Cass. civ., sez. lav., 02-10-2014, n. 20825

Cass. civ., sez. lav., 02-10-2014, n. 20825
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 10.7.2007, la Corte di appello di Bari accoglieva il gravame dell'INPS ed, in
riforma dell'impugnata decisione, rigettava la domanda proposta da U.G. intesa ad ottenere il
riconoscimento del diritto di esso istante a percepire l'indennità di accompagnamento richiesta in
sede amministrativa il 15 gennaio 2001 ed al pagamento dei corrispondenti ratei. Rilevava che il
CTU aveva accertato, al pari della Commissione Medica, una invalidità del 100% in
ultrasessantacinquenne con difficoltà persistenti a compiere gli atti e le funzioni della sua età e che
tale condizione era presente sin dall'epoca della presentazione dell'istanza, ma aveva escluso che il
periziato fosse incapace di deambulare autonomamente, senza il costante aiuto altrui, e di attendere
autonomamente agli atti quotidiani della vita, sicchè correttamente il primo giudice aveva escluso il
riconoscimento del beneficio per il quale era richiesto, anche per gli ultrasessantacinquenni, a
prescindere dall'età, che essi non fossero in grado di deambulare e di attendere autonomamente agli
atti quotidiani di vita. Osservava la Corte che l'indennità di accompagnamento era disciplinata dalla
L. 18/1980, che prescriveva i due requisiti menzionati, e che il D.Lgs. 509/1988, art. 6, non era
intervenuto su quella normativa, bensì sull'altra che regolava l'invalidità civile, apportando una
modifica con riferimento ai soggetti ultrasessantacinquenni, in considerazione del fatto che chi
aveva più di 65 anni rientrava nell'area della pensione di vecchiaia, per cui non poteva per esso
parlarsi di capacità lavorativa, e dovendo, nell'ambito di tale categoria di assistiti, considerarsi
mutilati ed invalidi coloro che avessero difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni
proprie della loro età, analogamente che per i minori di 18 anni. Per tali soggetti il legislatore aveva
sostituto il requisito della incapacità lavorativa con quello, più appropriato, della difficoltà suddetta
e pertanto il requisito sostituito non era quello della incapacità di deambulare o di svolgere gli atti
quotidiani, che rimaneva inalterato e necessario anche per la indicata categoria di assistiti.
Per la cassazione di tale decisione, ricorre l' U., affidando l'impugnazione a tre motivi, cui resiste
l'INPS, con controricorso.
Il Ministero dell'Economia e Finanze e la Regione Puglia sono rimasti intimati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente denunzia violazione dell'art. 360 c.p.c., n. 4, e degli artt. 101, 102,
331 e 332 c.p.c., sostenendo che l'appello non era stato proposto nei confronti della Regione Puglia,
parte processuale nel giudizio assistenziale, e che il ricorso dovesse essere proposto nei confronti di
tutte le parti che avevano partecipato al giudizio di primo grado, in caso negativo dovendo essere
disposta l'integrazione del contraddittorio ai sensi del'art. 331 c.p.c., ovvero dell'art. 332 c.p.c..
Con il secondo motivo, l' U. lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, e
art. 100 c.p.c., osservando che non è stato gravato di appello il capo della decisione con il quale il
giudice di primo grado aveva rilevato che l'azione era di mero accertamento delle condizioni
sanitarie legittimanti la concessione dei benefici nei confronti del Ministero e di condanna nei
confronti dell'INPS, sicchè la concessione del beneficio assistenziale riguardava il solo Ministero,
unico legittimato a proporre impugnazione avverso la sentenza, non potendo agire l'INPS nella
qualità di mero ente erogatore, con la conseguenza che il gravame proposto dall'istituto doveva
essere dichiarato inammissibile.
Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell'art. 360 c.p.c.,
nn. 4 e 5, della L. 18/1980, del D. Lgs. 509/1988, art. 6, della L. 118/1971, art. 2, richiamando Cass.
n. 4904/2001 per sostenere che non sia richiesta per gli ultra 65nni la totale incapacità di attendere
alle funzioni della loro età.
