Edizione Nr. 17 – Visualizzazione e download

Tempo
di
Grazia
per lo
Spirito
Tempo
di
Grazia
per lo
Spirito
Anno 5 Numero 17
3 Maggio 2014 - Euro 0,50
Domenica 27 aprile grande pranzo di beneficenza organizzato dai volontari della Casa della Divina Misericordia
La Divina Misericordia: un mosaico di colori
All’evento che ha visto la partecipazione di ben 140 persone tra volontari, ospiti e rifugiati sono intervenuti S.E. Mons. Salvatore Visco e don Gianni Branco
TERESA MASSARO
La Domenica della Divina Misericordia, già da quattro anni, è
giorno di grande festa per la Casa
della Divina Misericordia, il
Centro di Pronta e Temporanea
Accoglienza inaugurato a Capua
il 10/10/10. Proprio come accade
nelle nostre case, in un giorno di
festa, si prepara un pranzo speciale a cui si invitano anche le
persone che ci sono più care. E
una delle cose più belle di
quest’anno è stata la presenza e
la partecipazione non solo di don
Gianni Branco, fondatore dell’opera, ma anche del nostro Arcivescovo, S.E. mons. Salvatore
Visco. Il nostro Arcivescovo non
solo è venuto per benedirci, ma si
è fermato ed è rimasto con noi
fino alla fine del pranzo. Una
gioia grande in quanto la vicinanza del nostro Pastore ci rallegra il cuore e ci fa sentire più
forti e motivati nel testimoniare
che il nostro servizio altro non è
che la misericordia di Gesù che si
fa vivo e presente ai più poveri e
bisognosi. E così i volontari, che
quotidianamente preparano un
pasto per le tante persone che vivono la Casa, si sono dati da fare
per l’organizzazione di un evento
che, di anno in anno, ci è sempre
più caro. Un evento che vede la
partecipazione non solo dei nostri
ospiti ma anche di tutti i volontari e delle loro famiglie e dunque di un gran numero di
persone! Un pranzo che si è realizzato con l’impegno dei volontari ma anche grazie al
contributo, sempre generoso,
della Tenuta San Domenico di
Sant’Angelo in Formis, del Casaro del Re di Capua, dei rivenditori del mercato ortofrutticolo di
San Tammaro, del Panificio
Russo di Vitulazio, della pasticceria Cappiello di S.Maria C.V.,
la Lavanderia di D’Alessio di Teverola.
Oltre alla preparazione di un
menù più ricco e particolare poi
abbiamo voluto anche preparare
una “sala “ più bella e accogliente, con una tavola imbandita
con fiori, sottopiatti, tovagliato in
stoffa, con i palloncini a far da
cornice. Insomma proprio come
si fa a casa, quando si organizza
una festa, si è cercato di prestare
attenzione ai piccoli e grandi particolari. Tanti sono stati dunque
gli elementi da mettere insieme,
non solo sotto l’aspetto puramente tecnico e organizzativo,
ma anche e soprattutto sotto il
profilo della varia umanità. E sì,
perché i nostri volontari sono
tanti ma diversissimi tra di loro;
perché i nostri ospiti a volte sono
così imprevedibili, non sempre
riusciamo a farli sentire a casa. E
come è stato bello allora sentire
alla fine, quando inevitabilmente
SOMMARIO
SPECIALE
Canonizzazioni
PAG. 6
Addio Hurricane
2
Anno 5 Numero 17
3 Maggio 2014
MAGGIO: MESE MARIANO
Maria, storia di un incontro
Da Medjiugorje la testimonianza di una coppia di sposi
GB
All’inizio del Mese consacrato dalla tradizione a
Maria, vogliamo raccogliere la testimonianza di
una coppia che ha vissuto la sua esperienza intensa di fede mariana a Medjugorje. Senza entrare nel dibattito aperto dentro e fuori dalla
Chiesa ufficiale, riteniamo di dover dare la parola a chi ha testimoniato la sua appartenenza a
Cristo e il suo affidamento a Maria anche nel
momento supremo della prova. Roberto, lo
sposo, infatti è da qualche mese in cielo a causa
di una leucemia devastante e Ada, la sposa, ne
ha visto confermata la fede nella prova.
Così scrive: “Da quando ci raggiunse la notizia
delle apparizioni della Regina della Pace, il mio
sposo ed io abbiamo desiderato intraprendere il
viaggio verso Medjugorje, ma più volte abbiamo dovuto rimandare per le diverse difficoltà
che la vita ci riservava. Ciò fino al 2004, quando
il sogno si è realizzato e la partenza verso la
“parrocchia di Maria” si è concretizzata. Una
esperienza bellissima suggellata dall’incontro
con Jvan con il quale abbiamo scalato il monte,
pregato e cantato tra mille emozioni in attesa di
Maria. Alle 22.00 il cielo stellato sembrava formasse un unico cerchio di luce e la preghiera si
LA DIVINA MISERICORDIA:
UN MOSAICO DI COLORI
SEGUE DA PAG. 1
domandiamo “come è andata?”
che tutti rispondano: “è stato un
bel pranzo, siamo stati bene!”. Il
dono più bello ricevuto in un
giorno tanto speciale per noi è
stato proprio questo clima di
grande serenità e fraternità che si
è respirato tra i volontari e gli
ospiti della Casa. Ci siamo davvero sentiti famiglia, fratelli fra
è fatta più intensa e appassionata. Quella esperienza magnifica Roberto li ha raccolta in un
racconto che esprime la sua spiritualità e la sua
fede.”
Così Roberto ha scritto: “Medjugorje, attesa di
un evento, speranza di un incontro. Ti cerco
Maria. Con passo sicuro risalgo la collina. Fra
pietre, sassi, rovi e spine, cammino nella vita.
Con affanno raggiungo la meta, ma non ci sei.
Una voce grida forte nell’anima: “ma come, è
qui, non la vedi?”. Allora alzo gli occhi al cielo
e Ti cerco tra le nuvole, e lo sguardo si spande
fino all’orizzonte, e poi torna ancora sul monte.
Con ansia aspetto il sorgere del sole, e mi rattrista il suo tramonto perché un giorno è passato
ancora, e non Ti vedo. Sul colle poi, nella notte
buia, un bagliore nel cielo annunzia cose belle.
E’ la madre che viene, cinta di stelle. Le ginocchia si piegano, rotolano le pietre, tacciono le
voci. Ed io ci credo, Tu ci sei, lo sento. Allora Ti
lodo con la preghiera. Ti supplico per i nostri affanni. Ti ringrazio per la gioia che ci dai. Ma
poi, è nel raccoglimento che Ti ascolto, e mi
parli, mi parli d’amore, e finalmente Ti trovo. Ti
trovo nel mio cuore”.
noi e figli dello stesso Padre.
Nell’ingresso della Casa della
Divina Misericordia campeggia
un grande mosaico composto da
tanti tasselli colorati, tutti diversi
l’uno dall’altro, che concorrono
a formare il volto di Gesù. Il
pranzo di domenica è un po’
come quel mosaico, il risultato
dell’impegno e della partecipazione di tante persone, tutte diversissime le une dalle altre. Ora
chi scrive è assolutamente convinta, che mentre il Signore do-
menica era affacciato su Piazza
San Pietro che contava un milione di persone e ben “quattro
papi”, ha rivolto per un attimo il
suo sguardo anche su di noi, qui
a Capua. E quello sguardo, sempre pieno di misericordia e
provvidente, sempre così tenero
e affettuoso è stato come il tocco
dell’artista che ha saputo mettere
insieme tanti tasselli diversi e
dar vita così ad un bellissimo
mosaico.
CHIESA
Anno 5 Numero 17
3 Maggio 2014
3
III Domenica di Pasqua
Accanto ai due diretti a Emmaus
MONS. ROBERTO BRUNELLI
Oggi la liturgia fa risuonare la parola di Pietro, con un suo discorso (Atti 2,22-33) e un
passo della sua prima lettera (1Pietro 1,1721), nel quale tra l'altro scrive: "Non a
prezzo di cose effimere, come argento e oro,
foste liberati dalla vostra vuota condotta, ma
con il sangue prezioso di Cristo, che Dio ha
risuscitato dai morti". Come dire: si illude
chi pensa di salvarsi l'anima con il proprio
danaro; la salvezza non si compera: è un
puro dono, da accogliere e tradurre nella propria vita.
Passando al vangelo: il giorno della risurrezione, Gesù si manifesta di buon'ora a Maria
Maddalena e verso sera agli apostoli riuniti.
Di mezzo si colloca l'episodio di Luca 24,1335: due discepoli che ancora non sanno sono
in cammino verso Emmaus, e non nascondono la delusione per come pensano sia finita la vicenda di Colui nel quale avevano
riposto le loro speranze. Lo dicono anche al
viandante che li raggiunge e cammina accanto a loro; questi allora si mette a richiamare i passi della Scrittura relativi al Messia
atteso, il Cristo, per dimostrare come tutto si
sia avverato in Gesù. Ancora non capiscono
che il loro occasionale compagno di viaggio
è proprio lui, vivo dopo essere stato crocifisso e sepolto; lo riconoscono soltanto
quando, fermatisi a cena, egli ripete i gesti e
le parole della Cena che ha preceduto la sua
passione: "prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro".
Prima la Scrittura, poi il Pane, ?quel' Pane
spezzato e dato a nutrimento spirituale: nell'episodio di Emmaus si trovano i tratti salienti della liturgia della Parola e della
liturgia eucaristica, cioè la Messa, quella
volta eccezionalmente celebrata da Gesù in
persona, ma da lui lasciata ai suoi amici da
rinnovare per sempre. "Fate questo in memoria di me", aveva comandato, e mai altro comando è stato da due millenni così
puntualmente eseguito.
Può lasciare sconcertati il fatto che i due
viandanti subito non riconoscano Colui di
cui pure sono stati discepoli, così come è avvenuto per tutti coloro cui Gesù si è manifestato dopo essere risuscitato. Con ogni
evidenza, il Risorto è quello di prima, ma
non esattamente uguale a prima; non è come
Lazzaro, che dopo la sepoltura ha ripreso la
vita precedente, e in seguito è morto come
tutti; il Risorto presenta un aspetto diverso
dal consueto, compare e scompare all'improvviso, ma non è un fantasma, dimostra la
propria fisicità mangiando davanti a tutti e
lasciandosi toccare, anzi invitando Tommaso
a farlo. E' quello di prima, ma non esattamente uguale a prima: la totale inesperienza
di un fatto unico non consente a noi di definire la differenza, così come non ha consentito a chi l'ha visto di riconoscerlo
immediatamente. Di qui le iniziali difficoltà
dei due in cammino verso Emmaus, e il nostro interesse per la loro inattesa avventura.
L'interesse deriva anche dal fatto che,
nelle sue tre fasi, essa riflette bene la nostra condizione rispetto al Risorto. Prima
fase: come per i cristiani di ogni tempo,
Gesù cammina anche accanto a noi, presente nei modi da lui scelti (basti ricordare una sua frase: "Qualunque cosa
avrete fatto ad uno dei miei fratelli,
l'avrete fatta a me"), ma quanto spesso
non lo sappiamo riconoscere! Seconda
fase: egli ha richiamato loro le Scritture.
Ebbene, tutti abbiamo in casa una Bibbia,
ma quanto la conosciamo? La sentiamo
leggere e spiegare durante la Messa, ma
quanta attenzione vi prestiamo? E tuttavia, così come somigliamo ai due di Emmaus nelle prime fasi del loro incontro,
possiamo somigliare loro nella terza: possiamo riconoscerlo nello spezzare il pane.
"Prendete e mangiate: questo è il mio
corpo, dato in sacrificio per voi": i gesti e
le parole rinnovati in ogni celebrazione
eucaristica manifestano lui, il Risorto, il
suo desiderio di inondarci di quell'amore
senza limiti, dimostrato col sacrificare per
noi la sua vita umana e col farci partecipi
della sua vita divina
DUALITA’
Vedo muoversi in coppia le farfalle
E le stelle tenersi per la mano
Perciò se T’allontani si dilata
A me d’intorno il vuoto, ed io m’avverto
Un naufrago alla deriva nella nebbia
In cerca d’un approdo o d’un appiglio
O a un nottivago uccello m’assomiglio
Dopo il volo anelante di dormire
Fuso il suo al Tuo fragrante respiro.
