DIRITTO DELLE CRISI DI IMPRESA Anno accademico 2012-2013 Stefania Aiello 1 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Gli strumenti di composizione delle crisi e le procedure concorsuali in genere Il diritto delle crisi d‟impresa fa parte del diritto fallimentare. Per quanto riguarda le sentenze si può notare che esse sono composte dai seguenti componenti: massima: concentrato giuridico della sentenza; sentenza: sentenza vera e propria; nota esplicativa: nota relazionale. Può essere una semplice nota senza titolo e sintetica, ma nella maggior parte dei casi è firmata e viene commentata la sentenza ampiamente dall‟autore → E‟ opportuno leggerla prima di aver letto la sentenza e dopo aver letto la massima, così da evitare il linguaggio complicato contenuto all‟interno della sentenza medesima. Come già ricordato in precedenza il diritto fallimentare comprende il diritto delle crisi d‟impresa, in cui la parola chiave è proprio crisi, la quale può essere definita come una crisi a livello giuridico, una situazione patologica in cui non viene raggiunto il risultato che ci si era posti. Si può trattare di una crisi patrimoniale e/o finanziaria in cui vige uno squilibrio patrimoniale e/o finanziario. A volte tali squilibri sono presenti entrambi, ossia il patrimonio netto è negativo con in più una mancanza di cassa (= liquidità). Altre volte il patrimonio netto può essere positivo, ma comunque è presente una mancanza di cassa, la quale è necessaria per pagare i fornitori, ad es. nel caso di un patrimonio immobiliare consistente. In altri casi la crisi potrebbe essere addirittura di natura non finanziaria e non patrimoniale: ad es. è il caso della chiusura di un mercato (intromettendo dazi di importazione di determinati prodotti) → fattore esogeno rispetto all‟impresa. La crisi può essere reversibile o irreversibile: occorre stabilire ex ante se la crisi è superabile o meno tramite strumenti giuridici. Ciò può derivare da un problema di organizzazione, ad es. per quanto riguarda l‟innovazione di impianti ormai obsoleti. I sistemi giuridici di superamento della crisi Tali sistemi: prevedono il superamento della crisi con norme dedicate alle imprese commerciali → statuto dell’imprenditore commerciale (ITALIA); altri ordinamenti fanno fallire qualunque imprenditore anche quello non commerciale (ITALIA, FRANCIA, BELGIO); la crisi è disciplinata (di qualunque soggetto legato al mondo economico) da norme che tutelano non solo le imprese, ma anche i privati (anche il consumatore), ad es. le persone fisiche che richiedono un mutuo (GERMANIA, AUSTRIA, OLANDA, GRAN BRETAGNA, STATI UNITI, SPAGNA PORTOGALLO). 2 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it In quest‟ultimo caso la procedura seguita è quella dell‟esecuzione individuale, in cui ciascun creditore non pagato può aggredire il patrimonio del debitore mediante pignoramento e vendita all‟asta dei beni del debitore, il primo (creditore) che arriva si soddisfa di più rispetto quelli che arrivano dopo (l‟ultimo si soddisfa meno o per niente). Mentre per quanto riguarda i primi due sistemi (anche in Italia funziona così) si applica la procedura concorsuale, la quale è una procedura collettiva in cui tutti i creditori, collettivamente, vanno ad aggredire il patrimonio dell‟imprenditore in crisi (= insolvente), e sono tutti sullo stesso piano (non riscuote di più chi arriva per primo). Mediante tale procedura prevista dall‟ordinamento il patrimonio del debitore si suddivide equamente tramite una procedura giudiziaria, amministrativa e meccanismi di natura privata, i quali: procedura giudiziaria: interviene un giudice (= autorità terza tra venditore e creditore) che amministra, controlla, dirige la procedura, regola i rapporti tra i due soggetti e chi gestisce l‟impresa in crisi, ecc.. Nei tribunali vi sono delle sezioni fallimentari opportunamente dedicate; procedura amministrativa: è coordinata dalla pubblica amministrazione (= uffici dello Stato) che risolve la crisi d‟impresa. E‟ giustificata dall‟interesse pubblico, il quale è superiore a quello dei privati (se ne occupa il Ministero delle Attività Produttive); meccanismi privatistici: in alcuni casi non si richiede nemmeno l‟intervento del giudice, ma vi è un accordo tra creditore e debitore. In altri casi l‟intervento del giudice ha una funzione di controllo, di legalità, ossia si basa sull‟accertamento del fatto che l‟accordo rispecchi le regole legate alle norme. In Italia questi ultimi tre tipi di procedura vi sono tutti. L. fallimentare 1942 (Regio Decreto n. 216/42) L‟impianto normativo era incentrato sul fallimento (procedura per eccellenza), ossia sulla procedura finanziaria nella quale il patrimonio dell‟imprenditore insolvente è affidato a un curatore che viene nominato dal tribunale. Egli ha il compito di venderlo e con il ricavato paga i creditore in misura proporzionale tra di loro (o tutti nella stessa misura o per primi vengono pagati i crediti privilegiati previsti dall‟ordinamento). Invece le tre procedure minori sono le seguenti: 1. liquidazione coatta amministrativa:essa viene eseguita sotto il controllo del Governo, ed è destinata a certe categorie di imprese in cui l‟interesse pubblico preveda l‟intervento diretto dello Stato (banche, assicurazioni, cooperative); 2. concordato preventivo: si basa su una modalità di superamento della crisi attraverso un accordo tra imprenditore in crisi e creditori sotto autorità giudiziaria; 3. amministrazione controllata: soppressa nel 2005, ma oggi prevista mediante una clausola apposta del concordato preventivo. Veniva attuato in situazione di sola crisi finanziaria, il creditore poneva in atto all‟imprenditore insolvente un‟azione detta moratoria all‟esito, ossia metteva a disposizione del suo debitore un periodo di pausa così al termine del quale quest‟ultimo avrebbe ricominciato a pagare. 3 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Ai tempi era considerato un reato non pagare: i debitori andavano in galera e vi era la privazione dei diritti civili. Questa però era una procedura troppo brutale, la quale andava a uccidere l‟azienda (= i fattori produttivi coordinati tra di loro dall‟imprenditore per produrre). Così negli anni ‟70-‟80, grazie allo sviluppo dell‟economia italiana (conclusasi la II guerra mondiale), vi è stato il boom economico e quindi si è posto il problema della crisi d‟impresa prevista fino a quel momento: essa prevedeva la chiusura dell‟azienda, il licenziamento di tutti i collaboratori all‟unico fine di pagare i creditori. Ma dopo questa valutazione ci si è posti l‟obiettivo di conservare l‟impresa, ipotizzando il fenomeno denominato risanamento di un’impresa in crisi. I giudici hanno iniziato a “eludere” la norma del ‟42 al fine di recuperare le imprese in crisi mediante l‟uso alternativo delle procedure concorsuali in tal modo: vendere l‟attivo = vendere l‟azienda considerato il fatto che l‟azienda morta ha un valore minore rispetto l‟azienda in produttività, prevedendo l‟esercizio provvisorio dell’azienda, in cui il curatore tiene aperta l‟attività durante il periodo del fallimento rischiando che i ricavi siano minori rispetto ai costi (= rischio d‟impresa). Per questo motivo i curatori non sono propensi a gestire in persona le aziende fallite. Si è trattato di un meccanismo inventato per cercare di recuperare l‟attività senza disgregarla. L. Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (L. Prodi 1979) Prima occorre definire le grandi imprese: grandi imprese = imprese grandi con tanti debiti Per la conservazione delle grandi imprese, il Ministero della Attività Produttive valuta che le stesse abbiano una prospettiva di prosecuzione dell‟attività, a tal punto l‟attività viene gestita da commissari straordinari nominati ad hoc. E‟ una legge che ha capovolto la logica del fallimento perché si valuti dall‟ottica della ristrutturazione. Tale legge è ancora in vigore ma è stata modificata nel 1999 dalla l. 270/99. L. 270/99 (L. Prodi bis) La legge del 1979 è stata modificata perché si prestava ad abusi a danno dei creditori, cioè si sostituiva una gestione in perdita con una gestione statale, la quale non si capiva che fine facesse. Più precisamente lo Stato erogava dei finanziamenti a tali imprese in crisi e così l‟attività proseguiva, ma spesso accadeva che non venisse mai ristrutturata l‟azienda (celebre il caso Flotta Lauro), ma ciò nonostante si faceva concorrenza alle altre imprese che non ricevevano alcun aiuto, penalizzandole. Si rovinava il mercato poiché si mandavano in crisi gli imprenditori che gestivano correttamente e senza aiuto la loro attività. Mediante la modifica del 1999 si rimettono si sul mercato le imprese in crisi, ma la ristrutturazione deve avvenire in un determinato periodo (due anni). Comunque prima di tale processo è necessaria la verifica che consente di capire se l‟impresa possa essere salvata, e se entro due anni il recupero non avvenisse, l‟azienda fallirebbe. 4 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Adeguamento normativo dell‟Italia ad altri ordinamenti Negli anni 2000 con la globalizzazione dell’economia si è reso necessario un adeguamento normativo ad altri ordinamenti, come ad es. nel caso di uso di strumenti privatistici per la risoluzione della crisi d‟impresa. Spesso prima si distruggeva ricchezza perché si era propensi a chiudere, specie se l‟operazione durava a lungo con il relativo rischio che l‟impresa morisse (durante questo lasso di tempo). Negli anni ‟70 negli Stati Uniti è stato introdotto il cosiddetto capitolo XI (chapter 11) che consiste in una procedura flessibile in cui il debitore (= imprenditore) fa una proposta ai creditori divisi in classi (mediante trattamenti diversi rispetto alle priorità). Questa proposta deve essere accettata dalla maggioranza dei creditori e delle classi, così l‟impresa può ripartire (noto il caso Chrysler di chapter 11). Tutto ciò è previsto sotto il controllo di un tribunale. Questo sistema ha influenzato anche quello italiano. D.L. Competitività delle imprese Nel 2005, infatti, vi è stata la prima modifica della legge fallimentare del 1942. La modifica è avvenuta tramite tale decreto legge, il quale ha modificato il concordato preventivo e quello fallimentare introducendo norme del chapter 11 e ha quasi cancellato l‟istituto della revocatoria fallimentare. Il vantaggio è stato quello di aver modificato il concordato preventivo previsto da una legge vecchia (1942), ma lo svantaggio è rappresentato dal fatto che tali norme non siano concordate tra di loro a causa che la medesima modifica sia stata approvata con molta fretta. I presupposti del fallimento Come già precedentemente detto il fallimento è la procedura concorsuale per eccellenza, il quale definisce la disciplina-base (e completa), che serve per integrare (mediante molteplici rinvii) la normativa riguardante le procedure concorsuali minori. Gli artt. 1, 5 e 15 della L.f. sono da prendere in considerazione. Art. 1 della L.f. In particolare l‟art. 1 della L.f. contiene al suo interno dei presupposti soggettivi per i quali viene applicata la disciplina del fallimento. Tale articola non comprende l‟insolvente civile (il lavoratore dipendente, il professionista intellettuale). A proposito di insolvente civile è opportuno spendere due parole in particolare sul ruolo del professionista: per il principio contenuto nell‟art. 2282 c.c., l‟accesso alle professioni è limitato al superamento di un apposito esame di Stato. La tendenza futura, però, sarà quella della liberazione a tale accesso, facendo sì che si sviluppi una concorrenza più ampia (nonostante l‟insistenza degli ordini dei professionisti, i quali tendono alla conservazione per mantenere tali professioni di alto livello). In merito a ciò è necessario ricordare che nel 2000 è stata istituita una società di avvocati, ma comunque non rientra nella fattispecie di impresa commerciale, quindi è sottratta al fallimento. Chiudendo la parentesi delle professioni intellettuali è opportuno sottolineare il fatto che nell‟art. 1 della L.f. non si fa riferimento a illiceità d’impresa. Tale concetto prevede due casi: 5 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it attività illecita: svolta in assenza di autorizzazione, manca di presupposti burocratici; attività immorale: società in regola e autorizzate ma che gestiscono attività immorali. Tali attività si collocano nei confronti della disciplina fallimentare in questo modo: qualunque impresa illecita, se immorale, in caso di insolvenza, può fallire. Il motivo di questo è che per tali imprese non sono applicabili le norme a tutela dell‟impresa, ma comunque rimangono attuabili le norme a tutela dei soggetti terzi (= i creditori). L‟attività può essere svolta: direttamente dall‟imprenditore; indirettamente da soggetti che operano per nome e per conto dell‟imprenditore (= institori). A volte può accadere che l‟imprenditore sia occulto. In questo caso colui che è soggetto al fallimento è il prestanome (o imprenditore palese), perché è colui che appare, che lavora per nome e per conto dell‟occulto. Di tale rapporto ne sono a conoscenza solo i due soggetti interessati (imprenditore occulto e prestanome), i creditore di uno e dell‟altro non sanno nulla. Ora prendiamo in esame alcuni concetti contenuti nell‟art. 1 della L.f.. Imprenditore: l‟art. 2082 c.c. definisce imprenditore chi svolge un‟attività economica organizzata. Naturalmente l‟imprenditore può essere sia una persona fisica che una persona giuridica. I soggetti che non sono imprenditori sono le associazioni, le quali svolgono un‟attività di natura ideale, come associazioni culturali, sportive, ARSSU, ecc.. Comunque tali associazioni/ fondazioni gestiscono ugualmente delle attività commerciali (come ad es. la gestione di una piscina), le quali sono soggette a fallimento esattamente come un‟impresa (o al concordato preventivo). Quindi: gli enti non commerciali che svolgono attività economica sia di tipo strumentale che accessoria sono soggetti a fallimento. _____________________________________________________________________ Generalizzando si può dire che l‟attività d‟impresa può essere o agricola o commerciale: una volta esisteva l‟imprenditore civile, come ad es. il consulente matrimoniale o il detective privato, che oggi rientra nella categoria degli imprenditori commerciali. Imprenditore commerciale: l‟art. 2195 c.c. definisce imprenditore commerciale chi esercita un‟attività commerciale. Tale definizione si evince da tale articolo mediante una serie di rinvii. _____________________________________________________________________ Piccolo imprenditore: l‟art. 2083 c.c. definisce piccolo imprenditore i coltivatori diretto del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti, e più in generale coloro che esercitano un‟attività professionale organizzata prevalentemente con il proprio lavoro e quello dei familiari. L‟art. 1 della L.f. sostiene che il piccolo imprenditore non possa fallire, perché l‟ammontare dell‟insolvenza non sarebbe mai pari al costo di apertura della procedura concorsuale. Un‟altra norma che chiarisce la posizione del piccolo imprenditore in caso di fallimento ed è l‟art. 2221 c.c. (= definizione fallimentare di piccolo imprenditore, mentre l‟art. 2083 c.c. contiene la definizione dello stesso a livello civilistico). Nell‟art. 1 della L.f. (II comma) non viene definito piccolo imprenditore attualmente, ma nella legge originale del 1942 (in vigore fino al 2006) si faceva riferimento a esso indirettamente mediante una soglia dell‟imposta sui redditi della ricchezza mobile, ma oggi proprio non se ne parla, così si fa riferimento all‟art. 2083 c.c.. 6 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it _____________________________________________________________________ Imprenditore agricolo: l‟art. 2135 c.c. definisce l‟imprenditore agricolo colui che coltiva il fondo, che pratica la selvicoltura, l‟allevamento di animali e/o attività connesse (come l‟agriturismo). Tale imprenditore una volta non era soggetto a fallimento poiché, rispetto agli imprenditori commerciali, correva un rischio in più a causa di elementi imponderabili (ad es. la grandine e la siccità). Attualmente, dopo le norme del 1999 (le quali hanno ampliato le attività agricole, un valido esempio è l‟allevamento dei cavalli da corsa), anche le imprese agricole sono soggette a procedure concorsuali. Infatti tali attività sono oggi più vicine alle industrie e alle attività commerciali in gerene, e raramente corrono un reale rischio meteorologico (ad es. la coltivazione in serra). _____________________________________________________________________ Ente pubblico: innanzitutto occorre distinguere tra ente pubblico economico ed ente pubblico non economico (autorità portuale). Quando l‟attività d‟impresa è un ente pubblico non può essere assoggettabile a fallimento: lo Stato deve gestire la crisi senza che l‟attività stessa passi di competenza a un‟autorità giudiziaria. Nel 2007 ci si è posti il problema di limitare l‟area di fallibilità poiché le procedure concorsuali risultano costose. A tal proposito sono stati introdotti (sempre nell‟art. 1 della L.f.) i cosiddetti requisiti dimensionali (i primi due riguardano l‟impresa, l‟ultimo riguarda l‟insolvenza): 1. l‟attivo patrimoniale, che si trova nel bilancio nello S/P art. 2424 c.c., non deve superare l‟ammontare di 300.000 € in ciascuno dei tre esercizi precedenti al fallimento; 2. i ricavi lordi, elencati nell‟art. 2425 c.c., sono composti da ricavi tipici, atipici, bianchi e neri (= non risultanti dal bilancio) e non devono superare l‟ammontare di 200.000 €; 3. i debiti non scaduti non devono superare l‟ammontare di 500.000 € (criterio ripreso anche in altri articoli della L.f.). Per dimostrare il possesso da parte della propria impresa di tali requisiti, l‟onere della prova spetta all‟imprenditore. Sentenze su presupposto soggettivo e oggettivo del fallimento → 7 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Fallimento dell’imprenditore durante l’esercizio dell’impresa Presupposto soggettivo: si basa sui requisiti dimensionali e d‟insolvenza contenuti dall‟art. 1 della L.f.. Presupposto oggettivo: viene sancito dall‟art. 5 della L.f., il quale tratta lo stato d‟insolvenza del debitore. Per fallire occorre rientrare in entrambi i presupposti: soggettivo e oggettivo. Art. 5 della L.f. (comma 2) Si basa sull‟impossibilità del debitore ad adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni, tale impossibilità prescinde dalla volontà del debitore: ad es. in caso di avvallo giudiziario da parte del creditore al debitore a causa di un debito non pagato non per impossibilità dell‟imprenditore, ma per sua volontà, esso viene comunque dichiarato fallito. Ma l‟art. 15 della L.f. (comma 9) enuncia che l‟importo di 30.000 € rappresenti una soglia minima al di sotto della quale non si possa fallire (= non ne vale la pena in proporzione ai costi di apertura di una procedura concorsuale). Problema: se oggi l‟imprenditore non risulta ancora insolvente, ma mediante analisi specifiche, le quali permettono di stabilire se in futuro lo diventerà, si accerta che l‟insolvenza sia imminente (come ad es. accade per le società calcistiche nelle quali è possibile predeterminare se e quando l‟impresa diviene insolvente), esso non potrà essere dichiarato fallito. Infatti l‟insolvenza deve essere attuale e di conseguenza il fallimento non può essere chiesto in un periodo precedente l‟insolvenza. All‟estero (in Italia non esiste), tutt‟al più è previsto per le imprese un meccanismo di all’erta: procedura giudiziaria “a ombrello”. L‟insolvenza, inoltre, non deve solo essere attuale, ma deve anche manifestarsi: gli elementi che manifestano l‟insolvenza sono: procedure esecutive da parte dei creditori; chiusura di un ramo d‟azienda; notizie stampa; cassa integrazione; mobilità; eventuali accordi con i creditori falliti o non accettati; mezzi anormali di pagamento messi in atto dal debitore nei confronti del debitore → dazio insolutom = modo non regolare di soddisfazione delle obbligazioni, ad es. pagando con la merce; la perdita sia tale da azzerare il capitale (art. 2047 c.c.): ciò comporta una vera e propria crisi finanziaria. 8 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Fallimento senza impresa Si parla di fallimento senza impresa quando l‟impresa non esiste più, secondo l‟art. 10 della L.f., e in caso l‟insolvenza si sia manifestata anteriormente la cancellazione dal Registro delle Imprese: tale procedura concorsuale può essere richiesta entro l‟anno successivo a tale operazione. Questo tipo di fallimento quando riguarda una società è più facile che si attui: infatti la cancellazione dal registro delle imprese è una prova inconfutabile (iurus et de iure). Mentre per le imprese individuali (e per le associazioni), secondo l‟art. 10 della L.f. comma 2, il fatto che non esistano più (= la cancellazione dal Registro delle Imprese per le società) opera come una presunzione relativa, ossia è onere del creditore dimostrare che l‟impresa non sia cessata in un determinato momento, quindi può essere in grado di far fallire l‟imprenditore anche se la sua impresa è chiusa per più di un anno. Fallimento senza imprenditore Riguarda tre particolari casi: 1. l‟imprenditore è defunto: se si tratta di un‟impresa individuale insolvente egli può comunque essere dichiarato fallito a condizione che la procedura concorsuale venga chiesta entro un anno dalla morte cosicché possano essere tutelati i creditori. La conseguenza patrimoniale è descritta da due situazioni: i beni del defunto andati all‟erede sono oggetto di riscossione da parte dei creditori; i beni dell‟erede sono oggetto non solo di riscossione da parte dei creditori dell‟erede stesso, ma anche di quelli del defunto, qualora non siano rimasti soddisfatti dei beni dello stesso (tale evenienza si manifesta solo se l‟erede accetta l‟eredità); 2. l‟imprenditore è defunto, ma solo dopo la dichiarazione di fallimento: la procedura prosegue solo in caso di accettazione dell‟eredità da parte dell‟erede il quale accetti con beneficio di inventario, ossia i creditori possono rivalersi solo sui beni del de cuius; 3. per l‟art. 147 della L.f. è previsto che il fallimento di una società con soci illimitatamente responsabili (società di persone), comporti automaticamente il fallimento anche i soci, solo per il fatto di essere soci di una società a responsabilità illimitata. Tale tipo di fallimento ha due caratteristiche: prescinde dall‟insolvenza a livello soggettivo del socio; riguarda solamente le società di persone (S.N.C., S.A.S.). Infatti per quanto concerne le società di capitali uni personali in cui non è stata effettuata alcun tipo di pubblicità legale (prevista per legge), e di conseguenza in cui il socio diviene illimitatamente responsabile, non è comunque previsto il fallimento dello stesso. In generale il fallimento senza imprenditore può essere dichiarato entro un anno dallo scioglimento sociale, o entro un anno dalla cessazione della responsabilità illimitata da parte del socio, ad es. nel caso della trasformazione da S.N.C. a S.R.L. o nel caso di una fusione della società di persone a una società di capitali. 9 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Il procedimento di apertura del fallimento La procedura fallimentare è regolamentata dagli artt. 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22 della L.f., i quali rappresentano delle norme di natura processuale che permettono di individuare la fallibilità o meno del soggetto in questione (norme che fanno parte del diritto processuale). Per quanto riguarda il processo finalizzato all‟apertura dell‟istanza di fallimento, il giudice, a fronte dei soggetti atti a chiedere la medesima procedura, verifica se vi sono i requisiti per fallire. Quando il soggetto impresa risulta fallibile verrà emessa dallo stesso una sentenza, mentre se l‟istanza non è fattibile allora verrà emesso un decreto. La differenza tra tali concetti è: sentenza:provvedimento che ha una certa forma con l‟effetto di passare in giudicato e quindi divenire incontrovertibile (= verità giudiziale); decreto: provvedimento sempre modificabile, ossia in caso di negazione da parte del giudice di fallimento, esso può essere richiesto nuovamente. L‟istanza del fallimento comporta, naturalmente, interessi contrapposti, quali: interessi del debitore dimostrare di non possedere i requisiti di fallibilità o addirittura di non essere insolvente → difesa interessi del creditore chiedere la rapidità del giudizio cosicché riscuotere nel minor tempo possibile → rapidità della procedura Dopo la riforma del 2006 della L.f. il processo di fallimento è stato velocizzato, infatti risulta più rapido di quello civile, ed è stata prevista la salvaguardia del principio del contradditorio: “giusto processo” in cui entrambe le parti in questione devono essere sentite. Nella L.f. del 1942 non era obbligatorio sentire il fallendo, ma si trattava di un processo ispirato al rito camerale (= tutti i processi fallimentari si svolgono in Camera di Consiglio; secondo quest‟ultima modalità è utile specificare che funziona così quando il tribunale si riunisce in forma collegiale, ossia quando si riuniscono tre giudici che sono il Presidente, il giudice relatore e il giudice “a latere” il quale concorre alla formazione del giudizio), in cui non sono previste scansioni obbligatorie, come nel processo civile, ma solo la regola del contraddittorio, come prima anticipato. Concerne un rito più rapido e informale di quello civile. 