal mich von dir trennen. Du bist mein Sohn. Ich werde dich erkennen, wie man sein einzigliebes Kind erkennt, auch dann, wenn es ein Mann geworden ist, ein alter Mann. 184 La sua cura di noi ci turba il sonno, e la sua voce per noi è come pietra, – a ciò che dice ci vorremmo assoggettare, ma le sue parole, è a metà che le sentiamo. Tra noi e lui, il dramma grande dà un rumore troppo forte perché l’uno intenda l’altro, noi vediamo solamente le linee della bocca, solamente, da cui cadono sillabe e si perdono. Così, siamo ancora più lontani, ancora e sempre, benché ci intrecci ancora amore, e lungamente; e solo quando, qui su questa stella, morirà, allora lo vedremo – ciò che ha vissuto qui, su questa stella. Questo è il padre per noi. E io – dovrei, io, chiamarti padre? Separarmi da te vorrebbe dire, e mille volte. Tu sei mio figlio. Ti riconoscerò, come un uomo il suo unico bambino, l’amatissimo, benché sia fatto adulto, ormai: un vecchio. 185 7 Lösch mir die Augen aus: ich kann dich sehn, wirf mir die Ohren zu: ich kann dich hören, und ohne Füße kann ich zu dir gehn, und ohne Mund noch kann ich dich beschwören. Brich mir die Arme ab, ich fasse dich mit meinem Herzen wie mit einer Hand, halt mir das Herz zu, und mein Hirn wird schlagen, und wirfst du in mein Hirn den Brand, so werd ich dich auf meinem Blute tragen. 186 Chiudi pure i miei occhi: ti posso vedere; serra le mie orecchie: ti posso ascoltare, e senza piedi a te posso arrivare, e senza bocca ancora posso te invocare. Spezza le mie braccia, e a te m’afferro col mio cuore come con una delle mani; arresta il cuore, e pulserà la mente; accendi pure nella mente un fuoco immenso, e nel mio sangue te potrò portare. 187 8 Und meine Seele ist ein Weib vor dir. Und ist wie der Naëmi Schnur, wie Ruth. Sie geht bei Tag um deiner Garben Hauf wie eine Magd, die tiefe Dienste tut. Aber am Abend steigt sie in die Flut und badet sich und kleidet sich sehr gut und kommt zu dir, wenn alles um dich ruht, und kommt und deckt zu deinen Füßen auf. Und fragst du sie um Mitternacht, sie sagt mit tiefer Einfalt: Ich bin Ruth, die Magd. Spann deine Flügel über deine Magd. Du bist der Erbe... Und meine Seele schläft dann bis es tagt bei deinen Füßen, warm von deinem Blut. Und ist ein Weib vor dir. Und ist wie Ruth. 188 In fronte a te, la mia anima è una donna. Come la nuora di Noemi: come Ruth. Va, di giorno, attorno ai tuoi covoni come una serva, che un servizio umile ha da fare. Ma la sera, s’immerge nel fiume, si lava, si veste, e così bene! Viene da te, quando tutto intorno è quiete, viene e si corica ai tuoi piedi. A mezzanotte, se le chiedi, con candore umile risponde: Sono Ruth, la serva. Le tue ali distendi sopra la tua serva. Tu sei l’erede... E la mia anima dorme, finché giunge il giorno, ai tuoi piedi, calda del tuo sangue. È una donna in fronte a te. È come Ruth. 189 9 Du bist der Erbe. Söhne sind die Erben, denn Väter sterben. Söhne stehn und blühn. Du bist der Erbe: 190 Tu sei l’erede. Figli sono gli eredi, poiché muoiono i padri. Figli, rimangono e fioriscono. Tu sei l’erede: 191 10 Und du erbst das Grün vergangner Gärten und das stille Blau zerfallner Himmel. Tau aus tausend Tagen, die vielen Sommer, die die Sonnen sagen, und lauter Frühlinge mit Glanz und Klagen wie viele Briefe einer jungen Frau. Du erbst die Herbste, die wie Prunkgewänder in der Erinnerung von Dichtern liegen, und alle Winter, wie verwaiste Länder, scheinen sich leise an dich anzuschmiegen. Du erbst Venedig und Kasan und Rom, Florenz wird dein sein, der Pisaner Dom, die Troïtzka Lawra und das Monastir, das unter Kiews Gärten ein Gewirr von Gängen bildet, dunkel und verschlungen, – Moskau mit Glocken wie Erinnerungen, – und Klang wird dein sein Geigen, Hörner, Zungen, und jedes Lied, das tief genug erklungen, wird an dir glänzen wie ein Edelstein. Für dich nur schließen sich die Dichter ein und sammeln Bilder, rauschende und reiche, und gehn hinaus und reifen durch Vergleiche und sind ihr ganzes Leben so allein... Und Maler malen ihre Bilder nur, damit du unvergänglich die Natur, die du vergänglich schufst, zurückempfängst: alles wird ewig. Sieh, das Weib ist längst in der Madonna Lisa reif wie Wein; es müßte nie ein Weib mehr sein, denn Neues bringt kein neues Weib hinzu. 192 Ed erediti, tu, il verde di giardini ormai trascorsi e l’azzurro silenzioso di cieli ormai disfatti. Rugiada di mille giorni, che le estati numerose, che i soli hanno pronunciato e sonore primavere, con splendore, con lamenti, come le molte lettere di una giovinetta. Erediti gli autunni, come abiti di gala là distesi nei ricordi dei poeti, e gli inverni, tutti, come terre desolate a te si stringono, leggeri: così sembra. Erediti, tu, Venezia, Kazan’ e Roma, Firenze sarà tua, il duomo di Pisa, La Troice Lavra e il Monastyr’, che al di sotto di Kiev, dei suoi giardini, dà un intreccio di camminamenti, scavati dentro il buio – Mosca con le sue campane, come dei ricordi, – e il suono sarà tuo: violini, corni, lingue, e ogni canto, cui nel fondo quanto basta danno suono, per te risplenderà come una gemma. Per te soltanto si recludono i poeti e immagini radunano, preziose, mormoranti, e vanno oltre, e maturano incontrando, e per la vita, tanto, sono soli... E dipingono i pittori i loro quadri, solamente perché tu riottenga in loro la natura intrascorribile: lei, che scorre via: così tu l’hai creata: tutto si fa eterno. Guarda: come vino, già è matura la donna in Monna Lisa; non potrà più esserci una donna, perché nessuna nuova donna porterà con sé del nuovo. 193 Die, welche bilden, sind wie du. Sie wollen Ewigkeit. Sie sagen: Stein, sei ewig. Und das heißt: sei dein! Und auch, die lieben, sammeln für dich ein: Sie sind die Dichter einer kurzen Stunde, sie küssen einem ausdruckslosen Munde ein Lächeln auf, als formten sie ihn schöner, und bringen Lust und sind die Angewöhner zu Schmerzen, welche erst erwachsen machen. Sie bringen Leiden mit in ihrem Lachen, Sehnsüchte, welche schlafen, und erwachen, um aufzuweinen in der fremden Brust. Sie häufen Rätselhaftes an und sterben, wie Tiere sterben, ohne zu begreifen, – aber sie werden vielleicht Enkel haben, in denen ihre grünen Leben reifen; durch diese wirst du jene Liebe erben, die sie sich blind und wie im Schlafe gaben. So fließt der Dinge Überfluß dir zu. Und wie die obern Becken von Fontänen beständig überströmen, wie von Strähnen gelösten Haares, in die tiefste Schale, – so fällt die Fülle dir in deine Tale, wenn Dinge und Gedanken übergehn. 194 Coloro che scolpiscono sono come te. Vogliono eternità. Dicono: pietra, sii eterna. E ciò vuol dire che sia tua. Gli amanti, anche, raccolgono per te: sono i poeti, loro, di un’ora che non dura, baciano una bocca che non dice e ne traggono un sorriso, come a modellarla, a renderla più bella, e desiderio portano, e sono come colui che è già assuefatto ai suoi dolori – essi che li crescono, soltanto. Sofferenze portano, che ridono, struggimenti che dormono e si svegliano per piangere su un petto sconosciuto. Accumulano enigmi uno sull’altro, e muoiono, come animali muoiono, senza capire, – ma avranno discendenti, forse, e solo in loro maturerà la loro vita, verde; e tu quell’amore potrai ereditare, quello che essi si donarono, nel sonno, ciecamente. Così fluisce l’abbondanza delle cose: verso te. E come i bacili alti della fontana traboccano incessantemente, come capelli sciolti da una ciocca, nei recipienti posti in basso, – in te, così, la pienezza va a cadere, nelle tue valli, quando traboccano cose e pensieri. 195 11 Ich bin nur einer deiner Ganzgeringen, der in das Leben aus der Zelle sieht und der, den Menschen ferner als den Dingen, nicht wagt zu wägen, was geschieht. Doch willst du mich vor deinem Angesicht, aus dem sich dunkel deine Augen heben, dann halte es für meine Hoffahrt nicht, wenn ich dir sage: Keiner lebt sein Leben. Zufälle sind die Menschen, Stimmen, Stücke, Alltage, Ängste, viele kleine Glücke, verkleidet schon als Kinder, eingemummt, als Masken mündig, als Gesicht – verstummt. Ich denke oft: Schatzhäuser müssen sein, wo alle diese vielen Leben liegen wie Panzer oder Sänften oder Wiegen, in welche nie ein Wirklicher gestiegen, und wie Gewänder, welche ganz allein nicht stehen können und sich sinkend schmiegen an starke Wände aus gewölbtem Stein. Und wenn ich abends immer weiterginge aus meinem Garten, drin ich müde bin, – ich weiß: dann führen alle Wege hin zum Arsenal der ungelebten Dinge. Dort ist kein Baum, als legte sich das Land, und wie um ein Gefängnis hängt die Wand ganz fensterlos in siebenfachem Ringe. Und ihre Tore mit den Eisenspangen, die denen wehren, welche hinverlangen, und ihre Gitter sind von Menschenhand. 196 Sono uno dei più piccoli, dei tuoi, uno che osserva, dalla sua cella, la vita: più lontano dagli uomini che dalle cose, ciò che accade egli non osa giudicare. Eppure, è di fronte al tuo volto che tu mi vuoi, là dove, oscuri, si levano i tuoi occhi, ma non attribuirlo alla mia superbia se ti dico: la sua vita, nessuno qui la vive. A caso esistono gli uomini – voci, pezzi, giorni, angosce; piccole gioie, numerose; camuffati fin da piccoli, imbacuccati; come maschere, dotati di parola – come volti, invece: muti. Io penso, spesso: devono esserci le stanze del tesoro dove le molte vite – queste – trovino riposo, come corazze, o portantine, o culle su cui mai un uomo vero sia salito, e le vesti, che da sole unicamente non sanno sostenersi, e s’adattano lasciandosi cadere alle forti mura, nella pietra trasformata in vòlta. E sempre, se la sera mi spingessi al di là del mio giardino, nel quale sono stanco – lo so: mi guiderebbero i sentieri a un magazzino di cose senza vita. Non c’è albero là, come se la terra, distesa, vivesse nel riposo, e un muro si erge, come attorno a un carcere, senza finestra alcuna, in sette cerchi. Le sue porte, con i catenacci, che si oppongono a chi volesse entrare, e le inferriate: mani d’uomo le hanno fatte. 197 12 Und doch, obwohl ein jeder von sich strebt wie aus dem Kerker, der ihn haßt und hält, – es ist ein großes Wunder in der Welt: ich fühle: alles Leben wird gelebt. Wer lebt es denn? Sind das die Dinge, die wie eine ungespielte Melodie im Abend wie in einer Harfe stehn? Sind das die Winde, die von Wassern wehn, sind das die Zweige, die sich Zeichen geben, sind das die Blumen, die die Düfte weben, sind das die langen alternden Alleen? Sind das die warmen Tiere, welche gehn, sind das die Vögel, die sich fremd erheben? Wer lebt es denn? Lebst du es, Gott, – das Leben? 198 Eppure, benché ciascuno si proietti fuori da se stesso, come da un carcere che ha in odio e lo trattiene, – c’è un miracolo grande in questo mondo: lo sento: le vite, tutte, vengono vissute. Chi, però, la vive? Sono le cose, forse, come una mai suonata melodia, che nella sera stanno erette come arpa? Sono i venti, forse, che soffiano sull’acqua? Sono i rami, che l’uno all’altro danno cenni? Sono i fiori, che intessono i profumi? O i viali, forse, lumghi, antichi sempre più? O i caldi, vagabondi animali? O gli uccelli, sconosciuti, che stanno in volo? Chi la vive, dunque? La vivi tu, Dio – la vita? 199 13 Du bist der Alte, dem die Haare von Ruß versengt sind und verbrannt, du bist der große Unscheinbare, mit deinem Hammer in der Hand. Du bist der Schmied, das Lied der Jahre, der immer an dem Amboß stand. Du bist, der niemals Sonntag hat, der in die Arbeit Eingekehrte, der sterben könnte überm Schwerte, das noch nicht glänzend wird und glatt. Wenn bei uns Mühle steht und Säge und alle trunken sind und träge, dann hört man deine Hammerschläge an allen Glocken in der Stadt. Du bist der Mündige, der Meister, und keiner hat dich lernen sehn; ein Unbekannter, Hergereister, von dem bald flüsternder, bald dreister die Reden und Gerüchte gehn. 200 Sei il vecchio, al quale la fuliggine i capelli ha disseccato, li ha bruciati; sei il grande, tu, che non si fa notare, con il tuo martello nella mano. Il fabbro sei, il canto degli anni, in piedi sempre alla sua incudine. Sei colui che mai non ha domenica, rivolto tutto al suo lavoro, che sopra una spada potrebbe morire, ma non ancora resa luccicante, né tagliente. Quando, da noi, mulini e segherie stanno in riposo e tutti hanno bevuto e sono grevi, anche allora contro tutte le campane nella città i tuoi colpi danno suoni. Sei l’adulto, il Maestro, ma nessuno mai t’ha visto che imparavi; un uomo sconosciuto, chissà da dove giunto, sul quale a volte in un sussurro, a volte, invece, apertamente, vanno intorno discorsi e dicerie. 