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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE ED AZIENDALI
“M. FANNO”
CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA E MANAGEMENT
PROVA FINALE
“Performance e successione nelle imprese familiari”
RELATORE:
CH.MO PROF. Paolo Bortoluzzi
LAUREANDO: Simone Bertoncello
MATRICOLA N. 1022053
ANNO ACCADEMICO 2013/2014
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Indice
Prima Parte - Le performance delle imprese familiari
1. Introduzione ………………………………………………………………………………4
2. Imprese familiari e performance finanziarie: il contributo di Mazzola et al.
2.1. Vantaggi e svantaggi rispetto alle altre forme di business…………………………… 5
2.2. Proprietà familiare e performance…………………………………………………… 7
2.3. Gestione familiare e performance………………………………………………....…10
3. L’efficienza delle imprese familiari: la ricerca di Erbetta et al.
3.1. La differenza di efficienza tra family e non-family business…………………………11
3.2. Le cause che generano il sovra-utilizzo dei fattori produttivi nelle imprese
familiari………………………………………………………………………………13
4. Imprese familiari ed investimenti: lo studio di Pinando et al.
4.1. Imprese familiari e prospettiva di lungo periodo…………………………………… 15
4.2. Gli investimenti a basso rischio delle imprese familiari…………………….……… 17
4.3. Meccanismi che rafforzano il controllo all’interno delle imprese familiari………... 19
Seconda Parte - La successione nelle imprese familiari
5. Le difficoltà legate alla successione ………………………………….………...……… 21
6. La scelta del successore: il contributo di Ansari et al.
6.1. Le variabili che entrano in gioco nella scelta del nuovo CEO……………………… 22
6.2. L’indipendenza dei Consiglieri e il sistema legale di protezione degli azionisti influenzano l’esito della successione……………………………………………..…… 27
7. Imprese familiari e struttura finanziaria post-successione: i risultati di Amore et al.
7.1. Le variabili che influenzano la struttura finanziaria durante la successione………. 28
7.2. Età ed investimenti modificano la struttura finanziaria dell’impresa …………….…32
8. Imprese familiari e performance post-successione: lo studio di Cucculelli e Micucci
8.1. Le performance prima e dopo la successione…………………………………..…… 34
8.2. La successione delle imprese più performanti……………………………….……… 38
9. Conclusioni………………………………………………………………………….……40
10. Bibliografia……………………………………………………………………………… 43
4
Prima Parte - Le performance delle imprese familiari
1. Introduzione
Le imprese familiari, o più comunemente family business, si distinguono dalle altre forme
d’impresa per il fatto che il comando viene esercitato da soggetti che sono tra loro legati da
vincoli di parentela o affinità.
La struttura familiare è diffusa nelle imprese di tutto il mondo e occupa i più svariati settori:
dalla costruzione alla produzione, dal turismo ai sevizi fino ad arrivare al no-profit (Centro
Studi Assirm, 2013).
Le indagini più recenti evidenziano che in un Paese come gli Stati Uniti le imprese familiari
contribuiscono per circa il 60% al Prodotto Interno Lordo, anche se è l’Europa il continente
dove le imprese familiari sono maggiormente diffuse, con percentuali che oscillano dal 60%
della Francia al 70% di Portogallo, Belgio e Regno Unito, al 75% di Spagna e Olanda, fino
all'80% di Svezia, Finlandia e Grecia, all'84% della Germania, per chiudere con l'85% dell'Italia, che si posiziona in cima alle classifiche come il Paese con la maggiore presenza di imprese a controllo familiare. In totale, il PIL mondiale annuo generato dalle imprese familiari si
attesta tra il 70 e il 90%.
Questi numeri fanno ben capire l’importanza che ricoprono le imprese familiari all’interno
dell’economia globale, anche se in realtà non è ben chiaro cosa si intenda per family business.
In letteratura, infatti, non esiste un’unica definizione di impresa familiare. Rosenblatt et al.
(1985) considerano un’impresa familiare quella in cui la maggioranza delle azioni, o delle
quote, appartiene ad uno o più dei membri di una stessa famiglia, i quali esercitano direttamente anche le attività di gestione. Leach (2007), invece, definisce il family business come
un'impresa in cui almeno il 50% del capitale sociale è di proprietà di soggetti riconducibili alla stessa famiglia. Altri autori ancora definiscono un'impresa familiare quella in cui i membri
di una stessa famiglia sono in grado di decidere le sorti dell’azienda stessa: o facendo parte
del Consiglio di Amministrazione o detenendo la maggioranza assoluta dei diritti di voto in
Assemblea.
Nei modelli che verranno proposti in seguito verrà utilizzata l’una o l’altra definizione a seconda degli aspetti che si intende evidenziare.
L’obiettivo di fondo del presente lavoro è quello di offrire una panoramica generale delle caratteristiche e dei comportamenti che distinguono le imprese familiari dalle altre forme di business, sia prima che dopo il momento della successione.
5
Il perseguimento di tale obiettivo è stato condotto sviluppando due strutture di lavoro distinte,
ma strettamente interconnesse, dove la seconda può essere considerata “la naturale evoluzione” della prima.
Infatti, nella prima parte, attraverso la presentazione di alcune ricerche empiriche si cercherà
di delineare il fenomeno del family business, mettendo in risalto:
 La relazione tra proprietà familiare e performance
 L’efficienza delle imprese familiari
 Il profilo di rischio degli investimenti effettuati dalle imprese familiari
Nella seconda parte, invece, si concentrerà l'attenzione sul fenomeno della successione, considerato il momento più critico per la sopravvivenza e la crescita dell’impresa, trattando i seguenti argomenti:
 Il modo in cui avviene la scelta del successore
 Come la successione condiziona la struttura finanziaria dell'impresa
 Le performance dell’impresa familiare dopo la successione
Per ognuno di questi argomenti verrà presentato un paper significativo, che, partendo da un
campione di imprese, cercherà di analizzare quelli che sono gli aspetti più interessanti che riguardano il family business fornendo un’interpretazione economica dei fenomeni che si sono
verificati.
2. Imprese familiari e performance: il contributo di Mazzola et al.
2.1. Vantaggi e svantaggi rispetto alle altre forme di business
Sebbene l'impresa familiare rappresenti la forma di business più diffusa nel mondo, questo
non ci consente di dire che sia anche la più redditizia.
La presenza della famiglia all’interno dell’impresa, infatti, porta con sé sia dei vantaggi che
degli svantaggi che molti studiosi hanno cercato di analizzare separatamente a livello reddituale, finanziario e organizzativo.
In linea di principio, le imprese familiari dovrebbero beneficiare di costi di agenzia minori rispetto alle altre imprese per effetto della maggiore intesa e complicità che esiste tra i diversi
membri.
La teoria di agenzia (Jensen e Mekling, 1976) studia i problemi che emergono dalla divergenza di interessi e dall’asimmetria informativa che esiste tra proprietà e controllo all’interno di
un’impresa. Il manager ha normalmente più informazioni dell’azionista sull’andamento della
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società e sui risultati che questa può ottenere. Tuttavia, il contratto che lega le due parti non
può che essere incompleto e, in ogni caso, l’azionista non è in grado di controllare completamente l’operato dei manager se non a costi molto elevati, che in genere non è in grado di sostenere.
Secondo la maggior parte degli studiosi di family business, nelle imprese che non hanno una
base familiare, queste asimmetrie informative risultano amplificate e vengono in genere utilizzate dai manager a proprio vantaggio per fornire informazioni incomplete o inesatte alla
proprietà: sia al momento dell’assunzione (fenomeno conosciuto anche come selezione avversa oppure opportunismo ex-ante) sia per giustificare il mancato raggiungimento degli obiettivi
prefissati (fenomeno definito anche con il nome di azzardo morale oppure opportunismo expost), sfruttando a proprio vantaggio le difficoltà e l’onerosità del controllo da parte degli
azionisti.
Nelle imprese familiari, i costi di agenzia dovrebbero essere minori perché entrano in gioco
dei meccanismi correttivi dei conflitti d’interesse all’interno della relazione tra manager ed
azionisti. In genere, i membri della famiglia interagiscono tra loro in una prospettiva di medio-lungo termine che porta una serie di vantaggi all’interno dell’azienda sia in fase di controllo e che di pianificazione delle decisioni. Oltre a questo, le imprese familiari si distinguono per il fatto che i diritti di proprietà sono concentrati totalmente, o per la grande maggioranza, nelle mani di un numero limitato di investitori. Questo facilita la creazione di una visione
d’impresa unitaria e condivisa tra i diversi membri che rende i processi decisionali più veloci,
incoraggia il controllo delle attività manageriali e riduce la probabilità che persone esterne alla famiglia sfruttino le proprie conoscenze per espropriare la ricchezza generata.
Esistono inoltre delle componenti motivazionali che inducono la proprietà familiare a perseguire strategie di crescita a lungo termine con l’obiettivo di garantire la sopravvivenza
dell’impresa e il passaggio generazionale agli eredi.
Dall'altro lato però, c'è chi sostiene che i meccanismi di governo delle imprese familiari, proprio perché dipendono da un numero limitato di investitori, soffrono del rischio di concentrazione d’interessi. Questo porterebbe i soci, o azionisti di controllo, a privilegiare progetti a
basso rischio, indirizzati principalmente a beni materiali perché rappresentano una garanzia
per gli eredi, e ad evitare, invece, progetti di ricerca e sviluppo più rischiosi che possono mettere a repentaglio le performance dell’impresa.
Inoltre, il fatto che sia presente un numero limitato di investitori, combinato con la scarsa disponibilità della famiglia alla partecipazione di altri soci, rende complicato per le imprese familiari la raccolta delle risorse finanziarie necessarie per la crescita dell’impresa comportando
un ricorso eccessivo al debito bancario.
7
Non esiste quindi una visione unitaria del fatto che le imprese familiari rappresentano una
forma di business migliore rispetto alle altre, perché esistono sia dei vantaggi che degli svantaggi ad essa associati, tuttavia il presente lavoro tenterà di approfondire i benefici di cui godono le imprese familiari e gli ostacoli che molto presumibilmente si troveranno ad affrontare
mettendone in evidenza le criticità all’interno dei processi decisionali.
2.2. Proprietà familiare e performance
Ci sono stati diversi studi che hanno cercato di far luce sulla relazione che esiste tra proprietà
familiare e risultati reddituali. Uno dei più completi è quello di Mazzola et al. (2012): Nonlinear effects of family sources of power on performance.
Il punto di partenza di questo studio è costituito da un campione di 15.517 imprese italiane,
sia a proprietà familiare che non-familiare, estratte da una popolazione di 4.840.366 imprese
registrate nelle Camere di Commercio. Di questo campione si conoscono i dati contabili e tutte le informazioni riguardanti l’età e la dimensione dell’impresa, che vengono raccolte dagli
autori attraverso dei questionari diretti alle imprese.
