Associazione Studi e Ricerche Interdisciplinari sul Lavoro Working Paper n° 8/2014 LA VARIABILITA’ DELLA RETRIBUZIONE PER IL SUPERAMENTO DELL’ATTUALE CRISI: LA SFIDA DELLA PARTECIPAZIONE E DELLA PRODUTTIVITA’ Stefano Bini Anno 2014 ISSN 2280 – 6229 -Working Papers - on line 1 ASTRIL (Associazione Studi e Ricerche Interdisciplinari sul Lavoro) 1 I Working Papers di ASTRIL svolgono la funzione di divulgare tempestivamente, in forma definitiva o provvisoria, i risultati di ricerche scientifiche originali. La loro pubblicazione è soggetta all'approvazione del Comitato Scientifico. esemplare fuori commercio ai sensi della legge 14 aprile 2004 n.106 Per ciascuna pubblicazione vengono soddisfatti gli obblighi previsti dall'art. l del D.L.L. 31.8.1945, n. 660 e successive modifiche. Comitato Scientifico Sebastiano Fadda Franco Liso Arturo Maresca Paolo Piacentini REDAZIONE: ASTRIL Università degli Studi Roma Tre Via Silvio D'Amico, 77 - 00145 Roma Tel. 0039-06-57335751; 06-57335723 E-mail: [email protected] http://host.uniroma3.it/associazioni/astril/ 2 La variabilità della retribuzione per il superamento dell’attuale crisi: la sfida della partecipazione e della produttività Stefano Bini Dottorando di ricerca in “Diritto ed Impresa” presso l’Università LUISS “Guido Carli” di Roma SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive e metodologiche. – 2. Per un inquadramento normativo della materia, in un contesto storicosociale in continua evoluzione. – 3. Forme ordinarie e speciali di retribuzione: quale equilibrio? – 4. Retribuzione, produttività e rendimento: il concetto di performance (individuale, di gruppo e di impresa). – 5. Dalla retribuzione alla retribuzione variabile. – 6. Dopo la flessibilità in entrata e in uscita dal rapporto di lavoro, una flessibilità retributiva? – 7. Le chiavi di lettura offerte dal 47° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese e la fenomenologia retributiva. – 8. Riflessioni conclusive: per lo sviluppo di un «sistema di relazioni industriali che crei condizioni di competitività e produttività tali da rafforzare il sistema produttivo, l’occupazione e le retribuzioni»1. – 9. Principali riferimenti bibliografici. 1. Considerazioni introduttive e metodologiche. Il presente lavoro intende offrire una ragionata riflessione attorno al ruolo che la variabilità applicata all’istituto della retribuzione può rivestire, nel particolare scenario di diffusa crisi, economica e sociale, che la realtà italiana contemporanea sta conoscendo ormai da diversi anni. Più in particolare, una speciale considerazione sarà riservata alle implicazioni e agli effetti che un virtuoso ricorso a forme di flessibilità retributiva può determinare, in termini di coinvolgimento, empowerment ed incentivo alla partecipazione dei lavoratori nei processi produttivi che li riguardano2. 1 Accordo interconfederale sulla produttività del 16 novembre 2012. Per un inquadramento concernente i profili strettamente economici, si suggerisce un rinvio a B. LUCHINO, Manuale di economia del lavoro, Bologna, 2001, 298 e ss. La citata opera presenta, inoltre, significativi profili di interesse, con specifico riferimento all’affermata necessità, propria dell’intero impianto normativo componente il diritto del lavoro, di elaborare ragionamenti intimamente ed essenzialmente caratterizzati da una sana “contaminazione” con i connessi profili economici: cfr. P. ICHINO, Il dialogo tra economia e diritto del lavoro, in B. LUCHINO, op. cit., 505 e ss. Di pregevole interesse risultano altresì essere P. CASAVOLA, Il rapporto di lavoro e il mercato del lavoro, in P. CIOCCA – I. MUSU, Economia per il diritto, Torino, 2006, 257 e ss.; R. DEL PUNTA, Quali regole per il mercato del lavoro, in Itinerari d’impresa, 2003-2004, 4, 31-47; nonché S. DEAKIN – F. WILKINSON, Il diritto del lavoro e la teoria economica: una rivisitazione, in Dir. Lav. Rel. Ind., 1999, 587 e ss. Tra tutti, un ruolo di assoluta centralità, per la sua peculiarità assiologico-valoriale, è da riconoscere all’opera del Maestro: si vedano, ex multis, R. PESSI, Ordine giuridico ed economia di mercato, Padova, 2010, nonché R. PESSI, Economia e diritto del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2006, 2, 433-453. 2 3 Si ritiene, infatti, utile proporre – senza alcuna pretesa di esaustività – taluni spunti di ragionamento attorno alla necessità di un ripensamento della stessa categoria concettuale di “flessibilità” retributiva. Fermo è nell’autore il convincimento che l’attuale scenario di consolidata criticità, ab imis interessante l’intero sistema economico-produttivo italiano (e non), solleciti un’estensione virtuosa dell’idea di flessibilità, mediante il ricorso ad una equilibrata, ponderata e condivisa applicazione della stessa al processo di determinazione del quantum retributivo. In tal modo, come dimostrato dalle autorevoli elaborazioni dottrinali richiamate ed esposte nelle pagine che seguono, la c.d. retribuzione variabile può ben essere considerata quale efficace strumento per il perseguimento di politiche incentivanti la partecipazione dei lavoratori alle dinamiche proprie dell’impresa, con prevedibili effetti “benefici” in termini di produttività e, quindi, competitività. Il centrale ed imprescindibile assunto – cristallizzato dalla più autorevole dottrina (Pessi, 2008) – secondo il quale «l’efficienza del sistema economico, […] è precondizione per la tutela di quei diritti che comportano un effetto redistributivo di ricchezza e per il suo dimensionarsi»3, non potrà che rappresentare il fondamentale punto di partenza ed il riferimento assiologico-valoriale, dal quale prendere le mosse, per le riflessioni che d’appresso si elaborano. Ebbene, l’approdo argomentativo testé accennato, sostanzialmente sintetizzabile nella necessità di procedere ad un’equilibrata rielaborazione dell’idea stessa di retribuzione, presuppone ineluttabilmente una preliminare e strumentale ricostruzione del quadro normativo di riferimento