Testo preso dal libro del biblista Ascoltarti è una festa. Le letture

Diciassettesima domenica del Tempo ordinario
La gioia di scoprire un tesoro
Testo preso dal libro
del biblista
FERNANDO ARMELLINI
Ascoltarti è una festa.
Le letture domenicali spiegate alla comunità
Anno A
Ed. Messaggero, Padova, pp. 431-439
L'archeologo Carter rimase per alcuni istanti stupefatto, allibito, quasi
paralizzato quando, introdotta una candela in un pertugio della tomba inviolata di
Tutankhamon, scorse il tesoro più ricco mai scoperto. I tre amici che erano con
lui lo interpellavano con insistenza, ansiosi di sapere cosa lo avesse ammaliato.
Riuscì a farfugliare: «Cose meravigliose, cose meravigliose!». Non fosse per
questo tesoro, di Tutankhamon – un faraone della XVIII dinastia, morto
diciannovenne – ricorderemmo a malapena il nome.
Salomone visse nello sfarzo: «Ho accumulato – diceva – argento e oro,
ricchezze di re e di province, insieme con le delizie dei figli dell'uomo» (Qo 2,8),
ma non furono questi i tesori che lo resero famoso.
«Tesoro» è l'epiteto più ricorrente sulla bocca degli innamorati. Non si può
vivere senza legare il cuore a un tesoro; neppure Dio può farne a meno, infatti «si
è scelto Israele» (Sal 135,4). Il tesoro dei saggi è la sapienza: «Vale più scoprire
la sapienza che le gemme. Non la eguaglia il topazio d'Etiopia; con l'oro puro
non la si può scambiare» (Gb 28,18- 19). Ad essa i rabbini dedicavano tempo ed
energie perché sta scritto: «Mediterai su di essa giorno e notte» (Gs 1,8) e
commentavano: «Va' e cerca quale ora non è né giorno né notte e consacrala alle
altre scienze».
Nella scelta del tesoro ci si può anche ingannare, perché è facile prendere
abbagli, confidare in ciò che è inconsistente, inaffidabile. Gesù ci mette in
guardia: «Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano
e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, perché là
dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,19-21).
La vita va investita, non si può non scegliere; su un tesoro bisogna puntare.
Quale?
Per interiorizzare il messaggio, ripeteremo:
«Insegna a contare i nostri giorni
e giungeremo alla sapienza del cuore».
Prima lettura (1Re 3, 5.7-12)
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In quei giorni a Gàbaon il Signore apparve a Salomone in sogno durante la
notte. Dio disse: «Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda».
Salomone disse: «Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al
posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come
regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso
che per la quantità non si può calcolare né contare. Concedi al tuo servo un
cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere
il bene dal male; infatti chi può governare questo tuo popolo così numeroso?».
Piacque agli occhi del Signore che Salomone avesse domandato questa
cosa. Dio gli disse: «Poiché hai domandato questa cosa e non hai domandato
per te molti giorni, né hai domandato per te ricchezza, né hai domandato la vita
dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco,
faccio secondo le tue parole. Ti concedo un cuore saggio e intelligente: uno
come te non ci fu prima di te né sorgerà dopo di te».
Non furono né tranquilli né felici gli ultimi anni del regno di Davide:
sommosse, rivolte, tentativi di sbalzarlo dal trono. Negli intrighi per ottenere il
potere ben tre dei suoi figli perirono di morte violenta. I disordini continuarono
finché Salomone riuscì a impossessarsi del potere. Non fu un guerriero come suo
padre, non c'erano nemici da combattere, fu un uomo di pace. Ereditò un grande
regno che doveva essere mantenuto unito e governato con giustizia ed equità. Ci
riuscì.
Fu un abile politico, un grande costruttore, un uomo ricchissimo, ma
divenne famoso per la sua saggezza. Nell'Antico Testamento il suo nome è citato
circa trecento volte e significa «pace», «prosperità». Da tutto il mondo
accorrevano a Gerusalemme per conoscerlo e per ascoltarlo. La visita più celebre
fu quella della regina di Saba che, ammirata per la sua sapienza, esclamò: «Era
dunque vero quanto avevo sentito nel mio paese sul tuo conto e sulla tua
saggezza! Beati i tuoi uomini, beati questi tuoi ministri che stanno sempre
davanti a te e ascoltano la tua saggezza! Nel suo amore eterno per Israele il
Signore ti ha stabilito re perché tu eserciti il diritto e la giustizia» (1Re 10,6-9).
Da dove gli veniva tanta sapienza? Ce lo racconta la lettura di oggi. Prima
di iniziare a governare, Salomone andò al santuario di Gabaon per offrire
sacrifici. Durante la notte il Signore gli apparve in sogno e lo invitò a esprimere
un desiderio; qualunque cosa avesse chiesto gli sarebbe stata concessa. Non
domandò nulla per sé: né ricchezza, né salute, né la vittoria contro i nemici (v.
