Camilla Orlandini Frankenstein e T he R ocky H orror Picture Show Il sublime tra mito originale e parodia Frankenstein appartiene a quella categoria di miti moderni che ha avuto una straordinaria fortuna. La figura dell’overreachear creata da Mary Shelley1 nel primo Ottocento continua ad essere ripresa e citata e si presta a diverse interpretazioni che rendono il mito una fonte di riflessione sempre attuale. Oltre alle diverse trasposizioni cinematografiche, le quali propongono interpretazioni differenti del romanzo sottolineandone determinati aspetti, il mito di Frankenstein è stato anche oggetto di parodie, molto riuscita e famosa è quella di Mel Brooks: Frankenstein Junior. Ma i personaggi dello scienziato e della sua creatura vengono anche ripresa in uno spettacolo teatrale che non solo fa il verso a questo mito ma si propone come parodia di una lunga serie di temi della cultura, tanto moderna quanto classica: è il Rocky Horror Picture Show. La prima dello spettacolo teatrale The Rocky Horror Show risale al 1973 a Londra, è scritto e diretto da Richard O’Brien; l’anno successivo lo spettacolo viene rappresentato negli Stati Uniti e la 20th Century-Fox produce il film che esce nel 1975. La proiezione di prova è un fallimento ma la presentazione a New York dell’anno successivo è un trionfo, così inizia il processo che lo porterà a diventare un cult. Lo spettacolo si apre con un matrimonio a cui sono invitati Brad e Janet, stereotipi dei giovani bianchi americani, i quali in quell’occasione si fidanzano e decidono di andare a trovare il loro professore, il Dottor Scott, per comunicargli la notizia. La coppia viene sorpresa da un temporale e trova rifugio in un castello dove è in corso il convegno annuale dei Transilvani, durante la festa entra in scena Frank N. Furter che invita tutti quanti nel suo laboratorio per mostrare la sua creazione. Brad, Janet, i servitori e i Transilvani assistono alla nascita di Rocky, una creatura la cui bellezza riflette i canoni dell’epoca: abbronzato, biondo, muscoloso e con poco cervello. Frank sta cantando le glorie della sua creatura quando irrompe sulla scena il motociclista Eddie che viene ucciso dallo scienziato, Frank e Rocky celebrano dunque il loro matrimonio. Le scene successive vedono l’iniziazione sessuale di Brad e Janet, vengono messi in camere diverse e Frank imita loro voci per sedurli con la promessa di non dire niente al rispettivo partner. Nel frattempo, nel laboratorio, i servitori Riff-Raff e Magenta si divertono a terrorizzare Rocky col fuoco, la creatura scappa e lo scienziato viene messo in allarme, in quel momento si scopre che anche il Dottor Scott è arrivato nel castello. Frank è convinto che Brad e Janet siano delle spie del governo mandate dal Dottor Scott, li sta interrogando sulla questione quando scopre Janet e Rocky insieme nella vasca in cui si era rifugiata la creatura: lo scienziato è furioso e finisce per trasformare i tre umani, Rocky e la groupie Columbia in statue. L’ultima parte si svolge su un palcoscenico in una sala vuota: i personaggi cantano un inno alla loro liberazione sessuale in una sorta di delirio orgiastico fino al momento in cui irrompono sulla scena Riff-Raff e Magenta che accusano 1 Frankenstein; or, the modern Prometheus, Mary Shelley, 1818. 1 Frank di aver fallito con la sua missione sulla Terra. Dopo un assolo di addio dello scienziato, Riff-Raff lo uccide scatenando l’ira di Rocky che muore insieme al suo creatore. Il finale si chiude con il castello che scompare e Brad, Janet e il dottor Scott che arrancano nella nebbia e con la frase del criminologo che commenta: «And crawling on the planet’s face/some insects called the human race/lost in time and lost in space/and meaning». L’intero spettacolo si configura come una continua citazione di elementi che vengono accumulati e stravolti in un’atmosfera kitsch che funge da parodia, nulla viene risparmiato: opere d’arte antiche e moderne, personaggi politici, romanzi, cinema, stili di vita. Il soggetto principale della parodia sono i film di fantascienza: solo nella canzone d’apertura ne vengono citati almeno dieci. In particolare è ricorrente il riferimento a King Kong, è citato in Science Fiction, Double