Tempo di Grazia per lo Spirito Tempo di Grazia per lo Spirito Anno 5 Numero 17 3 Maggio 2014 - Euro 0,50 Domenica 27 aprile grande pranzo di beneficenza organizzato dai volontari della Casa della Divina Misericordia La Divina Misericordia: un mosaico di colori All’evento che ha visto la partecipazione di ben 140 persone tra volontari, ospiti e rifugiati sono intervenuti S.E. Mons. Salvatore Visco e don Gianni Branco TERESA MASSARO La Domenica della Divina Misericordia, già da quattro anni, è giorno di grande festa per la Casa della Divina Misericordia, il Centro di Pronta e Temporanea Accoglienza inaugurato a Capua il 10/10/10. Proprio come accade nelle nostre case, in un giorno di festa, si prepara un pranzo speciale a cui si invitano anche le persone che ci sono più care. E una delle cose più belle di quest’anno è stata la presenza e la partecipazione non solo di don Gianni Branco, fondatore dell’opera, ma anche del nostro Arcivescovo, S.E. mons. Salvatore Visco. Il nostro Arcivescovo non solo è venuto per benedirci, ma si è fermato ed è rimasto con noi fino alla fine del pranzo. Una gioia grande in quanto la vicinanza del nostro Pastore ci rallegra il cuore e ci fa sentire più forti e motivati nel testimoniare che il nostro servizio altro non è che la misericordia di Gesù che si fa vivo e presente ai più poveri e bisognosi. E così i volontari, che quotidianamente preparano un pasto per le tante persone che vivono la Casa, si sono dati da fare per l’organizzazione di un evento che, di anno in anno, ci è sempre più caro. Un evento che vede la partecipazione non solo dei nostri ospiti ma anche di tutti i volontari e delle loro famiglie e dunque di un gran numero di persone! Un pranzo che si è realizzato con l’impegno dei volontari ma anche grazie al contributo, sempre generoso, della Tenuta San Domenico di Sant’Angelo in Formis, del Casaro del Re di Capua, dei rivenditori del mercato ortofrutticolo di San Tammaro, del Panificio Russo di Vitulazio, della pasticceria Cappiello di S.Maria C.V., la Lavanderia di D’Alessio di Teverola. Oltre alla preparazione di un menù più ricco e particolare poi abbiamo voluto anche preparare una “sala “ più bella e accogliente, con una tavola imbandita con fiori, sottopiatti, tovagliato in stoffa, con i palloncini a far da cornice. Insomma proprio come si fa a casa, quando si organizza una festa, si è cercato di prestare attenzione ai piccoli e grandi particolari. Tanti sono stati dunque gli elementi da mettere insieme, non solo sotto l’aspetto puramente tecnico e organizzativo, ma anche e soprattutto sotto il profilo della varia umanità. E sì, perché i nostri volontari sono tanti ma diversissimi tra di loro; perché i nostri ospiti a volte sono così imprevedibili, non sempre riusciamo a farli sentire a casa. E come è stato bello allora sentire alla fine, quando inevitabilmente SOMMARIO SPECIALE Canonizzazioni PAG. 6 Addio Hurricane 2 Anno 5 Numero 17 3 Maggio 2014 MAGGIO: MESE MARIANO Maria, storia di un incontro Da Medjiugorje la testimonianza di una coppia di sposi GB All’inizio del Mese consacrato dalla tradizione a Maria, vogliamo raccogliere la testimonianza di una coppia che ha vissuto la sua esperienza intensa di fede mariana a Medjugorje. Senza entrare nel dibattito aperto dentro e fuori dalla Chiesa ufficiale, riteniamo di dover dare la parola a chi ha testimoniato la sua appartenenza a Cristo e il suo affidamento a Maria anche nel momento supremo della prova. Roberto, lo sposo, infatti è da qualche mese in cielo a causa di una leucemia devastante e Ada, la sposa, ne ha visto confermata la fede nella prova. Così scrive: “Da quando ci raggiunse la notizia delle apparizioni della Regina della Pace, il mio sposo ed io abbiamo desiderato intraprendere il viaggio verso Medjugorje, ma più volte abbiamo dovuto rimandare per le diverse difficoltà che la vita ci riservava. Ciò fino al 2004, quando il sogno si è realizzato e la partenza verso la “parrocchia di Maria” si è concretizzata. Una esperienza bellissima suggellata dall’incontro con Jvan con il quale abbiamo scalato il monte, pregato e cantato tra mille emozioni in attesa di Maria. Alle 22.00 il cielo stellato sembrava formasse un unico cerchio di luce e la preghiera si LA DIVINA MISERICORDIA: UN MOSAICO DI COLORI SEGUE DA PAG. 1 domandiamo “come è andata?” che tutti rispondano: “è stato un bel pranzo, siamo stati bene!”. Il dono più bello ricevuto in un giorno tanto speciale per noi è stato proprio questo clima di grande serenità e fraternità che si è respirato tra i volontari e gli ospiti della Casa. Ci siamo davvero sentiti famiglia, fratelli fra è fatta più intensa e appassionata. Quella esperienza magnifica Roberto li ha raccolta in un racconto che esprime la sua spiritualità e la sua fede.” Così Roberto ha scritto: “Medjugorje, attesa di un evento, speranza di un incontro. Ti cerco Maria. Con passo sicuro risalgo la collina. Fra pietre, sassi, rovi e spine, cammino nella vita. Con affanno raggiungo la meta, ma non ci sei. Una voce grida forte nell’anima: “ma come, è qui, non la vedi?”. Allora alzo gli occhi al cielo e Ti cerco tra le nuvole, e lo sguardo si spande fino all’orizzonte, e poi torna ancora sul monte. Con ansia aspetto il sorgere del sole, e mi rattrista il suo tramonto perché un giorno è passato ancora, e non Ti vedo. Sul colle poi, nella notte buia, un bagliore nel cielo annunzia cose belle. E’ la madre che viene, cinta di stelle. Le ginocchia si piegano, rotolano le pietre, tacciono le voci. Ed io ci credo, Tu ci sei, lo sento. Allora Ti lodo con la preghiera. Ti supplico per i nostri affanni. Ti ringrazio per la gioia che ci dai. Ma poi, è nel raccoglimento che Ti ascolto, e mi parli, mi parli d’amore, e finalmente Ti trovo. Ti trovo nel mio cuore”. noi e figli dello stesso Padre. Nell’ingresso della Casa della Divina Misericordia campeggia un grande mosaico composto da tanti tasselli colorati, tutti diversi l’uno dall’altro, che concorrono a formare il volto di Gesù. Il pranzo di domenica è un po’ come quel mosaico, il risultato dell’impegno e della partecipazione di tante persone, tutte diversissime le une dalle altre. Ora chi scrive è assolutamente convinta, che mentre il Signore do- menica era affacciato su Piazza San Pietro che contava un milione di persone e ben “quattro papi”, ha rivolto per un attimo il suo sguardo anche su di noi, qui a Capua. E quello sguardo, sempre pieno di misericordia e provvidente, sempre così tenero e affettuoso è stato come il tocco dell’artista che ha saputo mettere insieme tanti tasselli diversi e dar vita così ad un bellissimo mosaico. CHIESA Anno 5 Numero 17 3 Maggio 2014 3 III Domenica di Pasqua Accanto ai due diretti a Emmaus MONS. ROBERTO BRUNELLI Oggi la liturgia fa risuonare la parola di Pietro, con un suo discorso (Atti 2,22-33) e un passo della sua prima lettera (1Pietro 1,1721), nel quale tra l'altro scrive: "Non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ma con il sangue prezioso di Cristo, che Dio ha risuscitato dai morti". Come dire: si illude chi pensa di salvarsi l'anima con il proprio danaro; la salvezza non si compera: è un puro dono, da accogliere e tradurre nella propria vita. Passando al vangelo: il giorno della risurrezione, Gesù si manifesta di buon'ora a Maria Maddalena e verso sera agli apostoli riuniti. Di mezzo si colloca l'episodio di Luca 24,1335: due discepoli che ancora non sanno sono in cammino verso Emmaus, e non nascondono la delusione per come pensano sia finita la vicenda di Colui nel quale avevano riposto le loro speranze. Lo dicono anche al viandante che li raggiunge e cammina accanto a loro; questi allora si mette a richiamare i passi della Scrittura relativi al Messia atteso, il Cristo, per dimostrare come tutto si sia avverato in Gesù. Ancora non capiscono che il loro occasionale compagno di viaggio è proprio lui, vivo dopo essere stato crocifisso e sepolto; lo riconoscono soltanto quando, fermatisi a cena, egli ripete i gesti e le parole della Cena che ha preceduto la sua passione: "prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro". Prima la Scrittura, poi il Pane, ?quel' Pane spezzato e dato a nutrimento spirituale: nell'episodio di Emmaus si trovano i tratti salienti della liturgia della Parola e della liturgia eucaristica, cioè la Messa, quella volta eccezionalmente celebrata da Gesù in persona, ma da lui lasciata ai suoi amici da rinnovare per sempre. "Fate questo in memoria di me", aveva comandato, e mai altro comando è stato da due millenni così puntualmente eseguito. Può lasciare sconcertati il fatto che i due viandanti subito non riconoscano Colui di cui pure sono stati discepoli, così come è avvenuto per tutti coloro cui Gesù si è manifestato dopo essere risuscitato. Con ogni evidenza, il Risorto è quello di prima, ma non esattamente uguale a prima; non è come Lazzaro, che dopo la sepoltura ha ripreso la vita precedente, e in seguito è morto come tutti; il Risorto presenta un aspetto diverso dal consueto, compare e scompare all'improvviso, ma non è un fantasma, dimostra la propria fisicità mangiando davanti a tutti e lasciandosi toccare, anzi invitando Tommaso a farlo. E' quello di prima, ma non esattamente uguale a prima: la totale inesperienza di un fatto unico non consente a noi di definire la differenza, così come non ha consentito a chi l'ha visto di riconoscerlo immediatamente. Di qui le iniziali difficoltà dei due in cammino verso Emmaus, e il nostro interesse per la loro inattesa avventura. L'interesse deriva anche dal fatto che, nelle sue tre fasi, essa riflette bene la nostra condizione rispetto al Risorto. Prima fase: come per i cristiani di ogni tempo, Gesù cammina anche accanto a noi, presente nei modi da lui scelti (basti ricordare una sua frase: "Qualunque cosa avrete fatto ad uno dei miei fratelli, l'avrete fatta a me"), ma quanto spesso non lo sappiamo riconoscere! Seconda fase: egli ha richiamato loro le Scritture. Ebbene, tutti abbiamo in casa una Bibbia, ma quanto la conosciamo? La sentiamo leggere e spiegare durante la Messa, ma quanta attenzione vi prestiamo? E tuttavia, così come somigliamo ai due di Emmaus nelle prime fasi del loro incontro, possiamo somigliare loro nella terza: possiamo riconoscerlo nello spezzare il pane. "Prendete e mangiate: questo è il mio corpo, dato in sacrificio per voi": i gesti e le parole rinnovati in ogni celebrazione eucaristica manifestano lui, il Risorto, il suo desiderio di inondarci di quell'amore senza limiti, dimostrato col sacrificare per noi la sua vita umana e col farci partecipi della sua vita divina DUALITA’ Vedo muoversi in coppia le farfalle E le stelle tenersi per la mano Perciò se T’allontani si dilata A me d’intorno il vuoto, ed io m’avverto Un naufrago alla deriva nella nebbia In cerca d’un approdo o d’un appiglio O a un nottivago uccello m’assomiglio Dopo il volo anelante di dormire Fuso il suo al Tuo fragrante respiro. Perdendosi al risveglio nella luce Soave del Tuo sguardo innamorato Come un bimbo di suggere mai sazio Alla dolcezza del materno seno Felice