4 A SABATO 31 MAGGIO DOMENICA 1 GIUGNO 2014 lla fine del XIX secolo, quando Proust era adolescente, la sua amica e coetanea Antoinette Faure (figlia del futuro presidente della Repubblica francese Félix Faure) gli propose di rispondere, per iscritto, a una serie di domande presenti su un album in lingua inglese intitolato An Album to Record Thoughts, Feelings, etc. (un album per conservare pensieri, sentimenti, etc.). Al tempo, infatti, presso le famiglie inglesi era piuttosto diffusa l’abitudine di rispondere a questionari simili, spesso nel corso di intrattenimenti sociali. Anni dopo l'album fu ritrovato da André Berge, uno dei figli della Faure, che nel 1924 pubblicò per la prima volta le risposte di Proust. Nel 2003 il manoscritto originale è stato venduto all’asta per la somma di 102.000 euro. In seguito Proust rispose a un secondo questionario. In cima al foglio scrisse di proprio pugno: "Marcel Proust par lui-même" (Proust raccontato da Proust). Tra l’una e l’altra versione, le domande sono simili ma non identiche e le risposte dello scrittore piuttosto diverse. Alcuni programmi televisivi, in diversi Paesi, hanno fatto uso del questionario, rivolgendo le domande a personaggi celebri. È il caso del francese Apostrophes condotto da Bernard Pivot o dell'americano Inside the Actor's Studio condotto da James Lipton. Il questionario di Proust: Lino Banfi Unuomonormale nellavitaesulset conquiste del lavoro Conquiste da Star T ra i suoi vanti quello di tener incollate al piccolo schermo “quattro generazioni di telespettatori”, che lo vedono come uno di famiglia, e, per di più, di avere tra i suoi fan il papa emerito Benedetto XVI e il presidente Napolitano. La magia è nata quasi sedici anni fa, a partire da quella prima serie di Un medico in famiglia che superò il picco di 10 milioni di telespettatori. Da allora per molti Lino Banfi, protagonista della commedia sexy all’italiana degli anni Settanta e Ottanta, sdoganata solo di recente dalla critica e amata anche da Quentin Tarantino, è semplicemente nonno Libero. Nove le stagioni della famiglia televisiva, allargata e pasticciona, più famosa d’Italia andate in onda su Rai Uno (l’ultima terminata solo pochi giorni fa). E quando si parla della decima, l’attore pugliese si dice pronto a ripartire: “Fino a 96 anni ci sono”. Un entusiasmo mica male per uno che si definisce “pessimista cronico”, ma che di film ne ha girati cento, rivelandosi credibile anche come attore drammatico, e che tra il sogno di vestire i panni di un vero “malvagio” sul grande schermo e il legittimo desiderio di un premio internazionale, si dà da fare anche come produttore con la sua “Alba Film 3000”. In cantiere ha un tv movie per la Rai dal titolo “Cattivi vicini” per la regia di Luca Manfredi. Quale tratto del suo carattere considera prevalente nei rapporti di lavoro? La puntualità. Arrivo sempre prima di tutti gli altri. Quando succede, da un lato tendo ad arrabbiarmi anche perché mi chiedono sempre “E’ molto che aspetti?” e io mento dicendo di esser lì da un minuto, dall’altro realizzo che questa mia caratteristica in fondo è un valore. Qual è invece il difetto che tenta più spesso di nascondere? Data la mia esperienza, mi viene naturale dare qualche consiglio sul set agli attori per migliorare il risultato finale. A quel punto, qualcuno nicchia, qualcun altro preferisce fare da solo, mentre in genere, alla fine, il regista e il produttore mi danno ragione. Se questo può essere un difetto, chiamiamolo pure così, ma non credo lo sia. Non avrei lavorato per tutti questi anni. Qual è la qualità che apprezza maggiormente nei suoi colleghi e nelle sue colleghe? In genere la modestia, sia nei giovani sia nei meno giovani. Si capisce anche da piccole cose. Non voglio fare il vecchio saggio, ma se vedo un attore più anziano di me e capisco che ne ha bisogno, gli cedo il posto a sedere, anche se mi chiamo Lino Banfi e se lui invece fa la comparsa. Lino Banfi (foto Ufficio stampa Rai) Cosa