I viaggi a corte e in Parnaso di un «nipotino di Caporali» in Lombardia: Giovan Battista Vignati GIUSEPPE ALONZO La ricerca di notizie biobibliografiche su Giovan Battista Vignati all’interno dei repertori sui letterati lombardi lascia delusi: gli accenni a questo non poco prolifico scrittore lodigiano, infatti, si rivelano asciutti, lacunosi e approssimativi1. Una dichiarazione presente nelle Rime piacevoli sopra la corte, pubblicate nel 1606 («m’avidi ch’a sei lustri era pur gionto»), lascia sospettare che lo scrittore fosse nato intorno al 1575, mentre i frontespizi di tutte le sue opere lo denunciano Accademico Improvviso di Lodi con il nome di Bizzarro, nonché 1 Si leggano le schede curate da M. VOLPI per le Rime piacevoli sopra la corte e lo Sprezzo de’ poeti moderni in «Sul Tesin piantàro i tuoi laureti». Poesia e vita letteraria nella Lombardia spagnola (1535-1706), Cardano, Pavia 2002, pp. 210-213. Sul genere dei ragguagli di Parnaso, e in particolare sulle componenti satiriche in esso presenti, si vedano L. FIRPO, Allegoria e satira in Parnaso, «Belfagor», I, 1946, pp. 673-699; U. LIMENTANI, La satira nel Seicento, Ricciardi, Milano-Napoli 1961, pp. 85-112; F. CAPPELLI, Parnaso bipartito nella satira italiana del ʼ600, «Cuadernos de Filología Italiana», VIII, 2001, pp. 133-151; G. ALONZO, Il romanzo di formazione del personaggio Marino nella parabola poetica di Giovan Giacomo Ricci, «Critica letteraria», XL/4, 2012, pp. 22-52. Sul Caporali, oltre all’intervento di F. D’ANGELO compreso in questi atti, si ricorra a C. MUTINI, Cesare Caporali, in Dizionario biografico degli italiani, XVIII, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1975, pp. 677-680; N. CACCIAGLIA, Il Viaggio di Parnaso di Cesare Caporali, Guerra, Perugia 1993; C. CAPORALI, Gli orti di Mecenate, a cura di G. LANA, EraNuova, Ellera Umbra 1998; F. CIRI, «Se non fanno error gli annali». Studio critico sulla Vita di Mecenate di Cesare Caporali, Tesi di dottorato di ricerca in Italianistica (XVII ciclo), tutor G. Arbizzoni, Università degli Studi «Carlo Bo», Urbino 2004; la datata edizione delle Rime, a cura di G. Monti, Carabba, Lanciano 1916. 281 «Nobil» o «Gentil’huomo» lodigiano2. I documenti genealogici conservati presso la Biblioteca Laudense indicano un Giovan Battista Vignati figlio di Germanico e di Ginevra Muzzani, Cavaliere di Santo Stefano e decurione per eredità paterna dal 1618, che nel 1622 sposa Girolama Squintani, figlia del decurione Riccardo e di Isabella Sommariva di Giovan Paolo, e che nel 1609 ottiene un attestato di nobiltà3. Effettivamente i Vignati appartenevano al più antico patriziato municipale: Giacinto era giureconsulto collegiato a Milano, mentre Lodovico, a sua volta letterato, era senatore dello Stato di Milano e consigliere della Corona di Spagna4. Entrambi, inoltre, risultano in contatto con i floridi ambienti accademici pavesi d’inizio secolo, poiché compaiono nell’epistolario dell’erudito Girolamo Bossi5: ambienti vicini alla burocrazia spagnola, in cui ferveva un dibattito poetico-letterario orientato all’innovazione6. 2 M. MAYLENDER, Storia delle Accademie d’Italia, III, Cappelli, Bologna 1929, pp. 179-180. 3 Familiarum Nobilium Laudensium Arbores, II, pp. 370, 374-378, Biblioteca Comunale Laudense di Lodi [XXI A 2], confermato da A. TIMOLATI, Genealogie di famiglie lodigiane [1888], pp. 296-300, ivi [XXI A 3]. 4 G. GHILINI, Teatro d’huomini letterati, II, In Venetia, Per li Guerigli, 1647, pp. 180182; F. ARGELATI, Bibliotheca scriptorum mediolanensium, Mediolani, In Aedibus Palatinis, 1745, coll. 2185-2188; i due Vignati più illustri dell’epoca di Giovan Battista sono uniti nell’elogio Ad Clarissimum Amplissimumq. Virum, D. Ludovicum Vignatum Regium apud Insubres Senatorem, Hyacinthi Vignati I.C. Collegiati laudem. Gratulatio in suo aduentu in Patriam, stampato a Milano per Angelo Nava nel 1623. 5 Si consulti la centuria manoscritta delle lettere bossiane tradita nel codice Ambrosiano [O 235 sup.], alle cc. 153, 184, 188, 189. 6 Sulla letteratura lombarda di primo Seicento mi limito a segnalare, oltre alla già citata rassegna «Sul Tesin piantàro i tuoi laureti», i contributi di B. AGOSTI, Poesie di Gherardo Borgogni su due dimenticati artefici milanesi, in C.A. LUCHINAT et. al., Scritti per l’Istituto Germanico di Storia dell’Arte di Firenze, Le Lettere, Firenze 1997, pp. 325330; U. MOTTA, Petrarca a Milano al principio del Seicento, in A. QUONDAM (a cura di) Petrarca in Barocco. Cantieri petrarchistici, Bulzoni, Roma 2004, pp. 227-273; R. FERRO, Federico Borromeo ed Ericio Puteano. Cultura e letteratura a Milano agli inizi del Seicento, Bulzoni, Roma 2007; G. ALONZO, Giovan Battista Oddoni fra idillio, lirica, tragedia e pastorale, «Annali online dell’Università di Ferrara. Sezione Lettere», VII/2, 2012, pp. 94-121; ID., Introduzione, in C. TRIVULZIO, Rime. Le preghiere d’Italia. Imprese del marchese di Leganés. Poesie sparse, I libri di Emil, Bologna 2014. 