Perdendosi al risveglio nella luce
Soave del Tuo sguardo innamorato
Come un bimbo di suggere mai sazio
Alla dolcezza del materno seno
Felice di sentimi trasmutare
Da una debile foglia che ingiallisce
In astro dal fulgore indeclinato
Da viatore malcerto e riluttante
A beato comprensore di un Dio
D’ogni delizia sublimante meta
Che più di Sé mi colma, più m’asseta.
Giuseppe Centore
CELEBRARE ...CANTANDO
a cura di Pietro Santoro
La “liturgicità” del canto
Dopo la pausa pasquale, riprendiamo il
percorso che avevamo interrotto.
In varie occasioni ho avuto modo di partecipare a celebrazioni eucaristiche in diverse parrocchie del nostro territorio e ho
avuto modo così di ascoltare diversi cori
in diverse circostanze. Per deformazione
professionale sono solito prestare molta
attenzione all’esecuzione dei canti e al
repertorio eseguito e, con mio dispiacere,
in alcune circostanze ho avuto l’impressione di assistere ad uno spettacolo comico gratuito. In una delle situazioni
richiamate alla memoria, vidi un coro
ben ordinato, tutti i componenti in divisa,
cartelline del medesimo colore, il direttore in prima linea con innanzi il leggio
e gli spartiti. Si ode il suono della campanella e l’organista inizia a suonare l’introduzione del canto. Il direttore, con un
gesto approssimativo ed inconsistente,
da “l’attacco” per l’esecuzione del canto.
Sin dalle prima battute era facilmente deducibile la consistenza del coro: vocalità
povera, ritmo impreciso, espressività inesistente. Con grande delusione, chinai il
capo e mi chiesi: «Quanto, questo canto
liturgico, è veramente tale?». Il brano in
questione, “Acclamate al Signore” di
Mons. M. Frisina, è un canto oggettiva-
mente liturgico ed, in quell’occasione,
era stato anche inserito al momento
adatto, ma l’esecuzione mediocre non ha
soddisfatto la funzione ministeriale di
quel canto: esso infatti non ha introdotto
l’assemblea alla Celebrazione che stava
per iniziare anzi, ha destato riso nei presenti quando i soprano hanno evidentemente “steccato”. L’altro episodio cui
ripenso invece, risale ad un tempo più recente: coro seduto tra l’assemblea, direttore del coro che dirigeva quest’ultimo e
assemblea. Canto di ingresso: “Sollevate,
o porte, i vostri frontali” dello stesso M.
Frisina di cui prima. Esecuzione semplice ed eccellente, solenne e sobria, che
ha creato la retta predisposizione
d’animo degli astanti alla celebrazione
che ci accingevamo a vivere. Quasi commosso, mi complimentai con alcuni coristi perché, come dissi loro, «mi
avevano dato modo di celebrare cantando». Con questi due esempi vorrei illustrare come, oltre al testo, uno dei
criteri di “liturgicità” di un canto è la sua
esecuzione, ma di questo parleremo poi
in maniera più approfondita.
4 CHIESA
Ritornare alla “nostra” Galilea come al primo amore
Anno 5 Numero 17
3 Maggio 2014
Veglia Pasquale
DON AGOSTINO PORRECA
Papa Francesco ha presieduto nella Basilica Vaticana la Veglia Pasquale.
Nell’omelia ha commentato l’invito dell’angelo ai
discepoli a tornare in Galilea, perché lì Cristo risorto li precede. «La
Galilea – ha detto il Papa
- è il luogo della prima
chiamata, dove tutto era
iniziato! Tornare là, tornare al luogo della prima
chiamata» significa «riscoprire il nostro Battesimo come sorgente viva,
attingere energia nuova
alla radice della nostra
fede e della nostra esperienza cristiana», significa «tornare a quel punto
incandescente in cui la
Grazia di Dio mi ha toc-
cato all’inizio del cammino. E’ da quella scintilla che posso accendere
il fuoco per l’oggi, per
ogni giorno, e portare calore e luce ai miei fratelli
e alle mie sorelle» testimoniando Cristo Risorto
con gioia umile e mite.
La Galilea è il luogo
della prima chiamata,
dove tutto era iniziato!
CATECHESI DI PAPA FRANCESCO
Dio ci mostra una vittoria umile
DON AGOSTINO PORRECA
La via della spogliazione di Cristo è stato
il tema al centro della catechesi di Papa
Francesco durante l’udienza generale
svoltasi in Piazza San Pietro mercoledì
16 aprile. La liturgia odierna – ha detto il
Papa – ci presenta “il racconto del tradimento di Giuda, che si reca dai capi del
Sinedrio per mercanteggiare e consegnare ad essi il suo Maestro. ‘Quanto mi
date se io ve lo consegno’. Gesù da quel
momento ha un prezzo. Questo atto
drammatico segna l’inizio della Passione
di Cristo, un percorso doloroso che Egli
sceglie con assoluta libertà. E lo dice
chiaramente Lui stesso: «Io do la mia
vita… Nessuno me la toglie: io la do da
me stesso. Ho il potere di darla e il potere
di riprenderla di nuovo» (Gv 10,17-18).
E così incomincia quella via dell’umiliazione, della spogliazione, con questo tradimento. Gesù, come se fosse nel
mercato: ‘Questo costa 30 denari…’. E
Gesù percorre questa via dell’umiliazione
e della spogliazione fino in fondo”.
“Gesù – ha proseguito il Papa - raggiunge
la completa umiliazione con la «morte di
croce». Si tratta della morte peggiore,
quella che era riservata agli schiavi e ai
delinquenti. Gesù era considerato un profeta, ma muore come un delinquente.
Guardando Gesù nella sua passione, noi
vediamo come in uno specchio anche le
sofferenze di tutta l’umanità e troviamo
la risposta divina al mistero del male, del
dolore, della morte. Tante volte avvertiamo orrore per il male e il dolore che ci
circonda e ci chiediamo: «Perché Dio lo
permette?». È una profonda ferita per noi
vedere la sofferenza e la morte, specialmente quella degli innocenti!”. A braccio
ha aggiunto: “Quando vediamo soffrire i
bambini, è una ferita nel cuore. E’ il mistero del male. E Gesù prende tutto questo male, tutta questa sofferenza su di sé.
Questa settimana, ci farà bene a tutti noi
guardare il Crocifisso, baciare le piaghe
di Gesù, baciarle nel Crocifisso. Lui ha
preso su di sé tutta la sofferenza umana”.
“Noi attendiamo che Dio nella sua onnipotenza – ha proseguito - sconfigga l’ingiustizia, il male, il peccato e la
sofferenza con una vittoria divina trionfante. Dio ci mostra invece una vittoria
umile che umanamente sembra un fallimento. E possiamo dire: Dio vince proprio nel fallimento. Il Figlio di Dio,
infatti, appare sulla croce come uomo
sconfitto: patisce, è tradito, è vilipeso e
infine muore. Gesù permette che il male
si accanisca su di Lui e lo prende su di sé
per vincerlo. La sua passione non è un incidente; la sua morte – quella morte – era
‘scritta’”. È questo il mistero della grande
umiltà di Dio: dobbiamo pensare tanto al
dolore di Gesù e dire a noi stessi: ‘E questo è per me. Anche se io fossi stata
l’unica persona nel mondo, Lui l’avrebbe
fatto. L’ha fatto per me’. E baciamo il
Crocifisso e diciamo: ‘Per me. Grazie
Gesù. Per me’. “La Risurrezione di Gesù
– ha aggiunto ancora Papa Francesco non è il finale lieto di una bella favola,
non è l’happy end di un film ma è l’intervento di Dio Padre là dove s’infrange la
speranza umana. Nel momento in cui
tutto sembra perduto, nel momento del
dolore e in cui tante persone sentono
come il bisogno di scendere dalla croce,
è il momento più vicino alla Risurrezione. La notte diventa più oscura proprio
prima che incomincia la mattina, prima
che incomincia la luce. Nel momento più
oscuro interviene Dio. Resuscita”.
Quando in certi momenti della vita non
troviamo alcuna via di uscita alle nostre
difficoltà, quando sprofondiamo nel buio
più fitto, è il momento della nostra umiliazione e spogliazione totale, l’ora in cui
sperimentiamo che siamo fragili e peccatori. È proprio allora, in quel momento,
che non dobbiamo mascherare il nostro
fallimento, ma aprirci fiduciosi alla speranza in Dio.
Sulla riva del lago Gesù
era passato, mentre i pescatori stavano sistemando le reti. Li aveva
chiamati, e loro avevano
lasciato tutto e lo avevano
seguito (cfr Mt 4,18-22).
«Ritornare in Galilea
vuol dire rileggere tutto a
partire dalla croce e dalla
vittoria; senza paura,
“non temete”. Rileggere
tutto – la predicazione, i
miracoli, la nuova comunità, gli entusiasmi e le
defezioni, fino al tradimento – rileggere tutto a
partire dalla fine, che è
un nuovo inizio, da questo supremo atto
d’amore». Anche per
ognuno di noi c’è una
“Galilea” all’origine del
cammino con Gesù. “Andare in Galilea” significa
per noi riscoprire il nostro Battesimo. Nella vita
del cristiano, dopo il Battesimo, c’è anche un’altra “Galilea”, una
“Galilea” più esistenziale: l’esperienza dell’incontro personale con
Gesù Cristo, che mi ha
chiamato a seguirlo e a
partecipare alla sua missione. In questo senso,
tornare in Galilea significa «custodire nel cuore
la memoria viva di questa chiamata, quando
Gesù è passato sulla mia
strada, mi ha guardato
con misericordia, mi ha
chiesto di seguirlo; tornare in Galilea significa
recuperare la memoria di
quel momento in cui i
suoi occhi si sono incrociati con i miei, il momento in cui mi ha fatto
sentire che mi amava».
Ognuno di noi – ha esortato Papa Francesco –
può domandarsi: qual è la
mia Galilea? Dov’è la
mia Galilea? «La ricordo? L’ho dimenticata?
Cercala e la troverai! Lì ti
aspetta il Signore. Sono
andato per strade e sentieri che me l’hanno fatta
dimenticare. Signore, aiutami: dimmi qual è la mia
Galilea; sai, io voglio ritornare là per incontrarti e
lasciarmi abbracciare
dalla tua misericordia.
Non abbiate paura, non
temete, tornate in Galilea!». Il Vangelo è chiaro:
bisogna ritornare là, per
vedere Gesù risorto, e diventare testimoni della
sua Risurrezione. Non è
un ritorno indietro, non è
una nostalgia. E’ ritornare
al primo amore, per ricevere il fuoco che Gesù ha
acceso nel mondo, e portarlo a tutti, sino ai confini della terra. Torniamo
in Galilea senza paura e
facciamo Pasqua!
ATTUALITA’
Anno 5 Numero 17
3 Maggio 2014
5
Caritas Italiana, CISL e SICET
uniscono le forze
Nuova alleanza sul
problema abitativo in Italia
NICOLA CARACCIOLO
Il disagio abitativo e il “problema casa” vissuto da sempre più famiglie ha ormai
raggiunto in Italia un livello
critico. In questo momento di
diffusa incertezza economica
che caratterizza il nostro
Paese, il difficile accesso alla
casa e l’impossibilitàdi condurre la propria esistenza in
condizioni abitative dignitose, rappresenta uno tra i
problemi più gravi, causa di
sempre maggiore esclusione
sociale, per molte persone e
famiglie, italiane e straniere.