Sulla base di questa vasta mole di dati viene costruito un modello di regressione lineare multipla. La variabile dipendente è rappresentata dal ROA (Return On Assets), una delle misure
di performance più utilizzata in letteratura.
Nello scegliere, invece, le variabili indipendenti si considera innanzitutto il settore di appartenenza dell’impresa, da cui inevitabilmente dipendono le performance. Settori maturi, con
scarse possibilità di crescita, o settori con elevata concorrenza, avranno inevitabilmente delle
performance minori rispetto a settori in forte crescita con basso grado di concorrenza. Le altre
variabili di controllo che vengono inserite riguardano l’età e la dimensione dell’impresa, misurata attraverso il numero di dipendenti.
La variabile chiave, che cattura l’effetto della partecipazione familiare sulle misure di performance, viene chiamata FIO (Family Involvement in Ownership) che viene calcolata come
rapporto tra il numero di azioni detenute dalla famiglia e totale delle azioni in circolazione.
Utilizzando i dati del campione sono stati ottenuti i risultati riassunti in tabella 1.
E’ innanzitutto evidente come la partecipazione familiare influenzi in modo positivo il ROA
(3 = 0,72). Questo conferma il fatto che le imprese familiari che sono state analizzate presentano effettivamente bassi costi di agenzia, una visione unitaria e condivisa dell’impresa e processi decisionali più veloci che impattano positivamente sul ROA aziendale.
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Tabella 1: Proprietà familiare e profittabilità.
Variables
ROA
CompanyAge (1)
CompanySize (2)
-0,07
-0,10
FIO (3)
0,72**
Agricolture (4)
-0,13**
Manufacturing (5)
-0,04
Services (6)
-0,05
Construction (7)
0,05
Extraction (8)
-0,11
Transportation (9)
-0,16*
Commerce ( 10)
-0,18*
Altro (11)
-0,01
FIOSquared (S)
N. generations (12)
-0,75**
0,02
* p<0,10
** p<0,05
*** p<0,01
Fonte: Mazzola et al. (2012), Non-linear effects of family sources of power on performance
Tuttavia, se viene utilizzato il quadrato della variabile FIO, cioè FIOSquared, è possibile vedere come questa relazione positiva diventi invece negativa (S = -0,75). Mettendo insieme
questi risultati, gli autori evidenziano l’esistenza di una relazione quadratica inversa tra proprietà familiare e performance. In particolare, utilizzando gli stessi dati, è possibile notare che
la relazione tra ROA e partecipazione familiare è approssimativamente quella rappresentata
nel grafico 1, dove nell’asse delle ascisse è indicata la percentuale di proprietà familiare e
nell’asse delle ordinate il ROA.
Nella parte sinistra del grafico risulta chiaro che all’aumentare della partecipazione familiare
anche le performance aumentano. Tuttavia, superata la soglia del 50% circa, si registra una
inversione di tendenza: un aumento della partecipazione familiare comporta una riduzione del
ROA associato all’impresa.
Questo sta a significare che a bassi livelli di partecipazione familiare (cioè in misura minore
del 47,5%) i vantaggi che la famiglia può apportare alle performance dell’impresa non possono essere sfruttati a pieno, o meglio, aumentando la partecipazione familiare i benefici che ne
derivano (maggior controllo del management, obiettivi di lungo termine, ecc.) sono maggiori
9
rispetto agli ostacoli che questa comporta (rischio di stagnazione, approvazione di progetti a
basso rischio, ecc.).
Grafico 1: La relazione quadratica tra proprietà familiare e ROA.
6,65
6,55
6,45
6,35
0
20
40
60
80
100
Fonte: Mazzola et al. (2012), Non-linear effects of family sources of power on performance
Dall’altro canto però, quote troppo elevate di partecipazione concentrate nelle mani di
un’unica famiglia comportano degli effetti marginali negativi sul ROA.
Naturalmente non dobbiamo pensare che le imprese con una partecipazione familiare intorno
al 50% siano quelle più redditizie e con maggiori opportunità di crescita. Il rendimento, e
quindi il ROA, dell’impresa dipende da moltissime cause: gli investimenti attuati, le capacità
dei dipendenti, capacità del management, il settore in cui opera, la qualità del suo portafoglio
clienti. Tuttavia questo studio ci sta a dimostrare come, a parità di altri fattori le imprese che
hanno all’incirca il 50% di capitale di proprietà familiare sono quelle maggiormente performanti. Quindi le imprese familiari potrebbero migliorare i propri risultati aprendo il capitale a
soggetti esterni e modificando la propria governance: questo consentirebbe di mitigare gli effetti negativi che generano livelli elevati di partecipazione familiare. Sebbene la maggior parte
delle imprese familiari non sarebbe molto incline a far entrare nella propria impresa soggetti
che non appartengono alla famiglia di riferimento, questo potrebbe risultare determinante per
superare l’avversione al rischio, la mancanza di competenze e i conflitti tra soci o azionisti.
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2.3. Gestione familiare e performance
Abbiamo visto come Mazzola et al. sostengano che ci sia una relazione quadratica tra partecipazione familiare e performance operative. In realtà, la letteratura che studia il fenomeno del
family business non ha finora confermato questa evidenza e nemmeno fornito una lettura conclusiva del fenomeno. Ne sono consapevoli anche gli stessi autori che, per avvalorare la loro
ipotesi, hanno approfondito la loro analisi osservando come le performance siano influenzate
anche dalla presenza dei membri familiari all’interno degli organi di amministrazione.
Anche in questo caso viene fatto uso di un modello di regressione, il quale è molto simile al
precedente, solamente che in questo caso anziché usare la variabile FIO, che misura la partecipazione della famiglia al capitale dell’impresa, viene utilizzata la variabile FIM (Family Involvement in Management), che misura la partecipazione dei membri di una famiglia agli organi di amministrazione dell’impresa.
Questa variabile viene calcolata come rapporto tra soggetti appartenenti alla famiglia che fanno parte degli organi di gestione e il totale dei membri che compongono gli organi stessi. I risultati della regressione sono riportati in tabella 2.
Tabella 2: Partecipazione familiare al management e profittabilità.
Variables
ROA
CompanyAge (1)
-0,03
CompanySize (2)
-0,11
FIM (3)
Agricolture (4)
0,21**
-0,11
Manufacturing (5)
0,01
Services (6)
0,06
Construction (7)
-0,08
Extraction (8)
-0,10
Transportation (9)
0,08
Commerce (10)
-0,17*
Altro (11)
-0,04
FIOSquared (S)
-0,27**
N. generations (12)
-0,25**
* p<0,10
** p<0,05
*** p<0,01
Fonte: Mazzola et al. (2012), Non-linear effects of family sources of power on performance
11
Dai risultati è evidente come la gestione familiare, seppur in termini minori rispetto alla proprietà, influenzi in modo positivo il ROA (3 = 0,21). Questo significa che l’effetto positivo associato ai bassi
costi di agenzia che distingue le imprese a controllo familiare supera l’effetto negativo determinato
dall’immobilismo verso nuovi progetti di crescita e dalla mancanza di risorse manageriali.
Esiste tuttavia una novità rispetto ai risultati precedenti. In questo caso, infatti, è possibile osservare come il numero di generazioni presenti a capo dell’impresa influenzi negativamente la
profittabilità dell’impresa (12 = -0,25). Quindi, le performance dell’impresa non sono ostacolate di per sé da un numero elevato di membri della famiglia all’interno dell’organo di gestione, ma dal fatto che questi appartengano a differenti generazioni.
Maggiore è il numero di generazioni che convivono ai vertici aziendali e più alta sarà anche la
probabilità che si verifichino conflitti tra queste. Infatti è probabile che in questi casi coesistano all’interno del vertice strategico differenti culture, differenti idee e, più in generale, modi
diversi di vedere l’ambiente che circonda l’impresa.
Possiamo quindi concludere dicendo che gli effetti positivi della partecipazione familiare
all’interno delle imprese, in genere, è maggiore rispetto agli effetti negativi che questa comporta. Tuttavia, nel caso in cui la governance dell’impresa generi dei conflitti d’interesse tra le
differenti forze che intervengono ai vertici aziendali, la partecipazione familiare comporta una
riduzione delle performance operative. Per bilanciare gli effetti positivi con quelli negativi, è
necessario trovare la giusta configurazione di corporate governance all’interno dell’impresa
al fine di assicurare la convivenza pacifica tra membri appartenenti alla famiglia e membri
esterni.
3. L’efficienza delle imprese familiari: la ricerca di Erbetta et al.
3.1. La differenza di efficienza tra family e non-family business
Oltre ad analizzare la relazione tra partecipazione familiare e performance, una parte della letteratura relativa al family business si è occupata dell’efficienza che possono raggiungere le
imprese familiari nell’impiego dei fattori produttivi, tralasciando l’aspetto della profittabilità.
Lo studio di Erbetta et al. (2013) Assessing family firm performance using frontier analysis
technique: Evidence from Italian manufacturing industries è sicuramente uno dei più significativi in questo campo. Il fine ultimo di questa ricerca è quello di confrontare l’efficienza delle imprese familiari con quella delle imprese non-familiari e capire come la struttura familiare
influenzi il modo di utilizzare i fattori produttivi.
12
A differenza degli studi precedenti, poiché questo si basa su un concetto di efficienza, non è
possibile utilizzare una misura contabile (ad esempio il ROA) come proxy delle performance
dell’impresa. In questo caso è necessario fare uso di una misura di efficienza nella produzione
che, in senso assoluto, può essere intesa come rapporto tra le risorse impiegate dall’impresa
per svolgere il suo processo di produzione (input) e i risultati (output) del processo di produzione stesso.
Lo studio a cui si fa riferimento, però, non misura l’efficienza in senso assoluto, ma bensì in
termini relativi attraverso il Data Envelopment Analysis (DEA).
Tabella 3: Confronto family vs non-family business in base al ROA e DEA
ROA
Efficiency
Family
Non-Family
Family
Non-Family
Food & Beverage
Chemicals
0,079
0,092
0,039
0,095
***
0,905
0,835
0,895
0,870
Non-metallic products
0,101
0,076
**
0,943
0,918
Non-eletrical Machinary
0,085
0,070
0,896
0,946
***
Eletrical machinary
0,065
0,045
0,869
0,935
***
Fabrication of vehicles
0,004
0,022
0,908
0,947
**
Constructions
0,042
-0,009
***
0,917
0,981
***
Wholesale trade
0,098
0,130
**
0,833
0,919
***
Logistics
0,054
0,061
**
0,957
0,979
Engeneering
0,067
0,047
*
0,910
0,966
***
***
I livelli di significatività si riferiscono alla differenza delle medie.