di sentimi trasmutare Da una debile foglia che ingiallisce In astro dal fulgore indeclinato Da viatore malcerto e riluttante A beato comprensore di un Dio D’ogni delizia sublimante meta Che più di Sé mi colma, più m’asseta. Giuseppe Centore CELEBRARE ...CANTANDO a cura di Pietro Santoro La “liturgicità” del canto Dopo la pausa pasquale, riprendiamo il percorso che avevamo interrotto. In varie occasioni ho avuto modo di partecipare a celebrazioni eucaristiche in diverse parrocchie del nostro territorio e ho avuto modo così di ascoltare diversi cori in diverse circostanze. Per deformazione professionale sono solito prestare molta attenzione all’esecuzione dei canti e al repertorio eseguito e, con mio dispiacere, in alcune circostanze ho avuto l’impressione di assistere ad uno spettacolo comico gratuito. In una delle situazioni richiamate alla memoria, vidi un coro ben ordinato, tutti i componenti in divisa, cartelline del medesimo colore, il direttore in prima linea con innanzi il leggio e gli spartiti. Si ode il suono della campanella e l’organista inizia a suonare l’introduzione del canto. Il direttore, con un gesto approssimativo ed inconsistente, da “l’attacco” per l’esecuzione del canto. Sin dalle prima battute era facilmente deducibile la consistenza del coro: vocalità povera, ritmo impreciso, espressività inesistente. Con grande delusione, chinai il capo e mi chiesi: «Quanto, questo canto liturgico, è veramente tale?». Il brano in questione, “Acclamate al Signore” di Mons. M. Frisina, è un canto oggettiva- mente liturgico ed, in quell’occasione, era stato anche inserito al momento adatto, ma l’esecuzione mediocre non ha soddisfatto la funzione ministeriale di quel canto: esso infatti non ha introdotto l’assemblea alla Celebrazione che stava per iniziare anzi, ha destato riso nei presenti quando i soprano hanno evidentemente “steccato”. L’altro episodio cui ripenso invece, risale ad un tempo più recente: coro seduto tra l’assemblea, direttore del coro che dirigeva quest’ultimo e assemblea. Canto di ingresso: “Sollevate, o porte, i vostri frontali” dello stesso M. Frisina di cui prima. Esecuzione semplice ed eccellente, solenne e sobria, che ha creato la retta predisposizione d’animo degli astanti alla celebrazione che ci accingevamo a vivere. Quasi commosso, mi complimentai con alcuni coristi perché, come dissi loro, «mi avevano dato modo di celebrare cantando». Con questi due esempi vorrei illustrare come, oltre al testo, uno dei criteri di “liturgicità” di un canto è la sua esecuzione, ma di questo parleremo poi in maniera più approfondita. 4 CHIESA Ritornare alla “nostra” Galilea come al primo amore Anno 5 Numero 17 3 Maggio 2014 Veglia Pasquale DON AGOSTINO PORRECA Papa Francesco ha presieduto nella Basilica Vaticana la Veglia Pasquale. Nell’omelia ha commentato l’invito dell’angelo ai discepoli a tornare in Galilea, perché lì Cristo risorto li precede. «La Galilea – ha detto il Papa - è il luogo della prima chiamata, dove tutto era iniziato! Tornare là, tornare al luogo della prima chiamata» significa «riscoprire il nostro Battesimo come sorgente viva, attingere energia nuova alla radice della nostra fede e della nostra esperienza cristiana», significa «tornare a quel punto incandescente in cui la Grazia di Dio mi ha toc- cato all’inizio del cammino. E’ da quella scintilla che posso accendere il fuoco per l’oggi, per ogni giorno, e portare calore e luce ai miei fratelli e alle mie sorelle» testimoniando Cristo Risorto con gioia umile e mite. La Galilea è il luogo della prima chiamata, dove tutto era iniziato! CATECHESI DI PAPA FRANCESCO Dio ci mostra una vittoria umile DON AGOSTINO PORRECA La via della spogliazione di Cristo è stato il tema al centro della catechesi di Papa Francesco durante l’udienza generale svoltasi in Piazza San Pietro mercoledì 16 aprile. La liturgia odierna – ha detto il Papa – ci presenta “il racconto del tradimento di Giuda, che si reca dai capi del Sinedrio per mercanteggiare e consegnare ad essi il suo Maestro. ‘Quanto mi date se io ve lo consegno’. Gesù da quel momento ha un prezzo. Questo atto drammatico segna l’inizio della Passione di Cristo, un percorso doloroso che Egli sceglie con assoluta libertà. E lo dice chiaramente Lui stesso: «Io do la mia vita… Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo» (Gv 10,17-18). E così incomincia quella via dell’umiliazione, della spogliazione, con questo tradimento. Gesù, come se fosse nel mercato: ‘Questo costa 30 denari…’. E Gesù percorre questa via dell’umiliazione e della spogliazione fino in fondo”. “Gesù – ha proseguito il Papa - raggiunge la completa umiliazione con la «morte di croce». Si tratta della morte peggiore, quella che era riservata agli schiavi e ai delinquenti. Gesù era considerato un profeta, ma muore come un delinquente. Guardando Gesù nella sua passione, noi vediamo come in uno specchio anche le sofferenze di tutta l’umanità e troviamo la risposta divina al mistero del male, del dolore, della morte. Tante volte avvertiamo orrore per il male e il dolore che ci circonda e ci chiediamo: «Perché Dio lo permette?». È una profonda ferita per noi vedere la sofferenza e la morte, specialmente quella degli innocenti!”. A braccio ha aggiunto: “Quando vediamo soffrire i bambini, è una ferita nel cuore. E’ il mistero del male. E Gesù prende tutto questo male, tutta questa sofferenza su di sé. Questa settimana, ci farà bene a tutti noi guardare il Crocifisso, baciare le piaghe di Gesù, baciarle nel Crocifisso. Lui ha preso su di sé tutta la sofferenza umana”. “Noi attendiamo che Dio nella sua onnipotenza – ha proseguito - sconfigga l’ingiustizia, il male, il peccato e la sofferenza con una vittoria divina trionfante. Dio ci mostra invece una vittoria umile che umanamente sembra un fallimento. E possiamo dire: Dio vince proprio nel fallimento. Il Figlio di Dio, infatti, appare sulla croce come uomo sconfitto: patisce, è tradito, è vilipeso e infine muore. Gesù permette che il male si accanisca su di Lui e lo prende su di sé per vincerlo. La sua passione non è un incidente; la sua morte – quella morte – era ‘scritta’”. È questo il mistero della grande umiltà di Dio: dobbiamo pensare tanto al dolore di Gesù e dire a noi stessi: ‘E questo è per me. Anche se io fossi stata l’unica persona nel mondo, Lui l’avrebbe fatto. L’ha fatto per me’. E baciamo il Crocifisso e diciamo: ‘Per me. Grazie Gesù. Per me’. “La Risurrezione di Gesù – ha aggiunto ancora Papa Francesco non è il finale lieto di una bella favola, non è l’happy end di un film ma è l’intervento di Dio Padre là dove s’infrange la speranza umana. Nel momento in cui tutto sembra perduto, nel momento del dolore e in cui tante persone sentono come il bisogno di scendere dalla croce, è il momento più vicino alla Risurrezione. La notte diventa più oscura proprio prima che incomincia la mattina, prima che incomincia la luce. Nel momento più oscuro interviene Dio. Resuscita”. Quando in certi momenti della vita non troviamo alcuna via di uscita alle nostre difficoltà, quando sprofondiamo nel buio più fitto, è il momento della nostra umiliazione e spogliazione totale, l’ora in cui sperimentiamo che siamo fragili e peccatori. È proprio allora, in quel momento, che non dobbiamo mascherare il nostro fallimento, ma aprirci fiduciosi alla speranza in Dio. Sulla riva del lago Gesù era passato, mentre i pescatori stavano sistemando le reti. Li aveva chiamati, e loro avevano lasciato tutto e lo avevano seguito (cfr Mt 4,18-22). «Ritornare in Galilea vuol dire rileggere tutto a partire dalla croce e dalla vittoria; senza paura, “non temete”. Rileggere tutto – la predicazione, i miracoli, la nuova comunità, gli entusiasmi e le defezioni, fino al tradimento – rileggere tutto a partire dalla fine, che è un nuovo inizio, da questo supremo atto d’amore». Anche per ognuno di noi c’è una “Galilea” all’origine del cammino con Gesù. “Andare in Galilea” significa per noi riscoprire il nostro Battesimo. Nella vita del cristiano, dopo il Battesimo, c’è anche un’altra “Galilea”, una “Galilea” più esistenziale: l’esperienza dell’incontro personale con Gesù Cristo, che mi ha chiamato a seguirlo e a partecipare alla sua missione. In questo senso, tornare in Galilea significa «custodire nel cuore la memoria viva di questa chiamata, quando Gesù è passato sulla mia strada, mi ha guardato con misericordia, mi ha chiesto di seguirlo; tornare in Galilea significa recuperare la memoria di quel momento in cui i suoi occhi si sono incrociati con i miei, il momento in cui mi ha fatto sentire che mi amava». Ognuno di noi – ha esortato Papa Francesco – può domandarsi: qual è la mia Galilea? Dov’è la mia Galilea? «La ricordo? L’ho dimenticata? Cercala e la troverai! Lì ti aspetta il Signore. Sono andato per strade e sentieri che me l’hanno fatta dimenticare. Signore, aiutami: dimmi qual è la mia Galilea; sai, io voglio ritornare là per incontrarti e lasciarmi abbracciare dalla tua misericordia. Non abbiate paura, non temete, tornate in Galilea!». Il Vangelo è chiaro: bisogna ritornare là, per vedere Gesù risorto, e diventare testimoni della sua Risurrezione. Non è un ritorno indietro, non è una nostalgia. E’ ritornare al primo amore, per ricevere il fuoco che Gesù ha acceso nel mondo, e portarlo a tutti, sino ai confini della terra. Torniamo in Galilea senza paura e facciamo Pasqua! ATTUALITA’ Anno 5 Numero 17 3 Maggio 2014 5 Caritas Italiana, CISL e SICET uniscono le forze Nuova alleanza sul problema abitativo in Italia NICOLA CARACCIOLO Il disagio abitativo e il “problema casa” vissuto da sempre più famiglie ha ormai raggiunto in Italia un livello critico. In questo momento di diffusa incertezza economica che caratterizza il nostro Paese, il difficile accesso alla casa e l’impossibilitàdi condurre la propria esistenza in condizioni abitative dignitose, rappresenta uno tra i problemi più gravi, causa di sempre maggiore esclusione sociale, per molte persone e famiglie, italiane e straniere. Appare evidente anche dai dati del recente Rapporto Caritas su povertàed esclusione sociale. Sempre di più, i costi dell’abitare incidono pesantemente nella gerarchia dei consumi delle famiglie, soprattutto quelle con reddito medio-basso, determinando rilevanti problemi economici e rappresentando un vero e proprio freno per la crescita del Paese. Il problema della mancanza e dell’inadeguatezza degli alloggi si èaggravato anche a causa della mancanza di risorse destinate all’edilizia residenziale pubblica: l’Italia èterz’ultima in Europa in termini di peso delle abitazioni sociali sul patrimonio abitativo, superata soltanto da Portogallo e Spagna. Si evidenzia quindi la necessità di adottare misure strutturali, per mostrare una volontà d’inversione di tendenza, dopo anni di totale disinteresse. Sulla base dei comuni valori cristiani e di solidarietà sociale, Caritas Italiana, Cisl e Sicet (Sindacato Inquilini, Casa e Territorio), hanno sottoscritto un accordo congiunto con due obiettivi: 1) avviare un percorso di indagine nazionale sul fenomeno del