della retribuzione, a beneficio dell’organicità dello stesso elaborato. Prendendo le mosse da un preliminare inquadramento normativo della materia retributiva, considerata nelle sue “canoniche” categorie tassonomiche, l’attenzione sarà concentrata sul concetto di performance nell’ambito del binomio retribuzioneproduttività. Sarà, quindi, indagata l’intima essenza della c.d. “retribuzione variabile”, prospettando alcune suggestioni relative alle possibili implicazioni di una virtuosa flessibilità nella costanza del rapporto di lavoro4. La tesi che si intende sostenere e difendere attraverso il presente lavoro risulta così compendiabile nella considerazione della retribuzione variabile come efficace strumento privilegiato, per il rilancio di un virtuoso processo di coinvolgimento dei lavoratori nei processi produttivi dell’impresa. Quest’ultimo si ritiene, infatti, possa essere a sua volta foriero di un graduale e capillare rilancio della competitività del sistema imprenditoriale italiano, quanto mai necessario ed urgente nella complessità propria dell’attuale scenario di crisi economico-sociale. Proprio al fine di delineare brevemente i tratti salienti dell’attuale condizione del mercato del lavoro italiano, si ragionerà allora attorno all’analisi elaborata nel 47° Rapporto Censis (dicembre 2013) sulla situazione sociale del Paese, per poi completare l’iter argomentativo, con l’articolazione delle tesi conclusive, prospettate 3 R. PESSI, Persona e impresa nel diritto del lavoro, in AA. Vv., Diritto e libertà: studi in memoria di Matteo Dell’Olio, Torino, 2008, 1238-1257. 4 In merito alle molteplici e poliedriche sfaccettature della nozione di flessibilità del lavoro, si veda B. JONES, Quanti tipi di flessibilità?, in Itinerari d’impresa, 2003-2004, 4, 15-30. L’autore individua, in particolare, tre profili di interesse: una flessibilità numerica, una flessibilità funzionale e una flessibilità finanziaria, quest’ultima consistente nella c.d. retribuzione variabile. 4 a sostegno di un percorso teso a creare efficaci e durevoli condizioni di competitività e produttività, tali da corroborare il sistema produttivo nazionale ed europeo. Nella consapevolezza degli amplissimi contorni degli aspetti qui presi in esame, si riportano da ultimo alcuni essenziali riferimenti bibliografici, il cui rinvio appare necessario proprio per un imprescindibile approfondimento delle questioni in questa sede in nuce presentate. 2. Per un inquadramento normativo della materia, in un contesto storico-sociale in continua evoluzione. Si rende in primo luogo necessario procedere ad una ricognizione dell’apparato normativo proprio dell’istituto della retribuzione. Quantunque essa possa essere prima facie considerata ultronea e pleonastica, in realtà, attraverso un richiamo sintetico ed al contempo sistematico alla disciplina di riferimento, è possibile richiamare quelle essenziali nozioni, funzionalmente indispensabili e necessariamente prodromiche ad una trattazione ragionata degli aspetti variabili della retribuzione. La retribuzione, intesa come corrispettivo del lavoro prestato, rappresenta come noto l’obbligazione principale del datore di lavoro nei confronti del lavoratore; essa ha natura pecuniaria (fatte salve le ipotesi di retribuzione in natura, cui si farà cenno più avanti), corrispettiva e sinallagmatica rispetto all’obbligazione di prestare il proprio lavoro subordinatamente. Alcuni dei tratti salienti intrinsecamente propri della retribuzione sono dunque individuabili nell’obbligatorietà, nell’onerosità e nella corrispettività5. La disciplina dettagliata dell’obbligazione retributiva è contenuta nell’art. 2099 c.c.6 nonché, in ambito costituzionale, nell’art. 36 Cost. Quest’ultima disposizione delinea, in particolare, i due fondamentali principi che definiscono i requisiti essenziali della retribuzione: la proporzionalità rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, unitamente alla sufficienza della stessa rispetto alla basilare funzione economica di sostentamento del lavoratore e della sua famiglia7. Questi elementi essenziali devono necessariamente connotare la retribuzione, essendo assolutamente inderogabili in peius sia sul piano della contrattazione, individuale e collettiva, sia su quello legislativo: l’articolo 36 Cost. è stato (ed è) infatti considerato da giurisprudenza e dottrina dominanti come avente natura immediatamente precettiva, andando così a vincolare direttamente l’autonomia negoziale. Occorre, però, prestare attenzione al fatto che, affianco ai suddetti principi fondamentali della retribuzione, il legislatore costituzionale non riconosce altrettanto un principio di parità di trattamento retributivo di portata generale; pur sussistendo il 5 L. FOGLIA, La retribuzione (art. 2099), in R. PESSI (a cura di), Codice commentato di Diritto del Lavoro, Torino, 2011, 617-680. 6 Con riferimento alla cruciale importanza della retribuzione, intesa come principale obbligazione facente capo al datore di lavoro, essenza del sinallagma “prestazione lavorativa/prestazione retributiva”, si veda l’art. 2094 c.c. che – rubricato “Prestatore di lavoro subordinato” – così dispone: «È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore». 7 La funzione economico-sociale della retribuzione risiede nella sufficienza della stessa ad assicurare al prestatore di lavoro e al suo nucleo familiare un’esistenza libera dal bisogno economico e dignitosa, ovvero caratterizzata da un tenore di vita decoroso. 5 basilare divieto di discriminazione, anche e soprattutto nell’ambito della sfera retributiva8, sono da considerarsi leciti trattamenti retributivi differenziati, in quanto chiaramente non discriminatori e giustificati da motivazioni che tengano ad esempio conto della qualificazione professionale del lavoratore9. 