Appare evidente anche dai
dati del recente Rapporto Caritas su povertàed esclusione
sociale. Sempre di più, i costi
dell’abitare incidono pesantemente nella gerarchia dei
consumi delle famiglie, soprattutto quelle con reddito
medio-basso, determinando
rilevanti problemi economici
e rappresentando un vero e
proprio freno per la crescita
del Paese. Il problema della
mancanza e dell’inadeguatezza degli alloggi si èaggravato anche a causa della
mancanza di risorse destinate
all’edilizia residenziale pubblica: l’Italia èterz’ultima in
Europa in termini di peso
delle abitazioni sociali sul patrimonio abitativo, superata
soltanto da Portogallo e Spagna. Si evidenzia quindi la
necessità di adottare misure
strutturali, per mostrare una
volontà d’inversione di tendenza, dopo anni di totale disinteresse. Sulla base dei
comuni valori cristiani e di
solidarietà sociale, Caritas
Italiana, Cisl e Sicet (Sindacato Inquilini, Casa e Territorio), hanno sottoscritto un
accordo congiunto con due
obiettivi: 1) avviare un percorso di indagine nazionale
sul fenomeno del problema
casa in Italia, con lo scopo di
rilevare e approfondire la
presenza di vecchi e nuovi
fenomeni di disagio abitativo, nell’universo dei servizi
Cisl-Sicet/Caritas, anche alla
luce dell’attuale crisi economico-finanziaria. L’indagine
coinvolgerà un campione
rappresentativo di utenti dei
centri di ascolto Caritas e
degli sportelli Sicet, nelle
principali aree metropolitane
del Paese; 2) sulla base dei risultati di tale studio, predisporre un documento di
raccomandazioni e proposte,
rivolto alle amministrazioni
pubbliche, alle realtàproduttive, al terzo settore, alla comunità civile ed ecclesiale
nel suo complesso. Le interviste a campione per la raccolta dei dati sono iniziate e
dureranno fino a maggio in
15 città: Torino, Genova,
Trieste, Venezia, Milano, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Cagliari, Bari, Reggio
Calabria, Catania, Messina e
Palermo. I primi risultati verranno divulgati all’inizio dell’estate,
mentre
la
pubblicazione del report finale è prevista per l’autunno
2014.
Il derby fra
Bellona e Vitulazio
Il senso della Festa tra folclore e Vangelo
DON CARLO IADICICCO
PIETRO SGUEGLIA
Come ogni anno dopo la celebrazione della Passione, Morte e Resurrezione, va in scena il derby delle
feste patronali tra Bellona e Vitulazio, sotto le insegne di Maria di Gerusalemme e Maria dell’Agnena.
Una lotta senza quartiere tra il sacro
e il profano: che la “lommata”…,
che i fuochi …, che la processione
con o senza pioggia...; ingredienti
che resistono alla post modernità. È
vero che alle giovani generazioni da
queste parti interessa la festa soprattutto come divertimento. Da giovane
prete, incaricato della parrocchia di
Vitulazio, anni fa, tentai di apportare
qualche cambiamento non così significativo al protocollo intoccabile del
programma. Si trattava di cambiare il
modo di fare la colletta per pagare le
spese, senza esibire i soldi donati in
appositi quadri antistanti la Madonna. Non era una rivoluzione. Il
tutto finì con un
articolo sul bollettino parrocchiale “ Il
pungolo” con
un titolo graffiante: “Un Popolo di
Festaioli”. Fui
miseramente
sconfitto al
grido: “Vulimmo e quadr’
”. Qualcosa del
genere successe
anche al parroco di Bellona.
I Padri fondatori della ri-
forma protestante che incendiò il
Nord Europa cancellarono con un
solo colpo di spugna feste religiose,
Sacramenti, parroci e Vescovi, Questa forma di cristianesimo definitivamente da loro etichettata come
idolatrica. Secondo me è legittimo
chiedersi se questi eventi patronali
ed altri simili non siano semplicemente un pretesto per fare festa.
Queste celebrazioni sembrano sempre più essere avvenimenti sociali e
folclorici…Gesù Cristo è un’altra
cosa; il suo messaggio non si basa su
riti e processioni ma nella vita ordinaria: nell’amore al prossimo, nella
cura ai poveri, a quelli che soffrono,
ai bambini, ai forestieri, immigranti,
agli anziani, nella paziente ricerca
della pace nelle relazioni umane e
nel sacrificio per il bene comune. Insomma, sul Vangelo vissuto. Provate
a mettervi nei panni dell’islamico,
col suo triciclo di palloncini e “feste”
varie, quando vede passare una specie di barca caricata a spalla da decine di uomini che porta l’immagine
di una donna con il bambino in braccio, mentre respira l’aria acre dei
fumi delle batterie dei fuochi, col
sottofondo di marce trionfali suonate
dalle varie bande musicali. Personalmente non posso non mettermi nei
panni di un indigeno amazzonico,
esterrefatto di fronte a questa stessa
scena. Gli spiriti nel silenzio del
bosco ispirano altre forme religiose e
altre sintonie con il trascendente.
Alla fine un giovane operaio vicino
al portone mi ha detto al veder passare la processione: “La festa era più
bella quando avevo lavoro”.
6
ATTUALITA’
FRANCESCOGARIBALDI
Domenica 20 aprile Rubin “Hurricane” Carter ha lasciato definitivamente il “ring” di questa vita. E, come
uomo e come pugile, non è sceso da
questo ring né per “ko tecnico”, né
tanto meno per aver “gettato la spugna”, e nemmeno sconfitto “ai punti”
dopo le canoniche quindici riprese del
pugilato; l’ha lasciato vittorioso solo
alla fine del suo “sedicesimo round”.
Infatti, The sixteenth round è il titolo
della sua autobiografia in cui racconta
la sua storia fatta di una vita difficile
sin da ragazzo, fatta di pugilato di cui
era campione del mondo, e di 19 anni
trascorsi in carcere ingiustamente per
tre omicidi mai commessi di cui fu
accusato per motivi di persecuzione
razziale.
La storia di Rubin Carter, nato il 6
maggio del 1937 a Clifton, New Jersey, è la storia di un ragazzo di una famiglia numerosa, che si imbatte nel
sistema della giustizia americana di
quegli anni per motivi poco chiari ad
opera di poliziotti bianchi e di
un’epoca di pesanti pregiudizi nei
confronti delle persone di colore. E’
accusato per aggressione da uno dei
suoi persecutori, presenti ed anche futuri, e vive la durissima esperienza del
riformatorio che, invece di ri-formarlo (formarlo di nuovo) lo deforma, lo fa deragliare dal vero senso
della giustizia, della verità. Rubin,
che dirà del riformatorio che una persona non dovrebbe conoscere nemmeno il nome di un posto del genere,
riesce a evadere da quella “scuola di
vita” dove impara la dura legge della
sopravvivenza a suon di botte, e si arruola nell’esercito, dove scoprirà la
boxe. Sotto le armi, inviato col suo
battaglione in Germania, diventerà
campione super welter interforze europee. Ma anche sotto le armi la sua
aggressività ed il senso di ribellione
gli costeranno cari, e, congedato anzi
tempo dall’esercito, ritornerà in carcere per scontare il residuo di pena dei
tempi del riformatorio, imbattendosi
ancora nel poliziotto che lo perseguiterà sempre. Dopo questi ultimi dieci
mesi di detenzione, Rubin Carter vive
ancora l’esperienza del carcere per
altri reati trascorrendo altri quattro
anni da detenuto. Durante questa detenzione Rubin riscopre la boxe che
gli aveva dato successo sotto le armi,
e promette a sé stesso che non
avrebbe mai più rimesso piede in prigione e non avrebbe permesso nessuno di togliergli la libertà
conquistata a caro prezzo, con esperienze di vita durissime.
Da quel momento comincia la carriera ufficiale di boxer professionista
di Rubin Carter, cui presto si aggiungerà il soprannome di “Hurricane” –
Uragano – per la velocità e la potenza
dei suoi colpi. Diventa presto un beniamino del pubblico per queste sue
caratteristiche, e perché termina molti
combattimenti vittoriosamente in
Anno 5 Numero 17
3 Maggio 2014
Addio Hurricane
Eroe di Verità e di Dignità
pochi round, spesso addirittura nel
corso della prima ripresa. L’incontro
che lo consacrerà l’idolo del pubblico
è quello in cui sconfigge con ko tecnico al primo round, mandandolo al
tappeto ben due volte, Emile Griffith
che era, in quel momento, campione
del mondo in carica, e che tornerà ad
esserlo dopo l’uscita di scena di
Rubin Hurricane Carter.
Poi, nel 1964 Hurricane perse in
modo palesemente ingiusto l’incontro
per il titolo con il pugile bianco Giardiello, con stupore, proteste e l’accusa
ai giudici, da parte di tutti gli addetti
ai lavori ed anche del pubblico, di
aver truccato l’incontro. Da quel momento Rubin Hurricane Carter visse
un periodo di profonda demotivazione a causa di una nuova ingiustizia
per il colore della sua pelle e del razzismo.. Ma ancora non immaginava
cosa l’odio razziale sarebbe stato in
grado di fare di lì a poco tempo.
La notte del 17 giugno 1966, due uomini di colore entrarono in un noto
zione di coscienza, e cioè rifiutandosi
di vivere la vita del carcere: per esempio studiava mentre gli altri dormivano, e dormiva mentre gli altri erano
impegnati in altre attività; decise di
non accettare di indossare mai la divisa del carcere poiché non era colpevole e quindi non accettava il regime
carcerario; rifiutava sigarette, riviste
o altre “distrazioni”, come lui le definiva, ma continuava ad allenarsi; leggeva autori che parlavano di libertà,
di giustizia,e faceva in modo di non
desiderare nulla di ciò che non
avrebbe potuto avere in carcere. Hurricane ripeteva spesso “hanno incarcerato il mio corpo ma non sono mai
riusciti a farlo con la mia mente”.
Durante quegli anni scrisse la sua autobiografia “The sixteenth round” che
portò molte persone del mondo dello
spettacolo, dello sport, della politica
a mobilitarsi per richiedere un nuovo
processo per Carter ed Artis manifestando apertamente i dubbi che le accuse avessero un movente di
bar di Paterson, cittadina in cui viveva
Hurricane, e fecero fuoco uccidendo
tre persone e ferendone altre. Un noto
criminale della zona, Alfred Bello,
dopo aver sentito gli spari, si apprestò
a derubare dalla cassa del locale e poi
chiamò la polizia raccontando di aver
visto due uomini di colore uscire di
corsa dal locale, e salire su di un’auto
con la quale fuggirono. In base alla
sua testimonianza, e a quella di un suo
complice, Rubin Hurricane Carter ed
il suo amico John Artis, che era in
macchina con lui, furono fermati
quella notte ed accusati di essere gli
esecutori di quella strage. Queste accuse portarono in prigione Carter e
Artis che furono processati e condannati più volte nel corso degli anni,
fino alla condanna definitiva di tre ergastoli ciascuno.
Hurricane, forte della sua innocenza
sempre rivendicata unitamente ad
Artis, decise di affrontare la carcerazione operando un’autentica obie-
persecuzione di tipo razziale. Bob
Dylan scrisse la famosissima canzone
“Hurricane” e portò in tour la storia di
Carter per sensibilizzare gli americani
su questa vicenda; Cassius Clay divenuto Mohamed Alì si schierò per un
nuovo processo mobilitando il mondo
della box a livello mondiale, e tanti
altri protagonisti di quella società in
quegli anni si schierarono per l’accertamento della verità con un nuovo
processo. Qualche anno dopo, Lesra
Martin, un ragazzo del bronx trasferitosi in Canada grazie ad alcune persone che si offrirono di sostenerlo
negli studi, comprò il libro di Hurricane in un mercatino dei libri usati.
Lesse la storia e si riconobbe in quella
storia. Decise così di scrivere ad Hurricane, e da quel momento nacque
un’amicizia tra loro che portò Lesra
ad andare a trovarlo in carcere. Lesra
Martin era convinto dell’innocenza di
Hurricane, e convinse di ciò i canadesi che lo sostenevano negli studi, al
punto che poi si trasferirono nel New
Jersey e cominciarono a lavorare al
caso giudiziario ricostruendo l’accaduto e raccogliendo e verificando personalmente tutte le prove. Fu così che
scoprirono, dopo tre anni di duro lavoro, che erano state contraffatte delle
prove essenziali utilizzate dall’accusa
per incriminare Artis ed Hurricane;
scoprirono, che alcune testimonianze,
a cominciare da quelle di Bello e del
suo complice, erano state manipolate
ed orientate a far dire loro ciò che poteva servire a far condannare Carter
ed Artis. Lesra Martin con i suoi
amici canadesi riuscirono a convincere gli avvocati difensori a presentare un ricorso alla Corte Federale per
ottenere la revisione del processo e
delle condanne. Nel 1985 il giudice
della Corte Federale, Haddon Lee Sarokin, accolse il ricorso consentendo
la consegna di nuove prove ed il riesame di quelle contraffatte, e così riconobbe che sia Rubin Hurricane
Carter che John Artis non avevano
avuto un processo equo e l’accusa nei
loro confronti “era basata su motivazioni razziali”. Carter ed Artis riacquistarono immediatamente la loro
legittima libertà Rubin Hurricane
Carter e John Artis avevano trascorso
19 anni in carcere ingiustamente, a
causa dell’odio razziale, a causa di un
sistema di valori che non guardava
l’uomo nella sua dignità della sua persona ma si fermava al colore della sua
pelle. Questa storia è stata raccontata
in modo magistrale nel film “Hurricane – Il grido dell’innocenza” di
Norman Jewison del 1999, con un’interpretazione meravigliosa da parte
dell’attore Denzel Washington nel
ruolo del protagonista. E’ un film che
consiglio vivamente di vedere.