10 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Ora occorre stabilire i soggetti legittimati a presentare istanza di fallimento. La medesima domanda si presenta mediante ricorso (= atto depositato alla cancelleria del giudice in cui viene chiesto formalmente qualcosa ≠ citazione, in cui il processo civile viene aperto mediante la notifica alla controparte, e solo successivamente l‟atto è depositato in cancelleria del giudice). L‟art. 6 della L.f. (dopo la riforma del 2006) prevede che siano tre i soggetti a poter chiedere il fallimento, i quali: il medesimo debitore, che non ce la fa più per la situazione pressante in cui si ritrova, cosicché preferisce fallire; il creditore, statisticamente è il caso più diffuso; il PM (= pubblico ministero). Ovviamente esiste un caso particolare, secondo il quale può chiedere il fallimento anche il curatore di una società di persone, la quale, ai sensi dell‟art. 147 della L.f., prevede il fallimento anche dei soci illimitatamente responsabili. Il caso particolare, per l‟appunto, riguarda la scoperta da parte del curatore della presenza di altri soci, i quali sono detti occulti: l‟istanza di fallimento ricopre anche tali soci per effetto dell‟estensione citata dal suddetto articolo. Prima della riforma del 2006 veniva previsto dall‟art. 6 della L.f. anche la cosiddetta dichiarazione d’ufficio. Essa veniva richiesta dal tribunale fallimentare (= non si tratta di un tribunale ad hoc, ma di una particolare sezione del tribunale, infatti i tribunali di grosse dimensioni sono divisi in settori come quello civile, che ricomprende il fallimentare, e penale) il quale, venuto a conoscenza della situazione d‟insolvenza di una determinata impresa, apriva autonomamente l‟istanza di fallimento per cui l‟onere della prova gravava sul imprenditore debitore che doveva dimostrare la sua non insolvenza o la sua esclusione dai parametri assoggettabili al fallimento. Con la riforma del 2006 si è lasciata l‟autonomia della crisi tra debitore e creditore: il creditore è libero di non ribellarsi all‟insolvenza, il debitore è libero di non dichiararla, in entrambi i casi la situazione negativa procede. In realtà è rimasta la possibilità di un giudice di aprire un‟istanza di fallimento, più precisamente essa può essere richiesta da un PM (giudice accusatorio). Il fallimento è richiesto dal debitore Il debitore è in potere (non in dovere) di porre fine alla propria agonia mandando avanti un‟impresa in crisi, evitando così anche la bancarotta semplice, e ha la possibilità di fruire della cosiddetta esdebitazione (= istituto mediante il quale si ottiene la liberazione dei debiti che non fossero pagati nonostante la chiusura della procedura fallimentare abbia previsto l‟escussione del patrimonio aziendale, eventualmente di quello personale in caso di illimitatezza della responsabilità, al fine di pagare i creditori insoddisfatti). Questo privilegio è concesso solo qualora il debitore non abbia tardato a presentare domanda di fallimento (di solito in caso di imprenditore onesto, ma sfortunato). La domanda da parte del debitore comporta la domanda di fallimento in proprio, prevista dall‟art. 14 della L.f., la quale comporta i seguenti atti: devono essere depositati presso la cancelleria del tribunale le scritture contabili e fiscali obbligatorie; 11 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it deve essere depositato presso la cancelleria del tribunale uno stato particolareggiato ed estimativo delle sue AP; devono essere presentati l‟elenco dei nominativi dei creditori, nonché l‟indicazione dei rispettivi crediti; devono essere presentati i nominativi di coloro che godono di diritti reali e personali su cose in possesso del debitore nonché l‟elenco delle stesse cose e del titolo del diritto. Tutti questi atti devono essere depositati per ciascuno dei tre anni precedenti la presentazione dell‟istanza, o per l‟intera esistenza dell‟impresa se essa è sopravvissuta per un periodo inferiore. Nel caso di imprenditore individuale, la procedura si rivela semplice, poiché sarà egli stesso a presentare il tutto, sottoscrivendo i vari depositi al giudice. Nel caso di una società, prima della riforma del 2006, non vi era nessuna regolamentazione in merito; dopo la riforma del 2006, ai sensi dell‟art. 152 della L.f., si prevede che gli atti siano presentati dai soci di maggioranza per le società di persone, e dagli amministratori per le società di capitali (per evincere tale concetto occorre applicare estensivamente la norma). In entrambi i casi la decisione di presentazione di domanda di fallimento deve essere formalizzata mediante un atto del notaio e deve essere iscritta nel Registro delle Imprese a scopo di pubblicità commerciale. Il fallimento è richiesto dal creditore Questo è il caso più diffuso. Colui che vanta un credito e che intraprende la procedura di fallimento, in cui dimostra, a seguito di prove, il suo credito (scaduto, non scaduto, accertato mediante sentenza o meno), ad es. per mezzo di fatture, sentenze, pignoramenti negativi, permette che si apra l‟istruttoria in merito da parte del tribunale. L‟art. 15 della L.f. comma 9 stabilisce una soglia minima di 30.000 €: tale soglia non vuol dire che il credito specifico di un imprenditore che voglia chiedere il fallimento deve almeno essere pari a 30.000, ma tale importo riguarda il credito totale di tutti i creditori di quell‟azienda, Il fallimento è richiesto dal PM Questo caso riguarda il fatto che vi sia un particolare interesse pubblico allo svolgimento dell‟attività. Il PM può agire nei casi predeterminati dall‟art. 7 della L.f., i quali: quando l‟insolvenza risulta in una procedura penale; quando nel procedimento penale l‟imprenditore è irreperibile (se è latitante, in fuga, in fuga con la cassa, ecc.); quando dal procedimento penale emergono fatti gravi sull‟insolvenza; o ancora: quando risulta da una procedura civile (ad es. un‟ingiunzione di pagamento e da questa se ne scatenano molte altre) e solo se la segnalazione fatta alla Procura della Repubblica è effettuata da un giudice civile (non vale se la segnalazione è fatta dalla CONSOB). Il fallimento richiesto dal PM non è più un ricorso d‟ufficio come accadeva per la L.f. prima della riforma del 2006, la differenza sta nel fatto che in questo caso la Procura della 12 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Repubblica si comporta al medesimo modo in cui si comporterebbe il creditore alla richiesta dell‟istanza: tale istanza può anche non essere concessa dal tribunale (contrariamente a prima della riforma, in cui il provvedimento era aperto in automatico). Principio di competenza del tribunale L‟art. 9 della L.f. introduce il concetto di tribunale competente, il quale è rappresentato dalla sede principale dell‟impresa → principio territoriale inderogabile. La sede principale è la sede in cui si danno le direttive atte allo svolgimento dell‟impresa, il luogo in cui risiede il centro direttivo e amministrativo dell‟azienda e può coincidere con la sede legale (= sede in cui vengono fatte le comunicazioni, quella iscritta sul Registro delle Imprese). La sede principale va individuata al momento della presentazione della domanda di fallimento; l‟art. 9 della L.f. comma 2 prevede, per evitare di sottrarsi, da parte del richiedente, a un tribunale a lui poco piacevole, che il trasferimento debba essere fatto almeno un anno prima rispetto la domanda di fallimento. L‟art. 9 comma 3 prevede che, in caso di trasferimento all‟estero della società durante il suo fallimento, si mantenga comunque la sede principale nella sede originaria italiana, cosicché la causa di fallimento si svolga comunque in Italia. Inoltre vi è un regolamento comunitario che regola il fallimento di un‟impresa avente la sede in Italia, e la succursale in un paese dello Stato-membro, la quale è insolvente: vi sono due fallimento, uno principale, in Italia e uno secondario, che si dovrà svolgere all‟interno dello Stato-membro in cui è collocata l‟azienda in questione. L‟art. 9 bis della L.f. regola il caso di fallimento previsto da un tribunale incompetente: occorre integrarlo con un procedimento, il quale serve a individuare la competenza, messo in atto dalla Corte di Cassazione. L‟art. 9 ter della L.f. disciplina il caso di una medesima istanza di fallimento messa in atto da due diversi tribunali: semplicemente si dice che “vince chi arriva prima”, il tribunale che presenta successivamente la domanda può richiedere il regolamento di competenza alla Corte di Cassazione; in caso non gli interessi richiedere tale provvedimento può semplicemente inviare il fascicolo in questione al tribunale arrivato per primo. L‟art. 15 della. L.f. stabilisce quanto detto in precedenza, cioè che l‟istanza di fallimento si svolga in Camera di Consiglio in forma collegiale. Inoltre prevede l‟obbligo del contraddittorio, ossia il tribunale è obbligato a convocare sia il creditore che il debitore: tra la data di notifica e quella di udienza devono passare almeno 15 gg in modo tale da consentire la difesa da parte del creditore (che poi sarà eventualmente esplicata durante la medesima udienza). In casi particolari tale termine può essere abbreviato: nel caso di una sollecita dichiarazione di fallimento, la quale, comunque, non farebbe cadere in prescrizione un‟ipoteca giudiziale ad es. L‟art. 67 della L.f., a tal proposito, enuncia che si cancella un‟ipoteca, quando essa è prescritta 6 mesi prima. Ciò accade poiché vi è la necessità da parte del tribunale di tutelare tutti i creditori, e non solo quello titolare del diritto d‟ipoteca. Udienza Durante l‟udienza il Collegio può delegare un giudice relatore per provvedere all‟ammissione dei documenti accertati delle due parti in questione, il quale può istruire reciprocamente le parti. Obbligatoriamente è previsto solo il principio del contraddittorio: entrambe le parti devono essere ascoltate per capire se sussista o meno l‟insolvenza. Il tribunale, durante questo periodo di verifica, può emettere un procedimento cautelativo d’insolvenza a tutela del patrimonio dell‟impresa (a livello temporaneo) affidandolo a un custode giudiziario: a esito dell‟istruttoria il tribunale conclude mediante: 13 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it una sentenza, la quale dichiara il fallimento dell‟azienda in questione; un decreto in cui si respinge il fallimento; un provvedimento che ha la funzione di dichiarare la propria incompetenza, così facendo si trasferiscono gli atti acquisiti al tribunale di competenza. Procedimento di fallimento L‟art. 16 della L.f., stabilisce che il tribunale, nelle sentenze di fallimento, accolga la risoluzione, o respinga determinando il risarcimento. La sentenza fallimentare è quella sentenza in cui viene accertata l‟insolvenza, dalla quale deriverà l‟apertura di una procedura tributaria. Si tratta di una sentenza di natura organizzativa, in cui si determinano varie fasi: la nomina del giudice delegato, colui che sorveglia l‟esecuzione della procedura; la nomina del curatore, il quale ha il compito principale di tutelare i creditori e gestisce il fallimento; la richiesta al fallito, qualora non lo avesse ancora fatto, del deposito dei documenti probatori: tale deposito potrebbe anche non avvenire; la conferma di stabilire un luogo, un giorno, e un‟ora in cui si procede all‟esame dello stato passivo, ossia la verifica dei crediti vantati dai terzi nello stesso stato passivo. Tale data deve essere fissata entro 120 gg, e può essere prorogata in 180 gg per i casi più complessi; l‟affermazione di un termine ai creditori i quali vantano un diritto reale di 30 gg al fine di presentare nella cancelleria del tribunale le domande per l’ammissione al passivo (= secondo l‟art. 16 comma 2 della L.f.). La sentenza del fallimento produce i suoi effetti dal momento del deposito in cancelleria (= deposito della sentenza) nei confronti del debitore fallendo, mentre per quanto riguarda i terzi essa è efficace quando tale operazione è iscritto nel Registro dell‟Impresa da parte della medesima cancelleria. Di solito: data di deposito della sentenza = data d‟iscrizione della sentenza nel Registro delle Imprese La sentenza viene notificata al debitore entro il giorno successivo il suo deposito presso il domicilio eletto, ossia quello fornito dallo stesso allo scopo delle notifiche dei provvedimenti da parte del tribunale (ad es. quello del commercialista di fiducia). Per l‟art. 17 della L.f., la 14 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it sentenza deve essere comunicata anche al PM e al curatore (= organo della procedura che deve sapere quando inizia il suo ruolo di gestore del fallimento stesso; ruolo svolto da un commercialista o da un avvocato, solitamente). Reclamo Le notifiche del tribunale hanno lo scopo di comunicare il fallimento dell‟imprenditore, e per consentire allo stesso di opporsi alla sentenza in casi in cui il debitore medesimo non abbia richiesto, egli stesso, il fallimento (se lo avesse chiesto lui non potrebbe opporsi). Tale opposizione può essere posta anche da qualunque interessato, dove per qualunque interessato s‟intende ad es. l‟erede del defunto che sta per fallire (caso difficile). Reclamo contro la sentenza di fallimento Il reclamo può essere richiesto entro 30 gg dal deposito della sentenza dal fallito, entro 30 gg dall‟iscrizione del Registro delle Imprese dai terzi. Tale atto si fa mediante ricorso (≠ atto citazione, il quale prevede la chiamata in causa delle controparti), atto in cui non viene chiamata in causa la controparte, rappresentata dal curatore, depositato presso la cancelleria della Corte di Appello. Durante il reclamo viene chiesta la cancellazione/revoca del fallimento per ragioni sostanziali (la non insolvenza: causa più diffusa) o per ragioni processuali (riguardano i vizi del procedimento per la dichiarazione del fallimento. L‟art. 18 della L.f. prevede che il ricorsa contenga: l‟indicazione della Corte d‟Appello competente; l‟indicazione di chi impugna; l‟esposizione dei fatti per i quali si impugna; la fornitura da parte del ricorrente dei mezzi di prova di cui vuole avvalersi. Gli effetti del reclamo sono: la non sospensione del fallimento, almeno che il richiedente non domandi l‟interruzione della vendita dell‟attivo o per motivi gravi derivanti dalla stessa vendita; 5 gg dopo il deposito del reclamo il Presidente della Corte d‟Appello stabilisce chi è il giudice che si occuperà della causa, e fissa l‟udienza entro 60 gg; la notificazione del reclamo deve essere fatta al curatore entro 15 gg: tra la data di notifica e quella di udienza devono intercorrere 30 gg. Il curatore si può opporre al reclamo 10 gg prima dell‟udienza, in cui costituirà, depositando una memoria in cancelleria, le ragioni per le quali il fallimento deve proseguire. Qualunque interessato può far valere le ragioni di entrambe le parti: più diffuso è il caso del creditore che dà ragione al curatore. Durante l‟udienza che si svolge collegialmente (da 3 giudici), vengono sentiti l‟opponente, il quale chiede un termine ulteriore per la dimostrazione, o la Corte d‟Appello stessa che chiede tale prolunga al fine di accertamenti. Finita tale fase d‟istruttoria si provvede al ricorso che può terminare con: sentenza: revoca del fallimento, non determina automaticamente la cessazione del fallimento, occorre attendere che la sentenza passi in giudicato (= che siano scaduti i termini per eventuali ricorsi in Cassazione). L‟art. 18 comma 15 della L.f., però stabilisce quello che il curatore ha comunque compiuto nel pieno rispetto delle regole derivanti dalla procedura fallimentare, ormai è valido. La revoca del fallimento va 15 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it distinta dalla chiusura del fallimento, la quale rappresenta la procedura conclusiva del procedimento che si è realizzato, mentre nella revoca è venuto meno “ab origine”, salvo gli atti già compiuti dai curatori (che comunque ogniqualvolta vengono informati dell‟istanza adottano un atteggiamento prudente per evitare le eventuali responsabilità che inevitabilmente si troverebbero davanti in caso di reclamo); sentenza; il fallimento prosegue; sentenza: il tribunale dichiara l‟incompetenza. Reclamo contro il decreto che respinge l‟istanza di fallimento Reclamo che viene chiesto alla Corte d‟Appello per far sì che il debitore fallisca. Viene chiesto entro 30 gg dalla pubblicazione del decreto presso la medesima Corte d‟Appello, la quale sentite le parti in Camera di Consiglio decide con decreto motivato: di respingere il reclamo (non vi è fallimento); di accogliere il reclamo: in pratica enuncia che il debitore può fallire, senza però emettere sentenza di fallimento, ma rimette tale possibilità al tribunale competente, ossia fa in modo che questo produca la suddetta sentenza. Se durante tutto questo iter, passa il termine di un anno, il debitore non può più fallire. Organi del fallimento Soggetti che a vario titolo hanno delle competenze nella procedura fallimentare: tribunale; giudice delegato; curatore; comitato dei creditori. Prima della riforma del 2006/2007 il ruolo di comando della gestione di un fallimento era in capo al giudice delegato, e solo in secondo piano il tribunale si occupava della gestione indiretta sulla prosecuzione della procedura fallimentare medesima (ruolo forte del giudice). Dopo la riforma del 2006/2007 il ruolo del giudice è meno forte, ma viene potenziato quello del curatore e quello del comitato dei creditori (= organo collegiale composto da 3 o 5 creditori), il quale ha un ruolo decisivo e autonomo nell‟ambito del fallimento. Si riserva al giudice delegato e al tribunale un ruolo il più giudiziario possibile, per la risoluzione delle controversie, e non più un ruolo gestionale (da organo supremo di gestione, a organo decisorio). In base all‟art. 23 della L.f. il tribunale nomina, revoca, sostituisce gli organi della procedura, quando questo non sia compito del giudice delegato. Mentre l‟art. 24 della L.f. enuncia che il tribunale fallimentare sia l‟organo competente a conoscere tutte le operazioni della gestione fallimentare. Per questo motivo nella sua posizione non può avere al suo interno il giudice delegato: si creerebbe un‟evidente contraddizione (principio introdotto di recente nel diritto fallimentare). Gli artt. 23-24 della L.f. riguardano in particolare: l‟art. 24 della L.f. riguarda le cause, le liti che possono insorgere durante il fallimento, mentre l‟art. 23 della L.f. riguarda la giurisdizione non contenziosa relativa alla prosecuzione del fallimento medesimo, con particolare interesse alle procedure, infatti si svolge in rito camerale (rito che non prevede delle particolari regole). L‟art. 26 della L.f. dice che può essere fatto reclamo davanti alla Corte d‟Appello entro 10 gg dalla notificazione del provvedimento fallimentare: non viene 16 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it detto nulla sul ricorso in Cassazione per i provvedimenti della Corte d‟Appello, allora si fa riferimento sull‟art. 111 della Costituzione, per il quale è prevista comunque la possibilità di giudizio in Cassazione (solo per quanto riguarda i diritti soggettivi assoluti, per gli altri diritti organizzativi non è possibile ricorrervi). Sempre l‟art. 24 della L.f. prevede che derivino dal fallimento (= azioni che derivano dal fallimento, azioni ancillari): l‟accertamento passivo; azioni revocatorie fallimentari. Entrambe queste azioni sono di competenza del tribunale fallimentare. Mentre non sono di competenza di tale tribunale le azioni eseguite al di fuori del procedimento fallimentare, come ad es. le azioni di responsabilità contro gli amministratori della società fallita per atti dolosi o colposi (artt. 2292-2293-2294 c.c.) Il giudice delegato Viene nominato dal tribunale nella sentenza che dichiara il fallimento, ha un ruolo di controllo generale sulla procedura (il curatore, invece, è il gestore patrimoniale). Egli è colui che controlla il curatore per l‟art. 45 della L.f., infatti vigila e controlla sulla regolarità della procedura, e ancora provvede entro 15 gg dal reclamo a ricorrere contro il curatore medesimo, o autorizza lo stesso a intraprendere le cause. In pratica il giudice delegato ha le seguenti funzioni: funzione di controllo amministrativo: sulle procedure; funzione giurisdizionale: contestuale all‟accertamento sui contenziosi tra gli organi del fallimento. Questo ultimo ruolo giurisdizionale per la risoluzione dei contenziosi può anche essere considerata una funzione di controllo sulla procedura → ruolo decisorio atipico per un giudice, infatti questo ha anche il compito di amministrare il fallimento: per poterlo gestire bisogna possedere competenze economico-gestionali. Il giudice delegato non è superiore, gerarchicamente, al curatore, ma può controllare sui suoi atti. L‟art. 25 comma 1 della L.f. prevede un compito importante, quello di emettere e provocare (a fronte delle competenti autorità) i provvedimenti urgenti per la conservazione del patrimonio, detti decreti di acquisizione: il giudice delegato fa rientrare autoritativamente nella massa attiva, beni che sono restati fuori rispetto all‟inventario dell‟attivo, o che sono sorti dopo la dichiarazione del fallimento. Limite: non sono ammessi in tale categoria di beni quando essi coincidono con i diritti di terzi, che quindi ne possono rivendicare il possesso. Il potere del giudice delegato, che non è indicato nell‟art. 25 della L.f., è quello di nominare il comitato dei creditori. I decreti del giudice delegato sono impugnabili (quando comunicati). Il curatore E‟ il tecnico della procedura: amministra e gestisce la vendita patrimoniale fallimentare. Organo centrale della gestione della medesima procedura: è un terzo imparziale, un pubblico ufficiale che ha un ruolo fiduciario nei confronti dei creditori (tutela i loro interessi). Talvolta, però, è una sorta di successore del fallito, poiché si comporta esattamente come farebbe questo, e ancora in altre situazioni si comporta esattamente come farebbero i creditori, ad es. nel caso di verifica del passivo. Il curatore è un organo uni personale, può 17 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it essere una persona fisica o uno studio professionale associato con indicazione della persona fisica responsabile delle procedure. Per essere curatore occorrono dei requisiti positivi, i quali: essere avvocato; essere dottore commercialista: compito più adatto a tale figura per le competenze richieste, gestionali, tributarie, lavoristiche, previdenziali (comunque individuare il curatore è una scelta del tribunale); essere ragioniere; essere ragioniere commercialista; essere un soggetto che ha svolto mansioni di amministrazione e di controllo all‟interno di una SPA; tale soggetto non deve essere dichiarato fallito; il più delle volte si tratta di un manager. I requisiti negativi per essere curatore sono: non deve essere il coniuge e/o un parente affine entro il IV grado del fallito; non deve essere un creditore; non deve essere chiunque abbia un conflitto di interessi nei confronti della procedura fallimentare. Il curatore entro 2 gg successivi alla sua nomina deve far pervenire la sua accettazione al giudice delegato, per l‟art. 29 della L.f.. Solo dopo derivano gli obblighi della stessa. Mentre il suo potere cessa solo mediante decreto motivato (revoca); vi sono altre ipotesi, oltre la revoca che fanno cessare il potere del curatore, ma queste non sono previste dalla legge, come ad es. in caso di morte o di dimissioni dello stesso. In questi casi non tutelati dalla L.f. si provvede, mediante sostituzione fatta dal tribunale, in applicazione dell‟art. 37 bis della L.f.. Il curatore deve svolgere le operazioni personalmente, ma può anche nominare un coadiuvatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori. Il compenso del coadiuvatore è detratto direttamente da quello del curatore, il quale è anche responsabile dello stesso. Secondo l‟art. 32 della L.f. il curatore deve compiere personalmente le azioni del proprio ufficio, rispetto il suo ruolo fiduciario, nei confronti del tribunale che lo ha nominato. Compiti del curatore: sono i seguenti: amministrare il patrimonio fallimentare, gestirlo sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori (art. 31 della L.f.); mandare avanti la procedura fallimentare, fare in modo che il patrimonio venga quantificato al meglio; portare avanti fino al completamento del fallimento; rappresentare in giudizio (ruolo giudiziale) l‟impresa fallita; dialogare costantemente con il giudice delegato per il rapporto fiduciario sorto. Gestione del patrimonio: tale gestione è effettuata dal curatore sempre sotto vigilanza: gli atti di ordinaria amministrazione vengono compiuti dal curatore in massima libertà, mentre quelli di straordinaria amministrazione, ai sensi dell‟art. 35 della L.f., vengono eseguiti previa autorizzazione del comitato dei creditori (prima della riforma: tale autorizzazione veniva dal giudice delegato o dal tribunale). Questi ultimi atti sono rappresentati da: transazioni; rinuncia dei crediti; 18 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it rinuncia alle cause; riconoscimento di un diritto di terzi; riconoscimento di ipoteche; ecc.; e atti di straordinaria amministrazione in genere. In caso di atti di straordinaria amministrazione superiori ai 50.000 €, oltre all‟autorizzazione del comitato dei creditori, è necessario informare anche il giudice delegato, perché tali atti sono anche quelli che possono portare alla revoca dello stesso curatore che li mette in atto. Rappresentazione processuale del curatore: il curatore è un organo esterno alla procedura, che però, in sede sostanziale e processuale, rappresenta l‟impresa durante il procedimento fallimentare. Infatti egli tiene tutti i rapporti economici del fallito (tale funzione viene analizzata sotto diversi punti di vista: come successore del fallito, come terzo soggetto del fallito; è opinione prevalente che sia un terzo soggetto del passivo, ciò è dimostrato dal fatto che in sede di apertura del fallimento, i giudizi pendenti in capo al fallito si interrompono, ai sensi dell‟art. 43 della L.f., i quali possono essere ripresi in considerazione dopo 6 mesi dallo stesso curatore, oppure possono si estinguono, in pratica è il curatore medesimo a decidere se continuare o meno i processi in capo al debitore fallito: in ogni caso non possono essere continuati quei processi sorti prima del fallimento messi in atto dai creditori, e durante il suo svolgimento, tali creditori siano compresi nella totalità dei crediti da accertare; visto che la procedura fallimentare rappresenta anche la sede che accerta i vari crediti, il processo aperto si interrompe perché non ha senso di esistere). Il curatore ha anche delle funzioni più amministrative, le quali sono previste da norme sparse della L.f.: redigere l‟elenco dei beni del fallimento, partendo dal libro degli inventari dell‟imprenditore; prendere in consegna tali beni, che entrano in possesso del curatore stesso; prendere nota in un apposito registro di tutte le operazioni effettuate per i rapporti di cui si è fatto carico; l‟art. 104 ter della L.f. predispone che il curatore rediga il programma della liquidazione, il quale entro 60 gg dall‟inventario viene predisposto, che viene sottoposto al controllo del comitato dei creditori (in esso sono tracciate le linee guida riguardante la vendita delle attività). E‟ in questa sede che il curatore prevede, se eventualmente, vendere l‟azienda tutta insieme (azienda che è viva) o meno, stabilendo, quindi di conseguenza l‟esercizio provvisorio dell’attività o meno (l‟esercizio provvisorio dell‟attività è indispensabile qualora si voglia vendere l‟impresa nel suo complesso). Tale esercizio comporta una sfida per il curatore poiché è uno di quei casi in cui si manda avanti un‟impresa senza l‟imprenditore. Nel programma della liquidazione, devono essere indicate le eventuali azioni risarcitorie e/o revocatorie, come ad es. quelle sulla responsabilità.. In definitiva si può dire che il programma della liquidazione è il programma gestorio del curatore; deve accollarsi anche un compito informativo, previsto dall‟ex art.33 della L.f., che ha lo scopo appunto di informare il giudice delegato entro 60 gg dalla redazione del programma della liquidazione: questa relazione è finalizzata a fornire al giudice 19 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it delegato stesso, nonché al comitato dei creditori, informazioni su eventuali responsabilità del debitore e che sono ricorribili in sede civile e/o penale (ad es. nel caso di bancarotta fraudolenta). Responsabilità del curatore, disciplinata dall‟art. 48 della L.f., qualora non abbia adempiuto ai suoi doveri, egli rischia la revoca. In tal caso viene nominato un altro curatore che si assume la responsabilità contrattuale, che si basa sulla diligenza di natura tecnico-professionale (≠da diligenza del buon padre di famiglia) che assomiglia a quella prevista per gli amministratori di una SPA. Quando il curatore cessa dal suo incarico (in caso di rinuncia, di revoca o semplicemente di conclusione della procedura concorsuale) deve rendere il conto (come previsto nel caso dei mandatari, questo perché vengono gestiti dei beni per conto del creditore), ai sensi dell‟art. 116 della L.f. comma 3, ossia devono essere