282 In realtà, la produzione di Giovan Battista appare piuttosto lontana da vere e proprie sperimentazioni, anzi, oltre ad una sostanziale stasi rispetto ai modi del comico-satirico bernesco e caporaliano cui largamente attinge, essa rivela una natura municipale, se non provinciale. Il «capitolo familiare» e la satira regolare erano comunque presenti nella produzione degli Improvvisi, dato che testi di tal sorta compaiono nelle Rime di Giovan Francesco Medici, canonico della Cattedrale di Lodi e Accademico Affidato sotto il nome di Invigorito, tradite da un ordinato codice laudense che costituisce la più significativa testimonianza sull’accademia7. Il manoscritto, che comprende sonetti, madrigali, ottave, sestine, canzoni datate tra gli anni ‘90 del Cinquecento e il 1618 (ma è mutilo delle ultime carte), riferisce, oltre che degli esordi teatrali degli Improvvisi risalenti al 1590-’92, delle relazioni intercorrenti tra questi, gli Affidati di Pavia, gli Accurati attivi presso il Collegio Borromeo e un’altra accademia lodigiana il cui nome è sempre censurato (ma governata dal noto erudito ed ecclesiastico Defendente Lodi, a sua volta Affidato e Improvviso)8, inscritte in un si- 7 Delle Rime et altri versi di Gio. Francesco Medici Lodeggiano, come alla giornata le va facendo in diverse occasioni, da lui novamente riviste, Biblioteca Comunale Laudense di Lodi [XXI B 37]; si vedano in specie il sonetto 20, che va datato al 1598 («Allusioni sopra una compagnia di giovani in Lodi, che cominciaro ad essercitarsi nel rappresentare comedie pomposamente. El nome d’Improvisi, et Impresa dell’Iride co ‘l Sole, et per moto EX TEMPORE»; a margine «Per la prima Pastorale in casa del C.te Manara»), la corona 49 di madrigali («In occasione di una Tragedia dalla compagnia Improvisa in Lodi recitata in casa del S. C.te Cavazzi. Madrigali per accompagnar gl’Intermedi apparenti, fatti in Musica dal P. Tiburtio Massaino»), il madrigale 55 («In occasione delle sudette nozze fu rappresentata da gl’Improvisi una sontuosissima Pastorale alla presenza non solo di tutta la Nobiltà Lodeggiana, ma di molti cavallieri et Dame Milanesi. Dialogo di Pastori, fatto in Musica dal P. Tiburtio Massaino»). Versi del Medici appaiono nelle Orationi, e poemi dell’Academia Affidata, per la venuta della Sereniss. Margherita d’Austria a Pavia, et per le nozze di essa, con la maestà catolica di Filippo re di Spagna nostro signore, pubblicate a Pavia per Andrea Viani nel 1599, e nei Componimenti pastorali di diversi nella partita da Pavia del Sig. Alfonso Pietra, e della Sig. Fausta Visconti, consorti e conti di Silvano, stampata a Pavia per gli eredi di Girolamo Bartoli nel 1598, accanto a Defendente Lodi, Filippo Massini, Gherardo Borgogni, Scipione della Cella (si veda «Sul Tesin piantàro i tuoi laureti», cit., pp. 198, 272). 8 P. COSENTINO, Defendente Lodi, DBI LXV 381-383. 283 stema politico-ideologico di evidente orientamento filospagnolo, comprovato dalla costante protezione del patriziato locale dei vari Cavazzi, Manara, Vistarino, Codazzi, Sorbelloni, Muzzani. Ciò nonostante, se si consultano i paratesti delle pubblicazioni vignatiane, si ha l’impressione della dipendenza da un circolo accademico molto distante dai teatri intellettuali di primo piano anche a livello locale. L’esordio avviene nel 1606 con le già citate Rime piacevoli sopra la corte9, comprendenti tre capitoli burleschi in cui lo scrittore, dalla periferia lombarda, finge di recarsi a Roma in una imprecisata corte. Qui, come prescritto da un topos inflazionato e come peraltro lo avverte un cortigiano che già ha sperimentato tal sorta di esistenza – forse un alter ego di quel Caporali che, nell’incipit del primo capitolo Sopra la corte10, aveva riferito a «Messer Trifone» di aver vissuto «cinquant’anni» allo stesso palazzo romano – trova un ambiente ostile alla pratica intellettuale, servile ed inospite, che lo costringe a ripudiare la scelta iniziale e a rinunciare ai «lussi» della vita di corte. Nel 1613 Vignati pubblica un’edizione delle Rime piacevoli accresciuta11 di un quarto capitolo e di sporadiche varianti, che poco aggiungono alla princeps salvo più consistenti parentesi allegorico-moralistiche e apologali, peraltro sempre prescritte dai modelli di riferimento. Entrambe le impressioni escono dai tipi lodigiani di Paolo Bertoetti con dedica a Scipione Toscano Rho dei signori di Borghetto Lodigiano12, ed entrambe recano nel peritesto i sonetti Del Fallito Accademico Calcante, D’Incerto, Del Pentito Accademico Mortificato, Del Sciope- 9 Biblioteca Nazionale Braidense di Milano [VV I 29]. I capitoli, dotati di un antefatto autobiografico che nelle Rime piacevoli di Vignati sarebbe arduo rinvenire, si leggono nelle Rime di Cesare Caporali Perugino diligentemente corrette, colle Osservazioni di Carlo Caporali, In Perugia, Nella Stamperia Augusta di Mario Riginaldi, 1770, pp. 295-335. 11 Biblioteca «Federico Patetta» del Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università degli Studi di Torino [50 L 28/1]. 12 È detto da Vignati «Regente di Spagna» nella dedica a suo nipote delle Lacrime de’ poeti; P.L. FIORANI, Il Palazzo Rho in Borghetto Lodigiano, Rassegna d’arte, Milano 1914, pp. 189-192; A. STROPPA, Il Lodigiano dal XIV al XVIII secolo. Feudi e feudatari, Banca di Credito Cooperativo, Borghetto Lodigiano 1994, pp. 18, 37-44. 