Dopo questa esperienza Rubin Hurricane Carter costituì l’ADWC – l’Associazione per la Difesa dei
Condannati per Errore e ne è stato il
responsabile e l’anima fino al giorno
della sua morte. Inoltre Hurricane ha
dedicato molto tempo anche all’attività di “motivatore” grazie alla sua
esperienza, alla sua capacità di rimanere fedele a sé stesso, alla verità, alla
propria dignità di uomo. Quest’uomo
ha saputo superarsi, ha saputo andare
oltre i propri limiti, ha saputo operare
delle scelte nonostante abbia avuto
una vita difficile. Quest’uomo è un
esempio per tutti coloro che combattono battaglie difficili, per coloro che
hanno la tentazione di scegliersi un
alibi per compiere scelte più comode,
per andare per vie traverse, per vendere la propria dignità magari per un
pugno di soldi. La verità è una via
maestra che solo persone che hanno
forza e coraggio straordinari sanno affrontare e percorrere per ottenere il riconoscimento, la gratificazione e
l’onore che si deve ad un vero Eroe
del nostro tempo.
Grazie Rubin, la tua testimonianza
concreta soffia sempre con la forza
dell’Uragano!
Tempo
di
Grazia
per lo
Spirito
SPECIALE
Inserto dell’ Anno 5 Numero 17
Tempo
di
Grazia
per lo
Spirito
3 Maggio 2014
8
SPECIALE
Anno 5 Numero 17
3 Maggio 2014
Papa Francesco – Canonizzazione di Roncalli e Wojtyla
Non hanno avuto vergogna della carne di Cristo e del fratello
DON AGOSTINO PORRECA
Nella domenica che conclude
l’ottava di Pasqua e che San Giovanni Paolo II ha voluto intitolare alla Divina Misericordia,
Papa Francesco ha canonizzato
Giovanni XXIII e Giovanni
Paolo II. Al centro della liturgia,
a cui ha partecipato un milione
di fedeli provenienti da ogni
parte del mondo, ci sono le piaghe gloriose di Gesù risorto. «Le
piaghe di Gesù sono scandalo
per la fede, ma sono anche la verifica della fede. Per questo nel
corpo di Cristo risorto le piaghe
non scompaiono, rimangono,
perché quelle piaghe sono il
segno permanente dell’amore di
Dio per noi, e sono indispensabili per credere in Dio. Non per
credere che Dio esiste, ma per
credere che Dio è amore, misericordia, fedeltà». San Giovanni
XXIII e san Giovanni Paolo II ha affermato il Santo Padre –
«hanno avuto il coraggio di
guardare le ferite di Gesù, di
toccare le sue mani piagate e il
suo costato trafitto. Non hanno
avuto vergogna della carne di
Cristo, non si sono scandalizzati
di Lui, della sua croce; non
hanno avuto vergogna della
carne del fratello (cfr Is 58,7),
perché in ogni persona sofferente
vedevano Gesù». Sono stati due
uomini coraggiosi, pieni
della parresia dello Spirito
Santo, e hanno dato testimonianza alla Chiesa e al mondo
della bontà di Dio, della sua misericordia. Roncalli e Wojtyla
sono stati uomini contemplativi
delle piaghe di Cristo e testimoni
di «una speranza viva» e di una
«gioia indicibile e gloriosa»,
speranza e gioia pasquali, che
sono «passate attraverso il crogiolo della spogliazione, dello
svuotamento, della vicinanza ai
peccatori fino all’estremo, fino
alla nausea per l’amarezza di
quel calice» e che hanno donato
in abbondanza al Popolo di Dio,
ricevendone eterna riconoscenza.
Papa Francesco ha definito Giovanni XXIII il Papa della docilità allo Spirito Santo e Giovanni
Paolo II il Papa della famiglia.
Affidiamoci alla intercessione di
questi nuovi Santi Pastori perché
la Chiesa sia docile allo Spirito
Santo nel servizio pastorale alla
famiglia e non si scandalizzi mai
delle piaghe di Cristo, da cui
sgorga pace, vita e luce.
24 maggio 1992 la visita di San Giovanni Paolo II all’Arcidiocesi di Capua
GIOVANNA DI BENEDETTO
A chi sa che nei secoli passati lunghi anni trascorrevano tra la morte di un servo di Dio e la
sua elevazione alla gloria degli altari, non
sembra vero poter assistere alla canonizzazione di un personaggio conosciuto in vita.
Questo privilegio è toccato a noi, figli di
Capua, nel vedere proclamato santo da Papa
Francesco, unitamente a Giovanni XXIII, il
suo predecessore Giovanni Paolo II.
Una figura la cui statura eccezionale in “opere
e parole” è sotto gli occhi, e nel cuore, di tutti.
Mons. Luigi Diligenza e Papa Giovanni Paolo II
Qui vogliamo appena ricordare la sua solenne
visita pastorale alla nostra Arcidiocesi compiuta il 24 maggio 1992 in occasione del XVI
centenario del Concilio Plenario Capuano del
391-392, presieduto da Ambrogio vescovo di
Milano e che ebbe come oggetto particolare
dei suoi dibattiti: La verginità perpetua e la
divina maternità di Maria.
Presentando il volume commemorativo della
visita dal titolo: Benedetto colui che viene nel
nome del Signore, l’Arcivescovo Mons. Luigi
Diligenza ebbe a scrivere: “Nella sua bimillenaria storia la Chiesa di Capua ha accolto sul
proprio suolo diciannove Vescovi di
Roma, alcuni dei quali nelle vicende
storiche che li coinvolgevano hanno
trovato qui un porto di pace: Giovanni Paolo II è stato il primo Papa
venuto in visita pastorale”.
Ed infatti il suo soggiorno fu scandito da una molteplicità di incontri:
con sacerdoti, religiosi e religiose, i
giovani, il mondo del lavoro. E a
tutti il Papa rivolse parole colme di
sapienza, di fede, di luce, lieto di
trovarsi in una città “tanto celebrata
nell’antichità” e in una Chiesa “la
storia delle cui origini si confonde
con quella dei primi tempi dell’era
cristiana”.
Il Santo Padre concluse il Convegno
sul Concilio Capuano (19-24 maggio nel Duomo di Santa Maria
Capua Vetere) con una lezione di
mariologia, a giudizio di Mons. Diligenza “magistrale, ampia, impegnata, illuminante”.
Per la “memorabile occorrenza”
Mons. Centore, a nome della comunità diocesana, offrì al Santo Padre,
in edizione di pregio, la sua “opera
omnia” poetica corredata da alcuni
suoi saggi di commento, nonché un
canzoniere antologico in onore della
Madre di Dio dal titolo Inventario
d’amore a Maria, a complemento della sua relazione: “Verginità e maternità di Maria nella
poesia italiana, inclusa negli Atti del Convegno”.
Tanto impegno posto per la buona riuscita dell’evento meritò a don Centore queste parole
di ringraziamento da parte di Mons. Diligenza:
“Al carissimo D. Giuseppe Centore applaudito relatore nel Convegno Mariologico Internazionale, autore d’una raccolta di poesie
mariane, promotore della elegante edizione di
scritti di Sua Santità Giovanni Paolo II, in
segno dell’affettuosa riconoscenza dell’Arcivescovo e della Chiesa di Capua.
Con la benedizione del Signore, Pasqua
1995”.
Mentre noi ringraziamo Mons. Centore per
averci consentito di mettere mano nel suo archivio personale ed attingervi il “materiale”
per la composizione di questa pagina.
SPECIALE
Anno 5 Numero 17
3 Maggio 2014
9
A Sua Santità Giovanni Paolo II
Giovanni XXIII (Manzù)
In Memoria
A misura che avanza il silenzio
In ogni fibra spasimata e santa
Della tua carne ormai transustanziata
In quella sanguinante del Signore
La tua immobilità fattasi trono
Della sapienza eterna che traspare
Diafana e possente da ogni gesto
Da ogni tremante battito di ciglio
Della persona tua vivente icona
Del Christus Patiens usque ad mortem
Non sono più parole sono dardi
Che trapassano cuori e aprono menti
In cui irrompono insieme alla tristezza
Per l’amore ferito che portiamo
A te dolente, indomito e assenziente
Al volere inviolabile del Padre
Fiumi d’arcana forza e di speranza
Che accorciano lo spazio intercorrente
Tra cielo e terra, l’imo ed il sublime
E svelano tangibile e avvincente
Nel tuo il sembiante tenero dell’Uno
Nel tuo sorriso la Trinaria luce.
Giuseppe Centore
Papa Giovanni muore
Ut omnes unum sint.
Muore ma con amore.
Col sale d’una lacrima
alle labbra
impasto nei ricordi
il titolo d’un quadro
di Mirò:
«L’Uccello
con lo sguardo calmo
e l’ali in fiamme».
Giuseppe Centore
Anche Giovanni XXIII, a suo modo fu
poeta benché in prosa, come si può evincere da questo brano tratto dal suo: Il
giornale dell’anima:
Mons.Diligenza saluta Papa Giovanni Paolo II
“Dalla finestra della mia camera, qui in partenza per Roma
presso i padri gesuiti, osservo tutte le sere
un assembrarsi di barche sul Bosforo;
spuntano a decine, a centinaia, dal Corno
d’oro; si radunano a un posto convenuto,
L’agonia di Giovanni Paolo II
e poi si accendono, alcune più vivacemente, altre meno, formando una fantaMentre l’ombra scendeva sui tuoi occhi
smagoria di colori e di luci
E il cuore scivolava nella nebbia
impressionante. Credevo che fosse una
Perdutamente dolce il tuo occultare
festa sul mare per il Bairam che cade in
Dietro lo strazio d’una smorfia irata
questi giorni. Invece è la pesca organizIl tuo pianto d’arcangelo ferito
zata delle palamite, grossi pesci che si
In
quel precario ed angoscioso istante
dice vengano da punti lontani del Mar
Nel quale è troppo tardi per restare
Nero. Queste luci durano tutta la notte, e
E ancora presto per andare via
si sentono le voci gioiose del pescatori.
Trattenuto
a mezz’aria dalle stelle
Lo spettacolo mi commuove. L’altra notte
E un piede ancora avvinto a questa terra
verso l’una pioveva a dirotto, ma i pescaIn spasmodica attesa d’una Mano
tori erano là, impavidi alla loro rude faChe spezzato ogni ormeggio ti lasciasse
tica.
Risucchiato da un vortice di luce
Oh, che confusione per me, per noi preti,
All’abbraccio trinario dell’Amore.
( piscatores hominum) davanti a questo
esempio!”.
Giuseppe Centore
Follaro d’oro fuso durante il principato del normanno Riccardo II
(1090-1195), donato dalla Coop Culturale “Capuanova” al Santo Padre
Salve, Madre del redentore,
icona luminosa della Chiesa,
madre e sorella nostra
nel cammino di fede.
Con te ascende
da Oriente a Occidente,
unanime , il cantico di lode
all’unico Signore.
Per te rinasce la speranza
oltre il millennio che chiude,
verso il nuovo che avanza.
Misericorde, supplica per noi:
lo Spirito del tuo Figlio,
la sapienza del cuore
giorni di pace.
Giovanni Paolo II
Il Santo Padre mentre firma una copia del libro delle
sue “Poesie”
10 SPECIALE
Anno 5 Numero 17
3 Maggio 2014
Un aspetto poco noto del magistero di Giovanni Paolo II
Il meglio deve ancora venire
ASSUNTA E PIERO DEL BENE
“Santo subito” gridava il
popolo santo di Dio il
giorno dei funerali di
Woityła. In un tempo record, dopo solo 9 anni
dalla morte, finalmente la
solenne canonizzazione.