11).
Era giovanissimo quando Davide, su suggerimento di Betsabea – la moglie
di Uria, divenuta poi la favorita – lo aveva designato come suo successore. Si
rendeva conto di essere ancora inesperto ed era cosciente di quanto sia facile per
chi comanda lasciarsi corrompere dalla frenesia del potere e commettere errori e
ingiustizie. Chiese a Dio «un cuore docile per rendere giustizia al suo popolo e
per distinguere il bene dal male» (v. 9). Fu esaudito. Il Signore gli concesse un
cuore saggio e intelligente come non ci fu prima di lui né mai ci sarà (v. 12).
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Fu l'inizio della sua fortuna: «Ti concedo – disse il Signore – anche quanto
non hai domandato, cioè ricchezza e gloria come nessun re ebbe mai» (v. 13).
Dalla sapienza gli derivarono tutti gli altri beni. La regina di Saba, «quando ebbe
ammirato tutta la saggezza di Salomone, il palazzo che egli aveva costruito, i cibi
della sua tavola, gli alloggi dei suoi dignitari, l'attività dei suoi ministri, le loro
divise, i suoi coppieri e gli olocausti che egli offriva nel tempio del Signore,
rimase senza fiato» (1Re 10,4-5).
Ci trovassimo di fronte alla lampada di Aladino e potessimo esprimere un
desiderio, probabilmente non chiederemmo «un cuore capace di ascoltare la voce
del Signore». Non abbiamo la saggezza di Salomone: non abbiamo capito che la
«sapienza di Dio» non solo non esige la rinuncia ad alcuno vero bene, ma è la
fonte di ogni bene.
Seconda lettura (Rm 8, 28-30)
Fratelli, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano
Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno.
Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a
essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra
molti fratelli; quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha
chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche
glorificati.
E’ facile credere che Dio esiste e che ha creato il mondo, più difficile
credere nella sua provvidenza e, nonostante i segni apparentemente contraddittori
che verifichiamo ogni giorno, concludere che egli riuscirà comunque a condurre
a buon fine il suo progetto. Le parole con cui inizia la lettura sono un invito alla
speranza: nulla di ciò che accade sfugge a Dio, nulla può coglierlo di sorpresa.
Egli fa sì che «tutto collabori al bene» e alla realizzazione della salvezza (v. 28).
Nella seconda parte del brano (vv. 29-30) vengono ricordate le tappe del
cammino che porta alla salvezza. C'è anzitutto la predestinazione eterna: Dio
sceglie coloro che sono destinati a divenire suoi figli; poi c'è la chiamata:
attraverso la predicazione, a coloro che sono predestinati viene annunciato il
vangelo e rivolto l'invito ad accoglierlo. Alla chiamata segue la giustificazione,
cioè la trasformazione interiore che avviene nel battesimo. Infine c'è la
glorificazione, il momento in cui la nuova condizione di figli di Dio diviene
manifesta.
Di tutto questo processo, il momento che ci lascia un po' sconcertati è il
primo: la predestinazione. Significa forse che Dio sceglie alcuni e rifiuta altri?
Assolutamente no. Vuol dire che, prima ancora di venire chiamati alla salvezza,
gli uomini, tutti gli uomini, sono oggetto dell'amore eterno di Dio. Naturalmente,
solo una parte di loro avrà la fortuna di venire a conoscenza del vangelo e di
ricevere il battesimo; ma Dio vuole che anche tutti gli altri si salvino (lTm 2,4).
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Vangelo (Mt 13, 44-52)
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
«Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo
trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel
campo.
Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle
preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la
compra.
Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie
ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a
sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà
alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li
getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro:
«Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un
padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».
Capita spesso agli archeologi di rinvenire, sotto i pavimenti delle abitazioni,
casse oppure vasi contenenti monete. Sono stati probabilmente collocati là dai
proprietari prima di darsi a una precipitosa fuga. Nell'imminenza di una guerra o
di un'invasione nemica, tutti cercavano di nascondere in fretta ciò che avevano di
prezioso e non potevano portare con sé, sperando di poterlo ricuperare un giorno,
non appena fosse passato il pericolo. I veri padroni però molte volte non
tornavano e la casa veniva occupata da altri che non avevano alcun sospetto della
ricchezza che giaceva sotto i loro piedi.
Al tempo di Gesù si favoleggiava molto su tesori scoperti per caso. Si
raccontava di poveri braccianti che, intenti a dissodare con l'aratro un campo non
loro, accidentalmente urtavano contro un ostacolo, si chinavano per controllare
ed ecco apparire un contenitore traboccante di monili, gemme, pietre preziose. La
fantasia popolare amava cullarsi con questi sogni di inattesi colpi di fortuna.