* p<0,10
** p<0,05
*** p<0,01
Fonte: Erbetta et al. (2013), Assessing family firm performance using frontier analysis technique. Evidence from Italian manufacturing industries.
Questo metodo si propone di quantificare l’efficienza come la distanza tra l’unità osservata e
la corrispondente best practice del settore: questo significa che un’impresa viene valutata totalmente efficiente se e solo se le performance delle altre imprese non dimostrino che alcuni
dei suoi output possono essere incrementati senza che questo comporti un maggior impiego
dei suoi input.
Nella tabella 3 vengono confrontate imprese familiari e imprese non-familiari sulla base del
ROA e del valore DEA, suddivise per settore di appartenenza.
13
Così come evidenziato nello studio precedente, anche in questo caso è possibile notare che il
ROA delle imprese familiari è in tutti i settori più alto rispetto a quello delle imprese nonfamiliari, segno che il controllo familiare può influire positivamente sulle performance reddituali dell’impresa. Questo però non significa che anche dal punto di vista dell’efficienza il
comportamento sia lo stesso: infatti è evidente che le imprese non-familiari presentano, in genere, un coefficiente DEA superiore rispetto alle imprese familiari che operano nello stesso
settore. In altri termini questo sta a significare che le imprese familiari presentano delle inefficienze nei loro processi di produzione.
Il prossimo passo sarà quello di capire da dove derivano queste inefficienze.
3.2. Le cause che generano un sovra-utilizzo dei fattori produttivi nelle imprese familiari
Il fatto che siano presenti delle inefficienze all’interno delle imprese familiari significa che
viene utilizzata una quantità di fattori produttivi maggiore rispetto a quella di best practice.
Per essere più precisi, e capire da dove derivano queste inefficienze, è necessario considerare
le inefficienze dei singoli fattori produttivi: materie prime, lavoro e capitale. In questo modo è
possibile verificare se il gap in termini di efficienza delle imprese familiari è dovuto a un fattore produttivo specifico oppure se questa inefficienza si riscontra a livello globale.
Per raggiungere questo obiettivo è stato calcolato l’indice di sovra-utilizzo dei tre principali
fattori produttivi come rapporto tra il valore DEA dell’azienda j e quello medio del settore,
entrambi riferiti allo stesso fattore produttivo i:
In tabella 4 sono riportati gli indici di sovra-utilizzo per ciascun fattore produttivo suddivisi
per struttura proprietaria e settore di riferimento.
Come vediamo, esistono delle differenze tra le due categorie di imprese che sottolineano la
tendenza da parte delle imprese familiari a sovra-utilizzare i fattori produttivi rispetto alle imprese non-familiari dello stesso settore. Tuttavia è possibile notare una differenza più marcata
per i fattori produttivi di capitale e lavoro.
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Tabella 4: Indici di sovra-utilizzo degli input calcolati per i diversi fattori produttivi.
Industry
Inputs
Family
Non-Family
Food & Beverage
Materials
Labour
1,110
1,172
1,123
1,247
**
Capital
1,149
1,271
***
Materials
1,209
1,172
***
Labour
1,218
1,190
***
Capital
1,209
1,214
***
Materials
1,066
1,095
Labour
1,176
1,229
Capital
1,097
1,181
*
Materials
1,124
1,061
***
Labour
1,144
1,068
***
Capital
1,286
1,092
***
Materials
1,164
1,078
***
Labour
1,183
1,085
***
Capital
1,518
1,136
***
Materials
1,108
1,061
***
Labour
1,111
1,065
**
Capital
1,189
1,075
**
Materials
1,106
1,021
***
Labour
1,188
1,021
***
Capital
1,106
1,021
***
Materials
1,230
1,100
***
Labour
1,307
1,228
*
Capital
2,614
1,546
***
Materials
1,052
1,022
Labour
1,053
1,023
Capital
1,059
1,022
Materials
1,105
1,037
***
Labour
1,106
1,037
***
Capital
1,614
1,055
***
Chemicals
Non-metallic products
Non-eletrical Machinary
Eletrical machinary
Fabrication of vehicles
Constructions
Wholesale trade
Logistics
Engeneering
I livelli di significatività si riferiscono alla differenza delle medie.
* p<0,10
** p<0,05
*** p<0,01
Fonte: Erbetta et al. (2013), Assessing family firm performance using frontier analysis technique. Evidence from Italian manufacturing industries.
15
In ogni caso, è evidente che le imprese familiari utilizzano in modo distorto i fattori produttivi. Questo però non è dovuto ad una inefficienza di carattere organizzativo delle imprese familiari ma al fatto che pagano i fattori produttivi ad un prezzo inferiore rispetto alle imprese
non-familiari: in particolare, nel campione osservato, il costo del lavoro risulta essere di circa
il 20% inferiore. Secondo Sraer and Thesmar (2007) questo può essere spiegato considerando
il fatto che le imprese familiari sono portate ad assumere lavoratori non specializzati per lo
svolgimento di mansioni che invece richiederebbero maggiori competenze e professionalità.
Questa strategia ha come obiettivo quello di estrarre benefici privati dall’impresa perché il risparmio sul monte stipendi può essere utilizzato per aumentare la remunerazione di azionisti e
manager che appartengono alla famiglia. Tuttavia, l’utilizzo di manodopera non specializzata
all’interno delle imprese, anche se da un lato riduce il costo del lavoro, dall’altro riduce la
produttività e aumenta le inefficienze all’interno dei processi produttivi.
Con riguardo al capitale, invece, una possibile spiegazione del sovra-utilizzo di questa risorsa
può essere data considerando il fatto che le imprese familiari hanno, generalmente, degli orizzonti d’investimento più a lungo termine rispetto alle competitors non-familiari. La proprietà
familiare è infatti disposta ad aspettare più tempo, rispetto alle imprese non-familiari, per il
ritorno dei propri investimenti purché questi vadano a vantaggio delle generazioni future.
Sebbene una prospettiva di lungo termine degli investimenti è fondamentale per la continuazione e la crescita del business, questo può portare alla percezione di un minore costo del finanziamento e ad un eccessivo ricorso all’indebitamento.
4. Imprese familiari ed investimenti: lo studio di Pinando et al.
4.1. Imprese familiari e prospettiva di lungo periodo
La recente crisi economica ha dimostrato che i mercati finanziari sono distanti dall’essere perfetti e questo in qualche misura può rendere difficile per le imprese implementare progetti a
valore aggiunto.
Considerando l’importanza delle decisioni di allocazione delle risorse finanziarie, la letteratura in questi anni ha posto sempre maggiore attenzione alle decisioni di investimento delle imprese e, in particolare, all’incertezza legata al cash flow che deriva dalle attività di gestione
operativa.
Pinando et al. (2011), nel loro studio Family control and investment-cash flow sensivity: Empirical evidence from Euro Zone, sostengono che la struttura proprietaria di una impresa gio-
16
chi un ruolo chiave nello spiegare le decisioni d’investimento, mitigando o accentuando
l’incertezza dei risultati. L’obiettivo di questo studio, infatti, è quello capire se esiste una relazione tra controllo familiare e investimenti posti in essere dall’impresa.
Abbiamo già detto in precedenza quali sono i vantaggi di un’impresa familiare rispetto ad una
non-familiare: ora vogliamo capire se questi vantaggi possono aiutare le imprese familiari a
mitigare le imperfezioni dei mercati finanziari, riducendo il rischio dei propri investimenti.
Innanzitutto la presenza di una visione di lungo termine da parte della famiglia controllante
dovrebbe incentivare il controllo degli azionisti alla massimizzazione del valore generato
dall’impresa riducendo il rischio di un livello d’investimento non ottimale. A questo proposito, alcune ricerche recenti hanno dimostrato che orizzonti di investimento più lunghi comportano un allineamento degli interessi tra manager e azionisti con un minor incentivo a intraprendere progetti che offrono payback più veloci ma che riducono le opportunità di crescita
dell’impresa nel medio-lungo termine.
Inoltre la proprietà familiare, come suggerito da Anderson et al. (2003), dovrebbe anche alleviare i costi di agenzia tra obbligazionisti e azionisti, permettendo all’impresa di finanziarsi ad
un costo più basso e superare le difficoltà di accesso al debito.
Pinando et al. hanno verificato la veridicità di queste affermazioni su un campione di imprese
per capire se effettivamente le imprese familiari sono portate ad intraprendere investimenti
diversi (per profili di rischio, per fonti di finanziamento e per orizzonte temporale) rispetto alle imprese non-familiari.
Tabella 5: numero di imprese che compongono il campione per Paese di provenienza.
Country
n
%
Austria
Belgium
36
31
5,26
4,53
Germany
238
34,80
Spain
41
5,99
Finland
46
6,73
France
188
27,49
Ireland
26
3,80
Italy
53
7,75
Portugal
25
3,65
Total
684
100,00
Fonte: Pinando et al. (2011), Family control and investment-cash flow sensivity: Empirical
evidence from Euro Zone.
17
Il campione è costituito da imprese quotate con sede sociale in nove Paesi europei: Austria,
Belgio, Germania, Spagna, Finlandia, Francia, Irlanda, Italia e Portogallo. Il fatto che, a differenza degli studi precedenti, sia stato utilizzato un campione di imprese quotate è dovuto alla
grande quantità di dati necessari per svolgere questo studio, soprattutto di matrice finanziaria,
che normalmente non vengono resi di pubblico dominio da imprese a capitale privato.
Questa ricerca considera un’impresa familiare quella in cui più del 10% del capitale sociale è
di proprietà di soggetti riconducibili ad una stessa famiglia. Utilizzando questa soglia sono
state individuate 510 imprese familiari su 684 (circa il 75%).
La tabella 5 evidenzia il numero di imprese che compongono il campione, suddivise per Paese
di provenienza.
4.2. Gli investimenti a basso rischio delle imprese familiari
Il modello ideato da Pinando et al. si basa su tre differenti informazioni che permettono di
analizzare l’impatto della proprietà familiare sul rischio degli investimenti.
Per prima cosa, è necessario conoscere la struttura proprietaria dell’impresa per verificare se
la proprietà familiare influenza l’incertezza del cash flow. In seconda battuta bisogna capire la
struttura finanziaria delle società presenti nel campione per inserire le variabili di controllo.