201 14 Gerüchte gehn, die dich vermuten, und Zweifel gehn, die dich verwischen. Die Trägen und die Träumerischen mißtrauen ihren eignen Gluten und wollen, daß die Berge bluten, denn eher glauben sie dich nicht. Du aber senkst dein Angesicht. Du könntest den Bergen die Adern aufschneiden als Zeichen eines großen Gerichts; aber dir liegt nichts an den Heiden. Du willst nicht streiten mit allen Listen und nicht suchen die Liebe des Lichts; denn dir liegt nichts an den Christen. Dir liegt an den Fragenden nichts. Sanften Gesichts siehst du den Tragenden zu. 202 Dicerie vanno, che avanzano ipotesi su te; e dubbi, che ti cancellano. I pigri e i sognatori diffidano del proprio stesso ardore e vogliono che i monti diano sangue: altrimenti no, non hanno fede in te. Ma il volto, tu, lo abbassi. Alle montagne tu potresti recidere le vene come prova di un giudizio di potenza; ma non è ai pagani che tu tieni. Tu non vuoi questionare con gli scaltri, né cercare l’amore della luce; non è ai cristiani che tu tieni. Non t’importa nulla di chi chiede. Le delicatezze del tuo viso tu le offri a chi sa sopportare. 203 15 Alle, welche dich suchen, versuchen dich. Und die, so dich finden, binden dich an Bild und Gebärde. Ich aber will dich begreifen wie dich die Erde begreift; mit meinem Reifen reift dein Reich. Ich will von dir keine Eitelkeit, die dich beweist. Ich weiß, daß die Zeit anders heißt als du. Tu mir kein Wunder zulieb. Gieb deinen Gesetzen recht, die von Geschlecht zu Geschlecht sichtbarer sind. 204 Coloro che ti cercano, tutti, ti mettono alla prova. E poi – così ti trovano – ti costringono nei gesti, nelle immagini. Io, però, voglio comprenderti come la terra ti comprende; con il mio farmi maturo matura il tuo Regno. Da te, nulla di futile io voglio, che ti dia testimonianza. Lo so: il tempo diversamente da te va nominato. Non fare prodigi per amarmi, ma sii fedele alle tue leggi: di generazione in generazione sempre più si manifestano. 205 16 Wenn etwas mir vom Fenster fällt (und wenn es auch das Kleinste wäre) wie stürzt sich das Gesetz der Schwere gewaltig wie ein Wind vom Meere auf jeden Ball und jede Beere und trägt sie in den Kern der Welt. Ein jedes Ding ist überwacht von einer flugbereiten Güte wie jeder Stein und jede Blüte und jedes kleine Kind bei Nacht. Nur wir, in unsrer Hoffahrt, drängen aus einigen Zusammenhängen in einer Freiheit leeren Raum, statt, klugen Kräften hingegeben, uns aufzuheben wie ein Baum. Statt in die weitesten Geleise sich still und willig einzureihn, verknüpft man sich auf manche Weise, – und wer sich ausschließt jedem Kreise, ist jetzt so namenlos allein. Da muß er lernen von den Dingen, anfangen wieder wie ein Kind, weil sie, die Gott am Herzen hingen, nicht von ihm fortgegangen sind. Eins muß er wieder können: fallen, geduldig in der Schwere ruhn, der sich vermaß, den Vögeln allen im Fliegen es zuvorzutun. 206 Se mi cade qualcosa dalla finestra (e fosse anche la più piccola), come si slancia la legge dei pesi, violentemente, come un vento dal mare, su ogni palla, su ogni bacca, e verso il centro del mondo la trascina. È vegliata ogni cosa, dall’alto, da un bene pronto al volo come ogni pietra, ogni fiore, e ogni piccolo bambino nella notte. Noi, soltanto, nella nostra superbia, ci spingiamo in libertà di spazio vuoto, da legami nostri, invece che affidarci a forze sagge e innalzare noi stessi come un albero. Invece, noi, d’allinearci nei più aperti solchi, silenziosamente, di buon grado, ci leghiamo in qualche modo, – e colui che si separa da ogni cerchio è così solo, adesso: indicibilmente. Deve imparare, allora, dalle cose, avere inizio nuovamente come un bimbo, perché loro, vicine al cuore di Dio, da lui non si sono allontanate. Una cosa sola deve imparare ancora: cadere, con pazienza abbandonarsi al proprio peso colui che per errore tutti gli uccelli nel volo ha già sfidato. 207 (Denn auch die Engel fliegen nicht mehr. Schweren Vögeln gleichen die Seraphim, welche um ihn sitzen und sinnen; Trümmern von Vögeln, Pinguinen gleichen sie, wie sie verkümmern...) 208 (Neanche gli ageli, infatti, volano più. Come pesanti uccelli sono i Serafini, che a lui d’attorno siedono, e riflettono; rovine d’uccelli: pinguini sembrano, per come a poco a poco perdono le forze...) 209 17 Du meinst die Demut. Angesichter gesenkt in stillem Dichverstehn. So gehen abends junge Dichter in den entlegenen Alleen. So stehn die Bauern um die Leiche, wenn sich ein Kind im Tod verlor, – und was geschieht, ist doch das Gleiche: es geht ein Übergroßes vor. Wer dich zum ersten Mal gewahrt, den stört der Nachbar und die Uhr, der geht, gebeugt zu deiner Spur, und wie beladen und bejahrt. Erst später naht er der Natur und fühlt die Winde und die Fernen, hört dich, geflüstert von der Flur, sieht dich, gesungen von den Sternen, und kann dich nirgends mehr verlernen, und alles ist dein Mantel nur. Ihm bist du neu und nah und gut und wunderschön wie eine Reise, die er in stillen Schiffen leise auf einem großen Flusse tut. Das Land ist weit, in Winden, eben, sehr großen Himmeln preisgegeben und alten Wäldern untertan. Die kleinen Dörfer, die sich nahn, vergehen wieder wie Geläute und wie ein Gestern und ein Heute und so wie alles, was wir sahn. Aber an dieses Stromes Lauf 210 L’umiltà, tu intendi. Volti chini nel silenzio del comprenderti. Così, a sera, vanno giovani poeti nei viali in lontananza. Così stanno i contadini attorno al corpo quando si perde un bimbo nella morte, – e ciò che accade, ancora è uguale: è cosa enorme ciò che accade. E chi ti percepisce per la prima volta, e già lo infastidiscono i vicini e gli orologi, egli va, chinato sui suoi passi, come gravato, fatto vecchio. Solo più tardi si avvicina alla natura, e avverte i venti e poi la lontananza, e sente te, mormorato dalla campagna, e vede te, cantato dalle stelle, e non può più dimenticarti in nessun luogo, e tutto è unicamente il tuo mantello. Sei nuovo, tu, per lui, vicino sei, e buono, meraviglioso come un viaggio che egli compie scivolando su navi silenziose sopra un grande fiume. La terra è vasta, nel vento, piana, di così grandi cieli fatta preda, a boschi antichi sottomessa. I piccoli villaggi, che si avvicinano, di nuovo s’allontanano, come rintocchi di campane, o come un giorno ch’è passato, come l’oggi, e come tutto ciò che abbiamo visto. Ma di questo fiume al corso 211 stehn immer wieder Städte auf und kommen wie auf Flügelschlägen der feierlichen Fahrt entgegen. Und manchmal lenkt das Schiff zu Stellen, die einsam, sonder Dorf und Stadt, auf etwas warten an den Wellen, – auf den, der keine Heimat hat... Für solche stehn dort kleine Wagen (ein jeder mit drei Pferden vor), die atemlos nach Abend jagen auf einem Weg, der sich verlor. 212 si mostrano città, di nuovo e ancora, e come battiti d’ali si fanno incontro al viaggio, ch’è solenne. La nave, a volte, approda ad una riva che, da sola, senza villaggi né città, qualche cosa attende dalle onde, – attende chi non ha più casa... Per loro, sono pronte piccole carrozze (ciascuna è lì con tre cavalli) che nella sera vanno in corsa, senza fiato, per una strada ormi perduta. 213 18 In diesem Dorfe steht das letzte Haus so einsam wie das letzte Haus der Welt. Die Straße, die das kleine Dorf nicht hält, geht langsam weiter in die Nacht hinaus. Das kleine Dorf ist nur ein Übergang zwischen zwei Weiten, ahnungsvoll und bang, ein Weg an Häusern hin statt eines Stegs. Und die das Dorf verlassen, wandern lang, und viele sterben vielleicht unterwegs. 214 In questo villaggio l’ultima casa è sola come fosse l’ultima casa del mondo. La strada, che il piccolo vollaggio non trattiene, va oltre, ancora, lenta nella notte. Il piccolo villaggio è solo un passo tra due luoghi vasti – colmo di presentimenti, timoroso: un sentiero tra le case, neanche un ponte. Chi lascia il villaggio vaga a lungo, e molti muoiono, forse, per la via. 215 19 Manchmal steht einer auf beim Abendbrot und geht hinaus und geht und geht und geht, – weil eine Kirche wo im Osten steht. Und seine Kinder segnen ihn wie tot. Und einer, welcher stirbt in seinem Haus, bleibt drinnen wohnen, bleibt in Tisch und Glas, so daß die Kinder in die Welt hinaus zu jener Kirche ziehn, die er vergaß. 216 A volte, uno si alza dalla mensa della sera e va, lontano, va e va e va – perché, ad oriente, c’è una chiesa in qualche parte. Lo benedicono i suoi figli, come morto. E un altro, che muore nella propria casa, là rimane ad abitare, nel tavolo rimane, nel bicchiere: così i suoi figli vanno per il mondo, per raggiungerla, la chiesa: quella che lui ha già scordato. 217 20 Nachtwächter ist der Wahnsinn, weil er wacht. Bei jeder Stunde bleibt er lachend stehn, und einen Namen sucht er für die Nacht und nennt sie: sieben, achtundzwanzig, zehn... Und ein Triangel tragt er in der Hand, und weil er zittert, schlägt es an den Rand des Horns, das er nicht blasen kann, und singt das Lied, das er zu allen Häusern bringt. Die Kinder haben eine gute Nacht und hören träumend, daß der Wahnsinn wacht. Die Hunde aber reißen sich vom Ring und gehen in den Häusern groß umher und zittern, wenn er schon vorüberging, und fürchten sich vor seiner Wiederkehr. 218 Un custode notturno è la pazzia, perché veglia. Ad ogni ora sosta, e ridendo si ferma, e un nome cerca per la notte e la chiama: sette, ventotto, dieci... e porta un triangolo alla mano, e, poiché vibra, la pazzia percuote l’orlo del corno: non lo sa suonare, e canta la canzone che a tutte le case va portando. I bambini hanno una notte buona ma lo sentono nel sogno: c’è la pazzia che veglia. I cani, però, si strappano dalle catene, e tra le case vanno, tutto intorno; e tremano, appena sia passata oltre: il suo ritorno li spaventa. 219 21 Weißt du von jenen Heiligen, mein Herr? Sie fühlten auch verschloßne Klosterstuben zu nahe an Gelächter und Geplärr, so daß sie tief sich in die Erde gruben. Ein jeder atmete mit seinem Licht die kleine Luft in seiner Grube aus, vergaß sein Alter und sein Angesicht und lebte wie ein fensterloses Haus und starb nichtmehr, als wär er lange tot. Sie lasen selten; alles war verdorrt, als wäre Frost in jedes Buch gekrochen, und wie die Kutte hing von ihren Knochen, so hing der Sinn herab von jedem Wort. Sie redeten einander nichtmehr an, wenn sie sich fühlten in den schwarzen Gängen, sie ließen ihre langen Haare hängen, und keiner wußte, ob sein Nachbarmann nicht stehend starb. In einem runden Raum, wo Silberlampen sich von Balsam nährten, versammelten sich manchmal die Gefährten vor goldnen Türen wie vor goldnen Gärten und schauten voller Mißtraun in den Traum und rauschten leise mit den langen Bärten. Ihr Leben war wie tausend Jahre groß, seit es sich nichtmehr schied in Nacht und Helle; sie waren, wie gewälzt von einer Welle, zurückgekehrt in ihrer Mutter Schooß. 220 Conosci, mio Signore, i santi? Anche le celle sprangate di un convento, troppo vicine le sentirono al ridere, al lamento, così che profondamente nella terra penetrarono. Ciascuno con la propria luce respirava l’aria piccola nella sua fossa, dell’età e del proprio volto si scordava e viveva come una casa che non ha finestre e mai moriva, poiché da tempo era già morto. Raramente leggevano: era tutto inaridito, come se vi fosse gelo in ogni libro, e come pendeva la tonaca dalle loro ossa, così pendeva il senso, giù, da ogni parola Mai più tra loro discorrevano quando nei neri corridoi c’era un incontro, e lasciavano fluire lunghe chiome e nessuno sapeva, se non fosse morto il suo vicino stando in piedi. In una tonda stanza, dove lampade d’argento si cibavano di balsamo, si riunivano talvolta i confratelli, innanzi a porte d’oro come di fronte a dorati giardini, e con sfiducia piena guardavano nel sogno, e piano con le lunghe barbe mormoravano. La loro vita, era come se avesse mille anni, da quando, nella notte oppure al chiaro, più non la contavano; era come se un’onda li volgesse; 221 Sie saßen rundgekrümmt wie Embryos mit großen Köpfen und mit kleinen Händen und aßen nicht, als ob sie Nahrung fänden aus jener Erde, die sie schwarz umschloß. Jetzt zeigt man sie den tausend Pilgern, die aus Stadt und Steppe zu dem Kloster wallen. Seit dreimal hundert Jahren liegen sie, und ihre Leiber können nicht zerfallen. Das Dunkel häuft sich wie ein Licht das rußt auf ihren langen lagernden Gestalten, die unter Tüchern heimlich sich erhalten, – und ihrer Hände ungelöstes Falten liegt ihnen wie Gebirge auf der Brust. Du großer alter Herzog des Erhabnen: hast du vergessen, diesen Eingegrabnen den Tod zu schicken, der sie ganz verbraucht, weil sie sich tief in Erde eingetaucht? Sind die, die sich Verstorbenen vergleichen, am ähnlichsten der Unvergänglichkeit? Ist das das große Leben deiner Leichen, das überdauern soll den Tod der Zeit? Sind sie dir noch zu deinen Plänen gut? Erhältst du unvergängliche Gefäße, die du, der allen Maßen Ungemäße, einmal erfüllen willst mit deinem Blut? 222 tornati al grembo della loro madre. Sedevano, rannicchiati in sé come embrioni, con teste grandi e mani piccole e non mangiavano, come se il cibo lo trovassero nella terra che gli stava, nera, intorno. Li si mostra, adesso, ai mille pellegrini che da steppe e città si recano al convento. Sono distesi da trecento anni, e i loro corpi non riescono a disfarsi. Il buio, come luce che dà cenere si addensa sulle loro lunghe membra abbandonate, sempre uguali a se stesse nel segreto del sudario, – e le pieghe delle loro mani unite come monti stanno sopra i petti. Tu, grande, antico duca di ciò che sta nell’alto hai trascurato, a questi trapassati, d’inviare la morte, che completamente li consumi, perché già sono immersi, a fondo, nella terra? Loro, che ai morti si rendono uguali, sono i più simili, forse, all’immortalità? È questa, la grande vita dei cadaveri che ti appartengono – quella che al di là del tempo e della morte sa durare? Sono buoni, ancora, per i tuoi progetti? Li conservi come intatti recipienti che tu, per qualsiasi metro immisurabile, un giorno vuoi riempire col tuo sangue? 