LA POESIA COMICA E LA PROSA NEL DUECENTO A partire dalla seconda metà del Duecento si diffonde in Toscana una poesia comica che si contrappone, con chiaro intento parodico, alla poetica dello stilnovo. E’ una poesia che nasce dalla vita comunale toscana e ne riflette le contrapposizioni politiche, gli odi che ne derivano, lo spettro della povertà materiale, ma anche l’avidità della nuova borghesia. L’orizzonte della poesia comica è ormai interamente laico e mondano e i temi principali sono l’amore sensuale verso una donna maliziosa e dedita ai piaceri carnali (rovesciamento dei valori e delle caratterizzazioni stilnovistiche), l’esaltazione dei piaceri del gioco e del vino, della taverna e dei ricchi festini a cui partecipavano i giovani rampolli della borghesia emergente, il bisogno costante di denaro e la paura della povertà che ne deriva, la polemica verso l’avarizia dei padri, l’aggressione personale verso gli avversari, a marcato carattere caricaturale e satirico; prevalgono i toni scherzosi, lo stile e la sintassi sono caratterizzati dall’uso di termini popolari, plebei, tendono all’imitazione del parlato, puntano all’effetto immediato, sino all’espressività brutale. Iniziatore del genere è Rustico Filippi, attivo nel trentennio 1260-1290 e maestro dell’attacco personale e dell’ironia sottile. Ma il principale protagonista di questa corrente è senz’altro il senese Cecco Angiolieri (1260-1312 circa). La sua opera consta di oltre 100 sonetti, le tematiche principali sono quelle già citate, mentre i personaggi ricorrenti sono quelli dell’amante Becchina, della moglie litigiosa e del padre avaro. A questi Cecco rivolge costanti violente accuse, augurandogli incessantemente la morte, nella speranza di riceverne l’eredità. L’intento parodistico nei confronti della tradizione cortese e stilnovista dà la prova del carattere non istintivo e popolaresco della poesia di Cecco, bensì colto e meditato, pari sul piano della perizia retorica e strutturale a quello dei maggiori poeti stilnovisti. Altro rappresentante della poesia comico realistica fu Folgòre da San Gimignano, autore che appare ancora profondamente legato alla tradizione cortese, anche a ragione della sua provenienza cavalleresca, di cui esalta virtù ed ideali. Ideali ormai svaniti nella società comunale, che Folgore rimpiange. Nelle due raccolte di sonetti che ci ha lasciato, e dedicati ai giorni della settimana ed ai mesi dell’anno, Folgore mostra nostalgia del passato che tenta di mitizzare e trasfigurare nella sua poesia. LETTURA DA CECCO ANGIOLIERI S’i’ fosse foco, arderei ‘l mondo La figura dell’anafora : più che una figura la ripetizione è uno dei meccanismi retorici più semplici e più usati; consiste nella iterazione dello stesso termine, secondo modalità stilistiche diverse, per richiamare concetti o immagini. L’anafora è la più nota di queste figure e consiste nella ripresa, all’inizio di versi o di frasi successive, della stessa parola o dello stesso gruppo di parole. Si chiama anafora anche quel procedimento sintattico che consiste nel sostituire cose o persone, enunciate precedentemente, con uno o più pronomi. Tutte le forme di ripetizione hanno la funzione di enfatizzare l’espressione; infatti, rallentando il ritmo, la ripetizione permette di soffermarsi sui suoni e sui significati dei termini che vengono così posti in evidenza, indirizzando inoltre la comunicazione in modo univoco. In campo pubblicitario questa figura si presta ad amplificare il messaggio con soluzioni più o meno creative (marchionismo nella grafica pubblicitaria, saturazione dell’immagine mediante riproduzione di più moduli visivi in fotografia). LA PROSA. MARCO POLO. LA NASCITA DELLA NOVELLA Nel Duecento la prosa in Italia sconta un certo ritardo di sviluppo rispetto alla poesia, dovuto soprattutto al prevalere del latino (e del francese) nella trattatistica scientifica. Con l’affermarsi della civiltà comunale il volgare però s’impose come lingua dell’attività politica e culturale dei Comuni, a partire dalla Toscana. Le basi strutturali della nuova prosa restano comunque quelle solide della lingua latina. Il genere con cui