invece non sopporta del suo ambiente di lavoro? La confusione. Siamo tutti abituati a un certo genere di talk show con politici che urlano e si sovrastano l’un l’altro. Desidererei almeno un po’ di calma quando lavoriamo noi attori. Dico sempre che se vogliamo far sorridere e commuovere il pubblico, dobbiamo essere sereni noi per primi. Ci sono debolezze o colpe altrui che le ispirano indulgenza? Io perdono tutto e tutti, anche quelli con cui litigo e nonostante mia moglie me lo faccia sempre notare. Sul posto di lavoro possono incontrarsi dei veri amici? E come li riconosce? Certo, ma si riconoscono dopo un po’, grazie a tutto il proprio bagaglio di esperienze. Nella mia vita ho visto di tutto: ho imparato a capire al primo incontro chi poteva essere mio amico o viceversa, da come mi stringe la mano, da come mi guarda negli occhi, se mi guarda. Qual è stato il suo primo lavoro? Ricordo una festa di piazza, quando avevo 16 anni: mi invitarono a fare uno spettacolo di imitazioni a una festa patronale in un paese vicino al mio. Non avevo mai avuto l’impatto con il pubblico e non sapevo come avrebbe reagito, ma accettai per capire se potevo o meno fare questo lavoro. Andò bene: non ebbi soggezione né del microfono, né del pubblico. Qual è stata la reazione al suo primo stipendio? E all’ultimo? Intende la “paga”, no? Una volta si chiamava terzina, perché si veniva pagati ogni tre giorni. La prima arrivò quando avevo 18 anni, a Napoli. Fu una bella soddisfazione: mi permetteva di sopravvivere con un primo, un contorno e un secondo striminzito. Ora devo correre sempre dietro a tutti per farmi dare l’assegno. Qual è il suo rapporto col sindacato? Nonno Libero è un ex sindacalista, ma io non ho mai avuto rapporti con le sigle sindacali. Tendo a fidarmi poco degli altri, soprattutto se si parla di soldi. Fare quello che fa è sempre stato un suo desiderio? Sempre, da quando ero giovane. Arrivato a Milano, all’inizio dormivo dentro i vagoni alla stazione. I miei coetanei volevano tornare tutti a casa, mentre io continuavo a dire che un giorno avrei firmato autografi e sarei diventato ricco. Qual è stato il momento in cui ha pensato di avercela fatta? Difficile dirlo: ne ho passate tante… Comunque, quel momento arrivò quando mia figlia Rosanna aveva due o tre anni. Dissi a mia moglie che forse avremmo potuto comprarci una casa. Ancora oggi metto davanti a tutto il “forse”. Quali sono, secondo lei, i segreti del successo nel lavoro? Non saprei. Credo che, se qualcosa deve succedere, succede. Non è da qui che deriva forse il termine successo? Se non avesse fatto quello che fa, chi sarebbe stato ora? Ho provato molte volte a pensarlo. Probabilmente, se avessi continuato a studiare, sarei diventato un chirurgo. Ancora adesso vado a vedere qualche intervento dato che ho alcuni amici medici che mi permettono di assistervi. E’ proprio una passione. Chi si sente di ringraziare per quello che è ora? Solo mia moglie Lucia che si è sacrificata con me per molti anni. E ora anche i miei figli, perché siamo una famiglia unita. Lavoro e vita privata: vanno sempre d’accordo? Nel mio caso sì, io e mia moglie siamo arrivati ai 52 anni di matrimonio. Ha dei rimpianti? Tutto sommato, mi è andata e mi sta andando bene, ma mi dispiace non aver mai partecipato a un film importante in concorso a un festival per vincere un premio, anche uno minore. Il suo motto è? Sembra una stupidaggine, ma la frase che dice sempre nonno Libero: “Una parola è troppa e due sono poche” fa parte di me. Nella vita bisogna contare fino a dieci prima di agire, non fino a mille. Lo penso nonostante io veda sempre il bicchiere non mezzo vuoto ma addirittura mezzo rotto. Quando non lavora che fa? Io ho l’hobby di scrivere poesie, tra cui alcune, di recente, dedicate a papa Francesco. Prima o poi ne farò un libro. Ha un sogno non ancora realizzato? Ho le apnee notturne, quindi non sogno… Stefania Saracino
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