223 22 Du bist die Zukunft, großes Morgenrot über den Ebenen der Ewigkeit. Du bist der Hahnschrei nach der Nacht der Zeit, der Tau, die Morgenmette und die Maid, der fremde Mann, die Mutter und der Tod. Du bist die sich verwandelnde Gestalt, die immer einsam aus dem Schicksal ragt, die unbejubelt bleibt und unbeklagt und unbeschrieben wie ein wilder Wald. Du bist der Dinge tiefer Inbegriff, der seines Wesens letztes Wort verschweigt und sich den Andern immer anders zeigt: dem Schiff als Küste und dem Land als Schiff. 224 Sei il futuro, tu, il rosso immenso del mattino sulle pianure dell’eternità. Sei il canto del gallo, tu, dopo la notte del tempo, la rugiada, tu, sei la preghiera del mattino e la fanciulla, lo straniero, la madre e la morte. Sei la forma che trasmigra, che sola, sempre, si leva dal destino, che non riceve festa, né compianto, come un bosco selvaggio mai descritta. Sei l’essenza profonda delle cose che di se stessa tace l’ultima parola e sempre altra si offre ad ogni altro: alla nave, come costa; alla terra, come nave. 225 23 Du bist das Kloster zu den Wundenmalen. Mit zweiunddreißig alten Kathedralen und fünfzig Kirchen, welche aus Opalen und Stücken Bernstein aufgemauert sind. Auf jedem Ding im Klosterhofe liegt deines Klanges eine Strophe, und das gewaltige Tor beginnt. In langen Häusern wohnen Nonnen, Schwarzschwestern, siebenhundertzehn. Manchmal kommt eine an den Bronnen, und eine steht wie eingesponnen, und eine, wie in Abendsonnen, geht schlank in schweigsamen Alleen. Aber die Meisten sieht man nie; sie bleiben in der Häuser Schweigen wie in der kranken Brust der Geigen die Melodie, die keiner kann... Und um die Kirchen rings im Kreise, von schmachtendem Jasmin umstellt, sind Gräberstätten, welche leise wie Steine reden von der Welt. Von jener Welt, die nichtmehr ist, obwohl sie an das Kloster brandet, in eitel Tag und Tand gewandet und gleichbereit zu Lust und List. Sie ist vergangen: denn du bist. 226 Sei il convento delle Stimmate. Con trentadue antiche cattedrali, con cinquanta chiese edificate nell’opale e in parti d’ambra. Su ogni cosa, nel chiostro, una strofa sta posata del tuo suono, e lì comincia la potente porta. In lunghe case abitano suore, sorelle in nero, settecentodieci. Talvolta, una viene al pozzo, mentre un’altra sosta, come avvolta su di sé; un’altra, ancora, come nella luce della sera, esile si muove nei viali silenziosi. La maggior parte, però, non si vede mai; rimangono nelle case senza voce come nel malato petto del violino la melodia che mai nessuno... E attorno alle chiese, in forma d’anello, accerchiate da struggenti gelsomini, vi sono sepolture: come pietre, impercettibili, conversano del mondo. Di quel mondo, che non è più, benché verso il convento come fiamma venga a infrangersi, in vano giorno, in sciocca cosa esperto, nel desiderio, e nell’inganno. Venne meno: poiché tu esisti. 227 Sie fließt noch wie ein Spiel von Lichtern über das teilnahmslose Jahr; doch dir, dem Abend und den Dichtern sind, unter rinnenden Gesichtern, die dunkeln Dinge offenbar. 228 Come un gioco di luci ancora scorre sopra l’anno che non se ne accorge; per te, però, per la sera ed i poeti tra volti che in gocce si disperdono, le cose oscure stanno rivelate. 229 24 Die Könige der Welt sind alt und werden keine Erben haben. Die Söhne sterben schon als Knaben, und ihre bleichen Töchter gaben die kranken Kronen der Gewalt. Der Pöbel bricht sie klein zu Geld, der zeitgemäße Herr der Welt dehnt sie im Feuer zu Maschinen, die seinem Wollen grollend dienen; aber das Glück ist nicht mit ihnen. Das Erz hat Heimweh. Und verlassen will es die Münzen und die Räder, die es ein kleines Leben lehren. Und aus Fabriken und aus Kassen wird es zurück in das Geäder der aufgetanen Berge kehren, die sich verschließen hinter ihm. 230 Sono vecchi, i re del mondo: eredi, non ne avranno. I figli, muoiono ancora fanciulli; e le pallide figlie, la malate corone alla violenza le hanno date. La plebe, un po’, ne fa denaro, e colui che adesso domina nel mondo le fonde dentro il fuoco e ne fa macchine che servono con ira il suo volere; eppure, la felicità non è con loro. Ha nostalgia di casa il bronzo. Abbandonarle, vuole, le monete, le ruote che gli insegnano una vita così piccola. E dalle fabbriche, dalle casse, nelle vene ancora degli aperti monti vuole ritornare: chiudersi sapranno dietro a lui. 231 25 Alles wird wieder groß sein und gewaltig. Die Lande einfach und die Wasser faltig, die Bäume riesig und sehr klein die Mauern; und in den Tälern, stark und vielgestaltig, ein Volk von Hirten und von Ackerbauern. Und keine Kirchen, welche Gott umklammern wie einen Flüchtling und ihn dann bejammern wie ein gefangenes und wundes Tier, – die Häuser gastlich allen Einlaßklopfern und ein Gefühl von unbegrenztem Opfern in allem Handeln und in dir und mir. Kein Jenseitswarten und kein Schaun nach drüben, nur Sehnsucht, auch den Tod nicht zu entweihn und dienend sich am Irdischen zu üben, um seinen Händen nicht mehr neu zu sein. 232 Tutto sarà grande, e avrà potenza. Semplice la terra, e l’acqua tutta rughe; altissime le piante; le mura, invece, così piccole; e nelle valli, forte, in tante forme, di pastori un popolo, e di coltivatori. Nessuna chiesa, invece, attorno a Dio, come si bracca uno che fugge e lo si piange, poi, come una bestia imprigionata e già ferita – e case pronte ad ogni ospite che bussi, e uno spirito d’offerta senza limiti in ogni cosa fatta, e in me e in te. Non attesa né sguardo a ciò che è oltre, ma desiderio, invece, di nulla profanare: nemmeno la morte; farsi servi, piuttosto, della terra: non più trovarsi nuovi alle sue mani. 233 26 Auch du wirst groß sein. Größer noch als einer, der jetzt schon leben muß, dich sagen kann. Viel ungewöhnlicher und ungemeiner und noch viel älter als ein alter Mann. Man wird dich fühlen: daß ein Duften ginge aus eines Gartens naher Gegenwart; und wie ein Kranker seine liebsten Dinge wird man dich lieben ahnungsvoll und zart. Es wird kein Beten geben, das die Leute zusammenschart. Du bist nicht im Verein; und wer dich fühlte und sich an dir freute, wird wie der Einzige auf Erden sein: Ein Ausgestoßener und ein Vereinter, gesammelt und vergeudet doch zugleich; ein Lächelnder und doch ein Halbverweinter, klein wie ein Haus und mächtig wie ein Reich. 234 Anche tu ti farai grande. Grande più di quanto un uomo, che adesso debba vivere, possa mai davvero dirti. Immenso e inaspettato, molto più; e ben più vecchio di un uomo che lo sia. Potremo percepirti, se venisse un profumo dalla presenza vicina d’un giardino; come un malato le sue cose amate, così potremo amarti: delicatamente presentendo. Non preghiere ci saranno, che la gente ammassino. Non esisti, tu, nel radunarsi; e chi poté sentirti, e per te provò la gioia, sarà su questa terra come l’unico: come uno che viene ripudiato e insieme accolto, riunito e dissipato al tempo stesso; uno che sorride, eppure quasi piange; piccolo come una casa; potente come un regno. 235 27 Es wird nicht Ruhe in den Häusern, sei’s daß einer stirbt und sie ihn weitertragen, sei es daß wer auf heimliches Geheiß den Pilgerstock nimmt und den Pilgerkragen, um in der Fremde nach dem Weg zu fragen, auf welchem er dich warten weiß. Die Straßen werden derer niemals leer, die zu dir wollen wie zu jener Rose, die alle tausend Jahre einmal blüht. Viel dunkles Volk und beinah Namenlose, und wenn sie dich erreichen, sind sie müd. Aber ich habe ihren Zug gesehn; und glaube seither, daß die Winde wehn aus ihren Mänteln, welche sich bewegen, und stille sind wenn sie sich niederlegen –: so groß war in den Ebenen ihr Gehn. 236 Non ci sarà pace nelle case, sia che muoia, uno, e fuori lo trasportino, sia che un altro, per un intimo comando, il bordone prenda, e il colletto che distingue il pellegrino, e lontano vada, alla ricerca del sentiero sul quale sa che te potrà aspettare. Per lui, le strade mai saranno vuote – quelle di chi vuol venire a te come una rosa che fiorisca in un millennio solo un giorno. Popolo di tenebra, e quasi senza nome; e quando t’ha raggiunto, ormai, è stanco. Ma ho visto il loro slancio; da allora, credo che soffino i venti dai loro mantelli, quando li distendono, e siano quieti, invece, quando essi li ripongono –: il loro andare: così grande la pianura lo avvertiva. 237 28 So möcht ich zu dir gehn: von fremden Schwellen Almosen sammelnd, die mich ungern nähren. Und wenn der Wege wirrend viele wären, so würd ich mich den Ältesten gesellen. Ich würde mich zu kleinen Greisen stellen, und wenn sie gingen, schaut ich wie im Traum, daß ihre Kniee aus der Bärte Wellen wie Inseln tauchen, ohne Strauch und Baum. Wir überholten Männer, welche blind mit ihren Knaben wie mit Augen schauen, und Trinkende am Fluß und müde Frauen und viele Frauen, welche schwanger sind. Und alle waren mir so seltsam nah, – als ob die Männer einen Blutsverwandten, die Frauen einen Freund in mir erkannten, und auch die Hunde kamen, die ich sah. 238 Così vorrei venire a te: elemosine di soglie straniere raccogliendo, che mi diano controvoglia il nutrimento. E quando le vie divengon tante, confondendosi, io solo mi accompagnerei con i più vecchi. Ai vegliardi minuti mi porrei vicino, e mentre vanno, come in sogno vedrei che i ginocchi loro affiorano dalle onde della barba, come isole, senza un albero né arbusto. Oltrepassammo uomini che, ciechi, con i loro figli guardavano, come con occhi, e altri che bevevano nel fiume, e donne stanche, e molte altre che attendevano bambini. E tutti, per me, così stranamente erano vicini – come se fossi un consanguineo per gli uomini, e le donne in me riconoscessero un amico; e anche i cani vennero: li vidi. 239 29 Du Gott, ich möchte viele Pilger sein, um so, ein langer Zug, zu dir zu gehn, und um ein großes Stück von dir zu sein: du Garten mit den lebenden Alleen. Wenn ich so gehe wie ich bin, allein, – wer merkt es denn? Wer sieht mich zu dir gehn? Wen reißt es hin? Wen regt es auf, und wen bekehrt es dir? Als wäre nichts geschehn, – lachen sie weiter. Und da bin ich froh, daß ich so gehe wie ich bin; denn so kann keiner von den Lachenden mich sehn. 240 Tu, Dio: vorrei essere, io, tanti pellegrini, e così venire a te, in lunga processione, ed essere di te una parte: tu, giardino i cui viali sono vivi. Se me ne vado, solo, come sono – chi può mai notarlo? Chi è che vede me che vengo a te? Chi ne resta estasiato? Chi commosso? Chi converto a te? Come se nulla fosse accaduto – ridono ancora. Eppure, io sono felice, perché è così che vado: come sono; e dunque, nessuno tra chi ride può vedermi. 241 30 Bei Tag bist du das Hörensagen, das flüsternd um die Vielen fließt; die Stille nach dem Stundenschlagen, welche sich langsam wieder schließt. Jemehr der Tag mit immer schwächern Gebärden sich nach Abend neigt, jemehr bist du, mein Gott. Es steigt dein Reich wie Rauch aus allen Dächern. 