Feature2, nell’ultima canzone di Frank N. Furter, che rivela di vedere sé stesso come Fay Wray e, infine, viene ripresa la scena della scalata all’Empire State Building nell’immagine di Rocky che si arrampica sull’antenna della RKO, casa cinematografica produttrice del film. I riferimenti al cinema vanno anche oltre il genere della Science Fiction, ad esempio il personaggio del dottor Scott condivide alcune caratteristiche del dottor Stranamore3 di Kubrick: l’arto ferito e le imprecazioni in tedesco. Vengono inseriti continui riferimenti ad opere d’arte, se ne accentua la riproducibilità: dalla Gioconda nella sala del convegno, alla Creazione di Michelangelo nella piscina, a simboleggiare lo stravolgimento di questo tema; dal David, i cui attributi sessuali vengono ingranditi in maniera significativa, al Discobolo con la testa mozzata. La citazione più evidente è quella dell’American Gothic di Grant Wood: Riff-Raff e Magenta la rappresentano molto fedelmente all’inizio, quando sono i servitori nella chiesa, e la citano al rovescio alla fine, quando, vestiti da Transilvani, minacciano di morte Frank N. Furter. La parodia non risparmia nemmeno le opere letterarie, in particolare la Gothic Novel e i suoi stereotipi: il castello richiama sia l’abitazione di Dracula che in generale le ambientazioni dei primi romanzi gotici; viene parodiato il gusto per l’esotico attraverso l’esibizione dell’arredamento orientale; i richiami avvengono anche tramite dettagli apparentemente insignificanti, come la pettinatura di Magenta dell’ultima parte del film che cita The Bride of Frankenstein di James Whale. I riferimenti al Frankenstein di Mary Shelley sono evidenti: il nome dello scienziato, la sua ambizione di creare la vita dal nulla, la sua morte per aver osato troppo che porta anche alla fine della sua creatura. Il nuovo Frankenstein è animato da uno spirito diverso: se lo svizzero Victor puntava ad eliminare la morte e la malattia dalle debolezze umane, l’alieno Frank N. Furter crea un essere che possa soddisfare i suoi appetiti sessuali. La creatura di Frankenstein è orribile alla vista, ripugnante, ha un animo gentile ma queste sue qualità sono nascoste da quella mostruosità che lo porta a una rabbia che si esprimerà Il titolo allude al doppio spettacolo offerto dai cinema per i film di fantascienza che, normalmente, non duravano più di ottanta minuti. 3 Dr. Stragelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb, Stanley Kubrick, 1964 2 2 nella vendetta. La creatura di Frank è bellissima: Rocky rappresenta i canoni di bellezza tradizionali, rispecchia in pieno la formula “tutto muscoli e niente cervello” – o, in questo caso, mezzo cervello – ma non è più felice del suo antenato. Appena viene al mondo Rocky canta della spada di Damocle4 che pende sulla sua testa, e continua a cantare: «Oh, woe is me -- my life is a misery5», nonostante sia esattamente il risultato che il suo creatore voleva raggiungere, il quale lo accoglie a braccia aperte. Rocky condivide con il suo predecessore la paura del fuoco e l’iniziale incapacità di parlare: mentre nel romanzo assistiamo alla progressiva autoeducazione del mostro attraverso autorità come Milton, Goethe e Plutarco, qui lo sviluppo del personaggio è puramente fisico e sessuale: si pensi alla canzone «In seven days, I can make you a man», in cui c’è un riferimento rovesciato alla Genesi e una diretta citazione dello slogan del culturista, e al successivo matrimonio tra creatore e creatura. Il personaggio di Eddie ci introduce un nuovo punto di contatto: la cicatrice sul cranio del ragazzo è una citazione del Mostro nella versione cinematografica di James Whale, fondamentale per la costruzione dell’immaginario visivo della Creatura. Se Mary Shelley ci descrive un Victor Frankenstein che viola le tombe nottetempo per raccogliere i pezzi del suo Adamo, qui alla violazione della sacralità della sepoltura è unito un altro tabù, altrettanto antico, quello del cannibalismo. Ci viene proposta una scena che ci richiama la mitologia greca con il mito di Atreo e Tieste: i commensali mangiano inconsapevolmente carne umana, nel caso del Dottor Scott è quella del suo stesso nipote, ed è il padrone di casa a svelare il segreto quando