10 284 rato Accademico Stemperato e dell’autore stesso al suo Libro13, oltre ad un carme latino di dieci endecasillabi del lodigiano Giovan Battista Cova14. L’edizione del 1613 aggiunge un sonetto caudato burlesco in lode dell’autore composto dall’«Academico Impensato», tale Felice Cattenago. Il motivo metaletterario implicito nelle Rime piacevoli viene sviluppato nel Testamento di Mecenate, seconda pubblicazione di Vignati andata in stampa a Venezia nel 1612 per i tipi Bernardino Corsi, e poi di nuovo per Bertoetti l’anno seguente15. Composta da tre capitoli in ternari, è l’opera vignatiana di maggior successo, tanto da apparire ristampata, a partire dall’impressione veneziana del 1637 per Ghirardo Imberti, in calce alla Vita di Mecenate di Caporali, nella quale alcuni ternari erano già dedicati, in nuce, al motivo del testamento16. Come da copione, Mecenate, morente, cede in eredità ai poeti contemporanei e posteriori una pletora di lasciti più o meno simbolici a seconda dell’ispirazione letteraria e «ideologica» dei vari beneficiari (siano essi cortigiani, letterati, adulatori, pedanti, e così via)17. Vignati, 13 Il sospetto che siano tutti componimenti dell’autore è legittimo, perché la varietà dei nomi delle accademie chiamate in causa per questo paratesto appare effettivamente troppo ampia. In effetti, tra le accademie elencate qui e successivamente, nessuna è catalogata da Maylender nella Storia delle accademie d’Italia, salvo gli Scioperati di Correggio, attivi nel primo decennio del secolo (cit., V, pp. 132-133, ma senza cenni ad alcuno «Stemperato»). È invece utile ricordare che Caporali fu lo «Stemperato» tra gli Insensati di Perugia. 14 Gli è dedicato il sonetto 9 delle Rime di Giovan Francesco Medici («Nel Discorso del P. Gio. Batta Covo sopra la Poesia recitato con molti suoi usi nell’Acad.a ‹…› in Lodi»), ed è elencato, insieme a Vignati ma senza una scheda specifica, nel codice del «Catalogo dei Lodigiani, che hanno datto alla Stampa» di Giuseppe Anselmo Bobba, Biblioteca Comunale Laudense di Lodi [XXI B 27]. 15 Biblioteca «Federico Patetta» [50 L 28/2], con numerazione di pagina continua rispetto al precedente, legato insieme; si farà riferimento a questo esemplare, mentre la princeps risulta conservata in British Library [241 a 44]. 16 C. CAPORALI, Vita di Mecenate. Secondo la lezione vulgata con le annotazioni di Carlo Caporali, X, 220-414, a cura di D. Romei, Banca dati «Nuovo Rinascimento» 1996, pp. 108-114, http://www.nuovorinascimento.org/nrinasc/testi/pdf/caporali/vita1770.pdf (l’opera esordì a Venezia nel 1604 per i tipi di Giovan Battista Ciotti). 17 La satira antipedantesca, in Vignati, surclassa la critica dei poeti scadenti, 285 all’interno di questo schema, coglie l’occasione per istituire una sorta di proprio «Parnaso» moderno, che però finisce per scontare i difetti di un’ispirazione elencatoria per tratti confusionaria, priva insomma di significativi intenti «critici». L’opera, dedicata a Lancillotto Corradi18, marchese e maestro di campo nella milizia spagnola19, è anticipata da un sonetto burlesco-encomiastico di un non meglio identificabile Stefano Remignano, «Academico detto lo Spensierato», in cui si denuncia l’ispirazione schiettamente caporaliana del Testamento: «ʼl vostro libretto | può star al par con quel del Caporale». Conclude l’opera un «Epitaffio di Mecenate», costituito da una quartina di endecasillabi. Al motivo mecenatesco si lega strettamente anche la terza pubblicazione vignatiana, Le lacrime de’ poeti20, in tre capitoli stampati da Bertoetti nel 1613. Augusto fa circolare la notizia della morte di Mecenate e invia Virgilio in Parnaso per comunicare il lutto; la legazione si ribalta in un topico viaggio comico-cortigiano dai contenuti prevedibili (la mensa lauta ma maleducata, la stanza inospite eccetera), paragonabili a quelli delle Rime piacevoli e debitori del Viaggio di Parnaso di Caporali. Successivamente Augusto fa chiamare a Roma tutti i poeti, compresi i moderni sotto la guida di Petrarca, per le esequie di Mecenate (tema coincidente con quello di un altro scritto caporaliano, in cui entravano già in scena gli scrittori volgari)21, ed anche in questo caso – al netto di un «ragguaglio di Parnaso» confusionario ma qui non esente da interessanti spunti storico- e critico-letterari – l’itinerario assume i contorni della gita comica, in cui l’agio e il cibo, come nelle Rime piacevoli, costituiscono le principali ossessioni dei sostanzialmente assente, mentre in Caporali era tema parimenti presente (ad esempio negli Avvisi di Parnaso, mentre alla satira del pedante era riservata una specifica coppia di capitoli, che si legge nelle Rime, cit., pp. 403-422). 18 Giovan Francesco Medici gli dedicò i madrigale 77 e 78 delle sue Rime. 19 C. DONATI, The Profession of Arms and the Nobility in Spanish Italy: some considerations, in T.J. DANDELET e J.A. MARINO, Spain in Italy. Politics, Society, and Religion (1500-1700), Koninklijke, Leiden 2007, pp. 299-324: 323. 20 Biblioteca «Federico Patetta» [50 L 28/3], con numerazione di pagina continua rispetto ai precedenti, legati insieme. 21 Si tratta delle Esequie di Mecenate, due capitoli che si leggono nelle Rime, cit., pp. 233-271. 