3. Forme ordinarie e speciali di retribuzione: quale equilibrio? La previsione codicistica di riferimento, ovvero l’art. 2099 c.c., contempla diverse forme di retribuzione o, rectius, diversi criteri per la determinazione e fissazione dell’ammontare, del quantum della retribuzione; le forme “classiche” di retribuzione si possono infatti bipartire, in uno snello inquadramento tassonomico, in ordinarie (retribuzione a tempo e a cottimo) e in speciali (retribuzione in natura, a provvigione, partecipazione agli utili). Ai fini della presente trattazione, risulta particolarmente interessante soffermare l’attenzione sul comma 3 del già citato art. 2099 c.c., che prevede, per l’appunto, forme di retribuzione qualificabili come speciali, contemplando la possibilità di tipologie retributive, in tutto o in parte, correlate ai risultati conseguiti, in rapporto agli obiettivi prefissati. Esaminandole in breve, si riscontra che la retribuzione in natura, prevalentemente utilizzata con funzione aggiuntivo-integrativa della principale forma di retribuzione in danaro, trova ampio spazio in casi di lavoro agricolo o domestico. Si pensi, inoltre, giusto a titolo di “tradizionale” esempio, alla disponibilità dell’alloggio per il portiere: essa è funzionalmente strumentale e collegata alla esecuzione della prestazione lavorativa di portierato. Interessante caso di specie del più ampio genus della retribuzione in natura è, inoltre, costituito dalla partecipazione ai prodotti, consistente nel conferimento al lavoratore dipendente dell’impresa di una determinata quota di beni prodotti dall’impresa stessa. Per quanto concerne, invece, la provvigione – cui può farsi ricorso nelle sole ipotesi in cui la prestazione lavorativa abbia ad oggetto la trattazione ed eventuale conclusione di un affare da parte del lavoratore per conto del datore di lavoro – si pensi, esemplificativamente, al caso del rappresentante (lavoratore subordinato) o dell’agente di commercio (lavoratore parasubordinato) cui venga corrisposta una percentuale, proporzionale al valore degli affari conclusi. La partecipazione agli utili consiste, infine, nel riconoscimento al lavoratore di un diritto di partecipazione, appunto, agli utili dell’impresa, nella quota commisurata agli utili netti risultanti dall’ultimo bilancio approvato e pubblicato ex art. 2102 c.c. (se l’impresa è soggetta all’obbligo di pubblicazione dello stesso). Ciò che, peraltro, merita di essere precisato con riferimento a tale ultima forma di retribuzione, è che il ricorso ad essa non comporta per il lavoratore né una partecipazione alle perdite, né tanto meno una forma di partecipazione alla gestione dell’impresa: la c.d. compartecipazione del lavoratore agli utili di impresa non va infatti in alcun modo confusa con la c.d. cogestione dell’impresa medesima10. 8 Si veda in proposito l’art. 16, L. 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. “Statuto dei lavoratori”) che – rubricato “Trattamenti economici collettivi discriminatori” – sancisce il divieto, in consequenziale coerenza con il disposto dell’art. 15 (“Atti discriminatori”), della concessione di trattamenti economici collettivi maggiormente favorevoli, che abbiamo carattere discriminatorio. 9 R. PESSI, Lezioni di Diritto del Lavoro, Torino, 2012, 287-305. 10 P. PEDÀ, La partecipazione dei lavoratori agli utili dell’impresa, in Iuris Prudentes, 2009, 0, 10. 6 Minimo comun denominatore di queste speciali forme di retribuzione è rappresentato dal fatto che esse hanno tutte prevalentemente natura integrativa della retribuzione base monetaria. Essendo, infatti, esse caratterizzate dall’insopprimibile elemento dell’aleatorietà e dell’indeterminatezza, si potrebbe quasi ipotizzare l’eventualità di profili di illegittimità costituzionale con il dettato dell’art. 36, comma 1, Cost. (proporzionale commisurazione della retribuzione alla quantità e qualità del lavoro prestato e sufficienza della stessa), laddove queste forme di retribuzione andassero a perdere il loro fondamentale carattere integrativo, per assumere quello di esclusiva forma retributiva. 4. Retribuzione, produttività e rendimento: il concetto di performance (individuale, di gruppo e di impresa). Nell’ambito delle forme speciali di retribuzione, risulta particolarmente interessante la c.d. retribuzione variabile11, espressione di una costante ricerca da parte del sistema produttivo di nuove forme di retribuzione, sia con riferimento alla dimensione individuale che a quella collettiva12. Essa costituisce senz’altro un prezioso strumento per ancorare il trattamento economico-retributivo del lavoratore all’andamento della performance individuale, di gruppo o della complessiva organizzazione dell’impresa con particolare riguardo, quindi, al fondamentale parametro del conseguimento dei risultati prefissati. Il ricorso a queste forme di retribuzione, malgrado la notevole diffusione registrata nel contesto europeo e mondiale in generale, in Italia non ha avuto altrettanta significatività13. La retribuzione variabile – il cui tratto peculiare è dunque da rinvenire nella fondamentale elasticità della determinazione del quantum dell’obbligazione retributiva – si pone in un’ottica antitetica rispetto alla stabilità propria di politiche di rigidità salariale, andando così a rappresentare un’espressione di quella che da più parti è stata definita come “flessibilizzazione” dell’organizzazione della forza lavoro: ancora una volta viene ad assumere importanza la distinzione tra stabilità e flessibilità14, 15. L’essenza della variabilità della retribuzione può essere identificata in quella parte (o quota) di retribuzione che non è collegata ai fattori del tempo o 11 G. SANTORO-PASSARELLI, Diritto dei lavori, Torino, 2013, 289: «Il sistema di relazioni industriali inaugurato con il protocollo del luglio del 1993 affidava alla contrattazione aziendale un ruolo fondamentale, quello di accrescere, ove possibile, la retribuzione del lavoratore attraverso la corresponsione di emolumenti strettamente correlati ai risultati conseguiti dall’impresa. In altri termini alla retribuzione minima fissata a livello nazionale, la contrattazione aziendale aggiungeva una parte variabile collegata ad incrementi di produttività o redditività dell’impresa». 