S. Giovanni Paolo II è
stato un profeta per l’intero mondo, cattolico e
non. Con la sua frase storica “Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo” ha
cercato di porre al centro
del suo pontificato
l’uomo nella sua totalità.
Tutto ciò che ha detto e
ha fatto era continuamente ancorato alla realtà, accompagnato
com’era da quell’antropologia adeguata, che
egli ha cercato di descrivere a sostegno della vita
cristiana. In questi giorni
sono stati raccontati tanti
aspetti delle poliedriche
personalità e produzione
del “Papa della famiglia”.
Noi vorremmo, qui, soffermarci sulla sua meravigliosa antropologia
portata avanti nelle 133
catechesi sull’amore
umano.
Il Santo Padre con esse
cerca di costruire, partendo dal principio genesiaco, “un’antropologia
teologica del corpo” o,
potremmo dire, una visione “integrale dell’uomo” fatta di corpo e
spirito. Senza una tale visione integrale non si può
dare risposta agli interrogativi comuni a temi
quali il matrimonio, la
verginità consacrata, la
procreazione, la spiritualità e quindi la santità e la
mistica.
Con queste Catechesi,
egli ha voluto dire all’uomo chi è, ha voluto
mostrargli la verità intera
del suo essere alla luce
del mistero della creazione e della redenzione,
rivalutando in modo innovativo e consapevole il
ruolo del corpo.
«La teologia del corpo è
una pedagogia che vuol
farci capire il vero senso
del nostro corpo» e con
esso l’integrum dell’uomo, oggi messo in pericolo da molteplici
concezioni parziali.
Come non pensare a
quanto svilenti da questo
punto di vista siano le deboli e talvolta farneticanti
teorie che si riassumono
sotto l’etichetta del Gender?
Giovanni Paolo II propone, quindi, una riflessione sull’amore umano
in quanto via privilegiata
che Dio ha scelto per rivelare se stesso all’uomo
chiamandolo in questo
amore ad una comunione
nella vita Trinitaria. Per il
Pontefice l’incontro personale dell’uomo con il
Mistero avviene nell’esperienza dell’amore.
La mentalità contemporanea tende a vedere il Mistero e quindi la fede
come un qualcosa di “aggregato” all’esistenza
quotidiana, come se si
trattasse di un elemento
decorativo dal quale si
potrebbe anche prescindere. È come se la vita
reale rimanesse ancorata
alle cose terrene mentre
la fede e quindi la vita
spirituale restasse assorta
nel contemplare il cielo.
Se il nostro punto di partenza, però, è rispondere
alla domanda esistenziale
dell’uomo, la risposta è
da ricercare nello stupore
che l’uomo prova dinanzi
alla rivelazione dell’amore. Giovanni Paolo
II partendo, quindi, dall’esperienza dell’amore
vuole evitare l’isolamento ed il soggettivismo in cui può cadere
l’uomo contemporaneo.
L’uomo da solo, cioè
senza l’incontro gratuito
con la persona amata e
senza la sua risposta libera, non può generare
l’amore. Solo l’amore,
nel quale l’uomo trova la
sua identità, lo apre all’incontro con l’altro
conducendolo verso Dio,
verso il Trascendente. La
rivelazione dell’amore
avviene proprio nel pieno
della nostra vita quotidiana, nel mondo, a con-
tatto con gli altri. Nella
sua prima enciclica, (Redemptor Hominis, 10) il
Santo Padre ricordava:
«L’uomo non può vivere
senza amore. Egli rimane
per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita
è priva di senso, se non
gli viene rivelato l’amore,
se non s’incontra con
l’amore». L’uomo, potremmo dire, dunque,
trova il suo significato
nell’amore e Cristo viene
a spiegarci chi siamo rivelandoci la pienezza dell’amore. Gesù ci permette
di amare come Lui ama e,
in questo modo, conduce
il nostro cammino di
amore verso di Lui. Tale
cammino d’amore, che
attraversa sia il matrimonio che la verginità consacrata, conduce l’uomo
alla risurrezione finale
nei cieli.
La teologia del corpo si
pone alla base di una
unità sostanziale di corpo
ed anima che costituisce
la natura della persona
umana contro ogni dualismo che volesse confinare il corpo alla periferia
della persona. Così da
poter giungere ad affermare che è mediante la
loro sessualità (e non nonostante essa!) che gli
sposi e i vergini consacrati sono chiamati ad
avanzare nella santità.
La centralità della sessualità costituisce una chiave
ermeneutica fondamentale dell’opera di Wojtyła.
Le Catechesi, infatti,
sono il frutto di uno studio sistematico sull’amore umano che iniziò
subito dopo la pubblicazione della profetica e
non da tutti ben vista
(anche all’interno della
Chiesa!) enciclica di
Paolo VI Humanae vitae
che portò, in seguito,
Giovanni Paolo II ad individuare la necessità di
seguire gli uomini per
“insegnare loro ad
amare” perché solo in
questo modo potevano
essere concretamente felici in qualsiasi scelta vocazionale.
Anche se molti tendono a
sminuire l’opera grande
racchiusa nelle catechesi
affermando che esse sono
“solo delle catechesi” e
che quindi esse siano
prive di autorità svilendo
l’apporto patristico, biblico e magisteriale che
esse contengono si spera
che dopo la sua santificazione lo scrigno delle catechesi venga mostrato a
tutti gli uomini e non
chiuso e riposto in uno
scaffale: è questa la preoccupazione che un suo
grande studioso ci ha di
recente confidato, durante
un convegno: “Si ha la
sensazione che una volta
fatto santo, si voglia confinare in una scomoda libreria il suo denso e
profetico insegnamento”.
È proprio degli ultimi
mesi, il dibattito intraecclesiale teso a considerare
la Familiaris Consortio
un documento superato
ed arcaico perché gli
eventi degli ultimi mesi
la sembrano relegare ai
libri di storia. Riteniamo,
invece, che il meglio
dell’insegnamento di
Giovanni Paolo II debba
ancora essere rivelato e
che esso sia una risorsa
ancora tutta da scoprire
soprattutto nell’era delle
rivendicazioni Lbgt e
delle rieducazioni di
stato. Grazie, S. Giovanni
Paolo II, papa delle famiglie, per la sua testimonianza e per il grande
dono delle catechesi
sull’amore umano. Voglia
seguire, dall’alto dei cieli,
le fragilità delle nostre famiglie ed il cammino
della Chiesa, fino a portarci ad aprire le “nostre”
porte a Cristo. San Giovanni Paolo II, prega per
noi.
CHIESA 11
Anno 5 Numero 17
3 Maggio 2014
Le “nozze d’oro” di Mons. Andrea Monaco
50 anni nella Comunità parrocchiale di Casapulla
MARIA BENEDETTO
Siamo andati in quel di Casapulla, noi di Kairosnews, per intervistare mons. Andrea Monaco che
il 1 maggio festeggia 50 anni di ministero parrocchiale nella stessa Comunità. E’ questo un momento celebrativo veramente significativo perché
testimonia la fedeltà di un presbitero alla Chiesa,
alla sua sposa, ad una parrocchia. Con don Andrea
vogliamo sfogliare l’album dei ricordi partendo da
quel lontano 1 maggio 1964…
Mons.Andrea, siamo qui, alla vigilia della festa
per sentire come state vivendo questo momento
così significativo nella vita della comunità di
Sant’Elpidio, ma anche e soprattutto nella vostra storia personale.
Io devo dire innanzitutto grazie al Signore che mi
ha dato la gioia di venire in questa comunità parrocchiale. Ricordo bene quando Mons. Leonetti mi
chiamò e disse: “A Casapulla si è resa vacante la
parrocchia di Sant’Elpidio Vescovo e io
vorrei che ci andassi tu”. Avevo 34 anni,
ero giovanissimo e sono venuto qua con lo
Spirito di colui che è mandato dal Signore.
Il Signore ha detto: “Andate, predicate, annunciate, testimoniate” ed è questo lo Spirito che ho sempre avuto. Sono venuto
armato di buona volontà, sono venuto per
lavorare perché, essendo figlio di contadino, ho sempre lavorato. Mi sono rimboccato le maniche e ho lavorato tanto...e
lavoro tuttora. Mi sono trovato a fare un lavoro pastorale enorme sia dal punto di visto
organizzativo sia dal punto di vista pastorale: ho cominciato col restaurare la chiesa
e tutti i quadri, riorganizzare le funzioni
sacre, le processioni, le congreghe. Man
mano si è andato avanti e si è cominciato a far luce:
ecco le prime organizzazioni, l’Associazione Cattolica, le congreghe, l’oratorio che, grazie al lavoro
incessante di don Luigi, è la fine del mondo.
Sappiamo che avete avuto sempre interesse per
i pellegrinaggi. Cosa ha significato per voi conoscere altri popoli, altre culture, altre religioni?
E’ vero, ho sempre avuto la passione dei viaggi: in
circa 30/40 anni ho visitato tutti i popoli del mondo,
dal Giappone fino all’America del Sud, in Argentina quando Papa Francesco era un giovane sacerdote io ero lì a Buenos Aires. Così ho imparato ad
amare tutti i popoli, il mio cuore si è allargato, nel
senso di non essere legato solo a questa comunità
parrocchiale, per me tutto il mondo è una comunità
parrocchiale. Ho portato a Lourdes migliaia di persone; la Diocesi di Capua si è sempre fatta onore
con i suoi pellegrinaggi a Roma. Addirittura, in un
Anno Santo, portammo a Roma circa 8600 pellegrini con 9 treni: tre partirono da Marcianise, tre da
Santa Maria Capua Vetere e tre da Capua: fu un avvenimento che il Cardinale Sepe, che allora era
l’organizzatore, se lo ricorderà certamente.
Nel messaggio indirizzato per l’occasione alla
vostra comunità parrocchiale avete scritto – cito
testualmente - che “spesso vi domandate il perché di un periodo così lungo trascorso nello
stesso posto di lavoro”. Avete trovato una risposta a questa domanda?
Io dovrei dire che sono un miracolato, perché già
da ragazzo il Signore mi ha protetto. In parecchie
occasioni ho corso il rischio di essere espulso dal
seminario. Ricordo, ad esempio, nel 1945, nel periodo dopo la guerra, nel seminario con gli altri facevo la fame; un giorno decisi di mangiare
abbondantemente, scesi in dispensa e mangiai tutto
quello che trovai insieme ad altri tre miei compagni
di seminario. Ebbene due furono pescati e mandati
via all’istante, mentre io e un altro per fortuna continuammo ad essere seminaristi. Tante altre grazie
ho ricevuto dal Signore, il quale mi ha chiamato ad
essere prete nonostante i miei peccati, nonostante
in famiglia non sia stato il migliore dei miei fratelli,
ma il Signore nella sua divina misericordia ha
scelto me e di questo non ringrazierò mai abbastanza il Signore.
Avete detto di aver chiesto al Signore di perdonarvi per non aver fatto sempre la Sua volontà.
In quale situazione concreta questo è capitato?
La sua volontà intesa nel senso che qualche volta
sono andato un pochino al di là degli ordini dei su-
periori quando ho visto, davanti a Dio, che l’ ordine
del superiore non collimava con la pastoralità. Ad
esempio, ricordo che, appena venuto qui, il Vescovo mi ordinò di fare la processione in un certo
modo; al che io dissi: “A Casapulla da 7/8 secoli la
processione si fa in un certo modo. Non posso io
che sono arrivato da così poco tempo rivoluzionare
tutto. Mi dia del tempo”. Il Vescovo mi punì e, per
due anni, non mi permise più di insegnare nella
scuola media. Io non accettai la punizione e pensai
che il Vescovo non era mai stato parroco. Poi gli
chiesi scusa per averlo giudicato male. Il parrocato
è difficile, bisogna stare in mezzo alla gente: il parroco è come il papà di famiglia, che non può pretendere dal figlio che subito faccia la sua volontà
per cui se il figlio deve capire, anche il papà deve
comprendere la mentalità del giovane.
Di voi si è sempre detto che “avete il coraggio di
dire e il coraggio di fare”. Questo vostro modo
d’essere vi ha creato qualche problema di relazione all’interno della comunità parrocchiale?