286 viatores. Le Lacrime sono dedicate a Girolamo Rho dei signori di Borghetto, abiatico materno, a quanto s’inferisce dalla stessa dedica dello Scipione dedicatario delle Rime piacevoli, e comprendono in avantesto un madrigale «Del Pentito Academico Mortificato» ed un esastico latino di Giovan Battista Cova, personaggi già apparsi nel paratesto delle Rime piacevoli. Nel 1617, sempre per Bertoetti, Vignati dà alle stampe una nuova opera in tre capitoli di terzine burlesche, sotto il titolo de Lo sprezzo de’ poeti moderni22. Riuniti in Parnaso e rappresentati da Tasso – ma non mancano costanti allusioni al genere di riferimento, con apparizioni di Boccalini, Berni, Mauro, Caporali – i poeti lamentano ad Apollo, con il registro comico e basso – sovente censurato, peraltro – tipico di questa tradizione, la loro sottostimata condizione di cortigiani, ben differente da quella vigente ai tempi di Mecenate (si riprendono, insomma, i motivi sia delle Rime piacevoli sia del Testamento, e nella fattispecie delle Esequie di Mecenate di Caporali). Apollo suggerisce dunque ai poeti di abbandonare la vita di corte e di rendersi piuttosto «capitani di ventura» sotto la guida generale di Marino e dei burleschi – tra cui Vignati stesso – in quanto più portati alla letteratura d’invettiva, che viene pertanto elevata a genere canonico23. Dedicato al patrizio lodigiano Paolo Emilio Sommariva24, lo Sprezzo vanta un paratesto più corposo. In avantesto ritorna, con una canzonetta e un sonetto, il Pentito Academico Mortificato, seguito da un ignoto Academico Improviso detto il Leale e da due componimenti latini del solito Cova e di Sigismondo Betti lodigiano. In calce allo Sprezzo è possibile apprezzare una rassegna del Vignati sonettista e madrigalista, con alcuni componimenti burleschi, amorosi (tra cui un madrigale So- 22 Biblioteca Nazionale Braidense [VV I 30]. Simile sublimazione spettava alla poesia anticortigiana nei caporaliani Avvisi di Parnaso, che si leggono nelle Rime, cit., pp. 380-402. 24 Patrizio lodigiano, fu giureconsulto e decurione della città, discendente del cardinale Angelo Sommariva e fratello del legato pontificio Nicolò; risulta in contatto con Lodovico Vignati (si veda, oltre alla stessa dedica dello Sprezzo, B. MARTANI, Sui capi d’arte e d’archeologia in Lodi, Wilmant, Lodi 1868, pp. 128, 149-150). Accreditando l’identificazione di Vignati illustrata inizialmente, si deve ricordare che lo scrittore aveva sposato la figlia di una Sommariva. 23 287 pra la Signora Isabella Comica gelosa recitando la sua pazzia) ed encomiastici (in lode di Ferdinando Gonzaga duca di Mantova, del conte Lodovico Vistarino25, discendente del condottiero lodigiano cinquecentesco, e di Lancillotto Corradi, dedicatario del Testamento). Un’altra pubblicazione sonettistica, ma di argomento e registro finalmente non burlesco bensì politico-encomiastico, si attesta al 1618, e reca il titolo de La Pace trionfante. Sonetti sopra la Pace fatta tra Prencipi Christiani, & altri contra la Guerra26. Pubblicata a Lodi per i tipi dello stampatore bolognese Bartolomeo Cochi, la Pace si compone di una dedica al Giureconsulto Collegiato milanese Giovan Battista Visconti, podestà regio di Lodi, e di un carme eponimo in verso sciolto, seguito da sei sonetti «sovra la pace» e tre sonetti e un madrigale «contra la guerra». I componimenti evocano la «discesa» in terra di un’allegoria della Pace, che convince i sovrani europei a cessare le ostilità e a donare all’umanità una tregua ispirata ad una concezione irenica biologico-panerotica. Ristabilito l’ordine all’interno di un idillio più bucolico-amoroso che civile, lo scrittore, omaggiata la canzone petrarchesca all’Italia, si esibisce in un’invettiva ai poeti eroici, dichiarando la propria preferenza per un’encomiastica rivolta ai filosofi piuttosto che ai capitani. I sonetti rivelano una chiara continuità tematica rispetto al carme, cui aggiungono una più evidente ispirazio- 25 A costui gli Accademici Improvvisi avevano dedicato nel 1599 una silloge poetica comprendente anche un’orazione (Oratione et Rime delli Sig.ri Accademici Improvisi, nelle nozze delli Signori Lodovico Vistarino et Aurelia Sorbellona, In Milano, Nella Stampa del quondam Pacifico Pontio, 1599); Vignati, forse per ragioni di età, non aveva però partecipato alla pubblicazione, in cui non si riscontra lo pseudonimo di «Bizzarro». L’operazione, che nella dedica (c. [π2]r) viene definita uno dei «primi fiori della nascente Accademia» (come lasciavano intendere le Rime del Medici sull’Accademia, attestate a partire dal 1598), riferisce piuttosto che il Vistarino e la Sorbelloni erano in quegli anni i protettori degli Improvvisi, che ne era principe Cristoforo Codazzi e che vi esercitava influenza anche un Bartolomeo Muzzani cavaliere di San Maurizio e Lazzaro, parente della madre di Vignati, Ginevra, cui è dedicata un’egloga dell’Accademico Ammirante; occorrono poi i nomi accademici di Agitato, Offeso, Desto, Albigiante, Placato, Selvaggio, Trascurato, Traviato. 26 Biblioteca Civica «Romolo Spezioli» di Fermo [M V 7528]; sono grato, per il concreto aiuto, alla dott.ssa Luisanna Verdoni della medesima istituzione. 