La lezione di management di Papa Francesco

26 settembre 2014
La lezione di management di Papa Francesco
di Luigi Zingales
La Chiesa Cattolica è la più antica, la più vasta, la più duratura organizzazione che il mondo abbia
conosciuto. Con tutti i difetti, se è sopravvissuta così a lungo deve avere qualche cosa da insegnarci. Fino
a poco fa non era facile identificare questi tratti superiori, ma con l'elezione di Papa Francesco ho dovuto
ricredermi. Dopo essersi impegnato in una profonda pulizia dello Ior (con il licenziamento del
chiacchierato cardinal Bertone) e aver rimosso prelati spendaccioni (come il vescovo di Limburg che
aveva speso 31 milioni per ristrutturare la sua sede), Papa Francesco ha sferrato un attacco frontale ai
preti pedofili e a tutti coloro che li coprono.
Tre giorni orsono ha dato il suo beneplacito all'arresto di monsignor Jozef Wesolowski, condannato in
primo grado per gravi reati di pedofilia dalla Congregazione per la dottrina della fede. Ieri Bergoglio ha
disposto lo spostamento di un vescovo paraguayano, responsabile di aver coperto abusi sessuali di preti
nella sua diocesi.
Sono stupito che i garantisti nostrani non siano sul piede di guerra. Tranne Wesolowski, nessuno dei
questi prelati era stato condannato. Anche Wesolowski era stato condannato solo in primo grado, in
attesa dell'appello. Forse che Bergoglio non sa che ognuno è innocente fino a sentenza definitiva passata
in giudicato? Il Papa certo non ignora i diritti civili ma, a differenza dei commentatori nostrani, apprezza
la differenza tra responsabilità penale e responsabilità manageriale, due concetti troppo spesso confusi
nelle nostre imprese (per non parlare del nostro mondo politico). Ogni cittadino ha un diritto
costituzionale a essere considerato innocente fino a prova contraria, ma un'organizzazione non ha il
dovere di tutelarne la posizione di responsabilità fino a sentenza definitiva. Anche perché errori di
omissione, come quelli di cui è accusato il vescovo paraguayano, non sono facili da provare in tribunale. È
giusto che il vescovo non sia preventivamente condannato. Ma non c'è motivo per cui il Papa debba
mettere a repentaglio migliaia di bambini innocenti per tutelare la posizione di monsignor Livieres Plano.
Per una condanna penale è necessaria la prova al di là di ogni ragionevole dubbio. Per una punizione
disciplinare, una rimozione o un licenziamento, invece, gli standard di prova devono essere molto più
bassi, soprattutto nel caso di posizioni apicali. Anzi, in alcuni casi - come in quello del vescovo
paraguayano - non c'è neppure bisogno di una prova, basta un ragionevole dubbio. È un calcolo
prettamente manageriale, tra costi e benefici. Da un lato c'è il costo per la Chiesa di mantenere al suo
interno un prelato che potenzialmente difende i preti pedofili. Dall'altro, il rischio di demotivare la
struttura ecclesiastica, rimuovendo ingiustamente un prelato. È la differenza tra un diritto (alla libertà) e
un privilegio (la posizione di potere). Paradossalmente in Italia la tutela del posto di lavoro vale
soprattutto per i vertici delle imprese (per non parlare dei ministri). Di fatto non si può rimuovere un
manager se non per giusta causa. E la giusta causa finisce per essere equiparata a una sentenza penale
definitiva che, dati i tempi della giustizia italiana, non arriva mai. Ergo nessuno è mai responsabile delle
sue azioni.
Non è un caso che in Italia scarseggino le grandi imprese. O c'è un padre-padrone che esercita la sua
volontà in modo assoluto o le imprese italiane finiscono per mancare di disciplina interna e fanno fatica a
competere in campo internazionale. Uno studio recente dimostra che la qualità di people-management
delle imprese italiane è peggiore di quella delle imprese cinesi e solo di poco superiore a quella delle
indiane. Questo è un male profondo del nostro sistema economico, che ci costa caro in termini di
produttività, competitività e crescita.
Scelte come quelle fatta dal Papa sono importanti non solo per la disciplina interna di un'organizzazione,
ma anche per comunicare all'esterno, in modo credibile, i valori di chi sta al vertice e quindi
dell'organizzazione stessa. Rimuovendo il vescovo paraguayano il Papa comunica al mondo che la
protezione dei bambini conta più che il benessere dei prelati. Questa decisione vale molto più di mille
discorsi, proprio perché costosa per i membri dell'organizzazione.
Un manager di una grande impresa italiana mi confidò che solo dopo aver licenziato un sottoposto che
aveva violato una direttiva interna i dipendenti presero sul serio le sue direttive. Troppo spesso i capi
azienda lanciano proclami solo per ragioni di immagine. I dipendenti lo sanno e le ignorano. Solo quando
ai proclami seguono i fatti, i dipendenti cominciano ad ascoltare. Da oggi la lotta alla pedofilia nella
Chiesa non è più un proclama, è realtà.
Troppo spesso, invece, in Italia prevale un falso buonismo, che in molti attribuiscono - in maniera errata al cattolicesimo. Ma il catechismo cattolico dice chiaramente che «la libertà rende l'uomo responsabile
dei suoi atti, nella misura in cui sono volontari» (enfasi nell'originale). D'altra parte il Signore chiede
conto ad Adamo delle sue azioni (e lo punisce). E lo stesso vale per Caino.
Se il nostro buonismo non è di matrice cattolica - e Papa Francesco lo dimostra - perché è così diffuso in
Italia? Temo che il motivo sia molto meno nobile. Più che proteggere i dipendenti, il buonismo protegge i
vertici. Se il principio di responsabilità si applica all'interno di una organizzazione, finisce per applicarsi
anche ai vertici. Se le leggi e le direttive vengono fatte rispettare, i primi a doverle rispettare sono i capi.
Papa Francesco non ha nulla da temere: Egli stesso è un esempio. Ma vale altrettanto per i vertici delle
nostre grandi imprese?
Se i vertici di un'organizzazione sono i primi a non rispettare le regole, hanno tutto l'interesse a
perdonare per essere perdonati. Tanto più operano in violazione della legge, tanto più saranno buonisti
internamente. È il risultato devastante della nostra peggiocrazia. Avremmo tanto bisogno di un Papa
Francesco anche da questa parte del Tevere.
26 settembre 2014
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