UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE ED AZIENDALI “M. FANNO” CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA E MANAGEMENT PROVA FINALE “Performance e successione nelle imprese familiari” RELATORE: CH.MO PROF. Paolo Bortoluzzi LAUREANDO: Simone Bertoncello MATRICOLA N. 1022053 ANNO ACCADEMICO 2013/2014 3 Indice Prima Parte - Le performance delle imprese familiari 1. Introduzione ………………………………………………………………………………4 2. Imprese familiari e performance finanziarie: il contributo di Mazzola et al. 2.1. Vantaggi e svantaggi rispetto alle altre forme di business…………………………… 5 2.2. Proprietà familiare e performance…………………………………………………… 7 2.3. Gestione familiare e performance………………………………………………....…10 3. L’efficienza delle imprese familiari: la ricerca di Erbetta et al. 3.1. La differenza di efficienza tra family e non-family business…………………………11 3.2. Le cause che generano il sovra-utilizzo dei fattori produttivi nelle imprese familiari………………………………………………………………………………13 4. Imprese familiari ed investimenti: lo studio di Pinando et al. 4.1. Imprese familiari e prospettiva di lungo periodo…………………………………… 15 4.2. Gli investimenti a basso rischio delle imprese familiari…………………….……… 17 4.3. Meccanismi che rafforzano il controllo all’interno delle imprese familiari………... 19 Seconda Parte - La successione nelle imprese familiari 5. Le difficoltà legate alla successione ………………………………….………...……… 21 6. La scelta del successore: il contributo di Ansari et al. 6.1. Le variabili che entrano in gioco nella scelta del nuovo CEO……………………… 22 6.2. L’indipendenza dei Consiglieri e il sistema legale di protezione degli azionisti influenzano l’esito della successione……………………………………………..…… 27 7. Imprese familiari e struttura finanziaria post-successione: i risultati di Amore et al. 7.1. Le variabili che influenzano la struttura finanziaria durante la successione………. 28 7.2. Età ed investimenti modificano la struttura finanziaria dell’impresa …………….…32 8. Imprese familiari e performance post-successione: lo studio di Cucculelli e Micucci 8.1. Le performance prima e dopo la successione…………………………………..…… 34 8.2. La successione delle imprese più performanti……………………………….……… 38 9. Conclusioni………………………………………………………………………….……40 10. Bibliografia……………………………………………………………………………… 43 4 Prima Parte - Le performance delle imprese familiari 1. Introduzione Le imprese familiari, o più comunemente family business, si distinguono dalle altre forme d’impresa per il fatto che il comando viene esercitato da soggetti che sono tra loro legati da vincoli di parentela o affinità. La struttura familiare è diffusa nelle imprese di tutto il mondo e occupa i più svariati settori: dalla costruzione alla produzione, dal turismo ai sevizi fino ad arrivare al no-profit (Centro Studi Assirm, 2013). Le indagini più recenti evidenziano che in un Paese come gli Stati Uniti le imprese familiari contribuiscono per circa il 60% al Prodotto Interno Lordo, anche se è l’Europa il continente dove le imprese familiari sono maggiormente diffuse, con percentuali che oscillano dal 60% della Francia al 70% di Portogallo, Belgio e Regno Unito, al 75% di Spagna e Olanda, fino all'80% di Svezia, Finlandia e Grecia, all'84% della Germania, per chiudere con l'85% dell'Italia, che si posiziona in cima alle classifiche come il Paese con la maggiore presenza di imprese a controllo familiare. In totale, il PIL mondiale annuo generato dalle imprese familiari si attesta tra il 70 e il 90%. Questi numeri fanno ben capire l’importanza che ricoprono le imprese familiari all’interno dell’economia globale, anche se in realtà non è ben chiaro cosa si intenda per family business. In letteratura, infatti, non esiste un’unica definizione di impresa familiare. Rosenblatt et al. (1985) considerano un’impresa familiare quella in cui la maggioranza delle azioni, o delle quote, appartiene ad uno o più dei membri di una stessa famiglia, i quali esercitano direttamente anche le attività di gestione. Leach (2007), invece, definisce il family business come un'impresa in cui almeno il 50% del capitale sociale è di proprietà di soggetti riconducibili alla stessa famiglia. Altri autori ancora definiscono un'impresa familiare quella in cui i membri di una stessa famiglia sono in grado di decidere le sorti dell’azienda stessa: o facendo parte del Consiglio di Amministrazione o detenendo la maggioranza assoluta dei diritti di voto in Assemblea. Nei modelli che verranno proposti in seguito verrà utilizzata l’una o l’altra definizione a seconda degli aspetti che si intende evidenziare. L’obiettivo di fondo del presente lavoro è quello di offrire una panoramica generale delle caratteristiche e dei comportamenti che distinguono le imprese familiari dalle altre forme di business, sia prima che dopo il momento della successione. 5 Il perseguimento di tale obiettivo è stato condotto sviluppando due strutture di lavoro distinte, ma strettamente interconnesse, dove la seconda può essere considerata “la naturale evoluzione” della prima. Infatti, nella prima parte, attraverso la presentazione di alcune ricerche empiriche si cercherà di delineare il fenomeno del family business, mettendo in risalto: La relazione tra proprietà familiare e performance L’efficienza delle imprese familiari Il profilo di rischio degli investimenti effettuati dalle imprese familiari Nella seconda parte, invece, si concentrerà l'attenzione sul fenomeno della successione, considerato il momento più critico per la sopravvivenza e la crescita dell’impresa, trattando i seguenti argomenti: Il modo in cui avviene la scelta del successore Come la successione condiziona la struttura finanziaria dell'impresa Le performance dell’impresa familiare dopo la successione Per ognuno di questi argomenti verrà presentato un paper significativo, che, partendo da un campione di imprese, cercherà di analizzare quelli che sono gli aspetti più interessanti che riguardano il family business fornendo un’interpretazione economica dei fenomeni che si sono verificati. 2. Imprese familiari e performance: il contributo di Mazzola et al. 2.1. Vantaggi e svantaggi rispetto alle altre forme di business Sebbene l'impresa familiare rappresenti la forma di business più diffusa nel mondo, questo non ci consente di dire che sia anche la più redditizia. La presenza della famiglia all’interno dell’impresa, infatti, porta con sé sia dei vantaggi che degli svantaggi che molti studiosi hanno cercato di analizzare separatamente a livello reddituale, finanziario e organizzativo. In linea di principio, le imprese familiari dovrebbero beneficiare di costi di agenzia minori rispetto alle altre imprese per effetto della maggiore intesa e complicità che esiste tra i diversi membri. La teoria di agenzia (Jensen e Mekling, 1976) studia i problemi che emergono dalla divergenza di interessi e dall’asimmetria informativa che esiste tra proprietà e controllo all’interno di un’impresa. Il manager ha normalmente più informazioni dell’azionista sull’andamento della 6 società e sui risultati che questa può ottenere. Tuttavia, il contratto che lega le due parti non può che essere incompleto e, in ogni caso, l’azionista non è in grado di controllare completamente l’operato dei manager se non a costi molto elevati, che in genere non è in grado di sostenere. Secondo la maggior parte degli studiosi di family business, nelle imprese che non hanno una base familiare, queste asimmetrie informative risultano amplificate e vengono in genere utilizzate dai manager a proprio vantaggio per fornire informazioni incomplete o inesatte alla proprietà: sia al momento dell’assunzione (fenomeno conosciuto anche come selezione avversa oppure opportunismo ex-ante) sia per giustificare il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati (fenomeno definito anche con il nome di azzardo morale oppure opportunismo expost), sfruttando a proprio vantaggio le difficoltà e l’onerosità del controllo da parte degli azionisti. Nelle imprese familiari, i costi di agenzia dovrebbero essere minori perché entrano in gioco dei meccanismi correttivi dei conflitti d’interesse all’interno della relazione tra manager ed azionisti. In genere, i membri della famiglia interagiscono tra loro in una prospettiva di medio-lungo termine che porta una serie di vantaggi all’interno dell’azienda sia in fase di controllo e che di pianificazione delle decisioni. Oltre a questo, le imprese familiari si distinguono per il fatto che i diritti di proprietà sono concentrati totalmente, o per la grande maggioranza, nelle mani di un numero limitato di investitori. Questo facilita la creazione di una visione d’impresa unitaria e condivisa tra i diversi membri che rende i processi decisionali più veloci, incoraggia il controllo delle attività manageriali e riduce la probabilità che persone esterne alla famiglia sfruttino le proprie conoscenze per espropriare la ricchezza generata. Esistono inoltre delle componenti motivazionali che inducono la proprietà familiare a perseguire strategie di crescita a lungo termine con l’obiettivo di garantire la sopravvivenza dell’impresa e il passaggio generazionale agli eredi. Dall'altro lato però, c'è chi sostiene che i meccanismi di governo delle imprese familiari, proprio perché dipendono da un numero limitato di investitori, soffrono del rischio di concentrazione d’interessi. Questo porterebbe i soci, o azionisti di controllo, a privilegiare progetti a basso rischio, indirizzati principalmente a beni materiali perché rappresentano una garanzia per gli eredi, e ad evitare, invece, progetti di ricerca e sviluppo più rischiosi che possono mettere a repentaglio le performance dell’impresa. Inoltre, il fatto che sia presente un numero limitato di investitori, combinato con la scarsa disponibilità della famiglia alla partecipazione di altri soci, rende complicato per le imprese familiari la raccolta delle risorse finanziarie necessarie per la crescita dell’impresa comportando un ricorso eccessivo al debito bancario. 7 Non esiste quindi una visione unitaria del fatto che le imprese familiari rappresentano una forma di business migliore rispetto alle altre, perché esistono sia dei vantaggi che degli svantaggi ad essa associati, tuttavia il presente lavoro tenterà di approfondire i benefici di cui godono le imprese familiari e gli ostacoli che molto presumibilmente si troveranno ad affrontare mettendone in evidenza le criticità all’interno dei processi decisionali. 