288 ne encomiastica filospagnola, ma anche una più netta ed equidistante invettiva antimilitaristica, che molto misuratamente sfocia nel topos della guerra al turco, e che, piuttosto, pare più concretamente riferita ai recenti accadimenti nel Settentrione italiano: il terzo sonetto, infatti, in cui si fa chiara allusione al Piemonte, permette di identificare la Pace vignatiana nei trattati di Pavia, Parigi e Madrid, con cui la Spagna e Torino, nei mesi a cavallo fra il 1617 e il 1618 (la dedica è firmata da Lodi il 26 maggio 1618), avevano posto fine alla prima guerra del Monferrato. L’ultima pubblicazione di Vignati si collega al «decreto» suggerito da Apollo ai poeti nello Sprezzo. Nei due Capitoli in lode della guidaria27, pubblicati sempre per Bertoetti nel 1621, Vignati – ricollegandosi altresì alla tradizione bernesca dei «capitoli in lode» – istituisce un elogio dell’accattonaggio truffaldino, che viene ingegnosamente rappresentato come allegoria degradata della «ventura» e dell’epopea, e che dunque confluisce nella condotta precedentemente suggerita ai poeti disprezzati dalla corte. Lo sbafo e la questua risolvono quindi l’ossessione per il cibo costantemente denunciata nei ternari vignatiani, e finiscono per istituirsi come paradossali codici di comportamento, dunque come superamento del genere satiricoburlesco in favore di un nuovo tipo, parossistico, di contestazione. Come annunciato nel frontespizio, i Capitoli sono seguiti da un Palagio delle delitie d’Amore, componimento lirico in verso sciolto di stampo ecfrastico-allegorico che può richiamare l’Amorosa visione di Boccaccio e le «architetture in versi» di Marino (ma anche l’esperienza della Pace trionfante), e sono circondati da un ricco nove- 27 Biblioteca «Federico Patetta» [54 M 12/2]. Per «guidone», cioè colui che vive della «guidaria», può valere la definizione di T. GARZONI, Piazza universale di tutte le professioni del mondo, LXXII, a cura di P. CHERCHI e B. COLLINA, Einaudi, Torino 1996, II, pp. 931-937: 931: «si trovano alcuni che, non tanto da inopia e da miseria tratti quanto da una pigrizia mera, abbandonate l’arti e le scienze, si danno a una vita talmente oziosa e negligente che la maggior quiete o felicità non istimano che con una pazza furfantaria mendicar del continuo il cibo e il vitto, riputando questa vita per la più dolce e più beata al mondo ch’esser possa». Sul tema della «furfanteria» «guidonesca» è fondamentale ricorrere a Il libro dei vagabondi, a cura di P. CAMPORESI, Einaudi, Torino 1973. 289 ro di sonetti e madrigali. Due sonetti, due madrigali e un epigramma latino d’avantesto difendono l’opera e il concetto di «guidaria»; in calce alla pubblicazione appaiono sonetti e madrigali di argomento morale («Le dolcezze di questo Mondo esser frali et caduche») ma anche burlesco («In biasmo delle Mosche»), scherzevole-amoroso ed encomiastico (per Giovan Battista e Antonio Negri capitano e luogotenente della cavalleria spagnola, per Francesco Corradi capitano e cavaliere, e di nuovo per il Lodovico Vistarino dello Sprezzo). I Capitoli sono dedicati a Giovan Pietro Pozzo, patrizio del Consiglio dell’Ospedale, cui sono riservati due sonetti e un madrigale d’avantesto, quest’ultimo per la consorte Isabella Micola Cortese. La presenza di una dimensione «odeporica» nell’opera vignatiana va naturalmente collegata agli stereotipi della letteratura burlesca di riferimento, e dunque ai topoi ad essa afferenti: il viaggio, la mensa e la camera inospiti, l’itinerario impervio, la penuria e la stanchezza, il basso corporeo, l’elogio paradossale28 e così via. La contestazione al sistema accademico e cortigiano è, a sua volta, elemento derivante da tale produzione, così come il modulo del viaggio in Parnaso, debitamente attagliato ad un’elocuzione bassa e ad una caratterizzazione grottesca e stilizzata dei personaggi. Il viaggio, nelle Rime piacevoli – ma sostanzialmente nel solo primo capitolo – è tema coincidente con il progressivo avvicinamento alla corte romana. In realtà, tale percorso è tutt’altro che lineare, ma piuttosto ondivago, franto da vari momenti di ripensamento e da parentesi onirico-allegoriche di natura sostanzialmente moraleggiante. Vignati riproduce, insomma, il cliché dantesco del viaggio allegorico (come dimostrano le evidenti citazioni o calchi dal primo canto dell’Inferno), condito di prevedibili incontri predittivi con simboliche «fiere», correlativi metaforici dei mali della corte: tratti comuni al Viaggio di Parnaso di Caporali, donde però Vignati non mutua la determinazione topografica di almeno alcune tappe, che invece – ma molto parzialmente – avrebbe fatto propria nelle Lacrime de’ poeti. 28 Si riscontri ad esempio M.C. FIGORILLI, Meglio ignorante che dotto. L’elogio paradossale in prosa nel Cinquecento, Liguori, Napoli 2008. 290 È, insomma, un itinerario malcerto nelle intenzioni e vacillante nello stesso progredire, tanto che il viator, in una sequenza iniziale, lascia intendere di essere rientrato in patria dopo aver intrapreso il percorso, dissuaso appunto dalla visione di un’ipotiposi infernale della Corte, ma di essersi poi rimesso in viaggio verso Roma convinto dalle sollecitazioni illusorie di un’allegoria della Poesia: Ond’io di ben oprar, già tutto pronto, mi risolsi signor, di gir a Roma, …………… quasi componto, sperando nel soffrir ogni gran soma, di farmi anch’io nomar per Cortegiano, che la patienz’al fine il tutto doma. Ma vano fu ʼl sperar, ch’un caso strano, mi fece ripensar nova partita, tosto ch’io gionto fui nel vago piano. Né grave morbo pur sentì mia vita, ma per mirar depinto un fiero mostro, restò dal gran timor quasi