Ricordo che quando venni a Casapulla mi trovai
tutti contro, anche perché mi si diceva: “è venuto a
comandare”, ma se per comandare si intendeva dire
“a condurre secondo la volontà della Chiesa e di
Dio la parrocchia”, andava bene e l’accettavo, ma
se si intendeva comandare per ansia di potere, questo no. Mi sono sempre considerato il servo di tutti,
del popolo che Dio mi ha affidato. Io ho sempre lavorato fin dal seminario, ho fatto tutti i mestieri;
quando venni qui ho fatto l’idraulico, ho fatto
l’elettricista, ho fatto il manuale, ho sempre lavo-
rato e continuo a lavorare, ma questo non è sempre
accettato dalla comunità.
Tutti ben conoscono la vostra devozione alla
Vergine Maria. A Lei vi siete affidato nei momenti di difficoltà?
Io ho sempre avuto una grande devozione verso la
Madonna, dovunque sono andato, dal Brasile all’Africa, mi sono sempre sentito un miracolato
della Madonna. Nella casa di Santa Maria Capua
Vetere, perché io sono sammaritano, ho una collezione di Madonne, anche una Madonna nera, che
ho comprato nello Zambia tanti anni fa. Sono devoto anche della Madonna di Lourdes, di Fatima,
di Czestochowa. Però l’amore principale è per Dio
e per l’Eucarestia: io durante la santa Messa continuo a dire anche oggi: “Se volete essere autentici
cristiani, innamoratevi di Gesù Eucaristico e fatevi
guidare da Lui”. Dovremmo fare come San Giovanni Maria Vianney il quale, durante la Messa,
s’incantava a guardare l’Eucarestia e, quando qualcuno gli tirava la veste per dire: “Padre, il
tempo passa”, lui rispondeva: “Non mi disturbate, io sto con il mio Dio e con il vostro
Dio” e rimaneva in estasi davanti a Gesù sacramentato.
Veramente vi sentite al tramonto del vostro ministero parrocchiale?
Sono stato abituato a stare con i piedi per
terra. Non posso non pensare a Papa Ratzinger: quando si è dimesso da Papa, io detto a
me stesso: “E’ arrivato anche te questo momento!” L’ho pensato non perché non voglia
lavorare, ma per il carico di responsabilità
che, per la mia età, non posso più sopportare. Quando il parroco vuole fare il parroco
per davvero, deve caricarsi di tante responsabilità e tante volte si sente impreparato,
non all’altezza. A 84 anni io non posso diventare
giovane e un ragazzo, un giovane vuole poter far
riferimento ad sacerdote giovane. Noi sacerdoti
dobbiamo riconoscere che i giovani dell’epoca moderna e le loro attività non sono quelli di una volta.
Una volta noi stavamo in sagrestia e aspettavamo
che la gente venisse in chiesa. Oggi la strada dell’evangelizzazione ce la indica Papa Francesco
quando dice: “Andate nelle periferie, uscite e andate a pescare quelli che non vengono e domandatevi perché non vengono, magari è colpa vostra!”.
Don Andrea, un pensiero conclusivo?
Ieri con altri sacerdoti ho fatto il conto delle messe
che ho celebrato e davanti a quel numero enorme
io ho detto a me stesso: “La messa che dici domani
mattina (1° maggio) è la stessa messa del 15 luglio
1956 (quando sono stato ordinato sacerdote)?”
Guai se dicessi: “Allora avevo la gioia di essere
prete, adesso non tanto” La gioia di celebrare l’Eucarestia è sempre con la stessa. La messa o la dice
il Papa o l’ultimo sacerdote è sempre la Messa. Ricordiamo che il Signore ci vuole bene sempre,
anche nel peccato. Un pensiero che dico ai miei fedeli, un pensiero sempre di Papa Francesco: “Non
abbiate paura del peccato, ma abbiate paura di non
confessare il peccato”. E’ come se avesse detto: se
vi sentite nella paura, nel fango, risorgete subito,
perché il Signore questo vuole: che viviamo da risorti, annunciando con la vita la Resurrezione di
Gesù.
12 VITA CONSACRATA
Le Suore in pellegrinaggio con il loro Vescovo
Una giornata come profezia del dono,
preludio del Paradiso!
SUORROSA TROMBETTA
Il 26 aprile scorso le suore della
Diocesi di Capua, appartenenti a
varie Congregazioni, hanno vissuto una giornata di speciale comunione in compagnia
dell’Arcivescovo S. E. Mons.
Salvatore Visco e del vicario per
la Vita Consacrata Mons. Elpidio
Lillo. E’ stato un vero e proprio
pellegrinaggio svoltosi all’insegna della preghiera e del dono.
Per sintetizzare possiamo, infatti,
dire che ci è stato dato in dono la
compagnia delle sorelle, lo Spirito di comunione e la gioia della
condivisione. La giornata è iniziata con la celebrazione delle
Lodi all’interno del pullman, arrivate poi alla Basilica dell’Incoronata ci siamo preparate alla
liturgia Eucaristica, seguita dalla
visita alle catacombe di San
Gennaro. In seguito è stato servito un lauto pranzo presso la
casa delle Suore Francescane dei
Sacri Cuori e nel pomeriggio abbiamo avuto la sorpresa della
pioggia che ha compromesso un
po’ la visita alla Solfatara di
Pozzuoli, ma è stato comunque
bello ammirare le fumarole putolane uscire dal cratere in cui eravamo immersi ed ascoltare la
guida che con grande impeto e
passione ci ha spiegato la bellezza della “terra dei fuochi”. Infine abbiamo concluso la
giornata con la celebrazione dei
Vespri all’interno del Santuario
del Volto Santo di Napoli, dove
abbiamo potuto contemplare
davvero il volto del Dio vivente
in mezzo a noi. Per farvi meglio
comprendere le emozioni vissute
durante questa bella giornata ho
pensato di chiedere ad alcune
consorelle di esprimere la loro
esperienza.
Suor Luisa: Dovendo scegliere
un momento della giornata che
porterò nel cuore sicuramente
scelgo quello dell’omelia fatta
dal nostro amato Arcivescovo
durante la Celebrazione Eucaristica. Egli ci ha portato a meditare sull’essere della vita
consacrata “profezia” nella
Chiesa e nel mondo, del “già”
che viviamo e che dobbiamo
mostrare agli altri, ai nostri fratelli nel mondo intero; e del “non
ancora” promessoci dalla Resurrezione del Figlio di Dio, il quale
non ci ha amate, né chiamate per
scherzo, ma perché unendoci a
Lui diveniamo fiaccole luminose
che additano la strada. Quale
strada? Quella dell’amore misericordioso e travolgente con il
quale egli ci ha amate e ama ogni
suo figlio. Quello stesso amore
dal quale è amato dal Padre e che
ogni giorno ci dona in eredità
nell’Eucarestia. Quell’amore che
non dobbiamo mai stancarci di
chiedere in dono, così da poterlo
donare a nostra volta. Quell’amore che è la forza trainante
della vita fraterna, proprio perché viene dal Signore e dona la
forza di superare ogni affanno,
ogni difficoltà ed ogni tristezza.
Quindi la vita consacrata, nonostante le difficoltà e i limiti
umani deve essere nella Chiesa e
nel mondo profezia dell’amore
infinito di Dio.
Sr. Catherine: Per me questa
giornata è stata importantissima,
in quanto non sempre è possibile
vivere momenti di spensieratezza insieme alle consorelle,
non solo della propria Congregazione, ma anche di altre famiglie
religiose. Infatti è stato bello
suonare e cantare insieme durante la celebrazione Eucaristica,
curata da ciascuna di noi e vissuta con semplicità e profondità
di spirito di comunione. Abbiamo assaporato in questa giornata la genuina gioia di stare e di
pregare insieme, così come recita
il Salmo 132: “ecco com’è
buono e soave che i fratelli vivano insieme. E’ come olio profumato … È come rugiada
dell’Ermon … là il Signore dona
la benedizione e la vita per sempre”.
Sr. Belen: Tutti i momenti vissuti insieme alle consorelle sono
belli, ma la gioia che abbiamo
potuto leggere sul volto di ciascuna suora in modo più eclatante è stato il momento della
Anno 5 Numero 17
3 Maggio 2014
convivialità. Abbiamo iniziato il
pranzo cantando Iubilate Deo, il
che ha dato il “la” per stare bene
insieme e continuare nella letizia
fraterna. E’ stato preparato un
ricco banchetto multiculturale,
fatto di lasagne al forno, bihon,
cous cous, pollo con anacardi,
riso piccante e una varietà infinita di dolci e frutta. Abbiamo
fatto davvero Pasqua insieme! Ci
voleva una giornata così lieta per
esprimere il tempo liturgico che
stiamo vivendo, espresso ancora
con più forza attraverso questa
gioia fraterna, come preludio del
banchetto nuziale e profezia di
ciò che saremo tutti in Paradiso.
Sr Elvira: Io vorrei sottolineare
il dono più grande della giornata
che Dio, Padre buono, ci ha elargito: la compagnia del nostro
amato Arcivescovo, a cui è rivolto il pensiero grato e riconoscente per la bellissima giornata
che ci ha offerto con tanta generosità e che ricorderemo con
grande affetto e con una preghiera filiale quotidiana. Non è
dato a tutti stare in compagnia
del proprio Pastore per una giornata intera, eppure lui ce l’ha
concessa e donata con grande disponibilità e amore. Abbiamo
veramente un grande Padre che
guida i suoi figli non solo con la
parola, ma con i gesti e le opere
buone. Nel ringraziarlo gli auguriamo una lunga vita e un fecondo apostolato per il bene di
tutti i fedeli della Diocesi di
Capua.
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3 Maggio 2014
VITA CONSACRATA 13
Dall’omelia di Sua Eccellenza Mons. Salvatore Visco alle Suore della Chiesa di Capua
Il coraggio di una testimonianza quotidiana
Abbiamo iniziato questa celebrazione, accompagnati dal canto che avete scelto, che è una
elaborazione, un richiamo della Prima lettera
di Giovanni: “Colui che noi abbiamo visto,
che abbiamo ascoltato, che abbiamo toccato,
cioè il Verbo della vita, noi ve lo annunziamo”. Questo è in fondo il centro della fede
cristiana e l’impegno della missione di ciascuno. Spesso noi richiamiamo e sottolineiamo lo specifico della vita consacrata con una
frase che, dato che è più volte ripetuta, potrebbe non essere più forte e potrebbe non incidere più bene nella nostra quotidiana
esistenza. Che cos’è la vita consacrata? E’
profezia del mondo che verrà. Anch’io l’ho
ripetuta tante volte e sicuramente l’avrete ripresa nelle vostre riflessioni nelle singole comunità. Che significa? E’ l’annuncio di
qualche cosa che non è ancora vissuto, non è
vissuto dal mondo e noi dovremmo far vedere
come viviamo. Ma quand’è che una profezia
ha senso? Non quando viene annunziata, ma
quando viene vissuta. Quindi dire che la vita
consacrata è profezia del mondo che verrà, significa: “Vedete, noi viviamo, naturalmente
nei limiti dell’umano e del tempo, quello che
un giorno tutti saremo” e qua ci dobbiamo domandare: “Ma noi lo facciamo davvero? I nostri fratelli e sorelle laici, quando ci vedono,
comprendono questo? L’abito già è un annuncio, ma non basta. Ci vuole il coraggio di una
testimonianza quotidiana, fuori e dentro perché anche all’interno della comunità è difficile. Ricordate le parole di S. Gregorio Magno
sulla vita consacrata: “Vita communis, maxima poenitentia”, ma allora se è penitenzia,
perché la faccio? Perché verso quell’incontro
con il fratello, la sorella io mi santifico insieme con lei e divento profezia del mondo
che verrà. Questo coraggio l’hanno avuto i no-
SUOR SCOLASTICA FIRINU
Un saluto affettuoso a tutte le religiose della
Chiesa di Capua, intervenute così numerose
per vivere questo pellegrinaggio. E dico benvenute nella casa della Madonna. E’ con lei
che vogliamo vivere questo giorno perché a
lei vogliamo affidare le nostre Comunità, ciascuna di noi, affinché possiamo vivere in questo giorno speciale della festa della Madonna
questa comunione con lei affinché ci insegni
a realizzare nella nostra vita quel progetto di
Dio per essere luce del mondo, luce nella nostra Chiesa di Capua, luce nel mondo che ci
circonda e tutte insieme, noi religiose della
Chiesa di Capua, vogliamo salutare il nostro
caro Arcivescovo, Mons. Salvatore Visco, un
padre che ci accompagna, che ci fa sentire la
sua sollecitudine e il suo affetto. Vogliamo affidare alla Madonna il nostro Pastore, il suo
ministero episcopale affinché possa dare frutti
di santità e di comunione nella chiesa di
Capua. Voglio ancora rivolgere il mio saluto
con tutte le religiose al Delegato per la Vita
Consacrata, Mons. Elpidio Lillo, che ci accompagna e ci segue con la sapienza del
stri antenati della fede, gli Apostoli. Cosa rispondono Pietro e Giovanni ai capi del popolo? “Vi proibiamo ancora di annunciare la
resurrezione di tuo figlio, giudicate voi stessi
se è più giusto obbedire a Dio o agli uomini”.