2.2. Proprietà familiare e performance Ci sono stati diversi studi che hanno cercato di far luce sulla relazione che esiste tra proprietà familiare e risultati reddituali. Uno dei più completi è quello di Mazzola et al. (2012): Nonlinear effects of family sources of power on performance. Il punto di partenza di questo studio è costituito da un campione di 15.517 imprese italiane, sia a proprietà familiare che non-familiare, estratte da una popolazione di 4.840.366 imprese registrate nelle Camere di Commercio. Di questo campione si conoscono i dati contabili e tutte le informazioni riguardanti l’età e la dimensione dell’impresa, che vengono raccolte dagli autori attraverso dei questionari diretti alle imprese. Sulla base di questa vasta mole di dati viene costruito un modello di regressione lineare multipla. La variabile dipendente è rappresentata dal ROA (Return On Assets), una delle misure di performance più utilizzata in letteratura. Nello scegliere, invece, le variabili indipendenti si considera innanzitutto il settore di appartenenza dell’impresa, da cui inevitabilmente dipendono le performance. Settori maturi, con scarse possibilità di crescita, o settori con elevata concorrenza, avranno inevitabilmente delle performance minori rispetto a settori in forte crescita con basso grado di concorrenza. Le altre variabili di controllo che vengono inserite riguardano l’età e la dimensione dell’impresa, misurata attraverso il numero di dipendenti. La variabile chiave, che cattura l’effetto della partecipazione familiare sulle misure di performance, viene chiamata FIO (Family Involvement in Ownership) che viene calcolata come rapporto tra il numero di azioni detenute dalla famiglia e totale delle azioni in circolazione. Utilizzando i dati del campione sono stati ottenuti i risultati riassunti in tabella 1. E’ innanzitutto evidente come la partecipazione familiare influenzi in modo positivo il ROA (3 = 0,72). Questo conferma il fatto che le imprese familiari che sono state analizzate presentano effettivamente bassi costi di agenzia, una visione unitaria e condivisa dell’impresa e processi decisionali più veloci che impattano positivamente sul ROA aziendale. 8 Tabella 1: Proprietà familiare e profittabilità. Variables ROA CompanyAge (1) CompanySize (2) -0,07 -0,10 FIO (3) 0,72** Agricolture (4) -0,13** Manufacturing (5) -0,04 Services (6) -0,05 Construction (7) 0,05 Extraction (8) -0,11 Transportation (9) -0,16* Commerce ( 10) -0,18* Altro (11) -0,01 FIOSquared (S) N. generations (12) -0,75** 0,02 * p<0,10 ** p<0,05 *** p<0,01 Fonte: Mazzola et al. (2012), Non-linear effects of family sources of power on performance Tuttavia, se viene utilizzato il quadrato della variabile FIO, cioè FIOSquared, è possibile vedere come questa relazione positiva diventi invece negativa (S = -0,75). Mettendo insieme questi risultati, gli autori evidenziano l’esistenza di una relazione quadratica inversa tra proprietà familiare e performance. In particolare, utilizzando gli stessi dati, è possibile notare che la relazione tra ROA e partecipazione familiare è approssimativamente quella rappresentata nel grafico 1, dove nell’asse delle ascisse è indicata la percentuale di proprietà familiare e nell’asse delle ordinate il ROA. Nella parte sinistra del grafico risulta chiaro che all’aumentare della partecipazione familiare anche le performance aumentano. Tuttavia, superata la soglia del 50% circa, si registra una inversione di tendenza: un aumento della partecipazione familiare comporta una riduzione del ROA associato all’impresa. Questo sta a significare che a bassi livelli di partecipazione familiare (cioè in misura minore del 47,5%) i vantaggi che la famiglia può apportare alle performance dell’impresa non possono essere sfruttati a pieno, o meglio, aumentando la partecipazione familiare i benefici che ne derivano (maggior controllo del management, obiettivi di lungo termine, ecc.) sono maggiori 9 rispetto agli ostacoli che questa comporta (rischio di stagnazione, approvazione di progetti a basso rischio, ecc.). Grafico 1: La relazione quadratica tra proprietà familiare e ROA. 6,65 6,55 6,45 6,35 0 20 40 60 80 100 Fonte: Mazzola et al. (2012), Non-linear effects of family sources of power on performance Dall’altro canto però, quote troppo elevate di partecipazione concentrate nelle mani di un’unica famiglia comportano degli effetti marginali negativi sul ROA. Naturalmente non dobbiamo pensare che le imprese con una partecipazione familiare intorno al 50% siano quelle più redditizie e con maggiori opportunità di crescita. Il rendimento, e quindi il ROA, dell’impresa dipende da moltissime cause: gli investimenti attuati, le capacità dei dipendenti, capacità del management, il settore in cui opera, la qualità del suo portafoglio clienti. Tuttavia questo studio ci sta a dimostrare come, a parità di altri fattori le imprese che hanno all’incirca il 50% di capitale di proprietà familiare sono quelle maggiormente performanti. Quindi le imprese familiari potrebbero migliorare i propri risultati aprendo il capitale a soggetti esterni e modificando la propria governance: questo consentirebbe di mitigare gli effetti negativi che generano livelli elevati di partecipazione familiare. Sebbene la maggior parte delle imprese familiari non sarebbe molto incline a far entrare nella propria impresa soggetti che non appartengono alla famiglia di riferimento, questo potrebbe risultare determinante per superare l’avversione al rischio, la mancanza di competenze e i conflitti tra soci o azionisti. 10 2.3. Gestione familiare e performance Abbiamo visto come Mazzola et al. sostengano che ci sia una relazione quadratica tra partecipazione familiare e performance operative. In realtà, la letteratura che studia il fenomeno del family business non ha finora confermato questa evidenza e nemmeno fornito una lettura conclusiva del fenomeno. Ne sono consapevoli anche gli stessi autori che, per avvalorare la loro ipotesi, hanno approfondito la loro analisi osservando come le performance siano influenzate anche dalla presenza dei membri familiari all’interno degli organi di amministrazione. Anche in questo caso viene fatto uso di un modello di regressione, il quale è molto simile al precedente, solamente che in questo caso anziché usare la variabile FIO, che misura la partecipazione della famiglia al capitale dell’impresa, viene utilizzata la variabile FIM (Family Involvement in Management), che misura la partecipazione dei membri di una famiglia agli organi di amministrazione dell’impresa. Questa variabile viene calcolata come rapporto tra soggetti appartenenti alla famiglia che fanno parte degli organi di gestione e il totale dei membri che compongono gli organi stessi. I risultati della regressione sono riportati in tabella 2. Tabella 2: Partecipazione familiare al management e profittabilità. Variables ROA CompanyAge (1) -0,03 CompanySize (2) -0,11 FIM (3) Agricolture (4) 0,21** -0,11 Manufacturing (5) 0,01 Services (6) 0,06 Construction (7) -0,08 Extraction (8) -0,10 Transportation (9) 0,08 Commerce (10) -0,17* Altro (11) -0,04 FIOSquared (S) -0,27** N. generations (12) -0,25** * p<0,10 ** p<0,05 *** p<0,01 Fonte: Mazzola et al. (2012), Non-linear effects of family sources of power on performance 11 Dai risultati è evidente come la gestione familiare, seppur in termini minori rispetto alla proprietà, influenzi in modo positivo il ROA (3 = 0,21). Questo significa che l’effetto positivo associato ai bassi costi di agenzia che distingue le imprese a controllo familiare supera l’effetto negativo determinato dall’immobilismo verso nuovi progetti di crescita e dalla mancanza di risorse manageriali. Esiste tuttavia una novità rispetto ai risultati precedenti. In questo caso, infatti, è possibile osservare come il numero di generazioni presenti a capo dell’impresa influenzi negativamente la profittabilità dell’impresa (12 = -0,25). Quindi, le performance dell’impresa non sono ostacolate di per sé da un numero elevato di membri della famiglia all’interno dell’organo di gestione, ma dal fatto che questi appartengano a differenti generazioni. Maggiore è il numero di generazioni che convivono ai vertici aziendali e più alta sarà anche la probabilità che si verifichino conflitti tra queste. Infatti è probabile che in questi casi coesistano all’interno del vertice strategico differenti culture, differenti idee e, più in generale, modi diversi di vedere l’ambiente che circonda l’impresa. Possiamo quindi concludere dicendo che gli effetti positivi della partecipazione familiare all’interno delle imprese, in genere, è maggiore rispetto agli effetti negativi che questa comporta. Tuttavia, nel caso in cui la governance dell’impresa generi dei conflitti d’interesse tra le differenti forze che intervengono ai vertici aziendali, la partecipazione familiare comporta una riduzione delle performance operative. Per bilanciare gli effetti positivi con quelli negativi, è necessario trovare la giusta configurazione di corporate governance all’interno dell’impresa al fine di assicurare la convivenza pacifica tra membri appartenenti alla famiglia e membri esterni. 3. L’efficienza delle imprese familiari: la ricerca di Erbetta et al. 3.1. La differenza di efficienza tra family e non-family business Oltre ad analizzare la relazione tra partecipazione familiare e performance, una parte della letteratura relativa al family business si è occupata dell’efficienza che possono raggiungere le imprese familiari nell’impiego dei fattori produttivi, tralasciando l’aspetto della profittabilità. Lo studio di Erbetta et al. (2013) Assessing family firm performance using frontier analysis technique: Evidence from Italian manufacturing industries è sicuramente uno dei più significativi in questo campo. Il fine ultimo di questa ricerca è quello di confrontare l’efficienza delle imprese familiari con quella delle imprese non-familiari e capire come la struttura familiare influenzi il modo di utilizzare i fattori produttivi. 12 A differenza degli studi precedenti, poiché questo si basa su un concetto di efficienza, non è possibile utilizzare una misura contabile (ad esempio il ROA) come proxy delle performance dell’impresa. In questo caso è necessario fare uso di una misura di efficienza nella produzione che, in senso assoluto, può essere intesa come rapporto tra le risorse impiegate dall’impresa per svolgere il suo processo di produzione (input) e i risultati (output) del processo di produzione stesso. Lo studio a cui si fa riferimento, però, non misura l’efficienza in senso assoluto, ma bensì in termini relativi attraverso il Data Envelopment Analysis (DEA). Tabella 3: Confronto family vs non-family business in base al ROA e DEA ROA Efficiency Family Non-Family Family Non-Family Food & Beverage Chemicals 0,079 0,092 0,039 0,095 *** 0,905 0,835 0,895 0,870 Non-metallic products 0,101 0,076 ** 0,943 0,918 Non-eletrical Machinary 0,085 0,070 0,896 0,946 *** Eletrical machinary 0,065 0,045 0,869 0,935 *** Fabrication of vehicles 0,004 0,022 0,908 0,947 ** Constructions 0,042 -0,009 *** 0,917 0,981 *** Wholesale trade 0,098 0,130 ** 0,833 0,919 *** Logistics 0,054 0,061 ** 0,957 0,979 Engeneering 0,067 0,047 * 0,910 0,966 *** *** I livelli di significatività si riferiscono alla differenza delle medie. * p<0,10 ** p<0,05 *** p<0,01 Fonte: Erbetta et al. (2013), Assessing family firm performance using frontier analysis technique. Evidence from Italian manufacturing industries. Questo metodo si propone di quantificare l’efficienza come la distanza tra l’unità osservata e la corrispondente best practice del settore: questo significa che un’impresa viene valutata totalmente efficiente se e solo se le performance delle altre imprese non dimostrino che alcuni dei suoi output possono essere incrementati senza che questo comporti un maggior impiego dei suoi input. Nella tabella 3 vengono confrontate imprese familiari e imprese non-familiari sulla base del ROA e del valore DEA, suddivise per settore di appartenenza. 