problema casa in Italia, con lo scopo di rilevare e approfondire la presenza di vecchi e nuovi fenomeni di disagio abitativo, nell’universo dei servizi Cisl-Sicet/Caritas, anche alla luce dell’attuale crisi economico-finanziaria. L’indagine coinvolgerà un campione rappresentativo di utenti dei centri di ascolto Caritas e degli sportelli Sicet, nelle principali aree metropolitane del Paese; 2) sulla base dei risultati di tale studio, predisporre un documento di raccomandazioni e proposte, rivolto alle amministrazioni pubbliche, alle realtàproduttive, al terzo settore, alla comunità civile ed ecclesiale nel suo complesso. Le interviste a campione per la raccolta dei dati sono iniziate e dureranno fino a maggio in 15 città: Torino, Genova, Trieste, Venezia, Milano, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Cagliari, Bari, Reggio Calabria, Catania, Messina e Palermo. I primi risultati verranno divulgati all’inizio dell’estate, mentre la pubblicazione del report finale è prevista per l’autunno 2014. Il derby fra Bellona e Vitulazio Il senso della Festa tra folclore e Vangelo DON CARLO IADICICCO PIETRO SGUEGLIA Come ogni anno dopo la celebrazione della Passione, Morte e Resurrezione, va in scena il derby delle feste patronali tra Bellona e Vitulazio, sotto le insegne di Maria di Gerusalemme e Maria dell’Agnena. Una lotta senza quartiere tra il sacro e il profano: che la “lommata”…, che i fuochi …, che la processione con o senza pioggia...; ingredienti che resistono alla post modernità. È vero che alle giovani generazioni da queste parti interessa la festa soprattutto come divertimento. Da giovane prete, incaricato della parrocchia di Vitulazio, anni fa, tentai di apportare qualche cambiamento non così significativo al protocollo intoccabile del programma. Si trattava di cambiare il modo di fare la colletta per pagare le spese, senza esibire i soldi donati in appositi quadri antistanti la Madonna. Non era una rivoluzione. Il tutto finì con un articolo sul bollettino parrocchiale “ Il pungolo” con un titolo graffiante: “Un Popolo di Festaioli”. Fui miseramente sconfitto al grido: “Vulimmo e quadr’ ”. Qualcosa del genere successe anche al parroco di Bellona. I Padri fondatori della ri- forma protestante che incendiò il Nord Europa cancellarono con un solo colpo di spugna feste religiose, Sacramenti, parroci e Vescovi, Questa forma di cristianesimo definitivamente da loro etichettata come idolatrica. Secondo me è legittimo chiedersi se questi eventi patronali ed altri simili non siano semplicemente un pretesto per fare festa. Queste celebrazioni sembrano sempre più essere avvenimenti sociali e folclorici…Gesù Cristo è un’altra cosa; il suo messaggio non si basa su riti e processioni ma nella vita ordinaria: nell’amore al prossimo, nella cura ai poveri, a quelli che soffrono, ai bambini, ai forestieri, immigranti, agli anziani, nella paziente ricerca della pace nelle relazioni umane e nel sacrificio per il bene comune. Insomma, sul Vangelo vissuto. Provate a mettervi nei panni dell’islamico, col suo triciclo di palloncini e “feste” varie, quando vede passare una specie di barca caricata a spalla da decine di uomini che porta l’immagine di una donna con il bambino in braccio, mentre respira l’aria acre dei fumi delle batterie dei fuochi, col sottofondo di marce trionfali suonate dalle varie bande musicali. Personalmente non posso non mettermi nei panni di un indigeno amazzonico, esterrefatto di fronte a questa stessa scena. Gli spiriti nel silenzio del bosco ispirano altre forme religiose e altre sintonie con il trascendente. Alla fine un giovane operaio vicino al portone mi ha detto al veder passare la processione: “La festa era più bella quando avevo lavoro”. 6 ATTUALITA’ FRANCESCOGARIBALDI Domenica 20 aprile Rubin “Hurricane” Carter ha lasciato definitivamente il “ring” di questa vita. E, come uomo e come pugile, non è sceso da questo ring né per “ko tecnico”, né tanto meno per aver “gettato la spugna”, e nemmeno sconfitto “ai punti” dopo le canoniche quindici riprese del pugilato; l’ha lasciato vittorioso solo alla fine del suo “sedicesimo round”. Infatti, The sixteenth round è il titolo della sua autobiografia in cui racconta la sua storia fatta di una vita difficile sin da ragazzo, fatta di pugilato di cui era campione del mondo, e di 19 anni trascorsi in carcere ingiustamente per tre omicidi mai commessi di cui fu accusato per motivi di persecuzione razziale. La storia di Rubin Carter, nato il 6 maggio del 1937 a Clifton, New Jersey, è la storia di un ragazzo di una famiglia numerosa, che si imbatte nel sistema della giustizia americana di quegli anni per motivi poco chiari ad opera di poliziotti bianchi e di un’epoca di pesanti pregiudizi nei confronti delle persone di colore. E’ accusato per aggressione da uno dei suoi persecutori, presenti ed anche futuri, e vive la durissima esperienza del riformatorio che, invece di ri-formarlo (formarlo di nuovo) lo deforma, lo fa deragliare dal vero senso della giustizia, della verità. Rubin, che dirà del riformatorio che una persona non dovrebbe conoscere nemmeno il nome di un posto del genere, riesce a evadere da quella “scuola di vita” dove impara la dura legge della sopravvivenza a suon di botte, e si arruola nell’esercito, dove scoprirà la boxe. Sotto le armi, inviato col suo battaglione in Germania, diventerà campione super welter interforze europee. Ma anche sotto le armi la sua aggressività ed il senso di ribellione gli costeranno cari, e, congedato anzi tempo dall’esercito, ritornerà in carcere per scontare il residuo di pena dei tempi del riformatorio, imbattendosi ancora nel poliziotto che lo perseguiterà sempre. Dopo questi ultimi dieci mesi di detenzione, Rubin Carter vive ancora l’esperienza del carcere per altri reati trascorrendo altri quattro anni da detenuto. Durante questa detenzione Rubin riscopre la boxe che gli aveva dato successo sotto le armi, e promette a sé stesso che non avrebbe mai più rimesso piede in prigione e non avrebbe permesso nessuno di togliergli la libertà conquistata a caro prezzo, con esperienze di vita durissime. Da quel momento comincia la carriera ufficiale di boxer professionista di Rubin Carter, cui presto si aggiungerà il soprannome di “Hurricane” – Uragano – per la velocità e la potenza dei suoi colpi. Diventa presto un beniamino del pubblico per queste sue caratteristiche, e perché termina molti combattimenti vittoriosamente in Anno 5 Numero 17 3 Maggio 2014 Addio Hurricane Eroe di Verità e di Dignità pochi round, spesso addirittura nel corso della prima ripresa. L’incontro che lo consacrerà l’idolo del pubblico è quello in cui sconfigge con ko tecnico al primo round, mandandolo al tappeto ben due volte, Emile Griffith che era, in quel momento, campione del mondo in carica, e che tornerà ad esserlo dopo l’uscita di scena di Rubin Hurricane Carter. Poi, nel 1964 Hurricane perse in modo palesemente ingiusto l’incontro per il titolo con il pugile bianco Giardiello, con stupore, proteste e l’accusa ai giudici, da parte di tutti gli addetti ai lavori ed anche del pubblico, di aver truccato l’incontro. Da quel momento Rubin Hurricane Carter visse un periodo di profonda demotivazione a causa di una nuova ingiustizia per il colore della sua pelle e del razzismo.. Ma ancora non immaginava cosa l’odio razziale sarebbe stato in grado di fare di lì a poco tempo. La notte del 17 giugno 1966, due uomini di colore entrarono in un noto zione di coscienza, e cioè rifiutandosi di vivere la vita del carcere: per esempio studiava mentre gli altri dormivano, e dormiva mentre gli altri erano impegnati in altre attività; decise di non accettare di indossare mai la divisa del carcere poiché non era colpevole e quindi non accettava il regime carcerario; rifiutava sigarette, riviste o altre “distrazioni”, come lui le definiva, ma continuava ad allenarsi; leggeva autori che parlavano di libertà, di giustizia,e faceva in modo di non desiderare nulla di ciò che non avrebbe potuto avere in carcere. Hurricane ripeteva spesso “hanno incarcerato il mio corpo ma non sono mai riusciti a farlo con la mia mente”. Durante quegli anni scrisse la sua autobiografia “The sixteenth round” che portò molte persone del mondo dello spettacolo, dello sport, della politica a mobilitarsi per richiedere un nuovo processo per Carter ed Artis manifestando apertamente i dubbi che le accuse avessero un movente di bar di Paterson, cittadina in cui viveva Hurricane, e fecero fuoco uccidendo tre persone e ferendone altre. Un noto criminale della zona, Alfred Bello, dopo aver sentito gli spari, si apprestò a derubare dalla cassa del locale e poi chiamò la polizia raccontando di aver visto due uomini di colore uscire di corsa dal locale, e salire su di un’auto con la quale fuggirono. In base alla sua testimonianza, e a quella di un suo complice, Rubin Hurricane Carter ed il suo amico John Artis, che era in macchina con lui, furono fermati quella notte ed accusati di essere gli esecutori di quella strage. Queste accuse portarono in prigione Carter e Artis che furono processati e condannati più volte nel corso degli anni, fino alla condanna definitiva di tre ergastoli ciascuno. Hurricane, forte della sua innocenza sempre rivendicata unitamente ad Artis, decise di affrontare la carcerazione operando un’autentica obie- persecuzione di tipo razziale. Bob Dylan scrisse la famosissima canzone “Hurricane” e portò in tour la storia di Carter per sensibilizzare gli americani su questa vicenda; Cassius Clay divenuto Mohamed Alì si schierò per un nuovo processo mobilitando il mondo della box a livello mondiale, e tanti altri protagonisti di quella società in quegli anni si schierarono per l’accertamento della verità con un nuovo processo. Qualche anno dopo, Lesra Martin, un ragazzo del bronx trasferitosi in Canada grazie ad alcune persone che si offrirono di sostenerlo negli studi, comprò il libro di Hurricane in un mercatino dei libri usati. Lesse la storia e si riconobbe in quella storia. Decise così di scrivere ad Hurricane, e da quel momento nacque un’amicizia tra loro che portò Lesra ad andare a trovarlo in carcere. Lesra Martin era convinto dell’innocenza di Hurricane, e convinse di ciò i canadesi che lo sostenevano negli studi, al punto che poi si trasferirono nel New Jersey e cominciarono a lavorare al caso giudiziario ricostruendo l’accaduto e raccogliendo e verificando personalmente tutte le prove. Fu così che scoprirono, dopo tre anni di duro lavoro, che erano state contraffatte delle prove essenziali utilizzate dall’accusa per incriminare Artis ed Hurricane; scoprirono, che alcune testimonianze, a cominciare da quelle di Bello e del suo complice, erano state manipolate ed orientate a far dire loro ciò che poteva servire a far condannare Carter ed Artis. Lesra Martin con i suoi amici canadesi riuscirono a convincere gli avvocati difensori a presentare un ricorso alla Corte Federale per ottenere la revisione del processo e delle condanne. Nel 1985 il giudice della Corte Federale, Haddon Lee Sarokin, accolse il