Noi non possiamo che obbedire a Dio. Come
obbediamo a Dio? Sorelle carissime, obbediamo ricordando gli inizi della nostra vocazione. Ognuno di voi sente il momento in cui
si è sentita chiamata e anche noi sacerdoti ricordiamo il momento in cui per la prima volta
questa voce di Dio ci ha toccato particolarmente e da quel momento, siamo chiamati a
prendere delle decisioni realizzando, per
quanto ci è umanamente possibile, la volontà di Dio dentro di noi. Questo è il
grande coraggio che permette a ognuno di
noi di fare miracoli. In una società molto
laica, quando vedono passando vicino a voi,
anche se non c’è l’adesione di fede, il fatto
stesso di vedervi è un annuncio. C’è qualcuno
che ci dice qualcosa. Noi dobbiamo fare esegesi, spiegazione di quello che noi siamo, al
di là del segno dell’abito, al di là delle nostra
silenziosa presenza, il coraggio della testimonianza: è necessario obbedire a Dio. Che
cosa annunziamo? Che al di là della povertà
umana, dell’incapacità umana di riconoscere
in se stesso il volto del Signore, il Dio che lo
ha creato, dà all’uomo una nuova speranza e
gli permette di nuovo di cantare l’alleluia.
Questo l’annuncio pasquale, questo è quanto
ciascuno di noi è chiamato per dovere e per
piacere, questo quello che Gesù ha detto agli
Apostoli: “Andate in tutto il mondo, predicate
il vangelo ad ogni creatura, chi crederà e sarà
battezzato sarà salvo”. E’ il dono dello Spirito
Santo, che a Pentecoste gli Apostoli ricevono,
che permette a coloro che sono fuggiti il venerdì santo e che hanno avuto difficoltà e
anche dubbio il giorno della resurrezione, di
sentirsi investiti di questo grande compito,
di questa grande missione: dire a tutti che
è stata fatta la pace tra Dio e l’umanità.
Questa continua effusione dello Spirito avviene sotto gli occhi di Maria, Maria che è
l’esperta dello Spirito Santo, che è presente
con gli Apostoli in preghiera per riceverlo.
Maria è il faro della nostra salvezza, l’ancòra,
la stella luminosa, alla quale continuamente
noi possiamo rivolgerci e rivedere in lei la
Madre di Dio e Madre nostra. Questo rende
ancora più bella l’esperienza della vita consacrata: sentire vicina Maria, con lei vivere la
beatitudine del Vangelo, perché con lei noi vogliamo ascoltare e mettere in pratica la Parola
di Dio.
Saluto di suor Scolastica Firinu,
delegata USMI Diocesana,
all’inizio della
Celebrazione Eucaristica
cuore nel nostro cammino spirituale. Nella
comunione di Gesù Cristo risorto, in compagnia della Vergine Maria vogliamo vivere
questa giornata di gioia, di fraternità, di forte
spiritualità, perché davvero possiamo essere
quello che il Signore vuole da noi: una testimonianza di Gesù risorto.
GRAZIE!
Un ringraziamento specialissimo al nostro Arcivescovo per il dono del Pellegrinaggio al
Santuario dell’Incoronata di Capodimonte. E’
stata una giornata stupenda, colma di ricchezza spirituale, di cultura e di fresca fraternità, che accresce senza dubbio la comunione
tra i vari Istituti di Vita Consacrata. Sperimentare la presenza del nostro Pastore, e la sua
paternità attenta ci fatto del bene.
14 VITULAZIO
La festa in onore della Beata Verigine dell’Agnena
Risorti in Cristo con
Maria cerchiamo le
cose di lassù
DOMENICO CUCCARI
“Risorti in Cristo, con Maria cerchiamo
le cose di lassù”, con queste parole Don
Pasquale ha presentato la tradizionale
festa che si tiene ogni anno nella domenica in Albis, II di Pasqua, in onore della
venerata Maria SS. dell’Agnena. E a
sua volta S. E. Mons. Pietro Lagnese
non ha fatto mancare la sua voce e nel
messaggio inviato per l’evento a lui
tanto caro, nel confessare che “mi fa un
po’ strano non esserci”, ha riproposto la
bellissima preghiera scritta a conclusione della Lettera Pastorale alla comunità ischitana in cui invoca la Beata
Vergine: “Santa Maria dell’Agnena, vienici a cercare!”. E, in effetti, don Pietro
sottolinea che il peregrinare della statua
della Madonna fino alle periferie del territorio vitulatino è proprio quello di venire a cercare i figli per riportarli a casa.
Questo devoto peregrinare si ripete sempre nella domenica dopo la solennità
della Risurrezione del Cristo nonostante
l’incognita del tempo: quest’anno, per
le avverse condizioni atmosferiche, la
processione si è sviluppata in due giornate, domenica e lunedì, come già capitato qualche altra volta nel passato. Si è
sperato sino all’ultimo che le previsioni
del tempo fossero fallaci, ma così non è
stato. C’è sempre un pizzico di amarezza quando la pioggia costringe a dividere in due parti il percorso, ma nessuno
ormai se ne rammarica più di tanto.
D’altronde, una fede matura è una fede
che sa vivere soprattutto le contrarietà di
cui si fa l’esistere umano. E la Madre di
Gesù l’ha dimostrata sempre, credente
nel cuore e nelle opere anche quando
s’inerpica con il Figlio lungo i sentieri
del Calvario. Come scrive Erri De
Luca: “credente non è chi ha creduto
una volta per tutte, ma chi, in obbedienza al participio presente del verbo,
rinnova il suo credo continuamente”.
Bisognerebbe ricordarsi che in ogni
momento dei giorni terreni questa è la
condizione del cristiano. Il Comitato,
con il suo brillante Presidente Pasquale
Coppa, anche quest’anno ha fatto le
cose in grande. A cominciare dalla scelta
del carro, portato per le strade dagli accollatori (da tempo costituitisi in associazione), su cui è stata posta
l’immagine della Vergine rivestita dei
doni votivi (oggetto di esposizione e di
un convegno il 1° maggio),con un addobbo floreale fatto di buon gusto, delicato e raffinato insieme. L’uscita della
statua dalla Chiesa, così come il suo rientro, sono stati salutati da un caloroso
applauso dei numerosi fedeli presenti e
commossi, nell’esplosione del giubilo
nelle sue variegate manifestazioni. Ancora una volta il Comitato ha bardato il
paese di artistiche arcate scintillanti di
luci e in particolare ha colpito la maestosa struttura allestita in piazza rappresentate il castello ducale di Venezia e
illuminata da migliaia di lampadine
multicolori dove la gente si è soffermata
a scattare foto – ricordo. Le bande musicali hanno creato il magico clima della
festa con le note che sono risuonate per
le strade recando ovunque quell’allegria
antica, di quando si portavano i calzoni
corti… Molto curato anche il cartellone
delle manifestazioni nella settimana di
festeggiamenti tra cui: una serata di
canti popolari con gli amici del Gruppo
“ARIANOVA” di Pignataro Maggiore
che vantano una duratura collaborazione con Eugenio Bennato e che hanno
il merito di aver ridato lustro ai testi
della tradizione orale sotto forma di tamurriate, tarantelle e pizziche utilizzando gli strumenti della cultura
popolare; l’ esibizione del noto cabarettista Ciro Giustiniani dello spettacolo
televisivo “ Made in Sud”, Ciro Giustiniani. Il clou è il concerto del noto cantautore Roberto Vecchioni, vincitore tra
l’altro del festival di Sanremo del 2011
con il brano “Chiamami ancora amore”,
nel giorno dell’ottava domenica 4 maggio alle h. 21,30. Vasto è il repertorio
del musicista tra cui si deve rammentare: Samarcanda, Per amore mio, Voglio una donna, El bandolero stanco,
Sogna ragazzo sogna e, l’ultima incisione, Sei nel mio cuore. La chiusura
dei festeggiamenti è tracciata nel cielo
da uno splendido spettacolo piromusicale. Lo spengimento delle luminarie
segna la fine di quella che è “’a festa”
per i vitulatini. E come sempre succede
fa capolino dentro il momento della melanconia di questi giorni tanto attesi per
tutto l’anno, che come vengono così
passano. Come tutte le cose della vita.
Come il tempo, questo bene sommamente fragile che ci è stato donato da
Chi ci ha chiamato alla luce. Ma non bisogna rattristarsi: da lunedì 5 maggio il
Comitato festeggiamenti, - a cui bisogna dire grazie per l’impegno costante e
per quanto di bello realizzato -, è
pronto a ripartire. Buon viaggio, ragazzi!
Anno 5 Numero 17
3 Maggio 2014
Messaggio dell’Amministratore
Parrocchiale Rev.
don Pasquale Violante
Risorti in Cristo, con
Maria cerchiamo le cose
di lassù
Cari fratelli e sorelle,
Gesù, il Cristo, è veramente risorto, alleluia! È
questo il grido gioioso che
risuona dalla Notte Santa e
che si estende per tutta la
settimana in Albis, celebrata come se fosse un sol
giorno. È la grande Festa
di Pasqua che ci rapisce
nel vortice degli eventi
centrali della nostra salvezza e ci rigenera a vita
nuova. La Domenica in
Albis, II di Pasqua, la nostra comunità celebra la
Festa in onore della Beata
Vergine dell’Agnena. In
questa domenica, infatti, si
ricorda la traslazione della
miracolosa effige della
Vergine dal Cenobio dei
Monaci Cistercensi alla
Chiesa Parrocchiale. La
Santa Madre di Dio per
prima ha beneficiato dei
frutti della resurrezione di
Cristo, in quanto è stata assunta in anima e corpo in
cielo, diventando per il suo
popolo segno di consolazione e di sicura speranza.
Ella è l’immagine di ciò
che tutti noi siamo chiamati a diventare. Con la
sua fede e con l’esito della
sua sorte finale ci dice che
anche per ognuno di noi è
possibile
raggiungere
quella meta gloriosa di cui
ella ora gode. Per questo il
miglior modo per onorarla
è seguirne l’esempio,
ascoltare il suo invito che
ci dice: “Fate quello che
Gesù vi dirà”. Se non facciamo ciò che Gesù ci ha
detto, cioè se non osserviamo i comandamenti e
viviamo il vangelo nella
nostra vita, procuriamo
dolore a Maria, oltre che al
Signore. Ella, infatti, si
rattrista nel vedere i suoi
figli. Dunque, come enuncia il nostro slogan per
questo anno Pastorale, con
la gioia dello Spirito Santo
che abbiamo ricevuto,
educhiamoci a valutare
ogni cosa e a tenere solo
ciò che è buono per la nostra salvezza e non per i
nostri interessi materiali.
È il primo anno, carissimi
vitulatini, nel quale celebro con voi la festa come
pastore della comunità
parrocchiale. Sono molto
felice di questo e vi sono
grato per la vostra accoglienza e per l’affetto che
mi dimostrate. Desidero
che insieme possiamo progredire sempre di più nel
cammino della nostra santificazione, cercando di
migliorare in quelle cose
che manifestano ancora un
attaccamento al nostro
egoismo e alle cose terrene. Vi chiedo di pregare
per me senza sosta, come
anch’io mi ricordo di voi
ogni giorno all’altare del
Signore.
VITULAZIO 15
Anno 5 Numero 17
3 Maggio 2014
Messaggio alla Comunità Cristiana di
Vitulazio di S. E. Mons. Pietro Lagnese,
Vescovo di Ischia e nostro concittadino
Carissimi vitulatini,
buona festa a tutti e, prima ancora: buona Pasqua!