13 Così come evidenziato nello studio precedente, anche in questo caso è possibile notare che il ROA delle imprese familiari è in tutti i settori più alto rispetto a quello delle imprese nonfamiliari, segno che il controllo familiare può influire positivamente sulle performance reddituali dell’impresa. Questo però non significa che anche dal punto di vista dell’efficienza il comportamento sia lo stesso: infatti è evidente che le imprese non-familiari presentano, in genere, un coefficiente DEA superiore rispetto alle imprese familiari che operano nello stesso settore. In altri termini questo sta a significare che le imprese familiari presentano delle inefficienze nei loro processi di produzione. Il prossimo passo sarà quello di capire da dove derivano queste inefficienze. 3.2. Le cause che generano un sovra-utilizzo dei fattori produttivi nelle imprese familiari Il fatto che siano presenti delle inefficienze all’interno delle imprese familiari significa che viene utilizzata una quantità di fattori produttivi maggiore rispetto a quella di best practice. Per essere più precisi, e capire da dove derivano queste inefficienze, è necessario considerare le inefficienze dei singoli fattori produttivi: materie prime, lavoro e capitale. In questo modo è possibile verificare se il gap in termini di efficienza delle imprese familiari è dovuto a un fattore produttivo specifico oppure se questa inefficienza si riscontra a livello globale. Per raggiungere questo obiettivo è stato calcolato l’indice di sovra-utilizzo dei tre principali fattori produttivi come rapporto tra il valore DEA dell’azienda j e quello medio del settore, entrambi riferiti allo stesso fattore produttivo i: In tabella 4 sono riportati gli indici di sovra-utilizzo per ciascun fattore produttivo suddivisi per struttura proprietaria e settore di riferimento. Come vediamo, esistono delle differenze tra le due categorie di imprese che sottolineano la tendenza da parte delle imprese familiari a sovra-utilizzare i fattori produttivi rispetto alle imprese non-familiari dello stesso settore. Tuttavia è possibile notare una differenza più marcata per i fattori produttivi di capitale e lavoro. 14 Tabella 4: Indici di sovra-utilizzo degli input calcolati per i diversi fattori produttivi. Industry Inputs Family Non-Family Food & Beverage Materials Labour 1,110 1,172 1,123 1,247 ** Capital 1,149 1,271 *** Materials 1,209 1,172 *** Labour 1,218 1,190 *** Capital 1,209 1,214 *** Materials 1,066 1,095 Labour 1,176 1,229 Capital 1,097 1,181 * Materials 1,124 1,061 *** Labour 1,144 1,068 *** Capital 1,286 1,092 *** Materials 1,164 1,078 *** Labour 1,183 1,085 *** Capital 1,518 1,136 *** Materials 1,108 1,061 *** Labour 1,111 1,065 ** Capital 1,189 1,075 ** Materials 1,106 1,021 *** Labour 1,188 1,021 *** Capital 1,106 1,021 *** Materials 1,230 1,100 *** Labour 1,307 1,228 * Capital 2,614 1,546 *** Materials 1,052 1,022 Labour 1,053 1,023 Capital 1,059 1,022 Materials 1,105 1,037 *** Labour 1,106 1,037 *** Capital 1,614 1,055 *** Chemicals Non-metallic products Non-eletrical Machinary Eletrical machinary Fabrication of vehicles Constructions Wholesale trade Logistics Engeneering I livelli di significatività si riferiscono alla differenza delle medie. * p<0,10 ** p<0,05 *** p<0,01 Fonte: Erbetta et al. (2013), Assessing family firm performance using frontier analysis technique. Evidence from Italian manufacturing industries. 15 In ogni caso, è evidente che le imprese familiari utilizzano in modo distorto i fattori produttivi. Questo però non è dovuto ad una inefficienza di carattere organizzativo delle imprese familiari ma al fatto che pagano i fattori produttivi ad un prezzo inferiore rispetto alle imprese non-familiari: in particolare, nel campione osservato, il costo del lavoro risulta essere di circa il 20% inferiore. Secondo Sraer and Thesmar (2007) questo può essere spiegato considerando il fatto che le imprese familiari sono portate ad assumere lavoratori non specializzati per lo svolgimento di mansioni che invece richiederebbero maggiori competenze e professionalità. Questa strategia ha come obiettivo quello di estrarre benefici privati dall’impresa perché il risparmio sul monte stipendi può essere utilizzato per aumentare la remunerazione di azionisti e manager che appartengono alla famiglia. Tuttavia, l’utilizzo di manodopera non specializzata all’interno delle imprese, anche se da un lato riduce il costo del lavoro, dall’altro riduce la produttività e aumenta le inefficienze all’interno dei processi produttivi. Con riguardo al capitale, invece, una possibile spiegazione del sovra-utilizzo di questa risorsa può essere data considerando il fatto che le imprese familiari hanno, generalmente, degli orizzonti d’investimento più a lungo termine rispetto alle competitors non-familiari. La proprietà familiare è infatti disposta ad aspettare più tempo, rispetto alle imprese non-familiari, per il ritorno dei propri investimenti purché questi vadano a vantaggio delle generazioni future. Sebbene una prospettiva di lungo termine degli investimenti è fondamentale per la continuazione e la crescita del business, questo può portare alla percezione di un minore costo del finanziamento e ad un eccessivo ricorso all’indebitamento. 4. Imprese familiari ed investimenti: lo studio di Pinando et al. 4.1. Imprese familiari e prospettiva di lungo periodo La recente crisi economica ha dimostrato che i mercati finanziari sono distanti dall’essere perfetti e questo in qualche misura può rendere difficile per le imprese implementare progetti a valore aggiunto. Considerando l’importanza delle decisioni di allocazione delle risorse finanziarie, la letteratura in questi anni ha posto sempre maggiore attenzione alle decisioni di investimento delle imprese e, in particolare, all’incertezza legata al cash flow che deriva dalle attività di gestione operativa. Pinando et al. (2011), nel loro studio Family control and investment-cash flow sensivity: Empirical evidence from Euro Zone, sostengono che la struttura proprietaria di una impresa gio- 16 chi un ruolo chiave nello spiegare le decisioni d’investimento, mitigando o accentuando l’incertezza dei risultati. L’obiettivo di questo studio, infatti, è quello capire se esiste una relazione tra controllo familiare e investimenti posti in essere dall’impresa. Abbiamo già detto in precedenza quali sono i vantaggi di un’impresa familiare rispetto ad una non-familiare: ora vogliamo capire se questi vantaggi possono aiutare le imprese familiari a mitigare le imperfezioni dei mercati finanziari, riducendo il rischio dei propri investimenti. Innanzitutto la presenza di una visione di lungo termine da parte della famiglia controllante dovrebbe incentivare il controllo degli azionisti alla massimizzazione del valore generato dall’impresa riducendo il rischio di un livello d’investimento non ottimale. A questo proposito, alcune ricerche recenti hanno dimostrato che orizzonti di investimento più lunghi comportano un allineamento degli interessi tra manager e azionisti con un minor incentivo a intraprendere progetti che offrono payback più veloci ma che riducono le opportunità di crescita dell’impresa nel medio-lungo termine. Inoltre la proprietà familiare, come suggerito da Anderson et al. (2003), dovrebbe anche alleviare i costi di agenzia tra obbligazionisti e azionisti, permettendo all’impresa di finanziarsi ad un costo più basso e superare le difficoltà di accesso al debito. Pinando et al. hanno verificato la veridicità di queste affermazioni su un campione di imprese per capire se effettivamente le imprese familiari sono portate ad intraprendere investimenti diversi (per profili di rischio, per fonti di finanziamento e per orizzonte temporale) rispetto alle imprese non-familiari. Tabella 5: numero di imprese che compongono il campione per Paese di provenienza. Country n % Austria Belgium 36 31 5,26 4,53 Germany 238 34,80 Spain 41 5,99 Finland 46 6,73 France 188 27,49 Ireland 26 3,80 Italy 53 7,75 Portugal 25 3,65 Total 684 100,00 Fonte: Pinando et al. (2011), Family control and investment-cash flow sensivity: Empirical evidence from Euro Zone. 17 Il campione è costituito da imprese quotate con sede sociale in nove Paesi europei: Austria, Belgio, Germania, Spagna, Finlandia, Francia, Irlanda, Italia e Portogallo. Il fatto che, a differenza degli studi precedenti, sia stato utilizzato un campione di imprese quotate è dovuto alla grande quantità di dati necessari per svolgere questo studio, soprattutto di matrice finanziaria, che normalmente non vengono resi di pubblico dominio da imprese a capitale privato. Questa ricerca considera un’impresa familiare quella in cui più del 10% del capitale sociale è di proprietà di soggetti riconducibili ad una stessa famiglia. Utilizzando questa soglia sono state individuate 510 imprese familiari su 684 (circa il 75%). La tabella 5 evidenzia il numero di imprese che compongono il campione, suddivise per Paese di provenienza. 4.2. Gli investimenti a basso rischio delle imprese familiari Il modello ideato da Pinando et al. si basa su tre differenti informazioni che permettono di analizzare l’impatto della proprietà familiare sul rischio degli investimenti. Per prima cosa, è necessario conoscere la struttura proprietaria dell’impresa per verificare se la proprietà familiare influenza l’incertezza del cash flow. In seconda battuta bisogna capire la struttura finanziaria delle società presenti nel campione per inserire le variabili di controllo. L’ultima informazione necessaria riguarda la disponibilità dei dati necessari per calcolare la q di Tobin, che si ottiene come rapporto tra valore di mercato dell’impresa e il costo di rimpiazzo del suo stock di capitale, cioè il costo che l’impresa dovrebbe sostenere per riacquistare tutte le proprie strutture e i propri impianti ai prezzi di mercato correnti. La q di Tobin viene utilizzata per capire se un'impresa debba effettuare degli investimenti (se q è maggiore di uno) o debba invece disinvestire (se q è minore di uno): questo dato viene utilizzato dagli autori come proxy delle opportunità di investimento e delle prospettive di crescita dell’impresa. Le informazioni relative all’assetto finanziario delle aziende derivano dal database Worldscope, mentre i dati relativi alla struttura proprietaria dell’impresa sono state ottenute dal database sviluppato da Faccio e Lang (2002). Nel modello sono state aggiunte anche alcune variabili macroeconomiche (ad esempio, la crescita dei prezzi dei beni durevoli e il tasso di interesse a breve e a lungo termine) estratte dal database OECD (Organization for Economic Cooperation and Development). I risultati stimati dalla regressione sono stati riportati in tabella 6. 