12 R. PESSI, Retribuzione variabile e fattispecie lavoro subordinato, in Arg. Dir. Lav., 1997, 6, 49-65. 13 L. ANGIELLO, La retribuzione (artt. 2099-2102), in P. SCHLESINGER (diretto da), Commentario al codice civile, Milano, 1990, 211 e ss. Cfr. J. LOWITZSCH, La partecipazione finanziaria per una nuova Europa sociale, Berlino, 2009, II e ss. 14 R. FABOZZI, Nuovi scenari nel mercato del lavoro, in Gnosis, 2008, n. 4 (www.sisde.it/Gnosis/Rivista17.nsf/ServNavig/73?OpenDocument). 15 La stabilità propria dell’economia fordista, incardinata sul modello della catena di montaggio e sulla produzione di massa (si veda, per una plastica rappresentazione simbolica, C. Chaplin nel celebre film Tempi Moderni, 1936) si pone in nitida antitesi rispetto alla flessibilità che connota, invece, l’economia post-fordista, propria del modello Toyota di produzione snella. Sia consentito citare, al riguardo S. BINI, Lean production e risorse umane: considerazioni sugli aspetti innovativi, in Qualità, 2012, 3, 14-17. 7 della quantità del lavoro, bensì ai risultati che nel caso specifico si riescono a conseguire in termini di produttività, competitività e qualità. La concreta possibilità per la contrattazione aziendale di prevedere forme di retribuzione variabile dei lavoratori viene formalmente contemplata per la prima volta nell’Accordo interconfederale del 1993 – nel quale si fa esplicito riferimento alla correlazione tra le erogazioni retributive e il raggiungimento di obiettivi e la realizzazione di programmi concordati16 – per poi essere ribadita e rilanciata con l’Accordo interconfederale del 200917 e trovare una piena consacrazione nell’accordo interconfederale del 16 novembre 2012. Quest’ultimo, in particolare – recante “Linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia” e meglio noto come “accordo sulla produttività” – riconosce come l’obiettivo comune delle parti firmatarie18 sia quello di «sviluppare un sistema di relazioni industriali che crei condizioni di competitività e produttività tali da rafforzare il sistema produttivo, l’occupazione e le retribuzioni». Con particolare significatività, le parti hanno altresì riconosciuto che uno strumento concreto per il perseguimento del testé citato obiettivo comune è da rinvenire nella necessità di «incrementare e rendere strutturali, certe e facilmente accessibili tutte le misure fiscali e contributive volte ad incentivare la contrattazione di secondo livello che collega parte della retribuzione al raggiungimento di obiettivi di produttività, di qualità, di redditività, di efficacia, di innovazione, di valorizzazione del lavoro, di efficienza organizzativa e altri elementi rilevanti ai fini del miglioramento della competitività del settore produttivo»19, 20. Un ruolo di importanza notevole viene dunque ad essere rivestito dalla autonomia collettiva che, attraverso la contrattazione di secondo livello, determina e specifica la variabilità della retribuzione, fissando programmi e risultati al cui conseguimento è ancorata la quota di retribuzione in esame. Recente giurisprudenza di legittimità ha in particolare ribadito, con chiarezza e precisione, la centralità e l’ampiezza della funzione della contrattazione aziendale nella determinazione della retribuzione variabile: ad essa è, infatti, attribuita l’intera regolamentazione dell’istituto e non soltanto la fissazione dei criteri per la determinazione della retribuzione variabile21. 16 Protocollo tra il Governo e le parti sociali del 23 luglio 1993, par. 2 (“Assetti contrattuali”), art. 3. Il Protocollo triangolare del ’93, definito da autorevole dottrina (Pessi, 2012) come l’“atto costituente” dell’intero sistema delle relazioni industriali in Italia, si fonda sulla previsione di un sistema di contrattazione articolato su due livelli (nazionale e aziendale) aventi competenze diverse, tra loro non sovrapponibili, nonché su un contenimento delle dinamiche salariali. 17 Accordo interconfederale del 15 aprile 2009, in attuazione dell’accordo quadro del 22 gennaio 2009, in materia di riforma degli assetti contrattuali. 18 Giova richiamare alla mente che l’accordo di cui trattasi è stato firmato dalle principali associazioni datoriali e dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, ad esclusione della CGIL. 19 Accordo interconfederale del 16 novembre 2012, recante Linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia. Si veda, in particolare, C. DELL’ARINGA, L’accordo sulla produttività: quali prospettive per competitività e salari?, in Dir. Lav. Rel. Ind., 2013, 2, 293 e ss. 20 Cfr. DPCM 22 gennaio 2013, n. 66 e successivo accordo interconfederale di attuazione, del 24 aprile 2013. Si veda anche la circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 3 aprile 2013, n. 15. 21 Ragioni di sintesi espositiva non consentono di affrontare in questa sede un aspetto di pregevole interesse, quale quello del ruolo centrale che la contrattazione collettiva – ed in specie quella di prossimità – riveste nella regolamentazione della retribuzione variabile; si veda, al riguardo, M. VITALETTI, La retribuzione variabile, Roma, 2010, 13 e ss. Per un più ampio inquadramento in materia di contrattazione 8 I poteri della contrattazione di secondo livello si estendono sino a ricomprendere la possibilità di prevedere la non erogazione premiale, nell’ipotesi di mancato conseguimento degli obiettivi produttivi ed economici dell’impresa (ex plurimis, Cass., 4 novembre 2005, n. 21379)22. Più in generale, i sistemi di retribuzione variabile hanno la cruciale peculiarità di rendere più flessibile ed elastica una parte del costo del lavoro dell’impresa, andando così a determinare per la stessa una condivisione con i lavoratori non soltanto dei risultati, ma anche dei rischi: le forme di c.d. Performance Related Pay (PRP o retribuzione ancorata alla performance), numerose e tra loro molto eterogenee, possono