ricorso consentendo la consegna di nuove prove ed il riesame di quelle contraffatte, e così riconobbe che sia Rubin Hurricane Carter che John Artis non avevano avuto un processo equo e l’accusa nei loro confronti “era basata su motivazioni razziali”. Carter ed Artis riacquistarono immediatamente la loro legittima libertà Rubin Hurricane Carter e John Artis avevano trascorso 19 anni in carcere ingiustamente, a causa dell’odio razziale, a causa di un sistema di valori che non guardava l’uomo nella sua dignità della sua persona ma si fermava al colore della sua pelle. Questa storia è stata raccontata in modo magistrale nel film “Hurricane – Il grido dell’innocenza” di Norman Jewison del 1999, con un’interpretazione meravigliosa da parte dell’attore Denzel Washington nel ruolo del protagonista. E’ un film che consiglio vivamente di vedere. Dopo questa esperienza Rubin Hurricane Carter costituì l’ADWC – l’Associazione per la Difesa dei Condannati per Errore e ne è stato il responsabile e l’anima fino al giorno della sua morte. Inoltre Hurricane ha dedicato molto tempo anche all’attività di “motivatore” grazie alla sua esperienza, alla sua capacità di rimanere fedele a sé stesso, alla verità, alla propria dignità di uomo. Quest’uomo ha saputo superarsi, ha saputo andare oltre i propri limiti, ha saputo operare delle scelte nonostante abbia avuto una vita difficile. Quest’uomo è un esempio per tutti coloro che combattono battaglie difficili, per coloro che hanno la tentazione di scegliersi un alibi per compiere scelte più comode, per andare per vie traverse, per vendere la propria dignità magari per un pugno di soldi. La verità è una via maestra che solo persone che hanno forza e coraggio straordinari sanno affrontare e percorrere per ottenere il riconoscimento, la gratificazione e l’onore che si deve ad un vero Eroe del nostro tempo. Grazie Rubin, la tua testimonianza concreta soffia sempre con la forza dell’Uragano! Tempo di Grazia per lo Spirito SPECIALE Inserto dell’ Anno 5 Numero 17 Tempo di Grazia per lo Spirito 3 Maggio 2014 8 SPECIALE Anno 5 Numero 17 3 Maggio 2014 Papa Francesco – Canonizzazione di Roncalli e Wojtyla Non hanno avuto vergogna della carne di Cristo e del fratello DON AGOSTINO PORRECA Nella domenica che conclude l’ottava di Pasqua e che San Giovanni Paolo II ha voluto intitolare alla Divina Misericordia, Papa Francesco ha canonizzato Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Al centro della liturgia, a cui ha partecipato un milione di fedeli provenienti da ogni parte del mondo, ci sono le piaghe gloriose di Gesù risorto. «Le piaghe di Gesù sono scandalo per la fede, ma sono anche la verifica della fede. Per questo nel corpo di Cristo risorto le piaghe non scompaiono, rimangono, perché quelle piaghe sono il segno permanente dell’amore di Dio per noi, e sono indispensabili per credere in Dio. Non per credere che Dio esiste, ma per credere che Dio è amore, misericordia, fedeltà». San Giovanni XXIII e san Giovanni Paolo II ha affermato il Santo Padre – «hanno avuto il coraggio di guardare le ferite di Gesù, di toccare le sue mani piagate e il suo costato trafitto. Non hanno avuto vergogna della carne di Cristo, non si sono scandalizzati di Lui, della sua croce; non hanno avuto vergogna della carne del fratello (cfr Is 58,7), perché in ogni persona sofferente vedevano Gesù». Sono stati due uomini coraggiosi, pieni della parresia dello Spirito Santo, e hanno dato testimonianza alla Chiesa e al mondo della bontà di Dio, della sua misericordia. Roncalli e Wojtyla sono stati uomini contemplativi delle piaghe di Cristo e testimoni di «una speranza viva» e di una «gioia indicibile e gloriosa», speranza e gioia pasquali, che sono «passate attraverso il crogiolo della spogliazione, dello svuotamento, della vicinanza ai peccatori fino all’estremo, fino alla nausea per l’amarezza di quel calice» e che hanno donato in abbondanza al Popolo di Dio, ricevendone eterna riconoscenza. Papa Francesco ha definito Giovanni XXIII il Papa della docilità allo Spirito Santo e Giovanni Paolo II il Papa della famiglia. Affidiamoci alla intercessione di questi nuovi Santi Pastori perché la Chiesa sia docile allo Spirito Santo nel servizio pastorale alla famiglia e non si scandalizzi mai delle piaghe di Cristo, da cui sgorga pace, vita e luce. 24 maggio 1992 la visita di San Giovanni Paolo II all’Arcidiocesi di Capua GIOVANNA DI BENEDETTO A chi sa che nei secoli passati lunghi anni trascorrevano tra la morte di un servo di Dio e la sua elevazione alla gloria degli altari, non sembra vero poter assistere alla canonizzazione di un personaggio conosciuto in vita. Questo privilegio è toccato a noi, figli di Capua, nel vedere proclamato santo da Papa Francesco, unitamente a Giovanni XXIII, il suo predecessore Giovanni Paolo II. Una figura la cui statura eccezionale in “opere e parole” è sotto gli occhi, e nel cuore, di tutti. Mons. Luigi Diligenza e Papa Giovanni Paolo II Qui vogliamo appena ricordare la sua solenne visita pastorale alla nostra Arcidiocesi compiuta il 24 maggio 1992 in occasione del XVI centenario del Concilio Plenario Capuano del 391-392, presieduto da Ambrogio vescovo di Milano e che ebbe come oggetto particolare dei suoi dibattiti: La verginità perpetua e la divina maternità di Maria. Presentando il volume commemorativo della visita dal titolo: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, l’Arcivescovo Mons. Luigi Diligenza ebbe a scrivere: “Nella sua bimillenaria storia la Chiesa di Capua ha accolto sul proprio suolo diciannove Vescovi di Roma, alcuni dei quali nelle vicende storiche che li coinvolgevano hanno trovato qui un porto di pace: Giovanni Paolo II è stato il primo Papa venuto in visita pastorale”. Ed infatti il suo soggiorno fu scandito da una molteplicità di incontri: con sacerdoti, religiosi e religiose, i giovani, il mondo del lavoro. E a tutti il Papa rivolse parole colme di sapienza, di fede, di luce, lieto di trovarsi in una città “tanto celebrata nell’antichità” e in una Chiesa “la storia delle cui origini si confonde con quella dei primi tempi dell’era cristiana”. Il Santo Padre concluse il Convegno sul Concilio Capuano (19-24 maggio nel Duomo di Santa Maria Capua Vetere) con una lezione di mariologia, a giudizio di Mons. Diligenza “magistrale, ampia, impegnata, illuminante”. Per la “memorabile occorrenza” Mons. Centore, a nome della comunità diocesana, offrì al Santo Padre, in edizione di pregio, la sua “opera omnia” poetica corredata da alcuni suoi saggi di commento, nonché un canzoniere antologico in onore della Madre di Dio dal titolo Inventario d’amore a Maria, a complemento della sua relazione: “Verginità e maternità di Maria nella poesia italiana, inclusa negli Atti del Convegno”. Tanto impegno posto per la buona riuscita dell’evento meritò a don Centore queste parole di ringraziamento da parte di Mons. Diligenza: “Al carissimo D. Giuseppe Centore applaudito relatore nel Convegno Mariologico Internazionale, autore d’una raccolta di poesie mariane, promotore della elegante edizione di scritti di Sua Santità Giovanni Paolo II, in segno dell’affettuosa riconoscenza dell’Arcivescovo e della Chiesa di Capua. Con la benedizione del Signore, Pasqua 1995”. Mentre noi ringraziamo Mons. Centore per averci consentito di mettere mano nel suo archivio personale ed attingervi il “materiale” per la composizione di questa pagina. SPECIALE Anno 5 Numero 17 3 Maggio 2014 9 A Sua Santità Giovanni Paolo II Giovanni XXIII (Manzù) In Memoria A misura che avanza il silenzio In ogni fibra spasimata e santa Della tua carne ormai transustanziata In quella sanguinante del Signore La tua immobilità fattasi trono Della sapienza eterna che traspare Diafana e possente da ogni gesto Da ogni tremante battito di ciglio Della persona tua vivente icona Del Christus Patiens usque ad mortem Non sono più parole sono dardi Che trapassano cuori e aprono menti In cui irrompono insieme alla tristezza Per l’amore ferito che portiamo A te dolente, indomito e assenziente Al volere inviolabile del Padre Fiumi d’arcana forza e di speranza Che accorciano lo spazio intercorrente Tra cielo e terra, l’imo ed il sublime E svelano tangibile e avvincente Nel tuo il sembiante tenero dell’Uno Nel tuo sorriso la Trinaria luce. Giuseppe Centore Papa Giovanni muore Ut omnes unum sint. Muore ma con amore. Col sale d’una lacrima alle labbra impasto nei ricordi il titolo d’un quadro di Mirò: «L’Uccello con lo sguardo calmo e l’ali in fiamme». Giuseppe Centore Anche Giovanni XXIII, a suo modo fu poeta benché in prosa, come si può evincere da questo brano tratto dal suo: Il giornale dell’anima: Mons.Diligenza saluta Papa Giovanni Paolo II “Dalla finestra della mia camera, qui in partenza per Roma presso i padri gesuiti, osservo tutte le sere un assembrarsi di barche sul Bosforo; spuntano a decine, a centinaia, dal Corno d’oro; si radunano a un posto convenuto, L’agonia di Giovanni Paolo II e poi si accendono, alcune più vivacemente, altre meno, formando una fantaMentre l’ombra scendeva sui tuoi occhi smagoria di colori e di luci E il cuore scivolava nella nebbia impressionante. Credevo che fosse una Perdutamente dolce il tuo occultare festa sul mare per il Bairam che cade in Dietro lo strazio d’una smorfia irata questi giorni. Invece è la pesca organizIl tuo pianto d’arcangelo ferito zata delle palamite, grossi pesci che si In quel precario ed angoscioso istante dice vengano da punti lontani del Mar Nel quale è troppo tardi per restare Nero. Queste luci durano tutta la notte, e E ancora presto per andare via si sentono le voci gioiose del pescatori. Trattenuto a mezz’aria dalle stelle Lo spettacolo mi commuove. L’altra notte E un piede ancora avvinto a questa terra verso l’una pioveva a dirotto, ma i pescaIn spasmodica attesa d’una Mano tori erano là, impavidi alla loro rude faChe spezzato ogni ormeggio ti lasciasse tica. Risucchiato da un vortice di luce Oh, che confusione per me, per noi preti, All’abbraccio trinario dell’Amore. ( piscatores hominum) davanti a questo esempio!”