L’ultima informazione necessaria riguarda la disponibilità dei dati necessari per calcolare la q
di Tobin, che si ottiene come rapporto tra valore di mercato dell’impresa e il costo di rimpiazzo del suo stock di capitale, cioè il costo che l’impresa dovrebbe sostenere per riacquistare
tutte le proprie strutture e i propri impianti ai prezzi di mercato correnti. La q di Tobin viene
utilizzata per capire se un'impresa debba effettuare degli investimenti (se q è maggiore di uno)
o debba invece disinvestire (se q è minore di uno): questo dato viene utilizzato dagli autori
come proxy delle opportunità di investimento e delle prospettive di crescita dell’impresa.
Le informazioni relative all’assetto finanziario delle aziende derivano dal database Worldscope, mentre i dati relativi alla struttura proprietaria dell’impresa sono state ottenute dal database sviluppato da Faccio e Lang (2002). Nel modello sono state aggiunte anche alcune variabili
macroeconomiche (ad esempio, la crescita dei prezzi dei beni durevoli e il tasso di interesse a
breve e a lungo termine) estratte dal database OECD (Organization for Economic Cooperation and Development).
I risultati stimati dalla regressione sono stati riportati in tabella 6.
18
Tabella 6: Imprese familiari e propensione agli investimenti
Variables
IAIit–1 (β1)
CFit (β2)
FDit × CFit (γ2)
Estimates
0,137***
0,144***
-0,108***
FDit (β3)
0,000
Qit–1 (β4)
0,005***
* p<0,10
**p<0,05
***p<0,01
Fonte: Pinando et al. (2011), Family control and investment-cash flow sensivity: Empirical
evidence from Euro Zone.
La variabile dipendente del modello è rappresentata dall’ammontare degli investimenti realizzati dall’impresa, aggiustati per il settore di appartenenza (IAIit). La scelta di inserire questo
aggiustamento è giustificata dal fatto che imprese che operano in settori maturi hanno necessità di investimenti minori, per garantire la propria sopravvivenza, rispetto ad altre imprese che
operano in settori caratterizzati da forte crescita ed innovazione. IAIit-1 è invece una variabile
di ritardo necessaria misurare le dinamiche d’investimento e catturare gli effetti nel tempo di
tali decisioni.
Poiché l’obiettivo è quello di analizzare l’effetto del cash flow generato dagli investimenti
delle imprese familiari rispetto a quello delle imprese non-familiari, viene inserita all’interno
del modello anche una variabile dummy (FDit) che è uguale a 1 se l’impresa è familiare e zero
in caso contrario.
La prima cosa da notare è l’effetto positivo del cash flow (CFit) sull’ammontare degli investimenti. Tuttavia questo effetto risulta più debole per le imprese familiari (β2 + γ2 = 0,144 –
0,108 = 0,036) rispetto alle non-familiari (β2 = 0,144). Questo risultato conferma la generale
prudenza negli investimenti da parte delle imprese familiari: a parità di altre condizioni,
quando si passa da un’impresa non-familiare ad una familiare ci si aspetta che l’ammontare
complessivo degli investimenti continui a crescere all’aumentare dei cash flow generati
dall’attività operativa, ma in misura inferiore rispetto a quello che avverrebbe in un’impresa
non-familiare.
La variabile relativa alla q di Tobin (Qit–1) è significativamente diversa da zero ma comunque
piuttosto bassa (β4=0,005). Questo significa che, anche se sono presenti delle opportunità di
investimento per le imprese europee, queste opportunità non vengono sfruttate. Uno dei moti-
19
vi principali di questo risultato risiede nel fatto che questo studio è stato condotto durante gli
anni di crisi più profonda (2008, 2009 e 2010) che hanno minato la fiducia degli imprenditori
europei ad intraprendere nuovi progetti di crescita.
4.3. Meccanismi che rafforzano il controllo all’interno delle imprese familiari
Nonostante i risultati fin qui discussi, esistono differenti tipi di controllo familiare i quali possono impattare in diverso modo nella relazione con investimenti e cash flow.
L’utilizzo di particolari strutture di governo che rafforzano il controllo della famiglia
all’interno della società è molto probabile che conducano ad un elevato rischio di espropriazione degli azionisti di minoranza ed investimenti non efficienti. Questo tipo di meccanismi è
assai diffuso nella pratica e può essere attuato in vari modi: ad esempio attraverso l’istituzione
di un sistema dual-class shares, oppure attraverso strutture piramidali o ancora con l’utilizzo
del cross-holding.
La caratteristica principale di questi meccanismi consiste nel fatto che violano il principio di
proporzionalità tra il numero di azioni detenute da un socio e il potere effettivamente esercitabile in sede assembleare (principio che viene anche indicato con il termine one share-one vote, un’azione equivale ad un voto).
Per verificare se effettivamente meccanismi che accrescono il controllo della famiglia controllante causano delle inefficienze a livello di investimenti, il modello precedente viene modificato inserendo due nuove variabili dummy.
La variabile Non-Expropr.FDit è uguale a uno se l’impresa familiare ha una bassa contendibilità e quindi non sono presenti meccanismi di violazione alla regola one share-one vote; zero
in caso contrario.
La variabile Expropr.FDit, invece, sarà uguale a uno per imprese che fanno uso di almeno uno
dei meccanismi di rafforzamento del controllo e zero altrimenti.
In altre parole il coefficiente di Non-Expropr.FDit, cioè (β2 + λ2), cattura l’effetto del cash
flow sugli investimenti delle imprese familiari che non utilizzano nessun meccanismo di rafforzamento del controllo, mentre il coefficiente di Expropr.FDit, cioè (β2 + δ2), quello delle
imprese familiari che violano la regola one share-one vote. β2, invece, sarà il coefficiente che
misura l’influenza del cash flow sugli investimenti delle imprese non-familiari (dove entrambe le variabili Non-Expropr.FDit e Expropr.FDit sono uguali a zero). Se le ipotesi iniziali sono
corrette, dovrebbe risultare che (β2 + δ2) è maggiore di (β2 + λ2).
Le stime a cui sono giunti Pinando et al. sono riportate in tabella 7.
20
Tabella 7: Imprese familiari e meccanismi di rafforzamento del controllo.
Variables
IAIit–1 (β1)
CFit (β2)
Estimates
0,140***
0,159***
NON-EXPR.FDit × CFit (λ2)
-0,128***
EXPR.FDit × CFit (δ2)
-0,044
FDit (β3)
0,002
Qit–1 (β4)
0,006***
* p<0,10
**p<0,05
***p<0,01
Fonte: Pinando et al. (2011), Family control and investment-cash flow sensivity: Empirical
evidence from Euro Zone.
Come possiamo notare, l’impatto del cash flow sulla variabile risposta è minore per le imprese familiari che non fanno ricorso a meccanismi di rafforzamento del controllo (β2 + λ2 =
0,159 - 0,128 = 0,031), rispetto a imprese familiari che, invece, fanno uso di questi meccanismi (β2 + δ2 = β2 = 0,159, δ2 non significativo statisticamente): in quest’ultimo caso l’effetto è
comparabile a quello delle imprese non-familiari.
Possiamo quindi dire che sebbene le imprese familiari sono portate a intraprendere progetti a
rischio più basso rispetto ad imprese non-familiari, questo effetto risulta più attenuato quando
la famiglia può utilizzare a proprio vantaggio meccanismi di rafforzamento del controllo. In
questi casi, infatti, la famiglia controllante ha la possibilità di trasferire il rischio sulle minoranze: a parità di altre condizioni, questo dà origine a investimenti maggiori rispetto a quelli
che dovrebbero essere intrapresi in condizioni normali.
Nel loro insieme questi risultati forniscono un’evidenza empirica degli svantaggi che derivano
da una struttura familiare dell’impresa, alimentando il dibattito sui pro e contro rispetto alle
altre categorie di assetto proprietario.
21
Seconda Parte - La successione delle imprese familiari
5. Le difficoltà legate alla successione nelle imprese familiari
Il passaggio generazionale è una delle fasi più delicate del ciclo di vita delle aziende familiari
perché rappresenta il momento in cui l’imprenditore, spesso anche fondatore dell’impresa,
passa il testimone e nuove forze subentrano nella gestione aziendale.
In Italia il 25% delle aziende familiari è guidata da ultrasettantenni, mentre un altro 25% da
leader tra i sessanta e i settant’anni (Elaborazione Gea su dati e Osservatorio Aub, 2013). Il
trend complessivo, che si sta registrando in questi anni, evidenzia un innalzamento dell’età
degli imprenditori (gli ultrasessantenni sono passati dal 34% al 54% in meno di vent’anni) e
allo stesso tempo un calo del tasso di successione, concentrato soprattutto negli anni successivi al 2008. Ne consegue che nel giro dei prossimi cinque, massimo dieci anni, diverse migliaia di società dovranno affrontare il tema della successione e della continuità aziendale.
Le statistiche raccolte in questi anni ci dicono che solo il 30% delle aziende supera la seconda
generazione mentre appena il 15% supera la terza. Esiste quindi un problema nella composizione dell’organo di governo che si accentua con il frazionamento delle quote al momento del
passaggio generazionale ed anche l’individuazione di una figura imprenditoriale di riferimento diventa sempre più difficile con l’allargamento del novero dei soggetti che vantano diritti
ereditari sull’azienda.
A queste difficoltà si aggiungono anche alcune tendenze in atto a livello demografico, ma soprattutto sociale, che portano a domandarsi se il circolo virtuoso tra famiglia e imprenditorialità che ha contraddistinto i decenni precedenti non si sia già interrotto. Le famiglie sono oggi
più fragili che in passato, vi è una maggiore incidenza di figli unici e la stabilità è drasticamente diminuita (una coppia su quattro si separa). D’altro canto la famiglia tradizionale lascia
il posto a nuove forme di convivenza, con un minor numero di matrimoni, celebrati in età
sempre più avanzata. Questo significa che le reti parentali e protettive che si sono formate intorno alla famiglia si stanno via via indebolendo, e questo, unito al progresso economico,
sembra allontanare le nuove generazioni da quell’etica sacrificale del lavoro che è stata alla
base dello sviluppo delle imprese familiari negli anni precedenti.
Per questo le imprese familiari che si avvicinano alla successione in questi anni dovrebbero
quantomeno considerare le varie alternative al passaggio generazionale interno alla famiglia,
ad esempio:
22
 La famiglia potrebbe decidere di mantenere la proprietà, ma rinunciare allo svolgimento
della direzione dell’impresa.
 La famiglia potrebbe decidere di cedere la proprietà all’esterno ma uno (o più) dei suoi
membri assume (o assumono) un ruolo direzionale.
 L’imprenditore potrebbe cedere il capitale di proprietà e ritirarsi dallo svolgimento delle attività imprenditoriali e manageriali.