Rileva la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui ha affermato l'assistito non possedeva
il requisito delle difficoltà persistenti a svolgere le funzioni della propria età, accertato, invece, dal
C.t.u..
Il ricorso è infondato.
Quanto al primo motivo, non è dato comprendere quale sia l'interesse dell'assistito a dolersi della
mancata integrazione del contraddittorio, nel secondo grado di giudizio, nei confronti della Regione
Puglia, dichiarata dal primo giudice carente di legittimazione passiva, posto che la parte che ha
sollevato nella presente sede la relativa questione non ha specificato in che termini era stata
proposta la domanda, ossia se la richiesta di condanna era cumulativa, ovvero alternativa nei
confronti dei soggetti convenuti in giudizio. L'INPS, che ha proposto gravame per la questione
relativa all'insussistenza dei requisiti per la concessione del beneficio assistenziale richiesto, ha
omesso di formulare censure sulla specifica questione della legittimazione, risolta nel senso
dell'esclusione della legittimazione della Regione; era onere dell'assistito, pertanto, specificare il
proprio interesse ad ottenere la condanna di quest'ultima. Peraltro, nel caso di domanda proposta
alternativamente nei confronti di due diversi convenuti, che venga accolta nei confronti di uno solo
di questi ultimi e rigettata nei confronti dell'altro, l'appello del soccombente non basta a devolvere
al giudice dell'impugnazione anche la cognizione circa la pretesa dell'attore nei confronti del
convenuto alternativo, posto che l'unicità del rapporto sostanziale, con titolare passivo incerto, non
toglie che due e distinte siano le formali pretese, caratterizzate - pur nell'unità del "petitum" - dalla
diversità dei soggetti convenuti ("personae") e, in parte, dei fatti e degli argomenti di sostegno
("causae petendi"); in relazione alla suddetta pretesa, pertanto, l'attore-appellato ha l'onere di
riproporre la domanda già formulata in primo grado, ai sensi dell'art. 346 c.p.c. (cfr. Cass. 23
dicembre 2011, n. 28711, Cass. 7 gennaio 2009, n. 65).
Non risulta nella specie specificato, in ottemperanza anche al principio di autosufficienza, oltre che
ai fini della valutazione della connotazione di novità della questione, se tale riproposizione sia
avvenuta nel giudizio di gravame.
Quanto al secondo motivo di ricorso, relativo alla legittimazione, questa Suprema Corte ha rilevato
(Cass. sez. lav., 9 luglio 2007, n. 15333; Cass. 7 gennaio 2009, n. 65; Cass. 25 marzo 2009, n. 7205)
che, con riferimento alla domanda giudiziale per il conseguimento di prestazione assistenziale (nel
caso esaminato, proposta prima del 1 gennaio 2005 - data di entrata in vigore del D.L. 269/2003 - e
successivamente al 13 settembre 1998, come nella presente controversia), la legittimazione passiva
a stare in giudizio spetta in via esclusiva all'INPS quale ente erogatore della prestazione, dovendosi
escludere la legittimazione passiva del Ministero dell'Economia e delle Finanze, dell'ente regionale
e dell'ente comunale. In particolare, ha di recente evidenziato questa Corte che, quanto ai Ministeri
dell'Economia e Finanze e dell'Interno, la legittimazione passiva di quest'ultimo va ormai esclusa,
mentre, quanto al primo, provvede la disposizione di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 369, art. 42,
convenuto nella L. 24 novembre 2003, n. 3262, non applicabile, tuttavia, nel caso di specie, ratione
temporis. Si prevede, infatti, che gli atti, con i quali si da inizio ai procedimenti giurisdizionali
concernenti l'invalidità civile, la cecità civile, il sordomutismo, l'handicap e la disabilità ai fini del
collocamento obbligatorio al lavoro, devono essere notificati "anche" al Ministero dell'Economia e
delle Finanze, il quale è litisconsorte necessario ai sensi dell'art. 102 c.p.c.. E' già stato escluso dalla
giurisprudenza di questa Corte che questa disposizione sia applicabile ai giudizi già in corso alla