smarrita29. L’arrivo a corte coincide con la conferma delle predizioni infauste espresse dalle iniziali allegorie negative e, adesso, da un più navigato «servitore», che mette in guardia il viator dal ripetere la propria alienante esperienza, riferita in modo minuzioso ma profondamente stereotipato. La topica didascalica del cortigiano esperto – convogliata soprattutto nel prototipo della mensa indecente – è tuttavia anticipata dalla rappresentazione caricaturalmente illusoria del «Palazzo», al cospetto del quale l’impedimento dell’intellettuale-viator tradisce sì l’ambizione della gloria, ma prelude anche ad una presa di coscienza sinora ingannata dalle futili speranze, che trasfigurano quello stesso «Palazzo» in un’improbabile visione estatica di Parnaso30: 29 G.B. VIGNATI, Rime piacevoli sopra la corte, In Lodi, Per Paolo Bertoetti, 1606, p. 10. 30 Il tema del «palazzo letterario» va accostato ad un’omologa apparizione nel Viaggio di Parnaso di Caporali (II, 378 ss., cit., p. 74), a sua volta da confrontare con 291 Parea bramar nel cor, pien d’allegrezza, di farmi tutto schiavo all’alme Muse, e pizzicarle ancor, ma con destrezza Sol questo vi dirò, che stupirete, in estasi trovaimi al sacro fonte, e in zoccoli tornai privo di sete31. La presa di coscienza del letterato, che corrisponde come detto agli «avvisi» del cortigiano più esperto, riporta i ternari sul piano dell’imitazione dantesca, utile in questo caso alla rappresentazione della vita cortigiana come moto perpetuo e inconcludente, itinerario non progressivo ma circolare, alimentato da vane speranze e, soprattutto, da gravi pene che accompagnano il finale del primo capitolo delle Rime piacevoli verso profili moraleggianti e cupi piuttosto che comico-satirici: Ecco de’ Cortegiani, una gran schiera, come schiavi ne stanno, a le catene, e ʼl Maggiorduom spiegar la lor bandiera, e l’ira, e l’ambition, son pur le pene, a guisa d’onde di mar tempestoso, che fanno impallidir sin ne le vene. Dove si trova mai dolce riposo? Ogni hor intenti star com’in Corsia, se freme l’Aquilon, o s’è nascoso. Corre al gran caldiron, dolente e ria dopo longo remar contra gli venti la ciurma, tutta volta a la pazzia32. L’epifania della corte, d’altronde, è sostanzialmente imitata dal Caporali: anche allora, nei due capitoli Sopra la corte, l’illusione di gloria s’infrangeva nell’inospitalità del luogo e nell’alienazione del il Dialogo contra i poeti di Berni; ma su questo si veda ivi, in nota. 31 G.B. VIGNATI, Rime piacevoli sopra la corte, cit., pp. 22-23. 32 Ivi, p. 34. 292 letterato-fattorino, e da qui – specie nel secondo ternario – derivava una critica più amara al contesto palatino, che ricorreva al moralismo e alla contestazione antiumanistica (bersaglio dell’ironia era, a tal proposito, Castiglione, come puntualmente avviene anche in Vignati). Rispetto al desolante quadro di un’intellighenzia cortigiana e pertanto dannata come in schiere infernali, le opere vignatiane ispirate al mondo antico tratteggiano, come da topica caporaliana e da antichi «decreti» di Parnaso, una consuetudine ideale, per tratti edenica. I due mondi – quello antico dei poeti «sazi» e quello moderno dei letterati «affamati» – sono tenuti insieme, nel Testamento di Mecenate, dal fatto che, per ingegnosa invenzione, l’intellettuale augusteo cede in eredità i propri beni non solo ai contemporanei, ma anche ai moderni, destinatari di lasciti che simbolicamente ne omaggiano le rispettive ispirazioni stilistiche e di genere. C’è, insomma, una sorta di viaggio nel tempo, che non solo riporta il Parnaso a quel profilo diacronico che è tipico del genere del «ragguaglio», ma che soprattutto suggerisce allo scrittore di rivelare paralogicamente il meccanismo per cui proprio a lui è dato in sorte di conoscere questa sinora sconosciuta porzione del testamento di Mecenate, indirizzata ai posteri e ignota persino al Caporali: Che a torto il Caporal fu querelato, se ben non fé mention di que’ Poeti, compresi heredi nel futuro stato. Poiché potean saper tutti i discreti, che bisognava haver l’originale, per poter palesar que’ gran secreti. Questo fu in mio poter, ch’in un stivale, involto con certi altri vecchi strazzi, lo ritrovai nel Monte Quirinale33. L’orizzontalità di un inaudito viaggio nel tempo – comicamente trasfigurato nel vettore dello «stivale» – lascia spazio, nelle Lacrime de’ poeti, alla più classica verticalità del viaggio in Parnaso, modulo 33 ID., Testamento di Mecenate, In Lodi, Per Paolo Bertoetti, 16132, p. 84. 293 in cui il modello caporaliano è tanto influente da suggerire a Vignati la preterizione dell’itinerario di Virgilio al monte, surrogata da un accorato omaggio al «mastro de l’arte»: Ben qui uopo saria, ch’ogni sentiero io descrivessi insin al sacro Monte, e mi mostrassi prattico guerriero. Ma temo di non far come Fetonte, che non sapendo il vero e camin dritto, si ruppe il collo, i fianchi, con le gionte. E s’alcun vuol saper un tal conflitto, vada dal Caporal mastro de l’arte, ch’in quell’andata sua ce l’ha descritto34. Governati da Augusto, e dunque da un rappresentate del mecenatismo antico, i viaggi di Virgilio in Parnaso e dei poeti prima alla casa di Petrarca a Firenze e poi a Roma per le esequie di Mecenate rappresentano le escursioni in autentici Eden alimentari, onusti di mense tanto sovrabbondanti quanto avulse dai galatei e liberatorie rassegne del più basso corporeo. L’accostamento tra «poetare» e «mangiare» costituisce un’osmosi pressoché ossessiva, che annulla le differenze stilistiche e di genere incarnate dai poeti presenti in scena, e che traduce l’«antiparnaso» della fame nel vero e canonico Parnaso della sazietà: O meraviglia grande, o gran stupore, che si vide la mensa apprecchiata, per virtù del poetico furore! E si vide per l’aria l’insalata volar ne’ piatti, e poi fermarsi in mensa, e venir dietro la prima portata. Non si lavâr le man, che gli dispensa il Signor Galateo d’esser sporchetti, c’hanno nel poetar la mente intensa 35. 