Alla base di queste decisioni di diluizione della base familiare nell’impresa, i passaggi essenziali sono rappresentati dalla rigorosa selezione e preparazione degli eredi destinati a subentrare all’imprenditore e dall’entrata di manager capaci di affiancare o sostituire l’imprenditore
nelle funzioni di governo. In diversi casi, tuttavia, la praticabilità delle soluzioni presentate è
ostacolata anche dalla limitata disponibilità finanziaria dei soggetti interessati a subentrare ai
precedenti.
Di seguito verranno presentati alcuni paper che analizzano le principali problematiche che si
verificano dopo la successione, cercando di capire le cause che le hanno originate, in modo
tale poter fornire agli imprenditori delle linee guida utili ad affrontare in modo più efficace il
passaggio generazionale.
6. La scelta del successore nelle imprese familiari: il contributo di Ansari et
al.
6.1. Le variabili che entrano in gioco nella scelta del nuovo CEO
Come abbiamo appena visto, i numeri evidenziano in modo inequivocabile come la successione rappresenti un punto critico per la sopravvivenza delle imprese familiari.
Bertrand e Schoar (2006) sostengono che gli eredi hanno un ingiusto vantaggio al momento
della successione manageriale rispetto a manager esterni alla famiglia, anche se non hanno le
professionalità e le competenze manageriali necessarie per continuare l’attività. Questo avviene tipicamente per l’interesse della famiglia controllante a estrarre benefici privati dal controllo dell’impresa, a scapito degli azionisti di minoranza.
Il pensiero secondo cui, nelle imprese familiari, esistano forti vincoli che influiscono sulla
scelta del nuovo CEO al momento della successione non è assolutamente nuovo.
Già Weber (1904) era convinto che vincoli di carattere familiare troppo forti impedissero lo
sviluppo economico delle imprese perché comportavano forme di governance troppo individualistiche. Anche Fukuyama (1995) nei suoi studi scriveva che nei Paesi in cui la governance
delle imprese era dominata da legami di sangue era molto probabile che soffrissero di una cre-
23
scita economica più bassa in virtù della dimensione troppo piccola dell’impresa e, di conseguenza, del settore in cui questa operava.
In letteratura vari autori si sono occupati delle variabili che influenzano la scelta del successore nelle imprese familiari. Uno dei più recenti studi, The determinants of the CEO successor
choice in family firms di Ansari et al. (2013) ha tentato di identificare quali sono i fattori che
determinano l’esito della successione nelle imprese familiari, tenendo in considerazione le
condizioni al verificarsi delle quali gli interessi degli azionisti di maggioranza possono scavalcare quelli degli azionisti di minoranza.
La ricerca limita la propria analisi sulla scelta del CEO nelle imprese quotate in Francia,
Germania e Regno Unito. Sono stati scelti questi tre Paesi perché rappresentativi dei due principali sistemi legali presenti in Europa: in Francia e Germania è presente un sistema di civil
law mentre il Regno Unito si distingue per un sistema di common law. Tuttavia, anche tra
aziende tedesche e aziende francesi esistono delle differenze. In particolare, il sistema di corporate governance francese si caratterizza tradizionalmente per l’esistenza di un sistema di
cross-shareholding, cioè situazioni in cui aziende quotate sono proprietarie di uno stock di
azioni di altre aziende quotate. Inoltre in passato, diverse grandi aziende francesi erano controllate da banche o assicurazioni di proprietà dello Stato, fondate per ridurre l’influenza straniera nelle aziende nazionali. Sebbene siano passati diversi anni, ancora oggi la Francia è
l’unico Paese in Europa dove la maggior parte del capitale circolante in Borsa è di proprietà
delle banche (in media il 15,5%). Anche la Germania è considerata un Paese con forte partecipazione delle banche al capitale delle imprese ma questa influenza viene esercitata principalmente attraverso sistemi di proxy voting, cioè votando con le azioni dei propri clienti. A
questo si aggiungono anche tutte le diversità di carattere storico, culturale o insite nel sistema
economico dei Paesi europei che potrebbero influenzare l’esito della successione nelle imprese.
Sulla base di queste considerazioni, Ansari et al. hanno individuato cinque cause che potrebbero influenzare la scelta del CEO al momento della successione, che sono:
 Il potere della famiglia
 Il numero di generazioni che si sono succedute al comando dell’impresa
 L’indipendenza dei Consiglieri
 Il sistema legale di protezione degli azionisti di minoranza
 Le performance passate dell’impresa
24
6.1.1. Il potere della famiglia
Come abbiamo accennato precedentemente è molto probabile che, durante la successione, nelle imprese familiari si cerchi di creare valore solamente per la famiglia di maggioranza a scapito degli altri azionisti. Questo in genere si verifica quando c’è una deviazione tra diritti ai
dividendi e diritti di voto che possono scoraggiare gli investimenti da parte degli altri azionisti
non appartenenti alla famiglia, in particolare quelli istituzionali. Tutto ciò porta a pensare che
la forza esercitata dalla famiglia sul controllo dell’impresa influenzi la successione del CEO:
maggiore è il controllo della famiglia sull’impresa e maggiore è la probabilità che il nuovo
CEO sia una membro della famiglia stessa.
Gli autori misurano il potere della famiglia attraverso tre differenti variabili: il controllo familiare, la proprietà familiare e l’interesse privato della famiglia.
Il controllo familiare viene misurato attraverso il numero di voti che i membri della famiglia
esercitano direttamente sul numero totale delle azioni. La proprietà familiare, invece, viene
misurata attraverso il numero delle azioni detenute dalla famiglia sul totale delle azioni emesse. L’interesse privato della famiglia viene misurato come differenza tra diritti di voto e diritti
ai dividendi: questa misura rappresenta anche l’incentivo della famiglia a estrarre benefici
privati dall’impresa.
6.1.2. Il numero di generazioni che si sono succedute a capo dell’impresa
McConaughy e Philips (1999) sostengono che la prima generazione di manager all’interno
delle imprese familiari sono imprenditori che hanno le abilità tecniche e imprenditoriali necessarie per la creazione dell’impresa. I loro successori, invece, dovranno affrontare diverse
sfide in termini di mantenimento e crescita dell’azienda che il più delle volte richiedono incarichi che dovrebbero essere svolti da manager più preparati.
Secondo la tesi socio-emozionale presente in letteratura, la generazione fondatrice è portata a
legare gli interessi economici dell’impresa a componenti di carattere familiare verso gli eredi,
influenzando il più delle volte l’esito della successione verso quest’ultimi. Ecco quindi che ci
si aspetta che se il CEO in carica è il fondatore o un soggetto appartenente alla generazione
fondatrice, è più probabile che il suo successore sia anch’esso un membro della famiglia controllante.
Per verificare questa assunzione gli autori inseriscono nel modello una variabile dummy, che
è uguale a uno se il CEO uscente è il fondatore o appartiene alla generazione fondatrice, mentre assumerà valore zero in caso contrario.
25
6.1.3. L’indipendenza dei Consiglieri
Un altro fattore che potrebbe influenzare l’esito della successione all’interno delle imprese
familiari è l’esistenza di Consiglieri legati o meno alla famiglia controllante. Se i Consiglieri
sono indipendenti sia dal top management che dalla famiglia proprietaria possono giocare un
ruolo importante all’interno del processo di successione che avviene all’interno delle imprese.
Infatti, poiché Consiglieri indipendenti sono maggiormente distaccati dalle dinamiche familiari all’interno dell’impresa, ci si aspetta che più alta è la percentuale di Consiglieri indipendenti, più alta sia anche la probabilità che il nuovo CEO non sia legato alla famiglia controllante.
Gli autori per valutare l’indipendenza dei Consiglieri utilizzano sei criteri:
 I rapporti di parentela o affinità dei Consiglieri con la famiglia controllante
 Un mandato di almeno nove anni che lega il Consigliere alla società
 Il fatto che il Consigliere svolga la propria attività anche per altre aziende controllate sempre dalla stessa famiglia
 Il fatto che il Consigliere sieda ad altri CdA, oltre a quello dell’impresa, a cui partecipano
anche i membri della famiglia
 La nomina del Consigliere da parte dell’assemblea a cui fa parte la famiglia controllante
 Se il Consigliere è stato il primo dipendente assunto dall’impresa
Secondo Ansari et al., solo se il Consigliere non rispetta nemmeno uno di questi requisiti allora potrà essere considerato indipendente.
6.1.4. Il sistema legale di protezione degli azionisti di minoranza
E’ stato discusso precedentemente del pericolo di espropriazione degli azionisti di minoranza
all’interno delle imprese familiari. L’entità di questo pericolo dipende tuttavia dalle tutele che
sono concesse agli azionisti nel Paese in cui l’azienda ha sede legale.
Sistemi di common law, come quello inglese, tendono ad assicurare una protezione agli investitori più forte rispetto ai sistemi di civil law. La Porta et al. (1998) hanno dimostrato che il
diverso grado di protezione offerto dai sistemi giuridici agli investitori e il diverso enforcement con cui vengono applicate queste regole sono utili a spiegare le diverse forme di governo
presenti nelle imprese ed anche lo sviluppo e le eventuali distorsioni dei mercati finanziari.
Molti sono i modi in cui può avvenire una distrazione di risorse: dalla semplice sottrazione di
fondi a trasferimenti di attività a prezzi inferiori a quelli di mercato a favore di società che
fanno parte del gruppo, fino all' assunzione di familiari o a benefici non monetari legati al
controllo dell'impresa. La Porta et al. sostengono che il principale freno a questi comporta-
26
menti opportunistici risiede nelle norme di protezione legale degli investitori e nella loro applicazione. In Inghilterra le norme che regolano le procedure assembleari nelle società per
azioni, le norme relative alla bancarotta e alla ristrutturazione delle imprese, quelle relative
alla riscossione di un collaterale a garanzia di un debito sono molto strutturate e precise perché studiate per tutelare gli azionisti di minoranza. Per questo in Paesi di common law esiste
una protezione più completa sia degli azionisti che dei creditori che favorisce l’adozione del
modello di public company con azionariato disperso e gestione manageriale. Francia e Germania (così come in Italia) sono, invece, Paesi caratterizzati da una debole protezione degli
investitori, che portano a strutture proprietarie più concentrate, con un peso rilevante del controllo familiare o dello Stato.
In particolare, è ragionevole aspettarsi che aziende quotate in Paesi di common law, quindi
con migliore protezione per gli azionisti di minoranza, abbiano un costo più basso del capitale
e un minore premio di voto (definito come differenza tra prezzo di mercato delle azioni con
diritto di voto e quelle senza questo diritto). Questo significa che in Regno Unito dovrebbe essere maggiore probabilità, rispetto agli altri Paesi, che il nuovo CEO non sia legato alla famiglia controllante. Ecco perché la protezione degli azionisti di minoranza verrà misurata attraverso una variabile dummy, che sarà uguale a uno se l’impresa è quotata nel Regno Unito e
zero altrimenti.