indicate in un documento apposito tutte le operazioni contabili svoltesi durante la procedura di fallimento. I creditori ricevono tale rendiconto dopo il giudice delegato, e dopo essere stato depositato in cancelleria del tribunale dallo stesso (mediante tale procedura il rendiconto è formalmente legalizzato), e vengono invitati in un‟udienza dove esso viene approvato. Una volta approvato, viene meno qualunque responsabilità in capo al curatore (momento importante). Compenso del curatore: l‟art. 33 della L.f. prevede che il compenso e le spese in capo al curatore debbano essere determinati dal tribunale dopo l‟approvazione del rendiconto, il quale necessita dell‟approvazione del giudice delegato. Siccome accade spesso che la procedura fallimentare duri anni, il tribunale prevede degli acconti rispetto a quello che sarà il compenso totale del curatore, i quali sono determinati sulla base di tariffe professionali e parametrati in base alle attività patrimoniali (in base alla bravura del curatore di liquidare al maggior valore possibile le attività) e in base alle passività patrimoniali (in questo caso egli non ha alcun merito/demerito che è in capo all‟imprenditore, ma più grande è il passivo e più complessa sarà la procedura, la quale appunto richiede elevata professionalità del curatore). Il compenso viene pagato in prededuzione rispetto ai crediti dei creditori per l‟art. 111 comma 1 della L.f. e per l‟art. 111 bis della L.f., per i quali le somme ricavate per la liquidazione dell‟attivo debbano essere utilizzati alla copertura dei crediti prededucibili, quelli sorti nel corso della procedura concorsuale, come appunto risulta il compenso del curatore. In caso il curatore contesti il suo compenso pagatogli dal tribunale può fare riferimento all‟art. 39 della L.f., il oggetto di diverse interpretazioni: l‟opinione prevalente riguarda il fatto che tale norma rientri nel caso del reclamo contro i provvedimenti del giudice delegato e del tribunale. Comitato dei creditori Tutelato dagli artt. 40-41 della L.f.. Organo completamente ridisegnato dopo la riforma del 2006 (prima di tale riforma, infatti, era completamente inutile: se i creditori esponevano un parere negativo, non contava, poiché la decisione finale era sempre in capo al giudice delegato). Attualmente il ruolo del giudice è meno centrale, mentre è diventato più importante quello dei creditori. Tale comitato è nominato dal giudice delegato entro 30 gg dal fallimento, ed è composto da 3 o 5 membri scelti tra tutti i creditori per rappresentare in maniera calibrata la quantità e la qualità del credito totale, per l‟art. 40 della L.f.. Il comitato nomina poi il suo presidente; se qualche membro si dimette viene sostituito dal giudice delegato. Il 20 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it comitato delibera collegialmente a maggioranza previa convocazione. L‟art. 41 della L.f. elenca i compiti del comitato: vigila sugli atti del curatore; autorizza gli atti del curatore; esprime parere sugli atti del giudice delegato e del tribunale, motivandoli. Il curatore, in alcuni atti (di straordinaria amministrazione), non può agire se non previa autorizzazione del comitato dei creditori. Esso ha il compito importante di approvare il programma della liquidazione (così facendo entra pesantemente nella gestione; la sua funzione ricorda quella del Collegio sindacale della SPA). Se il comitato, in caso non esprima parere entro i 15 gg previsti per l‟atto che dovrebbe espletare il curatore, e quest‟ultimo lo svolge comunque perché lo ritiene di particolare importanza → vizio di legittimità del provvedimento a livello interno, la responsabilità è del curatore che lo ha posto in essere comunque, e dei creditori che non hanno risposto entro il termine previsto. Tale vizio non agisce nei confronti dei terzi, quindi l‟atto rimane valido. Comunque in caso di inerzia del comitato dei creditori, il curatore può sostituire il loro parere con quello del giudice delegato, manlevandosi così di qualunque responsabilità per l‟art. 41 della L.f. comma 4 (provvedimento sostitutivo del giudice delegato). Il comitato dei creditori ha diritto a un rimborso spese, e se la maggioranza dei creditori è d‟accordo, si può addirittura stabilire un compenso che non deve essere superiore a 1/10 di quello del curatore (la prassi, solitamente, non prevede alcun compenso). Per similitudine: comitato dei creditori art. 41 della L.f. comma 7 Collegio sindacale art. 2407 c.c. rinvio → per le azioni di responsabilità contro il comitato dei creditori, promosse dal curatore Effetti del fallimento Tali effetti possono riguardare: il fallito; i creditori; altri soggetti che hanno pregiudicato i creditori; coloro che hanno degli atti pendenti a causa dell‟apertura del procedimento di fallimento. Ratio: attraverso la disciplina si vuole soddisfare al massimo i creditori nel rispetto della par condicio di tutti i crediti. Effetti del fallimento sul fallito Gli organi del fallimento devono avere il controllo dei beni del fallito per soddisfare il più rapidamente possibile la ragione dei creditori. Tale processo è denominato spossessamento del fallito, dovuto dalla gestione del suo patrimonio, in base all‟art. 42 comma 1 della L.f.: il fallito viene estromesso dalla gestione del proprio patrimonio; in caso di società gli amministratori rimangono in carica, ma non contano più niente. Alla chiusura della procedura 21 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it fallimentare, gli eventuali beni rimanenti (non succede quasi mai che rimangano dei beni dopo il fallimento) ritornano nel possesso degli amministratori, poiché non vi è un atto di trasferimento della proprietà da questi al curatore durante la procedura concorsuale, quindi se non vengono venduti tornano nelle mani del legittimo proprietario. Si tratta di uno spossessamento relativo, ossia riguarda solo una parte dei beni del fallito (beni = beni mobili, beni immobili, crediti), i quali: i beni dell‟impresa; i beni entrati a far parte di essa dopo l‟apertura del fallimento. Lo spossessamento, quindi, riguarda tutti i beni che al momento della procedura concorsuale sono in possesso del debitore, anche in riguardo a quelli che non sono suoi (acquistati mediante finanziamento): vi è, naturalmente, un procedimento per consentire al terzo effettivamente proprietario di tale bene di riprenderselo → procedimento di rivendica, previsto dall‟art. 103 della L.f.. Ancora rientrano nei beni dell‟imprenditore fallito, quelli dello stesso, ma che al momento non sono in suo possesso al momento dello spossessamento, per l‟art. 5 della L.f. comma 2. Infine tale azione di spossessamento non si estende ai beni appena citati, per l‟art. 42 comma 3 della L.f., nel caso essi siano di minor valore rispetto al costo che bisognerebbe sostenere per il loro recupero (logica economica) in modo tale da evitare operazioni non convenienti. L‟art. 46 della L.f. elenca i beni che non possono essere assoggettati ai vincoli fallimentari, i quali: i beni/i diritti di natura strettamente personale; i beni personalissimi, impignorabili per legge: ad es. per i professanti del culto le cose sacre, la fede nuziale, i vestiti, la biancheria, il frigorifero, il fornello della cucina, le sedie, il tavolo e tutta una serie di beni indispensabili alla sopravvivenza; assegni aventi carattere di sussistenza, come pensioni, stipendi, lasciati stare in base a quanto serve al fallito e alla sua famiglia per il mantenimento; ancora vi è un diritto del fallito, il quale può richiedere un sussidio per gli alimenti (art. 47 della L.f.). Va sentito il parere del comitato dei creditori, perché tale provvedimento va a scapito loro; la casa del fallito viene lasciata stare fino al termine della liquidazione dell‟attiva: in pratica viene liquidata per ultima, così facendo si lascia l‟immobile a disposizione del fallito e della propria famiglia fino a che non se ne può fare a meno. 22 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it L‟art. 43 della L.f. tratta la perdita della legittimazione processuale del fallito sia attiva che passiva, ossia la capacità dello stesso di essere parte in causa in un processo. Per le cause che sono cominciate in un periodo anteriore al fallimento e che continuano, tale capacità viene trasferita al curatore: questa è una conseguenza dello spossessamento. Tale condizione di subentro del curatore segue però delle regole: il subentro riguarda solo le cause di diritti patrimoniali relativi al fallito, la perdita della legittimazione processuale non riguarda le cause con oggetto beni o rapporti personali; il subentro del curatore comunque non è automatico: non è detto che il curatore abbia lo stesso punto di vista del fallito, ossia la causa può non essere condivisa dal curatore → art. 43 della L.f. comma 3: dice che l‟apertura del fallimento determina l‟interruzione del processo. In tale sede deve essere comunicato che il soggetto in giudizio è fallito al tribunale in questione, e quando il processo si interrompe può essere riassunto entro 6 mesi dall‟interruzione stessa, cosicché il giudizio prosegua davanti allo stesso giudice, alla medesima fase processuale in cui si è interrotto. Tutti i giudizi possono proseguire, tranne quelli inerenti all‟accertamento dei crediti nei confronti del fallito e quelli riguardanti la restituzione di beni. Questo perché tali argomenti devono essere trattati in un foro (= luogo) speciali di giudizio (→ giudizio accertamento passivo) nell‟ambito del processo fallimentare. L‟art. 41 della L.f., sempre in conseguenza dello spossessamento dei beni in capo al debitore fallito, enuncia che tutti gli atti compiuti dal fallito, in seguito all‟apertura della procedura fallimentare, siano inefficaci rispetto ai creditori. Ancora inefficaci risultano gli atti riferiti 23 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it a dei pagamenti di somme di denaro al fallito (il fallito non può vendere un bene e non può ricevere alcun pagamento). In qual caso deve restituire quanto ricavato agli organi della procedura. Sempre per tale articolo conta solo la situazione di fatto e non lo stato psicologico della parte che in buona fede ha eseguito l‟operazione non consentita (ad es. non sapeva che il debitore fosse effettivamente fallito). Sempre in conseguenza allo spossessamento, l‟art. 45 della L.f., parla di formalità necessarie (= le trascrizioni che bisognano per rendere visibile e/o opponibile ai terzi qualcosa, come ad es. la trascrizione dei Registri immobiliari della vendita di un immobile) per determinate azioni eseguite successivamente alla dichiarazione di fallimento, con effetti post fallimento: tali formalità rendono inefficace l‟azione intrapresa poiché essa è pubblicata in pubblici registri, in pratica nei confronti di tale azione ci si comporta come se essa non fosse mai avvenuta. Un‟altra formalità prevista dall‟art. sopracitato è quella della data certa di scritture private non autenticate dal notaio: in pratica riguarda quelle scritture private fatte su un pezzo di carta sottoscritte dal debitore fallito e da un terzo in bonis, nelle quali il debitore riconosce dei diritti al terzo. E‟ importante per il terzo in bonis che il fallito riconosca il suo diritto il quale viene preso in considerazione nella procedura fallimentare (ad es. per il caso dell‟iscrizione al passivo fallimentare del debito dovuto al terzo in bonis medesimo) solo se la data è certa per evitare abusi. Le scritture aventi data certa hanno le seguenti caratteristiche: sono atti pubblici; sono scritture private autenticate; sono scritture private non autenticate sottoscritte da un soggetto deceduto in un periodo anteriore al fallimento; sono scritture private non autenticate sottoscritte da un soggetto per cui è sopravvenuta l‟incapacità fisica dopo la dichiarazione di fallimento; sono scritture private non autenticate le quali hanno contenuti uguali a un atto pubblico sottoscritto prima del fallimento; si tratta di qualunque atto o fatto che stabilisca l‟anteriorità all‟apertura del fallimento, che abbia prodotto una qualche conseguenza anteriore alla procedura concorsuale. La data certa non può essere provata da testimoni. Effetti personali del fallimento verso il fallito Prima della riforma del 2006 tali effetti erano drammatici, infatti: la corrispondenza (tutta) era consegnata al curatore, che ne controllava la natura e poi consegnava al fallito lettere e/o cartoline personali; l‟ex art. 49 della L.f. prevedeva che il fallito non si allontanasse dalla sua residenza, se non previa comunicazione al giudice delegato, che poteva accordare o meno il fatto; l‟ex art. 50 della L.f. prevedeva il pubblico registro dei falliti, finché una persona vi era iscritta essa veniva privata dei diritti civili, quali l‟elettorato sia attivo che passivo. Per fortuna dopo la riforma del 2006 la situazione invalidante è stata nettamente migliorata: la corrispondenza resta al fallito persona fisica che è tenuto solo a consegnare la corrispondenza (anche quella elettronica) al curatore che riguardi i rapporti 24 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it patrimoniali. Il fallito non persona fisica (società) deve consegnare in ogni caso tutta la posta al curatore, poiché questa riguarda senza dubbio rapporti patrimoniali della stessa e non può essere di natura personale; l‟art. 49 della L.f. riguarda i rapporti con gli organi del fallimento, quindi il debitore è tenuto a comunicare lo spostamento della residenza e/o del domicilio, e dovrà presentarsi in tribunale quando convenuto; il pubblico registro dei falliti è stato abrogato poiché era troppo infamante e perché si veniva cancellati solo dopo la cosiddetta riabilitazione (ex art. 147 della L.f.), la quale veniva concessa solo al fallito che aveva pagato tutti i creditori, o almeno il 25% dei crediti chirografari o ancora se aveva tenuto una “buona condotta” per almeno 5 anni: in pratica il fallito persona fisica aveva la vita pressoché rovinata. Nonostante l‟abrogazione del pubblico registro dei falliti non sono venute meno tutte le limitazioni riguardo le incapacità del fallito, le quali sono ancora previste dal c.c.: non può essere tutore (perché essere tutore prevede di possedere la capacità gestionale del patrimonio del minore); non può essere amministratore di SPA e SRL; non può essere sindaco di SPA; non può essere membro di organi gestori delle SPA (non può avere incarichi societari di contenuto economico); non può fare l‟avvocato, il commercialista, il notaio poiché si tratta di professioni aventi contenuto economico: questo provvedimento è contestato da alcuni che lo vedono esagerato. Comunque il fallito persona fisica può svolgere un lavoro dipendente senza problemi, a parte il fatto che il giudice delegato può stabilire una decurtazione del suo stipendio a scopo dell‟assolvimento dei crediti. Effetti del fallimento per i creditori Il fallimento rappresenta per i creditori una forma di esecuzione collettiva ai beni del fallito. Da una parte vi è il fatto che il patrimonio del debitore sia gestito da un curatore, dall‟altra parte vi sono delle norme necessarie per tutelare la parità di trattamento dei creditori, detta par condicio. Si tratta di crediti sorti anteriormente alla dichiarazione di fallimento e rappresentanti la massa passiva. La L.f. regola la massa passiva da norme ad hoc, come appena visto, che determinano la par condicio, ma che dettano regole in base alle quali: la scadenza dei debiti pecuniari che devono essere sorti prima del fallimento non deve ancora essere avvenuta (in pratica si tratta di debiti non scaduti); la corresponsione degli interessi che decorre dalla data del fallimento; i debiti anche non liquidi non ancora determinati nel loro ammontare o in moneta straniera devono essere commisurati alla data del fallimento. Per trattare tutti i crediti al medesimo modo bisogna prendere in considerazione la regola contenuta nell‟art. 51 della L.f., in base alla quale ciascun creditore non può iniziare o proseguire qualunque azione esecutiva o cautelare (sequestro o pignoramento) individuale: i creditori o non iniziano nemmeno o interrompono la procedura poiché l‟intero patrimonio deve 25 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it essere a disposizione di tutti i creditori per la par condicio. Quindi il fallimento segna la fine di tutte le azioni di tutela individuale creditoria. Le azioni che i curatori intraprendono contro i possibili responsabili del fallimento, a tutela dei creditori, sono previste contro gli amministratori, i sindaci di società, per l‟art. 2394 c.c. (= soggetti non falliti). Spettano altresì al curatore tutte quelle azioni che possono aumentare la massa attiva del patrimonio fallimentare per l‟art. 2394 bis c.c. e per l‟art. 143 della L.f.. L‟art. 51 della L.f. dice salvo altre disposizioni: questo significa che in alcuni casi la vendita di beni pignorati o sequestrati è espressamente prevista da altre leggi (ad es. il TUB prevede che la banca possa far vendere il bene pignorato, ma non è detto che gli convenga farlo,dipende dal valore economico del bene in questione). L‟art. 52 della L.f. regola i comportamenti dei creditori, ossia si prevede che l‟apertura del fallimento apra il concorso collettivo tra gli stessi in modo tale che si soddisfino sui beni patrimoniali del fallito, mediante l‟intervento del curatore. La gerarchia rispettata per il soddisfacimento dei crediti è: 1. crediti prededucibili: quelli sorti dopo l‟apertura di istanza di fallimento; 2. crediti privilegiati: stabiliti per legge; 3. crediti chirografari: stabiliti per legge per deduzione rispetto a quelli privilegiati; 4. crediti subordinati o postergati: possono essere soddisfatti solo se sono pagati per intero i chirografari, e sono ad es. i finanziamenti dei soci alla società (art. 2467 comma 2 c.c. per le SRL, art. 2497 quinques c.c. per le SPA): tali soci hanno rifinanziato la società, quindi sono creditori rispetto la medesima, da non confondere con il conferimento del capitale di rischio, in tal caso, infatti i soci non sono creditori della società. In linea generale il fallimento sospende il corso degli interessi, ai sensi dell‟art. 55 comma 1 della L.f., almeno che i creditori non siano garantiti da ipoteca, pegno o privilegio nei limiti dell‟art. 54 comma 3 della L.f., in cui si rinvia al c.c., più precisamente all‟art. 2855 c.c., in cui si stabilisce che i crediti ipotecari valgono per l‟annata in corso e per le due annate precedenti. L‟art. 54 comma 1 della L.f. si rivolge ai crediti privilegiati a carattere generale, per i quali gli interessi decorrono fino alla data del primo pagamento effettuato (ad es. nel caso del pagamento degli stipendi). 26 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Come già detto in precedenza tutti i crediti si considerano scaduti dopo l‟apertura del fallimento, non decorrono più gli interessi degli stessi (eccezione fanno i crediti privilegiati), il fallito non può più effettuare pagamenti e se ricevesse una somma di denaro, e non la rimettesse all‟interno della procedura di fallimento, colui che ha pagato (il debitore del fallito) deve ripagare la somma per rimetterla a disposizione del patrimonio fallimentare. L‟art. 56 della L.f. regola la compensazione in sede di fallimento in favore dei soggetti che da una parte si ritrovano a essere creditori verso il fallito e dall‟altra debitori verso lo stesso. In tal caso è possibile compensare il credito con il debito che si ha nei confronti del fallito, anche se il credito non sia scaduto prima del fallimento. In pratica: soggetto A = imprenditore fallito ↓ debito (1) ↑ credito (1) soggetto B = creditore del fallito ma al medesimo tempo: soggetto A = imprenditore fallito = creditore di soggetto B ↓ credito (2) 27 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it ↑ debito (2) soggetto B = creditore del fallito = debitore di soggetto A quindi: debito (2) ↔ credito (1) anche se non scaduto prima del fallimento ↓ compensazione Si tratta di un obbligazione simile rispetto alla compensazione prevista dal c.c., ma in più in sede fallimentare è consentita quando il credito in bonis non sia scaduto prima del fallimento → estensione del c.c., si vuole evitare il fatto di non far riscuotere al creditore in bonis il suo credito, per la salvaguardia del patrimonio, ma pretendendo dal medesimo la riscossione del debito. L‟art. 56 comma 2 della L.f. prevede che il debitore dell‟imprenditore fallito di un debito non ancora scaduto non possa acquistare da un terzo soggetto creditore del fallito medesimo un credito al fine della compensazione (senza dover assolvere il suo debito, quindi): per evitare tale forma di speculazione, la compensazione non vale per l‟acquisto di crediti non scaduti dopo il fallimento o l‟anno precedente allo stesso. Tale divieto riguarda solo i crediti non scaduti, ma è consentito (anche se avviene dopo il fallimento) per i crediti già scaduti, ossia la compensazione è consentita. Anche in sede fallimentare, come in quello civile, la compensazione prevede dei requisiti (per essere consentita), i quali: omogeneità dei due crediti i quali devono essere pecuniari o avere per oggetto beni della stessa specie. Ulteriore elemento di omogeneità è che entrambi devono essere maturati prima o entrambi devono essere maturati dopo la dichiarazione del fallimento (ad es. debiti verso la massa; debiti derivanti da revocatoria fallimentare); i crediti devono essere liquidati, ossia occorre che ne sia accertata l‟esistenza; autonomia dei due crediti: le rispettive pretese devono essere generate da due distinti rapporti giuridici, perché se le due pretese sorgessero da un unico contratto ci si ritroverebbe di fronte a un saldo che potrebbe essere attivo o passivo, come avviene nel caso del c/c bancario e quindi non si potrebbe estinguere per revocatoria. Sempre nell‟ambito degli effetti del fallimento sui creditori, occorre menzionare gli artt. 6162-63 della L.f.. L‟art. 61 della L.f. riguarda i creditori coobbligati in solido falliti. In pratica il creditore di più soggetti, i quali abbiano assunto in solido i loro debiti e che siano falliti, concorre in tutti i fallimenti, e in caso uno dei debitori falliti paghi di più rispetto agli altri, può richiedere la cosiddetta azione di regressione verso gli altri debitori, la quale si può fare solo dopo che il creditore sia stato completamente soddisfatto. L‟art. 62 della L.f. riguarda il fatto che il creditore il quale abbia ricevuto prima della dichiarazione di fallimento solo una parte del credito da parte del fideiussore coobbligato, possa concorrere nel passivo fallimentare solamente per la parte di credito non riscossa; al medesimo modo anche il fideiussore coobbligato è ammesso al passivo per la parte che ha pagato al creditore. L‟art. 63 della L.f. riguarda il coobbligato fideiussore, il quale abbia chiesto in cambio al debitore un pegno/un‟ipoteca, che può insinuarsi comunque nel passivo fallimentare, indipendentemente al fatto che abbia o meno adempiuto, per l‟intera somma equivalente al valore del 28 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it pegno/dell‟ipoteca ma tale ricavato spetta al creditore, se non avesse ancora adempiuto a soddisfarlo. Effetto del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori Il fallimento consente di reintegrare il patrimonio del fallito entro un certo termine, al fine di rispettare il principio della parità di trattamento tra tutti i creditori. Questo principio deve essere rispettato sempre, quindi occorre porre particolare attenzione soprattutto agli ultimi tempi della vita dell‟impresa (che poi è fallita), infatti, essa, in tale periodo molto probabilmente era già insolvente. Il problema è quanto si può andare indietro? 6 mesi, un anno, due anni, i quali sono rispettivamente i periodi di sospetto. Il curatore ha la funzione delicata di cercare un equilibrio tra il creditore che non è ancora stato soddisfatto e quello che è stato pagato, e se è il caso chiedere a quest‟ultimo la restituzione dello stesso al fine della ricostituzione del patrimonio dell‟impresa fallita, qualora quest‟atto risultasse sospetto. Tali atti sono denominati revocatorie. La revocatoria ordinaria è disciplinata, a livello civilistico, nell‟art. 2901 del c.c. e ai sensi dell‟art. 66 della L.f. si disciplina che essa debba essere effettuata dal curatore. Altri tipi di revocatoria sono: revocatoria straordinaria; revocatoria a titolo gratuito; revocatoria di crediti non scaduti dopo la dichiarazione di fallimento, pagati prima della stessa; revocatoria a titolo oneroso; revocatoria degli atti tra coniugi, secondo l‟ex art. 70 della L.f. era denominata preannunciazione muciaria e faceva presumere che il coniuge del fallito comprava beni col denaro dello stesso, se tali beni fossero stati acquistati entro i 5 anni precedenti al fallimento. L‟onere della prova era a carico del coniuge. Oggi la norma è stata abrogata perché ritenuta eccessiva, ed è stata sostituita con l‟art. 69 della L.f.. L‟art. 2901 del c.c. tratta la revocatoria ordinaria, la quale per l‟art. 66 della L.f., può essere sostenuta dal curatore che vuole conservare il patrimonio del debitore fallito, a tutela di tutti i creditori. Tramite tale norma civilistica si rendono inefficaci gli atti patrimoniali posti in essere dal fallito che mettono in pericolo il credito totale (atto pregiudizievole = atto patrimoniale che mette in pericolo la somma di tutti i crediti di tutti i creditori), quando concorrano le seguenti condizioni (art. 2901 c.c.): il debitore conosce l‟effetto pregiudizievole dell‟atto posto in essere prima del fallimento, in pratica ha fatto finta di nulla, se l‟atto stesso avviene prima del sorgere del credito; se l‟atto è a titolo gratuito la conoscenza dell‟effetto pregiudizievole da parte (solamente) del debitore; se l‟atto è a titolo oneroso, per l‟art. 2901 c.c., la conoscenza dell‟effetto pregiudizievole deve essere a capo non solo del debitore fallito, ma anche del terzo protagonista anch‟esso dell‟azione stessa. Quindi: in tutti i casi appena visti l‟atto è revocato. In ambito civilistico: 29 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it consapevolezza del pregiudizio (= effetto pregiudizievole) + dannosità dell‟atto nei confronti del creditore deve essere provato dal creditore che agisce in revocatoria, solo a questo punto l‟atto risulta inefficace solo nei suoi confronti. In sede fallimentare tale azione può essere promossa esclusivamente dal curatore. Il terzo soggetto della revocatoria (colui che si ritrova a dover restituire qualcosa oggetto dell‟atto pregiudizievole), comunque si insinuerà nel passivo per la parità dei diritti di tutti i creditori, i quali, diversamente dalla norma civilistica, beneficeranno tutti dalla medesima revocatoria. Sempre per l‟art. 2901 c.c. comma 3 non può essere revocato il caso di un pagamento da parte del fallito di un debito scaduto. Revocatoria fallimentare E‟ prevista dall‟art. 66 della L.f. e si distingue in: revocatoria ordinaria a titolo gratuito: occorre, come nell‟ambito civilistico, la consapevolezza solo da parte del debitore del pregiudizio; revocatoria ordinaria a titolo oneroso: prevista dall‟art. 67 della L.f.. Tale revocatoria può essere classificata ancora in: revocatoria ordinaria a titolo oneroso per gli atti anormali: art. 67 comma 1 della L.f.; revocatoria ordinaria a titolo oneroso per gli atti normali: art. 67 comma 2 della L.f.. La domanda già posta precedentemente è: quanto andare prima rispetto alla dichiarazione di fallimento (retrodatazione)? Certi ordinamenti lo stabiliscono per legge (quello italiano ad es.) altri stabiliscono tale termine in maniera mobile (ad es. è il caso francese). In Francia, infatti, il termine precedente al fallimento è stabilito dal giudice a seconda dei casi, in ogni caso non può superare i 18 mesi. Determinato il periodo di sospetto tutti gli atti a titolo gratuito (o sospetti) sono inefficaci. Mentre per quanto riguarda gli atti normali (per cui si prevede un corrispettivo economico) sono inefficaci solo se anche la controparte era a conoscenza del pregiudizio. In Italia la retrodatazione è stabilita per legge. La revocatoria è stato oggetto di riforma nel 2005, nel quale è stato emanato un d.l. che, rispetto alla normativa precedente, ha dimezzato il periodo sospetto. Infatti: prima della riforma: due anni per gli atti anormali; un anno per gli atti normali. Dopo la riforma: un anno per gli atti anormali; 6 mesi per gli atti normali. Tale riforma del 2005 ha anche introdotto nuovi termini per l‟esenzione della revocatoria, previsto dall‟art. 67 comma 3 della L.f.. Infatti: prima della riforma: la revocatoria poteva essere effettuata fino a 5 anni dopo la dichiarazione di fallimento. Dopo la riforma: la 30 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it revocatoria può essere effettuata fino a 3 anni dopo la dichiarazione di fallimento e non oltre i 5 anni in cui è avvenuto l‟atto pregiudizievole. La ratio del d.l. del 2005 è quella di proporre una revocatoria meno severa rispetto a quella precedente, così facendo si è tutelata meglio la parità dei creditori in ottica (obiettivo finale) della continuazione dell‟impresa. Infatti la revocatoria più severa prevista in precedenza accelerava la “morte” dell‟azienda, e i creditori non si fidavano a finanziare per paura di perdere quanto prestato (cosa che si è voluta evitare dopo il 2005). L‟art. 65 della L.f. regola gli atti a titolo gratuito i quali sono privi di effetto se compiuti due anni prima del fallimento dallo stesso fallito (a parte il fatto del regalo d‟uso) → inefficacia ex lege: la donazione a titolo gratuito nei due anni precedenti l‟istanza di fallimento. In pratica rappresentano quegli atti nei quali manca un corrispettivo, nei quali la controprestazione contrattuale riguarda: una donazione; una rinuncia (di un diritto); una remissione di un debito (rinuncia di un credito); delle prestazioni di garanzia a favore di terzi. Tutti gli atti appena nominati sono inefficaci ex lege se compiuti due anni precedentemente la dichiarazione di fallimento. 