18 Tabella 6: Imprese familiari e propensione agli investimenti Variables IAIit–1 (β1) CFit (β2) FDit × CFit (γ2) Estimates 0,137*** 0,144*** -0,108*** FDit (β3) 0,000 Qit–1 (β4) 0,005*** * p<0,10 **p<0,05 ***p<0,01 Fonte: Pinando et al. (2011), Family control and investment-cash flow sensivity: Empirical evidence from Euro Zone. La variabile dipendente del modello è rappresentata dall’ammontare degli investimenti realizzati dall’impresa, aggiustati per il settore di appartenenza (IAIit). La scelta di inserire questo aggiustamento è giustificata dal fatto che imprese che operano in settori maturi hanno necessità di investimenti minori, per garantire la propria sopravvivenza, rispetto ad altre imprese che operano in settori caratterizzati da forte crescita ed innovazione. IAIit-1 è invece una variabile di ritardo necessaria misurare le dinamiche d’investimento e catturare gli effetti nel tempo di tali decisioni. Poiché l’obiettivo è quello di analizzare l’effetto del cash flow generato dagli investimenti delle imprese familiari rispetto a quello delle imprese non-familiari, viene inserita all’interno del modello anche una variabile dummy (FDit) che è uguale a 1 se l’impresa è familiare e zero in caso contrario. La prima cosa da notare è l’effetto positivo del cash flow (CFit) sull’ammontare degli investimenti. Tuttavia questo effetto risulta più debole per le imprese familiari (β2 + γ2 = 0,144 – 0,108 = 0,036) rispetto alle non-familiari (β2 = 0,144). Questo risultato conferma la generale prudenza negli investimenti da parte delle imprese familiari: a parità di altre condizioni, quando si passa da un’impresa non-familiare ad una familiare ci si aspetta che l’ammontare complessivo degli investimenti continui a crescere all’aumentare dei cash flow generati dall’attività operativa, ma in misura inferiore rispetto a quello che avverrebbe in un’impresa non-familiare. La variabile relativa alla q di Tobin (Qit–1) è significativamente diversa da zero ma comunque piuttosto bassa (β4=0,005). Questo significa che, anche se sono presenti delle opportunità di investimento per le imprese europee, queste opportunità non vengono sfruttate. Uno dei moti- 19 vi principali di questo risultato risiede nel fatto che questo studio è stato condotto durante gli anni di crisi più profonda (2008, 2009 e 2010) che hanno minato la fiducia degli imprenditori europei ad intraprendere nuovi progetti di crescita. 4.3. Meccanismi che rafforzano il controllo all’interno delle imprese familiari Nonostante i risultati fin qui discussi, esistono differenti tipi di controllo familiare i quali possono impattare in diverso modo nella relazione con investimenti e cash flow. L’utilizzo di particolari strutture di governo che rafforzano il controllo della famiglia all’interno della società è molto probabile che conducano ad un elevato rischio di espropriazione degli azionisti di minoranza ed investimenti non efficienti. Questo tipo di meccanismi è assai diffuso nella pratica e può essere attuato in vari modi: ad esempio attraverso l’istituzione di un sistema dual-class shares, oppure attraverso strutture piramidali o ancora con l’utilizzo del cross-holding. La caratteristica principale di questi meccanismi consiste nel fatto che violano il principio di proporzionalità tra il numero di azioni detenute da un socio e il potere effettivamente esercitabile in sede assembleare (principio che viene anche indicato con il termine one share-one vote, un’azione equivale ad un voto). Per verificare se effettivamente meccanismi che accrescono il controllo della famiglia controllante causano delle inefficienze a livello di investimenti, il modello precedente viene modificato inserendo due nuove variabili dummy. La variabile Non-Expropr.FDit è uguale a uno se l’impresa familiare ha una bassa contendibilità e quindi non sono presenti meccanismi di violazione alla regola one share-one vote; zero in caso contrario. La variabile Expropr.FDit, invece, sarà uguale a uno per imprese che fanno uso di almeno uno dei meccanismi di rafforzamento del controllo e zero altrimenti. In altre parole il coefficiente di Non-Expropr.FDit, cioè (β2 + λ2), cattura l’effetto del cash flow sugli investimenti delle imprese familiari che non utilizzano nessun meccanismo di rafforzamento del controllo, mentre il coefficiente di Expropr.FDit, cioè (β2 + δ2), quello delle imprese familiari che violano la regola one share-one vote. β2, invece, sarà il coefficiente che misura l’influenza del cash flow sugli investimenti delle imprese non-familiari (dove entrambe le variabili Non-Expropr.FDit e Expropr.FDit sono uguali a zero). Se le ipotesi iniziali sono corrette, dovrebbe risultare che (β2 + δ2) è maggiore di (β2 + λ2). Le stime a cui sono giunti Pinando et al. sono riportate in tabella 7. 20 Tabella 7: Imprese familiari e meccanismi di rafforzamento del controllo. Variables IAIit–1 (β1) CFit (β2) Estimates 0,140*** 0,159*** NON-EXPR.FDit × CFit (λ2) -0,128*** EXPR.FDit × CFit (δ2) -0,044 FDit (β3) 0,002 Qit–1 (β4) 0,006*** * p<0,10 **p<0,05 ***p<0,01 Fonte: Pinando et al. (2011), Family control and investment-cash flow sensivity: Empirical evidence from Euro Zone. Come possiamo notare, l’impatto del cash flow sulla variabile risposta è minore per le imprese familiari che non fanno ricorso a meccanismi di rafforzamento del controllo (β2 + λ2 = 0,159 - 0,128 = 0,031), rispetto a imprese familiari che, invece, fanno uso di questi meccanismi (β2 + δ2 = β2 = 0,159, δ2 non significativo statisticamente): in quest’ultimo caso l’effetto è comparabile a quello delle imprese non-familiari. Possiamo quindi dire che sebbene le imprese familiari sono portate a intraprendere progetti a rischio più basso rispetto ad imprese non-familiari, questo effetto risulta più attenuato quando la famiglia può utilizzare a proprio vantaggio meccanismi di rafforzamento del controllo. In questi casi, infatti, la famiglia controllante ha la possibilità di trasferire il rischio sulle minoranze: a parità di altre condizioni, questo dà origine a investimenti maggiori rispetto a quelli che dovrebbero essere intrapresi in condizioni normali. Nel loro insieme questi risultati forniscono un’evidenza empirica degli svantaggi che derivano da una struttura familiare dell’impresa, alimentando il dibattito sui pro e contro rispetto alle altre categorie di assetto proprietario. 21 Seconda Parte - La successione delle imprese familiari 5. Le difficoltà legate alla successione nelle imprese familiari Il passaggio generazionale è una delle fasi più delicate del ciclo di vita delle aziende familiari perché rappresenta il momento in cui l’imprenditore, spesso anche fondatore dell’impresa, passa il testimone e nuove forze subentrano nella gestione aziendale. In Italia il 25% delle aziende familiari è guidata da ultrasettantenni, mentre un altro 25% da leader tra i sessanta e i settant’anni (Elaborazione Gea su dati e Osservatorio Aub, 2013). Il trend complessivo, che si sta registrando in questi anni, evidenzia un innalzamento dell’età degli imprenditori (gli ultrasessantenni sono passati dal 34% al 54% in meno di vent’anni) e allo stesso tempo un calo del tasso di successione, concentrato soprattutto negli anni successivi al 2008. Ne consegue che nel giro dei prossimi cinque, massimo dieci anni, diverse migliaia di società dovranno affrontare il tema della successione e della continuità aziendale. Le statistiche raccolte in questi anni ci dicono che solo il 30% delle aziende supera la seconda generazione mentre appena il 15% supera la terza. Esiste quindi un problema nella composizione dell’organo di governo che si accentua con il frazionamento delle quote al momento del passaggio generazionale ed anche l’individuazione di una figura imprenditoriale di riferimento diventa sempre più difficile con l’allargamento del novero dei soggetti che vantano diritti ereditari sull’azienda. A queste difficoltà si aggiungono anche alcune tendenze in atto a livello demografico, ma soprattutto sociale, che portano a domandarsi se il circolo virtuoso tra famiglia e imprenditorialità che ha contraddistinto i decenni precedenti non si sia già interrotto. Le famiglie sono oggi più fragili che in passato, vi è una maggiore incidenza di figli unici e la stabilità è drasticamente diminuita (una coppia su quattro si separa). D’altro canto la famiglia tradizionale lascia il posto a nuove forme di convivenza, con un minor numero di matrimoni, celebrati in età sempre più avanzata. Questo significa che le reti parentali e protettive che si sono formate intorno alla famiglia si stanno via via indebolendo, e questo, unito al progresso economico, sembra allontanare le nuove generazioni da quell’etica sacrificale del lavoro che è stata alla base dello sviluppo delle imprese familiari negli anni precedenti. Per questo le imprese familiari che si avvicinano alla successione in questi anni dovrebbero quantomeno considerare le varie alternative al passaggio generazionale interno alla famiglia, ad esempio: 22 La famiglia potrebbe decidere di mantenere la proprietà, ma rinunciare allo svolgimento della direzione dell’impresa. La famiglia potrebbe decidere di cedere la proprietà all’esterno ma uno (o più) dei suoi membri assume (o assumono) un ruolo direzionale. L’imprenditore potrebbe cedere il capitale di proprietà e ritirarsi dallo svolgimento delle attività imprenditoriali e manageriali. Alla base di queste decisioni di diluizione della base familiare nell’impresa, i passaggi essenziali sono rappresentati dalla rigorosa selezione e preparazione degli eredi destinati a subentrare all’imprenditore e dall’entrata di manager capaci di affiancare o sostituire l’imprenditore nelle funzioni di governo. In diversi casi, tuttavia, la praticabilità delle soluzioni presentate è ostacolata anche dalla limitata disponibilità finanziaria dei soggetti interessati a subentrare ai precedenti. Di seguito verranno presentati alcuni paper che analizzano le principali problematiche che si verificano dopo la successione, cercando di capire le cause che le hanno originate, in modo tale poter fornire agli imprenditori delle linee guida utili ad affrontare in modo più efficace il passaggio generazionale. 