Che bello, potervi scrivervi e salutarvi a quasi un
anno di distanza dal giorno del mio congedo da Vitulazio!
È arrivata la festa! È venuto il tempo, da tanti desiderato ed atteso, della Festa della Madonna
dell’Agnena!
Dall’isola di Ischia, vi penso, vi abbraccio e vi benedico! E vivo con voi questi giorni così particolari per tutti noi di Vitulazio!
Lo confesso: mi fa un po’ strano non esserci! D’altronde non potrebbe essere altrimenti: per 52 anni
è stato sempre così; e per più della metà degli anni,
da parroco di Vitulazio!
La Madonna dell’Agnena, io, però, la penso tutti i
giorni! Nella mia camera da letto ne conservo
l’immagine donatami - ricordate? - l’anno scorso,
prima di partire per l’Isola, dal Comitato Feste.
La sera, quando vado a dormire, quasi sempre, la
guardo o, forse, meglio, mi lascio guardare da Lei.
Da quell’incontro di sguardi, spesso, nasce un dialogo. A volte mi sembra quasi che mi parli e mi
dica: “Hai visto? Sto qua, con te, ad Ischia! Stiamo
insieme!”. E mi sento… a casa!
Forse perché, penso, che sia questo, in fondo, il
compito di una mamma: far sentire i figli a casa,
sempre!
D’altronde, ve l’ho detto tante volte, quale potrebbe essere il senso da dare al peregrinare della
Vergine Maria per le strade di Vitulazio la domenica in Albis, fino alle periferie del suo territorio,
se non quello di chi vuole andare a cercare i figli
per riportarli a casa? Ho sempre cercato di vedere
così la “nostra processione”: come il cammino
della Madre che va in cerca dei suoi figli, per riportarli a casa! Come quel giorno quando andò in
cerca di Gesù!
Scrivendo una preghiera a conclusione della LetEDITORE
A.C.L.I. Progetto San Marcello
C.so Gran Priorato di Malta,22 81043
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P.iva: 03234650616
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Francesco Garibaldi
Lucia Casavola
Nicola Caracciolo
Orsola Treppiccione
Raffaella Boccia
Teresa Pagano
Umberto Pappadia
Teresa Massaro
Ciro Pozzuoli
Annamaria Punzo
tera Pastorale per i cristiani di Ischia, così l’ho immaginata la Madonna: come Colei che ci porta a
casa. La ripropongo a voi, augurandovi ogni bene
e salutandovi tutti, uno ad uno!
Santa Maria dell’Agnena, portaci a casa!
Ti ricordi quel giorno quando ti accorgesti
che il tuo Gesù non era con voi,
nel viaggio di ritorno a casa?
Chissà quanta trepidazione provasti!
Me lo immagino Giuseppe,
che, mentre cercava con te,
provava a rassicurarti,
e, semmai, prendendoti per mano,
ti diceva: “vedrai, lo troveremo!”.
E quale dovette essere la gioia che avvertisti
quando, ritornata nel tempio,
ritrovasti Gesù… sano e salvo!
Provasti pure a rimproverarlo,
ma la gioia di rivederlo fu più grande!
E vinse su tutto,
anche sull’amarezza di quella risposta di Gesù:
“Perché mi cercavate?
Non sapevate che devo occuparmi delle cose del
Padre mio?”.
Santa Maria dell’Agnena, vienici a cercare!
Noi diversamente da tuo Figlio
ci siamo persi per davvero!
Non abbiamo cercato le “cose del Padre”
e ora siamo andati fuori strada.
E non sappiamo più tornare indietro!
Santa Maria dell’Agnena, vienici a cercare!
E portaci a Casa.
Lì dove c’è il fuoco acceso,
e il pane, l’acqua e… il vino: come a Cana!
Anzi, come al Cenacolo! Amen.
Con ogni benedizione!
Vostro fratello, figlio e padre
REDAZIONE SANTA MARIA C.V.
Maria Benedetto
Rosaria Barone
Basso Rosalba
Gaetano Cenname
Anna Munno
Lina Salamiti
Maria Umili
REDAZIONE VITULAZIO
Piero Del Bene
Assunta Scialdone
Domenico Cuccari
Orsola Antropoli
Pagine CHIESA a cura di
don Agostino Porreca
don Pasquale Violante
Pagine VITA CONSACRATA a cura di
suor Miriam Bo
Pagine IMMIGRAZIONE a cura di
Antonio Casale
Stampato presso
la Tipografia
“Grafiche Boccia” CAPUA
Messaggio
del Presidente
Delegato
del Comitato
Feste Dott.
Pasquale Cioppa
Carissimi amici e concittadini,
ci apprestiamo a vivere insieme
un’altra Festa, la “NOSTRA
FESTA”, a “fest ra Maronna
Agnena”.
Certo, il momento che stiamo attraversando non è dei migliori ma, che
io ricordi, o quantomeno dal sentir
dire o, ancora, da qualche testimonianza storica scritta, pare che mai la
Festa in onore della Vergine SS.ma
dell’Agnena, avesse risentito delle
conseguenze negative di momenti
particolarmente difficili.
Ed a dimostrazione di quanto affermato, mi è cosa assai gradita sottoporre alla Vostra attenzione il
programma che è stato preparato; un
programma ricco, variegato, innovativo, degno, insomma, di Vitulazio.
In particolare mi piace sottolineare, di
esso, la manifestazione del 1° maggio; evento unico, mai tenutosi prima,
né a Vitulazio né altrove.
Nel ringraziare Tutti, le Autorità Religiose, Civili, Militari, gli Sponsor riportati nel presente opuscolo, i nostri
concittadini residenti all’estero ed in
altre Città Italiane, formulo gli Auguri
più sinceri di una Buona e Santa Pasqua e di trascorrere in armonia e
spensieratezza i giorni dei Festeggiamenti.
Cordialmente
Kairos News è distribuito nelle edicole e presso le seguenti Parrocchie:
CAPUA
Santi Filippo e Giacomo
San Pietro Apostolo
San Roberto Bellarmino
Sacro Cuore
Maria Santissima Assunta in Cielo
SANTA MARIA C V
Sant’Erasmo
Immacolata Concezione di M.V.
Santa Maria Maggiore e San Simmaco
San Pietro Apostolo
Santa Maria delle Grazie
BELLONA
San Secondino
VITULAZIO
Santa Maria dell’Agnena
CASTEL MORRONE
San Pietro Apostolo e Luca Evangelista
CASAPULLA
Sant’Elpidio
CASAGIOVE
Santa Maria della Vittoria
CURTI
San Michele Arcangelo
SAN PRISCO
Santa Maria di Costantinopoli
CANCELLO/ARNONE
Maria Regina di tutti i Santi-Maria SS Assunta
BREZZA
/GRAZZANISE
San Martino Vescovo
SANTA MARIA LA FOSSA
Maria SS Assunta in cielo
FRANCOLISE
San Germano - Santa Maria delle Grazie
CASTEL VOLTURNO
Santa Maria del Mare
SAN TAMMARO
presso Maranathà
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Per informazioni: [email protected] Tel: 333.88.900.94
16 RUBRICHE
Anno 5 Numero 17
3 Maggio 2014
Fragole e frutti di bosco, elisir contro l’invecchiamento
Uno studio scientifico invita a consumarne
NICOLA CARACCIOLO
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Annals of
Neurology, effettuato su
più di 16.000 partecipanti
di età superiore ai 70
anni, il consumo di fragole e frutti di bosco aiuta
la memoria e la concentrazione, soprattutto nelle
donne.
Sono i flavonoidi e in
particolare gli antociani
contenuti in questi frutti,
le sostanze che riducono i
deficit cognitivi che si
possono realizzare a
causa dell’invecchiamento.
Mangiare questi frutti,
secondo questo studio, ritarda di 2,5 anni il processo di invecchiamento
cognitivo.
Elisabeth Devore, una
delle ricercatrici autrici
dello studio, ha affermato
che le donne che assumono con la dieta fragole
e frutti di bosco come
mirtilli e lamponi, oltre
ad avere un ritardo del
declino delle funzioni cognitive hanno mostrato la
tendenza ad avere più alti
livelli di attività fisica,
altro fattore che aiuta a
mantenerci in buona salute.
Mangiate fragole e frutti
di bosco quindi, per non
perdere la memoria e la
concentrazione!
Insalata di Fragole, Rucola, Parmigiano e Pinoli
Dosi per 4 persone:
Ingredienti: 500 g di fragole; 4 manciate di rucola; 40 g di pinoli; 30 g
di parmigiano a scaglie;
Olio d’oliva extravergine
q.b; aceto balsamico q.b;
sale q.b.
Procedimento:
1) Lavare bene la rucola e
le fragole.
2) Tostare in una padella
antiaderente i pinoli.
3) Mettere in una ciotola
la rucola le fragole tagliate a pezzettini e i pinoli.
4) Condire con sale, olio
d’oliva extravergine e
aceto balsamico e mescolare accuratamente.
5) Disporre l’insalata nei
piatti, coprire con scaglie
di parmigiano e servire
Cestini di Mele cotte ai
Frutti di Bosco
Per 4 persone
Ingredienti: 4 mele renette - 1 cestino di frutti
di bosco - Cannella in
polvere q.b - 1 limone - 1
albume d’uovo - 1 cucchiaio di zucchero - 4
cucchiai di yogurth
magro tipo greco
Procedimento:
1) Lavare e asciugare le
mele, tagliare la calotta
superiore e scavarle all’interno,lasciando tutt’intorno circa 1,5 cm di
polpa
2) Spolverare le mele con
la cannella in polvere, sistemarle in una pirofila e
cuocerle insieme alle calotte in forno a 200°c per
L’obesità dipende dalle papille gustative
FRANCESCA CAPITELLI
Le papille gustative di chi è sovrappeso potrebbero
funzionare in modo leggermente diverso, spingendo a
preferire certi sapori (in particolare, quelli legati ai
cibi meno salubri) anziché altri: è questa l’ipotesi a
cui è giunto un gruppo di ricercatori.
Per verificarlo infatti, gli studiosi hanno compiuto un
test in cui i volontari hanno assaggiato del succo di
pompelmo e della cioccolata amara: oltre che chiedere loro un’opinione sul sapore, sono stati ripresi i
loro volti dato che
smorfie involontarie
possono evidenziare
cattiva sopportazione
di certi gusti, anche
inconscia.
L’esperimento ha
confermato l’ipotesi:
se da un lato i giudizi
espliciti non differivano di molto tra i
soggetti più magri e
quelli più grassi, questi ultimi evidenziavano a livello di
reazione facciale un
maggiore fastidio verso i sapori aspri e amari, sapori
che sono solitamente assenti invece nel “junk-food”,
e per questo sarebbero preferiti da questo tipo di soggetti, con il risultato però che ne risente la loro forma
fisica.
Si chiama glucagone l’ormone che regola il livello di
zucchero nel sangue secreto dal pancreas ed è anche
responsabile anche della sensibilità della lingua al sapore dolce.
Secondo uno studio dell’Università del
Maryland pubblicato sulla rivista Faseb, bloccando la
ricettività delle papille gustative al glucagone, i cibi
sembrano meno dolci.
I ricercatori hanno scoperto che sia l’ormone che i
suoi recettori sono espressi nelle cellule che nella lingua dei topi determinano la risposta al sapore dolce.
In un esperimento sucessivo lo studio ha dimostrato
che usando un farmaco specifico che blocca il glucagone anche la sensibilità delle cavie allo zucchero diminuiva.
“Questi dati -hanno spiegato i ricercatori-potrebbero
essere usati per produrre degli additivi che facciano
percepire dei cibi come più dolci senza bisogno di
aggiungervi zucchero, e dal punto di vista terapeutico
possono essere sfruttati per le persone che mangiano
troppo o troppo poco“.
10 minuti.
3) Lavare i frutti di bosco
e condirli con zucchero e
succo di limone.
4) Montare a neve l’albume dell’uovo e aggiungere lo yogurth
mescolando delicatamente dal basso verso
l’alto.
5) Far raffreddare le mele
riempirle con i frutti
bosco e lo yogurth mescolato all’albume, e appoggiare su ciascuna
mela ripiena la calotta
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