essere distinte sulla base di due parametri fondamentali: la figura professionale cui si fa riferimento (se direttiva o esecutiva) e il contesto cui i risultati si riferiscono (se individuale, di gruppo o relativo alla complessiva organizzazione dell’impresa). L’evoluzione dei modelli nell’organizzazione della produzione e soprattutto nella gestione delle risorse umane (e non più soltanto del c.d. “personale”) hanno, in particolare negli ultimi quarant’anni, incoraggiato e favorito la ricerca di strumenti di partecipazione dei lavoratori alla vita e, in primis, ai risultati dell’impresa. Ebbene, questo costante e significativo trend nelle strategie di Human Resource Management (HRM) ha trovato nella macroarea degli strumenti retributivi un importante mezzo per conseguire il fondamentale obiettivo di legare sempre più il lavoratore alla mission dell’impresa, motivandolo e stimolandolo ad un impegno sempre crescente e di sempre maggiore qualità23. Viene in tal modo incoraggiato un processo di fidelizzazione del lavoratore che sviluppa, così, un più o meno profondo senso di attaccamento e di appartenenza all’impresa; contrapposte agli approcci rigidamente gerarchici, le strategie partecipative, riconducibili nel mondo anglosassone anche sotto la categoria di “High Performance Work Systems” (HPWS), hanno l’importante valore aggiunto di “sollecitare” il potenziale del lavoratore inducendolo a fornire il suo c.d. “discretionary effort”: uno sforzo discrezionale, un quid pluris di impegno e di collettiva, si veda l’analisi condotta dalla più autorevole dottrina in R. FABOZZI, Collective bargaining and company level agreement, Padova, 2012, passim. 22 Nutrito è il novero di sentenze di legittimità in materia di retribuzione variabile e livelli di contrattazione, oltre la già citata Cass., 4 novembre 2005, n. 21379. Tra le altre, ci si limita a richiamare solamente alcune delle più significative: Cass., 15 febbraio 2008, n. 3874; Cass., 19 febbraio 2009, n. 4078; Cass., 22 marzo 2010, n. 6852. 23 Proprio in relazione alla cruciale sfera motivazionale, che non può che risultare significativamente involta da una convinta implementazione di politiche retributive flessibili, si ritiene interessante richiamare quanto autorevole dottrina economica ha affermato, con particolare riferimento alla necessità di elaborare una nuova cultura del lavoro, alla luce dei carismi benedettino e francescano, ben compendiabile nella locuzione “lavorare per”. In L. BRUNI – A. SMERILLI, Benedetta economia, Roma, 2008, 90: «[…] il lavoro è davvero, come dice H. Arendt (1997), attività sociale: è sociale perché prima è umana, e dire umanità è dire amore (non solo semplice “socialità” […] ma quantomeno “reciprocità”)». Ancor più specificamente, riguardo alla cruciale questione che costituisce oggetto di studio del presente lavoro: «[…] se il lavoro è amore, se è tendenzialmente dono, anche la remunerazione del lavoro può e deve essere intesa come dono: il salario o lo stipendio non può e non deve, misurare il valore di un lavoratore, ma essere un premio, un contro-dono» (p. 91). Cfr. anche, S. CASTELLI – A. CARENA, Persone e sistemi: una proposta di ricerca, in Itinerari d’impresa, 2003, 1, 65-77 (v., in particolare, a p. 66: «Dal lavoro non ci si attende solo uno stipendio, più o meno regolare, più o meno elevato, o uno status sociale»). 9 apporto che il lavoratore fornisce, pur nella consapevolezza di non esservi strettamente tenuto24. La cruciale “sfida” che i contemporanei paradigmi organizzativi debbono quindi necessariamente porsi, al fine di risultare effettivamente ed efficacemente competitivi sul mercato, è rappresentata dall’adozione di un innovativo approccio alla considerazione del “capitale” umano dell’impresa, anzitutto attraverso una riconcettualizzazione di alcuni dei suoi angolari aspetti normativi. Nell’impressionante volatilità caratterizzante gli attuali scenari evolutivi dell’impresa globale, infatti, «il personale è l’unica risorsa che può creare in un mercato così competitivo le vere differenze o i veri vantaggi, mentre le tecnologie, i processi produttivi si possono copiare»25. Imprescindibile prodromo di un simile approccio alle dinamiche partecipative dei lavoratori è da rinvenire necessariamente nell’acquisizione di consapevolezza di un dato essenziale: «l’impresa si propone sempre come un insieme di individui motivati verso il conseguimento di obiettivi comuni, e per questo realizza di fatto un ambiente interno dal quale è necessario fare emergere un contesto di valori moralmente motivanti, così da favorire in primo luogo la positiva convivenza di persone che devono lavorare insieme e perciò esprimere una sempre maggiore efficacia ed efficienza operativa»26. 5. Dalla retribuzione alla retribuzione variabile. Come posto in luce in dottrina (Di Corrado, 2013), i modelli di incentivazione e gli strumenti retributivi variabili hanno subìto nel corso del tempo un significativo processo di evoluzione e trasformazione che può ben essere sintetizzato nella bipartizione tra modelli “vecchi” e modelli “nuovi”27. Per un’analisi compiuta e sistematica del fenomeno, nella sua dimensione di sviluppo diacronico-temporale occorre, però, muovere dalle intime origini della stessa nozione di variabilità, applicata all’istituto della retribuzione. Ebbene, un significativo contributo analitico-chiarificatore proprio in tal senso è rinvenibile in quanto efficacemente scritto da Lodovico Barassi nel 1957, a dire del quale la retribuzione variabile rappresentava una mera e «spicciola prassi aziendale», conseguentemente non concernente l’alta sfera dei problemi giuridici del diritto28. La considerazione della retribuzione variabile è, come evidente, significativamente mutata nel corso degli anni, avendo essa superato gli iniziali e 24 E. APPELBAUM – T. BAILEY – P. BERG – A. KALLEBERG, Manufacturing advantage: why highperformance work systems pay off, Ithaca (Cornell University), 2000, 25-30. 