data di entrata in vigore della legge. La presenza del Ministero dell'Economia viene, quindi, prevista
come necessaria, anche se nei suoi confronti non venga spiegata alcuna domanda, essendo stata
ritenuta opportuna per l'accertamento dello stato invalidante. La presenza in giudizio del suddetto
Ministero (necessaria e resa più incisiva dal suo intervento in sede di accertamento peritale) si
giustifica altresì con il venir meno, a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.L. 269/2003, dei
ricorsi amministrativi avverso i provvedimenti in materia di invalidità civile, come dispone il citato
art. 42, comma 3, il quale introduce altresì, e per la prima volta, un termine di decadenza per
proporre la domanda giudiziale. Va precisato che l'efficacia delle disposizioni di cui al comma 3,
inizialmente fissata dal comma 3 alla data di entrata in vigore del D.L. 269/2003, e cioè al 2 ottobre
2003, è stata differita al 31 dicembre 2004 dal di 24 dicembre 2003 n. 355, art. 23, convenuto nella
L. 27 febbraio 2004, n. 47 (cfr. Cass. 3 aprile 2008, n. 8654; in senso conforme, Cass. 13 giugno
2008, n. 16047). Pertanto, in relazione alla domanda di concessione dell'indennità di
accompagnamento, va ritenuta la legittimazione passiva esclusiva dell'INPS, essendo stata la
domanda giudiziale proposta nel suddetto intervallo temporale, ossia prima del 31.12.2004.
Il terzo motivo è inconferente, in quanto, oltre al requisito delle difficoltà persistenti a svolgere i
compiti e le funzioni proprie della loro età, alternativo all'incapacità al lavoro dei soggetto
infrasessantacinquenni, è richiesta la sussistenza o di una impossibilità di deambulazione o
l'incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita. Le condizioni previste dalla L. 11 febbraio
1980, n. 18, art. 1, (nel testo modificato dalla L. 21 novembre 1988, n. 508, art. 1, comma 2) per
l'attribuzione dell'indennità di accompagnamento consistono, alternativamente, nell'impossibilità di
deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore oppure nell'incapacità di compiere gli
atti quotidiani della vita senza continua assistenza; ai fini della valutazione non rilevano episodici
contesti, ma è richiesta la verifica della loro inerenza costante al soggetto, non in rapporto ad una
soltanto delle possibili esplicazioni del vivere quotidiano, ovvero della necessità di assistenza
determinata da patologie particolari e finalizzata al compimento di alcuni, specifici, atti della vita
quotidiana, rilevando, quindi, requisiti diversi e più rigorosi della semplice difficoltà di
deambulazione o di compimento degli atti della vita quotidiana e configuranti impossibilità. Tali
requisiti sono richiesti anche per gli ultrasessantacinquenni, poichè il D. Lgs. 23 novembre 1988, n.
509, n. 6, (che ha aggiunto la L. 118/1971, art. 2, comma 3), lungi dal configurare un'autonoma
ipotesi di attribuzione dell'indennità, pone solo le condizioni perchè detti soggetti siano considerati
mutilati o invalidi - in analogia a quanto disposto per i minori di anni diciotto dall'art. 2, comma 2,
L. 118/1971 nel testo originario - non potendosi, per entrambe le categorie, far riferimento alla
riduzione della capacità lavorativa (cfr. Cass. 28 maggio 2009, n. 12521).
Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
Le spese del presente giudizio possono essere integralmente compensate nei confronti dell'INPS,
tenuto conto dell'orientamento giurisprudenziale difforme cui si era richiamato il giudice di primo
grado quanto ai requisiti richiesti per il beneficio in favore di soggetti ultrasessantacinquenni e del
difforme esito anche dei giudizi di merito di primo e secondo grado.
Nulla va disposto nei confronti delle parti rimaste intimate.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa nei confronti dell'INPS le spese del presente giudizio. Nulla
nei confronti delle parti rimaste intimate.