Anno XVII, N. 2, febbraio 2014 Il rischio cardiovascolare nei pazienti affetti da trombocitemia essenziale in terapia con citoriduttori Giovanni Tortorella S.C. di Cardiologia, Arcispedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia Il rischio cardiovascolare nei pazienti affetti da trombocitemia essenziale in terapia con citoriduttori Anno XVII, N. 2, febbraio 2014 ISBN: 978 88 6756 083 7 ISSN: 2035-0236 Redazione Elena Bernacchi Sara di Nunzio Claudio Oliveri Produzione Loredana Biscardi Via Decembrio, 28 20137 Milano © 2014 Springer Healthcare Italia srl www.springerhealthcare.it Direttore responsabile: Giuliana Gerardo Current Therapeutics. Registrazione del Tribunale di Milano n. 473 del 7 agosto 1997 Finito di stampare nel mese di xxxxxxxx 2014 da XXXX XXXXX Pubblicazione fuori commercio riservata alla Classe Medica Tutti i diritti sono riservati, compresi quelli di traduzione in altre lingue. 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SHRCZZ5948 INDICE Prefazione 2 Il rischio cardiovascolare nei pazienti affetti da trombocitemia essenziale in terapia con citoriduttori 3 Introduzione 3 Inquadramento nosologico ed epidemiologico 3 Il “rischio cardiovascolare globale” 4 Sicurezza clinica delle terapie citoriduttive 7 Idrossiurea 7 Interferone-a 8 Anagrelide 8 Sicurezza CV della terapia con anagrelide 9 La gestione clinica del paziente con TE e rischio CV 10 La responsabilità medico-legale nella gestione clinica dei pazienti affetti da TE con fattori di rischio cardiovascolare 12 Il valore delle linee guida nel giudizio penale 14 Conclusioni 15 Bibliografia 15 1 Il rischio cardiovascolare nei pazienti affetti da trombocitemia essenziale in terapia con citoriduttori Prefazione Era proprio attesa una rassegna puntuale e completa sulle problematiche cardiovascolari nei pazienti trombocitemici passibili di trattamento con farmaci citoriduttori. L’ineludibile sviluppo delle aree specialistiche medico-chirurgiche, sicuramente foriero di progressi prima inimmaginabili, si è associato purtroppo a una eccessiva compartimentalizzazione delle conoscenze e della gestione dei percorsi diagnostico-terapeutici. Ma ora, ripresa coscienza dell’assoluta unitarietà psico-fisica della persona-paziente, i medici hanno riscoperto il piacere e la necessità di affrontare le varie problematiche cliniche in modo più coordinato e collaborativo, all’interno o meno delle strutture dipartimentali. Con una visione veramente interdisciplinare, l’Autore della presente rassegna focalizza i punti salienti di quella che dovrebbe essere, per ciascun medico chiamato a occuparsi di un paziente trombocitemico, una condotta appropriata, basata sull’evidenza clinica ma al tempo stesso personalizzata, equilibrata, responsabile ed eticamente corretta: 1. La trombocitemia essenziale (TE) è una malattia rara ma non rarissima (prevalenza in Italia intorno a 25.000 pazienti), per la quale fino a circa 10 anni or sono le conoscenze clinico-biologiche erano piuttosto limitate. L’affinamento della diagnostica istopatologica con la distinzione tra TE (vera TE) e mielofibrosi (MF precoce o prefibrotica) e la scoperta di importanti mutazioni genetiche (JAK2, MPL…) hanno portato a una quasi ottimale caratterizzazione diagnostica delle malattie mieloproliferative croniche (MPN), pienamente recepita nella classificazione OMS 2008. Ciò, oltre a un valore scientifico, ha un elevato valore clinico-pratico perché consente al medico e al paziente di affrontare con maggiore consapevolezza prognostica la gestione della malattia. 2. La TE è nota per essere una malattia clinicamente caratterizzata da un’elevata incidenza di complicanze vascolari, prevalentemente trombotiche. È molto difficile valutare quanto tali complicanze siano da riferire a fattori TE-relati e/o a fattori aspecifici persona-relati. Sul piano strettamente ematologico sono chiamati in causa la trombocitosi/trombocitopatia e, più recentemente, la leucocitosi e la mutazione JAK2V617F che, ora tutti insieme, sottendono il razionale per l’impiego della terapia citoriduttiva. Sul piano clinico generale sono chiamati in causa l’età elevata e l’anamnesi personale positiva, da tempo apparsi statisticamente correlati alle complicanze vascolari, soprattutto trombotiche. Più recentemente, tra i fattori aspecifici correlati a una elevata incidenza di trombosi nella TE, è stata considerata anche la presenza di uno o più dei fattori generali di rischio cardiovascolare (FRCV) quali fumo, ipertensione, diabete, ipercolesterolemia ecc. E anche il sesso maschile è talora riportato come fattore di rischio indipendente. Recenti analisi della casistica del RIT (Registro Italiano Trombocitemie) suggeriscono addirittura che il valore prognostico dell’età elevata sia di fatto legato proprio alla presenza di FRCV e/o di comorbilità cardiovascolari. Tutto ciò conferma l’importanza che oggi finalmente viene data all’identificazione e poi al controllo dei FRCV nei pazienti con TE. Le carte del rischio basate sul sistema SCORE (Systematic Coronary Risk Evaluation), le linee guida europee e le carte del Progetto Cuore dell’Istituto Superiore di Sanità in Italia, per puro merito dei colleghi cardiologi ed epidemiologi, stanno entrando nella pratica clinica quotidiana di ematologi, oncologi e internisti impegnati nella gestione dei pazienti con TE. I dati più analitici presenti in questa lucida rassegna saranno certo di grande ausilio. 3. Il trattamento citoriduttivo finalizzato al ridimensionamento della trombocitosi e, ove presente, della leucocitosi è riservato ai pazienti con TE giudicati a più alto rischio trombotico o emorragico. La rassegna documenta pro e contro dei vari farmaci, soffermandosi particolarmente su anagrelide che, per le peculiari caratteristiche farmacologiche (effetto inotropo positivo e vasodilatatore) richiede al medico prescrittore il rispetto di alcune semplici raccomandazioni cliniche (valutazione cardiovascolare preliminare e nel follow-up) e al paziente utilizzatore un idoneo stile di vita (attività fisica, limitazione della caffeina, farmaci particolari). 4. Notevole attenzione viene riservata alla problematica medico-legale, nel fornire al medico dati sulla responsabilità penale, civile e disciplinare, nonché sul valore relativo delle linee guida per il giudizio penale. Globalmente ritengo questa rassegna oltremodo preziosa per la pratica clinica del medico impegnato a gestire i pazienti con trombocitemia essenziale. Perciò, credo a nome dei medici e dei pazienti, va ringraziato l’Autore che con entusiasmo, impegno e competenza dimostra a tutti noi l’importanza della collaborazione interdisciplinare in medicina. 