6.1.5. Le performance passate dell’impresa
Hillier e McColgan (2009), hanno studiato le cause del turnover dei CEO nelle imprese quotate alla Borsa di Londra e hanno scoperto che quelli appartenenti alla famiglia hanno meno
probabilità, rispetto alle imprese non-family, di lasciare l’impresa in caso di scarse performance. Anche Chen et al. (2013), che analizzarono le performance di alcune imprese quotate nello
S&P 1500, hanno visto che, in caso di scarsi risultati, i CEO appartenenti alla famiglia in imprese familiari e CEO di imprese non-familiari hanno meno probabilità di lasciare il loro incarico, rispetto a CEO non-familiari all’interno di imprese familiari. Sulla base di questa letteratura Ansari et al. sono convinti che migliore è la performance dell’impresa prima della successione e maggiore è la probabilità che il nuovo CEO sia un membro della famiglia controllante.
L’indice che viene utilizzato per misurare le performance passate dell’impresa è il ROE, cioè
il rapporto tra utile netto e capitalizzazione di mercato dell’impresa, entrambi riferiti all’anno
precedente rispetto a quello in cui avviene la successione.
27
6.2. L’indipendenza dei Consiglieri e il sistema legale di protezione degli azionisti influenzano l’esito della successione
Il campione utilizzato da Ansari et al. prende in considerazione le successioni avvenute nel
periodo tra il 2001 e il 2010 nelle imprese familiari quotate in Francia, Germania e Regno
Unito.
In questa ricerca, la definizione di impresa familiare è basata su due criteri:
 Viene considerata un’impresa familiare quella in cui una famiglia detiene almeno il 25%
dei diritti di voto e dove il CEO è membro di questa famiglia.
 Oltre a questo, è necessario che almeno una delle seguenti tre condizioni sia verificata:
a) Il CEO è il fondatore o un discendente del fondatore
b) Il CEO ha lo stesso cognome dell’azienda
c) Il CEO condivide il cognome con un altro membro che siede nel Consiglio di Amministrazione o altro organo equivalente.
Tabella 8: Le cause della successione familiare.
Variables
Estimates
Family Power t–1 (β1)
-0,022
Family Generations t-1 (β2)
-0,006
Indipendence from the family t-1 (β3)
-0,070**
Shareholder protection t-1 (β4)
-0,220***
ROE t-1 (β5)
0,010
ln size t-1 (β6)
0,006
Age t (β7)
0,088
* p<0,10
**p<0,05
***p<0,01
Fonte: Ansari et al. (2013), The determinants of the CEO successor choice in family firms.
L’utilizzo di questi parametri ha permesso di selezionare un campione di 227, 151 e 110 imprese familiari rispettivamente in Francia, Germania e Regno Unito.
La variabile dipendente del modello di regressione è una variabile dummy, uguale a uno se il
nuovo CEO è membro della famiglia controllante e zero se il nuovo CEO non appartiene a
questa famiglia. I risultati a cui sono giunti gli autori sono in esposti in tabella 8.
28
Di tutte le successioni che formano il campione, 212 di queste (il 75%) sono successioni family-to-family, mentre le rimanenti (71, il 25%) sono successioni family-to-nonfamily.
Dai risultati riportati nella tabella è evidente come il coefficiente della variabile Family Power, calcolata l’anno prima della successione, suggerisce che tutti i meccanismi che rafforzano il controllo della famiglia a scapito degli azionisti di minoranza non influenzano in maniera determinante l’esito della successione (β1 = -0,022).
Anche il numero di generazioni che si susseguono a capo dell’impresa non influenzano in
modo significativo (β2 = -0,006) la probabilità che il nuovo CEO sia un membro della famiglia. Ciò significa che le ipotesi presenti in letteratura, secondo cui all’aumentare del numero
di generazioni della famiglia si tende ad utilizzare forme di management professionali a scapito delle nomine familiari, non trovano fondamento nel campione analizzato.
La cosa più interessante, però, è notare come la percentuale dei Consiglieri indipendenti dalla
famiglia crei un effetto sulla successione familiare con segno negativo. Questo consente di dire che, se la percentuale di consiglieri indipendenti all’interno delle imprese familiari aumenta
di una unità, la probabilità che venga nominato un CEO appartenente alla famiglia diminuisce
di circa il 7%, a parità di altre condizioni. Questo conferma l’ipotesi precedente: minore è la
dipendenza dei Consiglieri dalla famiglia controllante e minore sarà anche la probabilità che
si verifichi una successione familiare.
I risultati ottenuti dagli autori sottolineano anche che un’impresa quotata nella Borsa di Londra ha il 22% in meno di probabilità di nominare un CEO familiare rispetto alle imprese quotate in Germania o in Francia. Questo conferma l’ipotesi precedente secondo cui imprese quotate in Paesi con sistemi di common law, proprio perché più attenti ai diritti degli azionisti di
minoranza, hanno minore probabilità di nominare un CEO appartenente alla famiglia.
L’evidenza empirica non dà invece alcun supporto per quel che riguarda le performance passate delle imprese. Si è perciò portati a pensare che le performance dell’anno precedente alla
successione non influenzino l’esito della successione stessa.
Gli autori concludono quindi, sulla base dei risultati ottenuti, che solo l’indipendenza dei consiglieri rispetto alla famiglia controllante e il sistema legale di protezione degli azionisti influenzano l’esito della successione familiare.
7. Imprese familiari e struttura finanziaria dopo la successione: i risultati di
Amore et al.
7.1. Le variabili che influenzano la struttura finanziaria durante la successione
29
L’Amministratore Delegato (o CEO) di un’azienda è considerato la figura chiave delle strategie di un’impresa e di conseguenza anche delle sue performance. Ecco perché la scelta del
nuovo CEO rappresenta una delle decisioni più critiche per la sopravvivenza e la crescita di
un’impresa familiare.
Da un lato, la tipica sovrapposizione tra ruolo esecutivo e proprietà familiare fa sì che le successioni rappresentino un momento traumatico per gli investimenti di medio-lungo periodo e
per gli aspetti reputazionali dell’impresa. Dall’altro lato, la nomina di un erede alla guida
dell’impresa è una decisione che potrebbe consentire di ridurre i conflitti di agenzia tra manager e azionisti, portando a performance superiori rispetto alle imprese non-familiari.
Lo studio di Amore et al. (2011) How do managerial successions shape corporate financial
policies in family firms? rappresenta uno dei contributi più importanti in letteratura sullo studio della struttura finanziaria delle imprese familiari dopo la successione.
Gli autori hanno cercato dapprima di capire quali sono le differenze in merito alle politiche di
finanziamento adottate da imprese familiari e non-familiari e poi hanno analizzato come le
opportunità d’investimento cambiano al momento della successione.
Lo studio condotto da Amore et al. è circoscritto alle imprese italiane che storicamente adottano una politica di finanziamento concentrata su un alto livello di indebitamento. The Economist (2000) scrive a questo proposito che gli imprenditori italiani sono tipicamente riluttanti
nel circondarsi di altri investitori all’interno del proprio business. Per questo le risorse finanziarie delle imprese italiane derivano essenzialmente dal cash flow generato internamente
dall’azienda e dai prestiti bancari.
Alla base di questo studio viene utilizzato il database AIDA (Analisi Informatizzata delle
Aziende Italiane). Da questa risorsa vengono selezionate tutte le imprese a controllo familiare
con fatturato superiore a 50 milioni. Questa soglia, che permette di selezionare le tipiche imprese familiari di medio-grande dimensione, è stata scelta dagli autori al fine di assicurare la
disponibilità di tutte le informazioni, soprattutto di origine finanziaria, che servono nello studio.
Importante è anche la definizione di impresa familiare che viene utilizzata dagli autori. Secondo Amore et al. sono considerate imprese familiari quelle imprese private in cui una famiglia detiene il controllo dell’azienda attraverso la maggioranza assoluta delle azioni (cioè il
50% più una delle azioni in circolazione). Sebbene questa soglia possa essere considerata
piuttosto restrittiva, qualora l’impresa sia quotata in Borsa questa viene ridotta fino al 25%.
Sulla base di questa definizione, sono state selezionate dal database 2.848 imprese che costituiscono la base dello studio. Per ognuna di queste imprese è stato costruito dagli autori un
30
dataset che contiene accuratamente tutte le informazioni che riguardano la proprietà, il management, le informazioni di governance e i dati finanziari tre anni prima e tre anni dopo la successione.
Il dataset che è stato costruito contiene 186 casi di successioni, 73 di queste (circa il 39%) sono successioni non-familiari mentre nella restante parte (il 61%) la successione è avvenuta
all’interno della famiglia.
La tabella 9 riassume le caratteristiche osservabili all’interno del campione un anno prima della successione.
Tabella 9: Media delle caratteristiche delle imprese un anno prima della successione.
All successions
Family
Non-family
Ln Asset
11,77
11,53
12,13
Firm Age
32,44
33,52
30,77
ROA
0,04
0,05
0,03
Debt/Capital
0,65
0,65
0,66
Cash Holdings
0,06
0,07
0,06
R&S expenditures
0,002
0,002
0,003
Fonte: Amore et al. (2011), How do managerial succession shape corporate financial policies
in family firms?
Le imprese che appartengono ai due diversi gruppi di successioni, in media, non differiscono
in maniera significativa per età, spesa in ricerca e sviluppo e spesa in pubblicità. Al contrario
però, i due gruppi di imprese differiscono in maniera significativa per dimensioni (misurate
attraverso il logaritmo del valore totale degli asset) e per profittabilità (misurata attraverso il
ROA). In genere le imprese che si preparano ad una successione familiare hanno una dimensione e una profittabilità maggiore rispetto alle imprese che si preparano ad una successione
non-familiare.
Inoltre, sebbene le imprese appartenenti ai due diversi gruppi dimostrino un elevato indebitamento, le differenze tra i due gruppi non sono significative. Questo suggerisce che le imprese
familiari non fanno un diverso uso del debito a seconda del fatto che si aspettino oppure no
una successione familiare.
A questo punto gli autori hanno verificato se queste caratteristiche si modificano dopo qualche anno che si è verificato il passaggio del testimone al vertice dell’impresa.
31
I risultati sono riportati in tabella 10.
Tabella 10: Le variabili che modificano la struttura finanziaria
Variables
Estimates
DD coeff. (β1)
0,0431***
Ln Asset (β2)
0,0637**
Ln Firm Age (β3)
-0,0080
ROA (β4)
-0,6890***
R&S expenditures (β5)
-0,5168
* p<0,10
**p<0,05
***p<0,01
Fonte: Amore et al. (2011), How do managerial successions shape corporate financial policies in family firms?