6. La scelta del successore nelle imprese familiari: il contributo di Ansari et al. 6.1. Le variabili che entrano in gioco nella scelta del nuovo CEO Come abbiamo appena visto, i numeri evidenziano in modo inequivocabile come la successione rappresenti un punto critico per la sopravvivenza delle imprese familiari. Bertrand e Schoar (2006) sostengono che gli eredi hanno un ingiusto vantaggio al momento della successione manageriale rispetto a manager esterni alla famiglia, anche se non hanno le professionalità e le competenze manageriali necessarie per continuare l’attività. Questo avviene tipicamente per l’interesse della famiglia controllante a estrarre benefici privati dal controllo dell’impresa, a scapito degli azionisti di minoranza. Il pensiero secondo cui, nelle imprese familiari, esistano forti vincoli che influiscono sulla scelta del nuovo CEO al momento della successione non è assolutamente nuovo. Già Weber (1904) era convinto che vincoli di carattere familiare troppo forti impedissero lo sviluppo economico delle imprese perché comportavano forme di governance troppo individualistiche. Anche Fukuyama (1995) nei suoi studi scriveva che nei Paesi in cui la governance delle imprese era dominata da legami di sangue era molto probabile che soffrissero di una cre- 23 scita economica più bassa in virtù della dimensione troppo piccola dell’impresa e, di conseguenza, del settore in cui questa operava. In letteratura vari autori si sono occupati delle variabili che influenzano la scelta del successore nelle imprese familiari. Uno dei più recenti studi, The determinants of the CEO successor choice in family firms di Ansari et al. (2013) ha tentato di identificare quali sono i fattori che determinano l’esito della successione nelle imprese familiari, tenendo in considerazione le condizioni al verificarsi delle quali gli interessi degli azionisti di maggioranza possono scavalcare quelli degli azionisti di minoranza. La ricerca limita la propria analisi sulla scelta del CEO nelle imprese quotate in Francia, Germania e Regno Unito. Sono stati scelti questi tre Paesi perché rappresentativi dei due principali sistemi legali presenti in Europa: in Francia e Germania è presente un sistema di civil law mentre il Regno Unito si distingue per un sistema di common law. Tuttavia, anche tra aziende tedesche e aziende francesi esistono delle differenze. In particolare, il sistema di corporate governance francese si caratterizza tradizionalmente per l’esistenza di un sistema di cross-shareholding, cioè situazioni in cui aziende quotate sono proprietarie di uno stock di azioni di altre aziende quotate. Inoltre in passato, diverse grandi aziende francesi erano controllate da banche o assicurazioni di proprietà dello Stato, fondate per ridurre l’influenza straniera nelle aziende nazionali. Sebbene siano passati diversi anni, ancora oggi la Francia è l’unico Paese in Europa dove la maggior parte del capitale circolante in Borsa è di proprietà delle banche (in media il 15,5%). Anche la Germania è considerata un Paese con forte partecipazione delle banche al capitale delle imprese ma questa influenza viene esercitata principalmente attraverso sistemi di proxy voting, cioè votando con le azioni dei propri clienti. A questo si aggiungono anche tutte le diversità di carattere storico, culturale o insite nel sistema economico dei Paesi europei che potrebbero influenzare l’esito della successione nelle imprese. Sulla base di queste considerazioni, Ansari et al. hanno individuato cinque cause che potrebbero influenzare la scelta del CEO al momento della successione, che sono: Il potere della famiglia Il numero di generazioni che si sono succedute al comando dell’impresa L’indipendenza dei Consiglieri Il sistema legale di protezione degli azionisti di minoranza Le performance passate dell’impresa 24 6.1.1. Il potere della famiglia Come abbiamo accennato precedentemente è molto probabile che, durante la successione, nelle imprese familiari si cerchi di creare valore solamente per la famiglia di maggioranza a scapito degli altri azionisti. Questo in genere si verifica quando c’è una deviazione tra diritti ai dividendi e diritti di voto che possono scoraggiare gli investimenti da parte degli altri azionisti non appartenenti alla famiglia, in particolare quelli istituzionali. Tutto ciò porta a pensare che la forza esercitata dalla famiglia sul controllo dell’impresa influenzi la successione del CEO: maggiore è il controllo della famiglia sull’impresa e maggiore è la probabilità che il nuovo CEO sia una membro della famiglia stessa. Gli autori misurano il potere della famiglia attraverso tre differenti variabili: il controllo familiare, la proprietà familiare e l’interesse privato della famiglia. Il controllo familiare viene misurato attraverso il numero di voti che i membri della famiglia esercitano direttamente sul numero totale delle azioni. La proprietà familiare, invece, viene misurata attraverso il numero delle azioni detenute dalla famiglia sul totale delle azioni emesse. L’interesse privato della famiglia viene misurato come differenza tra diritti di voto e diritti ai dividendi: questa misura rappresenta anche l’incentivo della famiglia a estrarre benefici privati dall’impresa. 6.1.2. Il numero di generazioni che si sono succedute a capo dell’impresa McConaughy e Philips (1999) sostengono che la prima generazione di manager all’interno delle imprese familiari sono imprenditori che hanno le abilità tecniche e imprenditoriali necessarie per la creazione dell’impresa. I loro successori, invece, dovranno affrontare diverse sfide in termini di mantenimento e crescita dell’azienda che il più delle volte richiedono incarichi che dovrebbero essere svolti da manager più preparati. Secondo la tesi socio-emozionale presente in letteratura, la generazione fondatrice è portata a legare gli interessi economici dell’impresa a componenti di carattere familiare verso gli eredi, influenzando il più delle volte l’esito della successione verso quest’ultimi. Ecco quindi che ci si aspetta che se il CEO in carica è il fondatore o un soggetto appartenente alla generazione fondatrice, è più probabile che il suo successore sia anch’esso un membro della famiglia controllante. Per verificare questa assunzione gli autori inseriscono nel modello una variabile dummy, che è uguale a uno se il CEO uscente è il fondatore o appartiene alla generazione fondatrice, mentre assumerà valore zero in caso contrario. 25 6.1.3. L’indipendenza dei Consiglieri Un altro fattore che potrebbe influenzare l’esito della successione all’interno delle imprese familiari è l’esistenza di Consiglieri legati o meno alla famiglia controllante. Se i Consiglieri sono indipendenti sia dal top management che dalla famiglia proprietaria possono giocare un ruolo importante all’interno del processo di successione che avviene all’interno delle imprese. Infatti, poiché Consiglieri indipendenti sono maggiormente distaccati dalle dinamiche familiari all’interno dell’impresa, ci si aspetta che più alta è la percentuale di Consiglieri indipendenti, più alta sia anche la probabilità che il nuovo CEO non sia legato alla famiglia controllante. Gli autori per valutare l’indipendenza dei Consiglieri utilizzano sei criteri: I rapporti di parentela o affinità dei Consiglieri con la famiglia controllante Un mandato di almeno nove anni che lega il Consigliere alla società Il fatto che il Consigliere svolga la propria attività anche per altre aziende controllate sempre dalla stessa famiglia Il fatto che il Consigliere sieda ad altri CdA, oltre a quello dell’impresa, a cui partecipano anche i membri della famiglia La nomina del Consigliere da parte dell’assemblea a cui fa parte la famiglia controllante Se il Consigliere è stato il primo dipendente assunto dall’impresa Secondo Ansari et al., solo se il Consigliere non rispetta nemmeno uno di questi requisiti allora potrà essere considerato indipendente. 6.1.4. Il sistema legale di protezione degli azionisti di minoranza E’ stato discusso precedentemente del pericolo di espropriazione degli azionisti di minoranza all’interno delle imprese familiari. L’entità di questo pericolo dipende tuttavia dalle tutele che sono concesse agli azionisti nel Paese in cui l’azienda ha sede legale. Sistemi di common law, come quello inglese, tendono ad assicurare una protezione agli investitori più forte rispetto ai sistemi di civil law. La Porta et al. (1998) hanno dimostrato che il diverso grado di protezione offerto dai sistemi giuridici agli investitori e il diverso enforcement con cui vengono applicate queste regole sono utili a spiegare le diverse forme di governo presenti nelle imprese ed anche lo sviluppo e le eventuali distorsioni dei mercati finanziari. Molti sono i modi in cui può avvenire una distrazione di risorse: dalla semplice sottrazione di fondi a trasferimenti di attività a prezzi inferiori a quelli di mercato a favore di società che fanno parte del gruppo, fino all' assunzione di familiari o a benefici non monetari legati al controllo dell'impresa. La Porta et al. sostengono che il principale freno a questi comporta- 26 menti opportunistici risiede nelle norme di protezione legale degli investitori e nella loro applicazione. In Inghilterra le norme che regolano le procedure assembleari nelle società per azioni, le norme relative alla bancarotta e alla ristrutturazione delle imprese, quelle relative alla riscossione di un collaterale a garanzia di un debito sono molto strutturate e precise perché studiate per tutelare gli azionisti di minoranza. Per questo in Paesi di common law esiste una protezione più completa sia degli azionisti che dei creditori che favorisce l’adozione del modello di public company con azionariato disperso e gestione manageriale. Francia e Germania (così come in Italia) sono, invece, Paesi caratterizzati da una debole protezione degli investitori, che portano a strutture proprietarie più concentrate, con un peso rilevante del controllo familiare o dello Stato. In particolare, è ragionevole aspettarsi che aziende quotate in Paesi di common law, quindi con migliore protezione per gli azionisti di minoranza, abbiano un costo più basso del capitale e un minore premio di voto (definito come differenza tra prezzo di mercato delle azioni con diritto di voto e quelle senza questo diritto). Questo significa che in Regno Unito dovrebbe essere maggiore probabilità, rispetto agli altri Paesi, che il nuovo CEO non sia legato alla famiglia controllante. Ecco perché la protezione degli azionisti di minoranza verrà misurata attraverso una variabile dummy, che sarà uguale a uno se l’impresa è quotata nel Regno Unito e zero altrimenti. 