25 E. RULLANI, La qualità dell’organizzazione industriale: modi di governo dell’interdipendenza, in AA. VV., Saggi sulla qualità nell’economia d’impresa, Padova, 1995, 30. Di particolare efficacia è, ancora, un’ulteriore riflessione illustrata nel citato lavoro: «L’unica vera differenza competitiva che si può creare all’interno di un’organizzazione sta proprio nel fare in modo che le infinite capacità dell’uomo vengano a galla. L’uomo, lo dimostra lo sviluppo che si è avuto in questi secoli, se opportunamente sfidato riesce ad escogitare soluzioni, a vincere la sfida. Invece se non ha stimoli, se non è sfidato, se non è motivato a raggiungere certi tipi di risultati, l’uomo si adagia […]. Il punto chiave della qualità totale è come far cambiare all’interno delle aziende il modo di gestire le risorse umane» (p. 31). 26 G. DIOGUARDI, Natura e spirito dell’impresa, Roma, 2007, 16-17. 27 G. DI CORRADO, I numeri del diritto del lavoro: la retribuzione, Napoli, 2013, 71 e ss. 28 L. BARASSI, Il diritto del lavoro, Milano, 1957, III, 42. 10 diffusi scetticismi – come surrichiamato – attraverso un difficile percorso di graduale affermazione. La parte variabile del trattamento retributivo ha progressivamente accresciuto la propria incidenza nella composizione della struttura della retribuzione percepita dal prestatore di lavoro. Tale inversione di tendenza, che ha consentito il parziale superamento di un diffuso atteggiamento di scetticismo nei confronti della retribuzione variabile, è stata certamente resa possibile grazie al mutamento dei paradigmi organizzativi dell’impresa e della produzione. Il processo evolutivo dei modelli di organizzazione della produzione e soprattutto di gestione delle risorse umane ha, nel corso degli ultimi decenni in particolare, sempre più incoraggiato l’elaborazione e l’utilizzo di strumenti di partecipazione dei lavoratori alla vita e, conseguentemente, ai risultati dell’impresa. In sintesi, il ripensamento degli stessi processi organizzativi dell’impresa ha portato – ma, soprattutto, dovrebbe continuare a portare – ad una matura e consapevole valorizzazione delle capacità professionali del capitale umano dell’impresa, nell’ottica di un totalizzante orientamento ad obiettivi di efficienza produttiva. La valorizzazione economica della prestazione lavorativa resa nell’ambito dell’impresa costituisce contemporaneamente il necessario prodromo ed il naturale esito dell’affermazione di dinamiche organizzative e produttive “snelle”: il ricorso a strumenti retributivi variabili si pone, pertanto, come «leva motivazionale per gratificare l’apporto individuale e collettivo dei lavoratori»29. 6. Dopo la flessibilità in entrata e in uscita dal rapporto di lavoro, una flessibilità retributiva? Muovendo dal particolare al generale, occorre sottolineare come il quadro di sistemica crisi che da anni interessa in profondità lo scenario economico e produttivo europeo abbia progressivamente abbandonato i profili congiunturali, per assumere quelli strutturali di un fenomeno endemicamente diffuso30. Come riconosciuto da autorevole dottrina (Ciucciovino, 1996) «le profonde trasformazioni strutturali che hanno investito il mondo produttivo negli ultimi anni e l’incalzare della crisi occupazionale […] hanno obbligato le imprese a ricercare nella 29 G. DI CORRADO, I numeri del diritto del lavoro: la retribuzione, Napoli, 2013, 56; si veda anche, a corollario di quanto surrichiamato: «La conseguenza della rilevanza […] riconosciuta a tali componenti della retribuzione è la presa di coscienza del fatto che nessuna politica retributiva che intenda incidere sul tessuto più profondo delle dinamiche salariali può oggi prescindere dalla loro attenta considerazione». 30 47° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, Roma, 2013, 147. Nel richiamato rapporto, recentissimamente presentato a Roma – lo scorso 6 dicembre – presso la sede del CNEL, sulla cui rilevanza “ermeneutico-sociale” si dirà amplius nelle pagine che seguono, si riconosce che: «L’anno che sta per finire ha fatto venire meno la speranza che quella abbattutasi sul mercato del lavoro italiano potesse essere una crisi breve e per certi versi contenibile. La sensazione che il peggio debba ancora venire e che, se anche la ripresa ci sarà, difficilmente potrà incidere sulla variabile lavoro accentua la dimensione di incertezza e paura con cui sempre più italiani – lavoratori, ma non solo – stanno iniziando a fare i conti». Ancora: «Sullo sfondo ci sono gli esiti di una crisi che non accenna ad allentare la morsa e un quadro europeo che non presenta segnali più confortanti di quello nazionale». 11 flessibilità di impiego dei fattori produttivi la chiave di risposta alle mutevoli esigenze del mercato»31. Ebbene, proprio in una simile cornice di riferimento, la mutevolezza tipica del mercato identifica nella continua ricerca di una sempre crescente flessibilizzazione del rapporto di lavoro il suo naturale pendant logico di riferimento. Il progressivo superamento di logiche salariali rigide (sostanzialmente incardinate attorno ad automatismi retributivi), poste a fondamento di politiche retributive collettivamente egualitarie, ha portato con sé lo sviluppo di un approccio sempre più elastico alla retribuzione. Il cruciale punto di forza della c.d. retribuzione variabile – attorno ai cui aspetti di maggiore rilievo si vogliono in questa sede proporre alcune ragionate considerazioni – è da rinvenire nella stessa essenza di tale innovativo istituto: “agganciando” quote di retribuzione al conseguimento di risultati, in termini di redditività, produttività, qualità e competitività, si determina un virtuoso processo di incentivo all’acquisizione, da parte dell’impresa, di una crescente competitività sul mercato e, quindi, di maggiore ricchezza. La vera chiave di lettura, effettivamente capace di cogliere la preziosità di un simile strumento è, allora, quella che vede nella correlazione retribuzione del lavoratore/performance dell’impresa