31 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Immagine L‟inefficacia dell‟atto comporta la restituzione di quanto dovuto, sempre ai sensi dell‟art. 65 della L.f. Ai sensi dell‟art. 44 della L.f. il fallito che continua a pagare debiti anche dopo la dichiarazione del fallimento, è in posizione non corretta: questa azione non si può fare perché tutti i crediti passano in consegna al curatore, il quale provvederà a gestirli. Tuttavia tale inconveniente accade spesso soprattutto nei primi giorni del fallimento. La revocatoria è disciplinata dall‟art. 67 comma 1 della L.f. riguarda gli atti anormali e gli atti sproporzionati; mentre l‟art. 67 comma 2 della L.f. prevede gli atti normali e l‟art. 67 comma 3 della L.f. le esenzioni da revocatoria. In particolare l‟art. 67 comma 1 della L.f.: atti sproporzionati: in cui vi è una prestazione più elevata di quanto effettivamente si ricavi da essa (ad es. nel caso di un pagamento di un bene molto più rispetto al suo valore); per tale norma gli atti che superano del 25% il valore della prestazione effettivo sono revocabili, il prezzo giusto va verificato alla data in cui il medesimo atto è posto in essere. Problema: la vendita in nero; essa riguarda il caso in cui il prezzo 32 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it vero non è quello risultante dall‟atto medesimo: infatti questo è più alto. Nonostante questo può capitare che la sproporzione sia già evincibile dall‟atto ufficiale: in norma di legge vale quest‟ultimo a scopi fallimentari, eventualmente l‟atto non ufficiale in cui è stato pattuito il prezzo realmente stabilito sarà importante sì, ma solo ai fini fiscali; atti estintivi di debiti pecuniari scaduti non pagati in denaro: sono previsti dalla legge solo in caso siano diffusi in un determinato settore, come ad es. la cessione di crediti nel settore bancario e navale in cui la prassi prevede tali forme di pagamento già nel contratto. La norma, invece, si riferisce a fenomeni diversi in cui vengono previsti pagamenti in denaro, ma per un motivo si paga in un altro modo (caso dubbio: pagare la merce rimasta in magazzino invenduta mediante la restituzione della stessa); garanzie per debiti preesistenti non scaduti: nel caso in cui l‟impresa fallita abbia un debito verso un soggetto chirografario che a un certo punto misteriosamente diventa un credito garantito da pegno/ipoteca, ossia il creditore chiede al fallendo una garanzia prima della scadenza del debito. Tali atti sono revocabili se sono effettuati entro l‟anno precedente al fallimento. La garanzia può essere rappresentata da pegno, ipoteca, anticresi: fattispecie volutamente elencate dal legislatore nella L.f.: ciò, in linea di massima, non vuol dire che al di fuori di queste elencate, le altre garanzie siano escluse dalle fattispecie, come ad es. la cessione del credito: in tal caso il periodo sospetto è sempre l‟anno precedente al fallimento; garanzie per debiti preesistenti e scaduti: e non pagati: il creditore chiede una garanzia o comunque cerca di procurarsela. In tal caso il periodo sospetto non è più un anno come nei casi visti precedentemente, ma 6 mesi precedentemente al fallimento, poiché alla scadenza del debito esso non viene pagato, ma in cambio viene prestata una garanzia. Tale atto rientra comunque nell‟art. 67 comma 1 della L.f. (che appunto prevede che il periodo sospetto sia di un anno, mentre l‟art. 67 comma 2 della L.f. prevede che lo stesso sia di 6 mesi) perché rientra sempre nello stesso caso per quanto concerne l‟onere della prova (l‟art. 67 comma 2 della L.f. prevede che l‟onere della prova sia a carico del creditore, il quale deve dimostrare di non aver conosciuto lo stato d‟insolvenza in cui versava il debitore fallito (prova difficilissima). L‟art. 67 comma 2 riguarda gli atti normali come il pagamento di crediti esigibili, gli atti a titolo oneroso (= i contratti) e gli atti costitutivi di un diritto di prelazione. Tali atti sono revocabili se vengono compiuti 6 mesi prima rispetto al fallimento e se si prova la conoscenza dell‟insolvenza da parte della controparte, la quale deve essere provata dal curatore (l‟onere della prova è a carico del curatore). Funzioni della revocatoria: la funzione principale dell‟azione di revocatoria è quella di ripristinare la parità di trattamento tra i creditori per quello che non è stato pagato in moneta concorsuale, ossia nella maggior parte dei fallimenti non si giunge mai all‟intera soddisfazione di tutti i creditori, quindi la parità consiste proprio di soddisfare tutti in parte, ma in maniera equa. Essa si giustifica anche in quanto il soddisfacimento di un determinato credito provoca un danno agli altri creditori dell‟impresa fallita (ad es. il creditore A ha riscosso il 100% del credito, mentre i creditori B, C e D solo il 40%). In pratica gli atti normali sono fallibili se vengono compiuti 6 mesi prima al fallimento e se il creditore sia a conoscenza dell‟insolvenza in capo al fallendo, eventualmente anche se l‟atto abbia provocato un danno agli altri creditori. Eventualmente, e non necessariamente, perché 33 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it non sempre viene provocata la dannosità, nel senso che comunque si prevede l‟ordine del privilegio del credito, come ad es. nel caso del pagamento dei dipendenti. L‟art. 67 comma 3 della L.f. prevede l‟esenzione da revocazione, ossia riguarda gli atti normali che in via eccezionale non vengono revocati pur sussistendo il requisito di essere stati effettuati 6 mesi prima dal fallimento e la conoscenza da parte dei creditori. Attenzione! Tali eccezioni riguardano solo gli atti normali. L‟art. 67 comma 3 della L.f. inserisce un‟eccezione alla regola della revocatoria fallimentare (tale eccezione non si applica nel caso della revocatoria ordinaria). Si riferisce agli atti normali, quindi rappresenta una deroga all‟art. 67 comma 3 della L.f.. Ratio: favorire la normale attività di impresa. Le esenzioni sono le seguenti: 1. pagamento di beni e/o servizi effettuati nell‟esercizio nei termini d‟uso per consentire la normale attività d‟impresa, in pratica rappresenta il pagamento dei fornitori (ove non sussistesse l‟esenzione, tutti questi pagamenti sarebbero revocabili). In tale norma sono esclusi i servizi finanziari perché essi sono disciplinati da altre esenzioni. L‟esercizio dell‟attività d‟impresa è spiegato poco chiaramente dalla norma. Alcuni interpreti intendono tale esercizio quando l‟impresa è in normale svolgimento della sua attività (non in fase di liquidazione). Altri interpreti intendono, invece, la fornitura finalizzata all‟attività d‟impresa di beni funzionali all‟obiettivo aziendale medesimo. 34 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Quest‟ultima è un‟interpretazione poco convincente perché non tutti gli acquisti evidenziano per forza una patologia nell‟attività e perché comunque viene sempre data importanza alla tutela del terzo. Nei termini d‟uso vuol dire considerare i tempi, la modalità e la regolarità degli stessi pagamenti. Naturalmente anche in questo caso la norma non è chiara, poiché bisogna specificare cosa s‟intende per termini temporali: vi sono anche in tal caso due orientamenti, uno secondo il quale i tempi normali sono quelli previsti dal settore economico in cui si opera, l‟altro orientamento, invece, che è anche quello più convincente, riguarda i tempi pattuiti tra impresa e fornitore; 2. rimesse (= versamenti) fatte sul c/c bancario purché (eccezione dell’eccezione) non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole la posizione debitoria verso la banca da parte del fallito. La norma in questo caso è addirittura quasi folle: è scritta in maniera confusa, ma vuole ribadire il concetto secondo il quale il versamento sul c/c che abbia ridotto di poco o solo in modo temporaneo il debito verso la banca, allora è esente da revocatoria. Mentre i versamenti consistenti e durevoli sono revocabili. Attenzione! Bisogna tenere in considerazione l‟art. 70 della L.f., il quale enuncia che nei contratti bancari, la banca deve restituire al curatore (in ambito di revocatoria) un importo tale, che comunque non superi la differenza tra il suo massimo credito e il saldo al momento del fallimento. Perciò: art. 67 comma 3 della L.f. art. 70 della L.f. il pagamento comporta un debito verso la in ambito revocatorio la restituzione della banca consistente e durevole → azione somma pagata dal fallito al curatore può revocabile essere al massimo il risultato tra: massimo credito – saldo al fallimento Le norme si riferiscono a situazioni diverse!!! 3. vendite e preliminari di vendita trascritti stipulati al giusto prezzo, aventi per oggetto immobili abitativi; in pratica chi ha acquistato un immobile a uso abitativo (o chi ha già stipulato il preliminare) non paga le conseguenze revocatorie: questo vale solo se l‟acquisto è effettuato al giusto prezzo (= entro termini di sproporzione che non superino il 25% del valore di mercato dello stesso immobile). Tale esenzione ha la funzione di tutelare la stabilità del mercato immobiliare inerente alla prima casa; 4. 5. pagamento di atti esecutivi di istituti previsti dalla L.f., i quali possono essere o meno giudiziari, e volti al pagamento dell‟insolvenza mediante un piano di risanamento, un accordo di ristrutturazione del debito e un concordato preventivo. Il piano di risanamento è previsto dall‟art. 67 comma 3 della L.f. e riguarda un programma di risanamento pensato dall‟imprenditore insolvente (programma unilaterale) coadiuvato e consigliato da un tecnico (come ad es. un commercialista), avente il fine di risanare per l‟appunto l‟impresa; se il piano non andasse a buon fine, gli atti non sarebbero revocabili. L‟accordo di ristrutturazione è regolato nell‟art. 182 bis della L.f., mentre il concordato preventivo è disciplinato nell‟art. 160 della L.f.; 5. i pagamenti per corrispettivi a lavoratori dipendenti e altri collaboratori sono crediti privilegiati di primo grado; normalmente anche durante il fallimento tali soggetti vengono pagati. Anche in questo caso la norma risulta poco chiara, infatti non specifica 35 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it dei casi particolari di pagamento come ad es. il rimborso spese e il pagamento delle ferie non ancora retribuito, ecc.. Revocatorie speciali L‟art. 67 bis della L.f. regola i patrimoni destinati a uno specifico affare: gli atti che incidono su di essi sono revocabili quando pregiudicano il patrimonio complessivo della società. I patrimoni destinati risultano assai rari. Il pagamento di una cambiale in cui il possessore della stessa cambiale al momento del fallimento doveva accertare tale pagamento per non perdere il regresso. In pratica si tratta non di un‟esenzione totale, ma la revocatoria colpisce l‟ultimo possessore, per l‟art. 68 della L.f.. L‟art. 69 della L.f. regola gli atti tra coniugi: quando uno dei due è imprenditore, gli atti compiuti nei due anni precedenti al fallimento sono revocabili se il coniuge beneficiario dell‟atto medesimo non prova la non conoscenza dello stato d‟insolvenza del coniuge (prova complicata da dimostrare). La revocatoria speciale ha un termine di 3 anni, ossia si può notificare l‟atto giudiziario non prima di 3 anni dal fallimento e non oltre 5 anni dal compimento dell‟atto stesso (una volta il termine era uno solo: 5 anni dal fallimento). Effetti della revocatoria Chi subisce la revocatoria è obbligato a restituire la prestazione ricevuta dal fallito al curatore e poi ha il diritto di insinuarsi nel passivo per il controvalore della prestazione, cosicché da rimetterlo nella medesima posizione degli altri creditori. La revocatoria va notificata al revocando, e così si incarna una causa (a 3 anni dal fallimento entro 5 anni dal compimento dell‟atto), infatti la notifica rappresenta un‟azione costitutiva per la quale a seguito di una sentenza si modifica una situazione, e si conclude con un‟altra sentenza di condanna a un fatto nuovo. Ciò comporta due conseguenze: il termine interruttivo della prestazione deve essere una prestazione giudiziale; gli interessi sulla somma da restituire decorrono dalla data della domanda giudiziale. Effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti I rapporti giuridici preesistenti sono i cosiddetti contratti pendenti,non ancora eseguiti e/o non completamente eseguiti da entrambe le parti. In pratica si tratta di un contratto in corso di esecuzione. Questo è un concetto importante poiché individua una fattispecie la quale appunto esclude i contratti eseguiti solo da una delle parti → il caso più frequente è quello, ad es., del fornitore che ha già consegnato la merce, ma non ha ancora ricevuto compenso dalla controparte. In questo caso non si parla di contratto pendente. Un es. tipi di contratto pendente è la cessione d‟azienda, la quale è disciplinata nell‟art. 2558 c.c. e di conseguenza nell‟art. 72 della L.f.. 36 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Regola generale: il contratto non è completamente eseguito o non ancora eseguito da entrambe le parti è un contratto pendente → art. 72 della L.f.. L‟art. 75 della L.f., invece, contiene un‟eccezione: nel caso di cosa spedita dal fornitore, se essa viene inviata al compratore prima dell‟istanza di fallimento, ma non è ancora giunta a destinazione nel momento in cui esso viene dichiarato, chi spedisce tale cosa se la può riprendere, evitando così l‟insinuazione al passivo, almeno che il compratore non la paghi integralmente. L‟art. 72 della L.f. rappresenta una deroga, rispetto alle norme civilistiche, in cui è enunciato che il contratto deve essere eseguito dalle parti; tale articolo sostituisce tale regola con delle deroghe a essa al fine di tutelare l‟interesse della procedura (= l‟interesse dei creditori). In merito ai contratti pendenti questo articolo è mirato alla facoltà della non esecuzione degli stessi; infatti il fallimento attribuisce al curatore tale potere di scelta sulla sorte del contratto: può sciogliersi dallo stesso senza nessuna richiesta di diritto risarcimento danni dalla controparte, o può proseguire il medesimo contratto. Questa è una regola che si applica nell‟ambito del fallimento in ordine ai contratti pendenti, ma come tutte le regole vi sono delle eccezioni espressamente previste da norme le quali prevedono che singoli e determinati contratti derooghino ai suddetti principi (quelli appunto contenuti nell‟art. 72 della L.f.). In sostanza vi sono determinati articoli dedicati ai contratti che rappresentano un‟eccezione a quelli pendenti. Ancora l‟art. 72 della L.f. vuole rappresentare un punto di equilibrio tra le norme civilistiche (in cui viene detto che i patti vanno rispettati da entrambe le parti) e la par condicio creditorum prevista dalla L.f.. In pratica l‟esecuzione del contratto, al momento del fallimento, rimane sospesa finché il curatore non decide se scioglierlo o proseguirlo con l‟autorizzazione del comitato dei creditori (tale autorizzazione deve esserci sia in caso di scioglimento, sia in caso di continuazione del contratto pendente) salvo che (inciso aggiunto dal decreto correttivo del 2007) nei contratti a effetti reali (i quali si concludono con la consegna materiale di un bene, es. tipico è il contratto di mutuo), se sia già avvenuto il trasferimento del diritto (in realtà si tratta di un inciso inutile aggiunto dal decreto correttivo in quanto se il trasferimento è già avvenuto non si è nel caso di un contratto pendente). La sospensione del contratto avvantaggia la massa dei creditori, infatti gli effetti di esso aggraverebbero le spese in prededuzione. Nonostante l‟autorizzazione del comitato dei creditori, il curatore rimane responsabile rispetto allo scioglimento/al subentro del contratto, poiché comunque la decisione finale è sempre in capo a tale soggetto. Il contraente in bonis, per l‟art. 72 comma 2 L.f., ha la possibilità di mettere in mora il curatore tramite il giudice delegato, e non oltre 60 giorni, termine decorso il quale il contratto si intende sciolto → finché il curatore non agisce il contratto rimane “paralizzato” (in caso il curatore non si pronunci in merito). Se il curatore decide di subentrare al contratto pendente, autorizzato dal comitato dei creditori, tutte le azioni, per l‟art. 101 della L.f., sono in predilezione. Mentre se egli decide di sciogliere il contratto, esso non è considerato risolto (come sarebbe previsto dal c.c.), ma si tratta di un caso diverso, il quale è per l‟appunto disciplinato dall‟art. 72 della L.f.: resiliazione del contratto. Problema: se prima del fallimento il soggetto poi dichiarato fallito era inadempiente, così facendo ha violato pure il patto contrattuale non si capisce se si debba o meno applicare la regola dell‟art. 72 della L.f. → è complicato: il soggetto, in seguito fallito, è inadempiente già prima della dichiarazione di fallimento, allora il curatore ha comunque diritto di sciogliere il contratto, mentre la controparte ha il diritto di insinuarsi nel passivo del fallito senza poter 37 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it chiedere il risarcimento del danno (art. 72 comma 4 della L.f.). Tutto ciò vale per quanto riguarda i contratti a esecuzione istantanea (i quali non sono contratti pendenti). La situazione diventa più difficile per quanto concerne i contratti a esecuzione continua (periodica): per le prestazioni già eseguite prima del momento del fallimento, ci si riferisce alla normativa dettata dal c.c., quindi ci si può insinuare nel passivo, mentre per le prestazioni che non sono ancora avvenute si fa riferimento alla normativa contenuta nella L.f. riguardante il contratto pendente. Sempre nei riguardi dei contratti a esecuzione continua, caso diverso è quello del soggetto, che in seguito è fallito, inadempiente già al momento del fallimento (caso più frequente). Problema: nel mandato in rem propriam si applica l‟art. 1723 comma 2 c.c., nel quale è previsto che anche il mandatario abbia un interesse proprio nello svolgere l‟attività di mandato. La norma della L.f. dà la regola che deroga il principio generale contenuto, come si è già visto in precedenza, nell‟art. 72 della L.f.. Contratto di locazione di immobili Anche in questo caso occorre distinguere tra fallimento del locatario e fallimento del padrone di caso. Nel fallimento del locatore (= padrone di casa) il contratto non si scioglie, quindi il locatore subentra nel contratto, come nel caso del leasing, ma la prosecuzione è finalizzata solo a fare stare l‟inquilino all‟interno dell‟immobile in questione, per l‟art. 80 della L.f.: il curatore (del padrone di casa) entro un anno dal fallimento, se decorsi 4 anni, può recedere corrispondendo al conduttore un adeguato indennizzo per l‟anticipata conclusione del contratto. La finalità è quella di consentire al curatore di vendere il bene a chi sa che dopo 4 anni l‟immobile si libera. Invece nel fallimento del conduttore (= inquilino) il curatore del padrone di casa può in qualunque momento recedere, e in più dovrà ricevere un indennizzo. Tale credito per equo indennizzo, previsto nell‟art.80 comma 4 della L.f., è in prededuzione e gode del privilegio menzionato dall‟art. 2764 c.c.. 38 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Per quanto riguarda la posizione del fallendo, se questo non è adempiente, il contraente in bonis deve pazientare e aspettare la scelta del curatore in merito al contratto pendente. Se egli decide di proseguire allora la controparte deve ricevere il pagamento integrale. Invece, se a essere inadempiente è il contraente prima del fallimento, qualora sia stata richiesta dal fallendo la risoluzione del contratto: per risolvere un contratto la parte adempiente, in caso di inadempimento grave della controparte, ha la facoltà di rivolgersi a un giudice per la risoluzione di diritto, la quale avviene per: 1. clausola risolutoria espressa: art. 1456 c.c.,quando tale clausola si verifica allora il contratto è risolto; 2. termine essenziale ad adempiere: art. 1457 c.c., se non si adempie entro il termine previsto nel contratto, allora è risolto; 3. diffida ad adempiere: art. 1454 c.c, il termine non è previsto dal contratto, ma se entro 15 giorni non si adempie, allora il contratto è risolto. In pratica la risoluzione di diritto è un meccanismo secondo il quale al verificarsi di una certa causa il contratto si scioglie. In tal modo può essere previsto un contenzioso, in cui il giudice accerti o meno l‟avvenuta risoluzione. Mentre per risoluzione giudiziale s‟intende il fatto che essa venga pronunciata da un giudice, e quindi essa a parte da quel momento in avanti. Se la parte in bonis ha cominciato per prima una causa di risoluzione giudiziale, per l‟art. 72 comma 5 della L.f., l‟esito di tale causa farà stato anche nei confronti del curatore e darà luogo a una sentenza costitutiva, la quale costituisce la nuova azione dal momento in cui essa è pronunziata; in caso di inadempimento grave da parte del curatore non si tratta più di un contratto pendente, ma di un contratto da cui si scaturisce anche il risarcimento del danno che ne deriva. Quindi il procedimento di accertamento del passivo di una società fallita si fa davanti al curatore e al tribunale fallimentare. Il contraente in bonis può richiedere la condanna di risarcimento del danno davanti al giudice delegato. Se la controparte è inadempiente, e di seguito fallisce, in caso di assoluto mancato interesse del contraente in bonis, quest‟ultimo non può più richiedere dopo il fallimento tale risarcimento danni. All‟interno della procedura concorsuale il contratto è risolto solo nel contenzioso (previsto nel contratto di clausola risolutoria espressa) e nella diffida ad adempiere, se in essa il termine è fissato prima del fallimento, in pratica il contratto si deve considerare completamente assolto prima dell‟apertura della procedura concorsuale. Mentre per quanto riguarda il contratto di termine essenziale ad adempiere, il contratto è automaticamente risolto. Dalla riforma è stato introdotto l‟art. 72 comma 6 della L.f., il quale enuncia che siano inefficaci le clausole negoziali li quali fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento. Il recesso è la facoltà convenzionale di sciogliersi dal contratto in qualunque situazione; esso non dipende da un 39 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it inadempimento come la risoluzione. L‟opinione giurisprudenziale prevalente è quella in cui fa assimilare il recesso alla risoluzione in caso di fallimento. Una fattispecie particolare di contratto pendente è il contratto preliminare pendente, il quale prevede che le parti si obblighino di stipulare un contratto definitivo in un secondo momento, al verificarsi di determinate condizioni. E‟ un contratto pendente particolare ed è previsto nell‟art. 72 comma 3 della L.f.. Tale articolo prevede che l‟esecuzione del contratto preliminare sia sospesa finché il curatore non abbia deciso. Esso si applica a tutti i contratti preliminari salvo al preliminare per immobili da costruire, previsto dall‟art. 72 bis della L.f. e al preliminare per immobili a uso abitativo destinato ad abitazione principale per l’acquirente, previsto dall‟art. 72 comma 8 della L.f.. Quindi salvo questi due casi ai preliminari si applicano le disposizioni dei contratti definitivi. Preliminare per immobili da costruire L‟art. 72 bis della L.f. prevede che un soggetto il quale stipuli un contratto preliminare con un‟impresa di costruzioni, che vuole in cambio degli anticipi in corso d‟opera. Se poi la suddetta impresa di costruzione non porta a fine la costruzione dell‟immobile in questione, dal 2005, essa deve rilasciare una fideiussione per tutte le somme a titolo di anticipo. I contratti si sciolgono se, prima che il curatore comunichi la sua scelta, il cliente abbia escusso la fideiussione (il contratto si scioglie da parte della controparte in bonis). L‟art. 72 comma 7 della L.f. regola sul contratto preliminare di vendita immobiliare trascritto: le norme civilistiche consentono la trascrizione del preliminare, ossia di scriverlo alla conservatoria dei registri immobiliari. Tale situazione, però, a volte permette la cosiddetta trascrizione ingannevole:in tal caso vince chi trascrive per primo. Invece, nel caso di scioglimento del contratto preliminare trascritto, l‟acquirente che ha pagato l‟anticipo (come si fa durante il preliminare di frequente) ha diritto di insinuarsi nel passivo, senza chiedere alcun risarcimento del danno (rammentando che il fallimento è diverso dall‟inadempimento), ma gode di un credito il quale ha un privilegio speciale per l‟art. 2775 bis c.c.. Per quanto riguarda il leasing,bisogna fare riferimento all‟art. 72 quater della L.f., il quale lo associa alla locazione finanziaria. Esso ancora distingue