s’affermo la prosa volgare fu quello delle chronicae cioè le cronache cittadine, opere quindi di storiografia. Il capolavoro fu la Cronica delle cose occorrenti nei tempi suoi di Dino Compagni. Coetaneo e concittadino di Dante, il Compagni fu coinvolto nella guerra civile fiorentina tra le fazioni guelfe dei Bianchi e dei Neri. Oltre l’interesse storiografico dell’opera c’è da dire che egli rifiuta l’approccio universalistico e annalistico e si concentra su una precisa fase della storia fiorentina (1300-1308) e sul conflitto in cui fu coinvolto. Pur dichiarando l’impegno a voler testimoniare solo “il vero delle cose certe” il suo lavoro è fortemente intriso di passioni e risentimenti morali e politici, quindi opera di parte ancora lontana dall’obbiettività storiografica. IL MILIONE DI MARCO POLO Nell’opera di Marco Polo, mercante veneziano vissuto per due decenni alla corte dell’imperatore di Cina Kublai Khan, convivono la mentalità pratica del commerciante e l’atteggiamento fantastico che caratterizza l’intero immaginario medievale, che vede nell’Oriente una terra di sogno, ricca di misteri e meraviglie. Con la sua opera ha origine il filone della letteratura di viaggio in lingua volgare, anche se la prima edizione, andata smarrita, pare fosse scritta in lingua d’oil da Rustichello da Pisa. Il Milione è quindi dei primi "racconti di viaggio". Marco Polo era un mercante veneziano vissuto nel XIII° secolo, che fece un lungo viaggio fino in Cina. Conobbe molti posti e molte popolazioni; a quei tempi in Cina governava KUBLAI KAN, imperatore dei Tartari e discendente di Gengis Kan; Marco Polo divenne suo ambasciatore e continuò a viaggiare per molti anni nei territori del grande Impero Tartaro. Viaggiò per 26 anni, ma quando ritornò in Italia, dopo aver partecipato alla battaglia navale di Curzola (1298) finì in carcere, catturato dai nemici genovesi. Qui dettò le sue memorie di viaggio ad un tal Rustichello di Pisa, suo compagno di cella, e così nacque il suo capolavoro, tra il 1298 ed il 1299. Nello stesso anno Marco Polo viene liberato e torna a Venezia, dove continua il mestiere di mercante e si occupa della diffusione del suo libro. Morirà nel 1324. Nel Prologo del Milione Marco Polo espone una breve sintesi del suo racconto di viaggio: lo scopo, gli eventi che ne costituiscono la cornice storica, il suo rapporto con Kublai Kan, l'accoglienza ricevuta e gli incarichi di fiducia che il sovrano gli assegnò, fino all'avventuroso viaggio di ritorno con la principessa Cocacin. IL VIAGGIO Nel 1260 due mercanti veneziani, Matteo e Niccolò Polo, partirono da Costantinopoli, dove possedevano magazzini e depositi di merce, verso le regioni interne dell'Asia, in cerca di spezie e di merci preziose. Dopo aver attraversato tutta l'Asia Centrale, in quel tempo dominata dai Tartari, giunsero nel 1264 a Cambaluc (l'odierna Pechino), alla corte di Kublai Kan, signore di tutti i Tartari. Erano i primi europei che si vedevano in quelle lontane terre. Kublai Kan accolse i due veneziani con grande cortesia e li interrogò a lungo sulle usanze dell'Europa, interessandosi specialmente alla loro religione. Ripartirono per l'Italia dopo tre anni, portando con sé un messaggio del Gran Kan per il Papa. Il viaggio di ritorno fu più agevole, grazie alle piastre d'oro donate da Kublai che garantirono loro aiuto e supporto in tutto l'impero. I fratelli ripartirono per la Cina nel 1271, accompagnati da Marco e da due monaci inviati dal Papa. Marco aveva allora 17 anni (era nato nel 1254). Ben presto i due frati, stremati dalle difficoltà del viaggio, furono costretti a tornare indietro. I tre coraggiosi Veneziani proseguirono da soli e, dopo un viaggio lungo ed avventuroso, giunsero nuovamente alla corte di Kublai Kan. Egli li accolse con grande simpatia e si affezionò in particolare a Marco, del quale ammirava l'intelligenza e l'onestà. Lo nominò suo consigliere e poi governatore di una provincia del suo impero. Gli affidò anche delle ambasciate in diverse regioni. Fu così che Marco Polo poté conoscere le abitudini e i costumi di diversi popoli che mai fino allora nessun uomo occidentale aveva