lo stimolo, per il prestatore di lavoro a profondere, nell’esecuzione della propria prestazione di lavoro, il discretionary effort di cui alle pagine che precedono, grazie al quale perseguire indispensabili goals, in termini di competitività e produttività. Fermo è il convincimento di chi scrive nel ritenere che, solamente attraverso un operoso lavoro di valorizzazione della cooperazione e del coinvolgimento responsabilizzante del lavoratore nell'impresa, si potrà pervenire ad un effettivo e pieno rafforzamento del sistema produttivo, con intuibili effetti benefici sul versante occupazionale. Richiamando in questa sede la ratio del pensiero espresso da autorevolissima dottrina (Persiani 2004), può dirsi che, mai come in questo momento storico, nel mercato del lavoro caratterizzante la realtà contemporanea italiana, si renda indispensabile il maturo impegno da parte di ciascuno degli attori sociali, nella direzione di procedere ad una composizione (non già ad un'eliminazione!) di quell'insopprimibile conflitto, «tra la razionalità capitalistica, che realizza il valore della produzione, e i valori soggettivi del fattore lavoro»32. 7. Le chiavi di lettura offerte dal 47° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese e la fenomenologia retributiva. 31 S. CIUCCIOVINO, La retribuzione variabile, in Dir. Lav., 1996, 5, 553. L’Autrice articola, proprio con riferimento agli aspetti inerenti la flessibilità del lavoro, un’organica sistemazione tassonomica che preme in questa sede richiamare succintamente, per il suo nitore ricostruttivo: «Sul fronte del fattore lavoro le politiche di flessibilità si muovono lungo tre direttrici principali: a) la prima riguarda le tipologie contrattuali, con la conseguente emersione di modelli contrattuali nuovi caratterizzati dall’attenuazione delle garanzie e dei caratteri tradizionali del tipo rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato; b) la seconda attiene la prestazione lavorativa e si articola nella flessibilità dell’orario di lavoro […], delle mansioni […] e della retribuzione; c) la terza riguarda gli strumenti di estinzione del rapporto di lavoro e di uscita dei lavoratori dall’impresa […]». 32 M. PERSIANI, Radici storiche e nuovi scenari del diritto del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2004, 91. 12 In considerazione di quanto sin qui esposto, appare evidente come, nell’ambito del diritto del lavoro, quello della retribuzione si ponga come uno degli istituti privilegiati, ai quali applicare le dinamiche proprie dell’indispensabile flessibilità, che il mercato contemporaneo richiede. L’ulteriore riflessione che sembra doversi argomentare al riguardo attiene al ruolo, attivamente costruens, che la figura del giuslavorista è chiamato a svolgere nella cangiante magmaticità della contemporanea realtà economico-sociale33. Una preziosa chiave di lettura, per interpretare con piena consapevolezza l’attuale condizione in cui versa il Paese – operazione questa prodromicamente essenziale, per poter procedere ad efficaci interventi riformatori strutturali, anzitutto sul versante normativo – è offerta dal 47° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese (2013). Nel recentissimo rapporto, presentato a Roma lo scorso 6 dicembre 2013, il Censis, con il patrocinio del CNEL, ha analizzato e descritto gli aspetti fenomenologici di maggiore significatività, propri della difficile realtà economicosociale che l’Italia sta attraversando nell’attuale scenario di crisi globale. Con particolare riferimento alle tematiche lavoristiche, di cruciale interesse ai fini della presente trattazione, il secondo capitolo del rapporto, intitolato “Lavoro, professionalità, rappresentanze”, fotografa un mercato del lavoro caratterizzato da uno scenario di profonda incertezza e sfiducia, che denota sostanzialmente la grave mancanza di una «riflessione sul lavoro e sulle politiche per riportarlo a crescere, che guardi ad esso in una chiave diversa dall’approccio adottato finora». Ebbene, l’impellente urgenza di conseguire un’efficace inversione di tendenza, nella situazione sociale (e quindi, in primis, lavorativa) del Paese, con una società dal Censis impressivamente definita come “sciapa e malcontenta”, non può in alcun modo prescindere – ad avviso di chi scrive, si intende – da quell’accurata opera di riconcettualizzazione di alcuni significativi istituti, propri del diritto del lavoro: primo tra tutti la retribuzione. Il contributo ermeneutico-chiarificatore elaborato dal 47° Rapporto sulla situazione sociale del Paese (2013), propone altresì una pregevole analisi attorno ad uno degli aspetti sui quali «il sistema ha bisogno di esercitare la propria capacità di visione», rappresentato dal «ruolo riconosciuto al fattore lavoro come elemento strategico di competitività e di sviluppo». Ancor più chiaramente: «Se guardiamo al lavoro come risorsa strategica dello sviluppo è evidente che oggi quello di cui il Paese ha maggiormente bisogno è un ripensamento delle condizioni che lo rendono attrattivo: che sono, oltre alla qualità 33 Al riguardo, giova riportare la suggestiva riflessione che il giudice costituzionale Paolo Grossi espone in P. GROSSI, Introduzione al Novecento giuridico, Bari, 2012, 117: «Il compito del giurista è oggi indubbiamente faticoso e può darsi che lo assalga lo sgomento generato dall’incertezza, dalla fluidità, dalla complessità. È più facile nuotare in uno stagno immobile che in una corrente rapida vorticosa». La difficile “missione” che il giurista contemporaneo o, per dirla con le parole di Grossi, “pos-moderno” è chiamato a svolgere, sembra essere assolutamente pregnante per la sfera propria del diritto del lavoro, essendo tale materia – per antomasia disciplina al confine tra diritto ed economia – continuamente animata dall’esigenza di una costante opera di riconcettualizzazione e di ripensamento, alla luce delle dinamiche evolutive caratterizzanti la circostante realtà economica e sociale. Particolarmente efficace risulta essere anche un’ulteriore considerazione del testé richiamato autore – nella citata opera, a p. 136 – che delinea i contorni del giurista, descrivendolo come il «traduttore della grezza attualità socioeconomica in provvedute categorie tecniche (come sta avvenendo da tempo in seno alla globalizzazione giuridica)». 