tra fallimento dell‟utilizzatore (caso più frequente) e fallimento del concedente (= società di leasing). In caso di fallimento dell’utilizzatore,si applica la regola generale contenuta nell‟art. 72 della L.f.: nel periodo in cui il contratto è sospeso, non è dovuto il pagamento dei canoni. In caso di subentro del curatore, dovranno essere pagati i canoni per intero e in prededuzione (non solo devono essere pagati per intero i canoni in corso, ma anche quelli già scaduti prima del fallimento alla società di leasing). Il problema concernente i canoni riguarda il fatto che i medesimi sono composti di due parti: canone di godimento + parte del prezzo di acquisto. Quindi, in caso il curatore decida di sciogliersi dal contratto, per l‟art. 72 quater della L.f., il concedente non solo ha diritto alla restituzione del bene, ma ha anche il dovere di versare alla curatela la maggior somma ricavata dalla vendita dello stesso o da un altro contratto di leasing stipulato. Questo diritto dovuto al curatore è richiesto poiché, come già precedentemente ricordato, l‟impresa fallita con il pagamento del canone ha anche pagato una parte del prezzo di acquisto (situazione consentita, ma quasi mai applicata dalle società di leasing). Le rate di leasing pagate dall‟imprenditore poi fallito sono esentate da revocatoria, quindi la società di leasing si tiene tali somme, senza doverle restituire. Nel caso più raro del fallimento del concedente, 40 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it per l‟art. 72 comma 8 della L.f., il contratto prosegue regolarmente, e l‟utilizzatore consegue la facoltà di acquisire il bene in questione previo pagamento dei canoni a un prezzo pattuito. Contratti a esecuzione continuata (o periodica) Sono quelli in cui vi sono delle prestazioni ripetitive, che sono già fornite anche prima dell‟apertura della procedura fallimentare, ma anche di quelle che dovranno ancora essere fornite. Se il curatore decide di proseguire il contratto, allora deve pagare anche quelle non ancora pagate, oltre che quelle in corso, in prededuzione. In tal modo, però, si avrà un alto incremento dei crediti prededucibili, e di conseguenza un‟ingiustificata disparità di trattamento: un credito che sarebbe stato chirografario diventa prededucibile, passando avanti a tutti. Quindi, a tal proposito, questa norma viene interpretata come un‟inscindibilità della prestazione,ossia quando, in base al contratto, non possa essere scissa “a coppia di fornitura”, ad es. nel caso del leasing, poiché, come già detto, all‟interno dei canoni di locazione, è dato anche parte del prezzo di acquisto del bene. Singoli contratti L‟art. 78 della L.f. tratta il contratto di c/c, mandato e commissioni, e si tratta di una disciplina articolata: i contratti di c/c, in caso di fallimento, si sciolgono anche per il fallimento del commissionario di vendita (ad es. un concessionario di auto). Mentre per quanto riguarda il mandato, il contratto si scioglie per il fallimento del mandatario (= colui che ha ricevuto l‟incarico, ≠ mandante = colui che ha dato l‟incarico). Invece, in caso di fallimento del mandante, il contratto rimane sospeso nell‟interesse della procedura: se subentra il creditore del mandatario, per l‟attività compiuta, solo dopo il fallimento, allora è in prededuzione. Deroga: alla regola generale detta dall‟art. 72 della L.f.. 41 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Freccia dx Le custodie delle attività fallimentari e l’accertamento del passivo Gli atti della custodia e amministrazione delle attività fallimentari, e dell‟accertamento del passivo hanno una scansione cronologica. Il curatore ha i compiti: 42 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it custodisce l‟attivo; accerta il passivo; liquida l‟attivo; soddisfa i creditori. Tali operazioni devono essere svolte, anch‟esse, secondo un ordine cronologico, che però non è rigido (ad es. si può liquidare l‟attivo senza che sia accertato il passivo). Con il fallimento il fallito perde il possesso dei beni dell‟impresa, tutti salvo quelli strettamente personali (viene comunque lasciata a esso un minimo di beni per la sopravvivenza sua e della sua famiglia). La fase materiale che avviene subito dopo l‟apertura della procedura concorsuale è quella del bloccaggio dei beni mediante l‟apposizione dei sigilli, al fine di mettere un vincolo reale sui beni del fallito per l‟art. 84 della L.f. i quali si trovano nella sede principale dell‟impresa, e altri beni dell‟imprenditore. I sigilli hanno la funzione di indicare che quei beni sono della procedura e che quindi spettano al curatore. Per prenderne possesso il curatore può anche richiedere l‟intervento della forza pubblica, e può anche essere coadiuvato da altre persone per spossessare il fallito dei suoi beni, il quale non li può toccare. I sigilli vengono apposti a beni che si trovano all‟interno della sede principale dell‟impresa, indipendentemente dal fatto che sia del fallito o di terzi (questi ultimi potranno comunque richiederne la restituzione). Ma a causa della lunghezza della procedura, ai sensi dell‟art. 87 bis della L.f.), nei confronti della rivendica di beni mobili su cui il terzo vanta diritti reali (che chiaramente devono essere riconoscibili), il curatore dà il suo consenso, se già nominato anche il comitato dei creditori partecipa a tale consenso, alla restituzione immediata con corretta comunicazione al giudice delegato. L‟unica esclusione dai sigilli è rappresentata dai beni personali del fallito: infatti vi sono beni in cui non si può mettere il sigillo, i quali: denaro contante (depositato in c/c apposito aperto in ragione della procedura fallimentare); cambiali; scritture contabili che non siano state depositate in cancelleria (tenute a disposizione del fallito il quale ha il diritto/dovere di collaborare con la curatela, o che può utilizzare per difendersi in caso di eventuali accuse infondate), quelle che sono previste a livello civilistico; assegni; ogni altra documentazione richiesta dal curatore depositata in cancelleria che non sono scritture contabili obbligatorie previste dal c.c. (come ad es. il libro soci e il libro del collegio sindacale). Tale documentazione viene assegnata personalmente al curatore, per l‟art. 86 della L.f.. Una volta posti i sigilli (tale è comunque una misura temporanea, che blocca l‟accesso a tali beni patrimoniali), ai sensi dell‟art. 87 della L.f., il curatore redige l‟inventario, presenti o avvisati il fallito, il giudice delegato e se già presente il comitato dei creditori (tutte queste operazioni sono effettuata nelle primissime fasi del fallimento, cosicché tale comitato potrebbe ancora non essere stato nominato). Tale inventario ha la funzione di comprendere fisicamente al composizione dell‟attivo fallimentare: questa è un‟attività molto delicata da parte del curatore. Con l‟inventario il curatore prende fisicamente il possesso dei beni e se ne piglia fisicamente la responsabilità. Sono inventariati: 43 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it beni sigillati che si trovano all‟interno della sede dell‟impresa; beni di proprietà del fallito che si trovano altrove (ad es. nel caso di un macchinario in riparazione): ai sensi dell‟art. 87 bis della L.f. il detentore ha diritto a rimanere nel godimento dello stesso bene in base a un contratto. Si fa un verbale dell’inventario che viene sottoscritto da tutti i partecipanti a esso. Viene redatto in doppio, una copia è del curatore e una va depositata in cancelleria fallimentare. Il curatore man mano che redige l‟inventario, prende anche in consegna i beni mobili, mentre per quanto riguarda gli immobili e i mobili registrati si deve tenere in considerazione l‟art. 87 bis comma 2 della L.f., sullo spossessamento dei beni del fallito, il quale agisce erga omnes, ossia verso tutti, anche nei confronti del terzo che acquista in buona fede (il quale non conosce la situazione d‟insolvenza in capo al venditore fallito). In pratica tale articolo tende a tutelare comunque la procedura concorsuale:questa non è un‟ipotesi convincente, perché non è giusto che il terzo in bonis acquisti un bene dal fallito senza che conosca la situazione di fallimento, rischiando così di dover restituire il medesimo bene. Sempre in merito alla custodia e amministrazione delle attività fallimentari, si può ora parlare della specifica amministrazione (fino adesso si è parlato solo della custodia), come della gestione concreta dei beni inventariati. Essa non è trattata nello specifico della L.f.. Un‟altra interpretazione del termine amministrazione è quella di intenderla come mera organizzazione aziendale per l‟art. 89 della L.f. e per l‟art. 90 della L.f.. L‟amministrazione intesa quale attività organizzativa è ricompresa nell‟art. 89 della L.f.: in particolare tale disposizione parla della compilazione degli elenchi dei creditori,nei quali saranno indicati in modo specifico quanti sono i debiti, dando così un quadro generale del passivo (in caso di imprenditore poi fallito diligente, tale elenco esiste già) risultante dalle scritture contabili e da altre notizie. L‟elenco dei creditori, ancora contiene, oltre l‟elenco dei crediti, anche il nominativo di terzi che vantano eventuali diritti reali sulle cose del fallito. Ancora tali elenchi devono essere depositati in cancelleria, e comunque rappresenteranno degli elenchi provvisori,poiché per essere riconosciuti ufficialmente creditori occorre farlo mediante una domanda formale di insinuazione nel passivo. Adesso è opportuno esplicare perché comunque si redige un elenco provvisorio di creditori: serve al curatore per conoscere i creditori (per l‟art. 92 della L.f.) cosicché egli possa far pervenire loro la data di verifica dello stato del passivo; serve per cominciare a pensare ai membri che faranno parte del comitato dei creditori (il quale deve essere nominato entro 30 giorni dal fallimento, dal giudice delegato su consiglio del curatore); serve in funzione del fatto che qualunque terzo possa presentare una proposta di concordato fallimentare, al fine di chiudere anticipatamente il fallimento, mediante il soddisfacimento più alto possibile dei crediti chirografari (iscritti appunto nell‟elenco provvisorio dei creditori). L‟art. 89 della L.f. dice anche che il curatore deve redigere il bilancio dell‟ultimo esercizio, in caso non fosse stato già redatto dal fallito al termine stabilito, apportando le rettifiche necessarie. Successivamente, sempre durante il fallimento, il curatore non è tenuto alla redazione del bilancio in corso del concorso, infatti esso ha solo la funzione di verificare lo stato di salute dell‟impresa nei confronti dei terzi. Infatti, in corso fallimentare, l‟attivo 44 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it risulta dall‟inventario, il passivo dalla fase di accertamento del passivo. Ai fini tributari l‟intera procedura fallimentare è considerata come unico periodo d‟imposta, quindi solo alla fine della stessa è obbligatoria la redazione del bilancio. Il cancelliere fallimentare, a questo punto, deve aprire un fascicolo della procedura, il quale deve avere un indice cronologico contenente tutti gli atti suddivisi in sezione: il comitato dei creditori e il fallito possono prendere visione di tale documentazione. Per quanto riguarda la consultazione da parte del fallito dei documenti inerenti al fallimento, occorre precisare che egli ha diritto a tale atto al fine di difendersi a eventuali accuse, ma non tutta la documentazione è consultabile: un esempio di ciò è la relazione che viene redatta dal curatore al fine di ricercare eventuali responsabilità dello stesso imprenditore che poi è fallito (ex art. 33 della L.f.), infatti essa può divenire l‟origine di procedimenti penali a carico del fallito in riguardo a un determinato atto che è contenuto in tale relazione, per questo non può essere visionata. Chiaramente il fascicolo della procedura può essere visionato anche dai creditori, ma solo in merito a un determinato atto di loro interesse. Accertamento del passivo e diritti di terzi su beni inventariati E‟ necessario l‟accertamento di ciascun credito e dell‟eventuale diritto di prelazione. La finalità di ciò è quella di determinare la totalità dei debiti per la successiva liquidazione dell‟attivo. Per assurdo se in tale fase non si presentasse nessun creditore, allora la procedura sarebbe chiusa. La funziona di essa è la cristallizzazione della massa attiva. L‟art. 52 della L.f. enuncia che ogni credito debba essere accertato secondo l‟art. 91 della L.f. e l‟art. 92 della L.f.. Tali disposizioni valgono anche per coloro che vantano crediti, i quali sono sorti dopo la procedura fallimentare. Lo svolgimento dell‟accertamento del passivo avviene secondo la logica che i crediti concorsuali sorti prima del fallimento debbano inderogabilmente essere accertati. Cosa diversa per quelli prededucibili (sorti nel corso del fallimento): non vengono accertati quelli che derivano da un decreto del giudice delegato, come ad es. il compenso del curatore. I crediti concorsuali sono accertati tutti alla medesima data, ossia quella del fallimento medesimo. Ciò naturalmente non vale per i crediti prededucibili, i quali sono sorti dopo l‟apertura del concorso. Il procedimento di accertamento e di verifica dei crediti prevede due fasi: di fronte al giudice delegato fase necessaria di domanda di ammissione al passivo, per l‟art. 93 della L.f. (detta anche domanda di insinuazione al passivo, art. 93 della L.f.); fase eventuale di impugnazione dei decreti del giudice delegato, la quale riguarda l‟opposizione da parte dei creditori i quali hanno fatto domanda di insinuazione al passivo. La fase necessaria comincia ai sensi dell‟art. 92 della L.f.. Essa potrebbe anche non aprirsi mai (caso più teorico che pratico) in forza dell‟art. 102 della L.f., norma che con la riforma ha cambiato oggetto: il tribunale con decreto motivato su istanza del curatore e col parere del comitato dei creditori, può non dare corso all‟accertamento passivo, se risulta che non vi siano attività da liquidare ai creditori (se non ci fosse niente). Ciò viene fatto per ragioni di economia processuale. I creditori possono presentare reclamo, quindi il provvedimento può anche essere solamente temporaneo: qualora risultasse dall‟attivo si può procedere all‟accertamento del passivo. In base a tale procedimento questo è regolato da norme 45 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it giurisdizionali, vi è un vero e proprio processo, in cui si presenterà da un lato il fallito e dall‟altra il curatore con i creditori. Il curatore ha il compito di vigilare sui creditori: vi è inoltre una parte terza che decide, il quale è il giudice delegato → giudizio di natura contenziosa, la quale ha forma processuale semplificata rispetto al giudizio civile, ma al contrario di questo, non si chiude con una sentenza, ma con un decreto (provvedimento diverso dalla sentenza, perché non passa in giudicato, ma produce effetti soltanto ai fini del concorso e della gestione della procedura fallimentare → efficacia endofallimentare). Quando il fallimento sarà chiuso, l‟impresa, o si estingue o ricomincia l‟attività: tutti gli attori della procedura sono liberati. Ciò spiega perché il fallito, per l‟art. 98 della L.f., è impedito dal fare impugnazioni, ma eventualmente può esprimere delle osservazioni (egli è considerato estraneo alla gestione fallimentare). La sentenza di fallimento dà inizio alla procedura e indica la data, il giorno, l‟ora e il luogo in cui si svolgerà l‟accertamento del passivo, la quale non può essere fissata oltre 120 giorni dall‟inizio della procedura. Ancora la legge fallimentare impone che le domande giudiziali di insinuazione al passivo debbano pervenire almeno 30 giorni prima dall‟inizio dell‟accertamento del passivo. Il curatore (art. 92 della L.f.) deve comunicare ai creditori e agli eventuali titolari di diritti reali sui beni del fallito tale data. La funzione della comunicazione risiede nel fatto di sollecitare i soggetti interessati: comunque ciò non esclude che vi siano altri creditori, oltre a quelli avvisati. Inoltre la comunicazione ha anche la funzione di mettere in mora il debitore che presenta domande tardive di insinuazione (con un termine più o meno lungo che dipende dal fatto di essere stato informato o meno). Il termine di presentazione di tale domanda è comunque breve, perché oltre ai 18 mesi (termine più lungo consentito) non possono essere presentate più domande, nemmeno quelle tardive. 46 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it L‟art. 92 della L.f. enuncia che la data di udienza della verifica dello stato passivo deve essere fissata 30 giorni prima rispetto al termine in cui i creditori presentano le domande di insinuazione al passivo. Il curatore, dal canto suo, deve inviare ai creditori conosciuti (quelli che risultano dall‟elenco dei creditori provvisori) una comunicazione avente contenuto in merito alla sentenza di fallimento, sempre ai sensi dell‟art. 92 della L.f.. Tale comunicazione ha la funzione di sollecitare gli stessi a partecipare al fallimento. Anche se questi non hanno ricevuto alcuna comunicazione, possono comunque presentare domanda d‟insinuazione al passivo, infatti il fallito durante il suo periodo d‟insolvenza potrebbe non aver tenuto, o tenuto non correttamente le scritture contabili. L‟art. 93 comma 3 della L.f. prevede che la domanda di insinuazione venga presentata mediante un ricorso alla cancelleria del tribunale fallimentare, anche eventualmente con l‟aiuto di un assistente legale (il quale non è necessario, essendo il fallimento un processo contenzioso). In tale domanda dovrà essere indicato: la procedura alla quale s‟intende partecipare; la determinazione della somma che s‟intende insinuare al passivo (o la restituzione del bene e la relativa descrizione di esso); la succinta esposizione dei fatti per le quali viene qualificato come creditore; l‟indicazione eventuale della natura privilegiata del credito, indicando la norma cui fa riferimento, o l‟eventuale privilegio speciale (come ad es. l‟ipoteca); numero di telefono, e-mail e la casella di domicilio a cui possono essere ricevute le successive comunicazioni; documenti in allegato giustificativi del credito (è un onere del creditore). in caso tale domanda riguardasse non un credito ma la restituzione di un bene, il creditore può chiedere la sospensione della liquidazione dell’attivo. Si tratta di un ricorso giurisdizionale che può divenire in seguito contenzioso, nel caso di impugnazione da parte del creditore. L‟art. 94 della L.f. conferma che tale domanda sia giudiziale, e quindi che si ha a che fare con un‟attività giurisdizionale. Tale articolo richiama la norma civilistica, in particolare l‟art. 2943 comma 2 c.c.. Quindi le prescrizioni si bloccano alla domanda giudiziale, non maturano. Tali domande vengono consegnate al curatore dalla cancelleria, il quale avrà il modo di esaminarle ed eccepirle, ai sensi dell‟art. 95 comma 1 della L.f., infatti egli può contestarle e concepire per esse la prescrizione. L‟art. 95 comma 2 della L.f., inoltre enuncia che il curatore debba almeno 15 giorni prima dell‟udienza, depositare il progetto di stato passivo, il quale può essere visionato ai creditori, che possono depositare a loro volta in cancelleria l‟integrazione documentale della domanda richiesta dal curatore. Udienza di stato passivo Tutti i creditori hanno titolo a partecipare all‟udienza. Il giudice delegato, anche in assenza delle parti interessate, decide relativamente su ciascuna domanda senza poterla eccedere. Tutti gli interessati possono fare delle osservazioni in merito. A tal punto il giudice delegato può procedere ad atti di istruzione, ossia può richiedere l‟esibizione di ulteriori prove documentali o addirittura richiedere testimonianze (compatibilmente col sistema di speditezza che deve caratterizzare la procedura) per un accertamento sommario. L‟udienza di conclude con decreto succintamente esplicato del giudice delegato, il quale può ammettere in tutto o in parte il credito relativo alle domande giudiziali. Quando egli procede ad atti di istruzione, la verifica del passivo, generalmente, non si conclude lo stesso giorno, così sarà 47 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it necessario rinviare l‟udienza. L‟art. 96 comma 3 della L.f. prevede espressamente che comunque essa non possa essere prorogata per oltre gli 8 giorni (termine che però non è perentorio, specie nei fallimenti complessi). Alla fine il giudice delegato forma lo stato passivo e lo rende efficace tramite un uno procedimento in cui si approva un elenco di creditori, e in cui viene fornita una spiegazione succinta obbligatoria. Dopodiché tale decreto viene depositato in cancelleria, tale deposito risulta molto importante per lo scattare dei diritti dei creditori. Gli elementi accidentali sono inerenti al fatto di: dichiarare che vi sia un vizio; vedere se il creditore si trova in una situazione particolare (in caso di credito condizionato) → la prova del creditore non può dipendere da una prova che non riguarda il debitore; quantificare il credito, ossia esso deve ancora essere quantificato (come ad es. succede per i crediti tributari). In tutti questi casi l‟art. 96 comma 2 della L.f. ha istituito l‟ammissione al passivo con riserva per l‟accertamento ulteriore. Queste riserve sono le uniche possibili. Finché essa è pendente la riserva deve accantonare, considerandole, una parte della somma. Il curatore deve verificare la riserva e comunicare al giudice delegato la decisione. In caso essa non fosse presentata dal creditore, la legge non specifica, ma qualcuno ritiene che possa essere escluso dalla massa fallimentare. Contro il decreto espresso dal giudice delegato, l‟art. 98 della L.f. prevede le seguenti azioni: opposizione allo stato passivo: proposta fatta dal creditore che vuole impugnare il decreto di rigetto del proprio credito al passivo; impugnazione dei crediti ammessi: può essere effettuata dal curatore e può essere proposta da un altro creditore (contro un altro ammesso), escluso il fatto che quest‟ultimo abbia un interesse (ipotesi piuttosto rara perché nella maggior parte dei casi il giudice delegato ha fiducia nei confronti del curatore che quindi non avrà necessità di impugnare contro di esso); revocazione: mezzo d‟impugnazione straordinario proponibile anche quando sono decorsi i termini per impugnare (30 gg), infatti viene fatta in caso l‟ammissione del credito sia stata prevista sulla base di documenti falsi a seguito di dolo, errori vari, e in caso i documenti non siano mai stati presentati (caso assai raro). Procedimento di impugnazione (art. 99 della L.f.) Tale procedimento deve essere presentato entro 30 gg dalla comunicazione fatta dal curatore nei riguardi di ciascun creditore, per quanto concerne la sorte dei propri crediti, informandolo dei diritti di impugnazione previsti. Tale comunicazione è effettuata: via raccomandata con ricevuta di ricevimento; via telefax; via e-mail. L‟impugnazione è fatta mediante ricorso al tribunale fallimentare, in cui verranno indicati i fatti e i mezzi di prova. Il presidente del tribunale fallimentare, entro 5 giorni dal ricorso, designa il giudice relatore, che naturalmente sarà diverso del giudice delegato. Questo entro 60 gg fissa l‟udienza. La parte che resiste (= il curatore) deve a esso, 10 gg prima dell‟udienza 48 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it le ragioni. Tale contenzioso non rientra nella normale disciplina del procedimento civile, ma è a forma libera e comunque le due parti devono essere messe in condizione di sviluppare le proprie ragioni. La decisione viene presa collegialmente (anche in questo caso il giudice non può fare parte del collegio) con decreto motivato, il quale è comunicato in cancelleria, ed entro 30 gg la parte soccombente può ricorrere in cassazione (contro la decisione del collegio). Ancora è prevista la presentazione di domande tardive di insinuazione al passivo, ai sensi dell‟art. 101 della L.f., per cui chi non presenta la domanda di ammissione al passivo entro 30 gg prima dell‟udienza, è tardivo. Il tempo a disposizione, comunque, per presentare domanda è quello di 12 mesi dal deposito dal decreto, termine che in casi particolari potrebbe addirittura divenire 18 mesi (in caso di fallimento particolarmente complesso). Non possono essere presentate domande oltre ai 12/18 mesi: chiaramente ciò non vale per i crediti prededucibili in modo tale che finalmente si cristallizzi in modo definitivo la massa attiva. Il creditore tardivo non ha comunque perso il proprio credito: egli ha la possibilità di richiederlo in caso la società tornasse in bonis (si tratta di un‟ipotesi alquanto rara), infatti l‟insolvenza non sempre porta a un passivo più consistente dell‟attivo. Per quanto riguarda la verifica della tardiva, vengono utilizzate le stesse tecniche dei crediti non tardivi (art. 95 della L.f., art. 96 della L.f.); il giudice delegato fissa ogni 4 mesi udienza per le tardive. Vi sono due precisazioni da fare: la tardiva deve riguardare crediti e/o diritti diversi da quelli non tardivi; vi è comunque un potenziale svantaggio a insinuarsi nel passivo tardivamente, poiché il creditore in questione concorre solamente alle ripartizioni successive rispetto alla sua ammissione, in pratica perde il diritto di quelli precedenti. Per l‟art. 101 della L.f., però se il titolare del diritto/credito provi che il ritardo dipenda da causa a non esso imputabile, allora può anche recuperare la quota a lui spettante della massa già ripartita, ad es. nel caso di un credito in prededuzione debba ancora essere accertato. L‟art. 103 della L.f. riguarda la domanda di rivendica/restituzione del bene: questa è una domanda complessa perché l‟avente diritto ha una serie di problemi relativi alla prova. 