. Giuseppe Centore Follaro d’oro fuso durante il principato del normanno Riccardo II (1090-1195), donato dalla Coop Culturale “Capuanova” al Santo Padre Salve, Madre del redentore, icona luminosa della Chiesa, madre e sorella nostra nel cammino di fede. Con te ascende da Oriente a Occidente, unanime , il cantico di lode all’unico Signore. Per te rinasce la speranza oltre il millennio che chiude, verso il nuovo che avanza. Misericorde, supplica per noi: lo Spirito del tuo Figlio, la sapienza del cuore giorni di pace. Giovanni Paolo II Il Santo Padre mentre firma una copia del libro delle sue “Poesie” 10 SPECIALE Anno 5 Numero 17 3 Maggio 2014 Un aspetto poco noto del magistero di Giovanni Paolo II Il meglio deve ancora venire ASSUNTA E PIERO DEL BENE “Santo subito” gridava il popolo santo di Dio il giorno dei funerali di Woityła. In un tempo record, dopo solo 9 anni dalla morte, finalmente la solenne canonizzazione. S. Giovanni Paolo II è stato un profeta per l’intero mondo, cattolico e non. Con la sua frase storica “Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo” ha cercato di porre al centro del suo pontificato l’uomo nella sua totalità. Tutto ciò che ha detto e ha fatto era continuamente ancorato alla realtà, accompagnato com’era da quell’antropologia adeguata, che egli ha cercato di descrivere a sostegno della vita cristiana. In questi giorni sono stati raccontati tanti aspetti delle poliedriche personalità e produzione del “Papa della famiglia”. Noi vorremmo, qui, soffermarci sulla sua meravigliosa antropologia portata avanti nelle 133 catechesi sull’amore umano. Il Santo Padre con esse cerca di costruire, partendo dal principio genesiaco, “un’antropologia teologica del corpo” o, potremmo dire, una visione “integrale dell’uomo” fatta di corpo e spirito. Senza una tale visione integrale non si può dare risposta agli interrogativi comuni a temi quali il matrimonio, la verginità consacrata, la procreazione, la spiritualità e quindi la santità e la mistica. Con queste Catechesi, egli ha voluto dire all’uomo chi è, ha voluto mostrargli la verità intera del suo essere alla luce del mistero della creazione e della redenzione, rivalutando in modo innovativo e consapevole il ruolo del corpo. «La teologia del corpo è una pedagogia che vuol farci capire il vero senso del nostro corpo» e con esso l’integrum dell’uomo, oggi messo in pericolo da molteplici concezioni parziali. Come non pensare a quanto svilenti da questo punto di vista siano le deboli e talvolta farneticanti teorie che si riassumono sotto l’etichetta del Gender? Giovanni Paolo II propone, quindi, una riflessione sull’amore umano in quanto via privilegiata che Dio ha scelto per rivelare se stesso all’uomo chiamandolo in questo amore ad una comunione nella vita Trinitaria. Per il Pontefice l’incontro personale dell’uomo con il Mistero avviene nell’esperienza dell’amore. La mentalità contemporanea tende a vedere il Mistero e quindi la fede come un qualcosa di “aggregato” all’esistenza quotidiana, come se si trattasse di un elemento decorativo dal quale si potrebbe anche prescindere. È come se la vita reale rimanesse ancorata alle cose terrene mentre la fede e quindi la vita spirituale restasse assorta nel contemplare il cielo. Se il nostro punto di partenza, però, è rispondere alla domanda esistenziale dell’uomo, la risposta è da ricercare nello stupore che l’uomo prova dinanzi alla rivelazione dell’amore. Giovanni Paolo II partendo, quindi, dall’esperienza dell’amore vuole evitare l’isolamento ed il soggettivismo in cui può cadere l’uomo contemporaneo. L’uomo da solo, cioè senza l’incontro gratuito con la persona amata e senza la sua risposta libera, non può generare l’amore. Solo l’amore, nel quale l’uomo trova la sua identità, lo apre all’incontro con l’altro conducendolo verso Dio, verso il Trascendente. La rivelazione dell’amore avviene proprio nel pieno della nostra vita quotidiana, nel mondo, a con- tatto con gli altri. Nella sua prima enciclica, (Redemptor Hominis, 10) il Santo Padre ricordava: «L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore». L’uomo, potremmo dire, dunque, trova il suo significato nell’amore e Cristo viene a spiegarci chi siamo rivelandoci la pienezza dell’amore. Gesù ci permette di amare come Lui ama e, in questo modo, conduce il nostro cammino di amore verso di Lui. Tale cammino d’amore, che attraversa sia il matrimonio che la verginità consacrata, conduce l’uomo alla risurrezione finale nei cieli. La teologia del corpo si pone alla base di una unità sostanziale di corpo ed anima che costituisce la natura della persona umana contro ogni dualismo che volesse confinare il corpo alla periferia della persona. Così da poter giungere ad affermare che è mediante la loro sessualità (e non nonostante essa!) che gli sposi e i vergini consacrati sono chiamati ad avanzare nella santità. La centralità della sessualità costituisce una chiave ermeneutica fondamentale dell’opera di Wojtyła. Le Catechesi, infatti, sono il frutto di uno studio sistematico sull’amore umano che iniziò subito dopo la pubblicazione della profetica e non da tutti ben vista (anche all’interno della Chiesa!) enciclica di Paolo VI Humanae vitae che portò, in seguito, Giovanni Paolo II ad individuare la necessità di seguire gli uomini per “insegnare loro ad amare” perché solo in questo modo potevano essere concretamente felici in qualsiasi scelta vocazionale. Anche se molti tendono a sminuire l’opera grande racchiusa nelle catechesi affermando che esse sono “solo delle catechesi” e che quindi esse siano prive di autorità svilendo l’apporto patristico, biblico e magisteriale che esse contengono si spera che dopo la sua santificazione lo scrigno delle catechesi venga mostrato a tutti gli uomini e non chiuso e riposto in uno scaffale: è questa la preoccupazione che un suo grande studioso ci ha di recente confidato, durante un convegno: “Si ha la sensazione che una volta fatto santo, si voglia confinare in una scomoda libreria il suo denso e profetico insegnamento”. È proprio degli ultimi mesi, il dibattito intraecclesiale teso a considerare la Familiaris Consortio un documento superato ed arcaico perché gli eventi degli ultimi mesi la sembrano relegare ai libri di storia. Riteniamo, invece, che il meglio dell’insegnamento di Giovanni Paolo II debba ancora essere rivelato e che esso sia una risorsa ancora tutta da scoprire soprattutto nell’era delle rivendicazioni Lbgt e delle rieducazioni di stato. Grazie, S. Giovanni Paolo II, papa delle famiglie, per la sua testimonianza e per il grande dono delle catechesi sull’amore umano. Voglia seguire, dall’alto dei cieli, le fragilità delle nostre famiglie ed il cammino della Chiesa, fino a portarci ad aprire le “nostre” porte a Cristo. San Giovanni Paolo II, prega per noi. CHIESA 11 Anno 5 Numero 17 3 Maggio 2014 Le “nozze d’oro” di Mons. Andrea Monaco 50 anni nella Comunità parrocchiale di Casapulla MARIA BENEDETTO Siamo andati in quel di Casapulla, noi di Kairosnews, per intervistare mons. Andrea Monaco che il 1 maggio festeggia 50 anni di ministero parrocchiale nella stessa Comunità. E’ questo un momento celebrativo veramente significativo perché testimonia la fedeltà di un presbitero alla Chiesa, alla sua sposa, ad una parrocchia. Con don Andrea vogliamo sfogliare l’album dei ricordi partendo da quel lontano 1 maggio 1964… Mons.Andrea, siamo qui, alla vigilia della festa per sentire come state vivendo questo momento così significativo nella vita della comunità di Sant’Elpidio, ma anche e soprattutto nella vostra storia personale. Io devo dire innanzitutto grazie al Signore che mi ha dato la gioia di venire in questa comunità parrocchiale. Ricordo bene quando Mons. Leonetti mi chiamò e disse: “A Casapulla si è resa vacante la parrocchia di Sant’Elpidio Vescovo e io vorrei che ci andassi tu”. Avevo 34 anni, ero giovanissimo e sono venuto qua con lo Spirito di colui che è mandato dal Signore. Il Signore ha detto: “Andate, predicate, annunciate, testimoniate” ed è questo lo Spirito che ho sempre avuto. Sono venuto armato di buona volontà, sono venuto per lavorare perché, essendo figlio di contadino, ho sempre lavorato. Mi sono rimboccato le maniche e ho lavorato tanto...e lavoro tuttora. Mi sono trovato a fare un lavoro pastorale enorme sia dal punto di visto organizzativo sia dal punto di vista pastorale: ho cominciato col restaurare la chiesa e tutti i quadri, riorganizzare le funzioni sacre, le processioni, le congreghe. Man mano si è andato avanti e si è cominciato a far luce: ecco le prime organizzazioni, l’Associazione Cattolica, le congreghe, l’oratorio che, grazie al lavoro incessante di don Luigi, è la fine del mondo. Sappiamo che avete avuto sempre interesse per i pellegrinaggi. Cosa ha significato per voi conoscere altri popoli, altre culture, altre religioni? E’ vero, ho sempre avuto la passione dei viaggi: in circa 30/40 anni ho visitato tutti i popoli del mondo, dal Giappone fino all’America del Sud, in Argentina quando Papa Francesco era un giovane sacerdote io ero lì a Buenos Aires. Così ho imparato ad amare tutti i popoli, il mio cuore si è allargato, nel senso di non essere legato solo a questa comunità parrocchiale, per me tutto il mondo è una comunità parrocchiale. Ho portato a Lourdes migliaia di persone; la Diocesi di Capua si è sempre fatta onore con i suoi pellegrinaggi a Roma. Addirittura, in un Anno Santo, portammo a Roma circa 8600 pellegrini con 9 treni: tre partirono da Marcianise, tre da Santa Maria Capua Vetere e tre da Capua: fu un avvenimento che il Cardinale Sepe, che allora era l’organizzatore, se lo ricorderà certamente. Nel messaggio indirizzato per l’occasione alla vostra comunità parrocchiale avete scritto – cito testualmente - che “spesso vi domandate il perché di un periodo così lungo trascorso nello stesso posto di lavoro”. Avete trovato una risposta a questa domanda? Io dovrei dire che sono un miracolato, perché già da ragazzo il Signore mi ha protetto. In parecchie occasioni ho corso il rischio di essere espulso dal seminario. Ricordo, ad esempio, nel 1945, nel periodo dopo la guerra, nel seminario con gli altri facevo la fame; un giorno decisi di mangiare abbondantemente, scesi in dispensa e mangiai tutto quello che trovai insieme ad altri tre miei compagni di seminario. Ebbene due furono pescati e mandati via all’istante, mentre io e un altro per fortuna continuammo ad essere seminaristi. Tante altre grazie ho ricevuto dal Signore, il quale mi ha chiamato ad essere prete nonostante i miei peccati, nonostante in famiglia non sia stato il migliore dei miei fratelli, ma il Signore nella sua divina misericordia ha scelto me e di questo non ringrazierò mai abbastanza il Signore. Avete detto di aver chiesto al Signore di perdonarvi per non aver fatto sempre la Sua volontà. In quale situazione concreta questo è capitato? La sua volontà intesa nel senso che qualche volta sono andato un pochino al di là degli ordini dei su- periori quando ho visto, davanti a Dio, che l’ ordine del superiore non collimava con la pastoralità. Ad esempio, ricordo che, appena venuto qui, il Vescovo mi ordinò di fare la processione in un certo modo; al che io dissi: “A Casapulla da 7/8 secoli la processione si fa in un certo modo. Non posso io che sono arrivato da così poco tempo rivoluzionare tutto. Mi dia del tempo”. Il Vescovo mi punì e, per due anni, non mi permise più di insegnare nella scuola media. Io non accettai la punizione e pensai che il Vescovo non era mai stato parroco. Poi gli chiesi scusa per averlo giudicato male. Il parrocato è difficile, bisogna stare in mezzo alla gente: il parroco è come il papà di famiglia, che non può pretendere dal figlio che subito faccia la sua volontà per cui se il figlio deve capire, anche il papà deve comprendere la mentalità del giovane. Di voi si è sempre detto che “avete il coraggio di dire e il coraggio di fare”. Questo vostro modo d’essere vi ha creato qualche problema di relazione all’interno della comunità parrocchiale? Ricordo che quando venni a Casapulla