6.1.5. Le performance passate dell’impresa Hillier e McColgan (2009), hanno studiato le cause del turnover dei CEO nelle imprese quotate alla Borsa di Londra e hanno scoperto che quelli appartenenti alla famiglia hanno meno probabilità, rispetto alle imprese non-family, di lasciare l’impresa in caso di scarse performance. Anche Chen et al. (2013), che analizzarono le performance di alcune imprese quotate nello S&P 1500, hanno visto che, in caso di scarsi risultati, i CEO appartenenti alla famiglia in imprese familiari e CEO di imprese non-familiari hanno meno probabilità di lasciare il loro incarico, rispetto a CEO non-familiari all’interno di imprese familiari. Sulla base di questa letteratura Ansari et al. sono convinti che migliore è la performance dell’impresa prima della successione e maggiore è la probabilità che il nuovo CEO sia un membro della famiglia controllante. L’indice che viene utilizzato per misurare le performance passate dell’impresa è il ROE, cioè il rapporto tra utile netto e capitalizzazione di mercato dell’impresa, entrambi riferiti all’anno precedente rispetto a quello in cui avviene la successione. 27 6.2. L’indipendenza dei Consiglieri e il sistema legale di protezione degli azionisti influenzano l’esito della successione Il campione utilizzato da Ansari et al. prende in considerazione le successioni avvenute nel periodo tra il 2001 e il 2010 nelle imprese familiari quotate in Francia, Germania e Regno Unito. In questa ricerca, la definizione di impresa familiare è basata su due criteri: Viene considerata un’impresa familiare quella in cui una famiglia detiene almeno il 25% dei diritti di voto e dove il CEO è membro di questa famiglia. Oltre a questo, è necessario che almeno una delle seguenti tre condizioni sia verificata: a) Il CEO è il fondatore o un discendente del fondatore b) Il CEO ha lo stesso cognome dell’azienda c) Il CEO condivide il cognome con un altro membro che siede nel Consiglio di Amministrazione o altro organo equivalente. Tabella 8: Le cause della successione familiare. Variables Estimates Family Power t–1 (β1) -0,022 Family Generations t-1 (β2) -0,006 Indipendence from the family t-1 (β3) -0,070** Shareholder protection t-1 (β4) -0,220*** ROE t-1 (β5) 0,010 ln size t-1 (β6) 0,006 Age t (β7) 0,088 * p<0,10 **p<0,05 ***p<0,01 Fonte: Ansari et al. (2013), The determinants of the CEO successor choice in family firms. L’utilizzo di questi parametri ha permesso di selezionare un campione di 227, 151 e 110 imprese familiari rispettivamente in Francia, Germania e Regno Unito. La variabile dipendente del modello di regressione è una variabile dummy, uguale a uno se il nuovo CEO è membro della famiglia controllante e zero se il nuovo CEO non appartiene a questa famiglia. I risultati a cui sono giunti gli autori sono in esposti in tabella 8. 28 Di tutte le successioni che formano il campione, 212 di queste (il 75%) sono successioni family-to-family, mentre le rimanenti (71, il 25%) sono successioni family-to-nonfamily. Dai risultati riportati nella tabella è evidente come il coefficiente della variabile Family Power, calcolata l’anno prima della successione, suggerisce che tutti i meccanismi che rafforzano il controllo della famiglia a scapito degli azionisti di minoranza non influenzano in maniera determinante l’esito della successione (β1 = -0,022). Anche il numero di generazioni che si susseguono a capo dell’impresa non influenzano in modo significativo (β2 = -0,006) la probabilità che il nuovo CEO sia un membro della famiglia. Ciò significa che le ipotesi presenti in letteratura, secondo cui all’aumentare del numero di generazioni della famiglia si tende ad utilizzare forme di management professionali a scapito delle nomine familiari, non trovano fondamento nel campione analizzato. La cosa più interessante, però, è notare come la percentuale dei Consiglieri indipendenti dalla famiglia crei un effetto sulla successione familiare con segno negativo. Questo consente di dire che, se la percentuale di consiglieri indipendenti all’interno delle imprese familiari aumenta di una unità, la probabilità che venga nominato un CEO appartenente alla famiglia diminuisce di circa il 7%, a parità di altre condizioni. Questo conferma l’ipotesi precedente: minore è la dipendenza dei Consiglieri dalla famiglia controllante e minore sarà anche la probabilità che si verifichi una successione familiare. I risultati ottenuti dagli autori sottolineano anche che un’impresa quotata nella Borsa di Londra ha il 22% in meno di probabilità di nominare un CEO familiare rispetto alle imprese quotate in Germania o in Francia. Questo conferma l’ipotesi precedente secondo cui imprese quotate in Paesi con sistemi di common law, proprio perché più attenti ai diritti degli azionisti di minoranza, hanno minore probabilità di nominare un CEO appartenente alla famiglia. L’evidenza empirica non dà invece alcun supporto per quel che riguarda le performance passate delle imprese. Si è perciò portati a pensare che le performance dell’anno precedente alla successione non influenzino l’esito della successione stessa. Gli autori concludono quindi, sulla base dei risultati ottenuti, che solo l’indipendenza dei consiglieri rispetto alla famiglia controllante e il sistema legale di protezione degli azionisti influenzano l’esito della successione familiare. 7. Imprese familiari e struttura finanziaria dopo la successione: i risultati di Amore et al. 7.1. Le variabili che influenzano la struttura finanziaria durante la successione 29 L’Amministratore Delegato (o CEO) di un’azienda è considerato la figura chiave delle strategie di un’impresa e di conseguenza anche delle sue performance. Ecco perché la scelta del nuovo CEO rappresenta una delle decisioni più critiche per la sopravvivenza e la crescita di un’impresa familiare. Da un lato, la tipica sovrapposizione tra ruolo esecutivo e proprietà familiare fa sì che le successioni rappresentino un momento traumatico per gli investimenti di medio-lungo periodo e per gli aspetti reputazionali dell’impresa. Dall’altro lato, la nomina di un erede alla guida dell’impresa è una decisione che potrebbe consentire di ridurre i conflitti di agenzia tra manager e azionisti, portando a performance superiori rispetto alle imprese non-familiari. Lo studio di Amore et al. (2011) How do managerial successions shape corporate financial policies in family firms? rappresenta uno dei contributi più importanti in letteratura sullo studio della struttura finanziaria delle imprese familiari dopo la successione. Gli autori hanno cercato dapprima di capire quali sono le differenze in merito alle politiche di finanziamento adottate da imprese familiari e non-familiari e poi hanno analizzato come le opportunità d’investimento cambiano al momento della successione. Lo studio condotto da Amore et al. è circoscritto alle imprese italiane che storicamente adottano una politica di finanziamento concentrata su un alto livello di indebitamento. The Economist (2000) scrive a questo proposito che gli imprenditori italiani sono tipicamente riluttanti nel circondarsi di altri investitori all’interno del proprio business. Per questo le risorse finanziarie delle imprese italiane derivano essenzialmente dal cash flow generato internamente dall’azienda e dai prestiti bancari. Alla base di questo studio viene utilizzato il database AIDA (Analisi Informatizzata delle Aziende Italiane). Da questa risorsa vengono selezionate tutte le imprese a controllo familiare con fatturato superiore a 50 milioni. Questa soglia, che permette di selezionare le tipiche imprese familiari di medio-grande dimensione, è stata scelta dagli autori al fine di assicurare la disponibilità di tutte le informazioni, soprattutto di origine finanziaria, che servono nello studio. Importante è anche la definizione di impresa familiare che viene utilizzata dagli autori. Secondo Amore et al. sono considerate imprese familiari quelle imprese private in cui una famiglia detiene il controllo dell’azienda attraverso la maggioranza assoluta delle azioni (cioè il 50% più una delle azioni in circolazione). Sebbene questa soglia possa essere considerata piuttosto restrittiva, qualora l’impresa sia quotata in Borsa questa viene ridotta fino al 25%. Sulla base di questa definizione, sono state selezionate dal database 2.848 imprese che costituiscono la base dello studio. Per ognuna di queste imprese è stato costruito dagli autori un 30 dataset che contiene accuratamente tutte le informazioni che riguardano la proprietà, il management, le informazioni di governance e i dati finanziari tre anni prima e tre anni dopo la successione. Il dataset che è stato costruito contiene 186 casi di successioni, 73 di queste (circa il 39%) sono successioni non-familiari mentre nella restante parte (il 61%) la successione è avvenuta all’interno della famiglia. La tabella 9 riassume le caratteristiche osservabili all’interno del campione un anno prima della successione. Tabella 9: Media delle caratteristiche delle imprese un anno prima della successione. All successions Family Non-family Ln Asset 11,77 11,53 12,13 Firm Age 32,44 33,52 30,77 ROA 0,04 0,05 0,03 Debt/Capital 0,65 0,65 0,66 Cash Holdings 0,06 0,07 0,06 R&S expenditures 0,002 0,002 0,003 Fonte: Amore et al. (2011), How do managerial succession shape corporate financial policies in family firms? Le imprese che appartengono ai due diversi gruppi di successioni, in media, non differiscono in maniera significativa per età, spesa in ricerca e sviluppo e spesa in pubblicità. Al contrario però, i due gruppi di imprese differiscono in maniera significativa per dimensioni (misurate attraverso il logaritmo del valore totale degli asset) e per profittabilità (misurata attraverso il ROA). In genere le imprese che si preparano ad una successione familiare hanno una dimensione e una profittabilità maggiore rispetto alle imprese che si preparano ad una successione non-familiare. Inoltre, sebbene le imprese appartenenti ai due diversi gruppi dimostrino un elevato indebitamento, le differenze tra i due gruppi non sono significative. Questo suggerisce che le imprese familiari non fanno un diverso uso del debito a seconda del fatto che si aspettino oppure no una successione familiare. A questo punto gli autori hanno verificato se queste caratteristiche si modificano dopo qualche anno che si è verificato il passaggio del testimone al vertice dell’impresa. 