La prima parabola del vangelo di oggi (v. 44) riprende ma di queste storie:
per puro caso un uomo scopre, nel campo in cui sta lavorando, un tesoro; lo
nasconde di nuovo, poi va, vende tutto ciò che possiede e compera quel campo.
Molti si sono soffermati a disquisire sul comportamento morale di
quest'uomo e sulla liceità dell'operazione finanziaria da lui compiuta, ma non è
questo il punto. Ha incuriosito i commentatori anche il fatto che il tesoro, dopo il
ritrovamento, viene di nuovo nascosto. Apparentemente illogico e superfluo,
questo dettaglio è invece prezioso: porta a supporre che il bracciante, attratto
dall'inconfondibile sfavillio di un oggetto d'oro che affiorava dal terreno, abbia
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subito intuito che, sotto le zolle, poteva celarsi una ricchezza immensa e, per non
perderne neppure una briciola, abbia deciso di comperare tutto il campo.
Siamo così introdotti nella parabola: il tesoro di cui Gesù parla è il regno
dei cieli, la condizione nuova in cui entra chi accoglie la proposta delle
beatitudini. Ha un valore incalcolabile e, solo progressivamente, viene scoperto
da chi è deciso a puntare su di esso la propria vita.
Il fatto che questo tesoro sia trovato per caso indica la sua gratuità: Dio lo
offre agli uomini senza alcun loro merito; non è un premio per le loro opere
buone.
C'è però un comportamento da assumere di fronte a questo dono. Chi lo
scopre non può avere esitazioni, perplessità, dubbi. Se tentenna, perde tempo
prezioso, l'occasione favorevole può sfuggirgli e non ripresentarsi più. La
decisione va presa con urgenza, la scelta non è dilazionabile. Non si può mancare
all'appuntamento con il Signore.
Poi bisogna puntare tutto. Non si chiede di rinunciare a qualcosa, ma di
spostare tutti i propri pensieri, le proprie attenzioni, i propri interessi, i propri
sforzi sul nuovo obiettivo.
Il tesoro – come avverrà anche con la perla – non è acquistato per essere
rivenduto e tornare in possesso dei beni di prima, ma per tenerlo in sostituzione
di quanto, fino a quel momento, aveva dato senso alla vita. La scoperta del regno
di Dio comporta un cambiamento radicale. E’ questo il significato della
decisione di «vendere tutti i propri averi per comperare il campo».
È quanto è accaduto a Paolo, il giudeo irreprensibile e fanatico, convinto
che la Torah era il tesoro che gli avrebbe dato la salvezza. Un giorno, sulla via di
Damasco, ha incontrato Cristo, e tutto quello che per lui poteva costituire un
guadagno fu considerato una perdita. «Di fronte alla sublimità della conoscenza
di Cristo Gesù, mio Signore – dichiara – ho lasciato perdere tutto e tutto
considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo» (Fil 3,7-8).
Un simile cambiamento provoca sorpresa, meraviglia, stupore. Chi non ha
scoperto lo stesso tesoro non riesce a capacitarsi, non trova una spiegazione che
giustifichi la novità di vita di chi è entrato nel regno di Dio.
Chi ha visto il contadino vendere tutto per comperare il campo deve aver
pensato che era impazzito: la terra brulla e sassosa della Palestina non
giustificava simili sacrifici. Egli solo era cosciente della sua scelta: stava
concludendo l'affare della sua vita.
Chi conosceva Paolo – il rabbino scrupoloso osservante della legge – e
improvvisamente l'ha visto abbandonare le sue sicurezze per puntare tutto su un
uomo giustiziato l'ha considerato un folle: «Sei pazzo, Paolo – gli dice il
procuratore Festo – la troppa scienza ti ha dato al cervello!» (At 26,24). Invece
egli aveva trovato il bene più prezioso, «Cristo crocifisso, scandalo per i giudei e
stoltezza per i pagani» (1Cor 1,23).
Da un segno, però, tutti – i vicini del contadino e i correligionari di Paolo –
avrebbero dovuto capire che stava agendo con lucidità e a ragion veduta: la
gioia. Chi ha capito di avere tra le mani un inatteso e insperato tesoro non può
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che essere colmo di gioia: «Sono pervaso di gioia» (2Cor 7,4) – assicura
l'Apostolo – «ho provato grande gioia nel Signore» (Fil 4,10); «il regno di Dio è
gioia» (Rm 14,17).
Insomma, chi osserva il volto raggiante di chi ha scoperto il regno di Dio
dovrebbe intuire che ha intravisto, come l'archeologo Carter, «cose
meravigliose».
