Da Il Corriere della Sera dell’8 febbraio 2014 La supplica di Cameron a tutti gli scozzesi: «Non abbandonateci» Referendum, separatisti in recupero DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA — «La fine del Regno Unito. Pericolo». La copertina del settimanale Spectator , voce degli intellettuali conservatori, segnala l’allarme rosso. Manca tanto al referendum scozzese del 18 settembre ma unionisti e separatisti affilano le armi e lo scontro si fa duro. David Cameron entra in campo: «Abbiamo sette mesi per salvare la storia del Paese più straordinario nella storia». Alex Salmond, il leader degli indipendentisti, para il colpo e affonda: «Grande codardo. Il tuo sermone dal Monte Olimpo è inutile. Vieni qui, se hai il coraggio, a confrontarti in un dibattito televisivo». Non sono schermaglie formali. I sondaggi parlano chiaro, si assottiglia il numero degli indecisi e aumenta, di cinque o sei punti in tre mesi, la percentuale di coloro che sono pronti a dire addio a Londra e a Westminster. I «no» sono avanti ma a Downing Street, rileva il Financial Times , le certezze si stanno trasformando in ansia. L’abbondante 65% che nel 2012 e nel 2013 ha accompagnato le prime scaramucce è ora sceso al 59 (per alcuni istituti ancora meno) e c’è un milione di indecisi, su oltre 4 di votanti, che può mandare all’aria il banco perché quel milione strizza l’occhio ai secessionisti ma non ha compiuto il grande passo. Ragion per cui David Cameron si getta nella mischia con un appello patriottico che, simbo-licamente, parte dal parco dei Giochi londinesi fiore all’occhiello della britannicità (65 medaglie nell’estate 2012, inglesi e scozzesi assieme). «Per me la cosa migliore non sono state le vittorie quanto semmai il rosso, il bianco e il blu, i colori della bandiera che condividiamo». Siccome la battaglia si annuncia difficile e servono testimonial d’eccezione, si fa affiancare da Chris Hoy, campionissimo del ciclismo, celtico di Edimburgo con sei ori olimpici e undici mondiali su pista, un mito. D’ora in avanti unionisti e separatisti tireranno fuori le loro carte segrete per ammaliare chi non ha scelto. I Cameron vengono dalla Scozia, ironia del destino. «È un cognome scozzese delle Highland e significa naso storto, il motto di famiglia era: uniamoci». Il bisnonno di David il premier era un banchiere, nato a Inverness nord estremo, calato in Inghilterra carico di soldi. «Sono orgoglioso della mia ascendenza». Cameron dà fondo al suo spirito unionista: «Insieme siamo un brand potente, abbiamo benefici economici e culturali. Se la Scozia marciasse da sola sarebbe come separare le acque del fiume Tweed (bacino di confine, ndr ) da quelle del Mare del Nord». Impossibile e contro natura. «E se perdessimo la Scozia getteremmo alle ortiche la nostra reputazione». Va bene una maggiore devoluzione di poteri da Londra a Edimburgo («e chi la vuole voti no») ma non l’indipendenza. Non è il caso di ricorrere a tanti giri di parole, così Cameron invita inglesi e gallesi a telefonare a familiari e amici scozzesi per farli ragionare e portarli dalla parte, per lui, giusta. È corsa all’ultima scheda. E fuoco alle polveri dà pure Alex Salmond, «first minister» della Scozia, leader dello Scottish National Party, che sbeffeggia da par suo l’inquilino di Downing Street. «Grande codardo». Gli chiede un confronto televisivo al quale Cameron si sottrae e gli scrive una lettera: «Il 24 febbraio riunisci in Scozia il tuo governo». Parata elettorale. «Lo stesso giorno presiedo pure io il governo scozzese, saremo a pochi chilometri di distanza, buona occasione per finire davanti alle telecamere e dialogare sulle nostre reciproche ragioni». Niente. Cameron non ci sente. Sa bene che Salmond lo aspetta al varco per rinfacciargli un articolo che scrisse nel 2007 sul Daily Telegraph . All’epoca il futuro premier britannico recitava note ben diverse: «I separatisti potranno sempre citare esempi di piccole, prospere e indipendenti economie come la Finlandia, la Norvegia, la Svizzera e sarebbe sbagliato sostenere che la Scozia non ha le carte in regola per essere un altro Paese di successo e indipendente». Queste le premesse di una campagna che sarà lunga e avvincente, piena di colpi bassi. Il fair play la politica lo lascia al rugby: oggi pomeriggio Scozia contro Inghilterra. Coincidenza. In ballo c’è l’onore di due nazioni. Fabio Cavalera
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