31 I risultati sono riportati in tabella 10. Tabella 10: Le variabili che modificano la struttura finanziaria Variables Estimates DD coeff. (β1) 0,0431*** Ln Asset (β2) 0,0637** Ln Firm Age (β3) -0,0080 ROA (β4) -0,6890*** R&S expenditures (β5) -0,5168 * p<0,10 **p<0,05 ***p<0,01 Fonte: Amore et al. (2011), How do managerial successions shape corporate financial policies in family firms? La variabile dipendente della regressione è il rapporto debito-totale fonti di finanziamento. Il coefficiente DD rappresenta l’interazione che esiste tra una variabile dummy, che assume valore uno se è avvenuta la successione e zero se invece la successione non è avvenuta, e un’altra variabile dummy, uguale a uno se la successione non è familiare e zero in caso contrario. Questa variabile di interazione ha lo scopo di catturare l’effetto sull’indebitamento da parte della successione non-familiare rispetto a una successione familiare. Poiché il coefficiente di interazione è positivo, quando si verifica una successione nonfamiliare il rapporto debito-totale fonti aumenta di circa il 4,5% rispetto a quando si verifica una successione familiare. Il debito, infatti, viene utilizzato dalla famiglia come dispositivo per disciplinare l’operato del management non-familiare. Questo perché, il ricorso al debito può ridurre la propensione ad un utilizzo improprio dei cash flow destinati alla remunerazione degli azionisti o soci. Ciò può essere spiegato considerando che, attraverso l’utilizzo del debito, il management non può disporre dei cash flow generati dall’attività d’impresa per rimediare agli errori commessi in sede di approvazione di iniziative senza valore aggiunto. Inoltre, così come risultava dalla tabella 9, ci si aspetta che dopo la successione, sia essa familiare che non, l’età dell’impresa e la spesa in ricerca e sviluppo non influenzino la struttura finanziaria dell’impresa. Diverse sono invece le considerazioni per quanto riguarda il ROA e il valore totale degli asset. I risultati evidenziano che, all’aumentare di una unità percentuale del ROA, ci si aspetta 32 che il rapporto debito su totale delle fonti di finanziamento diminuisca, mantenendo costanti il livello delle altre variabili. Positivo è anche l’effetto sull’indebitamento da parte del livello complessivo delle attività (β2 = 6,37%). 7.2. Età ed investimenti modificano la struttura finanziaria dell’impresa I risultati che sono stati appena presentati hanno evidenziato quali sono le variabili che influenzano il rapporto di indebitamento delle imprese dopo la successione. In realtà questi effetti non sono omogenei all’interno delle imprese che sono state analizzate ma variano a seconda dell’età, dell’intensità degli investimenti e della volatilità associata ai cash flow che derivano dall’attività d’impresa. Per capire come varia il rapporto debito-totale fonti di finanziamento sulla base di queste variabili, il campione è stato suddiviso in classi a seconda delle caratteristiche che si intende verificare. Tabella 11: Età, investimenti, variabilità del cash flow e struttura finanziaria. DD coeff. Ln Asset Firm Age ROA R&S Young Firm Old Firm 0,048** 0,029** 0,074 0,042*** -0,059 -0,246 0,693*** -0,678*** 0,672 -0,272 High presence of family Low presence of family 0,104** 0,047** 0,049** 0,048*** 0,053*** 0,085 0,039 0,085** 0,080 -0,043 0,037 0,043 -0,619*** -0,709*** -0,653*** -0,760*** 0,576 -2,469 -0,400 -1,256 High profit volatility Low profit volatility * p<0,10 **p<0,05 ***p<0,01 Fonte: Amore et al. (2011), How do managerial succession shape corporate financial policies in family firms? Nella tabella 11, sono state analizzate separatamente le aziende giovani (con età inferiore a quella mediana) da quelle più vecchie (con età superiore a quella mediana). E’ stata trovato un effetto positivo del coefficiente DD in entrambi i gruppi, ma comunque maggiore per le imprese giovani che tipicamente hanno potenziale di crescita più elevato. Questo significa che, al momento in cui si verifica la successione non-familiare, aziende di 33 recente costituzione sono maggiormente portate a finanziare i loro progetti di crescita con capitale di terzi rispetto ad imprese mature che fanno maggiore uso di capitale proprio. E’ logico pensare così anche alla luce del fatto che imprese mature hanno in genere minori opportunità di crescita rispetto ad aziende di recente costituzione. Nelle righe 3 e 4 della tabella 11, il campione iniziale è stato suddiviso in aziende con bassa e alta presenza, dopo la successione, di membri della famiglia controllante nel Consiglio di Amministrazione. Anche in questo caso la mediana viene utilizzata come linea di confine tra imprese ad alta e bassa presenza di membri della famiglia. I risultati trovati evidenziano come l’elevata presenza della famiglia all’interno del Consiglio di Amministrazione, costituito dopo la successione non-familiare, ha come effetto quello di incrementare il rapporto debito su totale fonti di finanziamento di circa due volte rispetto a quando si verifica una successione non-familiare con bassa partecipazione della famiglia. Questo risultato ci fa pensare che le famiglie all’interno del Consiglio di Amministrazione contano non solo di monitorare strettamente gli amministratori esterni ma anche di partecipare ai processi decisionali che comportano la definizione delle strategie dell’impresa, finanziandole principalmente attraverso l’utilizzo del debito. Come ultimo passaggio, gli autori si preoccupano di verificare se il cambiamento di laverage (rapporto tra totale delle fonti di finanziamento e capitale proprio) sia una funzione del tentativo da parte delle famiglie di ridurre il rischio dell’impresa dopo la successione. Anderson et al. (2010) sostengono, infatti, che le imprese familiari tendono ad investire in progetti più sicuri dopo la successione, principalmente in asset fisici. Se così fosse questo significa che i manager esterni, una volta preso il comando dell’impresa potrebbero modificare le preferenze d’investimento della famiglia in progetti più rischiosi, per questo ci si aspetta che i suoi membri influenzeranno le politiche di finanziamento di questi progetti con lo scopo di limitare il rischio dell’impresa. Per verificare questa tesi viene utilizzata la deviazione standard dell’EBITDA sul totale degli asset come proxy del rischio dell’impresa. L’effetto della volatilità degli investimenti sul rapporto debito-totale fonti di finanziamento viene stimato tenendo distinte le imprese che hanno avuto un incremento della volatilità dei profitti dopo la successione da quelle che, invece, hanno avuto l’effetto contrario. I risultati contenuti nelle ultime due righe della tabella 11 evidenziano che i cambiamenti del debito sono positivi e della stessa entità in entrambi i gruppi di imprese. Questo conferma la tesi secondo cui le famiglie, dopo la successione, adottano delle scelte di finanziamento basate sul debito per mitigare l’incertezza legata a progetti di in- 34 vestimento intrapresi dai CEO non-familiari ma senza alcuna significativa differenza tra le imprese ad alta e bassa volatilità dei profitti. In una visione d’insieme, questi risultati supportano la tesi secondo cui CEO familiari e nonfamiliari, avendo differenti skill manageriali e relazioni con la famiglia controllante diverse, contribuiscono in modi differenti alle politiche finanziarie dell’impresa. 8. Imprese familiari e performance post-successione: lo studio di Cucculelli e Micucci 8.1. Le performance prima e dopo la successione Uno dei risultati più significativi dello studio di Amore et al. evidenzia come, tipicamente, il leverage aumenti dopo la successione family-to-nonfamily, soprattutto se c’è un’elevata proporzione di membri della famiglia che siedono all’interno del Consiglio di Amministrazione. Lo schema di DuPont ci insegna che a parità di altre condizioni, un aumento dell’effetto leverage comporta allo stesso tempo un incremento della redditività aziendale: In realtà ci aspettiamo che questo effetto positivo sulle performance dell’impresa venga mitigato dalle altre forze che intervengono all’interno delle imprese familiari, prima tra tutte la mancanza di skill manageriali. Cucculelli e Micucci (2008) nel loro studio Family succession and firm performance: Evidence from Italian family firms si occupano di misurare l’impatto generato dalla successione sulle performance di alcune imprese italiane. In particolare, l’attenzione viene posta sulle differenze che esistono tra aziende che continuano ad essere gestite dalla famiglia (attraverso gli eredi del fondatore) e quelle invece dove la gestione passa nelle mani di soggetti esterni. Considerando tutte le successioni avvenute nel periodo tra il 1996 e il 2000 che hanno coinvolto le imprese del campione, gli autori hanno effettuato un confronto tra le performance registrate prima e dopo l’evento della successione. Per svolgere questo studio, oltre alle informazioni disponibili pubblicamente presso le Camere di Commercio, gli autori hanno costruito un dataset contenente tutte le informazioni essenziali che sono state raccolte attraverso sondaggi diretti alle aziende. 35 Tabella 12: Caratteristiche delle imprese a seconda della tipologia di CEO, settore, dimensione e anno di nascita. Founder Heir Unrelated Succession rate (%) 28 21 13 32 41 37 64 93 59 34 51,5 29,3 34,7 37,0 41,2 44,2 29,2 35,5 34,1 30,2 Industry Foods 110 Textile 171 Footwear 177 Wood and paper Chemical and plastic 184 171 135 472 394 238 240 89 50 81 76 79 70 131 124 64 70 1759 470 63 569 198 40 267 122 33 32,9 40,5 53,7 0 1 19 66 283 645 727 450 82 31 54 112 216 188 112 35 17 10 11 21 72 122 116 49 100,0 97,6 77,4 66,8 50,4 32,5 23,9 15,7 2292 834 422 35,4 Minerals Metalworking Mechanical industry Machinery and vehicle Finiture and jewels Size-classes 10-49 50-199 200+ Starting year Before 1929 1930-1939 1940-1949 1950-1959 1960-1969 1970-1979 1980-1989 1990-2005 Total sample Fonte: Cucculelli e Micucci (2008), Family succession and firm performance: Evidence from Italian family firms La tabella 12 evidenzia le caratteristiche delle imprese che costituiscono il campione, suddivise per tipologia di CEO, settore di appartenenza, dimensione e anno di costituzione. 