toglie la tovaglia svelando il corpo di Eddie sotto al tavolo di vetro. Un ulteriore punto di contatto è il destino degli scienziati: tanto Victor Frankenstein quanto Frank N. Furter trovano la morte per aver oltrepassato un limite. Il primo ha sfidato le leggi della natura umana e il frutto del suo lavoro ha finito per diventare la causa della sua rovina; il secondo viene ucciso dai suoi stessi servitori poiché la sua missione si è rivelata un fallimento, si è spinto troppo oltre nell’assecondare la sua lussuria sfrenata. Quello che si apre nel castello è uno spazio edenico, un luogo dove può avvenire la liberazione sessuale6, lontano dalle imposizioni della società. Tuttavia il finale ci riporta alla realtà: il tracotante è punito, gli alieni lasciano la Terra e il dottor Scott riesce nel suo scopo: la società umana è salva7. Il Rocky Horror Picture Show può essere considerato a tutti gli effetti come un prodotto Camp. Il termine è definito nel 1909 dall’Oxford English Dictionary come «ostentato, esagerato, teatrale, effeminato o omosessuale; riguarda le caratteristiche dell'omosessualità». Susan Sontag nelle sue Notes on Camp ci 4 «The sword of Damocles is hanging over my head/ and ,I’ve got the feeling that someone’s gonna be cutting the thread». RHPS 5 La canzone sembra riprendere il lamento della Creatura nel Frankestein di Mary Shelley, che continua a definire sé stesso con gli aggettivi di miser e wretch. 6 «Give yourself over to absolute pleasure,/Swim the warm waters of sins of the flesh,/Erotic nightmares beyond any measure./And sensual day dreams to treasure forever./Don't dream it. Be it!». RHPS 7 «Society must be protected». RHPS 3 fornisce maggiori indicazioni circa questo fenomeno, tipicamente postmoderno. Gli appunti8 di Sontag vengono composti nel 1964, mettono il pubblico a contatto con questa nuova forma di sensibilità, Camp è «amore per l’innaturale, per l’artificio, per l’eccesso», è «una visione del mondo in termini di stile, ma di uno stile particolare. È amore per l’eccessivo, per l’eccentrico, per le cose-che-sono-comenon-sono». Il Rocky Horror sembra quasi incarnare questa nuova sensibilità: se il «carattere distintivo di Camp è lo spirito della stravaganza», il castello popolato dai Transilvani sembra essere proprio il regno di questa stravaganza. La scena finale, che vede tutti i protagonisti sul palcoscenico, richiama il gusto per la teatralità: per un attimo siamo quasi indotti a pensare che sia stato tutto finto ma poi il pubblico scompare e si ritorna alla realtà della finzione. Questa finzione non è nascosta ma esibita9, la contraddizione, il doppio, tutto è accentuato fino all’esagerazione. Ciò che lo spettacolo propone «non può mai essere preso del tutto sul serio perché è “troppo”», dall’accumulo di citazioni fino agli stessi personaggi. I protagonisti sono l’incarnazione del Camp: «che c'è di più bello negli uomini virili è qualcosa di femminile […] una predilezione per l'esagerazione delle caratteristiche sessuali e delle affettazioni della personalità». La definizione è perfettamente applicabile a Frank N. Furter e a Rocky, il primo è un uomo con spiccate caratteristiche femminili, non solo nell’abbigliamento e nel trucco ma anche in parti del corpo – le gambe di Tim Curry sono diventate un’icona – mentre il secondo è l’emblema della virilità, fino a sembrare irreale. Per concludere la visione è perfettamente adattabile al processo di distruzione della morale benpensante che opera lo spettacolo: «Camp è un solvente della morale. Neutralizza lo sdegno moralistico e favorisce un atteggiamento di gioco», questo processo raggiunge il culmine nello spettacolo finale in cui tutti i personaggi ballano vestiti solo di sgargiante biancheria intima e celebrano la propria liberazione dalle convenzioni in un inno orgiastico alla libertà sessuale. Se accettiamo The Rocky Horror Picture Show come prodotto della cultura Camp, possiamo anche pensarlo in relazione allo stretto collegamento tra Frankenstein e il sublime di Edmund Burke10. Il romanzo di Mary Shelley risponde pienamente ai canoni della letteratura sublime, dove con questo termine intendiamo «tutto ciò che può destare idee di dolore e di pericolo, ossia tutto ciò che