2 Luigi Gugliotta Dipartimento di Ematologia “L. e A. Seragnoli”, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna Il rischio cardiovascolare nei pazienti affetti da trombocitemia essenziale in terapia con citoriduttori Giovanni Tortorella S.C. di Cardiologia, Arcispedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia Introduzione La trombocitemia essenziale (TE) è una neoplasia mieloproliferativa (myeloproliferative neoplasm, MPN) acquisita a decorso cronico, caratterizzata da una conta piastrinica costantemente elevata, nella quale le principali cause di morbilità e mortalità sono rappresentate da trombosi ed emorragie. Nella storia naturale della TE sono inoltre possibili la progressione a mielofibrosi e la trasformazione in leucemia mieloide acuta (LMA) [1].L’intervento terapeutico ideale dovrebbe essere in grado di riportare rapidamente la conta piastrinica a valori normali, ridurre le complicanze e i sintomi associati alla TE, avere effetti avversi minimi e non determinare problematiche di sicurezza a lungo termine. In questo ambito, infatti, benefici e rischi della farmacoterapia sono particolarmente rilevanti perché il paziente con TE richiede un trattamento che si protrae per tutta la vita [2]. Gli esperti raccomandano quindi che la terapia venga stabilita in base al rischio di eventi trombotici ed emorragici. Nei pazienti a basso rischio è ritenuto appropriato un approccio di vigile attesa (watch-and-wait), in quelli a rischio intermedio la terapia dovrebbe essere stabilita in base ai fattori di rischio presenti, soprattutto di tipo cardiovascolare (CV), mentre nei soggetti ad alto rischio è generalmente raccomandata la riduzione delle piastrine, senza però dimenticare come l’impiego di alcune molecole considerate di prima linea sia da valutare con grande attenzione, specie nei pazienti più giovani, per l’aumentata frequenza di trasformazioni leucemiche [2,3]. Dopo una prima parte dedicata all’inquadramento nosologico ed epidemiologico della TE e alla definizione del rischio CV globale, questa pubblicazione affronterà i principali aspetti di sicurezza delle terapie citoriduttive attualmente disponibili, dedicando uno spazio particolare ad anagrelide, inibitore della fosfodiesterasi III c-AMP dipendente con effetto selettivo sulla linea cellulare megacariocitica, indicato per la riduzione della conta piastrinica elevata nei pazienti a rischio che mostrano intolleranza nei riguardi della loro attuale terapia, oppure la cui conta piastrinica elevata non possa essere ridotta a un livello accettabile con l’attuale terapia. Verranno poi affrontati alcuni aspetti di disease management relativi al paziente con TE e rischio CV, mentre la sezione finale tratterà della responsabilità medico-legale in ambito ematologico, con un focus sulle patologie mieloproliferative. Inquadramento nosologico ed epidemiologico La TE è una patologia clonale – derivata da una cellula staminale multipotente con mutazioni acquisite che le conferiscono un vantaggio proliferativo – nella quale l’eccesso di produzione e immissione in circolo di piastrine è associato all’espansione della linea megacariocitica [3,4]. Secondo i criteri istopatologici dell’OMS aggiornati nel 2008 [5], la diagnosi di TE deve essere presa in considerazione in presenza di un valore di piastrinemia stabilmente superiore alla norma (>450 × 109/l) e viene formulata dopo aver escluso patologie o condizioni che possono determinare una trombocitosi reattiva e altre malattie mieloproliferative croniche o mielodisplastiche associate a trombocitosi [6]. L’esame istologico del midollo osseo consente di distinguere la TE dalle fasi prodromiche di policitemia vera (PV) e dalla mielofibrosi primaria (primary myelofibrosis, PMF) precoce/prefibrotica [7]. In letteratura sono riportati tassi di incidenza di TE che variano da 0,59 a 2,53/100.000 individui per anno. È interessante ricordare come uno studio di popolazione condotto in Svezia abbia indicato un’incidenza aggiustata alla popolazione standard pari a 1,55/100.000, poco inferiore rispetto a quella della PV (1,97/100.000). Per la presenza di molti casi asintomatici, si ritiene che la malattia possa essere sottodiagnosticata e che, di conseguenza, la sua incidenza reale possa essere superiore rispetto alle stime, sebbene negli ultimi anni si sia assistito a un incremento rispetto al passato, probabilmente dovuto proprio all’automatizzazione degli esami di routine che permettono di considerare la diagnosi di TE anche in assenza di sintomi. Pur trattandosi di una 3 Il rischio cardiovascolare nei pazienti affetti da trombocitemia essenziale in terapia con citoriduttori patologia rara, una prevalenza di TE pari a circa 30/100.000 individui riflette l’aspettativa di vita vicina a quella della popolazione generale. L’età media alla diagnosi è di 65-70 anni, ma l’intervallo dell’età di insorgenza è piuttosto ampio, con un picco tra la terza e la quarta decade e un’incidenza circa doppia nelle donne [2,3].Nella presentazione clinica della TE è dominante la predisposizione agli eventi vascolari di tipo trombotico ed emorragico, che possono interessare ogni parte dell’albero vascolare. In uno studio su 93 pazienti con un follow-up mediano di 70 mesi la percentuale di casi di trombosi è stata del 16% e quella di emorragie del 14%, mentre il 17% dei casi ha riportato complicanze microvascolari [2]. In accordo con dati precedenti, un recente studio internazionale con un follow-up mediano di 6,2 anni ha rilevato una prevalenza degli eventi trombotici arteriosi rispetto a quelli venosi: su una percentuale totale di eventi trombotici fatali e non fatali pari al 13%, il 9% riguardava trombosi arteriose (infarto miocardico [IM], ictus/TIA o trombosi periferiche), mentre il 4% era rappresentato da casi di trombosi venosa profonda (TVP) [8].Gli eventi vascolari di tipo trombotico associati alla TE possono coinvolgere la circolazione arteriosa a livello cerebrovascolare, coronarico e periferico. Le trombosi delle grandi arterie, oltre a essere una causa rilevante di mortalità, possono determinare disabilità neurologica, cardiaca o periferica [3]. In letteratura sono riportati casi di IM associato alla formazione di trombosi coronarica in situ, senza sottostanti lesioni ateromatosiche e con un decorso clinico più severo nei pazienti con TE rispetto a quello riscontrabile in soggetti non trombocitemici [9]. Uno studio osservazionale condotto in Italia, nel quale l’incidenza di sindrome coronarica acuta è stata complessivamente pari al 9,4%, ha permesso di stabilire come l’IM sia meno comune nei pazienti con TE di età inferiore a 40 anni rispetto ai pazienti più anziani [10]. I sanguinamenti sono spesso limitati a manifestazioni locali ricorrenti (ecchimosi, ematomi subcutanei, epistassi e sanguinamento gengivale); al momento della diagnosi di TE può comunque essere evidenziata una storia di sanguinamento gastrointestinale (melena e/o ematemesi). I sanguinamenti vengono osservati principalmente nei pazienti con conta piastrinica particolarmente elevata (>1000-1500 × 109/l), nei quali si ha una riduzione proteolitica dei livelli di fattore di von Willebrand [3]. Il “rischio cardiovascolare globale” Un recente studio internazionale condotto su 891 pazienti con TE diagnosticata secondo i criteri OMS ha permesso di stabilire che, in questo tipo di pazienti, i fattori predittivi di trombosi arteriosa includono – oltre a età superiore a 60 anni, storia di trombosi, leucocitosi superiore a 11×109/l e presenza della mutazione JAK2V617F – anche la presenza dei più tradizionali fattori di rischio cardiovascolare (CV), che raddoppiano il rischio trombotico (p=0,007; HR 1,9) [8]. Questo dato sottolinea la particolare importanza della corretta valutazione del rischio CV nel paziente con TE per il quale deve essere stabilito l’intervento terapeutico.Età, ipertensione arteriosa, fumo di