49 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it L’esercizio provvisorio dell’impresa e l’affitto dell’azienda L‟esercizio provvisorio dell’impresa è un fenomeno eventuale. Di solito non si verifica a seguito dell‟accertamento del passivo, ma in contemporanea a esso, e riguarda la continuazione dell‟attività d‟impresa in corso di fallimento. Il problema è che con la procedura concorsuale i contratti rimangono sospesi, o si sciolgono, quindi tale esercizio provvisorio è giustificato dalla conservazione dell‟attività imprenditoriale ai fini di una migliore liquidità (= vendita dell‟attivo; è l‟obiettivo della procedura fallimentare). In pratica ha la funzione essere venduta meglio, essendo in continuità, infatti non si esce dal mercato per evitare che l‟azienda perda di valore. La prosecuzione dell‟attività può essere svolta in due modi: esercizio provvisorio dell’impresa la gestione dell‟impresa è effettuata dalla procedura; il rischio d‟impresa è a capo del curatore. affitto d’azienda la gestione dell‟impresa viene affidata a un terzo da parte degli organi della procedura; il rischio d‟impresa è a carico del terzo, e non del curatore. Evidentemente il curatore preferirebbe l‟ipotesi dell‟affitto aziendale, perché se prosegue lui l‟attività, è vero che lavorerebbe in una situazione in cui il debito pregresso non deve essere assolto, ma è anche vero che non potrebbe contare sul finanziamento bancario e in particolare sull‟apertura di credito in c/c, fondamentale per l‟acquisto dei fattori produttivi. In pratica gli organi della procedura si ritroverebbero a operare in una situazione con problemi di liquidità. Ancora l‟azienda fallita ha la necessità impellente di produrre reddito per pagare i crediti prededucibili: questo provocherebbe un danno alla massa dei creditori concorsuali. Purtroppo è anche vero che gestendo temporaneamente l‟azienda si può vendere meglio: per effettuare questa scelta complicata il curatore deve basarsi su previsioni gestionali complesse. Il curatore evita tale situazione, anche perché in genere essi sono professionisti (commercialisti o avvocati), i quali non hanno le competenze dei manager. Esercizio provvisorio dell‟impresa (art. 104 della L.f.) L‟esercizio provvisorio dell‟impresa conseguente con la sentenza che dichiara il fallimento è disposto dall‟art. 104 comma 1 L.f.. Esso può essere richiesto espressamente dall‟imprenditore fallendo in caso di un avvenimento eccezionale, in pratica in caso di fallimento improprio:bisognerebbe provare che tale esercizio provvisorio produrrebbe dei benefici. A questa decisione non influiscono né il curatore, né il comitato dei creditori perché non sono ancora stati nominati (è comunque un caso raro). Se non si arreca danno ai creditori, con tale esercizio provvisorio hanno la possibilità di essere pagati di più. Non vi è un limite massimo di durata dell‟esercizio provvisorio, ma vi è un monitoraggio continuo degli effetti. Altra situazione: dopo la nomina del curatore, e quindi relativamente del comitato dei creditori, egli prende visione della situazione generale d‟impresa. Eventualmente può chiedere l‟esercizio provvisorio fissandone la durata, in qualunque momento, qualora i creditori avessero la possibilità di guadagnare di più da essa. Chiaramente è necessario il parere del comitato dei 50 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it creditori: se è positivo, si fa richiesta al giudice delegato, il quale decide se concederlo o meno. Qualora venga concesso, sono necessarie delle cautele, ai sensi dell‟art. 104 della L.f.: monitoraggio obbligatorio: il comitato dei creditori viene convocato ogni 3 mesi per la verifica e la relativa decisione di continuare o meno (art. 104 comma 3 della L.f.) l‟esercizio provvisorio. Se esso risulta antieconomico si può interrompere immediatamente; ogni 6 mesi il curatore deve presentare il rendiconto, il quale fotografa come sta andando l‟impresa e comunque con la funzione di informare, in caso di circostanza sopravvenuta negativa, il tribunale. Vi è comunque solitamente una diffidenza del legislatore all‟esercizio provvisorio, ma per quanto riguarda l‟amministrazione straordinaria: è un tipo di fallimento particolare in cui, in alcuni casi l‟esercizio dell‟impresa è obbligatoria per legge (es. caso Alitalia). Gestione dell‟esercizio provvisorio Il curatore deve tenere una contabilità diversa rispetto a quella del fallimento. Serve per capire quanta prededuzione si crea e di conseguenza quanti ricavi (art. 104 comma 9 L.f.): i crediti prodotti sono in prededuzione, i quali potrebbero derivare da contratti in corso d‟esecuzione. Per quanto riguarda i contratti pendenti (normalmente disciplinati dall‟art. 72 della L.f.): l‟art. 104 comma 7 della L.f. fornisce la regola opposta all‟art. 72 della L.f. in cui si dice che i contratti proseguono finché il curatore non voglia sciogliersi. Così, però, nasce un problema: i debiti generati vanno in prededuzione. Quando l‟esercizio provvisorio si conclude i contratti tornano in sospensione (art. 104 comma 9 della L.f.): normalmente la finalità dell‟esercizio provvisorio è comunque la prosecuzione dell’attività aziendale con il trasferimento a terzi dei contratti pendenti. Affitto d‟azienda La prosecuzione dell‟attività viene concessa in capo a un terzo. Situazione conveniente per il curatore, ma non sempre risulta facile trovare chi sia disposto a farlo, perché comunque l‟impresa fallita comporta spesso dei problemi. L‟affitto d‟azienda risulta meno pericoloso per la massa fallimentare perché: si utilizzano i beni dell‟impresa, così non perdono valore e non sono deprezzati come se rimanessero non in funzione; il rischio d‟impresa è in capo all‟affittuario; la curatela percepisce i canoni d’affitto. Ma al contempo i rischi sono: l‟affittuario inadempiente ai propri obblighi arreca dei danni alla massa fallimentare; l‟attività, per il fatto di essere affittata, gli acquirenti saranno meno propensi ad acquistarla. L‟affitto d‟azienda è stato uno strumento molto usato dai fallimenti per tenere le aziende “vive”, ma prima della riforma del 2006 non era disciplinata né dal c.c. né dalla L.f.. Con la riforma del 2006 è stato introdotto l‟art. 104 bis della L.f. il quale prevede che subito, anche prima del programma di distribuzione, della liquidazione ai sensi dell‟art. 104 ter della L.f., il 51 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it giudice delegato, su proposta del curatore e parere favorevole del comitato dei creditori, possa affittare a terzi, anche per quanto riguarda singoli e specifici rami d’azienda (è anche possibile affittare diversi rami d‟azienda in concomitanza a differenti locatari). Comunque l‟art. 104 comma 4 della L.f. enuncia che la durata di tale affitto deve essere compatibile con l‟esigenza della liquidazione dei beni (deve essere tarata a essa) e il suo contratto deve consentire il recesso del curatore in qualunque momento previo equo indennizzo, il quale è in prededuzione (clausola contrattuale), cosicché da contemperare anche alle esigenze dell‟affittuario. Il contratto d‟affitto è anche un contratto pendente, compreso nell‟art. 79 della L.f., il quale se viene stipulato prima del fallimento dall‟imprenditore che poi è fallito: in questo caso vi è la possibilità di recedere anche da parte dell‟affittuario. La scelta dell‟affittuario, ai sensi dell‟art. 104 bis comma 2 della L.f. è effettuata in base a: delle stime le quali indichino quanto vale l‟affitto d‟azienda → procedura trasparente e competitiva: il curatore riceve un‟offerta da parte di un interessato e negozia il contratto. Dopodiché si fa un avviso pubblico in cui si dà la possibilità ad altri soggetti di fare offerte e che siano in grado di fornire condizioni analoghe o migliori. Attenzione: agli speculatori sugli interessi del creditori; dell‟ammontare dei canoni, garanzie prestate e attuabilità del piano di prosecuzione dell’attività, avuto riguardo alla conservazione dei livelli occupazionali. Ora bisogna prendere in considerazione due leggi: l‟ex art. 63 comma 3 della L.f. e l‟art. 104 bis comma 2 della L.f.. Sono due disposizioni molto simili, ma mentre la prima parla di vendita, la seconda parla di affitto. Problema: quale canone privilegiare per classificare un‟offerta migliore: bisogna privilegiare comunque l‟interesse dei creditori e la considerazione occupazionale viene valutata solo dopo, eventualmente a parità di condizioni rispetto all‟interesse creditizio della massa → situazione drammatica. La salvaguardia dei livelli occupazionali, in questo momento di crisi, viene comunque premiata anche a scapito dei creditori. Di solito, mediante una clausola contrattuale, il curatore controlla l‟operato dell‟affittuario. Un‟altra clausola eventuale potrebbe collegare l‟affitto alla vendita, così facendo si affiderebbe all‟affittuario la prelazione, ma essa avverrebbe sempre a parità di condizioni di altri soggetti interessati: durante la gara per la vendita dell‟azienda un soggetto interessato propone una somma a cui sarebbe disposto ad acquistare, e prima di cedergli l‟impresa si chiede, da parte della curatela, all‟affittuario, che non ha partecipato alla gara, se è interessato all‟acquisto egli stesso a tale somma (= a parità di condizioni); egli avrà 5 gg per accettare o meno, se non accetta l‟azienda viene ceduta al terzo soggetto che ha fatto la proposta. In genere, però, l‟interesse dell’affittuario è quello di comprare, quindi può stipulare il contratto solo a condizione che in esso sia prevista la prelazione. In ogni caso essa deve risultare conveniente ai fini della procedura. L‟affittuario può solo fissare la base d‟asta, ma se tale somma aumenta, egli avrà la prelazione sì, ma al prezzo rialzato. Tale prelazione è prevista dall‟art.104 della L.f., ed essa va unita a un‟altra prelazione prevista dalla legge ordinaria, la quale è una prelazione legale non solo dedicata alle aziende in fallimento, ma anche alle altre procedure concorsuali. Fine → favorire il trasferimento dell‟azienda, privilegiando l‟affittuario, senza danneggiare i creditori. Affitto d‟azienda per i contratti in corso di esecuzione 52 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it L‟affittuario deve proseguire alcuni contratti perché espressamente la legge lo impone. Se alla fine del contratto di affitto, l‟azienda torna indietro agli organi della procedura, i debiti aziendali rimangono solo in capo all‟affittuario (deroga all‟art.2560 c.c.). Regola fondamentale: per non danneggiare i creditori. Liquidazione dell’attivo Opposizione della sentenza di fallimento:chi oppone può chiedere la sospensione della liquidazione. Programma di liquidazione: redatto nelle prime fasi della procedura → il curatore può presentare dei supplementi al programma, il quale a sua volta è presentato al comitato dei creditori che ha il potere di modificarlo. Può anche accadere che la liquidazione venga effettuata prima dell‟approvazione dello stesso programma di liquidazione per motivi di urgenza (art. 104 ter L.f.) previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori (se già nominato), solo quando dal ritardo possa derivare un giudizio per i creditori. Il curatore potrebbe rinunciare di mettere all‟attivo i beni se non ha interesse, ma per fare ciò deve comunicarlo al comitato dei creditori. Magari sembrerebbe opportuno non ammettere all‟attivo singoli beni, i quali restano in mano all‟imprenditore, poiché possono aggredire quel determinato patrimonio (norme di rarissima applicazione, infatti in genere viene ammesso tutto all‟attivo). Il programma viene approvato e comunicato al giudice delegato, il quale autorizza l‟esecuzione degli atti a esso conformi. → Logica interpretativa: art. 104 ter comma 8 della L.f., il giudice delegato dà un‟autorizzazione generale, per eseguire il programma di liquidazione che è approvato dal comitato dei creditori. Limiti: del controllo da parte del giudice delegato rispetto alla normativa antecedente la riforma, in cui aveva anche un controllo sulla convenienza e sul merito, ora in capo al comitato dei creditori. Ruolo: del giudice delegato attualmente è di controllo di mera legittimità del contenuto del programma di liquidazione. Questo è un controllo una tantum e successivamente non deve più intervenire. L‟art. 105 della L.f. le vendite sono espletate secondo il principio di trasparenza. Mentre l‟art. 104 ter della L.f. indica cosa vendere e con quale modalità vendere. Ancora l‟art. 105 della L.f. rappresenta la disciplina generale della vendita di tutti gli atti della procedura, la quale riguarda tutti i beni che il fallimento può detenere. Tale articolo è integrato dall‟art. 108 ter della L.f., il quale detta la disciplina, in merito ad alcuni beni, quali: i diritti d‟autore; i brevetti; i marchi; gli archivi. Tali beni sono beni particolari che sono trasferiti a norma delle relative leggi speciali. La vendita dell‟attivo, contenuta nell‟art. 105 della L.f., effettuata con modalità indicata nell‟art. 107 della L.f.: procedure trasparenti, competitive mediante soggetti specializzati (= case d‟asta), sulla base di stime fatte da esperti. E‟ normale che il curatore nomini uno stimatore del bene, il quale va venduto assicurando con adeguata pubblicità (giornali, pubblicità on line, ecc.) la massima informazione e partecipazione degli interessati → la 53 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it procedura è aperta. Obiettivo: ai sensi dell‟art. 107 della L.f., realizzare il massimo nel più breve tempo possibile. Ancora, il curatore (art. 107 comma 2 della L.f.) prepara delle forme di aste, le quali vengono affidate a soggetti specializzati che si attrezzano per eseguirle. Si tratta di metodi di vendita rigidamente disciplinate dal codice di procedura civile (forme meno flessibili) → scelta conveniente in caso vi siano delle procedure esecutive in corso, nelle quali il curatore vuole subentrare. L‟art. 107 della L.f. integra l‟art. 105 della L.f. per quanto riguarda: i beni immobili: il curatore deve dare notizia (notifica) ai creditori che abbiano un privilegio su tali beni (art.107 comma 3 della L.f.); il curatore in ogni caso può sospendere la vendita quando vi sia un‟offerta migliorativa, per un importo minimo del 10% (almeno più del 10%) → art. 107 comma 4 della L.f.. 54 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Ai sensi dell‟art. 108 della L.f. il giudice delegato, su istanza del fallito, può sospendere con decreto motivato la vendita del bene in questione qualora vi siano: dei giustificati e gravi motivi; il prezzo di vendita fissato sia rovinosamente basso rispetto al valore di mercato. Su istanza dei creditori tali vendite sono dette vendite giudiziali, le quali sono effettuate a opera del tribunale; chi controlla la procedura è il giudice delegato. Effetto purgativo delle trascrizioni pregiudizievoli: chi compra un bene lo fa senza che tali trascrizioni limitino l‟utilizzo dello stesso; infatti chi compra un bene vuole che lo stesso sia libero di diritti altrui (di terzi). Per questo motivo, ai sensi dell‟art. 108 comma 2 della L.f., una volta effettuata la vendita di beni immobiliari, il giudice delegato ha il compito di “pulire” da eventuali prelazioni, ipoteche, a prescindere dalla volontà del titolare di tale diritto. L‟art. 105 comma 5 della L.f. riguarda le cessioni di rapporti giuridici in blocco, i quali sono quei contratti attivi e passivi dell‟impresa che possono essere venduti, ma che sono diversi rispetto alla cessione di rami di azienda. Trasferimento d‟azienda Il trasferimento d’azienda, previsto dall‟art. 105 comma 2 della L.f. e dall‟art. 2556 c.c., rappresenta quella forma di contratto scritto ab probazionem, iscritto nel Registro delle imprese (al fine di essere opponibile ai terzi), salvo per quei beni in cui è espressamente prevista una forma particolare (ad es. per i beni immobili e per i mobili registrati è obbligatorio l‟atto pubblico). Il contenuto trasferito è quel complesso di beni che consente di svolgere l‟attività d‟impresa (art. 2558 c.c., art. 2559 c.c., art. 2560 c.c.). Problema: si applicano tali articoli del c.c.? Non del tutto, esse devono comunque essere integrate dalla L.f., ossia il c.c. deve essere ottemperato alla L.f.. La cessione dei crediti delle aziende cedute ha effetto nei confronti dei terzi dall‟iscrizione nel Registro delle imprese. Tuttavia il debito ceduto è liberato, se si paga il cedente (art. 105 comma 6 della L.f.) → non occorre nessuna comunicazione al debitore ceduto. L‟art. 105 comma 7 della L.f. riguarda le garanzie e i privilegi sui crediti: queste sono valide nei confronti del cessionario, infatti trasferendo il credito, viene trasferita anche la garanzia ai sensi dell‟art. 2560 c.c.. Per quanto riguarda i debiti vi è una diversa disciplina rispetto l‟art. 2560 comma 2 c.c., infatti tale articolo enuncia che, durante la vendita di un‟azienda, viene automaticamente trasferito anche il passivo che si trova nei registri contabili. Mentre per l‟art. 105 della L.f. è escluso il trasferimento dei debiti salvo diversa convenzione: l‟acquirente potrebbe comunque accollarsi delle passività pagando meno l‟azienda, ma ciò è possibile, ai sensi dell‟art. 105 55 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it comma 9 della L.f., solo se non viene alterata la par condicio creditorum. Un es. sono i debiti privilegiati, i debiti verso i dipendenti e i debiti per TFR. L‟accollo, civilisticamente, può essere di due tipi: accollo cumulativo: fa parte della normalità, non si libera l‟originario debito; accollo liberatorio: il creditore libera il debito originario. Per quanto riguarda l‟accollo in senso fallimentare ci si pone il problema del creditore accollato per la liberazione del suo credito in ambito di fallimento: è prudente ottenere il consenso dello stesso. L‟art. 105 comma 3 della L.f. prende in considerazione la consultazione sindacale in ambito di trasferimento dell‟azienda. Infatti, ai sensi dell‟art. 2112 c.c., bisognerebbe consultare i sindacati, come nel caso di fallimento con regole troppo rigide → agevolazione: nella L.f. è previsto che il fallimento di un imprenditore comporta, mediante accordo con i sindacati, il trasferimento anche solo parziale (con eventuali modifiche nei contratti di lavoro) dei lavoratori, nei limiti previsti dalla legge e dalla consultazione sindacale. La prassi, però, può prevedere: che tutti i lavoratori non siano iscritti ai sindacati; vi siano delle sentenze che classificano l‟art. 2112 c.c. come imperativo. Nel trasferimento d‟azienda quindi si può non assumere tutti i dipendenti, e tale operazione si effettua individuando degli appositi criteri oggettivi, o addirittura si può rinunciare totalmente agli stessi. In quest‟ultimo caso si fa ricorso ai cosiddetti ammortizzatori sociali, quali la cassa integrazione straordinaria, la mobilità, gli incentivi all‟esodo, ecc. 56 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Per l‟art. 105 comma 5 della L.f. e per l‟art. 105 comma 6 della L.f., altri beni che possono essere venduti sono: cessione di attività e passività dell’azienda individuabili in blocco: segmentazione dell‟azienda in lotti, che non hanno funzionalità autonoma. Ciò vale anche per i beni in leasing: si tratta di un accollo del debito da pagare in prededuzione per l‟art. 72 della L.f., ossia nel subentro del contratto pendente, il debito che si è venuto a creare è in prededuzione (considerando il fatto che più la prededuzione si estende e più si danneggiano i creditori concorsuali). Così nell‟art. 111 della L.f. viene stabilito l‟ordine in cui devono essere soddisfatti i crediti; cessione dei rami d’azienda: il ramo d‟azienda è un pezzo di essa che ha una sua funzione economica (identificazione economica), quindi ha una sua funzionalità autonoma. Per i contratti a esecuzione continuata/periodica si applica la regola per la quale, in caso di subentro, tutti i debitori vanno in prededuzione? Considerando che se si subentra, dovrebbe essere pagato anche tutto il debito creato prima del fallimento, si rischia di alterare la par condicio creditorum, quindi la risposta alla domanda è NO (almeno secondo alcune interpretazioni). Allora a questo punto occorre distinguere: le prestazioni a coppie per cui si pagano solo quelle avvenute dopo il fallimento, un es. è il canone di locazione; le prestazioni che portano dei vantaggi a tutti i creditori per cui si pagano anche quelle avvenute in precedenza della procedura concorsuale, un es. è il canone di leasing (infatti il canone di leasing = quota di locazione + quota di acquisto). Comunque la maggior parte degli interpreti sostiene che chi subentra deve pagare tutti i debiti, anche quelli precedenti la dichiarazione di fallimento. L‟art. 106 della L.f. riguarda i crediti/diritti su azioni/quote che possono essere cedute al fine di monetizzare pezzi dell‟attivo. Vengono anche cedute le revocazioni concorsuali, se sono già in corso di giudizio pendente, ossia la causa deve essere già iniziata dal curatore: l‟acquirente, quando le acquista, si sostituisce in tale causa al curatore. Anche tutti gli altri contenziosi del fallimento sono cedibili, come le azioni di responsabilità, di nullità e di annullamento. 57 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Infine possono essere cedute le quote delle SRL, per le quali si applica l‟art. 2471 c.c., per cui vige l‟espropriazione individuale sulla quota. Ripartizione dell’attivo Si tratta di elencare i criteri e le procedure utilizzati per ripartire la cassa. Possono essere previsti dei riparti parziali già in fase di liquidazione dell‟attivo. L‟art. 111 comma 1 della L.f. stabilisce l‟ordine di distribuzione delle somme liquidate, il quale è il seguente: 1. pagamento dei debiti e rimborso dei crediti prededucibili; 2. rimborso dei crediti privilegiati, i quali hanno la prelazione sulle cose vendute: l‟ordine, in tal caso è stabilito dalla legge (potrebbe esservi un privilegio che viene prima dell‟altro); categoria che al suo interno è molto articolata; 3. rimborso dei crediti chirografari in proporzione del loro ammontare (rispetto al proprio credito). Rientrano tra questi anche i privilegiati che fossero rimasti insoddisfatti (che sono divenuti chirografari per eventi sfortunati → privilegiati incapienti). Tale articolo della L.f. rappresenta l‟estrinsecazione della par condicio creditorum, infatti detta l‟ordine cronologico e logico della ripartizione della massa attiva. L‟art. 111 della L.f. è quindi una legge di liquidazione concorsuale di fondamentale importanza. Prima della riforma vi era un unico punto di riferimento, il quale era il c.c. secondo il quale il curatore era obbligato a redigere un piano di riparto, nel quale venivano elencate tutte le operazioni di gestione. Attualmente è stato introdotto l‟art. 111 ter della L.f., e il curatore deve scindere due masse attive liquide: una immobiliare e una mobiliare, per quanto riguarda la vendita di beni, su cui vanno versati gli interessi passivi e i frutti da esso prodotti. Successivamente lo stesso curatore deve tenere un conto autonomo, con analitica indicazione delle operazioni specifiche attive e passive relative ai beni e anche indicazione delle operazioni di carattere generale. Funzione: per attribuire l‟attivo e il passivo dei beni del fallimento ai rispettivi creditori si creano dei costi speciali, per i quali il curatore è obbligato verso un certo ordine. Tale rilevazione avviene tramite: c/c speciali; conti ragioneristici inerenti a una contabilità speciale. Crediti prededucibili L‟art. 111 comma 2 della L.f. dà una definizione di crediti prededucibili. Essi sono quelle così classificati dalla legge e quelli sorti in occasione o in funzione della procedura, come ad es. le spese di procedura, il compenso del curatore, i debiti contratti pendenti nei quali il curatore è subentrato, ecc. Tutti i creditori devono essere verificati nelle fasi riguardanti l‟insinuazione al passivo, per l‟art. 111 bis della L.f.. Esclusione: i creditori non contestati per la collocazione e per l‟ammontare di crediti sorti in merito all‟attività di liquidazione, come i compensi effettuati dallo stesso giudice delegato, i quali quindi non hanno bisogno di essere accertati. L‟art. 111 bis comma 3 della L.f. riguarda, in particolare, i crediti prededucibili che non devono essere accertati e che possono essere soddisfatti mediante i criteri della proporzionalità, secondo 58 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it l‟ordine dei crediti. Il curatore, quindi, paga tali crediti solo se sa che è in grado di pagarli tutti; se non fosse in grado, la somma va ripartita in base alla proporzionalità verso tutti i creditori menzionati dall‟art. 111 comma 1 della L.f.. L‟art. 111 della L.f. si riferisce ai crediti maturati in corso di procedura che vanno pagati prima di tutti (crediti prededucibili) e i crediti privilegiati, come ad es. i crediti ammessi con prelazione secondo i beni venduti. L‟importanza è assunta dalla legge, infatti i crediti privilegiati, per legge, sono pagati subito dopo i prededucibili. Le graduazioni sono anche indicate nell‟art. 2777 c.c. e nell‟art. 2778 c.c.: nel fare il piano di riparto il curatore deve esaminare l‟ordine dei crediti privilegiati → ai sensi dell‟art. 111 quater, infatti i crediti con privilegio generale hanno il privilegio su tutto il patrimonio del debitore fallito. Chi ha un privilegio speciale sui singoli beni, vengono posti sul medesimo piano dei creditori generali, ma vi sono anche creditori garantiti da ipoteca o pegno, i quali vengono pagati prima dei privilegiati generali (= il creditore ipotecario solo sulla vendita del bene ipotecato ha il privilegio, mentre il lavoratore ha un credito generale). In questa graduazione i crediti chirografari sono gli ultimi a essere soddisfatti per l‟art. 111 comma 1 della L.f., perché sono sprovvisti di qualunque privilegio (di solito trattasi di crediti dei fornitori, e di crediti commerciali). Sono assimilati ai crediti chirografari quelli privilegiati speciali, ma solo successivamente alla liberazione dello stesso privilegio. Per quanto riguarda i riparti parziali, la situazione è la medesima: in corso di liquidazione in tempi antecedenti la vendita del bene su cui grava l‟ipoteca, il curatore deve comunque distribuire la quota di riparto, anche a quel creditore privilegiato speciale; quando il bene viene venduto, però, la quota già data viene computata al valore totale del privilegio (quindi al totale che gli spetta). Nell‟art. 111 della L.f. non viene detto nulla sui crediti subordinati, i quali vanno rimborsati solo dopo che tutti i chirografari siano integralmente pagati. Esempi di crediti subordinati sono: finanziamenti dei soci, crediti i quali vengono volontariamente accettati come subordinati, ecc.: essi hanno come unica prospettiva (quasi sempre) quella di rinascere in periodi successivi alla chiusura del fallimento per essere richiesti alla società tornata in bonis (non accade quasi mai). Ripartizione dell’attivo fallimentare Si basa sui seguenti principi: il pagamento, il più rapido possibile, dei creditori; la salvaguardia del pagamento dell‟amministrazione fallimentare (curatore, coadiutori, ecc.); la rapida chiusura della procedura concorsuale. 