è in un certo senso terribile o che riguarda oggetti terribili, o che agisce in modo analogo al terrore», ovvero ciò che è sconosciuto. Nel romanzo questo viene riconosciuto tanto nella tematica dell’uomo che sfida l’ignoto quanto nell’idea del “diverso” come fonte di terrore, nella rappresentazione della natura, negli spazi sterminati. Ai giorni nostri il sublime è passato dalla natura alla cultura, l’essere umano si sente schiacciato e sostituito non più dall’immensità dei temporali o delle tempeste, ma dai meccanismi 8 «La forma della serie d'appunti mi è parsa più adatta di quella del saggio (che richiede un'argomentazione lineare, consecutiva) all'annotazione di qualche aspetto di questa particolare sensibilità». Susan Sontag, Notes on Camp, 1964. 9 «I mezzi tradizionali di superamento della serietà – l'ironia, la satira – oggi sembrano deboli, inadeguati al medium culturalmente sovraccarico nel quale s'addestra la sensibilità contemporanea. Camp introduce un nuovo criterio di valutazione: l'artificio come ideale, la teatralità». Ibidem 10 Edmund Burke, A Philosophical Enquiry into the Origin of Our Ideas of the Sublime and Beautiful, 1757. 4 sociali, si tratta di un «sublime isterico»11. E così entra in gioco il Camp: ai valori della società, all’alienazione, alla paura del diverso che non solo è nell’altro ma anche in noi stessi, il Camp risponde parodiando proprio quei valori. Il Rocky Horror ci mostra quanto ci sia di potenzialmente controverso anche nei più tipici prodotti nella media borghesia americana, prende gli stereotipi dei ragazzi di buona famiglia e sprigiona i loro desideri, smaschera la loro frustrazione: è esplicativa la scena della loro iniziazione al sesso, Frank N. Furter utilizza esattamente le stesse parole con entrambi, tutti i rapporti tra i personaggi sono segnati dalla duplicità: Riff-Raff e Magenta sono fratelli/amanti; Frank e Rocky sono sia creatore/creatura che amanti; Brad, Janet e Frank sono legati, così come lo sono Eddie, Columbia e lo stesso Frank. Crollano i limiti e le imposizioni in quel castello che era stato il rifugio di De Gaulle durante la guerra: Frankenstein Place diventa l’Utopia dell’amore libero alla massima potenza, un luogo dove le imposizioni della società non contano e tutti i tabù vengono violati: omosessualità, incesto, cannibalismo, omicidio, tutto è portato all’estremo. Dunque, in conclusione, possiamo notare come il rapporto tra Frankenstein e il Rocky Horror Picture Show ci avvicini al confronto tra il sublime di Burke e quello “isterico” di Jameson. La natura è stata domata dall’uomo – nonostante le catastrofi naturali ci dimostrino quanto in realtà sia ancora una fonte di sublime meno quotidiana ma, proprio per questo, più terribile – la morte non è sconfitta ma il trapianto di organi ci rende meno agghiacciante l’idea di un dottor Frankenstein che assembla un uomo con pezzi dei suoi simili. Tuttavia, ci ritroviamo a confrontarci con un sublime che non è più solo esterno ma anche esterno: l’io si è ritrovato diviso, proprio il teorico del Perturbante12 ci ha aperto la strada all’esplorazione degli oscuri recessi della nostra mente. Fonte del nuovo sublime è proprio la lotta tra le imposizioni esterne della società di massa, l’influsso esasperatore della tecnologia, gli imperativi del nostro Super-Io e le pulsioni provenienti dal subconscio. E il Camp può essere uno dei modi per affrontare questa nuova forma di sublime13, o comunque è quella che negli anni Settanta sceglie il Rocky Horror Picture Show. «Soltanto nei termini di quell’altra realtà, quella delle istituzioni economiche e sociali – enorme e minacciosa, ma percepibile soltanto oscuramente – è a mio avviso possibile teorizzare adeguatamente il sublime postmoderno». Fredric Jameson, Postmoderism, or, The Cultural Logic of Late Capitalism, 1984. 12 Sigmund Freud, Das Unheimliche, 1919. 13 «Il gusto Camp rifiuta la distinzione tra bello e brutto tipica del normale giudizio estetico. Non capovolge le cose. Non sostiene che il bello sia brutto o viceversa. Si limita a offrire all'arte (e alla vita) un insieme di criteri di giudizio diversi, e complementari». Susan Sontag, cit. 11 5
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