sigaretta, ipercolesterolemia, diabete e obesità sono i principali fattori che influenzano il rischio di andare incontro a malattie CV, ai quali si aggiungono uno stile di vita non corretto per sedentarietà e cattive abitudini alimentari, e la familiarità per malattia CV precoce [11]. Si definisce rischio CV globale assoluto un indicatore che permette, conoscendo il livello di alcuni fattori di rischio, di valutare la probabilità di andare incontro a un evento CV maggiore. Infatti, tenendo conto della multifattorialità della malattia CV, i soggetti non devono essere identificati sulla base di singoli fattori di rischio, ma deve essere preso in considerazione il risultato del loro effetto combinato [12]. Per rispondere a questa esigenza sono state sviluppate in ambito europeo carte del rischio basate sul sistema SCORE (Systematic Coronary Risk Evaluation), elaborato dai dati raccolti in 12 studi di coorte, che definisce il rischio in termini di probabilità assoluta di sviluppare un primo evento aterosclerotico fatale – sia esso un arresto cardiaco, un ictus, un aneurisma aortico, o altra patologia potenzialmente riconducibile ad aterosclerosi – in un periodo di 10 anni (Fig. 1 e 2). • Secondo quanto affermato nelle recenti linee guida europee sulla prevenzione delle malattie CV nella pratica clinica [12], oltre ai pazienti con malattia CV documentata (IM pregresso, sindrome coronarica acuta, intervento di rivascolarizzazione coronarica, ictus ischemico, arteriopatia periferica), diabete mellito associato a fattori di rischio CV e/o danno d’organo e insufficienza renale cronica (IRC) severa, sono da considerare ad altissimo rischio CV i soggetti con SCORE ≥10%. 4 Rischio di eventi CV fatali a 10 anni in popolazioni a basso rischio CV 15% e oltre 10 - 14% 5 - 9% DONNE Pressione arteriosa sistolica (mmHg) Non fumatrici 3 - 4% <1% UOMINI Età Fumatrici 1% 2% Non fumatori Fumatori 180 4 5 6 6 7 9 9 11 12 14 8 9 10 12 14 15 17 20 23 26 160 3 3 4 4 5 6 6 7 8 10 5 6 7 8 10 10 12 14 16 19 140 2 2 2 3 3 4 4 5 6 7 4 4 5 6 7 7 8 9 11 13 120 1 1 2 2 2 3 3 3 4 4 2 3 3 4 5 5 5 6 8 9 180 3 3 3 4 4 5 5 6 7 8 5 6 7 8 9 10 11 13 15 18 160 2 2 2 2 3 3 4 4 5 5 3 4 5 5 6 7 8 9 11 13 140 1 1 1 2 2 2 2 3 3 4 2 3 3 4 4 5 5 6 7 9 120 1 1 1 1 1 1 2 2 2 3 2 2 2 3 3 3 4 4 5 6 180 1 1 2 2 2 3 3 3 4 4 3 4 4 5 6 6 7 8 10 12 160 1 1 1 1 1 2 2 2 3 3 2 2 3 3 4 4 5 6 7 8 65 60 55 140 1 1 1 1 1 1 1 1 2 2 1 2 2 2 3 3 3 4 5 6 120 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 2 2 2 2 3 3 4 180 1 1 1 1 1 1 1 2 2 2 2 2 3 3 4 4 4 5 6 7 160 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 2 2 2 2 3 3 4 5 140 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 2 2 2 2 3 3 120 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 2 2 2 180 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 1 1 2 2 160 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 1 1 140 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 120 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 4 5 6 7 8 50 40 4 5 6 7 8 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 4 5 6 7 8 Colesterolo totale (mmol/l) 4 5 6 7 8 150 200 250 300 mg/dl Figura 1. Carta SCORE: rischio di eventi cardiovascolari (CV) a 10 anni nei Paesi a basso rischio CV (inclusa l’Italia) sulla base dei seguenti fattori di rischio: età, sesso, abitudine al fumo, pressione arteriosa sistolica e colesterolemia totale. Per utilizzare la carta: posizionarsi nella zona fumatore/non fumatore; identificare il decennio di età; collocarsi sul livello corrispondente a pressione arteriosa sistolica e colesterolemia. Identificato il colore, leggere nella legenda il livello di rischio. Nota: il rischio di eventi CV totali (fatali + non fatali) è circa 3 volte superiore rispetto ai valori indicati (elaborata graficamente da[12]). 5 Il rischio cardiovascolare nei pazienti affetti da trombocitemia essenziale in terapia con citoriduttori Rischio di eventi CV fatali a 10 anni in popolazioni a elevato rischio CV 15% e oltre 10 - 14% 5 - 9% DONNE Pressione arteriosa sistolica (mmHg) Non fumatrici 3 - 4% 7 8 9 10 12 160 5 5 6 7 8 9 10 12 13 140 3 3 4 5 6 6 7 8 9 11 120 2 2 3 3 4 4 5 5 6 7 180 4 4 5 6 7 8 9 10 11 13 160 3 3 3 4 5 5 6 7 8 9 140 2 2 2 3 3 3 4 5 5 6 120 1 1 2 2 2 2 3 3 4 4 180 2 2 3 3 4 4 5 5 6 7 6 160 1 2 2 2 3 3 3 4 4 5 4 140 1 1 1 1 2 2 2 2 3 3 3 120 1 1 1 1 1 1 1 2 2 2 2 180 1 1 1 2 2 2 2 3 3 4 160 1 1 1 1 1 1 2 2 2 3 140 0 1 1 1 1 1 1 1 1 2 120 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 180 0 0 0 0 0 0 0 0 1 160 0 0 0 0 0 0 0 0 0 140 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 120 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 4 5 6 7 8 17 19 22 16 65 <1% Non fumatori 180 13 15 1% UOMINI Età Fumatrici 2% Fumatori 14 16 19 22 26 26 30 35 41 47 9 11 13 15 16 18 21 25 29 34 6 8 9 11 13 13 15 17 20 24 4 5 6 7 9 11 13 15 18 9 9 10 12 14 17 18 21 24 28 33 12 14 17 20 24 6 7 9 10 12 4 5 6 7 9 8 3 3 4 5 6 6 7 8 10 12 5 6 7 8 3 4 5 2 3 3 4 4 5 2 3 2 1 1 0 60 55 50 40 4 5 6 7 8 7 8 10 12 12 13 16 19 22 8 9 11 13 16 6 5 6 8 9 11 4 4 4 5 6 8 6 7 7 8 10 12 14 3 4 5 5 6 7 8 10 2 2 3 3 3 4 5 6 7 1 2 2 2 2 3 3 4 5 1 1 1 2 2 2 2 3 3 4 1 1 1 1 1 1 2 2 2 3 0 1 1 1 1 1 1 1 2 2 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 4 5 6 7 8 Colesterolo totale (mmol/l) 10 12 14 17 4 5 6 7 8 150 200 250 300 mg/dl Il rischio di questo soggetto fumatore di sesso maschile con fattori di rischio è analogo (3%) a quello di un uomo di 60 anni con livelli ottimali dei fattori di rischio - quindi la sua età in funzione del rischio è pari a 60 anni Figura 2. Carta esplicativa del concetto di età in funzione del rischio (elaborata graficamente da[12]). 6 • Un paziente ad alto rischio è definito invece dalla presenza di livelli marcatamente elevati di singoli fattori di rischio: diabete mellito non associato a fattori di rischio CV e senza danno d’organo; IRC moderata; rischio di eventi cardiovascolari fatali a 10 anni compreso tra ≥5% e <10% secondo il sistema SCORE. • Un soggetto con un rischio di eventi cardiovascolari fatali a 10 anni compreso tra ≥1% e <5% secondo il sistema SCORE è considerato a rischio moderato, mentre la categoria a basso rischio comprende i soggetti con un rischio SCORE <1%. Sebbene per le carte SCORE siano disponibili due versioni, una per Paesi ad alto rischio e una per Paesi a basso rischio come il nostro, in Italia è preferibile l’utilizzo delle carte del progetto CUORE dell’Istituto Superiore di Sanità, basato su coorti arruolate nelle Regioni del Nord, Centro e Sud nel periodo 1980-1990, in cui i fattori di rischio erano stati raccolti in modo standardizzato. A differenza di quanto avviene per SCORE, le carte del progetto CUORE valutano la probabilità di sviluppare un primo evento cardiovascolare maggiore (IM o ictus) fatale e non fatale tenendo conto anche della presenza di diabete [11,12]. Dopo aver identificato la carta CUORE corrispondente al genere (maschio o femmina) e allo stato di diabete (presente o meno) del soggetto da esaminare, il medico può classificare il rischio CV, in base all’abitudine al fumo, all’età e ai valori di colesterolemia, in sei categorie, ciascuna delle quali indica il numero di persone, su 100 con quelle stesse caratteristiche, che probabilmente si ammaleranno nei 10 anni