34 149. 294 ID., Le Lacrime de’ poeti, In Lodi, Appresso Paolo Bertoetti, 1613, pp. 148- L’accesso dei poeti moderni ai lussi della corte antica è però momentaneo: l’idillio viene interrotto nello Sprezzo de’ poeti moderni, allorché gli scrittori, preso definitivamente atto dello iato esistente rispetto al trattamento nelle corti attuali, inoltrano ad Apollo le loro rimostranze. Anche in questo caso il viaggio in Parnaso è preterito, ma, più che da un omaggio, esso viene rimpiazzato dall’ammissione della scarsa incidenza della letteratura anticortigiana sullo status quo e sulla condotta dei principi, che non risultano emendati neppure in seguito alle «grida» del «Caporale» e del «Boccalino»36. L’accostamento Caporali-Boccalini – che certo appare inopportuno sotto il profilo storico-critico alla luce del ben più ampio respiro dei Ragguagli di Parnaso rispetto alla semplificata ispirazione del comico-satirico caporaliano – è funzionale all’autodeterminazione storico-letteraria dello scrittore. Egli, infatti, non solo si colloca in una posizione assai precoce sul piano dell’imitazione di Caporali, pur entrando del tutto impropriamente in giostra con il genio boccaliniano, ma pone implicitamente se stesso come «satirico della svolta», in grado cioè, dopo il fallimento degli illustri modelli, d’incidere sulla condotta delle corti e degli scrittori in essa operanti, segnando un’evoluzione nell’emancipazione di costoro e proponendosi al vertice di una nuova generazione di «fustigatori», in tal veste benedetto dagli stessi «decreti» di Apollo: Che ogni Poeta, se ben dozinale, notasse de la Corte quel diffetto che par che sia suo proprio, e naturale […]. Tra questi il buon Vignati de i Poeti scrisse lo Sprezzo, in questo stil burlesco, notando il modo de gli avari ………., c’hanno un gran ramo del viver furbesco 37. 35 Ivi, p. 177. ID., Lo Sprezzo de’ poeti moderni, In Lodi, Per Paolo Bertoetti, 1617, p. 28. 37 Ivi, p. 66. 36 295 L’emancipazione dei poeti dalla corte passa dunque, vista l’eccezionalità della crisi attuale, dall’annullamento delle distinzioni di stile, e quindi da un capovolgimento del codice che prevede adesso la primazia dei «dozinali» – nell’incipit dello Sprezzo Vignati si era infatti definito tale – e dello «stil burlesco» come mezzo che ne giustifica il fine liberatorio – il quale coincide, al tempo, con il ritorno ai valori poetici del passato, e dunque ad più equilibrato rapporto tra intellettuali e potere. Nello Sprezzo, d’altronde, la rievocazione del viaggio a corte, che pure è presente, appartiene al ricordo di un’esperienza vissuta ma rigettata, trasfigurata non più nel viaggio impervio e allegorico, bensì nella stigmatizzazione moraleggiante dell’adulazione, della simulazione e della buffoneria, temi satirici per eccellenza che Vignati non esita a riusare nel mutato contesto della «riscossa» dei poeti: Poco lontano poi vidi gran gente, presentar finti detti e simulati, et haver dal Signor l’orecchie attente. Scorsi dapoi certi visi pezzati, eran i più secreti camarieri, ch’in adular eran addotorati […]. Ben vidi star afflitti in un cantone molti Poeti, et altri letterati, che non potean haver introdutione38. Vagamente preconizzato già nella seconda edizione delle Rime piacevoli39, il consiglio che Apollo rivolge ai poeti nel finale dello Sprezzo – cioè di uscire dalle corti e rendersi «come tanti Venturieri» – si basa proprio sul principio del capovolgimento dei generi e degli stili. Se lo scopo è la sussistenza («per potervi buscare la pagnotta»), i poeti dovranno cioè scollarsi da un esercizio letterario univoco e costante, per dedicarsi piuttosto ad una maggiore escursione di genere 38 Ivi, p. 47. ID., Rime piacevoli sopra la corte, In Lodi, Per Paolo Bertoetti, 16132, p. 65: «da qui ponno imparar i Corteggianti, | di non far in la Corte fundamento, | ma pensin d’esser Cavalieri erranti». 