La variabile dipendente della regressione è il rapporto debito-totale fonti di finanziamento. Il
coefficiente DD rappresenta l’interazione che esiste tra una variabile dummy, che assume valore uno se è avvenuta la successione e zero se invece la successione non è avvenuta, e
un’altra variabile dummy, uguale a uno se la successione non è familiare e zero in caso contrario. Questa variabile di interazione ha lo scopo di catturare l’effetto sull’indebitamento da
parte della successione non-familiare rispetto a una successione familiare.
Poiché il coefficiente di interazione è positivo, quando si verifica una successione nonfamiliare il rapporto debito-totale fonti aumenta di circa il 4,5% rispetto a quando si verifica
una successione familiare. Il debito, infatti, viene utilizzato dalla famiglia come dispositivo
per disciplinare l’operato del management non-familiare. Questo perché, il ricorso al debito
può ridurre la propensione ad un utilizzo improprio dei cash flow destinati alla remunerazione
degli azionisti o soci. Ciò può essere spiegato considerando che, attraverso l’utilizzo del debito, il management non può disporre dei cash flow generati dall’attività d’impresa per rimediare agli errori commessi in sede di approvazione di iniziative senza valore aggiunto.
Inoltre, così come risultava dalla tabella 9, ci si aspetta che dopo la successione, sia essa familiare che non, l’età dell’impresa e la spesa in ricerca e sviluppo non influenzino la struttura finanziaria dell’impresa.
Diverse sono invece le considerazioni per quanto riguarda il ROA e il valore totale degli asset. I risultati evidenziano che, all’aumentare di una unità percentuale del ROA, ci si aspetta
32
che il rapporto debito su totale delle fonti di finanziamento diminuisca, mantenendo costanti il
livello delle altre variabili. Positivo è anche l’effetto sull’indebitamento da parte del livello
complessivo delle attività (β2 = 6,37%).
7.2. Età ed investimenti modificano la struttura finanziaria dell’impresa
I risultati che sono stati appena presentati hanno evidenziato quali sono le variabili che influenzano il rapporto di indebitamento delle imprese dopo la successione. In realtà questi effetti non sono omogenei all’interno delle imprese che sono state analizzate ma variano a seconda dell’età, dell’intensità degli investimenti e della volatilità associata ai cash flow che derivano dall’attività d’impresa.
Per capire come varia il rapporto debito-totale fonti di finanziamento sulla base di queste variabili, il campione è stato suddiviso in classi a seconda delle caratteristiche che si intende verificare.
Tabella 11: Età, investimenti, variabilità del cash flow e struttura finanziaria.
DD coeff. Ln Asset
Firm Age
ROA
R&S
Young Firm
Old Firm
0,048**
0,029**
0,074
0,042***
-0,059
-0,246
0,693***
-0,678***
0,672
-0,272
High presence of family
Low presence of family
0,104**
0,047**
0,049**
0,048***
0,053***
0,085
0,039
0,085**
0,080
-0,043
0,037
0,043
-0,619***
-0,709***
-0,653***
-0,760***
0,576
-2,469
-0,400
-1,256
High profit volatility
Low profit volatility
* p<0,10
**p<0,05
***p<0,01
Fonte: Amore et al. (2011), How do managerial succession shape corporate financial policies
in family firms?
Nella tabella 11, sono state analizzate separatamente le aziende giovani (con età inferiore a
quella mediana) da quelle più vecchie (con età superiore a quella mediana).
E’ stata trovato un effetto positivo del coefficiente DD in entrambi i gruppi, ma comunque
maggiore per le imprese giovani che tipicamente hanno potenziale di crescita più elevato.
Questo significa che, al momento in cui si verifica la successione non-familiare, aziende di
33
recente costituzione sono maggiormente portate a finanziare i loro progetti di crescita con capitale di terzi rispetto ad imprese mature che fanno maggiore uso di capitale proprio. E’ logico
pensare così anche alla luce del fatto che imprese mature hanno in genere minori opportunità
di crescita rispetto ad aziende di recente costituzione.
Nelle righe 3 e 4 della tabella 11, il campione iniziale è stato suddiviso in aziende con bassa e
alta presenza, dopo la successione, di membri della famiglia controllante nel Consiglio di
Amministrazione. Anche in questo caso la mediana viene utilizzata come linea di confine tra
imprese ad alta e bassa presenza di membri della famiglia.
I risultati trovati evidenziano come l’elevata presenza della famiglia all’interno del Consiglio
di Amministrazione, costituito dopo la successione non-familiare, ha come effetto quello di
incrementare il rapporto debito su totale fonti di finanziamento di circa due volte rispetto a
quando si verifica una successione non-familiare con bassa partecipazione della famiglia.
Questo risultato ci fa pensare che le famiglie all’interno del Consiglio di Amministrazione
contano non solo di monitorare strettamente gli amministratori esterni ma anche di partecipare
ai processi decisionali che comportano la definizione delle strategie dell’impresa, finanziandole principalmente attraverso l’utilizzo del debito.
Come ultimo passaggio, gli autori si preoccupano di verificare se il cambiamento di laverage
(rapporto tra totale delle fonti di finanziamento e capitale proprio) sia una funzione del tentativo da parte delle famiglie di ridurre il rischio dell’impresa dopo la successione. Anderson et
al. (2010) sostengono, infatti, che le imprese familiari tendono ad investire in progetti più sicuri dopo la successione, principalmente in asset fisici.
Se così fosse questo significa che i manager esterni, una volta preso il comando dell’impresa
potrebbero modificare le preferenze d’investimento della famiglia in progetti più rischiosi, per
questo ci si aspetta che i suoi membri influenzeranno le politiche di finanziamento di questi
progetti con lo scopo di limitare il rischio dell’impresa.
Per verificare questa tesi viene utilizzata la deviazione standard dell’EBITDA sul totale degli
asset come proxy del rischio dell’impresa. L’effetto della volatilità degli investimenti sul rapporto debito-totale fonti di finanziamento viene stimato tenendo distinte le imprese che hanno
avuto un incremento della volatilità dei profitti dopo la successione da quelle che, invece,
hanno avuto l’effetto contrario. I risultati contenuti nelle ultime due righe della tabella 11 evidenziano che i cambiamenti del debito sono positivi e della stessa entità in entrambi i gruppi
di imprese. Questo conferma la tesi secondo cui le famiglie, dopo la successione, adottano
delle scelte di finanziamento basate sul debito per mitigare l’incertezza legata a progetti di in-
34
vestimento intrapresi dai CEO non-familiari ma senza alcuna significativa differenza tra le
imprese ad alta e bassa volatilità dei profitti.
In una visione d’insieme, questi risultati supportano la tesi secondo cui CEO familiari e nonfamiliari, avendo differenti skill manageriali e relazioni con la famiglia controllante diverse,
contribuiscono in modi differenti alle politiche finanziarie dell’impresa.
8. Imprese familiari e performance post-successione: lo studio di Cucculelli
e Micucci
8.1. Le performance prima e dopo la successione
Uno dei risultati più significativi dello studio di Amore et al. evidenzia come, tipicamente, il
leverage aumenti dopo la successione family-to-nonfamily, soprattutto se c’è un’elevata proporzione di membri della famiglia che siedono all’interno del Consiglio di Amministrazione.
Lo schema di DuPont ci insegna che a parità di altre condizioni, un aumento dell’effetto leverage comporta allo stesso tempo un incremento della redditività aziendale:
In realtà ci aspettiamo che questo effetto positivo sulle performance dell’impresa venga mitigato dalle altre forze che intervengono all’interno delle imprese familiari, prima tra tutte la
mancanza di skill manageriali.
Cucculelli e Micucci (2008) nel loro studio Family succession and firm performance: Evidence from Italian family firms si occupano di misurare l’impatto generato dalla successione sulle
performance di alcune imprese italiane. In particolare, l’attenzione viene posta sulle differenze che esistono tra aziende che continuano ad essere gestite dalla famiglia (attraverso gli eredi
del fondatore) e quelle invece dove la gestione passa nelle mani di soggetti esterni.
Considerando tutte le successioni avvenute nel periodo tra il 1996 e il 2000 che hanno coinvolto le imprese del campione, gli autori hanno effettuato un confronto tra le performance registrate prima e dopo l’evento della successione.
Per svolgere questo studio, oltre alle informazioni disponibili pubblicamente presso le Camere
di Commercio, gli autori hanno costruito un dataset contenente tutte le informazioni essenziali
che sono state raccolte attraverso sondaggi diretti alle aziende.
35
Tabella 12: Caratteristiche delle imprese a seconda della tipologia di CEO, settore, dimensione e anno di nascita.
Founder
Heir
Unrelated
Succession
rate (%)
28
21
13
32
41
37
64
93
59
34
51,5
29,3
34,7
37,0
41,2
44,2
29,2
35,5
34,1
30,2
Industry
Foods
110
Textile
171
Footwear
177
Wood and paper
Chemical and plastic
184
171
135
472
394
238
240
89
50
81
76
79
70
131
124
64
70
1759
470
63
569
198
40
267
122
33
32,9
40,5
53,7
0
1
19
66
283
645
727
450
82
31
54
112
216
188
112
35
17
10
11
21
72
122
116
49
100,0
97,6
77,4
66,8
50,4
32,5
23,9
15,7
2292
834
422
35,4
Minerals
Metalworking
Mechanical industry
Machinery and vehicle
Finiture and jewels
Size-classes
10-49
50-199
200+
Starting year
Before 1929
1930-1939
1940-1949
1950-1959
1960-1969
1970-1979
1980-1989
1990-2005
Total sample
Fonte: Cucculelli e Micucci (2008), Family succession and firm performance: Evidence from
Italian family firms
La tabella 12 evidenzia le caratteristiche delle imprese che costituiscono il campione, suddivise per tipologia di CEO, settore di appartenenza, dimensione e anno di costituzione.
36
La statistiche riassuntive che raggruppano le aziende in base alla loro data di nascita mostrano
che una grande percentuale di queste (circa il 70%) sono nate tra gli anni Sessanta e gli anni
Ottanta. Solo un terzo di queste aziende hanno già completato il processo di successione,
mentre i rimanenti due terzi si apprestano in questi anni ad affrontare un cambiamento di management. Le aziende gestite da un manager-fondatore costituiscono il 64,4% con una percentuale che diminuisce all’aumentare della dimensione dell’impresa. Il tasso di successione, definito come rapporto tra imprese che hanno subito la successione sul totale delle aziende che
costituiscono il campione, varia considerevolmente tra i diversi settori e aumenta con la dimensione dell’impresa: imprese più grandi generalmente sono anche più vecchie e per questo
è più facile che la successione sia già avvenuta.