successivi. Come per il sistema SCORE, anche nel progetto CUORE è prevista la possibilità di calcolare un punteggio di rischio individuale, continuo e non categorico come quello che emerge dalle carte. Le carte considerano soggetti di età compresa tra 40 e 69 anni, mentre il punteggio individuale permette anche la valutazione per età di 35-39 anni [11]. Il rischio calcolato con SCORE corrisponde grossolanamente a quello determinato utilizzando le carte del progetto CUORE diviso per 3-4. In particolare, a un rischio di eventi CV fatali >5% delle carte SCORE corrisponde un rischio >20% del progetto CUORE; le corrispondenze per valori di rischio di eventi fatali <5% sono meno definite (Tab. 1). Tabella 1. Corrispondenza tra livelli di rischio nelle carte del sistema SCORE (probabilità di sviluppare un primo evento aterosclerotico fatale) e in quelle del Progetto CUORE (probabilità di sviluppare un evento CV maggiore fatale e non fatale) (elaborata graficamente da[12]) Rischio SCORE (%) CUORE (%) Altissimo Alto Moderato Basso ≥ 10 ≥ 5-< 10 ≥ 1-< 5 <1 ≥ 30 ≥ 20-< 30 ≥ 3-< 20 <3 Sicurezza clinica delle terapie citoriduttive Le linee guida 2011 della European LeukemiaNet raccomandano che tutti i pazienti con diagnosi di TE vengano trattati in maniera aggressiva per tutti i fattori di rischio CV modificabili. L’impiego di farmaci citoriduttori per normalizzare i valori di piastrinemia è indicato nei pazienti ad alto rischio per eventi tromboembolici e deve essere considerato in presenza di una conta piastrinica superiore a 1500 × 109/l, che costituisce un rischio per eventi emorragici [13]. Idrossiurea Idrossiurea (nota anche come idrossicarbamide) è un inibitore selettivo della sintesi de novo del DNA e della sua riparazione, ascrivibile all’inibizione dell’enzima ribonucleotide-reduttasi. Si tratta di un farmaco ad azione citotossica mielosoppressiva aspecifica, impiegato per trattare tutte le MPN [2]. Le linee guida lo raccomandano come terapia citoriduttiva di prima linea nella TE a ogni età, anche se nel paziente giovane (età <40 anni) tale farmaco dovrebbe essere impiegato con cautela [13]. I principali effetti collaterali segnalati durante il trattamento con idrossiurea sono: • depressione midollare, che si manifesta con leucopenia, anemia e talora piastrinopenia, soprattutto in seguito all’impiego a lungo termine • reazioni cutanee (tra cui alopecia, xerosi, atrofia cutanea, iperpigmentazione e ulcerazioni cutanee e mucocutanee) • ulcere dolorose agli arti inferiori • possibile insorgenza di tumori cutanei, quali carcinomi basocellulari [2,14]. 7 Il rischio cardiovascolare nei pazienti affetti da trombocitemia essenziale in terapia con citoriduttori Esistono inoltre evidenze secondo le quali un impiego concomitante o sequenziale di idrossiurea e di un agente alchilante o di fosforo radioattivo potrebbe aumentare il rischio di trasformazioni maligne delle MPN trattate. Questo aspetto della terapia con idrossiurea è un motivo di preoccupazione che non è stato affatto ridimensionato dalle evidenze più recenti [2]. D’altra parte, occorre segnalare che non sono stati riportati eventi avversi cardiovascolari correlati alla somministrazione di idrossiurea. Interferone-a Nonostante l’interferone (IFN)-a possieda una spiccata attività antiproliferativa sulla linea megacariocitica, valutata in studi condotti in pazienti con TE a partire dalla fine degli anni Ottanta, il farmaco non è mai stato autorizzato in questa indicazione dalle Autorità sanitarie europee. Esso viene comunque impiegato off-label come terapia alternativa per ridurre la conta piastrinica nelle MPN, in particolare per la possibilità di impiego in gravidanza. Gli effetti avversi più comuni dell’IFN-a includono sindrome simil-influenzale, nausea, diarrea, mialgia, depressione e astenia. All’inizio del trattamento quasi tutti i pazienti lamentano effetti avversi che tendono a ridursi con il tempo. In pazienti con TE, per esempio, la durata dei sintomi simil-influenzali (compreso l’innalzamento della temperatura corporea >38°C) è stata di 4-8 giorni. Nonostante la successiva riduzione della sintomatologia, le interruzioni del trattamento per scarsa tollerabilità sono nell’ordine del 25%, con punte fino al 66%. Effetti avversi cardiovascolari, quali ipotensione e aritmie, sono stati osservati infrequentemente durante il trattamento della TE con IFN-a, ma i soggetti con storia recente di eventi cardiovascolari devono essere sottoposti a un costante monitoraggio [15]. Sono stati inoltre descritti casi di tiroidite autoimmune, artrite, ipertrigliceridemia e neuropatia ottica ischemica. Infine i disturbi dell’umore, che sono un effetto collaterale ben documentato del trattamento con IFN-a, limitano l’utilità clinica del farmaco nei pazienti con TE. L’impiego della forma pegilata semplifica le modalità di somministrazione, ma non migliora il profilo di sicurezza [2]. Anagrelide Anagrelide, indicato per la terapia della TE resistente o in pazienti intolleranti alla terapia di prima linea, è un inibitore della fosfodiesterasi III c-AMP dipendente che riduce il numero delle piastrine mediante una soppressione selettiva della megacariocitopoiesi. Si tratta di un composto privo di attività mutagena, per il quale non ci sono evidenze di leucemogenicità anche in osservazioni a lungo termine (impiego fino a 12,5 anni) [2,16]. A questo proposito, dati rilevanti derivano da un’analisi condotta dall’Anagrelide Study Group su una coorte di 3660 pazienti, 2251 dei quali con TE, per stabilire l’incidenza di trasformazioni leucemiche; il 12,8% della popolazione totale analizzata è stato trattato con anagrelide come unico citoriduttore. Il 2,1% dei pazienti con TE, nessuno dei quali era stato esposto solo ad anagrelide, ha sviluppato LMA/mielodisplasia in un periodo massimo di followup di 7,1 anni [17]. Gli effetti avversi più comuni di anagrelide sono cefalea (13-35%) e palpitazioni (9-21%), derivanti dall’inibizione della fosfodiesterasi III che conferisce alla molecola un’azione inotropa positiva e vasodilatatrice [2,18]. In particolare, l’incidenza di effetti avversi gravi è risultata superiore nei pazienti ultrasessantenni [2]. All’incirca in un terzo dei pazienti anagrelide determina una riduzione della conta delle emazie dell’ordine del 10% circa. In uno studio danese l’anemia, che nel Riassunto delle caratteristiche del prodotto (RCP) viene definita come evento comune, è stata riportata nel 50% dei pazienti trattati, ma è stata giudicata lieve e clinicamente trascurabile nonostante la sua persistenza [2,19]. Anche per anagrelide la maggior parte degli eventi avversi si verifica generalmente nel primo mese di somministrazione, con una riduzione durante le fasi successive del trattamento. Uno studio che ha valutato gli effetti avversi nella fase iniziale e dopo oltre 3 mesi ha verificato che l’incidenza di cefalea era passata dal 34,2% al 5,7%, quella di tachicardia dal 22,8% all’8,5%, quella di edema dal 14,2% al 5,7% e quella di diarrea dall’8,5% allo 0%. Il tasso di interruzioni per eventi avversi riportato in letteratura varia dallo 0 al 50% dei pazienti. In alcuni casi l’insorgenza degli eventi avversi è stata ritenuta attribuibile all’impiego di una dose elevata [2]. Nello studio osservazionale FOX (France Observatoire Xagrid), condotto su una coorte rappresentativa di una popolazione con TE presso 43 centri francesi, l’incidenza di reazioni avverse al farmaco è stata inferiore nei pazienti che hanno ricevuto un trattamento in linea con le raccomandazioni poso- 8 logiche riportate nel RCP (n = 52/133, 39,1%) rispetto a quella rilevata in pazienti che hanno ricevuto un trattamento non coerente con tali raccomandazioni (n = 25/37, 67,6%) [20]. Tutti 88 9 Palpitazioni 6 Sicurezza CV della terapia con anagrelide Angina 1 La comparsa di segni e sintomi riferibili ad insufficienza cardiaca congestizia rappresenta un evento avverso raro ma importante [2]. Secondo quanto riportato nel RCP, nei pazienti con cardiopatia accertata o sospetta di qualsiasi età il farmaco deve essere impiegato con cautela e solo se i potenziali benefici della terapia superano i possibili rischi. Inoltre, considerati gli effetti inotropo e cronotropo positivi di anagrelide, per rilevare eventuali effetti CV che potrebbero richiedere ulteriori indagini sono consigliati un esame cardiovascolare pre-trattamento e il monitoraggio nel corso del trattamento [19]. Considerata la particolare rilevanza di questi aspetti nei pazienti con TE, passeremo brevemente in rassegna i dati di sicurezza CV di anagrelide descritti nella letteratura più recente, a partire dai dati fondamentali emersi da uno studio retrospettivo basato sul Registro Italiano della Trombocitemia (RIT) [21]: • Gugliotta e collaboratori hanno documentato come gli eventi CV in corso di terapia con anagrelide abbiano un basso impatto sull’interruzione del trattamento. In una coorte di 232 pazienti con TE, durante trattamento con anagrelide corrispondente a 522 anni-paziente, 71 pazienti su 232 (30,6%) hanno fatto registrare 88 eventi avversi CV. La frequenza di questi eventi è stata pari a 24,1% per palpitazioni, 4,3% per angina, 3,5% per ipertensione, 3,0% per insufficienza cardiaca congestizia, 1,8% per aritmia, 0,9% per IM e 0,4% per effusione pericardica. Solo 9 pazienti (3,9%) hanno interrotto il trattamento a causa di questi effetti, mentre nei casi restanti è stato sufficiente un intervento farmacologico e/o un cambiamento nello stile di vita (Fig. 3). L’insorgenza di eventi CV è stata significativamente associata alla dose di induzione di anagrelide, mentre non ha mostrato alcuna relazione con le caratteristiche dei pazienti (inclusa l’età avanzata). Una valutazione CV strumentale condotta in un significativo sottogruppo di pazienti non ha permesso di prevedere l’insorgenza degli eventi avversi [21]. 56 10 Ipertensione 8 Scompenso cardiaco congestizio 7 Aritmia 1 4 Infarto miocardico 1 2 Effusione pericardica 1 Interruzione di anagrelide Eventi avversi cardiovascolari Figura 3. Eventi avversi CV che si sono verificati in 71 pazienti con TE su 232 durante il trattamento con anagrelide (in viola). In grigio sono evidenziati i casi di interruzione del trattamento. Le palpitazioni includono tachicardia e frequenza irregolare. I casi di aritmia sono: 3 casi di fibrillazione atriale e 1 caso di flutter atriale (elaborata graficamente da[21]). • • 9 Anche nello studio FOX, l’evento più frequente registrato in seguito alla somministrazione di anagrelide come farmaco citoriduttore di seconda o terza linea sono state le palpitazioni, che hanno interessato il 13% dei pazienti arruolati (23/117), seguite da cefalea (11% dei casi) e da astenia e diarrea (6% per entrambe) [20]. Interessanti informazioni sulla sicurezza CV di anagrelide derivano da uno studio di fase I, randomizzato, condotto in aperto secondo un disegno crossover a due vie, nel quale il farmaco ha mostrato di essere ben tollerato in volontari sani, con un effetto limitato sui parametri elettrocardiografici e sulla frequenza cardiaca. L’assunzione concomitante di cibo/caffeina ha però modificato il profilo dell’esposizione al farmaco. In base ai risultati ottenuti, gli Autori hanno ipotizzato che la caffeina, pur non modificando il metabolismo di anagrelide a livello del complesso enzimatico CYP1A2, potrebbe essere responsabile del maggiore aumento della frequenza cardiaca e della Il rischio cardiovascolare nei pazienti affetti da trombocitemia essenziale in terapia con citoriduttori • • maggiore frequenza di palpitazioni osservati dopo assunzione concomitante di anagrelide con cibo/caffeina rispetto alla somministrazione a digiuno. Va infatti ricordato che sia la caffeina sia la 3-idrossianagrelide, uno dei principali metaboliti di anagrelide, sono inibitori della fosfodiesterasi e sono responsabili di aumentato inotropismo e cronotropismo cardiaco; la loro assunzione concomitante può quindi potenziare tali effetti e dar luogo a tachicardia e palpitazioni, normalmente benigne e non correlate ad aritmie [22]. Conferme sulla sicurezza CV di anagrelide derivano anche dallo studio internazionale prospettico, randomizzato, di fase III ANAHYDRET, il primo con questo disegno ad aver applicato i criteri OMS per la diagnosi di TE. Nel gruppo di 122 pazienti naïve al trattamento e a rischio di eventi trombotici o emorragici randomizzati a ricevere anagrelide (età mediana 58,1 anni [range 19-90 anni], conta piastrinica mediana 979,5×109/l), 30 hanno riportato palpitazioni, 14 ipertensione e 13 tachicardia [16]. Gli eventi sono risultati generalmente gestibili con la semplice riduzione della dose. Un’analisi ad interim dello studio osservazionale di fase IV EXELS (Evaluation of Xagrid Efficacy and Long-term Safety), disegnato per monitorare l’efficacia e la sicurezza delle terapie citoriduttive nella pratica clinica, ha confermato la buona tollerabilità di queste molecole utilizzate quasi sempre in monoterapia (principalmente idrossiurea e anagrelide), anche in pazienti di età >80 anni trattati secondo le raccomandazioni delle recenti linee guida della European LeukemiaNet. Il completamento dello studio, che ha arruolato un totale di 3598 pazienti, 395 (11%) dei quali di età >80 anni, è previsto entro giugno 2014. I dati raccolti consentiranno di disporre di nuove fondamentali informazioni sulla sicurezza di anagrelide in confronto ai trattamenti citoriduttivi convenzionali [23]. La gestione clinica del paziente con TE e rischio CV Prima di instaurare una terapia per la TE è necessario avere un quadro preciso di tutte le variabili che costituiscono fattori generali di rischio per trombosi, come l’eventuale presenza di sindrome metabolica, diabete mellito, ipertensione arteriosa e ipercolesterolemia. Gli esperti della European LeukemiaNet raccomandano che i pazienti con TE vengano trattati in modo sufficientemente aggressivo da garantire un buon controllo di tutti i fattori di rischio CV [13]. Infatti, come già accennato, nei pazienti con TE la presenza di fattori di rischio CV raddoppia il rischio di sviluppare eventi tromboembolici rispetto alla popolazione generale [8]. Ricordiamo che il ricorso alle carte di rischio o ai corrispondenti punteggi individuali permette di identificare i pazienti con un’elevata probabilità di sviluppare un primo evento aterosclerotico fatale (SCORE) o un evento CV maggiore fatale e non fatale (CUORE) (Tab. 1) [12]. • Elevati valori pressori rappresentano uno dei maggiori fattori di rischio per cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco, malattia