242 Di giorno, sei parola ripetuta che tra i molti fluisce bisbigliando: il silenzio dopo il battere dell’ora, che si chiude lentamente su se stesso. E più il giorno, con più stanchi gesti sempre, alla sera si avvicina, più tu sei, mio Dio. Il tuo regno da ogni tetto s’innalza come fumo. 243 31 Ein Pilgermorgen. Von den harten Lagern, auf das ein jeder wie vergiftet fiel, erhebt sich bei dem ersten Glockenspiel ein Volk von hagern Morgensegen-Sagern, auf das die frühe Sonne niederbrennt: Bärtige Männer, welche sich verneigen, Kinder, die ernsthaft aus den Pelzen steigen, und in den Mänteln, schwer von ihrem Schweigen, die braunen Fraun von Tiflis und Taschkent. Christen mit den Gebärden des Islam sind um die Brunnen, halten ihre Hände wie flache Schalen hin, wie Gegenstände, in die die Flut wie eine Seele kam. Sie neigen das Gesicht hinein und trinken, reißen die Kleider auf mit ihrer Linken und halten sich das Wasser an die Brust als wärs ein kühles weinendes Gesicht, das von den Schmerzen auf der Erde spricht. Und diese Schmerzen stehen rings umher mit welken Augen; und du weißt nicht wer sie sind und waren. Knechte oder Bauern, vielleicht Kaufleute, welche Wohlstand sahn, vielleicht auch laue Mönche, die nicht dauern, und Diebe, die auf die Versuchung lauern, offene Mädchen, die verkümmert kauern, und Irrende in einem Wald von Wahn –: alle wie Fürsten, die in tiefem Trauern die Überflüsse von sich abgetan. 244 Un mattino di pellegrini. Dai ruvidi giacigli sui quali ciascuno cadde come avvelenato, al primo suono di campana sorge un popolo scarno, e benedice il mattino, come se l’avesse il primo sole incenerito: uomini barbuti, che s’inchinano, bambini che s’alzano solenni dalle pelli, e nei mantelli, pesanti del proprio tacere, le scure donne di Tilis e Taskent. Cristiani con i gesti dell’Islam sono attorno alle fontane, distendono le mani come piane tazze: come cose in cui giungeva il getto come un’anima. Chinano il viso verso il basso e bevono, dischiudono le vesti con la mano sinistra e portano l’acqua al proprio petto, come se fosse un chiaro volto in pianto che racconta dei dolori del mondo. E stanno intorno, in cerchio, questi dolori, con appassiti occhi: e tu non sai chi fossero, chi siano. Servi o contadini, mercanti, forse che videro ricchezza, o monaci deboli, che non seppero resistere, e ladri, che spiano l’occasione; e ragazze che si offrirono: sfiorite si rannicchiano: a chi vaga in una selva di pazzia; come principi, tutti, che in profondo dolore del superfluo si siano liberati. 245 Wie Weise alle, welche viel erfahren, Erwählte, welche in der Wüste waren, wo Gott sie nährte durch ein fremdes Tier; Einsame, die durch Ebenen gegangen mit vielen Winden an den dunklen Wangen, von einer Sehnsucht fürchtig und befangen und doch so wundersam erhöht von ihr. Gelöste aus dem Alltag, eingeschaltet in große Orgeln und in Chorgesang, und Knieende, wie Steigende gestaltet; Fahnen mit Bildern, welche lang verborgen waren und zusammgefaltet: Jetzt hängen sie sich langsam wieder aus. Und manche stehn und schaun nach einem Haus, darin die Pilger, welche krank sind, wohnen; denn eben wand sich dort ein Mönch heraus, die Haare schlaff und die Sutane kraus, das schattige Gesicht voll kranker Blaus und ganz verdunkelt von Dämonen. Er neigte sich, als bräch er sich entzwei, und warf sich in zwei Stücken auf die Erde, die jetzt an seinem Munde wie ein Schrei zu hängen schien und so als sei sie seiner Arme wachsende Gebärde. Und langsam ging sein Fall an ihm vorbei. Er flog empor, als ob er Flügel spürte, und sein erleichtertes Gefühl verführte ihn zu dem Glauben seiner Vogelwerdung. Er hing in seinen magern Armen schmal, 246 Come saggi, tutti, che molto abbiano appreso, prescelti che nel deserto sono stati dove li ha nutriti Dio di carni sconosciute; solitari, che attraversano pianure con molti venti contro le scurite guance, da uno struggimento tratti in ansia, catturati, eppure, da lui così meravigliosamente resi grandi. Sciolti dalla vita quotidiana, resi parte di grandi organi, di cori, lì a inginocchiarsi, come a darsi una forma verso l’alto; bandiere con immagini, che a lungo giacquero nascoste, ripiegate: lentamente, adesso, dispiegano se stessi. E si fermano alcuni, e gettano uno sguardo a una casa: i pellegrini malati abitano là; proprio adesso un monaco ne è uscito, coi capelli flosci e la veste trasandata, il viso ombroso d’un malato blu ricolmo, completamente reso scuro dai demoni. Si chinò, come se in due si frantumasse, e si gettò così, in due pezzi, sulla terra, che alla tua bocca adesso come un grido pareva stare appesa, come se fosse un gesto, lui, delle sue braccia e ingigantisse E lentamente il suo cadere gli andò accanto. Volò in alto, come accorgendosi di ali, e il sentimento della leggerezza lo condusse alla fede d’essere un uccello. Esile, alle sue scarne braccia stava appeso, 247 wie eine schiefgeschobne Marionette, und glaubte, daß er große Schwingen hätte und daß die Welt schon lange wie ein Tal sich ferne unter seinen Füßen glätte. Ungläubig sah er sich mit einem Mal herabgelassen auf die fremde Stätte und auf den grünen Meergrund seiner Qual. Und war ein Fisch und wand sich schlank und schwamm durch tiefes Wasser, still und silbergrau, sah Quallen hangen am Korallenstamm und sah die Haare einer Meerjungfrau, durch die das Wasser rauschte wie ein Kamm. Und kam zu Land und war ein Bräutigam bei einer Toten, wie man ihn erwählt damit kein Mädchen fremd und unvermählt des Paradieses Wiesenland beschritte. Er folgte ihr und ordnete die Tritte und tanzte rund, sie immer in der Mitte, und seine Arme tanzten rund um ihn. Dann horchte er, als wäre eine dritte Gestalt ganz sachte in das Spiel getreten, die diesem Tanzen nicht zu glauben schien. Und da erkannte er: jetzt mußt du beten; denn dieser ist es, welcher den Propheten wie eine große Krone sich verliehn. Wir halten ihn, um den wir täglich flehten, wir ernten ihn, den einstens Ausgesäeten, und kehren heim mit ruhenden Geräten in langen Reihen wie in Melodien. Und er verneigte sich ergriffen, tief. Aber der Alte war, als ob er schliefe, und sah es nicht, obwohl sein Aug nicht schlief. 248 come un’inclinata marionetta, e credeva di avere grandi ali e che il mondo già da tempo, come valle, sotto i suoi piedi, lontano scivolasse. Si vide inaspettatamente, di schianto, piombare su di un luogo sconosciuto, sul marino fondo verde della sua tribolazione. Era un pesce e andava rapido, e nuotava dentro la profonda acqua, silenzioso, grigio-argenteo, e meduse vide agli steli dei coralli, e i cappelli vide d’una sirena, tra i quali l’acqua mormorava come un pettine. E venne a riva, e fu lo sposo d’una morta: l’avevano scelto perché non una fanciulla percorresse sola, mai sposata, i prati del Paradiso. La seguì, e dispose i propri passi, e danzò in cerchio – lei sempre nel mezzo – e le sue braccia gli danzavano all’intorno. E gli sembrò che ci fosse una terza persona ch’era entrata nel gioco a poco a poco, e non mostrava di credere a quel ballo. Subito, la riconobbe: devi pregare, adesso; egli è colui che rivelò se stesso come corona grande ai suoi profeti. Noi lo tratteniamo: ogni giorno l’abbiamo supplicato; noi lo raccogliamo: un tempo, l’abbiamo seminato: e a casa ritorniamo con gli attrezzi fatti quieti, in lunghe file, come in melodie. Commosso si prostrò, profondamente. Ma il vecchio era come se dormisse, e non lo vide, benché i suoi occhi non dormissero. 249 Und er verneigte sich in solche Tiefe, daß ihm ein Zittern durch die Glieder lief. Aber der Alte ward es nicht gewahr. Da faßte sich der kranke Mönch am Haar und schlug sich wie ein Kleid an einen Baum. Aber der Alte stand und sah es kaum. Da nahm der kranke Mönch sich in die Hände wie man ein Richtschwert in die Hände nimmt, und hieb und hieb, verwundete die Wände und stieß sich endlich in den Grund ergrimmt. Aber der Alte blickte unbestimmt. Da riß der Mönch sein Kleid sich ab wie Rinde und knieend hielt er es dem Alten hin. Und sieh: er kam. Kam wie zu einem Kinde und sagte sanft: Weißt du auch wer ich bin? Das wußte er. Und legte sich gelinde dem Greis wie eine Geige unters Kinn. 250 Ed egli si prostrò così profondamente, che un tremito passò tra le sue membra. Il vecchio, però, non se ne accorse. Il monaco malato, allora, afferrò i propri capelli, e si gettò come una veste contro un albero. Ma il vecchio stava lì: vedeva appena. Prese allora il monaco malato se stesso nelle mani, come si prende nelle mani la spada d’un boia, e colpì, colpì, ferì le pareti, e si gettò alla fine a terra, in preda all’ira. Ma il vecchio vagamente lo sbirciava. Il monaco, allora, lacerò la propria veste, genuflesse e l’offrì al vecchio. E vide: s’avvicinava. Venne come incontro a un bimbo, e disse con dolcezza: Anche tu sai chi io sono? Lo sapeva. E lievemente al vecchio s’appoggiò: come un violino, sotto il mento. 251 32 Jetzt reifen schon die roten Berberitzen, alternde Astern atmen schwach im Beet. Wer jetzt nicht reich ist, da der Sommer geht, wird immer warten und sich nie besitzen. Wer jetzt nicht seine Augen schließen kann, gewiß, daß eine Fülle von Gesichten in ihm nur wartet bis die Nacht begann, um sich in seinem Dunkel aufzurichten: – der ist vergangen wie ein alter Mann. Dem kommt nichts mehr, dem stößt kein Tag mehr zu, und alles lügt ihn an, was ihm geschieht; auch du, mein Gott. Und wie ein Stein bist du, welcher ihn täglich in die Tiefe zieht. 252 Già i crespini rossi si maturano, e gli astri invecchiati, nell’aiuola, respirano appena. Chi non è ricco ancora, adesso che l’estate se ne va, sempre aspetterà, e mai avrà se stesso. Chi gli occhi, adesso non può chiudere – è sicuro che una moltitudine di volti in lui soltanto attenda che la notte inizi per ergersi nel buio tutto intorno – come un vecchio, ormai, è già trascorso. Nulla più gli giunge, e nessun giorno più lo tocca, e tutto ciò che incontra, ormai, gli mente: anche, tu, mio Dio. E come pietra sei, che ogni giorno lo trascina giù nel fondo. 253 33 Du mußt nicht bangen, Gott. Sie sagen: mein zu allen Dingen, die geduldig sind. Sie sind wie Wind, der an die Zweige streift und sagt: mein Baum. Sie merken kaum, wie alles glüht, was ihre Hand ergreift, – so daß sie’s auch an seinem letzten Saum nicht halten könnten ohne zu verbrennen. Sie sagen mein, wie manchmal einer gern den Fürsten Freund nennt im Gespräch mit Bauern, wenn dieser Fürst sehr groß ist und – sehr fern. Sie sagen mein von ihren fremden Mauern und kennen gar nicht ihres Hauses Herrn. Sie sagen mein und nennen das Besitz, wenn jedes Ding sich schließt, dem sie sich nahn, so wie ein abgeschmackter Charlatan vielleicht die Sonne sein nennt und den Blitz. So sagen sie: mein Leben, meine Frau, mein Hund, mein Kind, und wissen doch genau, daß alles: Leben, Frau und Hund und Kind fremde Gebilde sind, daran sie blind mit ihren ausgestreckten Händen stoßen. Gewißheit freilich ist das nur den Großen, die sich nach Augen sehnen. Denn die Andern wollens nicht hören, daß ihr armes Wandern mit keinem Dinge rings zusammenhängt, daß sie, von ihrer Habe fortgedrängt, nicht anerkannt von ihrem Eigentume das Weib so wenig haben wie die Blume, die eines fremden Lebens ist für alle. 254 Non devi stare in ansia, Dio. Dicono: mio – alle cose, tutte; ed esse portano pazienza. Come il vento, sono, che sfiora appena i rami e dice: albero, mio. Sì o no che s’accorgano di come s’arroventi tutto ciò che la mano loro afferra – così che neanche al lembo estremo possono tenerlo senza averne fiamme. Dicono mio così come talvolta, volentieri, qualcuno chiama amico il principe quando conversa con i contadini, benché sia grande, il principe – e molto lontano. Dicono miei dei loro estranei muri; eppure, non conoscono il padrone delle loro case. Dicono mie, e lo chiamano possesso, benché si chiuda in sé ogni cosa al loro avvicinarsi; così uno sciocco ciarlatano dice suo del sole, forse, e della folgore. Così, essi dicono: mia vita, mia donna, mio cane, mio bambino; pure, già sanno che tutto ciò – vita, donna, cane e bambino – è fatto di straniere immagini: ciechi, con protese mani vi si scontrano. Solo i grandi hanno certezze, e veramente desiderano occhi. Gli altri, invece, non vogliono sentire come il loro misero vagare nulla abbia in comune con le cose; che loro, del loro avere resi privi, dai possessi loro non riconosciuti, una donna così poco la possiedono! Come il fiore, 255 Falle nicht, Gott, aus deinem Gleichgewicht. Auch der dich liebt und der dein Angesicht erkennt im Dunkel, wenn er wie ein Licht in deinem Atem schwankt, – besitzt dich nicht. Und wenn dich einer in der Nacht erfaßt, so daß du kommen mußt in sein Gebet: Du bist der Gast, der wieder weiter geht. Wer kann dich halten, Gott? Denn du bist dein, von keines Eigentümers Hand gestört, so wie der noch nicht ausgereifte Wein, der immer süßer wird, sich selbst gehört. 