Infine è possibile notare come aziende che operano in settori a basso tasso tecnologico (definite dall’OECD in base alla spesa in ricerca e sviluppo) hanno maggiori probabilità di essere
gestite dagli eredi rispetto ad imprese che operano in settori a più alta intensità tecnologica.
I dati contabili delle aziende che costituiscono il campione sono stati estratti dal dataset Cerved e permettono di avere le informazioni relative alle caratteristiche dell’impresa e alle sue
performance prima e dopo la successione.
La tabella 13 evidenzia la profittabilità delle imprese, misurata attraverso la media degli indici
ROA e ROS, tre anni prima e dopo ogni successione.
Tabella 13: Valori medi di ROA e ROS prima e dopo la successione.
ROA (%)
ROS (%)
Pre-succession
Post-succession
Pre-succession
Heir
9,91
Unrelated
9,82
Total sample
8,89
7,06
8,95
7,49
7,72
7,26
7,61
Post-Succession
5,90
5,88
5,90
Fonte: Cucculelli e Micucci (2008), Family succession and firm performance: Evidence from
Italian family firms
Quasi tutte le successioni familiari che sono avvenute hanno coinvolto la prima e la seconda
generazione (163 trasferimenti su 177). Le performance post-successione mostrano un chiaro
declino della profittabilità di entrambi gli indicatori sia nelle imprese familiari che nonfamiliari: sul campione totale, il ROA si è ridotto dal 9,89% al 7,49%, mentre il ROS dal
37
7,61% al 5,90%. Tuttavia, il declino appare più ampio per le imprese che hanno subito una
successione familiare rispetto alle altre.
Per valutare l’impatto della successione sulla redditività dei due gruppi di imprese viene utilizzato il termine di interazione After × Family, che cattura l’effetto marginale della successione familiare sugli indici ROA e ROS rispetto a una successione non-familiare. Nel modello
viene inserito anche un termine ̅ che indica l’indice di profittabilità media del settore calcolato sulla base dei parametri three-digit SIC definiti dal dataset Cerved.
Tabella 14: Gli effetti sul ROA e sul ROS dopo la successione.
Variables
After (β1)
After × Family (β2)
̅ (β3)
Age (β4)
ROA
-1,05
-1,29**
ROS
-1,97***
0,06
0,84***
0,87***
11,35***
7,15***
* p<0,10
**p<0,05
***p<0,01
Fonte: Cucculelli e Micucci (2008), Family succession and firm performance: Evidence from
Italian family firms
I risultati stimati in tabella 14 mostrano che la successione non-familiare comporta una riduzione della profittabilità solo se viene utilizzato il ROS come misura delle performance
dell’impresa (il ROA registra un -1,05% che non è statisticamente significativo). Attraverso il
termine di interazione, invece, è possibile notare che dopo la successione l’effetto sul ROS
delle imprese familiari rimane sostanzialmente invariato, cosa che invece non è possibile dire
quando viene utilizzato il ROA: ci aspettiamo che le imprese che hanno subito una successione familiare abbiano delle performance operative dell’1,29% minori rispetto alle performance
precedenti la successione.
I risultati principali di questo studio supportano la tesi secondo cui il management interno o
esterno alla famiglia influisce sulle performance dell’azienda perché, come sostengono gli autori, soggetti esterni alla famiglia controllante, rispetto agli eredi, è più probabile che mettano
in atto un piano di ristrutturazione e riorganizzazione dell’impresa dopo la successione.
38
8.2. La successione delle imprese più performanti
Poiché l’interesse principale degli autori è quello di studiare come variano le performance delle imprese familiari prima e dopo la successione, da questo punto in avanti si farà riferimento
solamente alle 177 successioni family-to-family che sono state selezionate nel campione.
Tabella 15: ROA e ROS dopo la successione delle imprese più performanti.
Variables
ROA
ROS
0,39
-4,60***
0,12
-3,78***
̅ (β3)
0,72***
0,73***
Age (β4)
4,73***
4,00***
After(β1)
After × GoodPerformers (β2)
* p<0,10
**p<0,05
***p<0,01
Fonte: Cucculelli e Micucci (2008), Family succession and firm performance: Evidence from
Italian family firms
Cucculelli e Micucci si aspettano che imprese familiari con un’elevata redditività presentino,
in seguito alla successione, una riduzione di profittabilità di entità superiore rispetto a quelle
con minori performance pre-successione. Per verificare questa ipotesi viene introdotta nel
modello la variabile GoodPerformers che è una variabile dummy uguale a uno nel caso in cui
l’indice di profittabilità dell’azienda è superiore a quello medio del settore (calcolato attraverso il codice three-digit SIC), e zero in caso contrario.
I risultati stimati in tabella 15 mostrano effettivamente che imprese familiari più performanti
sono più danneggiate dalla successione familiare. Sebbene il coefficiente del termine After
non è significativamente diverso da zero, tutto il decremento delle performance è catturato
dalla variabile di interazione After × GoodPerformers, suggerendo un vero e proprio declino
nella profittabilità quando si verifica una successione familiare. La riduzione stimata è di 4,60
e 3,78 punti percentuali rispettivamente per il ROA e il ROS.
Il declino significativo delle imprese con buone performance pre-successione potrebbe essere
dovuto non solo a un basso talento degli eredi (inteso come qualità manageriali), rispetto al
fondatore, ma anche a cause esterne che riguardano principalmente l’ambiente competitivo in
cui opera l’impresa. Per questo motivo, utilizzando il codice three-digit SIC, ogni impresa
familiare che dopo la successione passa nelle mani degli eredi viene messa a confronto con le
39
imprese che operano sullo stesso settore ma che sono gestite dai fondatori. L’azienda utilizzata come termine di paragone viene selezionata da un gruppo di aziende che registrano performance in un intorno del 10% rispetto all’azienda in questione. Questa procedura permette di
selezionare 561 imprese gestite da fondatori, che vengono combinate con le 177 imprese che
hanno subito una successione familiare.
La variabile After × Family × GoodPerformers è il termine di interazione che permette di
misurare l’effetto marginale sulla profittabilità determinato da imprese performanti che hanno
subito una successione familiare. L’evidenza empirica viene riportata nella tabella 16.
Tabella 16: Performance delle imprese che hanno subito la successione familiare in confronto alle imprese gestite dai fondatori.
Variables
After (β1)
ROA
ROS
0,37
-1,72***
-0,31
-1,55***
̅ (β3)
0,51***
0,48***
Age (β4)
0,87
0,34
After × Family × GoodPerformers (β2)
* p<0,10
**p<0,05
***p<0,01
Fonte: Cucculelli e Micucci (2008), Family succession and firm performance: Evidence from
Italian family firms
I risultati stimati evidenziano come vi sia un significativo trend di inversione delle performance da parte delle imprese più performanti dopo la successione familiare. Le stime evidenziano
un declino di più di 1,5 punti percentuali del ROA e del ROS nel periodo post-successione.
Questo conferma che le imprese a capo delle quali sono presenti degli eredi della generazione
fondatrice archiviano delle performance post-successione significativamente più basse rispetto a quelle gestite dai fondatori, confermando la difficoltà da parte della famiglia fondatrice di
trovare, all’interno del ristretto gruppo di membri familiari, un successore capace di gestire in
maniera redditizia l’impresa.
40
9. Conclusioni
Il dibattito che si è sviluppato negli ultimi anni intorno al family business può dirsi tutt’altro
che concluso. Alcune evidenze empiriche dimostrano che le imprese familiari hanno degli indubbi vantaggi nei confronti delle altre categorie d’impresa ma allo stesso tempo queste peculiarità potrebbero determinare dei conflitti interni tra i membri della famiglia.
Se il vertice dell’impresa è formato da membri della stessa famiglia è più facile che ci sia un
positivo attaccamento all’impresa e una maggiore lealtà che facilitano la comunicazione tra le
persone e tra le diverse aree all’interno dell’impresa. Inoltre, l’obiettivo di trasferire l’azienda
agli eredi, dovrebbe garantire l’adozione di una prospettiva di lungo periodo per la crescita
dell’impresa che difficilmente è riscontrabile altrove. Dall’altro lato, però, il desiderio da parte dei membri della famiglia a mantenere il controllo dell’impresa e trasferirla agli eredi,
comporta delle difficoltà piuttosto importanti quando si tratta di reperire le risorse finanziarie
necessarie allo sviluppo dell’attività. Oltre a questo, al momento della successione, gli eredi
potrebbero non avere le competenze e le professionalità richieste per affrontare i mercati internazionali e garantire la crescita: questo problema potrebbe essere risolto assumendo
all’interno del Consiglio di Amministrazione qualche manager professionista.
Allargando il campo di analisi e considerando soprattutto le grandi imprese quotate, si può dire che esiste una percezione non propriamente positiva da parte degli investitori relativamente
alle imprese familiari, le quali risultano potenzialmente più esposte ai conflitti tra azionisti di
maggioranza e minoranza che potrebbero riflettersi in uno sconto sul prezzo di mercato.
Questi conflitti potrebbero incrementare il pericolo di espropriazione della famiglia ai danni
degli azionisti di minoranza, soprattutto in quei Paesi caratterizzati da elevata concentrazione
proprietaria e ambiente legale a tutela degli investitori troppo debole, che rendono l’impresa
meno attraente ai nuovi investitori. Questo si verifica perché, sistemi legali di protezione degli
azionisti che si fondano su norme che non tutelano pienamente gli investitori, potrebbero agevolare meccanismi e tecniche di rafforzamento del controllo della famiglia che vanno a diluire
la partecipazione degli azionisti di minoranza all’interno dell’impresa.
Tuttavia, in questo caso occorre considerare come, a fronte di un leverage maggiore per le
imprese familiari, il rischio operativo sia significativamente più alto nelle imprese nonfamiliari. Ciò potrebbe denotare un duplice fenomeno: da un lato, l’uso del debito in sostituzione dei poco graditi control enhancing devices per conciliare mantenimento del controllo e
crescita dell’impresa, dall’altro, l’avversione al rischio delle imprese familiari impone
l’adozione di strategie operative meno rischiose che vanno a compensare il maggior rischio
finanziario.
41
In definitiva, la tematica oggetto di analisi è ampiamente suscettibile di approfondimenti e
ampliamenti, sia di carattere metodologico (diverse specificazioni econometriche ed estensione della base dati), che di carattere contenutistico (nuove variabili, ipotesi ecc.), anche alla luce dei risultati riscontrati che, nonostante sembrino mostrare, una direzione abbastanza definita, appaiono tutt’altro che risolutivi. La questione, dunque, è aperta su molti fronti che si ritiene possano essere oggetto di un’intensa quanto fertile attività di ricerca che, d’altronde, è già
ampiamente attiva e produttiva.
N. Parole: 13.070
42
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