mi trovai tutti contro, anche perché mi si diceva: “è venuto a comandare”, ma se per comandare si intendeva dire “a condurre secondo la volontà della Chiesa e di Dio la parrocchia”, andava bene e l’accettavo, ma se si intendeva comandare per ansia di potere, questo no. Mi sono sempre considerato il servo di tutti, del popolo che Dio mi ha affidato. Io ho sempre lavorato fin dal seminario, ho fatto tutti i mestieri; quando venni qui ho fatto l’idraulico, ho fatto l’elettricista, ho fatto il manuale, ho sempre lavo- rato e continuo a lavorare, ma questo non è sempre accettato dalla comunità. Tutti ben conoscono la vostra devozione alla Vergine Maria. A Lei vi siete affidato nei momenti di difficoltà? Io ho sempre avuto una grande devozione verso la Madonna, dovunque sono andato, dal Brasile all’Africa, mi sono sempre sentito un miracolato della Madonna. Nella casa di Santa Maria Capua Vetere, perché io sono sammaritano, ho una collezione di Madonne, anche una Madonna nera, che ho comprato nello Zambia tanti anni fa. Sono devoto anche della Madonna di Lourdes, di Fatima, di Czestochowa. Però l’amore principale è per Dio e per l’Eucarestia: io durante la santa Messa continuo a dire anche oggi: “Se volete essere autentici cristiani, innamoratevi di Gesù Eucaristico e fatevi guidare da Lui”. Dovremmo fare come San Giovanni Maria Vianney il quale, durante la Messa, s’incantava a guardare l’Eucarestia e, quando qualcuno gli tirava la veste per dire: “Padre, il tempo passa”, lui rispondeva: “Non mi disturbate, io sto con il mio Dio e con il vostro Dio” e rimaneva in estasi davanti a Gesù sacramentato. Veramente vi sentite al tramonto del vostro ministero parrocchiale? Sono stato abituato a stare con i piedi per terra. Non posso non pensare a Papa Ratzinger: quando si è dimesso da Papa, io detto a me stesso: “E’ arrivato anche te questo momento!” L’ho pensato non perché non voglia lavorare, ma per il carico di responsabilità che, per la mia età, non posso più sopportare. Quando il parroco vuole fare il parroco per davvero, deve caricarsi di tante responsabilità e tante volte si sente impreparato, non all’altezza. A 84 anni io non posso diventare giovane e un ragazzo, un giovane vuole poter far riferimento ad sacerdote giovane. Noi sacerdoti dobbiamo riconoscere che i giovani dell’epoca moderna e le loro attività non sono quelli di una volta. Una volta noi stavamo in sagrestia e aspettavamo che la gente venisse in chiesa. Oggi la strada dell’evangelizzazione ce la indica Papa Francesco quando dice: “Andate nelle periferie, uscite e andate a pescare quelli che non vengono e domandatevi perché non vengono, magari è colpa vostra!”. Don Andrea, un pensiero conclusivo? Ieri con altri sacerdoti ho fatto il conto delle messe che ho celebrato e davanti a quel numero enorme io ho detto a me stesso: “La messa che dici domani mattina (1° maggio) è la stessa messa del 15 luglio 1956 (quando sono stato ordinato sacerdote)?” Guai se dicessi: “Allora avevo la gioia di essere prete, adesso non tanto” La gioia di celebrare l’Eucarestia è sempre con la stessa. La messa o la dice il Papa o l’ultimo sacerdote è sempre la Messa. Ricordiamo che il Signore ci vuole bene sempre, anche nel peccato. Un pensiero che dico ai miei fedeli, un pensiero sempre di Papa Francesco: “Non abbiate paura del peccato, ma abbiate paura di non confessare il peccato”. E’ come se avesse detto: se vi sentite nella paura, nel fango, risorgete subito, perché il Signore questo vuole: che viviamo da risorti, annunciando con la vita la Resurrezione di Gesù. 12 VITA CONSACRATA Le Suore in pellegrinaggio con il loro Vescovo Una giornata come profezia del dono, preludio del Paradiso! SUORROSA TROMBETTA Il 26 aprile scorso le suore della Diocesi di Capua, appartenenti a varie Congregazioni, hanno vissuto una giornata di speciale comunione in compagnia dell’Arcivescovo S. E. Mons. Salvatore Visco e del vicario per la Vita Consacrata Mons. Elpidio Lillo. E’ stato un vero e proprio pellegrinaggio svoltosi all’insegna della preghiera e del dono. Per sintetizzare possiamo, infatti, dire che ci è stato dato in dono la compagnia delle sorelle, lo Spirito di comunione e la gioia della condivisione. La giornata è iniziata con la celebrazione delle Lodi all’interno del pullman, arrivate poi alla Basilica dell’Incoronata ci siamo preparate alla liturgia Eucaristica, seguita dalla visita alle catacombe di San Gennaro. In seguito è stato servito un lauto pranzo presso la casa delle Suore Francescane dei Sacri Cuori e nel pomeriggio abbiamo avuto la sorpresa della pioggia che ha compromesso un po’ la visita alla Solfatara di Pozzuoli, ma è stato comunque bello ammirare le fumarole putolane uscire dal cratere in cui eravamo immersi ed ascoltare la guida che con grande impeto e passione ci ha spiegato la bellezza della “terra dei fuochi”. Infine abbiamo concluso la giornata con la celebrazione dei Vespri all’interno del Santuario del Volto Santo di Napoli, dove abbiamo potuto contemplare davvero il volto del Dio vivente in mezzo a noi. Per farvi meglio comprendere le emozioni vissute durante questa bella giornata ho pensato di chiedere ad alcune consorelle di esprimere la loro esperienza. Suor Luisa: Dovendo scegliere un momento della giornata che porterò nel cuore sicuramente scelgo quello dell’omelia fatta dal nostro amato Arcivescovo durante la Celebrazione Eucaristica. Egli ci ha portato a meditare sull’essere della vita consacrata “profezia” nella Chiesa e nel mondo, del “già” che viviamo e che dobbiamo mostrare agli altri, ai nostri fratelli nel mondo intero; e del “non ancora” promessoci dalla Resurrezione del Figlio di Dio, il quale non ci ha amate, né chiamate per scherzo, ma perché unendoci a Lui diveniamo fiaccole luminose che additano la strada. Quale strada? Quella dell’amore misericordioso e travolgente con il quale egli ci ha amate e ama ogni suo figlio. Quello stesso amore dal quale è amato dal Padre e che ogni giorno ci dona in eredità nell’Eucarestia. Quell’amore che non dobbiamo mai stancarci di chiedere in dono, così da poterlo donare a nostra volta. Quell’amore che è la forza trainante della vita fraterna, proprio perché viene dal Signore e dona la forza di superare ogni affanno, ogni difficoltà ed ogni tristezza. Quindi la vita consacrata, nonostante le difficoltà e i limiti umani deve essere nella Chiesa e nel mondo profezia dell’amore infinito di Dio. Sr. Catherine: Per me questa giornata è stata importantissima, in quanto non sempre è possibile vivere momenti di spensieratezza insieme alle consorelle, non solo della propria Congregazione, ma anche di altre famiglie religiose. Infatti è stato bello suonare e cantare insieme durante la celebrazione Eucaristica, curata da ciascuna di noi e vissuta con semplicità e profondità di spirito di comunione. Abbiamo assaporato in questa giornata la genuina gioia di stare e di pregare insieme, così come recita il Salmo 132: “ecco com’è buono e soave che i fratelli vivano insieme. E’ come olio profumato … È come rugiada dell’Ermon … là il Signore dona la benedizione e la vita per sempre”. Sr. Belen: Tutti i momenti vissuti insieme alle consorelle sono belli, ma la gioia che abbiamo potuto leggere sul volto di ciascuna suora in modo più eclatante è stato il momento della Anno 5 Numero 17 3 Maggio 2014 convivialità. Abbiamo iniziato il pranzo cantando Iubilate Deo, il che ha dato il “la” per stare bene insieme e continuare nella letizia fraterna. E’ stato preparato un ricco banchetto multiculturale, fatto di lasagne al forno, bihon, cous cous, pollo con anacardi, riso piccante e una varietà infinita di dolci e frutta. Abbiamo fatto davvero Pasqua insieme! Ci voleva una giornata così lieta per esprimere il tempo liturgico che stiamo vivendo, espresso ancora con più forza attraverso questa gioia fraterna, come preludio del banchetto nuziale e profezia di ciò che saremo tutti in Paradiso. Sr Elvira: Io vorrei sottolineare il dono più grande della giornata che Dio, Padre buono, ci ha elargito: la compagnia del nostro amato Arcivescovo, a cui è rivolto il pensiero grato e riconoscente per la bellissima giornata che ci ha offerto con tanta generosità e che ricorderemo con grande affetto e con una preghiera filiale quotidiana. Non è dato a tutti stare in compagnia del proprio Pastore per una giornata intera, eppure lui ce l’ha concessa e donata con grande disponibilità e amore. Abbiamo veramente un grande Padre che guida i suoi figli non solo con la parola, ma con i gesti e le opere buone. Nel ringraziarlo gli auguriamo una lunga vita e un fecondo apostolato per il bene di tutti i fedeli della Diocesi di Capua. Anno 5 Numero 17 3 Maggio 2014 VITA CONSACRATA 13 Dall’omelia di Sua Eccellenza Mons. Salvatore Visco alle Suore della Chiesa di Capua Il coraggio di una testimonianza quotidiana Abbiamo iniziato questa celebrazione, accompagnati dal canto che avete scelto, che è una elaborazione, un richiamo della Prima lettera di Giovanni: “Colui che noi abbiamo visto, che abbiamo ascoltato, che abbiamo toccato, cioè il Verbo della vita, noi ve lo annunziamo”. Questo è in fondo il centro della fede cristiana e l’impegno della missione di ciascuno. Spesso noi richiamiamo e sottolineiamo lo specifico della vita consacrata con una frase che, dato che è più volte ripetuta, potrebbe non essere più forte e potrebbe non incidere più bene nella nostra quotidiana esistenza. Che cos’è la vita consacrata? E’ profezia del mondo che verrà. Anch’io l’ho ripetuta tante volte e sicuramente l’avrete ripresa nelle vostre riflessioni nelle singole comunità. Che significa? E’ l’annuncio di qualche cosa che non è ancora vissuto, non è vissuto dal mondo e noi dovremmo far vedere come viviamo. Ma quand’è che una profezia ha senso? Non quando viene annunziata, ma quando viene vissuta. Quindi dire che la vita consacrata è profezia del mondo che verrà, significa: “Vedete, noi viviamo, naturalmente nei limiti dell’umano e del tempo, quello che un giorno tutti saremo” e qua ci dobbiamo domandare: “Ma noi lo facciamo davvero? I nostri fratelli e sorelle laici, quando ci vedono, comprendono questo? L’abito già è un annuncio, ma non basta. Ci vuole il coraggio di una testimonianza quotidiana, fuori e dentro perché anche all’interno della comunità è difficile. Ricordate le parole di S. Gregorio Magno sulla vita consacrata: “Vita communis, maxima poenitentia”, ma allora se è penitenzia, perché la faccio? Perché verso quell’incontro con il fratello, la sorella io mi santifico insieme con lei e divento profezia del mondo che verrà. Questo coraggio l’hanno avuto i no- SUOR SCOLASTICA FIRINU Un saluto affettuoso a tutte le religiose della Chiesa di Capua, intervenute così numerose per vivere questo pellegrinaggio. E dico benvenute nella casa della Madonna. E’ con lei che vogliamo vivere questo giorno perché a lei vogliamo affidare le nostre Comunità, ciascuna di noi, affinché possiamo vivere in questo giorno speciale della festa della Madonna questa comunione con lei affinché ci insegni a realizzare nella