cerebrovascolare, insufficienza renale e fibrillazione atriale. Le linee guida raccomandano che il trattamento farmacologico venga iniziato tempestivamente nei pazienti con ipertensione di grado 3 (PAS ≥180 e/o PAD ≥110 mmHg) nonché in quelli con ipertensione di grado 1 (PAS 140-159 e/o PAD ≥90-99 mmHg) o 2 (PAS 160-179 e/o PAD ≥100-109 mmHg) che presentano un rischio CV globale alto o molto alto. Nei pazienti diabetici è raccomandato un obiettivo pressorio <140/80 mmHg [12]. • Il trattamento intensivo dell’iperglicemia riduce il rischio di complicanze microvascolari e, in senso generale, il rischio di malattia CV. Per la prevenzione delle malattie CV è raccomandato un obiettivo di HbA1c <7,0% (<53 mmol/mol) [12]. • Elevati livelli plasmatici di colesterolo totale e c-LDL rappresentano uno dei maggiori fattori di rischio cardiovascolare; l’ipertrigliceridemia e bassi livelli di c-HDL sono fattori di rischio cardiovascolare indipendenti. Nei pazienti con un rischio CV elevato è raccomandato un obiettivo di colesterolo LDL <100 mg/dl. In quelli con un rischio molto elevato è raccomandato il raggiungimento di un livello target di c-LDL <70 mg/dl o, qualora non ciò sia possibile, almeno una riduzione ≥50% del c-LDL [12]. • Nei soggetti in sovrappeso o obesi è raccomandata una riduzione del peso corporeo, in quanto associata a effetti favorevoli sulla pressione arteriosa e sui livelli lipidici, che verosimil- 10 mente si traducono in una minore incidenza di malattia CV. • La cessazione del fumo è definita nelle linee guida europee “una pietra miliare per il miglioramento della salute CV” in quanto l’abitudine al fumo è un importante fattore di rischio indipendente per malattia CV [12]. Nella TE, dove l’aspettativa di vita è vicina a quella della popolazione generale, i clinici sono chiamati a valutare e gestire ciascun paziente in base al profilo di rischio individuale e al rapporto rischio-beneficio che contraddistingue ciascun trattamento [24]. Poiché la terapia della TE ha come obiettivo primario la riduzione del rischio di trombosi, le linee guida stabiliscono che il sistema di classificazione dei pazienti sia definito prima di tutto sul rischio di trombosi. Evidenze consistenti hanno identificato l’età superiore a 60 anni e una storia di eventi trombotici come fattori predittivi maggiori di complicanze vascolari. Inoltre, sebbene non siano ancora disponibili dati a supporto di una chiara associazione tra conta piastrinica ed eventi vascolari maggiori, una trombocitosi estrema (≥1500 × 109/l) può essere associata a malattia di von Willebrand e tendenza al sanguinamento [13]. La presenza di almeno uno di questi fattori può essere usata per classificare un paziente come ad alto rischio e, conseguentemente, candidato al trattamento. Nei pazienti a rischio intermedio di trombosi, la presenza di fattori di rischio CV può determinare l’opportunità di instaurare una terapia citoriduttiva con idrossiurea, che viene generalmente impiegata come farmaco di prima linea, e anagrelide, autorizzato per l’impiego in seconda linea. Gli esperti della European LeukemiaNet ribadiscono che anagrelide è il solo farmaco di seconda linea raccomandato nella TE, mentre IFN è una terapia sperimentale che dovrebbe essere riservata a pazienti selezionati, come le donne in età fertile e i pazienti con controindicazioni alla terapia con anagrelide [13]. I dati dal “mondo reale” raccolti nello studio FOX forniscono nuove informazioni sulle modalità di switch adottate all’inizio della terapia con anagrelide e sul loro potenziale impatto sugli outcome. In particolare, lo studio ha indicato come le risposte sulla conta piastrinica siano state massime quando la terapia citoriduttiva in corso è stata sospesa dopo l’inizio della somministrazione di anagrelide e quando la terapia con anagrelide è stata instaurata seguendo le raccomandazioni riportate nel RCP [20]. Per quanto riguarda la gestione clinica concreta dei pazienti trattati con anagrelide, si possono schematizzare alcune indicazioni: • prima di iniziare il trattamento con anagrelide è opportuno effettuare una valutazione cardiaca di base (Fig. 4) che includa l’accertamento dei fattori di rischio cardiovascolare, la storia clinica con riferimento a precedenti disturbi e sintomi cardiaci (angina, dispnea, sincope) e un elettrocardiogramma (ECG) • nella maggior parte dei pazienti non sono necessari approfondimenti, ma in presenza di sintomi cardiaci, anomalie dell’ECG o precedente cardiopatia ischemica o valvolare, è necessaria un’ulteriore valutazione che può includere l’esecuzione di un ecocardiogramma, test sotto sforzo e una visita specialistica cardiologica • considerando le proprietà inotrope e cronotrope positive di anagrelide, appare prudente evitarne l’uso in pazienti con scompenso cardiaco, soprattutto se associato a disfunzione ventricolare sinistra • se il paziente accusa palpitazioni associate all’assunzione di anagrelide, un ECG eseguito in pre- Fattori di rischio CV No Sì Trattamento dei fattori di rischio CV Storia CV ed ECG Normali Nessun ulteriore accertamento Anormali Valutazione cardiaca* *Può includere visita specialistica cardiologica, ecocardiogramma, test da sforzo CV: cardiovascolare Figura 4. Valutazione cardiaca consigliata prima dell’inizio del trattamento con anagrelide (elaborata graficamente da[25]). 11 Il rischio cardiovascolare nei pazienti affetti da trombocitemia essenziale in terapia con citoriduttori senza dei sintomi può essere utile per distinguere un’eziologia benigna da una aritmica (Fig. 5). Nel caso di sintomi ricorrenti in un periodo di 24 ore, un semplice monitoraggio Holter è adeguato per porre la diagnosi. Qualora i risultati non indichino anomalie, non sono necessarie ulteriori indagini e il trattamento può limitarsi a un’opportuna informazione del paziente e a eventuali modifiche del suo stile di vita. Occorre indagare possibili cause non cardiache, quali stress o ansia, consumo di alcol e farmaci concomitanti. È opportuno sconsigliare ai pazienti il consumo di caffeina poiché, come accennato in precedenza, può essere causa di palpitazioni. Anche farmaci quali beta-agonisti e teofillina andrebbero evitati o impiegati a dosi ridotte Anamnesi ECG (durante le palpitazioni)* Ritmo sinusale Aritmia Rassicurazione e informazione del paziente* Visita specialistica cardiologica Scomparsa delle palpitazioni Persistenza delle palpitazioni *Raccomandazioni: spiegare la causa dell’insorgenza di palpitazioni e informare che il disturbo di solito scompare nel tempo ridurre/eliminare i fattori concomitanti: caffeina, stress, teofillina, beta-agonisti raccomandare esercizio fisico considerare: fattori psicologici, frazionamento della dose, somministrazione di beta-bloccanti Figura 5. Gestione clinica delle palpitazioni in pazienti in trattamento con anagrelide (elaborata graficamente da[25]). • per il trattamento di palpitazioni lievi, soprattutto se i sintomi sono correlati a esercizio fisico o a stress, possono essere utili beta-bloccanti a basse dosi. In presenza di sintomi più gravi o persistenti, è opportuno procedere a una valutazione specialistica [25]. La responsabilità medico-legale nella gestione clinica dei pazienti affetti da TE con fattori di rischio