La seconda parabola (vv. 15-16) è detta gemella della precedente e
contiene lo stesso messaggio. Si diversifica per alcuni dettagli significativi: il
protagonista anzitutto non è un povero bracciante, ma un ricco mercante che gira
il mondo con un obiettivo ben preciso: trovare perle.
Nell'antichità le perle erano pregiate quanto lo sono oggi i diamanti.
Venivano pescate nel Mar Rosso, nel Golfo Persico e nell'oceano Indiano e,
nell'epoca imperiale, erano considerate la cosa più preziosa, tanto da divenire
proverbiali. Afrodite, la dea dell'amore e della bellezza, era venerata come la dea
delle perle; un bambino molto amato era detto «perla»; di un uomo saggio si
diceva che aveva una bocca da cui uscivano perle; le dodici porte del cielo –
scrive il veggente dell'Apocalisse – «sono dodici perle; ciascuna porta è formata
da una sola perla» colossale, meravigliosa (Ap 21,21). Essendo ritenute di gran
pregio, Gesù le ha scelte come immagine del tesoro inestimabile che egli offriva:
il regno di Dio.
A differenza del contadino che s'imbatte per caso in un tesoro, il mercante
trova la perla dopo un'estenuante ricerca. Le due scoperte sono frutto una della
fortuna, l'altra del proprio impegno.
Il comportamento del mercante è l'immagine dell'uomo che cerca
appassionatamente ciò che può dare senso alla sua vita e riempire di gioia i suoi
giorni.
Le due parabole si completano: il regno di Dio, da un lato è dono gratuito di
Dio, dall'altro è anche frutto dell'impegno dell'uomo.
La terza parabola (vv. 47-50) riprende il tema introdotto domenica scorsa
dalla parabola del grano e della zizzania. L'immagine è presa dalla pesca sul lago
di Tiberiade dove erano impiegate grandi reti a strascico che catturavano pesci
buoni, ma anche pesci non commestibili o impuri (Lv 11,10-11). Sulla spiaggia i
pescatori procedevano alla separazione. Così – dice Gesù – avviene nel regno dei
cieli.
Secondo la concezione degli antichi il mare era il regno delle forze
diaboliche, nemiche della vita. Ai discepoli è affidata la missione di «pescare
uomini», sottraendoli al potere del male. Passioni incontenibili, egoismi,
cupidigie li avviluppano come onde impetuose che, come un vortice, li trascinano
verso l'abisso. Il regno dei cieli è una rete che li tira fuori, li fa respirare, li porta
verso la luce, verso la salvezza.
In questa rete non vengono accolti soltanto i buoni e i bravi, ma tutti, senza
distinzione. Il regno di Dio non si presenta oggi allo stato puro; nella comunità
cristiana va serenamente ammessa, accanto al bene, la presenza del male e del
peccato. Nessuno, anche se impuro, deve sentirsi escluso o essere emarginato.
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Questo è il tempo della misericordia e della pazienza di Dio che «non vuole che
alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi» (2Pt 3,9).
Certo, giungerà il momento della separazione e Matteo, com'è solito fare,
ne parla servendosi del linguaggio drammatico deipredicatori del suo tempo;
impiega le immagini con cui nella Bibbia è descritta la distruzione dei nemici del
popolo d'Israele (Ez 30; 38-39): i giusti entreranno nella pace e i malvagi saranno
puniti in una prigione infuocata.
Nella letteratura rabbinica si parla spesso di questo giudizio di Dio, non per
minacciare la punizione eterna ai peccatori, ma per mettere in risalto l'importanza
del tempo presente e l'urgenza delle decisioni da prendere oggi: ogni attimo
sprecato è definitivamente perso e gli errori commessi in questo mondo avranno
conseguenze eterne. L'eventualità di dissipare, di sperperare la propria esistenza
puntandola su «tesori» sbagliati è tutt'altro che remota. Tuttavia, alla fine, la
separazione non sarà tra buoni e cattivi, ma tra bene e male: solo il bene entrerà
in cielo, tutte le negatività verranno annientate prima.., dal fuoco dell'amore di
Dio.
Il discorso di Gesù si conclude con la domanda: «Avete capito?» e con il
richiamo all'opera dello scriba (vv. 51-52). La domanda è rivolta ai discepoli, a
coloro che hanno trovato il tesoro e la perla preziosa. Il regno dei cieli che ora
possiedono è stato preparato attraverso l'Antico Testamento (le cose vecchie) e
realizzato in Cristo (le cose nuove). I cristiani sono invitati a rendersi conto, a
prendere coscienza, attraverso lo studio delle sacre Scritture, dell'immenso dono
che hanno ricevuto da Dio.
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