nostra vita quel progetto di Dio per essere luce del mondo, luce nella nostra Chiesa di Capua, luce nel mondo che ci circonda e tutte insieme, noi religiose della Chiesa di Capua, vogliamo salutare il nostro caro Arcivescovo, Mons. Salvatore Visco, un padre che ci accompagna, che ci fa sentire la sua sollecitudine e il suo affetto. Vogliamo affidare alla Madonna il nostro Pastore, il suo ministero episcopale affinché possa dare frutti di santità e di comunione nella chiesa di Capua. Voglio ancora rivolgere il mio saluto con tutte le religiose al Delegato per la Vita Consacrata, Mons. Elpidio Lillo, che ci accompagna e ci segue con la sapienza del stri antenati della fede, gli Apostoli. Cosa rispondono Pietro e Giovanni ai capi del popolo? “Vi proibiamo ancora di annunciare la resurrezione di tuo figlio, giudicate voi stessi se è più giusto obbedire a Dio o agli uomini”. Noi non possiamo che obbedire a Dio. Come obbediamo a Dio? Sorelle carissime, obbediamo ricordando gli inizi della nostra vocazione. Ognuno di voi sente il momento in cui si è sentita chiamata e anche noi sacerdoti ricordiamo il momento in cui per la prima volta questa voce di Dio ci ha toccato particolarmente e da quel momento, siamo chiamati a prendere delle decisioni realizzando, per quanto ci è umanamente possibile, la volontà di Dio dentro di noi. Questo è il grande coraggio che permette a ognuno di noi di fare miracoli. In una società molto laica, quando vedono passando vicino a voi, anche se non c’è l’adesione di fede, il fatto stesso di vedervi è un annuncio. C’è qualcuno che ci dice qualcosa. Noi dobbiamo fare esegesi, spiegazione di quello che noi siamo, al di là del segno dell’abito, al di là delle nostra silenziosa presenza, il coraggio della testimonianza: è necessario obbedire a Dio. Che cosa annunziamo? Che al di là della povertà umana, dell’incapacità umana di riconoscere in se stesso il volto del Signore, il Dio che lo ha creato, dà all’uomo una nuova speranza e gli permette di nuovo di cantare l’alleluia. Questo l’annuncio pasquale, questo è quanto ciascuno di noi è chiamato per dovere e per piacere, questo quello che Gesù ha detto agli Apostoli: “Andate in tutto il mondo, predicate il vangelo ad ogni creatura, chi crederà e sarà battezzato sarà salvo”. E’ il dono dello Spirito Santo, che a Pentecoste gli Apostoli ricevono, che permette a coloro che sono fuggiti il venerdì santo e che hanno avuto difficoltà e anche dubbio il giorno della resurrezione, di sentirsi investiti di questo grande compito, di questa grande missione: dire a tutti che è stata fatta la pace tra Dio e l’umanità. Questa continua effusione dello Spirito avviene sotto gli occhi di Maria, Maria che è l’esperta dello Spirito Santo, che è presente con gli Apostoli in preghiera per riceverlo. Maria è il faro della nostra salvezza, l’ancòra, la stella luminosa, alla quale continuamente noi possiamo rivolgerci e rivedere in lei la Madre di Dio e Madre nostra. Questo rende ancora più bella l’esperienza della vita consacrata: sentire vicina Maria, con lei vivere la beatitudine del Vangelo, perché con lei noi vogliamo ascoltare e mettere in pratica la Parola di Dio. Saluto di suor Scolastica Firinu, delegata USMI Diocesana, all’inizio della Celebrazione Eucaristica cuore nel nostro cammino spirituale. Nella comunione di Gesù Cristo risorto, in compagnia della Vergine Maria vogliamo vivere questa giornata di gioia, di fraternità, di forte spiritualità, perché davvero possiamo essere quello che il Signore vuole da noi: una testimonianza di Gesù risorto. GRAZIE! Un ringraziamento specialissimo al nostro Arcivescovo per il dono del Pellegrinaggio al Santuario dell’Incoronata di Capodimonte. E’ stata una giornata stupenda, colma di ricchezza spirituale, di cultura e di fresca fraternità, che accresce senza dubbio la comunione tra i vari Istituti di Vita Consacrata. Sperimentare la presenza del nostro Pastore, e la sua paternità attenta ci fatto del bene. 14 VITULAZIO La festa in onore della Beata Verigine dell’Agnena Risorti in Cristo con Maria cerchiamo le cose di lassù DOMENICO CUCCARI “Risorti in Cristo, con Maria cerchiamo le cose di lassù”, con queste parole Don Pasquale ha presentato la tradizionale festa che si tiene ogni anno nella domenica in Albis, II di Pasqua, in onore della venerata Maria SS. dell’Agnena. E a sua volta S. E. Mons. Pietro Lagnese non ha fatto mancare la sua voce e nel messaggio inviato per l’evento a lui tanto caro, nel confessare che “mi fa un po’ strano non esserci”, ha riproposto la bellissima preghiera scritta a conclusione della Lettera Pastorale alla comunità ischitana in cui invoca la Beata Vergine: “Santa Maria dell’Agnena, vienici a cercare!”. E, in effetti, don Pietro sottolinea che il peregrinare della statua della Madonna fino alle periferie del territorio vitulatino è proprio quello di venire a cercare i figli per riportarli a casa. Questo devoto peregrinare si ripete sempre nella domenica dopo la solennità della Risurrezione del Cristo nonostante l’incognita del tempo: quest’anno, per le avverse condizioni atmosferiche, la processione si è sviluppata in due giornate, domenica e lunedì, come già capitato qualche altra volta nel passato. Si è sperato sino all’ultimo che le previsioni del tempo fossero fallaci, ma così non è stato. C’è sempre un pizzico di amarezza quando la pioggia costringe a dividere in due parti il percorso, ma nessuno ormai se ne rammarica più di tanto. D’altronde, una fede matura è una fede che sa vivere soprattutto le contrarietà di cui si fa l’esistere umano. E la Madre di Gesù l’ha dimostrata sempre, credente nel cuore e nelle opere anche quando s’inerpica con il Figlio lungo i sentieri del Calvario. Come scrive Erri De Luca: “credente non è chi ha creduto una volta per tutte, ma chi, in obbedienza al participio presente del verbo, rinnova il suo credo continuamente”. Bisognerebbe ricordarsi che in ogni momento dei giorni terreni questa è la condizione del cristiano. Il Comitato, con il suo brillante Presidente Pasquale Coppa, anche quest’anno ha fatto le cose in grande. A cominciare dalla scelta del carro, portato per le strade dagli accollatori (da tempo costituitisi in associazione), su cui è stata posta l’immagine della Vergine rivestita dei doni votivi (oggetto di esposizione e di un convegno il 1° maggio),con un addobbo floreale fatto di buon gusto, delicato e raffinato insieme. L’uscita della statua dalla Chiesa, così come il suo rientro, sono stati salutati da un caloroso applauso dei numerosi fedeli presenti e commossi, nell’esplosione del giubilo nelle sue variegate manifestazioni. Ancora una volta il Comitato ha bardato il paese di artistiche arcate scintillanti di luci e in particolare ha colpito la maestosa struttura allestita in piazza rappresentate il castello ducale di Venezia e illuminata da migliaia di lampadine multicolori dove la gente si è soffermata a scattare foto – ricordo. Le bande musicali hanno creato il magico clima della festa con le note che sono risuonate per le strade recando ovunque quell’allegria antica, di quando si portavano i calzoni corti… Molto curato anche il cartellone delle manifestazioni nella settimana di festeggiamenti tra cui: una serata di canti popolari con gli amici del Gruppo “ARIANOVA” di Pignataro Maggiore che vantano una duratura collaborazione con Eugenio Bennato e che hanno il merito di aver ridato lustro ai testi della tradizione orale sotto forma di tamurriate, tarantelle e pizziche utilizzando gli strumenti della cultura popolare; l’ esibizione del noto cabarettista Ciro Giustiniani dello spettacolo televisivo “ Made in Sud”, Ciro Giustiniani. Il clou è il concerto del noto cantautore Roberto Vecchioni, vincitore tra l’altro del festival di Sanremo del 2011 con il brano “Chiamami ancora amore”, nel giorno dell’ottava domenica 4 maggio alle h. 21,30. Vasto è il repertorio del musicista tra cui si deve rammentare: Samarcanda, Per amore mio, Voglio una donna, El bandolero stanco, Sogna ragazzo sogna e, l’ultima incisione, Sei nel mio cuore. La chiusura dei festeggiamenti è tracciata nel cielo da uno splendido spettacolo piromusicale. Lo spengimento delle luminarie segna la fine di quella che è “’a festa” per i vitulatini. E come sempre succede fa capolino dentro il momento della melanconia di questi giorni tanto attesi per tutto l’anno, che come vengono così passano. Come tutte le cose della vita. Come il tempo, questo bene sommamente fragile che ci è stato donato da Chi ci ha chiamato alla luce. Ma non bisogna rattristarsi: da lunedì 5 maggio il Comitato festeggiamenti, - a cui bisogna dire grazie per l’impegno costante e per quanto di bello realizzato -, è pronto a ripartire. Buon viaggio, ragazzi! Anno 5 Numero 17 3 Maggio 2014 Messaggio dell’Amministratore Parrocchiale Rev. don Pasquale Violante Risorti in Cristo, con Maria cerchiamo le cose di lassù Cari fratelli e sorelle, Gesù, il Cristo, è veramente risorto, alleluia! È questo il grido gioioso che risuona dalla Notte Santa e che si estende per tutta la settimana in Albis, celebrata come se fosse un sol giorno. È la grande Festa di Pasqua che ci rapisce nel vortice degli eventi centrali della nostra salvezza e ci rigenera a vita nuova. La Domenica in Albis, II di Pasqua, la nostra comunità celebra la Festa in onore della Beata Vergine dell’Agnena. In questa domenica, infatti, si ricorda la traslazione della miracolosa effige della Vergine dal Cenobio dei Monaci Cistercensi alla Chiesa Parrocchiale. La Santa Madre di Dio per prima ha beneficiato dei frutti della resurrezione di Cristo, in quanto è stata assunta in anima e corpo in cielo, diventando per il suo popolo segno di consolazione e di sicura speranza. Ella è l’immagine di ciò che tutti noi siamo chiamati a diventare. Con la sua fede e con l’esito della sua sorte finale ci dice che anche per ognuno di noi è possibile raggiungere quella meta gloriosa di cui ella ora gode. Per questo il miglior modo per onorarla è seguirne l’esempio, ascoltare il suo invito che ci dice: “Fate quello che Gesù vi dirà”. Se non facciamo ciò che Gesù ci ha detto, cioè se non osserviamo i comandamenti e viviamo il vangelo nella nostra vita, procuriamo dolore a Maria, oltre che al Signore. Ella, infatti, si rattrista nel vedere i suoi figli. Dunque, come enuncia il nostro slogan per questo anno Pastorale, con la gioia dello Spirito Santo che abbiamo ricevuto, educhiamoci a valutare ogni cosa e a tenere solo ciò che è buono per la nostra salvezza e non per i nostri interessi materiali. È il primo anno, carissimi vitulatini, nel quale celebro con voi la festa come pastore della comunità parrocchiale. Sono molto felice di questo e vi sono grato per la vostra accoglienza e per l’affetto che mi dimostrate. Desidero che insieme possiamo progredire sempre di più nel cammino della nostra santificazione, cercando di migliorare in quelle cose che manifestano ancora un attaccamento al nostro egoismo e alle cose terrene. Vi chiedo di pregare per me senza sosta, come anch’io mi ricordo di voi ogni giorno all’altare del Signore. VITULAZIO 15 Anno 5 Numero 17 3 Maggio 2014 Messaggio alla Comunità Cristiana di Vitulazio di S. E. Mons. Pietro Lagnese, Vescovo di Ischia e nostro concittadino Carissimi vitulatini, buona festa a tutti e, prima ancora: buona Pasqua! Che bello, potervi scrivervi e salutarvi a quasi un anno di distanza dal giorno del mio congedo da Vitulazio! È arrivata la festa! È venuto il tempo, da tanti desiderato ed atteso, della Festa della Madonna dell’Agnena! Dall’isola di Ischia, vi penso, vi abbraccio e vi benedico! E vivo con voi questi giorni così particolari per tutti noi di Vitulazio! Lo confesso: mi fa un po’ strano non esserci! D’altronde non potrebbe essere altrimenti: per 52 anni è stato sempre così; e per più della metà degli anni, da parroco di Vitulazio! La Madonna dell’Agnena, io, però, la penso tutti i giorni! Nella mia camera da letto ne conservo l’immagine donatami - ricordate? - l’anno scorso, prima di partire per l’Isola, dal Comitato Feste. La sera, quando vado a dormire, quasi sempre, la guardo o, forse, meglio, mi lascio guardare da Lei. Da quell’incontro di sguardi, spesso, nasce un dialogo. A volte mi sembra quasi che mi parli e mi dica: “Hai visto? Sto qua, con te, ad Ischia! Stiamo insieme!”