256 che per tutti ha un’altra vita, estranea a tutti. Non cadere, Dio, dal tuo equilibrio. Neanche chi ti ama – o chi nel buio riconosce il tuo profilo, e come un lume ondeggia dentro il tuo respiro – neanch’egli ti possiede. E se t’afferra uno nella notte, così che debba giungere, tu, nel suo pregare: tu sei l’ospite, che ancora e ancora se ne va. Chi, Dio, può trattenerti? Perché sei tuo, né la mano di nessuno che ti voglia può turbarti; come il vino non maturo ancora, appartiene a se stesso solamente, più e più dolce. 257 34 In tiefen Nächten grab ich dich, du Schatz. Denn alle Überflüsse, die ich sah, sind Armut und armsäliger Ersatz für deine Schönheit, die noch nie geschah. Aber der Weg zu dir ist furchtbar weit und, weil ihn lange keiner ging, verweht. O du bist einsam. Du bist Einsamkeit, du Herz, das zu entfernten Talen geht. Und meine Hände, welche blutig sind vom Graben, heb ich offen in den Wind, so daß sie sich verzweigen wie ein Baum. Ich sauge dich mit ihnen aus dem Raum als hättest du dich einmal dort zerschellt in einer ungeduldigen Gebärde, und fielest jetzt, eine zerstäubte Welt, aus fernen Sternen wieder auf die Erde sanft wie ein Frühlingsregen fällt. 258 È te che scavo: tu, tesoro – nella profondità delle notti. Perché tutte le abbondanze, io l’ho visto, sono miseria, e un sostituto misero della tua bellezza, che ancora non accadde. Ma il sentiero verso te terribilmente è lungo ancora, e già scompare, perché nessuno ne percorre la lunghezza. Oh, sei solo, tu! Tu sei solitudine, tu cuore, che verso valli lontane muove il passo. E le mie mani, che lo scavare ha reso sanguinanti, nel vento spesso io le alzo, così che diano in rami come un albero. Con loro io ti suggo dallo spazio come se te stesso avessi frantumato, un tempo, proprio tu col tuo impaziente gesto, e cadessi, ora, mondo tu ridotto a polvere, da lontane stelle ancora sulla terra, docilmente come cade una pioggia in primavera. 259 III. IL LIBRO DELLA POVERTÀ E DELLA MORTE (III. Das Buch von der Armut und vom Tode) 1 Vielleicht, daß ich durch schwere Berge gehe in harten Adern, wie ein Erz allein; und bin so tief, daß ich kein Ende sehe und keine Ferne: alles wurde Nähe und alle Nähe wurde Stein. Ich bin ja noch kein Wissender im Wehe, – so macht mich dieses große Dunkel klein; bist Du es aber: mach dich schwer, brich ein: daß deine ganze Hand an mir geschehe und ich an dir mit meinem ganzen Schrein. 262 Forse, accade che io vada attraverso vene dure in aspri monti, solo come lo è un metallo; e sono così profondo, che non vedo fine né alcuna lontananza: tutto fu vicino, e ciò che fu vicino fu di pietra. Non sono ancora esperto nella pena – così piccolo mi rende il buio immenso! Ma Tu lo sei: fatti pesante, irrompi! Mi si mostri per intero la tua mano e io a te, con tutto il mio invocare. 263 2 Du Berg, der blieb da die Gebirge kamen, – Hang ohne Hütten, Gipfel ohne Namen, ewiger Schnee, in dem die Sterne lahmen, und Träger jener Tale der Cyclamen, aus denen aller Duft der Erde geht; du, aller Berge Mund und Minaret (von dem noch nie der Abendruf erschallte): Geh ich in dir jetzt? Bin ich im Basalte wie ein noch ungefundenes Metall? Ehrfürchtig füll ich deine Felsenfalte, und deine Härte fühl ich überall. Oder ist das die Angst, in der ich bin? die tiefe Angst der übergroßen Städte, in die du mich gestellt hast bis ans Kinn? O daß dir einer recht geredet hätte von ihres Wesens Wahn und Abersinn. Du stündest auf, du Sturm aus Anbeginn, und triebest sie wie Hülsen vor dir hin... Und willst du jetzt von mir: so rede recht, – so bin ich nichtmehr Herr in meinem Munde, der nichts als zugehn will wie eine Wunde; und meine Hände halten sich wie Hunde an meinen Seiten, jedem Ruf zu schlecht. Du zwingst mich, Herr, zu einer fremden Stunde. 264 Tu, montagna che fu immobile quando i monti sorsero – crinale senza baite, cima senza nomi, eterna neve a cui s’appoggiano le stelle, tu che alle valli di ciclamini dai sostegno (da lei si spande sulla terra ogni profumo), tu, bocca di tutte le montagne e minareto (dal quale mai preghiera della sera risuonò): in te cammino, adesso? Nel basalto sono, come un metallo non ancora ritrovato? Con tremore, le pieghe della tua roccia rendo piene di me stesso, e la tua durezza avverto in ogni punto. O è l’angoscia, questa, in cui mi trovo? La profonda angoscia delle città sovrabbondanti: in lei tu m’hai confitto fino al mento. Oh, se qualcuno in verità t’avesse detto del loro vano esistere, e folle, ti saresti innalzato, tempesta tu che è dall’inizio, e le avresti spazzate via come baccelli... Tu vuoi da me qualcosa ancora: dillo apertamente, – nella mia bocca io non sono più signore, ed essa più non vuole chiudersi, come farebbe invece una ferita: come cani stanno le mie mani, e puntano ai miei fianchi, e a nulla serve il mio richiamo. Tu mi forzi, Signore, a un’ora estranea. 265 3 Mach mich zum Wächter deiner Weiten, mach mich zum Horchenden am Stein, gieb mir die Augen auszubreiten auf deiner Meere Einsamsein; laß mich der Flüsse Gang begleiten aus dem Geschrei zu beiden Seiten weit in den Klang der Nacht hinein. Schick mich in deine leeren Länder, durch die die weiten Winde gehn, wo große Klöster wie Gewänder um ungelebte Leben stehn. Dort will ich mich zu Pilgern halten, von ihren Stimmen und Gestalten durch keinen Trug mehr abgetrennt, und hinter einem blinden Alten des Weges gehn, den keiner kennt. 266 Delle tue vastità fammi guardiano, fammi ascoltatore attento della pietra, donami di aprire bene gli occhi su quanto i tuoi mari siano soli; lascia che accompagni lo scorrere dei fiumi dall’esultanza di una riva e l’altra fin dentro il suono della notte, lungamente. Manda me nei tuoi deserti territori, là dove vanno i grandi venti, dove grossi chiostri, come vesti, si levano d’intorno a vite mai vissute. Là voglio fermarmi con i pellegrini, senza più nessun inganno a separarmi dalle loro voci e figure, e dietro un vecchio cieco anch’io vorrei per un sentiero andare, che nessuno sa. 267 4 Denn, Herr, die großen Städte sind verlorene und aufgelöste; wie Flucht vor Flammen ist die größte, – und ist kein Trost, daß er sie tröste, und ihre kleine Zeit verrinnt. Da leben Menschen, leben schlecht und schwer, in tiefen Zimmern, bange von Gebärde, geängsteter denn eine Erstlingsherde; und draußen wacht und atmet deine Erde, sie aber sind und wissen es nicht mehr. Da wachsen Kinder auf an Fensterstufen, die immer in demselben Schatten sind, und wissen nicht, daß draußen Blumen rufen zu einem Tag voll Weite, Glück und Wind, – und müssen Kind sein und sind traurig Kind. Da blühen Jungfraun auf zum Unbekannten und sehnen sich nach ihrer Kindheit Ruh; das aber ist nicht da, wofür sie brannten, und zitternd schließen sie sich wieder zu. Und haben in verhüllten Hinterzimmern die Tage der enttäuschten Mutterschaft, der langen Nächte willenloses Wimmern und kalte Jahre ohne Kampf und Kraft. Und ganz im Dunkel stehn die Sterbebetten, und langsam sehnen sie sich dazu hin; und sterben lange, sterben wie in Ketten und gehen aus wie eine Bettlerin. 268 Perché, Signore, le città grandi sono smarrite e stravolte; come fuga dalle fiamme è la più grande, – e non c’è sollievo alcuno, che le possa sollevare, e il loro tempo, piccolo, va oltre. Uomini ci vivono, e malamente vivono, a fatica, in buie camere, impauriti già nei gesti, più spaventati d’un gregge d’agnelli; e fuori, là, la terra tua sta sveglia, e respira, ma loro esistono, e più non lo sanno. Là crescono bambini, per finestre e scale sempre avvolte nella propria stessa ombra, e non sanno che là fuori i fiori chiamano a un giorno tutto spazio, e gioia e vento, – e dovrebbero essere bambini: ma è con tristezza che lo sono. Là, giovinette fioriscono per sconosciuti uomini, intensamente vogliono la pace della loro infanzia; ma non c’è, non là, ciò per cui arsero; e, tremanti, nuovamente si chiudono in se stesse. Hanno, nelle loro camere segrete, della maternità i delusi giorni, il gemere delle lunghe notti, involontario, e freddi anni senza lotta e senza forza. In pieno buio, vi sono letti pronti per la morte, e lentamente è proprio là che stanno andando; a lungo muoiono, come incatenate, e come mendicanti vanno intorno. 269 5 Da leben Menschen, weißerblühte, blasse, und sterben staunend an der schweren Welt. Und keiner sieht die klaffende Grimasse, zu der das Lächeln einer zarten Rasse in namenlosen Nächten sich entstellt. Sie gehn umher, entwürdigt durch die Müh, sinnlosen Dingen ohne Mut zu dienen, und ihre Kleider werden welk an ihnen, und ihre schönen Hände altern früh. Die Menge drängt und denkt nicht sie zu schonen, obwohl sie etwas zögernd sind und schwach, – nur scheue Hunde, welche nirgends wohnen, gehn ihnen leise eine Weile nach. Sie sind gegeben unter hundert Quäler, und, angeschrien von jeder Stunde Schlag, kreisen sie einsam um die Hospitäler und warten angstvoll auf den Einlaßtag. Dort ist der Tod. Nicht jener, dessen Grüße sie in der Kindheit wundersam gestreift, – der kleine Tod, wie man ihn dort begreift; ihr eigener hängt grün und ohne Süße wie eine Frucht in ihnen, die nicht reift. 270 Vivono uomini, là, imbiancati, impalliditi, e muoiono meravigliandosi per quanto il mondo sia pesante. E nessuno può vedere la smorfia dilatata là dove il sorriso d’una razza che fu fine in notti senza nome si sfigura. Intorno vanno, umiliati dalla pena, a servire cose assurde, senza più coraggio alcuno, e l’abito su loro si fa vizzo, e presto invecchiano le loro belle mani. Preme la folla, non pensa a salvarli, benchè qualcosa siano di debole, esitante, – cani timidi soltanto, che non han casa da nessun parte, per un poco, lentamente, gli van dietro. A cento supplizi sono destinati, e, aggrediti dal rintocco d’ogni ora, solitari vanno intorno agli ospedali, e attendono nell’ansia il giorno in cui dovranno entrarvi. Là c’è la morte. Non quella, il cui saluto li sfiorò mirabilmente nell’infanzia, – la morte piccola, come lì vicino a loro si capiva; la loro, invece, pende ancora verde, senza succo: come un frutto in loro, che ancora non matura. 271 6 O Herr, gieb jedem seinen eignen Tod. Das Sterben, das aus jenem Leben geht, darin er Liebe hatte, Sinn und Not. 272 Signore, da’ a ciascuno la sua giusta morte. Quel venir meno che procede da una vita in cui ha avuto amore, e ancora conoscenza e pena. 273 7 Denn wir sind nur die Schale und das Blatt. Der große Tod, den jeder in sich hat, das ist die Frucht, um die sich alles dreht. Um ihretwillen heben Mädchen an und kommen wie ein Baum aus einer Laute, und Knaben sehnen sich um sie zum Mann; und Frauen sind den Wachsenden Vertraute für Ängste, die sonst niemand nehmen kann. Um ihretwillen bleibt das Angeschaute wie Ewiges, auch wenn es lang verrann, – und jeder, welcher bildete und baute, ward Welt um diese Frucht, und fror und taute und windete ihr zu und schien sie an. In sie ist eingegangen alle Wärme der Herzen und der Hirne weißes Glühn –: Doch deine Engel ziehn wie Vogelschwärme, und sie erfanden alle Fruchte grün. 274 Perché noi siamo buccia solamente, siamo foglia. La morte grande, che ciascuno porta in sé, è il frutto attorno al quale tutto in cerchio si dispone. Per lui, le fanciulle crescono, e come un albero s’innalzano da un liuto, e per loro bramano i fanciulli di riuscire a farsi uomini; alle donne, crescendo, confidano le angosce che nessun altro saprebbe sostenere. Per lui, ciò che vedemmo resta come eterno, anche se da tempo se n’è andato, – e ciascuno, che dipinse o costruì, divenne mondo attorno a questo frutto, e si gelò e si sciolse, e s’intrecciò ad esso: gli diede luce. In lui è andato ogni calore del cuore, e l’ardore bianco del cervello –: i tuoi angeli, però, come uno stormo d’uccelli l’oltrepassano, e verdi tutti i frutti hanno trovato. 