cardiovascolare Nell’esercizio della sua professione il medico può incorrere in varie specie di responsabilità, penale, civile e disciplinare. Responsabilità penale. La responsabilità penale del medico sorge quando la violazione dei doveri professionali costituisce un reato previsto dal codice penale o sia punita dalle disposizioni contenute nel T.U.L.S. o in altre leggi quali le norme in materia di sostanze stupefacenti, di vivisezione o di interruzione volontaria di gravidanza. Questa responsabilità può essere dolosa o colposa, commissiva od omissiva, può configurare reati comuni, come nel caso di lesione personale e di omicidio, oppure costituisce reati esclusivi e propri della professione, come la falsità ideologica o l’omissione di referto. Responsabilità colposa. È la forma più tipica e frequente di responsabilità professionale, si realizza, ai sensi dell’art. 43 del c.p., quando un medico, per negligenza, imprudenza o imperizia (colpa generica) ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (colpa specifica), cagiona, senza volerlo, la morte o una lesione personale del paziente. Nell’ipotesi di colpa specifica, la violazione di norme imposte per legge comporta la presunzione di colpa nei riguardi dei danni conseguenti, senza possibilità da parte dell’incolpato di fornire la prova del contrario (errore inescusabile). La colpa generica, e quindi la negligenza, l’imprudenza e l’imperizia, deve essere individuata in base ad alcuni parametri: • criterio della regola tecnica: si deve analizzare la prestazione professionale stabilendo se e di quanto si è discostata senza motivo logico dalle direttive teoriche e pratiche, scientificamente collaudate (iter diagnostico, sommini- 12 strazione di farmaci, tecnica chirurgica ecc.) criterio della preparazione media: l’errore del singolo viene giudicata sul metro della preparazione media dei medici: perciò si considera imperito non il medico ignorante in astratto, ma colui che non sa quello che un comune medico dovrebbe sapere; non è negligente chi omette senza conseguenze alcune norme tecniche, ma lo è chi trascura quelle regole che tutti gli altri osservano nella stessa circostanza; non è imprudente chi usa metodi anche rischiosi, ma con le dovute cautele, mentre è tale chi li usa male o senza reale necessità. Il progresso delle scienze mediche, accrescendo il livello tecnico culturale di base, tende a elevare la preparazione media del medico e pertanto rende più severa la valutazione medico-legale e giuridica dell’errore professionale • criterio delle circostanze soggettive e oggettive. Le condizioni soggettive riguardano la posizione professionale del medico, il suo grado di intelligenza e di preparazione e lo stato psichico al momento del fatto. Non si può pretendere da un neolaureato o da un medico generico quello che può fare in campo diagnostico un grande clinico o in campo terapeutico un provetto chirurgo: la responsabilità da imperizia grava più sul medico specialista che sul generico, quando l’errore verta su un campo specifico; la responsabilità da imprudenza può gravare più sul medico generico se si è avventurato in tecniche complicate e rischiose di cui non possedeva la necessaria competenza; la responsabilità da negligenza grava parimenti su ogni medico. Le condizioni oggettive riguardano le diversità fra un caso clinico e l’altro, le circostanze di tempo e di luogo e le modalità proprie dell’intervento professionale. È più facile sbagliare un caso clinico particolarmente raro o anomalo, in condizioni di estrema urgenza, in centri scarsamente attrezzati, con collaboratori non all’altezza. Acquista sempre maggiore rilievo la problematica della responsabilità penale del lavoro eseguito in équipe; la Costituzione afferma all’art. 27, 1 cpv, che la responsabilità penale è personale e pertanto ciascuno dovrebbe rispondere solo dei propri errori, senza avere obblighi di sorveglianza nei confronti degli altri componenti, neppure da parte del primario o capo-équipe, ma la situazione è ancora controversa. • Responsabilità civile. Sorge dai rapporti di diritto privato che il medico esercente contrae col proprio cliente. Origine della responsabilità professionale del medico. “Le obbligazioni inerenti l’esercizio della professione sanitaria sono di comportamento e non di risultato, nel senso che il professionista assumendo l’incarico si impegna a prestare la propria opera intellettuale e scientifica per raggiungere il risultato sperato, ma non per conseguirlo. In conseguenza l’inadempimento del sanitario è costituito non già dall’esito sfortunato della terapia e dal mancato conseguimento della guarigione del paziente, ma dalla violazione dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale” (Cass. n. 231, 25 gennaio 1969 e n. 3044, 13 ottobre 1972), tranne alcune attività in cui la dottrina ha ravvisato un’obbligazione di risultato, come la chirurgia estetica, l’anestesia, l’aborto, le protesi sostitutive, gli esami di laboratorio, la diagnosi istopatologica, la trasfusione di sangue ecc.. Quando infine il medico ricorre all’opera di collaboratori (assistenti, infermieri, tecnici ecc.), è tenuto a rispondere anche dei fatti dolosi o colposi di costoro. Tra il medico dipendente, l’Ente pubblico o privato di assistenza e il paziente si costituiscono tre distinti rapporti con la possibilità di un quarto: 1. uno di tipo contrattuale tra il malato e l’Ente sanitario cui lo stesso si rivolge per assistenza 2. uno di tipo extracontrattuale tra il malato e il medico di turno, che è tenuto al generale principio del “neminem laedere” 3. uno di tipo contrattuale tra l’amministrazione sanitaria e il medico dipendente, dal quale la prima ha diritto di ottenere un corretto adempimento dei suoi doveri e l’eventuale rivalsa economica 4. uno di tipo contrattuale tra il medico e il paziente in occasione di prestazione libero professionale intramoenia. Responsabilità disciplinare. 1. Riguarda i medici impiegati, che esercitano alle dipendenze di enti pubblici o privati e deriva dall’inosservanza dei doveri di servizio o di ufficio (fedeltà, obbedienza, segretezza, imparzialità, vigilanza, onestà, puntualità). È regolata da disposizioni speciali, contemplate dal contratto del pubblico impiego, la cui violazione comporta sanzioni di carattere amministrativo, comminate 13 Il rischio cardiovascolare nei pazienti affetti da trombocitemia essenziale in terapia con citoriduttori mediante un procedimento disciplinare interno. 2. Deriva dalla trasgressione delle norme del Codice di deontologia medica e riguarda tutti i medici iscritti all’Albo professionale. Può concorrere con un illecito giuridico. La sanzione è applicata dal Consiglio dell’Ordine. 3. Per i medici convenzionati la normativa disciplinare è prevista dalla Legge 29 giugno 1977, n. 349, che dispone le forme di controllo sulla loro attività e disciplina le ipotesi di infrazione, le conseguenti sanzioni (richiamo, richiamo con diffida, sospensione del rapporto convenzionato per la durata non superiore ai due anni, cessazione del rapporto) e il procedimento per la loro irrogazione. 4. Il D.