59 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Secondo l‟art. 110 della L.f. il curatore, a partire da 4 mesi dalla chiusura dello stato passivo deve presentare: il prospetto delle somme disponibili; il piano di riparto. Il termine di 4 mesi è ordinatorio perché si fa solo se si hanno somme a disposizione da distribuire. Il problema è che i curatori non sono così solleciti nella redazione dei piani di riparto parziali, contrariamente alle regole, e per questo motivo vengono spesso sollecitati dal giudice delegato. Infatti egli dovrebbe compilarlo e consegnarlo allo stesso giudice delegato, il quale provvede a portarlo a conoscenza di tutti i creditori (art. 110 comma 3 della L.f.), i quali hanno la possibilità di produrre reclamo entro 15 giorni su: il quantum, la soma da restituire; l‟errore nella graduazione rispetto all‟ordine dei privilegi: risulta complicato ordinare i privilegi, facilmente durante questa fase si originano errori non consapevoli). Decorso tale termine il piano di riparto è esecutivo. Ai sensi dell‟art. 105 della L.f. il curatore deve provvedere al pagamento su controllo del giudice delegato, e deve essere anche fornita la prova del pagamento, ad es. tramite bonifico, assegni circolari o contanti verso ricevuta. Comunque la curatela i piani di riparto parziali (di solito quadrimestrali): non possono superare l‟80% delle somme da ripartire (art. 113 della L.f.); devono essere trattenute e depositate le quote di una serie di crediti che non possono essere pagate nell‟immediato, come ad es. le ammissioni con riserva, le opposizioni non ancora accolte: tali somme devono comunque essere accantonate (accantonamenti ad hoc verso tali creditori). La natura degli accantonamenti è una sorta di prudenza, utilizzata al fine di evitare disparità di trattamento e così facendo creando un vero e proprio danno a essi, infatti le somme non possono essere richieste indietro salvo nei casi di rivendica. I crediti tardivi vengono trattati in modo diverso, infatti per essi non è previsto alcun accantonamento preventivo, poiché tali creditori devono risentire del fatto di non essersi insinuati nel passivo con tempestività. Eccezione: se il ritardo dipende da cause non imputabili a essi, l‟accantonamento va fatto anche in questo caso, ma solo dopo che questo si sia manifestato (quello che è già stato ripartito è andato perduto). A questo punto finita la fase di liquidazione dell‟attivo ed effettuati i riparti parziali (prima di quello finale) il curatore deve fare un rendiconto su come sono state impiegate le somme ricavate, presentando l‟intera situazione contabile della procedura, la quale va depositata presso il giudice delegato e che può essere visionata dai creditori. Tale rendiconto è un documento propedeutico al riparto finale perché in esso si indica la somma dovuta al curatore (= in prededuzione). Il riparto finale rappresenta l‟atto finale della procedura, in cui, seguendo l‟ordine dei privilegi in caso ancora non siano stati liberati (nella prassi essi sono già liberati) , vengono soddisfatti i chirografari e i crediti cui sono stati previsti nei riparti parziali (se la condizione è stata verificata; in caso essa non sia ancora verificata la somma è stabilita dal giudice delegato). Ai sensi dell‟art. 117 comma 4 della L.f. vengono versate delle somme per i creditori 60 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it irreperibili fino a 5 anni. Trascorso tale termine le somme diventano proprietà del Ministro della giustizia (statale). La chiusura della procedura fallimentare, oltre alla modalità formale di liquidazione degli atti (→ caso normale), prevede i seguenti casi (art. 118 comma 1 della L.f.): in caso non siano proposte domande di ammissione al passivo, ad es. quando i crediti vengono acquistati da terzi; in caso in cui, prima del riparto finale, in occasione dei riparti parziali nei quali viene pagato il 100% del passivo (= caso fortunato, in cui potrebbe accadere che avanzi dell‟attivo nei confronti del passivo; in caso, in corso di procedura, non si è in grado di pagare parte dei creditori concorsuali (non vi è più attivo) al fine di evitare ulteriori spese inutili. In questi casi nei quali non tutti i creditori siano soddisfatti viene chiesta la cancellazione dal Registro delle imprese della società in questione, e quindi la conseguente chiusura del fallimento, la quale a sua volta determina la fine della responsabilità illimitata dei soci. Chiusura del fallimento Effetti della chiusura sul fallito Vengono meno gli effetti tipici del fallimento patrimoniali e personali. In caso vi sia ancora dell‟attivo, esso deve essere a lui restituito, così riprende anche i giudizi in corso e tutte le incapacità del caso vengono meno. Effetti della chiusura sul creditore non pagato Tali creditori riacquistano il potere di chiedere all‟ex fallito il proprio credito, salvo il caso particolare dell‟esdebitazione (comunque il credito insoddisfatto non si è estinto). Effetti della chiusura sugli organi della procedura Gli organi dopo la chiusura vengono meno. Però il curatore, in caso di esdebitazione, deve comunque esprimere il proprio parere (e di conseguenza anche il comitato dei creditori). In generale le sue azioni diventano improseguibili, anche se non sono state concluse (caso raro, di solito le azioni vengono sempre concluse). Riapertura del fallimento (art. 121 della L.f.) Quando il fallimento viene chiuso senza che venga soddisfatto il 100% dei crediti, si può riaprire in caso entro 5 anni viene scoperto e/o reperito un patrimonio in capo all‟ex fallito, ad es. nel caso di un‟eredità. In tal caso verrà emanata una nuova sentenza di fallimento in cui il giudice delegato richiama il curatore e il comitato dei curatori (se è possibile), e rifissa un termine per gli accertamenti del passivo, a partire dalla nuova sentenza, in cui partecipano: i vecchi creditori non soddisfatti; i nuovi creditori, che non sono quelli prededucibili riguardanti la seconda sentenza, ma sono quelli che hanno fatto parte ad atti a titolo gratuito, per i quali si applica una disciplina che va anche a ritroso rispetto alla riapertura della procedura (caso raro). Esdebitazione 61 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it L‟esdebitazione rappresenta il beneficio della liberazione del debito residuo nei confronti dei creditori concorsuali non pagati, che però possono agire sul fallito nel caso di entrata in possesso di beni da parte dello stesso. Il fallito, in pratica, dopo il fallimento torna a essere liberato per l‟art. 142 della L.f.. E‟ un‟azione che risponde alla filosofia secondo la quale il fallimento non rappresenta una sanzione, ma semplicemente una procedura amministrativa al fine del regolamento tra creditori e debitore. Tale azione è limitata al fallito persona fisica, e non applicabile al fallimento delle società (mentre tale opzione è prevista in altri ordinamenti giuridici, in Italia non è prevista poiché i crediti sono considerati inesigibili, ossia estinti e non possono essere più richiesti al fallito, ma la massimo nei confronti di coobbligati o garanti). Il fallito, in generale, ha diritto alle sole condizioni dettate dall‟art. 118 comma 1 della L.f. e dall‟art. 118 comma 2 della L.f., ma non può richiederle: qualora non siano stati soddisfatti nemmeno in parte i crediti concorsuali (art. 118 comma 1 della L.f.); non possono essere cancellati gli obblighi di mantenimento, gli alimenti e i danni per risarcimento causati da fatto illecito extraconcorsuale (art. 2043 c.c.); non possono essere eliminati i crediti non concorsuali, i quali si sono verificati al di fuori della procedura. Le condizioni positive per godere dell‟esdebitazione sono: il fallito si è comportato bene (art. 142 comma 1 della L.f.), collaborando con gli organi della procedura; il fallito ha pagato almeno in parte i crediti concorsuali. Le condizioni negative in base alle quali non è possibile godere dell‟esdebitazione sono: il fallito ha ritardato la richiesta e/o lo svolgimento della procedura; il fallito ha occultato la corrispondenza commerciale; il fallito ha beneficiato di una precedente esdebitazione (nel corso dei 10 anni precedenti); il fallito ha tenuto un comportamento perseguibile penalmente, come ad es. sottrarre dell‟attivo fallimentare. Esdebitazione: procedura L‟art. 143 della L.f. enuncia che tale atto sia esecutivo quando viene emanato il decreto di chiusura del fallimento mediante apprezzamento discrezionale del tribunale, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, così dichiarando inesigibili, verso l‟ex fallito, i crediti concorsuali. Contro tale decreto i creditori concorsuali possono produrre reclamo. 62 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Concordato fallimentare Chiusura del fallimento a seguito di un accordo tra i creditori concorsuali e un soggetto che fa una proposta di sistemazione del passivo, di soddisfazione del credito. Tale proposta viene fatta agli organi della procedura e votata dalla maggioranza dei creditori, i quali, mediante tale votazione, danno il consenso. La particolarità di tale votazione è quella che i creditori, se non votano, accettano il concordato (quindi se votano, per accettare la procedura non devono rifiutarla) → silenzio assenso. Il concordato fallimentare è stato modificato nel 2005 dal d.l sulla competitività delle imprese (modificato insieme alla revocatoria e al concordato preventivo) perché ci si è voluti avvicinare a forme di privatizzazione della composizione dell‟insolvenza per agevolare gli accordi tra debitore e creditori. Rispetto all‟originale concordato fallimentare, che era fortemente ostacolato (infatti si poteva fare solo se venivano pagati per il 100% i creditori privilegiati) per evitare che venisse presentato. In seguito viene copiata la disciplina sul concordato della L. Marzano (denominata L. Parmalat, poiché è stata emanata in concomitanza del crack Parmalat) che riguarda l‟amministrazione straordinaria di imprese di grandissime dimensioni (infatti oltre a essere applicata alla Parmalat, è stata applicata anche all‟Alitalia) la quale prevede il concordato che poi è stato trasfuso nel concordato fallimentare previsto dall‟art. 124 della L.f. (e non nel concordato preventivo, previsto dall‟art. 160 della L.f.). A tal riguardo è opportuno distinguere tra: Concordato fallimentare Concordato preventivo E‟ un modo per concludere la procedura Il concordato preventivo si apre prima che il fallimentare. fallimento inizi, in pratica è a esso alternativo. La natura contrattualistica del concordato (a oggi, fine del 2011) è la tesi prevalente, infatti esso rappresenta una proposta contrattuale poiché è definita con l‟accettazione dei creditori. Chiaramente la proposta non può violare i privilegi del credito e la privatizzazione dello stesso richiede comunque una verifica da parte del tribunale → verifica di legalità della proposta, e non di convenienza (la verifica di convenienza spetta solo ai creditori → orientamento 63 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it prevalente): prima della riforma del 2005 il tribunale aveva anche un ruolo nella verifica di convenienza. Il contenuto Il contenuto è di duplice natura: contenuto necessario: riguarda la ristrutturazione del debito e la soddisfazione dei crediti insinuati al passivo: ristrutturazione del debito: soddisfazione del credito riduzione del debito; (art. 124 comma 2 della L.f.): dilazione del debito; può avvenire in qualsiasi soluzione mista tra forma. La parola riduzione e dilazione; soddisfazione ha un viene richiesta una contenuto più ampio del garanzia. concetto di pagamento: cessione di beni; accolli o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l‟attribuzione ai creditori di azioni della società o emissione delle obbligazioni (convertibili o meno) o altre operazioni finanziarie (come titoli di debito), o ancora altre operazioni straordinarie (come fusioni o scissioni); moratorie. 64 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it contenuto eventuale: possibilità che l‟obbligo di avvenimento del concordato viene assunto da un terzo soggetto che si presenta come assuntore, e si obbliga di sanare i debiti mediante l‟impossessamento di tutto l‟attivo (di solito l‟assuntore è un concorrente). L‟art. 124 della L.f. non utilizza il termine assuntore, ma semplicemente menziona un terzo soggetto. La proposta può, inoltre, essere presentata: dal fallito e soggetti vicini al fallito, ma solo dopo un anno dalla dichiarazione di fallimento, e non oltre 2 anni dall‟accettazione del passivo. Tali termini sono imposti al fine di evitare fallimenti strumentali; l‟art. 124 comma 4 della L.f. prevede la scissione dell‟attivo fallimentare, purché autorizzata dal giudice delegato; ma se si tratta di atti o cause previste dal fallimento (ad es. nel caso della revocatoria), non solo è necessaria 65 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it l‟autorizzazione del giudice delegato, ma è anche indispensabile che l‟azione in questione sia cominciata dal curatore; sempre per l‟art. 124 comma 4 il proponente può limitare la proposta solo ai creditori noti (quelli ammessi al passivo o quelli che hanno presentato domanda d‟insinuazione opposta o tardiva). In tal caso verso gli altri creditori continua a rispondere il fallito (considerato il fatto che l‟attivo venga trasferito al soggetto che impone la limitazione). Sempre tale disciplina prevede la possibilità di inserire anche il credito revocato; possibilità di suddividere il credito in classi (art. 124 comma 2 della L.f.); possibilità di prevedere trattamenti diversi ai creditori appartenenti a classi diverse; possibilità di pagamento parziale dei creditori privilegiati, ai sensi dell‟art. 124 comma 3 della L.f. (tale incipit vale anche per il concordato preventivo e rappresenta la novità della riforma del 2005). Possibilità di suddividere il credito in classi Non è un obbligo, ma una scelta discrezionale del debitore (in altri ordinamenti le classi sono obbligatorie). L‟opinione giurisprudenziale, a volte, punta sull‟intervento anche in ambito di convenienza (e non solo di legalità) → quando: i creditori possono essere suddivisi in base a interessi economici omogenei (creditori finanziari → banche, creditori industriali → fornitori di materie prime (strategici e non strategici, creditori commerciali → agenti/rappresentanti) e all‟entità del credito, a basi miste. Trattamento diverso dei creditori appartenenti a classe diverse Per l‟art. 124 comma 3 della L.f. tale trattamento diverso non può alterare comunque l‟ordine dei privilegi, ma può derogare alla parità di trattamento nell‟ambito dei creditori dello stesso “rango” (di solito ciò avviene all‟interno della categoria dei creditori chirografari). Possibilità di non pagare i creditori privilegiati per intero I creditori muniti di privilegio possono non venire soddisfatti integralmente, purché il “piano” (che secondo la legge non è previsto dal concordato fallimentare, ma dal concordato preventivo) lo preveda → interpretazione non letterale delle parole. Per piano d‟intende la proposta la quale preveda un ammontare in misura non inferiore a quella realizzabile rispetto al valore del bene su cui è insito il privilegio. Solo se il valore del bene è minore rispetto al valore del credito garantito può non essere pagato integralmente il credito privilegiato. Tale valore del bene deve derivare tramite una dichiarazione giurata da un professionista che abbia i requisiti da curatore e che sia una terza persona. Così il privilegiato, per la parte non pagata, diventa chirografario. Attenzione: nel caso in cui non vengono pagati per intero i privilegiati, vengono comunque pagati i chirografari mediante risorse aggiuntive. I subordinati, normalmente, non vengono pagati, o come nel caso dei chirografari, pagati con risorse esterne non previste dal concordato → così non vi è alcuna violazione della par condicio creditorum. La proposta di concordato è il frutto della fantasia del proponente (con delle regole), infatti sono previste forme di concordato alternative tenendo in considerazione che è più complicato favorirlo visto che il voto è negativo (il voto vale no, il “non-voto” vale si). 66 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it L‟autonomia nel determinare il contenuto del concordato fallimentare è a discrezionalità del proponente, ma essa deve seguire un limite: non si può modificare l‟ordine dei privilegi, l‟attivo fallimentare deve essere distribuito secondo tale ordine. Procedura L‟art. 124 comma 1 della L.f. enuncia che il proponente può essere: uno o più creditori; un terzo; lo stesso debitore: però la proposta può essere fatta solo dopo che è trascorso un anno dalla dichiarazione di fallimento. In caso il proponente voglia proporre a una società: società di capitali: la proposta viene accettata dal Consiglio d‟amministrazione e deve essere redatta dal notaio ai sensi dell‟art. 152 comma 2 della L.f.; società di persone: la proposta viene accettata dalla maggioranza di capitale, ai sensi dell‟art. 125 della L.f. (nel caso delle società di persone il curatore può fare un elenco provvisorio dei creditori per capire chi può votare). La proposta è presentata che chiede un parere al curatore sulla fattibilità/convenienza di questa perché quest‟ultimo è in grado di esprimere un parere su quanto si ricaverebbe dall‟eventuale ripartizione dell‟attivo, in ipotesi di normale prosecuzione del fallimento, nei confronti di → prospettive di fattibilità del concordato,oltre che essere conveniente (compito del curatore di verifica preliminare). Il suo parere è obbligatorio, ma non vincolante e può essere: positivo; dubbio; 67 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it negativo. Dopodiché viene chiesto il parere da parte del giudice delegato al comitato dei creditori: solo se tale organo è favorevole si può andare oltre (parere obbligatorio e vincolante). Successivamente il giudice delegato si avvale del controllo formale, in cui si ordina che la proposta venga comunicata ai creditori. Questo se il parere del comitato dei creditori è positivo; se fosse negativo il giudice delegato lo comunica al proponente ed eventualmente lo consiglia su modifiche migliorative della proposta. In caso venisse accettata la proposta, sulla domanda di comunicazione dei creditori (fatta anche tramite internet, nei grandi fallimenti) il curatore deve indicare: dove si recuperano gli atti; la mancata risposta viene considerata come un voto favorevole → silenzio assenso; fissa un termine entro il quale i creditori devono far pervenire il dissenso. Entro 20 gg/1 mese si viene a conoscenza del fatto se i creditori abbiano o meno accettato la proposta di concordato. Ai sensi dell‟art. 127 della L.f. i soggetti legittimati al voto sono i seguenti: i creditori che risultano nell‟elenco provvisorio redatto dal curatore, in caso non sia ancora stato effettuato lo stato passivo; tutti i creditori indicati nello stato passivo, sia gli esecutivi, sia quelli ammessi provvisoriamente e con riserva. I creditori privilegiati non possono votare, se la proposta di concordato, è a loro neutra (= se sono indifferenti all‟esito del concordato), poiché si potrebbe snaturare il voto che serve invece a coloro i quali hanno la consapevolezza di non venire pagati per il 100% del loro credito durante la procedura concorsuale, e quindi devono valutare in tale situazione di accordo la loro effettiva convenienza. Ma i privilegiati possono votare se rinunciano alla prelazione (la rinuncia non deve superare 1/3 del loro credito), così viene paragonato a un chirografario (per ignoranza diffusa i privilegiati piuttosto che votare, perdono la prelazione). Ciò vale per i privilegiati generali e speciali, ma nel caso di creditori i quali hanno il diritto di prelazione, che ha un valore maggiore rispetto al valore del bene, allora viene fatta una perizia sul bene in questione e così tale creditore diviene privilegiato solo nominalmente rispetto la somma eccedente (ossia su tale eccedenza viene considerato un chirografario). Ad es.: valore dell‟ipoteca = 1000 valore del bene = 750 Il creditore vota per i 250 (1000 – 750), perché per tale somma egli è chirografario. La proposta di concordato prevede la suddivisione in classi di creditori, tra loro suddividibili ulteriormente in sottoclassi omogenee → problema: in caso in cui un creditore privilegiato si spogli del suo privilegio, si pone il problema di dove collocarlo: dovrebbe ricadere nella classe merceologica indicata secondo buon senso (possono comunque sorgere situazioni incerte). I chirografari, come già accennato, hanno diritto al voto, ma nella rara situazione in cui essi vengano pagati al 100%, rientrerebbero anch‟essi nella categoria dei neutri nei confronti del 68 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it concordato, cosicché perderebbero anche il diritto al voto → solo in questo caso entrano in gioco i creditori subordinati (con conseguente diritto al voto). E‟ escluso dal diritto al voto: il coniuge del debitore; i parenti e gli affini entro il IV grado del debitore, comprese le società controllanti e più in generale i creditori infragruppo (norma prevista solo per il concordato fallimentare); coloro che hanno acquistato crediti dai soggetti appena nominati entro un anno dalla dichiarazione di fallimento. Dopo la dichiarazione di fallimento la norma vieta che qualcuno abbia acquistato il credito (appunto dopo tale data), per evitare che tale soggetto possa acquisire il diritto al voto, almeno che non si tratti di una banca, infatti essa è un soggetto autonomo che può votare senza alterare le maggioranze. Ai sensi dell‟art. 128 comma 1 della L.f. l‟approvazione del concordato avviene con la maggioranza dei crediti ammessi al voto (regola uguale a quella del concordato preventivo). Prima della riforma del 2006, il concordato veniva approvato mediante un doppia maggioranza, ma era troppo complicato. Considerando il fatto che il concordato sia dotato di classi di creditori per l‟art. 128 comma 2 della L.f., considerate anche la maggioranza dei crediti (assoluta), ma anche la maggioranza delle classi, la duplice maggioranza viene oggi calcolata in base al valore dei crediti, ricordandosi che le classi sono e rimangono comunque una libera scelta del debitore. L‟art. 128 comma 3 della L.f. enuncia il caso di una sopravvenuta variazione in merito a un credito riconosciuto successivamente come tale: tale creditore non vota. Se il concordato presenta delle classi, il tribunale, durante la verifica formale dello stesso, deve anche verificare formalmente che le classi abbiano un senso secondo principi economici e giuridici omogenei, le quali devono prevedere trattamenti differenziati anche all‟interno delle classi (ossia trattare in modo diverso anche crediti identici). Possono essere presentate più proposte di concordato (anche se non esattamente in contemporanea) → art. 125 comma 2 della L.f.: se sono presentate più proposte o nel caso se ne aggiunga una nuova, il comitato dei creditori sceglie quale portare in votazione, e il giudice delegato può ordinare la comunicazione a tutti i creditori delle altre proposte scartate, in caso le ritenesse parimenti convenienti. Per quanto riguarda il voto in questa particolare situazione: “vince” la proposta che ha conseguito il maggior numero di consensi (o, in caso di parità, quella sottoposta per prima). Problema: il voto è negativo, ossia vota chi non è d‟accordo al concordato, per un parere positivo vige il silenzio-assenso → la soluzione potrebbe essere modificare la votazione da silenzio-assenso a espressione del voto, cosicché si possa meglio comprendere la scelta del concordato più adatto. L‟art. 129 della L.f. disciplina la situazione in cui la votazione è terminata e il curatore comunica al giudice delegato il risultato. Se è positivo bisogna darne comunicazione a: il proponente; il fallito; i creditori dissenzienti. 69 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Successivamente viene fissato un termine per le eventuali opposizioni; sempre entro questo termine il comitato dei creditori deve esplicare il motivo per il quale il concordato è valido. Dopodiché viene fissata l‟udienza, e così si possono verificare due situazioni: 1. la proposta di concordato non ha opposizioni, si procede all‟omologa del concordato, il tribunale verifica la regolarità della procedura → nel caso d‟irregolarità degli aspetti formali, la normativa in merito non dice nulla: è comunque opportuno che il tribunale possa acconsentire di sanare i vizi degli aspetti formali, per poi procedere all‟omologa; 2. la proposta di concordato contiene delle opposizioni, ossia qualche creditore vuole che lo stesso venga respinto. I creditori contrari possono proporre opposizione al concordato. In generale se non vi sono opposizioni, il giudice delegato procede all‟omologa, ma in caso vi siano opposizione, è interessante capire cosa esse possono riguardare: fatti procedurali (ad es. la maggioranza calcolata in modo errato); inattendibilità della proposta di concordato; non convenienza del concordato → la minoranza può eccepire la non convenienza? L‟art. 129 comma 5 della L.f. enuncia che l‟opposizione sia fondata sulla convenienza del concordato. L‟opposizione può essere effettuata da un creditore appartenente a una delle classi dissenzienti, cioè una classe contraria. Il tribunale può omologare il concordato qualora il credito soddisfatto dal medesimo sia in misura soddisfacente, comparando il concordato rispetto alla prosecuzione del concorso fallimentare. L‟art. 129 comma 5 limita la valutazione del tribunale rispetto al concordato e alla presenza delle classi. Molto semplicemente quando si tratta di concordato senza la previsione di classi, la maggioranza dei creditori vince. In giurisprudenza alcuni sostengono che la valutazione del concordato in base alla convenienza da parte del creditore sia prevista da esso, sia nel caso vi sia una suddivisione in classe o meno. Se l‟impugnazione venisse fatta dal debitore, si creerebbe una disparità di trattamento tra i creditori (interpretazione riproposta nel concordato preventivo). Il tribunale in caso di opposizione, assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti (ad es. la raccomandata), anche eventualmente delegando uno dei componenti del collegio. L‟istruttoria è composta delle seguenti fasi: sentire le parti; 70 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it sentire il commissario dell‟istruttoria ed emettere un decreto motivato in cui si ammette o si rifiuta l‟omologa del concordato. A questo punto il tribunale non può modificare l‟accordo tra i creditori e il debitore. Contro tale decreto è previsto un reclamo alla Corte d’Appello entro 30 giorni. Ai sensi dell‟art. 130 della L.f. e dell‟art. 131 della L.f. il decreto diventa efficace dopo 30 giorni dalla sua pubblicazione, e quando il concordato fallimentare diventa definitivo il giudice delegato chiude il fallimento. Effetto del concordato Nei confronti del debitore il concordato fa venire meno tutte le incapacità a lui imputate. Nei confronti dei creditori concorrenti (ante fallimento) l‟effetto è quello di accettare la falcidia concorsuale ai sensi dell‟art. 135 della L.f.: i suoi effetti valgono anche per i creditori che non si sono insinuati al passivo (nei limiti della prescrizione del proprio credito) → obbligatorietà del concordato, nel senso che l‟eccedenza sia inesigibile nei confronti del debitore. E‟ possibile per il proponente limitare la proposta di concordato ai soli creditori conosciuti a scapito di quelli che non si sono presentati (questi non vengono pagati in sostanza) per l‟art. 124 della L.f.. In che modo collegare i due articoli? Art. 124 della L.f. ↔ Art. 135 della L.f. Il creditore insoddisfatto non insinuato può agire solo verso l‟ex fallito tornado in bonis, che comunque può rivalersi della falcidia concorsuale. Nell‟esecuzione del concordato il curatore e il comitato dei creditori verificano le modalità di esecuzione del concordato secondo quanto previsto nel decreto di omologa. Quando i crediti sono stati pagati il giudice delegato ordina la cancellazione delle ipoteche e il fallimento si chiude. Patologia: le garanzie promesse in realtà non esistono; il proponente non adempie regolarmente alle obbligazioni del concordato. Ciascun creditore può chiedere la risoluzione del concordato (e non il curatore, il comitato dei creditori e il giudice delegato → concordato = rapporto tra proponente e creditori). La violazione della proposta dà luogo alla risoluzione della stessa, infatti le possibilità sono: adempimento regolare: qualunque ritardo può dare luogo o meno alla risoluzione? NO! Infatti nei confronti dei contratti, per l‟art. 1455 c.c. la risoluzione non si può fare se l‟inadempimento è di scarsa importanza. Allora il concetto è ripreso anche nell‟art. 186 della L.f. in cui si dice che il concordato non si può interrompere se l‟inadempimento non è rilevante, che però si riferisce al concordato preventivo; quindi: non sarebbe di buon senso che nel concordato fallimentare vi fosse una regola diversa rispetto al concordato preventivo. I limiti per il ricorso sono i