275 8 Herr: Wir sind armer denn die armen Tiere, die ihres Todes enden, wennauch blind, weil wir noch alle ungestorben sind. Den gieb uns, der die Wissenschaft gewinnt, das Leben aufzubinden in Spaliere, um welche zeitiger der Mai beginnt. Denn dieses macht das Sterben fremd und schwer, daß es nicht unser Tot ist; einer der uns endlich nimmt, nur weil wir keinen reifen. Drum geht ein Sturm, uns alle abzustreifen. Wir stehn in deinem Garten Jahr und Jahr Und sind die Raume, süßen Tod zu tragen; aber wir altern in den Erntetagen, und so wie Frauen, welche du geschlagen, sind wir verschlossen, schlecht und Unfruchtbar. Oder ist meine Hoffahrt ungerecht: sind Bäume besser? Sind wir nur Geschlecht und Schooß von Frauen, welche viel gewähren? – Wir haben mit der Ewigkeit gehurt, und wenn das Kreißbett da ist, so gebären wir unsres Todes tote Fehlgeburt; den krummen, kummervollen Embryo, der sich (als ob ihn Schreckliches erschreckte) die Augenkeime mit den Händen deckte und dem schon auf der ausgebauten Stirne die Angst von allem steht, was er nicht litt, – und alle schließen so wie eine Dirne in Kindbettkrämpfen und am Kaiserschnitt. 276 Signore: siamo poveri, dunque, più dei poveri animali che, benché ciechi, della propria morte muoiono: perché ancora noi non siamo morti. Donaci qualcuno, che il potere ottenga d’intrecciare la vita ad una pergola sulla quale al tempo giusto il maggio inizi. Poiché soltanto questo fa il morire estraneo e greve, che non è la nostra morte; un’altra alla fine ci cattura, perché nessuna in noi ne abbiamo maturata. Una tempesta viene, e tutti a noi ci toglie. Anno dopo anno, cresciamo nel tuo giardino, e siamo alberi, che la dolce morte portano; ma siamo vecchi, al tempo del raccolto, o come donne, che tu abbia colpite, e chiusi siamo, cattivi e senza frutto. È ingiusta, forse, la mia superbia: gli alberi sono migliori? Siamo solo sesso e lombi di donne, che ne ebbero molto desiderio? – Con l’eterno ci siamo accoppiati, e quando giungono le doglie, partoriamo il morto aborto della nostra morte; l’embrione curvo, colmo di dolore, che da sé (come se terribili realtà lo spaventassero) coprì i suoi germi d’occhi con le mani, e già sulla formata fronte porta angocia per quello che non ha sofferto ancora, – e tutti muoiono come donnette, sul letto del parto, al taglio cesareo. 277 9 Mach Einen herrlich, Herr, mach Einen groß, bau seinem Leben einen schönen Schooß, und seine Scham errichte wie ein Tor in einem blonden Wald von jungen Haaren, und ziehe durch das Glied des Unsagbaren den Reisigen, den weißen Heeresscharen, den tausend Samen, die sich sammeln, vor. Und eine Nacht gieb, daß der Mensch empfinge was keines Menschen Tiefen noch betrat; gieb eine Nacht da blühen alle Dinge, und mach sie duftender als die Syringe und wiegender denn deines Windes Schwinge und jubelnder als Josaphat. Und gieb ihm eines langen Tragens Zeit und mach ihn weit in wachsenden Gewändern, und schenk ihm eines Sternes Einsamkeit, daß keines Auges Staunen ihn beschreit, wenn seine Züge schmelzend sich verändern. Erneue ihn mit einer reinen Speise, mit Tau, mit ungetötetem Gericht, mit jenem Leben, das wie Andacht leise und warm wie Atem aus den Feldern bricht. Mach, daß er seine Kindheit wieder weiß; das Unbewußte und das Wunderbare und seiner ahnungsvollen Anfangsjahre unendlich dunkelreichen Sagenkreis. 278 Uno, Signore, fallo splendido, fallo grande, crea per la sua vita uno stupendo grembo, e il suo pudore, innalzalo come una porta in una bionda foresta di giovani capelli, e schiera innanzi a lui, ch’è parte dell’indicibile, la cavalleria, le mille armate, i mille semi, che tutti si radunano. E dagli una notte, così che in sé raccolga ciò che nessun abisso umano mai comprese; dagli una notte: le cose, tutte, là fioriscano: più profumate falle dei lillà, e più ondeggianti delle ali del tuo vento, ed esultanti più di Josaphat. E donagli una lunga gravidanza, e fallo largo in vesti che si estendano; offrigli la solitudine di un astro; non lo veda lo stupore di alcun occhio quando svanendo muterà i suoi tratti. Con un cibo puro fallo nuovo, con pietanza immortale o con rugiada, con la vita – lei che, lieve come una preghiera o calda come un respiro, sorge libera dai campi. Fa’ che nuovamente conosca la sua infanzia – l’inconsapevole, il mirabile – e dei suoi primi anni colmi di presagio le infinite saghe, così ricche di tenebra. 279 Und also heiß ihn seiner Stunde warten, da er den Tod gebären wird, den Herrn: allein und rauschend wie ein großer Garten, und ein Versammelter aus fern. 280 E ancora chiamalo, che attenda la sua ora: l’istante in cui partorirà la morte, sua signora: sola e frusciante come un giardino grande, come qualcuno che da lungi a noi si ricongiunga. 281 10 Das letzte Zeichen laß an uns geschehen, erscheine in der Krone deiner Kraft, und gieb uns jetzt (nach aller Weiber Wehen) des Menschen ernste Mutterschaft. Erfülle, du gewaltiger Gewährer, nicht jenen Traum der Gottgebärerin, – richt auf den Wichtigen: den Tod-Gebärer, und führ uns mitten durch die Hände derer, die ihn verfolgen werden, zu ihm hin. Denn sieh, ich sehe seine Widersacher, und sie sind mehr als Lügen in der Zeit, – und er wird aufstehn in dem Land der Lacher und wird ein Träumer heißen: denn ein Wacher ist immer Träumer unter Trunkenheit. Du aber gründe ihn in deine Gnade, in deinem alten Glanze pflanz ihn ein; und mich laß Tänzer dieser Bundeslade, laß mich den Mund der neuen Messiade, den Tönenden, den Täufer sein. 282 Il segno ultimo, lascia che ci avvenga, mostrati nella corona della tua potenza e finalmente donaci (dopo tante doglie di donne) la fiera maternità dei maschi. Compi, tu che doni con potenza, ma non quel sogno della Madre di Dio – volgiti a colui che solo importa: a colui che genera la morte, e portaci, nel cavo delle mani di chi vorrà seguirlo, fino a lui. Ecco, guarda: vedo i suoi nemici, ed essi sono più che menzogne del tempo, – e lo diranno un sognatore: perché lo è sempre, un sognatore, uno che vegli tra chi vive ebbro. Ma fondalo, tu, nella tua benevolenza, innestalo nel tuo splendore antico; e fa’ che danzi, io, per questa arca, fa’ che sia la bocca del nuovo Messia, quella che lo canta: il suo Battista. 283 11 Ich will ihn preisen. Wie vor einem Heere die Hörner gehen, will ich gehn und schrein. Mein Blut soll lauter rauschen denn die Meere, mein Wort soll süß sein, daß man sein begehre, und doch nicht irre machen wie der Wein. Und in den Frühlingsnächten, wenn nicht viele geblieben sind um meine Lagerstatt, dann will ich blühn in meinem Saitenspiele so leise wie die nördlichen Aprile, die spät und ängstlich sind um jedes Blatt. Denn meine Stimme wuchs nach zweien Seiten und ist ein Duften worden und ein Schrein: die eine will den Fernen vorbereiten, die andere muß meiner Einsamkeiten Gesicht und Seligkeit und Engel sein. 284 Lodarlo, voglio. Come di fronte a una schiera i corni vanno, voglio andare io e gridare. Deve ribollire, il mio sangue, più del mare, la mia parola essere dolce, così che sia desiderata, ma non rendere folli come il vino. E nelle notti di primavera, quando non molti si saranno radunati intorno al mio giaciglio, allora, io voglio fiorire suonando la mia cetra, lieve così come gli aprili a settentrione, che sono tardi e attenti ad ogni foglia. Poiché in due parti è cresciuta la mia voce, e un profumo è diventata, e già un gridare: per chi è lontano, l’una vuole dare annuncio; l’altra, della mia solitudine dev’essere il volto, l’angelo, la gioia. 285 12 Und gieb, daß beide Stimmen mich begleiten, streust du mich wieder aus in Stadt und Angst. Mit ihnen will ich sein im Zorn der Zeiten, und dir aus meinem Klang ein Bett bereiten an jeder Stelle, wo du es verlangst. 286 Concedimi che l’una e l’altra voce mi accompagnino, tra l’angoscia e la città disperdimi di nuovo. Con loro voglio essere, nell’ira dei tempi, e prapararti un letto in ogni luogo, dove tu vuoi, con il mio suono. 287 13 Die großen Städte sind nicht wahr; sie täuschen den Tag, die Nacht, die Tiere und das Kind; ihr Schweigen lügt, sie lügen mit Geräuschen und mit den Dingen, welche willig sind. Nichts von dem weiten wirklichen Geschehen, das sich um dich, du Werdender, bewegt, geschieht in ihnen. Deiner Winde Wehen fällt in die Gassen, die es anders drehen, ihr Rauschen wird im Hin – und Wiedergehen verwirrt, gereizt und aufgeregt. Sie kommen auch zu Beeten und Alleen –: 288 Le grandi città non sono veritiere: ingannano il giorno, la notte, gli animali e il bambino; mente il loro tacere, e mentono con i rumori e con le cose, che obbedienti sono. Nulla del vasto, autentico accadere che intorno a te si muove, divenire, accade in loro. L’alitare dei tuoi venti cade nelle vie, che altrove lo conducono; il loro mormorare che va e viene si scompiglia, si irrita e si desta. Raggiungono le aiuole, anche, e i viali –: 289 14 Denn Gärten sind, – von Königen gebaut, die eine kleine Zeit sich drin vergnügten mit jungen Frauen, welche Blumen fügten zu ihres Lachens wunderlichem Laut. Sie hielten diese müden Parke wach; sie flüsterten wie Lüfte in den Büschen, sie leuchteten in Pelzen und in Plüschen, und ihrer Morgenkleider Seidenrüschen erklangen auf dem Kiesweg wie ein Bach. Jetzt gehen ihnen alle Gärten nach – und fügen still und ohne Augenmerk sich in des fremden Frühlings helle Gammen und brennen langsam mit des Herbstes Flammen auf ihrer Äste großem Rost zusammen, der kunstvoll wie aus tausend Monogrammen geschmiedet scheint zu schwarzem Gitterwerk. Und durch die Gärten blendet der Palast (wie blasser Himmel mit verwischtem Lichte), in seiner Säle welke Bilderlast versunken wie in innere Gesichte, fremd jedem Feste, willig zum Verzichte und schweigsam und geduldig wie ein Gast. 290 Poiché vi sono giardini – da re costruiti, per darsi gioia un po’ di tempo con giovani donne; ed esse intrecciavano fiori sulle loro risate che scrosciavano, meravigliose. Tenevano desti questi stanchi parchi; bisbigliavano come brezze nei cespugli, splendevano nelle pellicce, nei tessuti di felpa, e il fruscio di seta delle loro mattutine vesti, sul viottolo, come un ruscello risuonava. Tutti i giardini, adesso, li inseguono – e silenziosi s’adattano, senza un cenno d’attenzione, ai chiari toni di un’estranea primavera, e lenti bruciano, come le fiamme dell’autunno sulla grata grande dei loro rami, come se un artista con mille monogrammi un cancello nero avesse reso adorno. Abbaglia il palazzo tra i giardini (come sbiadito cielo con sfumata luce), nelle sue sale che, cariche di quadri, stanno assorte come in intimi pensieri: estraneo ad ogni festa, pronto alla rinuncia, silenzioso e, come un ospite, disposto alla pazienza. 291 15 Dann sah ich auch Paläste, welche leben; sie brüsten sich den schönen Vögeln gleich, die eine schlechte Stimme von sich geben. Viele sind reich und wollen sich erheben, – aber die Reichen sind nicht reich. Nicht wie die Herren deiner Hirtenvölker, der klaren, grünen Ebenen Bewölker wenn sie mit schummerigem Schafgewimmel darüber zogen wie ein Morgenhimmel. Und wenn sie lagerten und die Befehle verklungen waren in der neuen Nacht, dann wars, als sei jetzt eine andre Seele in ihrem flachen Wanderland erwacht –: die dunklen Höhenzüge der Kamele umgaben es mit der Gebirge Pracht. Und der Geruch der Rinderherden lag dem Zuge nach bis in den zehnten Tag, war warm und schwer und wich dem Wind nicht aus. Und wie in einem hellen Hochzeitshaus die ganze Nacht die reichen Weine rinnen: so kam die Milch aus ihren Eselinnen. Und nicht wie jene Scheichs der Wüstenstämme, die nächtens auf verwelktem Teppich ruhten, aber Rubinen ihren Lieblingsstuten einsetzen ließen in die Silberkämme. Und nicht wie jene Fürsten, die des Golds nicht achteten, das keinen Duft erfand, 292 E palazzi vidi anche, che son vivi; si danno arie, come fanno alcuni uccelli – sono belli, ma una cattiva voce traggono da sé. Molti uomini son ricchi, e vogliono innalzarsi, – ma i ricchi non sono ricchi. Non come i signori dei tuoi popoli pastori che come nuvole passavano su piane verdi e chiare, quando con greggi brulicanti andavano oltre, come un cielo mattutino. E quando si accampavano, e gli ordini nella nuova notte avevano disperso il loro suono, così accadeva, come se un’anima diversa, nella loro piana terra di vagabondaggio, si fosse destata –: le gobbe scure dei cammelli le si facevano intorno con la magnificenza dei monti. E restava l’odore delle loro mandrie dopo la partenza fino al decimo giorno, pesante e caldo, e al vento non si disperdeva. E come in una casa rischiarata dalla festa tutta la notte i ricchi vini scorrono: così veniva il latte dalle loro asine. E non sono come quegli sceicchi del deserto che, di notte, su tappeti consunti trovavano riposo ma rubini ordinavano d’incastonare per le loro giumente predilette, su pettini d’argento. E non come quei prìncipi, che in nulla si curavano dell’oro, perché non manda alcun aroma, 293 und deren stolzes Leben sich verband mit Ambra, Mandelöl und Sandelholz. Nicht wie des Ostens weißer Gossudar, dem Reiche eines Gottes Recht erwiesen; er aber lag mit abgehärmtem Haar, die alte Stirne auf des Fußes Fliesen, und weinte, – weil aus allen Paradiesen nicht eine Stunde seine war. Nicht wie die Ersten alter Handelshäfen, die sorgten, wie sie ihre Wirklichkeit mit Bildern ohnegleichen überträfen und ihre Bilder wieder mit der Zeit; und die in ihres goldnen Mantels Stadt zusammgefaltet waren wie ein Blatt, nur leise atmend mit den weißen Schläfen... Das waren Reiche, die das Leben zwangen unendlich weit zu sein und schwer und warm. Aber der Reichen Tage sind vergangen, und keiner wird sie dir zurückverlangen, nur mach die Armen endlich wieder arm. 294 e le proprie vite fiere le fasciavano con ambra e olio di mandorlo, e con sandalo. Non sono come il bianco Gossudar, l’orientale, al quale mille regni un decreto divino dispensava: ma lui giaceva, i capelli scompigliati, con la fronte anziana al pavimento, e piangeva, – perché tra tutti i paradisi nemmeno un’ora sola poteva appartenergli. Né come i notabili dei porti antichi, che pensavano a come la realtà, la loro, con immagini incomparabili potesse essere trasfigurata, e poi le immagini, di nuovo, con il tempo; ed essi, nelle città dei loro mantelli d’oro, ripiegati erano, come un foglio, e solo leggermente respiravano, con le tempie bianche... Erano ricchi questi, che forzavano la vita a essere vasta senza fine,e greve e calda. Ma i giorni dei ricchi, se ne sono andati, e nessuno li potrà restituire; tu, però, almeno, fa’ che i poveri, alla fine, siano poveri di nuovo. 