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, nel disciplinare l’ordinamento interno dei servizi ospedalieri, detta disposizioni sulla compilazione, conservazione e rilascio delle cartelle cliniche di cui sono responsabili prima il primario poi il direttore sanitario di fronte all’amministrazione ospedaliera. Non si escludono, naturalmente, le responsabilità penali, nell’ipotesi di omissione di atti di ufficio (art. 328 c.p.), di falsità materiale in atti pubblici (art. 476 c.p.), di falsità ideologica in atti pubblici (art. 479 c.p.) o di rivelazione di segreti d’ufficio (art. 326 c.p.), data la natura di atto pubblico riconosciuta alla cartella clinica e la qualità di medico pubblico ricoperta dal direttore sanitario, dal primario ospedaliero, dagli aiuti e assistenti. Il valore delle linee guida nel giudizio penale È ormai notoria la disponibilità di migliaia di linee guida elaborate allo scopo di migliorare la pratica clinica. È tuttavia altrettanto notorio che la qualità delle prove a supporto delle raccomandazioni non sia sempre improntata a criteri validati a livello internazionale che ne garantiscano l’adeguatezza metodologica. Di contro bisogna considerare che lo sviluppo delle ricerche cliniche e biotecnologiche è divenuto sempre più tumultuoso, con grande difficoltà per i clinici di seguirne il rapido avanzamento. Si calcola, infatti, che per tenersi aggiornati sarebbe necessario leggere venti articoli al giorno per tutto l’anno [26]. La Suprema Corte ha annullato la sentenza di condanna e ha disposto un nuovo giudizio ritenendo che le linee guida internazionali (nel caso di specie in materia di dolore toracico) non possono rappre- sentare un universale percorso obbligatorio di indagine diagnostica, ma, al limite, una mera raccomandazione, apprezzabile caso per caso dal medico (Cassazione Penale, IV sezione, sentenza n. 35659 del 15/09/2009). La sentenza n. 8254/2011 della Suprema Corte ripropone il problema del complesso rapporto tra i profili di responsabilità professionale e l’applicazione delle linee guida che, da quanto si evince dal dispositivo, ne escono decisamente ridimensionate per importanza. Alcuni passaggi della sentenza ribadiscono, infatti, la relatività delle linee guida e il loro valore meramente orientativo, da rapportare sempre al caso concreto. L’evidence-based medicine (EBM), termine coniato nel 1980 presso la McMaster Medical School in Canada e apparso per la prima volta in un articolo pubblicato su JAMA nel 1992 [27], è il processo di ricerca sistematica, valutazione critica e utilizzazione dei risultati della ricerca come basi per le decisioni cliniche [28]. Con questa definizione s’intende, di fatto, nella pratica clinica l’utilizzo coscienzioso, esplicito, giudizioso delle migliori conoscenze al momento disponibili nel processo decisionale riguardante la cura dei singoli pazienti [29]. Il sanitario, assumendo una posizione di garanzia nei confronti del suo assistito, deve tendere a tutelarne soprattutto la salute, nel rispetto dei diritti fondamentali della persona. La sua condotta, indipendentemente dall’applicazione o meno di linee guida, deve essere caratterizzata da idonea perizia, prudenza e diligenza improntate allo stato dell’arte medica del momento. Com’è stato affermato dalla Suprema Corte, le linee guida non sono un salvacondotto per il medico. Le scelte professionali non possono, infatti, essere astrattamente preconfezionate e cristallizzate. Devono, invece, fondarsi sul principio della personalizzazione dei trattamenti medico-chirurgici (di recente codificata in dottrina medico-legale come “Medicina della Scelta”). Gli elementi utilizzati dal giudice che valuta l’operato di un sanitario chiamato a rispondere per responsabilità professionale si riferiscono essenzialmente: • alle modalità con cui è stato eseguito l’atto sanitario • alla correttezza dell’indicazione a quella determinata procedura diagnostica e/o terapeutica comprensiva di diagnosi di partenza, modalità delle scelte diagnostiche e terapeutiche effettuate, ti- 14 pologia del trattamento praticato ecc. all’eventualità (anche) che siano state utilizzate linee guida esistenti in materia o di essersene discostati (con le relative motivazioni documentate). Una riflessione particolare merita la valenza medico-legale di una mancata utilizzazione di linee guida di fronte al verificarsi di un evento negativo. Partendo dall’assunto che le linee guida non possono rappresentare un universale percorso obbligatorio di indagine diagnostica, ma, al limite, una mera raccomandazione apprezzabile caso per caso dal medico (principio ribadito dalla Cassazione Penale, IV sezione, sentenza n. 35659 del 15/09/2009), appare abbastanza evidente che, nell’attribuzione di responsabilità (quindi di colpa) del sanitario, il giudizio deve fondarsi esclusivamente sull’accertamento del nesso di causalità tra l’esistenza di una condotta omissiva e l’evento stesso, secondo le previsioni dell’art. 40, comma 2 del c.p. che stabilisce: «Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo». L’utilizzo dello strumento delle linee guida deve essere considerato esclusivamente alla luce del relativo valore del sistema di conoscenze legato al momento storico in cui sono state elaborate e del fatto che, per la scienza medica, le leggi esplicative hanno prevalentemente carattere statistico e solo raramente universale [30]. • • • Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. Conclusioni • La presenza di fattori di rischio CV, insieme all’età superiore a 60 anni, una storia clinica di trombosi e una conta piastrinica ≥1500 × 109/l costituiscono i criteri per definire i pazienti con TE nei quali è raccomandato il ricorso alla terapia con citoriduttori. • L’intervento terapeutico ideale per la TE, che deve essere proseguito per tutta la vita del paziente, deve normalizzare la conta piastrinica, ridurre le complicanze e i sintomi associati alla TE, avere effetti avversi limitati e ben gestibili e non indurre la progressione a mielofibrosi e la trasformazione leucemica, soprattutto nei pazienti giovani. • Le evidenze più recenti confermano come anagrelide sia caratterizzata da un positivo profilo di sicurezza e indicano che il farmaco, somministrato secondo le raccomandazioni riportate nel Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto, è ben tollerato anche a livello CV. La valutazione cardiovascolare accurata deve essere fatta prima della decisione di iniziare la terapia con anagrelide, e consiste in: valutazione di tutti i fattori di rischio cardiovascolare e del relativo profilo di rischio cardiovascolare globale, anamnesi cardiovascolare completa (pregressi eventi cardiovascolari e/o sintomi quali angina, dispnea, sincope) ed elettrocardiogramma [26] La valutazione del rapporto fra rischio e beneficio deve essere alla base della decisione clinica di iniziare o passare alla terapia con anagrelide in pazienti affetti da TE con potenziale/reale rischio cardiovascolare. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 15 Passamonti F, Thiele J, Girodon F et al (2012) A prognostic model to predict survival in 867 World Health Organization-defined essential thrombocythemia at diagnosis: a study by the International Working Group on Myelofibrosis Research and Treatment. Blood 120:11971201 Birgegård G (2009) Long-term management of thrombocytosis in essential thrombocythaemia. 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