visto. Il viaggio di ritorno comincia quando degli ambasciatori giunsero dalla Persia a Pechino e chiesero all'Imperatore una principessa da dare in sposa al loro re, l'Ilkan Argon. Quindi Marco ripartì per accompagnare la futura sposa, principessa Cocacin , con 14 navi ed un seguito di 600 uomini di scorta. Il viaggio di ritorno, compiuto per gran tratto via mare, durò oltre 2 anni. Appena i superstiti, solo 18 uomini a detta di Marco, arrivarono in Persia, scoprirono che nel frattempo il re Argon era morto e la principessa andò in sposa al figlio Casan. Successivamente, ben forniti di piastre del comando, donate dal nobile reggente Chiacatu, i Veneziani rientrarono in patria passando da Trebisonda, verso Costantinopoli e successivamente da Negroponte fino a Venezia. Era ormai l'anno 1295. ASPETTI LETTERARI E LINGUISTICI Dell’opera, scritta come dicevasi in lingua d’oil, circolarono subito dei volgarizzamenti toscani. Il titolo Il Milione deriva quasi sicuramente dal soprannome Emilione attribuito alla famiglia di Marco Polo. Presto apparve anche una edizione in lingua francese, significativamente intitolata Livre des mervailles (Il libro delle meraviglie). L’opera si struttura in un’ introduzione, un prologo e oltre 200 capitoli che raccontano il viaggio, con molte digressioni e pause narrative e descrittive. Si alternano leggende e descrizioni fantastiche delle meraviglie orientali a passi in cui il mercante osserva e descrive le ricchezze e le abitudini delle popolazioni incontrate. Prevale un sottile pregiudizio contro le religioni non cristiane, ma anche l’ammirazione, lo stupore e la meraviglia di fronte a tanta diversità. Alcune testimonianze sono di prima mano, altre sono meno attendibili ma complessivamente si può dire che il capolavoro del mercante veneziano e del poligrafo pisano si regge su uno straordinario equilibrio tra realtà e fantasia, fra “romanzo borghese” e “romanzo cortese”, fra un’esigenza di praticità e di scientificità, in cui si sente soprattutto il contributo di Marco e uno spirito fantastico e mitizzante dovuto probabilmente all’influenza di Rustichello. LE ORIGINI DELLA NARRATIVA: VOLGARIZZAMENTI E NOVELLISTICA Sul ritardo dello sviluppo della narrativa italiana abbiamo già detto in precedenza. C’è da aggiungere che la novellistica volgare ha origine con le traduzioni in volgare di materia epica proveniente dai cicli carolingi e bretoni. La novella in particolare deriva dalla narratio brevis che nella retorica medievale corrispondeva alla fiaba ed allo stile più umile, il cui scopo era quello di divertire il lettore. La novella costituisce quindi il punto d’arrivo di un processo di progressiva laicizzazione della cultura e di valorizzazione della vita umana nella sua dimensione terrena. Particolare peso nello sviluppo del genere della novella ebbe l’influenza sia dei generi moralistici medievali, come l’agiografia e la fiaba morale (exempla, vite, fabliaux), sia della novellistica araba ed orientale. Questa materia molto variegata e fluida sarà la causa del relativo ritardo, rispetto alla lirica, nella formazione del canone della novella e della prosa in generale nella nostra letteratura, che avverrà solo nel XIV^ secolo con il Boccaccio. Dal punto di vista del fruitore e del pubblico c’è inoltre da evidenziare l’aspetto prevalentemente orale ed occasionale (di consumo) di questa narrativa, che nel Duecento trova nella raccolta del Novellino una prima globale sistemazione. Una raccolta di cui si ignora quasi tutto. Essa risale alla fine del Duecento, opera di uno o forse due anonimi autori, di estrazione più rozza e borghese il primo, più raffinata e cortese l’altro. Le fonti utilizzate sono francesi, provenzali, italiane e latine; è un’opera che si prefigge non più solo di educare, ma anche di dilettare il suo pubblico. La funzione educativa, che pur resta viva, è orientata ormai laicamente verso lo scopo sociale del parlare arguto e fiorito, cioè del saper rispondere e comportarsi secondo le regole della cortesia e del costume sociale della borghesia più raffinata dell’epoca.
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