295 16 Sie sind es nicht. Sie sind nur die Nicht-Reichen, die ohne Willen sind und ohne Welt; gezeichnet mit der letzten Ängste Zeichen und überall entblättert und entstellt. Zu ihnen drängt sich aller Staub der Städte, und aller Unrat hängt sich an sie an. Sie sind verrufen wie ein Blatternbette, wie Scherben fortgeworfen, wie Skelette, wie ein Kalender, dessen Jahr verrann, – und doch: wenn deine Erde Nöte hätte: sie reihte sie an eine Rosenkette und trüge sie wie einen Talisman. Denn sie sind reiner als die reinen Steine und wie das blinde Tier, das erst beginnt, und voller Einfalt und unendlich Deine und wollen nichts und brauchen nur das Eine so arm sein dürfen, wie sie wirklich sind. 296 Essi non lo sono più. Sono solo i non-ricchi, e senza volere sono, e senza mondo; con il segno addosso delle angosce estreme, e ovunque senza foglie, deturpati. Si accalca su di loro ogni polvere della città, ogni sporcizia gli si attacca. Diffamati sino, come un letto infetto, e gettati via come macerie, come scheletri, come un calendario il cui anno sia trascorso, – eppure: se la terra fosse in pena, li intreccerebbe in un rosario, e come un talismano li porterebbe su di sé. Poiché più puri sono delle pure pietre, e come l’animale cieco appena nato, ed innocenti in tutto, tuoi senza mai fine, e nulla vogliono, e di questo solamente hanno bisogno: essere poveri, poterlo – così: come lo sono in verità. 297 17 Denn Armut ist ein großer Glanz aus Innen... 298 Poiché povertà è una luce intensa ch’è dall’intimo... 299 18 Du bist der Arme, du der Mittellose, du bist der Stein, der keine Stätte hat, du bist der fortgeworfene Leprose, der mit der Klapper umgeht vor der Stadt. Denn dein ist nichts, so wenig wie des Windes, und deine Blöße kaum bedeckt der Ruhm; das Alltagskleidchen eines Waisenkindes ist herrlicher und wie ein Eigentum. Du bist so arm wie eines Keimes Kraft in einem Mädchen, das es gern verbürge und sich die Lenden preßt, daß sie erwürge das erste Atmen ihrer Schwangerschaft. Und du bist arm: so wie der Frühlingsregen, der selig auf der Städte Dächer fällt, und wie ein Wunsch, wenn Sträflinge ihn hegen in einer Zelle, ewig ohne Welt. Und wie die Kranken, die sich anders legen und glücklich sind; wie Blumen in Geleisen so traurig arm im irren Wind der Reisen; und wie die Hand, in die man weint, so arm... Und was sind Vögel gegen dich, die frieren, was ist ein Hund, der tagelang nicht fraß, und was ist gegen dich das Sichverlieren, das stille lange Traurigsein von Tieren, die man als Eingefangene vergaß? Und alle Armen in den Nachtasylen, was sind sie gegen dich und deine Not? 300 Sei tu il povero, tu colui che non ha mezzi, sei tu la pietra, che non ha un suo luogo, sei tu il lebbroso, lo scacciato, che va col campanaccio davanti alla città. Poiché nulla ti appartiene: così poco, come al vento; la tua nudità, la gloria tua la copre appena; la veste d’ogni giorno di un bambino abbandonato e più nobile di lei, ed è come una ricchezza smisurata. Sei così povero, come la forza di un seme in una giovane ragazza, che lei nasconderebbe volentieri, e stringe i fianchi, così da soffocare il respiro primo di quel suo diventar madre. Sei povero, tu: come lo è la pioggia nella primavera che felice cade sui tetti della città, e come un desiderio, se un prigioniero lo alimenta in una cella, sempre senza mondo. O come i malati, che in un diverso modo si pongono a giacere, e ne sono felici; come fiori tra i binari, così tristemente poveri nel folle vento dei viaggi: e come la mano in cui si piange – tu, così povero... E cosa sono gli uccelli innanzi a te, i raggelati, che cosa è mai un cane, che non mastica da giorni, e cosa innanzi a te questo smarrirsi, la lunga e silenziosa afflizione delle bestie che si dimenticano una volta catturate? 301 Sie sind nur kleine Steine, keine Mühlen, aber sie mahlen doch ein wenig Brot. Du aber bist der tiefste Mittellose, der Bettler mit verborgenem Gesicht; du bist der Armut große Rose, die ewige Metamorphose des Goldes in das Sonnenlicht. Du bist der leise Heimatlose, der nichtmehr einging in die Welt: zu groß und schwer zu jeglichem Bedarfe. Du heulst im Sturm. Du bist wie eine Harfe, an welcher jeder Spielende zerschellt. 302 E tutti i poveri, nei rifugi per la notte, cosa sono innanzi a te – di fronte alla tua pena? Sono piccole pietre appena, e non mulini; eppure, macinano un po’ di pane. Ma tu sei quello al quale, più che a tutti, manca tutto, il mendicante dal nascosto volto; sei tu la rosa grande della povertà, l’eterna metamorfosi dell’oro nella luce del sole. Sei tu il senza-casa silenzioso che mai più parte avrà nel mondo: troppo grande e pesante per ciò che può servirti. Tu ululi nella tempesta. Sei come un’arpa, sulla quale chi la suoni va a schiantarsi. 303 19 Du, der du weißt, und dessen weites Wissen aus Armut ist und Armutsüberfluß: Mach, daß die Armen nichtmehr fortgeschmissen und eingetreten werden in Verdruß. Die andern Menschen sind wie ausgerissen; sie aber stehn wie eine Blumen-Art aus Wurzeln auf und duften wie Melissen und ihre Blätter sind gezackt und zart. 304 Tu che sai, tu che il tuo sapere vasto da povertà sovrabbondante hai ricavato: fa’ sì che i poveri non siano più scacciati, né mai oppressi nel disprezzo. Sono come snaturati gli altri uomini: ma essi, invece, da radici come fiori s’innalzano, e hanno profumo di melissa; le loro foglie sono fragili, dentate. 305 20 Betrachte sie und sieh, was ihnen gliche: sie rühren sich wie in den Wind gestellt und ruhen aus wie etwas, was man hält. In ihren Augen ist das feierliche Verdunkeltwerden lichter Wiesenstriche, auf die ein rascher Sommerregen fällt. 306 Osserva loro, e dimmi: cosa gli assomiglia? Si muovono come se sempre in mezzo al vento si trovassero, come ciò che è trattenuto stanno in quiete. Negli occhi loro c’è il festivo farsi scuri di terreni chiari e prati, sui quali una veloce pioggia estiva cada. 307 21 Sie sind so still; fast gleichen sie den Dingen. Und wenn man sich sie in die Stube lädt, sind sie wie Freunde, die sich wiederbringen, und gehn verloren unter dem Geringen und dunkeln wie ein ruhiges Gerät. Sie sind wie Wächter bei verhängten Schätzen, die sie bewahren, aber selbst nicht sahn, – getragen von den Tiefen wie ein Kahn, und wie das Leinen auf den Bleicheplätzen so ausgebreitet und so aufgetan. 308 Sono così silenziosi! Come le cose, quasi! E quando, in cucina tu li fai accomodare, come amici sono, che facciano ritorno, e si smarriscono nel poco, ed anneriscono come un attrezzo che riposi. Come sentinelle sono, di fronte a nascosti tesori: montano la guardia, eppure mai li hanno veduti, – come una barca, sostenuti dagli abissi; e come i panni sullo stenditoio, così: distesi e aperti. 309 22 Und sieh, wie ihrer Füße Leben geht: wie das der Tiere, hundertfach verschlungen mit jedem Wege; voll Erinnerungen an Stein und Schnee und an die leichten, jungen gekühlten Wiesen, über die es weht. Sie haben Leid von jenem großen Leide, aus dem der Mensch zu kleinem Kummer fiel; des Grases Balsam und der Steine Schneide ist ihnen Schicksal, – und sie lieben beide und gehen wie auf deiner Augen Weide und so wie Hände gehn im Saitenspiel. 310 E guarda, com’è la vita dei loro piedi: come quella delle bestie, vincolata in mille modi a ogni sentiero; tutta memorante pietra e neve, e lievi prati, freschi e giovani, sui quali soffia il vento. Hanno dolore da quel dolore immenso da cui decadde l’uomo a un piccolo soffrire; delle erbe aromatiche, delle taglienti pietre hanno il destino, – e le amano entrambe e vanno, sui tuoi occhi come su di un pascolo, e come mani vanno su una cetra. 311 23 Und ihre Hände sind wie die von Frauen, und irgendeiner Mutterschaft gemäß; so heiter wie die Vögel wenn sie bauen, – im Fassen warm und ruhig im Vertrauen, und anzufühlen wie ein Trinkgefäß. 312 Le loro mani sono come quelle di una donna, in tutto adatte a una maternità; così allegre, come gli uccelli quando un nido costruiscono, – nel cogliere, calde; quiete nell’offrirsi; e nel toccare come una scodella. 313 24 Ihr Mund ist wie der Mund an einer Büste, der nie erklang und atmete und küßte und doch aus einem Leben das verging das alles, weise eingeformt, empfing und sich nun wölbt, als ob er alles wüßte – und doch nur Gleichnis ist und Stein und Ding... 314 La loro bocca è come la bocca che ha una statua, che mai ha dato suoni, né respiro o bacio, eppure, da una vita che è trascorsa lei, formata con sapienza, tutto ha ricevuto, e s’incurva, adesso, come se tutto conoscesse – ed è soltanto immagine, null’altro: e pietra e cosa. 315 25 Und ihre Stimme kommt von ferneher und ist vor Sonnenaufgang aufgebrochen, und war in großen Wäldern, geht seit Wochen, und hat im Schlaf mit Daniel gesprochen und hat das Meer gesehn, und sagt vom Meer. 316 La loro voce giunge da lontano, e già prima dell’alba s’era alzata, e fu nelle foreste grandi, e va da settimane, e nel sonno ha parlato con Daniele, e il mare ha visto: e dice il mare. 317 26 Und wenn sie schlafen, sind sie wie an alles zurückgegeben was sie leise leiht, und weit verteilt wie Brot in Hungersnöten an Mitternächte und an Morgenröten, und sind wie Regen voll des Niederfalles in eines Dunkels junge Fruchtbarkeit. Dann bleibt nicht eine Narbe ihres Namens auf ihrem Leib zurück, der keimbereit sich bettet wie der Samen jenes Samens, aus dem du stammen wirst von Ewigkeit. 318 E quando dormono, sono come se fossero tornati indietro a tutto ciò che lieve li sostenta, e sbriciolati intorno, come pane in una carestia, a mezzanotte e nel rosso dell’aurora, e sono come pioggia colma del cadere nella fecondità giovane d’un buio. Dopo, neanche resta, del loro nome, una sola cicatrice sul corpo ancora – esso che si corica, pronto a dare frutti, come il seme di quel seme dal quale dall’eterno tu germogli. 319 27 Und sieh: ihr Leib ist wie ein Bräutigam und fließt im Liegen hin gleich einem Bache, und lebt so schön wie eine schöne Sache, so leidenschaftlich und so wundersam. In seiner Schlankheit sammelt sich das Schwache, das Bange, das aus vielen Frauen kam; doch sein Geschlecht ist stark und wie ein Drache und wartet schlafend in dem Tal der Scham. 320 E guarda: come uno sposo è il loro corpo e nel giacere scorre come fa un ruscello, e vive bello come cosa bella, così passionale e poi così meraviglioso. Nella sua magrezza si raccolgie la fragilità, il timore che da molte donne venne; ma forte è il sesso, e come un drago dormendo attende in una valle di vergogna. 