. E mi sento… a casa! Forse perché, penso, che sia questo, in fondo, il compito di una mamma: far sentire i figli a casa, sempre! D’altronde, ve l’ho detto tante volte, quale potrebbe essere il senso da dare al peregrinare della Vergine Maria per le strade di Vitulazio la domenica in Albis, fino alle periferie del suo territorio, se non quello di chi vuole andare a cercare i figli per riportarli a casa? Ho sempre cercato di vedere così la “nostra processione”: come il cammino della Madre che va in cerca dei suoi figli, per riportarli a casa! Come quel giorno quando andò in cerca di Gesù! Scrivendo una preghiera a conclusione della LetEDITORE A.C.L.I. Progetto San Marcello C.so Gran Priorato di Malta,22 81043 Capua (CE) P.iva: 03234650616 Reg. Trib di Santa Maria C.V. n. 764 del 22 Giugno 2010 www.kairosnet.it per contatti e pubblicità: 333.88.900.94 [email protected] DIRETTORE RESPONSABILE: Antonio Casale CAPOREDATTORE Giovanna Di Benedetto GRAFICO Giuseppe Rocco REDAZIONE CAPUA Antonella Ricciardi Francesca Capitelli Francesco Garibaldi Lucia Casavola Nicola Caracciolo Orsola Treppiccione Raffaella Boccia Teresa Pagano Umberto Pappadia Teresa Massaro Ciro Pozzuoli Annamaria Punzo tera Pastorale per i cristiani di Ischia, così l’ho immaginata la Madonna: come Colei che ci porta a casa. La ripropongo a voi, augurandovi ogni bene e salutandovi tutti, uno ad uno! Santa Maria dell’Agnena, portaci a casa! Ti ricordi quel giorno quando ti accorgesti che il tuo Gesù non era con voi, nel viaggio di ritorno a casa? Chissà quanta trepidazione provasti! Me lo immagino Giuseppe, che, mentre cercava con te, provava a rassicurarti, e, semmai, prendendoti per mano, ti diceva: “vedrai, lo troveremo!”. E quale dovette essere la gioia che avvertisti quando, ritornata nel tempio, ritrovasti Gesù… sano e salvo! Provasti pure a rimproverarlo, ma la gioia di rivederlo fu più grande! E vinse su tutto, anche sull’amarezza di quella risposta di Gesù: “Perché mi cercavate? Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Santa Maria dell’Agnena, vienici a cercare! Noi diversamente da tuo Figlio ci siamo persi per davvero! Non abbiamo cercato le “cose del Padre” e ora siamo andati fuori strada. E non sappiamo più tornare indietro! Santa Maria dell’Agnena, vienici a cercare! E portaci a Casa. Lì dove c’è il fuoco acceso, e il pane, l’acqua e… il vino: come a Cana! Anzi, come al Cenacolo! Amen. Con ogni benedizione! Vostro fratello, figlio e padre REDAZIONE SANTA MARIA C.V. Maria Benedetto Rosaria Barone Basso Rosalba Gaetano Cenname Anna Munno Lina Salamiti Maria Umili REDAZIONE VITULAZIO Piero Del Bene Assunta Scialdone Domenico Cuccari Orsola Antropoli Pagine CHIESA a cura di don Agostino Porreca don Pasquale Violante Pagine VITA CONSACRATA a cura di suor Miriam Bo Pagine IMMIGRAZIONE a cura di Antonio Casale Stampato presso la Tipografia “Grafiche Boccia” CAPUA Messaggio del Presidente Delegato del Comitato Feste Dott. Pasquale Cioppa Carissimi amici e concittadini, ci apprestiamo a vivere insieme un’altra Festa, la “NOSTRA FESTA”, a “fest ra Maronna Agnena”. Certo, il momento che stiamo attraversando non è dei migliori ma, che io ricordi, o quantomeno dal sentir dire o, ancora, da qualche testimonianza storica scritta, pare che mai la Festa in onore della Vergine SS.ma dell’Agnena, avesse risentito delle conseguenze negative di momenti particolarmente difficili. Ed a dimostrazione di quanto affermato, mi è cosa assai gradita sottoporre alla Vostra attenzione il programma che è stato preparato; un programma ricco, variegato, innovativo, degno, insomma, di Vitulazio. In particolare mi piace sottolineare, di esso, la manifestazione del 1° maggio; evento unico, mai tenutosi prima, né a Vitulazio né altrove. Nel ringraziare Tutti, le Autorità Religiose, Civili, Militari, gli Sponsor riportati nel presente opuscolo, i nostri concittadini residenti all’estero ed in altre Città Italiane, formulo gli Auguri più sinceri di una Buona e Santa Pasqua e di trascorrere in armonia e spensieratezza i giorni dei Festeggiamenti. Cordialmente Kairos News è distribuito nelle edicole e presso le seguenti Parrocchie: CAPUA Santi Filippo e Giacomo San Pietro Apostolo San Roberto Bellarmino Sacro Cuore Maria Santissima Assunta in Cielo SANTA MARIA C V Sant’Erasmo Immacolata Concezione di M.V. Santa Maria Maggiore e San Simmaco San Pietro Apostolo Santa Maria delle Grazie BELLONA San Secondino VITULAZIO Santa Maria dell’Agnena CASTEL MORRONE San Pietro Apostolo e Luca Evangelista CASAPULLA Sant’Elpidio CASAGIOVE Santa Maria della Vittoria CURTI San Michele Arcangelo SAN PRISCO Santa Maria di Costantinopoli CANCELLO/ARNONE Maria Regina di tutti i Santi-Maria SS Assunta BREZZA /GRAZZANISE San Martino Vescovo SANTA MARIA LA FOSSA Maria SS Assunta in cielo FRANCOLISE San Germano - Santa Maria delle Grazie CASTEL VOLTURNO Santa Maria del Mare SAN TAMMARO presso Maranathà Scarica la versione pdf sul tuo smartphone Per informazioni: [email protected] Tel: 333.88.900.94 16 RUBRICHE Anno 5 Numero 17 3 Maggio 2014 Fragole e frutti di bosco, elisir contro l’invecchiamento Uno studio scientifico invita a consumarne NICOLA CARACCIOLO Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Annals of Neurology, effettuato su più di 16.000 partecipanti di età superiore ai 70 anni, il consumo di fragole e frutti di bosco aiuta la memoria e la concentrazione, soprattutto nelle donne. Sono i flavonoidi e in particolare gli antociani contenuti in questi frutti, le sostanze che riducono i deficit cognitivi che si possono realizzare a causa dell’invecchiamento. Mangiare questi frutti, secondo questo studio, ritarda di 2,5 anni il processo di invecchiamento cognitivo. Elisabeth Devore, una delle ricercatrici autrici dello studio, ha affermato che le donne che assumono con la dieta fragole e frutti di bosco come mirtilli e lamponi, oltre ad avere un ritardo del declino delle funzioni cognitive hanno mostrato la tendenza ad avere più alti livelli di attività fisica, altro fattore che aiuta a mantenerci in buona salute. Mangiate fragole e frutti di bosco quindi, per non perdere la memoria e la concentrazione! Insalata di Fragole, Rucola, Parmigiano e Pinoli Dosi per 4 persone: Ingredienti: 500 g di fragole; 4 manciate di rucola; 40 g di pinoli; 30 g di parmigiano a scaglie; Olio d’oliva extravergine q.b; aceto balsamico q.b; sale q.b. Procedimento: 1) Lavare bene la rucola e le fragole. 2) Tostare in una padella antiaderente i pinoli. 3) Mettere in una ciotola la rucola le fragole tagliate a pezzettini e i pinoli. 4) Condire con sale, olio d’oliva extravergine e aceto balsamico e mescolare accuratamente. 5) Disporre l’insalata nei piatti, coprire con scaglie di parmigiano e servire Cestini di Mele cotte ai Frutti di Bosco Per 4 persone Ingredienti: 4 mele renette - 1 cestino di frutti di bosco - Cannella in polvere q.b - 1 limone - 1 albume d’uovo - 1 cucchiaio di zucchero - 4 cucchiai di yogurth magro tipo greco Procedimento: 1) Lavare e asciugare le mele, tagliare la calotta superiore e scavarle all’interno,lasciando tutt’intorno circa 1,5 cm di polpa 2) Spolverare le mele con la cannella in polvere, sistemarle in una pirofila e cuocerle insieme alle calotte in forno a 200°c per L’obesità dipende dalle papille gustative FRANCESCA CAPITELLI Le papille gustative di chi è sovrappeso potrebbero funzionare in modo leggermente diverso, spingendo a preferire certi sapori (in particolare, quelli legati ai cibi meno salubri) anziché altri: è questa l’ipotesi a cui è giunto un gruppo di ricercatori. Per verificarlo infatti, gli studiosi hanno compiuto un test in cui i volontari hanno assaggiato del succo di pompelmo e della cioccolata amara: oltre che chiedere loro un’opinione sul sapore, sono stati ripresi i loro volti dato che smorfie involontarie possono evidenziare cattiva sopportazione di certi gusti, anche inconscia. L’esperimento ha confermato l’ipotesi: se da un lato i giudizi espliciti non differivano di molto tra i soggetti più magri e quelli più grassi, questi ultimi evidenziavano a livello di reazione facciale un maggiore fastidio verso i sapori aspri e amari, sapori che sono solitamente assenti invece nel “junk-food”, e per questo sarebbero preferiti da questo tipo di soggetti, con il risultato però che ne risente la loro forma fisica. Si chiama glucagone l’ormone che regola il livello di zucchero nel sangue secreto dal pancreas ed è anche responsabile anche della sensibilità della lingua al sapore dolce. Secondo uno studio dell’Università del Maryland pubblicato sulla rivista Faseb, bloccando la ricettività delle papille gustative al glucagone, i cibi sembrano meno dolci. I ricercatori hanno scoperto che sia l’ormone che i suoi recettori sono espressi nelle cellule che nella lingua dei topi determinano la risposta al sapore dolce. In un esperimento sucessivo lo studio ha dimostrato che usando un farmaco specifico che blocca il glucagone anche la sensibilità delle cavie allo zucchero diminuiva. “Questi dati -hanno spiegato i ricercatori-potrebbero essere usati per produrre degli additivi che facciano percepire dei cibi come più dolci senza bisogno di aggiungervi zucchero, e dal punto di vista terapeutico possono essere sfruttati per le persone che mangiano troppo o troppo poco“. 10 minuti. 3) Lavare i frutti di bosco e condirli con zucchero e succo di limone. 4) Montare a neve l’albume dell’uovo e aggiungere lo yogurth mescolando delicatamente dal basso verso l’alto. 5) Far raffreddare le mele riempirle con i frutti bosco e lo yogurth mescolato all’albume, e appoggiare su ciascuna mela ripiena la calotta Kairosnews è un settimanale la cui realizzazione avviene grazie al volontariato di quanti generosamente donano tempo e competenze. 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