13 del capitale umano, quegli elementi di struttura normativi, fiscali e organizzativi, che hanno urgente bisogno di essere riformati, secondo un modello che sia più in linea con gli obiettivi di competitività che il Paese deve darsi»34. Proprio nella cornice riformatrice delineata nella recentissima riflessione qui richiamata, un ruolo di centrale rilievo sembra doversi necessariamente riconoscere all’opera di riconcettualizzazione che il giuslavorista è chiamato a compiere, con particolare riferimento ai profili di flessibilizzazione (o, rectius, di variabilizzazione) della retribuzione. 8. Riflessioni conclusive: per lo sviluppo di un «sistema di relazioni industriali che crei condizioni di competitività e produttività tali da rafforzare il sistema produttivo, l’occupazione e le retribuzioni»35. La grande sfida che oggi – in un contesto che, sotto il profilo storico-sociale e soprattutto economico-finanziario, presenta gli innumerevoli profili di criticità cui si è sin qui fatto cenno – le forze sociali sono inesorabilmente chiamate ad affrontare è rappresentata dal superamento di una cultura antagonistica di esasperata contrapposizione nei rapporti produttivi, che porti gradualmente ad una piena e consapevole considerazione dell’impresa come elemento di inclusione sociale ed imprescindibile fattore di sviluppo. Proprio in questa direzione, il grande tema della partecipazione dei lavoratori al buon andamento dell’impresa, può rappresentare un prezioso strumento per lo sviluppo di una «alleanza strategica tra impresa e lavoratori sui temi della crescita, dello sviluppo»36. Un importante segnale in tal senso è giunto nel luglio 2010 dalla redazione, da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, del “Codice della Partecipazione” – raccolta organica della normativa vigente e di best practices nazionali e non – che si pone, quale strumento di soft law condiviso e aperto al costante aggiornamento, l’ambizioso obiettivo di rappresentare «un contributo per un percorso condiviso nella costruzione di una via italiana alla partecipazione dei lavoratori ai risultati di impresa»37. La partecipazione, sia in termini retributivi che informativi, può infatti rappresentare un utile strumento per incrementare la motivazione del lavoratore. Quantomai prezioso appare, allora, il richiamo alle parole pronunciate da Adriano Olivetti nel celebre discorso rivolto ai lavoratori dello stabilimento di Pozzuoli, in occasione della sua inaugurazione, il 23 aprile 1955: «Il segreto del nostro futuro è fondato, dunque, sul dinamismo dell’organizzazione commerciale e del suo rendimento economico, sul sistema dei prezzi, sulla modernità dei macchinari 34 47° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, Roma, 2013, 149. Accordo interconfederale sulla produttività del 16 novembre 2012. 36 Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Libro Verde sul futuro del modello sociale (La vita buona nella società attiva), 25 luglio 2008, 42-46. Il documento per la consultazione pubblica, elaborato dal Ministero del Lavoro all’inizio della XVI Legislatura, propone una riflessione sul futuro del modello sociale, con la finalità di attivare e promuovere un diffuso confronto sulle questioni in esso prospettate e, più in generale, sulle prospettive di Welfare (centralità del c.d. Welfare to Work, in cui il lavoro costituisce la base dell’autonomia sociale della persona). 37 Codice della Partecipazione, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 7 luglio 2010 (http://www.lavoro.gov.it/PrimoPiano/Documents/CODICE_DELLA_PARTECIPAZIONE%203.pdf). 35 14 e dei metodi, ma soprattutto sulla partecipazione operosa e consapevole di tutti ai fini dell’azienda»38. Ancora una volta le relazioni industriali39, e specialmente la riforma del loro sistema, si pongono al centro del dibattito politico e del confronto con le parti sociali, cui è richiesto oggi un contributo decisivo. Un clima collaborativo e partecipativo si rende, infatti, necessario per la realizzazione di una incisiva ed effettiva modernizzazione delle politiche di Welfare, nel segno di un indispensabile sostegno alla crescita e alla produttività. Soltanto una visione di lungo periodo delle relazioni industriali, incardinata sul binomio cooperazione e partecipazione – in primis attraverso la valorizzazione degli strumenti del PRP e della retribuzione variabile, correlata ai risultati – può costituire, infatti, l’impulso strategico e decisivo per lo sviluppo della crescita e della competitività, attraverso un rinnovato rapporto capitale/lavoro all’insegna di un clima di costruttiva collaborazione e reciproca fiducia. In ultima analisi, non può non riconoscersi come ogni riflessione su un ripensamento della ratio fondativa dello stesso istituto della retribuzione debba necessariamente muovere, comunque, dal fermo convincimento secondo il quale «il “valore” prodotto [dall’impresa] è necessariamente generato dai “valori” sui quali si fonda la natura dell’impresa»40. 9. Principali riferimenti bibliografici. - 47° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, Roma, 2013. - AA. VV., Libro Verde sul futuro del modello sociale (La vita buona nella società attiva), Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 25 luglio 2008, 42-46. - AA. VV.,Codice della Partecipazione, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 7 luglio 2010 (http://www.lavoro.gov.it). - ANGIELLO L., La retribuzione (artt. 2099-2102), in SCHLESINGER P. (diretto da), Commentario al codice civile, Milano, 1990, 211 e ss. - APPELBAUM E., BAILEY T., BERG P., KALLEBERG A. 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