39 296 («hor bassi, hor alti») e al tempo stesso ad una più ampia diversificazione «professionale», rappresentata con l’allegoria dei differenti «viaggi di ventura» (quelli dei burleschi e contestatori, quelli dei precettori, quelli dei lirici e perdigiorno): ‒ Ma qui bisogna far prove d’Orlando, ch’io vi consiglio che stato cangiate, e star hor bassi, hor alti in quando, in quando. Se ne le Corti sono ricercate, le genti che sol fanno di mestieri, per i dovuti officij adoperate, cercate come tanti Venturieri, con qual si voglia offerte, e conditioni, menar le mani in altri tavoglieri […]. – Molte [schiere di poeti] fêr ellettion ne le più basse parti voler cercar la lor ventura, per dar quel che s’aspetta a le ganasse; altre che già del pare la strettura provate havean, fra quel vicin contorno cercaron de’ i scolar haver la cura. Altre per far più corto il longo giorno, provaron d’innestar piante novelle, e sparger a Priapo i fior d’intorno40. Quanto caldeggiato da Apollo ai poeti nello Sprezzo trova compimento nei Capitoli in lode della guidaria: qui, infatti, la «ventura» assume più distintamente i contorni dell’accattonaggio, e chiama in causa, in qualità di esemplari «guidoni», gli eroi dell’epopea classica. Ercole, ad esempio, non è il semidio creduto dai più (indicatore di questo capovolgimento è la formula anaforica «Si mentano color che»), bensì un «guidone» mandato in terra dagli dei che «havean trovato la Cucagna, | calando ne le strazze argento, et oro» insieme a una brigata di altri sei «eroi»41. Sorte simile tocca ad Enea, che, mosso da 40 41 ID., Lo Sprezzo de’ poeti moderni, cit., pp. 29, 33. ID., Capitoli in lode della guidaria. Il Palagio delle delitie d’Amore. Sonetti, e 297 un’ossessione per la fame paragonabile a quella dei poeti dello Sprezzo, sarebbe giunto da Didone con i galloni dell’accattone che, svuotata la mensa di succosi avanzi, si parte soddisfatto per altre «imprese»: Enea si vestì d’una moresca vestazza, che fu già d’un suo staffiero, depinta con figure a la grottesca […]. Et se ben se ne gian così pian piano, viddero dove la Regina Dido, il scettro tiene nel Mar Africano. Si mentano color, ch’alzan il grido, che colà fosser gionti con le navi, fuggendo il foco del paterno nido […]. Né a pena caminâr un mezo miglio, che per bisogno chieser da mangiare, che gli pose in conquasso, et in bisbiglio […]. Didon gli fece dare gli avanzati cibi de la sua mensa, e del Tinello, et comandò che fosser riscaldati […]. Il buon Troian all’hor fatto il suo conto, vide ch’era già tempo far partenza, se ben havea trovato il pan bisonto, per saper guidonar con gran prudenza 42. La «guidaria», insomma, viene rappresentata come un’autentica filosofia di vita, che supera la critica anticortigiana in qualità di strumento di alterazione della «servitù»: il «guidone» è un callidus non buffonesco/bertoldesco, bensì fallace e approfittatore, capace di ribaltare con un carnevalesco fatto di violenza e simulazione la tipica avarizia dei signori. Pertanto, quello della «guidaria» è un meccanismo degenere e socialmente ingannevole, anche perché avulso dalla proposizione intellettuale del soggetto, che estorce benefici in quanto (finto) accattone, e non in virtù di una specifica prestazione. Rispetto al «ven- madrigali diversi, In Lodi, Per Paolo Bertoetti, 1621, pp. 17-18. 42 Ivi, pp. 19-21. 298 turiero» dello Sprezzo, insomma, il «guidone» costituisce una devianza, tanto che le riflessioni condotte da Vignati sui «poeti-guidoni» non sono piacevoli, bensì amare e disincantate: Et ritornando a i nostri primi conti, son fatti guidi insino gli Poeti, per esser tutti a’ passi stretti gionti […]. Oh questo non è più boccon amaro, che se donan le lor compositioni, segni non dan che ʼl dono gli sia caro. Onde per forza si fanno guidoni, i poveri Poeti sventurati, cercando il guidardon con somissioni43. Per il poeta, insomma, la «guidaria» rappresenta sì l’estremo rimedio alla vita sedentaria della corte e all’indigenza che l’avarizia dei principi vi comporta, ma costringe il letterato, di fatto, o ad abbandonare l’esercizio intellettuale ad esclusivo vantaggio della vita «guidonesca», oppure ad esercitare la «guidaria» per «forza», cioè, di nuovo, entro il circolo delle corti, subordinati a «somissioni» che li ricondizionano agli ambienti da cui si erano ritenuti emancipati. La «ventura» suggerita da Apollo nello Sprezzo, quindi, viene ora praticata dai letterati, ma ciò non comporta l’abbandono di una posizione subordinata; vuoi in un’ottica sedentaria e segretariale, vuoi in una prospettiva «guidonesca» e occasionale, la corte torna insomma a confermarsi l’ambiente «fatale» dei poeti moderni, il circolo infinito e inconcludente – per richiamare l’immagine cui Vignati ricorreva nelle Rime piacevoli – in cui essi paiono inesorabilmente inseriti, costretti sì a stereotipate penurie, ma anche legati ad una sussistenza minima che la «guidaria», male estremo della «ventura», farebbe pagare con l’abbandono delle velleità poetiche. Del resto, a margine del «decreto» con cui aveva suggerito ai poeti di farsi «venturieri», e già in relazione al viaggio di Virgilio in Parnaso su mandato di Augusto, lo stesso Apollo aveva allegato meste 43 Ivi, pp. 31-32. 299 previsioni: che, cioè, la Corte «’n giorno in giorno si vedrà più prava»44, e che i poeti «sempre sputaranno tosco amaro» accusando il «tempo avaro» e rimpiangendo il munifico mecenatismo dell’antichità45. Una profezia che, nel finale amaro dei Capitoli in lode della guidaria, sostanzialmente si adempie: i poeti-«guidoni» non sono affatto «venturieri», ma sono, di nuovo, i cortigiani, tornati di fatto ad una vita di servizio che, annullati i baldanzosi propositi dell’ultimo Sprezzo, li condanna fatalmente al contesto delle Rime piacevoli e delle Lacrime. 44 45 300 ID., Lo Sprezzo de’ poeti moderni, cit., p. 64. ID., Le Lacrime de’ poeti, cit., p. 166.
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