321 28 Denn sieh: sie werden leben und sich mehren und nicht bezwungen werden von der Zeit, und werden wachsen wie des Waldes Beeren den Boden bergend unter Süßigkeit. Denn selig sind, die niemals sich entfernten und still im Regen standen ohne Dach; zu ihnen werden kommen alle Ernten, und ihre Frucht wird voll sein tausendfach. Sie werden dauern über jedes Ende und über Reiche, deren Sinn verrinnt, und werden sich wie ausgeruhte Hände erheben, wenn die Hände aller Stände und aller Völker müde sind. 322 Guarda, dunque: vivranno, e si moltiplicheranno, e mai del tempo servi non saranno, e come bacche del bosco cresceranno la terra nascondendo sotto la dolcezza. Poiché sono beati coloro che mai s’allontanarono e rimasero in silenzio nella pioggia, senza un tetto; per loro ogni messe giungerà, e mille volte sarà pieno il loro frutto. E dureranno, al di là d’ogni fine, al di là dei regni, il cui senso venne meno, e s’alzeranno con le fresche loro mani quando stanche ormai saranno d’ogni classe, d’ogni popolo le mani. 323 29 Nur nimm sie wieder aus der Städte Schuld, wo ihnen alles Zorn ist und verworren und wo sie in den Tagen aus Tumult verdorren mit verwundeter Geduld. Hat denn für sie die Erde keinen Raum? Wen sucht der Wind? Wer trinkt des Baches Helle? Ist in der Teiche tiefem Ufertraum kein Spiegelbild mehr frei für Tür und Schwelle? Sie brauchen ja nur eine kleine Stelle, auf der sie alles haben wie ein Baum. 324 Ora, di nuovo toglili dalla colpa delle città, là dove tutto è rabbia e confusione, dove essi nei giorni del tumulto con ferita pazienza inaridiscono. Non ha la terra, per loro, alcuno spazio? Di chi va in cerca il vento? Chi è che beve al limpido ruscello? Non c’è, non ne sognano nel fondo le rive dello stagno, un luogo come specchio, libero per una soglia e una porta? Hanno bisogno, solamente, di un luogo in cui sostare: e tutto averne, come un albero. 325 30 Des Armen Haus ist wie ein Altarschrein. Drin wandelt sich das Ewige zur Speise, und wenn der Abend kommt, so kehrt es leise zu sich zurück in einem weiten Kreise und geht voll Nachklang langsam in sich ein. Des Armen Haus ist wie ein Altarschrein. Des Armen Haus ist wie des Kindes Hand. Sie nimmt nicht, was Erwachsene verlangen; nur einen Käfer mit verzierten Zangen, den runden Stein, der durch den Bach gegangen, den Sand, der rann, und Muscheln, welche klangen; sie ist wie eine Waage aufgehangen und sagt das allerleiseste Empfangen langschwankend an mit ihrer Schalen Stand. Des Armen Haus ist wie des Kindes Hand. Und wie die Erde ist des Armen Haus: Der Splitter eines künftigen Kristalles, bald licht, bald dunkel in der Flucht des Falles; arm wie die warme Armut eines Stalles, – und doch sind Abende: da ist sie alles, und alle Sterne gehen von ihr aus. 326 La casa del povero è come un tabernacolo. Là l’eterno si tramuta in cibo, e quando la sera viene, lieve si rivolge indietro verso sé, con ampio cerchio, e lentamente su di sé, ricolmo d’echi, si richiude. La casa del povero è come un tabernacolo. La casa del povero è come la mano del bambino. Ciò che reclamano gli adulti, non lo prende; solo un insetto con bizzarre antenne, la pietra levigata, che viaggiò dentro il ruscello, la sabbia che scorreva e le conchiglie che suonavano. È come una bilancia appesa e pronta, e anche il peso più leggero lo sa dire oscillando sempre meno coi suoi piatti. La casa del povero è come la mano del bambino. È come la terra la casa del povero: la scheggia di un cristallo che sarà, chiara adesso e adesso buia, nella fuga del cadere; povera, come la calda povertà di una stalla; – eppure, vi sono sere: ed essa è tutto, ed escono da lei tutte le stelle. 327 31 Die Städte aber wollen nur das Ihre und reißen alles mit in ihren Lauf. Wie hohles Holz zerbrechen sie die Tiere und brauchen viele Völker brennend auf. Und ihre Menschen dienen in Kulturen und fallen tief aus Gleichgewicht und Maß, und nennen Fortschritt ihre Schneckenspuren und fahren rascher, wo sie langsam fuhren, und fühlen sich und funkeln wie die Huren und lärmen lauter mit Metall und Glas. Es ist, als ob ein Trug sie täglich äffte, sie können gar nicht mehr sie selber sein; das Geld wächst an, hat alle ihre Kräfte und ist wie Ostwind groß, und sie sind klein und ausgeholt und warten, daß der Wein und alles Gift der Tier – und Menschensäfte sie reize zu vergänglichem Geschäfte. 328 Ciò che è loro proprio, però, le città lo vogliono, e con la loro corsa tutto abbattono. Come fossero legname marcio, frantumano le bestie; molti popoli, bruciandoli, consumano. Sono servi i loro uomini, nelle civiltà, e dall’esatto peso cadono lontano, e dalla misura, e i loro passi di lumaca li chiamano progresso, e vanno svelti dove prima andavan lenti, come sgualdrine s’atteggiano e sfavillano, e rumore danno, con più forza, con metallo e vetro. È come se un inganno ogni giorno li cogliesse, e più non sanno essere se stessi; cresce il denaro, e ha in sé le loro forze, ed è grande come il vento dell’est, e loro invece sono piccoli e vuoti, e attendono che il vino e il veleno d’ogni umore umano e animale li inciti a cammini senza scopo. 329 32 Und deine Armen leiden unter diesen und sind von allem, was sie schauen, schwer und glühen frierend wie in Fieberkrisen und gehn, aus jeder Wohnung ausgewiesen, wie fremde Tote in der Nacht umher; und sind beladen mit dem ganzen Schmutze, und wie in Sonne Faulendes bespien, – von jedem Zufall, von der Dirnen Putze, von Wagen und Laternen angeschrien. Und giebt es einen Mund zu ihrem Schutze, so mach ihn mündig und bewege ihn. 330 Per tutto questo, soffrono i tuoi poveri; sono gravati da tutto ciò che vedono e ardono gelando, come nella febbre, e vanno, da ogni abitazione allontanati, come morti estranei intorno, nella notte; di tutta la sporcizia sono caricati; sono come nel sole carne guasta: rigettati, – da ogni caso, dalle donnette in ghingheri aggrediti, da carrozze e da lanterne. E se una bocca esiste per salvarli, fa’ che parli: dalle movimento. 331 33 O wo ist der, der aus Besitz und Zeit zu seiner großen Armut so erstarkte, daß er die Kleider abtat auf dem Markte und bar einherging vor des Bischofs Kleid. Der Innigste und Liebendste von allen, der kam und lebte wie ein junges Jahr; der braune Bruder deiner Nachtigallen, in dem ein Wundern und ein Wohlgefallen und ein Entzücken an der Erde war. Denn er war keiner von den immer Müdern, die freudeloser werden nach und nach, mit kleinen Blumen wie mit kleinen Brüdern ging er den Wiesenrand entlang und sprach. Und sprach von sich und wie er sich verwende so daß es allem eine Freude sei; und seines hellen Herzens war kein Ende, und kein Geringes ging daran vorbei. Er kam aus Licht zu immer tieferm Lichte, und seine Zelle stand in Heiterkeit. Das Lächeln wuchs auf seinem Angesichte und hatte seine Kindheit und Geschichte und wurde reif wie eine Mädchenzeit. Und wenn er sang, so kehrte selbst das Gestern und das Vergessene zurück und kam; und eine Stille wurde in den Nestern, und nur die Herzen schrieen in den Schwestern, die er berührte wie ein Bräutigam. 332 Oh, dov’è colui che si fece così forte, da ricchezza e tempo nella sua povertà grande, che di fronte al mercato si levò le vesti e nudo andò davanti ai paramenti del suo vescovo? Il più sincero, colui che più tra tutti amava, che giunse e visse come un giovane anno; il bruno fratello dei tuoi usignoli – ed era meraviglia in lui, compiacimento, e un estasiarsi per la terra. Poiché non era uno di coloro che sempre sono stanchi, e senza gioia si fanno a poco a poco con fiori piccoli, così come con piccoli fratelli, andava e conversava lungo il limite dei prati. Di sé parlava, e di come egli tendesse a essere una gioia per ciascuno; confine non era per il suo limpido cuore, nulla di piccolo lo poteva oltrepassare. Da luce veniva, verso più profonda notte: nella letizia la sua cella si trovava. Il sorridere fioriva sul suo volto, e aveva la sua infanzia e la sua storia, e maturò come una bimba si fa donna. E se cantava, da sé il passato si voltava, e indietro ritornava ciò che era già dimenticato; un silenzio sussisteva dentro i nidi, e gridavano soltanto i cuori in petto alle sorelle: li toccava come fa uno sposo. 333 Dann aber lösten seines Liedes Pollen sich leise los aus seinem roten Mund und trieben träumend zu den Liebevollen und fielen in die offenen Corollen und sanken langsam auf den Blütengrund. Und sie empfingen ihn, den Makellosen, in ihrem Leib, der ihre Seele war. Und ihre Augen schlossen sich wie Rosen, und voller Liebesnächte war ihr Haar. Und ihn empfing das Große und Geringe. Zu vielen Tieren kamen Cherubim zu sagen, daß ihr Weibchen Früchte bringe, – und waren wunderschöne Schmetterlinge: denn ihn erkannten alle Dinge und hatten Fruchtbarkeit aus ihm. Und als er starb, so leicht wie ohne Namen, da war er ausgeteilt: sein Samen rann in Bächen, in den Bäumen sang sein Samen und sah ihn ruhig aus den Blumen an. Er lag und sang. Und als die Schwestern kamen, da weinten sie um ihren lieben Mann. 334 E dal suo canto, poi, si liberarono i pollini leggeri dalla sua vermiglia bocca, e si spinsero sognando dagli amanti, e caddero nelle corolle aperte, e lentamente sprofondarono nell’intimo dei fiori. Lo accolsero – lui, che era senza macchia – nel loro corpo, che era l’anima per loro. I loro occhi, come rose si richiusero su sé, e i capelli loro si colmarono di notti d’amore. Lo accolse ciò che e grande, e ciò che è piccolo. Alle moltitudini degli animali, cherubini vennero per dire che la sposa loro aveva concepito, – farfalle erano, meravigliose: poiché le cose lo riconoscevano, e concepivano da lui. E quando morì, così lieve come senza nome, allora si disperse: il suo seme corse nei ruscelli, e negli alberi cantò il suo seme, e quietamente lui guardò, dai fiori. Giaceva, e cantava. E le sorelle, quando vennero, piansero intorno al loro amato sposo. 335 34 O wo ist er, der Klare, hingeklungen? Was fühlen ihn, den Jubelnden und Jungen, die Armen, welche harren, nicht von fern? Was steigt er nicht in ihre Dämmerungen – der Armut großer Abendstern. 336 Luminoso, lui, dov’è che è andato a perdersi? Perché da vicino non lo avvertono, esultante e giovane, i poveri che attendono? Perché non s’innalza nei loro crepuscoli la serale stella grande della povertà? 337 Priorato S. Egidio Via Fontanella, 14 - 24039 Sotto il Monte BG tel. 035.791227 - fax 035.4398011 e-mail: [email protected] www.priorato-santegidio.it © copyright 2008 - 2012 nuova edizione Servitium editrice www.servitium.it Gruppo Editoriale Viator srl c.so Indipendenza, 14 - 20129 Milano tel. 02.89695983 e-mail: [email protected] In copertina: Paul Klee, Angelo smemorato Rainer Maria Rilke Rainer Maria Rilke • Il libro d’ore Rainer Maria Rilke Nacque a Praga da famiglia cattolica di lingua tedesca nel 1875 e morì a Val Mont nel 1926. È uno dei poeti più conosciuti e amati del primo Novecento tedesco ed europeo, ed esprime con straordinaria acutezza i drammatici motivi di fondo della trasformazione culturale che ha segnato l’epoca alla quale apparteniamo. Tra le sue opere: Prime poesie; Canto d’amore e morte dell’alfiere Cristoph Rilke; Storie del Buon Dio; Rodin; I quaderni di Malte Laudris Brigge; Nuove poesie; Libro delle immagini; Vita di Maria; Sonetti a Orfeo; Elegie duinesi. Per questa traduzione Lorenzo Gobbi ha ottenuto il Premio Catullo dell’Accademia Mondiale della Poesia dell’UNESCO. Lorenzo Gobbi (Verona, 1966) ha pubblicato saggi e raccolte di poesie. Ha tradotto e curato diverse opere di Rainer Maria Rilke, e recentemente la raccolta Sento le cose cantare, poesie per Maria (2011). Sue opere presso Servitium: Elogio del frammento (2010); Le api del sogno (2009); Lessico della gioia (2008); Carità della notte (2007). ISBN 978-88-8166-363-7 9 78 8 8 8 1 6 6 36 37 Il libro d’ore a cura di Lorenzo Gobbi Il libro d’ore ebbe, nella prima metà del Novecento, vastissima fortuna e fu la base della fama di Rilke presso i suoi contemporanei. Il testo racchiude tre serie di liriche che il poeta concepì come intensamente spirituali, nella ricerca di una religiosità radicata nell’incontro tra l’occidente e l’oriente cristiani, capace a propria volta di illuminare i nuovi scenari aperti dalla nascente civiltà industriale. L’incompiutezza di Dio, la sua condizione di esule in un mondo che pure gli appartiene, la necessità di aiutarlo donandogli nuovamente gli spazi dell’esistenza, la consapevolezza del proprio fremere interiore al cospetto dell’infinito silenzio di Dio e del rumore crescente della vita sociale, la dignità indiscutibile della sofferenza e della povertà sono motivi che Rilke affida alla voce di un giovane monaco russo pittore di icone, protagonista di una vicenda che dalla vita monastica porta al pellegrinaggio nella vastità della Russia e poi alla contemplazione della povertà e della morte.
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