36 La statistiche riassuntive che raggruppano le aziende in base alla loro data di nascita mostrano che una grande percentuale di queste (circa il 70%) sono nate tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta. Solo un terzo di queste aziende hanno già completato il processo di successione, mentre i rimanenti due terzi si apprestano in questi anni ad affrontare un cambiamento di management. Le aziende gestite da un manager-fondatore costituiscono il 64,4% con una percentuale che diminuisce all’aumentare della dimensione dell’impresa. Il tasso di successione, definito come rapporto tra imprese che hanno subito la successione sul totale delle aziende che costituiscono il campione, varia considerevolmente tra i diversi settori e aumenta con la dimensione dell’impresa: imprese più grandi generalmente sono anche più vecchie e per questo è più facile che la successione sia già avvenuta. Infine è possibile notare come aziende che operano in settori a basso tasso tecnologico (definite dall’OECD in base alla spesa in ricerca e sviluppo) hanno maggiori probabilità di essere gestite dagli eredi rispetto ad imprese che operano in settori a più alta intensità tecnologica. I dati contabili delle aziende che costituiscono il campione sono stati estratti dal dataset Cerved e permettono di avere le informazioni relative alle caratteristiche dell’impresa e alle sue performance prima e dopo la successione. La tabella 13 evidenzia la profittabilità delle imprese, misurata attraverso la media degli indici ROA e ROS, tre anni prima e dopo ogni successione. Tabella 13: Valori medi di ROA e ROS prima e dopo la successione. ROA (%) ROS (%) Pre-succession Post-succession Pre-succession Heir 9,91 Unrelated 9,82 Total sample 8,89 7,06 8,95 7,49 7,72 7,26 7,61 Post-Succession 5,90 5,88 5,90 Fonte: Cucculelli e Micucci (2008), Family succession and firm performance: Evidence from Italian family firms Quasi tutte le successioni familiari che sono avvenute hanno coinvolto la prima e la seconda generazione (163 trasferimenti su 177). Le performance post-successione mostrano un chiaro declino della profittabilità di entrambi gli indicatori sia nelle imprese familiari che nonfamiliari: sul campione totale, il ROA si è ridotto dal 9,89% al 7,49%, mentre il ROS dal 37 7,61% al 5,90%. Tuttavia, il declino appare più ampio per le imprese che hanno subito una successione familiare rispetto alle altre. Per valutare l’impatto della successione sulla redditività dei due gruppi di imprese viene utilizzato il termine di interazione After × Family, che cattura l’effetto marginale della successione familiare sugli indici ROA e ROS rispetto a una successione non-familiare. Nel modello viene inserito anche un termine ̅ che indica l’indice di profittabilità media del settore calcolato sulla base dei parametri three-digit SIC definiti dal dataset Cerved. Tabella 14: Gli effetti sul ROA e sul ROS dopo la successione. Variables After (β1) After × Family (β2) ̅ (β3) Age (β4) ROA -1,05 -1,29** ROS -1,97*** 0,06 0,84*** 0,87*** 11,35*** 7,15*** * p<0,10 **p<0,05 ***p<0,01 Fonte: Cucculelli e Micucci (2008), Family succession and firm performance: Evidence from Italian family firms I risultati stimati in tabella 14 mostrano che la successione non-familiare comporta una riduzione della profittabilità solo se viene utilizzato il ROS come misura delle performance dell’impresa (il ROA registra un -1,05% che non è statisticamente significativo). Attraverso il termine di interazione, invece, è possibile notare che dopo la successione l’effetto sul ROS delle imprese familiari rimane sostanzialmente invariato, cosa che invece non è possibile dire quando viene utilizzato il ROA: ci aspettiamo che le imprese che hanno subito una successione familiare abbiano delle performance operative dell’1,29% minori rispetto alle performance precedenti la successione. I risultati principali di questo studio supportano la tesi secondo cui il management interno o esterno alla famiglia influisce sulle performance dell’azienda perché, come sostengono gli autori, soggetti esterni alla famiglia controllante, rispetto agli eredi, è più probabile che mettano in atto un piano di ristrutturazione e riorganizzazione dell’impresa dopo la successione. 38 8.2. La successione delle imprese più performanti Poiché l’interesse principale degli autori è quello di studiare come variano le performance delle imprese familiari prima e dopo la successione, da questo punto in avanti si farà riferimento solamente alle 177 successioni family-to-family che sono state selezionate nel campione. Tabella 15: ROA e ROS dopo la successione delle imprese più performanti. Variables ROA ROS 0,39 -4,60*** 0,12 -3,78*** ̅ (β3) 0,72*** 0,73*** Age (β4) 4,73*** 4,00*** After(β1) After × GoodPerformers (β2) * p<0,10 **p<0,05 ***p<0,01 Fonte: Cucculelli e Micucci (2008), Family succession and firm performance: Evidence from Italian family firms Cucculelli e Micucci si aspettano che imprese familiari con un’elevata redditività presentino, in seguito alla successione, una riduzione di profittabilità di entità superiore rispetto a quelle con minori performance pre-successione. Per verificare questa ipotesi viene introdotta nel modello la variabile GoodPerformers che è una variabile dummy uguale a uno nel caso in cui l’indice di profittabilità dell’azienda è superiore a quello medio del settore (calcolato attraverso il codice three-digit SIC), e zero in caso contrario. I risultati stimati in tabella 15 mostrano effettivamente che imprese familiari più performanti sono più danneggiate dalla successione familiare. Sebbene il coefficiente del termine After non è significativamente diverso da zero, tutto il decremento delle performance è catturato dalla variabile di interazione After × GoodPerformers, suggerendo un vero e proprio declino nella profittabilità quando si verifica una successione familiare. La riduzione stimata è di 4,60 e 3,78 punti percentuali rispettivamente per il ROA e il ROS. Il declino significativo delle imprese con buone performance pre-successione potrebbe essere dovuto non solo a un basso talento degli eredi (inteso come qualità manageriali), rispetto al fondatore, ma anche a cause esterne che riguardano principalmente l’ambiente competitivo in cui opera l’impresa. Per questo motivo, utilizzando il codice three-digit SIC, ogni impresa familiare che dopo la successione passa nelle mani degli eredi viene messa a confronto con le 39 imprese che operano sullo stesso settore ma che sono gestite dai fondatori. L’azienda utilizzata come termine di paragone viene selezionata da un gruppo di aziende che registrano performance in un intorno del 10% rispetto all’azienda in questione. Questa procedura permette di selezionare 561 imprese gestite da fondatori, che vengono combinate con le 177 imprese che hanno subito una successione familiare. La variabile After × Family × GoodPerformers è il termine di interazione che permette di misurare l’effetto marginale sulla profittabilità determinato da imprese performanti che hanno subito una successione familiare. L’evidenza empirica viene riportata nella tabella 16. Tabella 16: Performance delle imprese che hanno subito la successione familiare in confronto alle imprese gestite dai fondatori. Variables After (β1) ROA ROS 0,37 -1,72*** -0,31 -1,55*** ̅ (β3) 0,51*** 0,48*** Age (β4) 0,87 0,34 After × Family × GoodPerformers (β2) * p<0,10 **p<0,05 ***p<0,01 Fonte: Cucculelli e Micucci (2008), Family succession and firm performance: Evidence from Italian family firms I risultati stimati evidenziano come vi sia un significativo trend di inversione delle performance da parte delle imprese più performanti dopo la successione familiare. Le stime evidenziano un declino di più di 1,5 punti percentuali del ROA e del ROS nel periodo post-successione. Questo conferma che le imprese a capo delle quali sono presenti degli eredi della generazione fondatrice archiviano delle performance post-successione significativamente più basse rispetto a quelle gestite dai fondatori, confermando la difficoltà da parte della famiglia fondatrice di trovare, all’interno del ristretto gruppo di membri familiari, un successore capace di gestire in maniera redditizia l’impresa. 40 9. Conclusioni Il dibattito che si è sviluppato negli ultimi anni intorno al family business può dirsi tutt’altro che concluso. Alcune evidenze empiriche dimostrano che le imprese familiari hanno degli indubbi vantaggi nei confronti delle altre categorie d’impresa ma allo stesso tempo queste peculiarità potrebbero determinare dei conflitti interni tra i membri della famiglia. Se il vertice dell’impresa è formato da membri della stessa famiglia è più facile che ci sia un positivo attaccamento all’impresa e una maggiore lealtà che facilitano la comunicazione tra le persone e tra le diverse aree all’interno dell’impresa. Inoltre, l’obiettivo di trasferire l’azienda agli eredi, dovrebbe garantire l’adozione di una prospettiva di lungo periodo per la crescita dell’impresa che difficilmente è riscontrabile altrove. Dall’altro lato, però, il desiderio da parte dei membri della famiglia a mantenere il controllo dell’impresa e trasferirla agli eredi, comporta delle difficoltà piuttosto importanti quando si tratta di reperire le risorse finanziarie necessarie allo sviluppo dell’attività. Oltre a questo, al momento della successione, gli eredi potrebbero non avere le competenze e le professionalità richieste per affrontare i mercati internazionali e garantire la crescita: questo problema potrebbe essere risolto assumendo all’interno del Consiglio di Amministrazione qualche manager professionista. Allargando il campo di analisi e considerando soprattutto le grandi imprese quotate, si può dire che esiste una percezione non propriamente positiva da parte degli investitori relativamente alle imprese familiari, le quali risultano potenzialmente più esposte ai conflitti tra azionisti di maggioranza e minoranza che potrebbero riflettersi in uno sconto sul prezzo di mercato. Questi conflitti potrebbero incrementare il pericolo di espropriazione della famiglia ai danni degli azionisti di minoranza, soprattutto in quei Paesi caratterizzati da elevata concentrazione proprietaria e ambiente legale a tutela degli investitori troppo debole, che rendono l’impresa meno attraente ai nuovi investitori. Questo si verifica perché, sistemi legali di protezione degli azionisti che si fondano su norme che non tutelano pienamente gli investitori, potrebbero agevolare meccanismi e tecniche di rafforzamento del controllo della famiglia che vanno a diluire la partecipazione degli azionisti di minoranza all’interno dell’impresa. Tuttavia, in questo caso occorre considerare come, a fronte di un leverage maggiore per le imprese familiari, il rischio operativo sia significativamente più alto nelle imprese nonfamiliari. Ciò potrebbe denotare un duplice fenomeno: da un lato, l’uso del debito in sostituzione dei poco graditi control enhancing devices per conciliare mantenimento del controllo e crescita dell’impresa, dall’altro, l’avversione al rischio delle imprese familiari impone l’adozione di strategie operative meno rischiose che vanno a compensare il maggior rischio finanziario. 41 In definitiva, la tematica oggetto di analisi è ampiamente suscettibile di approfondimenti e ampliamenti, sia di carattere metodologico (diverse specificazioni econometriche ed estensione della base dati), che di carattere contenutistico (nuove variabili, ipotesi ecc.), anche alla luce dei risultati riscontrati che, nonostante sembrino mostrare, una direzione abbastanza definita, appaiono tutt’altro che risolutivi. La questione, dunque, è aperta su molti fronti che si ritiene possano essere oggetto di un’intensa quanto fertile attività di ricerca che, d’altronde, è già ampiamente attiva e produttiva. N. 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