seguenti: non deve essere proposto oltre un anno per l‟ultimo termine fissato per l‟adempimento ultimo; non si applica l‟art. 137 della L.f. in caso si abbia a che fare con soggetti che si vogliono prendere tutte le responsabilità (= l‟assuntore) dei debiti, perché il fallimento è chiuso 71 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it → annullamento per errore, violenza e dolo, su istanza del curatore e su quella di qualunque creditore (forma d‟invalidità del concordato che adotta il principio civilistico dei contratti). Se il contratto di concordato è annullato allora si riapre il fallimento; in tal caso vengono applicati le seguenti disposizioni legislative: l‟art. 122 della L.f., l‟art. 123 della L.f.. Ancora l‟art. 141 della L.f. riguarda la ripresentazione di una proposta di concordato (anche dallo stesso proponente), la quale può essere omologata solo se sono state depositate presso il giudice delegato tutte le somme che servono per l‟adempimento. Fallimento delle società Finora si è parlato di fallimento dell‟imprenditore commerciale non piccolo, ora è opportuno parlare di fallimenti sociali, anche perché sono maggiori i casi in cui a fallire sia una società rispetto all‟imprenditore individuale. Le norme sono integrate dall‟art. 146 della L.f. e dall‟art. 156 della L.f., le quali riguardano tutte le società, sia quelle di persone che quelle di capitali. Art. 146 della L.f. Art. 156 della L.f. Riguarda gli amministratori delle società, Tale norma si applica al concordato infatti in caso di una società i responsabili fallimentare e al concordato preventivo, e sono: stabilisce che la proposta nelle società di gli amministratori; persone è accettata se confermata dalla i liquidatori. maggioranza dei soci (per capitale posseduto) e nelle società di capitali la maggioranza deve Tali soggetti sono responsabili seppur non riguarda il Consiglio di amministrazione. La falliti personalmente e devono essere sentiti decisione deve risultare da un verbale ogniqualvolta che lo stabilisce la legge, redatto dal notaio (in atto pubblico) e deve soprattutto quando essa stabilisce che debba essere iscritta nel Registro delle imprese. essere sentito il fallito, ancorché non fallito. Effetti del fallimento sulle società Il fallimento non è più causa di scioglimento della società di capitali, come avveniva in passato, perché l‟art. 2484 c.c. non la prevede più nell‟elenco delle cause di scioglimento. La società fallita ha delle limitazioni nel suo operare, ma non si scioglie. Problema: caso della conservazione del capitale sociale minimo, in caso di prosecuzione della società (nei casi normali in cui la società sia in bonis) essa si dovrebbe sciogliere: ciò non è necessario. Situazione diversa riguarda le società di persone; esse prevedono un elenco di cause di scioglimento, tra cui la dichiarazione di fallimento, perché il Governo, durante la riforma del 2003, non ha riformato nello specifico tali società, ma solo quelle di capitali. Problema: l‟art. 2308 c.c. non è chiaro in merito alla nomina dei liquidatori in caso di fallimento delle società di persone. L‟orientamento prevalente comunque è del parere negativo, perché di solito non vi è nulla da liquidare: comunque le soluzioni applicate sono differenti. Gli effetti del fallimento sono i seguenti: gli amministratori rimangono in carica; 72 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it permane l‟assemblea; i sindaci rimangono in carica. Gli organi rimangono in carica ma con compiti limitati per quanto riguarda: l‟approvazione del concordato; le modifiche dell‟atto costitutivo; le operazioni straordinarie: la trasformazione, ai sensi dell‟art. 2498 c.c. il quale prevede che sia sempre possibile anche in corso di fallimento; la fusione, ai sensi dell‟art. 2501 comma 2 c.c., il quale prevede che essa non sia consentita alle società in liquidazione, che però, non abbiamo iniziato la liquidazione dell‟attivo; l‟aumento del capitale sociale, operazione prevista anche durante il fallimento, meno improbabile delle due precedenti. In questi casi gli amministratori conservano tale potere. L‟art. 147 della L.f. prevede che la sentenza dichiarativa di fallimento di SNC e SAS produca anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili (nel caso di SAS, tale responsabilità riguarda solo gli accomandatari). Si tratta di un fallimento senza insolvenza del socio, perché avviene automaticamente in conseguenza a quello della società. Falliscono come soci illimitatamente responsabili anche coloro che dopo la dichiarazione di fallimento delle società risultano essere soci illimitatamente responsabili (non in via ufficiale), come: soci di fatto; soci occulti; soci apparenti; → in generale coloro che abbiano generato nei creditori l‟idea di essere effettivamente soci responsabili illimitatamente soci accomandanti che gestiscono e amministrano la SAS (anch‟essi rispondono di tutto il passivo, come una sorta di sanzione). L‟art. 147 comma 2 della L.f. riguarda il fallimento del socio receduto o cessato dalla responsabilità illimitata, decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale (stessa cosa accomandatari nel caso degli ultimi due tipi sociali menzionati). Mentre non si applicano a soci di società in cui gli stessi siano a responsabilità limitata come nel caso delle SPA, delle SRL, delle SAS e delle SAPA (solo per i soci accomandanti nel caso degli ultimi due tipi sociali menzionati). Gli effetti del fallimento societario e dei soci sono previsti dall‟art. 148 della L.f.. Comunque è previsto un solo giudice delegato e un solo curatore, pur se le due procedure rimangono distinte (il fallimento della società e il fallimento dei soci), ma possono essere nominati più comitati dei creditori. Proprio per questo motivo l‟art. 148 comma 3 della L.f. rappresenta il collegamento tra i due debiti. Nei confronti della società, chi si insinua al passivo della società, si insinua automaticamente anche al passivo dei soci. L‟art. 148 comma 4 della L.f. prende in considerazione i creditori particolari del socio, i quali si insinuano solo al passivo dei soci, al contrario il creditore sociale ha diritto a partecipare a tutte le ripartizioni, finché non sia soddisfatto integralmente. 73 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Ai sensi dell‟art. 67 della L.f. sono revocabili gli atti che ledono la par condicio nel periodo sospetto. In caso di socio illimitatamente responsabile → problema: gli atti posti al di fuori dell‟attività economica compiuti nel periodo sospetto: le norme non specificano nulla, ma per il buon senso, occorre distinguere tra: atti tra privati, in cui l‟acquirente non conosce la situazione del socio illimitatamente responsabile a rischio di fallimento; atti compiuti dalla persona-socio illimitatamente responsabile che hanno un collegamento evidente per i terzi con l‟insolvenza della società. Società di capitali e soci limitatamente responsabili Importanti sono gli artt. 146, 150, 151 della L.f.. In particolare l‟art. 150 della L.f. riguarda il versamento del capitale ancora non effettuato da parte dei soci al momento del fallimento. La società, in caso di versamento non integrale del capitale, secondo l‟art. 150 comma 1 della L.f., il giudice delegato, su proposta del curatore, ha un potere particolare, secondo il quale può emettere un‟ingiunzione di pagamento, per fare versare le quote ancora dovute, anche se non stabilito il pagamento: è l‟unico ordine di pagamento che il giudice delegato può emettere; il socio può opporsi entro 40 giorni, ai sensi dell‟art. 645 c.p.c.: il socio ha già versato, ma non risulta dagli atti; il socio ha il diritto di compensarlo con un credito; vi è stato un errore. 74 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Per l‟emissione del decreto ingiuntivo, vi sono dei requisiti → il creditore deve risultare da prova scritta. Gli amministratori/liquidatori richiedono il versamento di capitali in caso di necessità previa valutazione economica (non prevista, però, ma data per scontata dall‟art. 150 della L.f.). Finanziamento dei soci L‟art. 2467 c.c. vale solo per le SRL; introdotta dalla riforma societaria del 2003, tale norma integra l‟art. 150 della L.f. per quanto riguarda: la postergazione dei crediti subordinati; se il finanziamento è anteriore un anno dal fallimento, è inefficace ex lege, quindi deve essere restituito. L‟art. 150 comma 2 della L.f. enuncia che devono essere restituiti i finanziamenti quando essi provocano lo squilibrio economico nel capitale netto. Mentre l‟art. 2497 quinques si estende non solo nei confronti dei gruppi, ma anche verso le SPA, al fine di individuare un principio generale da applicare a tutte le società di capitali (= è un‟interpretazione). L‟art. 146 comma 2 della L.f. riguarda le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i sindaci e i liquidatori nelle SPA e contro i soci delle SRL. Si tratta di azioni fatte dal curatore previa autorizzazione del giudice delegato → ammesso che il socio coincide con l‟amministratore delle società di persone (in tali società non è ammesso che l‟amministratore sia estraneo), in caso di fallimento della società, fallisce anche questo automaticamente. Fine dell‟azione: ottenere danni dall‟amministratore per la mala-gestione. Gli artt. 2393-2393 bis- 2394 c.c. menzionano le azioni di responsabilità verso la società e verso i soci. In particolare l‟art. 2394 bis c.c. prevede che in caso di fallimento, le azioni di responsabilità vengano effettuate dal curatore in via esclusiva. Mentre l‟art. 2395 c.c. concerne le azioni a diretta responsabilità non possano essere effettuate dal curatore, ma dai creditori societari e/o dalla società. Le azioni fatte dal curatore riguardano gli: amministratori di diritto; amministratori di fatto: coloro che hanno generato nei terzi l‟idea che essi potessero avere potere gestorio, e che nella pratica gestivano la società. Il ricavato dall‟azione di responsabilità va a vantaggio della massa attiva (art. 2393 c.c.) o a vantaggio dei singoli creditori (art. 2394 c.c.). Si tratta comunque di azioni che possono essere esercitate, anche prima del fallimento, ma vengono adattate in funzione dello stesso. Quindi esse sono di competenza del tribunale ordinario. Nel caso delle SRL, si può dire che esse siano sempre state considerate come delle piccole SPA, prima della riforma del 2003. Dopo tale riforma, invece, le SRL diventano più simili a una società di persone, però, con la caratteristica della responsabilità limitata → è stata introdotta una normativa autonoma statutaria che permette alle stesse di adottare una disciplina interna presa dalle società di persone o dalle società di capitali. Quindi: la responsabilità degli amministratori, per quanto riguarda l‟amministrazione della società è prevista dall‟art. 2476 c.c., norma specifica, appunto, sulla responsabilità degli amministratori delle SRL, norma analoga all‟art. 2492 c.c. riguardante le SPA. Nel dettaglio l‟art. 2476 comma 7 c.c. considera responsabili solidalmente anche i soci, nonostante la responsabilità limitata, 75 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it che non abbiano alcun potere gestorio (anche se non vi è una distinzione tra socio e amministratore come accade nelle SPA) nel caso abbiano intenzionalmente deciso o autorizzato atti dannosi nei confronti dei creditori (della società e dei soci). Così per l‟art. 146 comma 2 della L.f. il curatore può anche compiere azioni di responsabilità contro i soci di SRL. Mentre l‟art. 2497 comma 4 c.c. concerne il fallimento di società che esercitano attività di direzione e coordinamento. Procedura concorsuale minore: il concordato preventivo, l’amministrazione controllata e la liquidazione coatta amministrativa Si tratta di procedure concorsuali alternative al fallimento. Con la riforma del 2005 e del 2006 il legislatore ha profondamente riformato il concordato preventivo, abrogando la liquidazione amministrativa e ha introdotto una nuova figura: l‟accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182 bis della L.f.), che è una modalità di composizione crisi volontaria e che non costituisce una vera e propria procedura concorsuale. Concordato preventivo Il concordato preventivo è una procedura concorsuale minore (quella maggiore è il fallimento) di carattere volontario, cioè si può aprire solo su richiesta del debitore (≠ dal fallimento). Il concordato preventivo si dice preventivo (≠ dal concordato fallimentare) perché tende a prevenire e scongiurare l‟apertura del fallimento: se è pendente una causa di fallimento, da parte di un creditore o del PM, il tribunale deve prima esaminare il concordato preventivo, cosicché le altre cause di fallimento siano improcedibili. Se l‟esito del concordato preventivo è 76 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it positivo viene accantonata la domanda di fallimento; ma se il concordato preventivo non procede il tribunale esamina la domanda di fallimento nuovamente. In base all‟art. 160 della L.f., l‟imprenditore che si trova in stato di crisi (≠ stato d‟insolvenza, non è in grado di affrontare le proprie obbligazioni) può proporre il concordato preventivo ai creditori. Cosa vuol dire stato di crisi? Dalle riforme, dal 2005 al 2007, è stato un dilemma, così si sono delineate due opzioni: 1. nozione più ampia di stato d‟insolvenza; 2. qualcosa di meno dell‟insolvenza. Nel 2007 è stato introdotto l‟art. 160 comma 3 della L.f., in cui si specifica che per stato di crisi s‟intende anche lo stato d‟insolvenza oltre che di pericolo/difficoltà d‟insolvenza cosicché l‟impresa possa rimettersi in carreggiata. Incipit sull‟amministrazione controllata: l‟amministrazione controllata era una moratoria, un termine spostato in avanti, in cui il debitore pagava tutti i debiti aumentati degli interessi → oggi è stata abrogata. Il concordato preventivo è un accordo tra il debitore e i creditori che rappresentano la maggioranza dei debiti. Il debitore fa una proposta che i creditori a maggioranza la votano e la accordano. E‟ un intervento giurisdizionale volto a garantire la regolarità del percorso che ha una particolarità, la volontà della maggioranza dei creditori. Si tratta di un accordo di natura contrattuale oppure di un accordo svincolato dal contratto? In realtà nessuna delle due affermazioni risulta convincente perché: non vi è un contratto, infatti il concordato preventivo si chiude se viene accettato dalla maggioranza dei creditori (non tutti i creditori); il tribunale interviene solo per quanto riguarda la legalità, non può modificarlo e non interviene sul merito. Allora il concordato preventivo ha una natura mista pubblica (= regolata dal tribunale) e privata (= interviene tra soggetti privati). Tra il 2005-2007 è avvenuta una privatizzazione del concordato preventivo, quindi si è accentuata la natura contrattualistica, infatti il debitore può presentare qualunque proposta purché rispetti l‟ordine dei privilegi, e il tribunale non può intervenire, al massimo può essere richiesto il parere di un esperto nominato dal tribunale, ma non è vincolante. Fino al 2005 il concordato preventivo era una figura destinata all‟imprenditore onesto, ma sfortunato, infatti si poteva ammettere al concordato preventivo: colui che aveva tenuto la contabilità molto bene; non doveva essere stato in precedenza assoggettato a concordato preventivo. Inoltre i creditori privilegiati dovevano essere pagati al 100% (reali o personali), a prescindere dalla capienza del bene, e i chirografari dovevano essere pagati almeno al 40%. Entro 6 mesi bisognava riconoscere gli interessi, e lo stesso concordato era accordato mediante a una duplice maggioranza, la quale riguardava: il numero dei creditori; i 2/3 del valore dei crediti. 77 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Infine il tribunale doveva anche accertare la convenienza del concordato preventivo, rispetto al fallimento. Con la riforma 2005-2007 il debitore può formulare qualunque proposta ai creditori, basta che rispetti l‟ordine dei privilegi (comunque la % non deve essere insignificante). Attualmente non è più obbligatorio il pagamento integrale dei privilegiati (art. 160 della L.f.). Finalità del concordato preventivo Le finalità del concordato preventivo sono le seguenti: conservare gli organismi/le strutture produttivi che meritano di essere salvate: in capo allo stesso debitore; in capo a un altro imprenditore che compra l‟azienda; prevedere anche la liquidazione dei beni dell‟imprenditore. La proposta di concordato preventivo deve anche predisporre le garanzie per l‟adempimento del medesimo → concordato preventivo = proposta contrattuale particolare perché per essere accettato basta la maggioranza dei creditori. L‟art. 160 della L.f. evidenzia la seguente differenza tra il concordato preventivo e quello fallimentare: concordato preventivo concordato fallimentare è previsto un piano di liquidazione fatto dal non si parla di piano, perché esso è già stato debitore. fatto dal curatore. L‟art. 161 della L.f. prevede un piano accompagnato dalla relazione di un professionista che attesti la veridicità e la fattibilità del concordato preventivo. Si tratta di un piano finanziario che indichi le risorse per adempiere a tale provvedimento, e di un piano industriale. Il concordato può prevedere la prosecuzione dell‟impresa in capo al medesimo imprenditore. Esso si può concludere in determinati modi: cedere l‟azienda o rami d‟azienda a terzi → concordato liquidatorio; chiudere l‟azienda o rami d‟azienda; 78 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it razionalizzare la struttura. In relazione alle azioni precedenti è possibile giungere alle stesse mediante la previsione del pagamento ai chirografari solo rispetto a una percentuale. In caso di aumento di capitale, sorge un problema: le perdite rilevanti assunte prima dell‟omologa del concordato preventivo, che abbiano azzerato il capitale, devono essere eliminate e dopodiché occorre ricostituire il capitale. In più nel concordato preventivo normalmente il debitore non paga integralmente i propri debiti (che paga in percentuale) → la società ha una sopravvenienza attiva (= bonus da concordato), in sostanza per i debiti non pagati essa viene liberata. Le sopravvenienze sono esenti da tasse e possono essere utilizzate per contribuire all‟azzeramento delle perdite. L‟efficacia della delibera assembleare rispetto all‟aumento di capitale, è condizionata sospensivamente dall‟omologa di concordato. E‟ fondamentale l‟asseverazione di un soggetto commercialista, aziendalista, consulente societario, sindaco della società, deve attestare la veridicità dei dati aziendali (la contabilità deve essere in ordine e non vi devono essere fondi neri). La giurisprudenza, però, dice che il soggetto deve essere un terzo indipendente (estraneo alla società). In caso tale esperto abbia attestato delle falsità, e il commissario giudiziale (nominato dal tribunale) se ne accorgesse, quest‟ultimo è obbligato a comunicarlo ai creditori. Allora le responsabilità dell‟asseveratore sono: il risarcimento del danno → responsabilità civile; per quanto riguarda la responsabilità penale, sorge un dubbio perché se tale figura avesse un ruolo pubblico (visto che è nominato dal tribunale), sarebbe anche munito di responsabilità penale in merito al falso (punito col carcere, con l‟interdizione dai pubblici uffici). La finalità di tale attestazione è quella di dare attendibilità rispetto al piano che il debitore fa e che deve essere presentato con ricorso al tribunale fallimentare al fine di consentire di far valutare al medesimo positivamente il contenuto del concordato preventivo. A proposito di contenuti, il contenuto necessario del concordato preventivo è la ristrutturazione dei debiti + soddisfazione dei crediti. Queste due operazioni possono essere espletate in qualunque modo. Il contenuto eventuale, invece è: può esservi un assuntore terzo che si assume l‟onere del concordato, paga i debiti e si rende proprietario dell‟attivo; fare una proposta di concordato preventivo con contenuto alternativo rispetto al pagamento dei chirografari (alcuni tribunali non accettano tale clausola perché possono sorgere dei problemi sul voto, in particolare sulla maggioranza); proposta di concordato preventivo nei confronti dei privilegiati: a seguito di un decreto ingiuntivo, questi possono essere considerati dei semplici chirografari, oppure possono rinunciare volontariamente al privilegiato viene trattato un po‟ meglio dei chirografari; suddivisione dei creditori in classi, le quali non sono obbligatorie, ma è una scelta discrezionale del debitore, che se la attua deve suddividere le classi tra debitori omogenei, senza ledere l‟ordine dei privilegi; 79 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it non previsto il pagamento integrale dei chirografari se risulta che il privilegio sia incapiente, situazione attestata dall‟asseveratore. Per la parte incapiente, il creditore diventa chirografario. Nel concordato preventivo può essere prevista la transazione fiscale (art. 182 ter della L.f.), che il più delle volte riguarda i debiti fiscali e i debiti previdenziali, i quali sono privilegiati (normalmente, eccetto i tributi) e che sono imposti da norme della UE. La transazione non può riguardare l‟IVA perché derivante dalla UE, infatti per tali debiti al massimo è prevista una dilazione. Questa transazione può fare parte del piano del concordato preventivo, in cui si può non pagare per intero i debitori privilegiati e i debitori chirografari, ma la stessa transazione impone comunque l‟ordine dei privilegi. Le fasi della procedura sono le seguenti: fase di apertura: quella della presentazione del ricorso e dell‟ammissione alla procedura; fase negoziale: la proposta del debitore è accettata dai creditori; fase di omologa; fase di esecuzione: viene eseguito il concordato preventivo, è la fase attuativa dell‟omologa. Presentazione con ricorso e ammissione: l‟art. 160 della L.f. (letto insieme all‟art.1 comma 1 della L.f.) parla di imprenditore, solo come colui che può fallire (cioè solo l‟imprenditore che può fallire può accedere al concordato preventivo). L‟art. 146 della L.f. riguarda l‟estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili e non viene applicata a tale concordato → art. 184 della L.f. enuncia che il concordato una volta omologato, è obbligatorio per tutti i creditori e ha efficacia nei confronti dei soci illimitatamente responsabili. Ci sono delle società che non fanno ricorso al fallimento, ma alla liquidazione coatta amministrativa: esse possono comunque essere ammesse al concordato preventivo se insolventi. La domanda è proposta con ricorso al tribunale sito nel luogo della sede principale dell‟azienda (quella in cui vengono prese le decisioni). Se tale domanda viene presentata da parte di società di capitali, ai sensi dell‟art. 152 della L.f., deve essere approvata dal consiglio di amministrazione e iscritta nel Registro delle imprese, mentre per le società di persone essa deve essere approvata dalla maggioranza del capitale. Per cambiare la competenza del tribunale è necessario il trasferimento della sede oltre un anno prima dalla richiesta di concordato. Problema: l‟imprenditore straniero con sede all‟estero, ma con una sede secondaria in Italia può presentare domanda di concordato preventivo, ma trattandosi di un‟impresa unica, sarà a essa applicato il regolamento comunitario relativo all‟insolvenza (infatti tale impresa risulterà insolvente non solo in Italia, ma anche all‟estero), il quale detta regole su cosa fare (Regolamento 1336 del 2000). Contenuto del concordato preventivo I contenuti sono: deve essere aggiornata la relazione sulla situazione contabile economica/finanziaria/patrimoniale redatta apportando gli adattamenti alla compilazione contabile prevista dal bilancio per avere così una situazione effettiva; elenco e relativo valore delle attività e delle passività; nomi dei creditori, importo del credito ed eventuali cause di prelazione. 80 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Tali documenti sono indispensabili per il deposito corretto del concordato preventivo, in modo da far sì che possa essere ammesso dal tribunale. La domanda di concordato va comunicato al PM, che partecipa alla fase di apertura e di omologazione. Il tribunale, secondo l‟art. 162 della L.f., può chiedere: chiarimenti; modifiche; integrazioni. Votazione dell‟accordo Per votare il concordato, i creditori devono essere convocati. Nel decreto di apertura della procedura si indica la data di svolgimento del procedimento di ammissione al passivo. Vi è un elenco di creditori, il quale viene verificato sulla sorta di scritture contabili. Tale comunicazione è inviata a ciascuno dei creditori, ai sensi dell‟art. 171 comma 2 della L.f.. Se il numero di creditori è grande, la comunicazione può essere effettuata in modo differente (come ad es. la pubblicazione in un giornale, nel sito della procedura, ecc.). Il commissario giudiziale redige il bilancio → art. 174 della L.f.. Poi il commissario redige una relazione sulla fattibilità del piano depositato entro 3 giorni dalla verifica dello stato passivo in cancelleria. All‟adunanza partecipano i creditori i quali vantano un credito anteriore al ricorso (anche per quanto riguarda i crediti contestati) che possono partecipare direttamente. Inoltre possono anche partecipare i garanti del debitore, rammentando che il concordato preventivo non ha effetto esdebitatorio nei confronti degli stessi. All‟adunanza deve anche intervenire il 81 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it debitore personalmente → funzione: fornire risposte e chiarimenti, si costituisce l‟adunanza e si apre la discussione sulla proposta finale che può essere modificata finché si aprono le votazioni. Secondo l‟art. 175 comma 3 della L.f. ciascun creditore può esporre contestazioni contro il concordato preventivo, mentre nell‟art. 175 comma 4 della L.f., viene detto che il debitore abbia comunque il dovere di fornire al giudice gli opportuni chiarimenti. Si aprono le votazioni e la proposta non può più essere modificata → si vota; in base all‟art. 176 della L.f., riguarda il fatto in caso di contestazioni: possono essere ammessi provvisoriamente, in tutto o in parte, i crediti contestati ai soli fini del voto, senza che ciò pregiudichi la pronunzia definitiva sull‟effettiva sussistenza dei crediti. L‟art. 177 della L.f. enuncia che il concordato preventivo è approvato dai creditori, i quali rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto, e ove sia prevista la suddivisione in classi, è necessaria una duplice maggioranza: la maggioranza dei creditori; la maggioranza delle classi. A differenza del concordato fallimentare, per votare è necessario dire di sì, mentre il nonvoto vuol dire no → silenzio rifiuto, in pratica risulta più difficile (rispetto al concordato fallimentare) che il concordato preventivo venga votato. Limitazioni al voto: sono esclusi il coniuge, i parenti affini fino al IV grado, e coloro che hanno comprato qualcosa dal debitore o da tali soggetti, meno di un anno ↓ sono gli unici soggetti esclusi dal voto. Nel concordato fallimentare (art. 127 della L.f.) si escludono dal voto anche i cessionari dei crediti del fallito avvenuti dopo la dichiarazione di fallimento, e le società controllanti e controllate, quindi vi è un maggior controllo nella votazione, infatti, in tal caso, il legislatore ha voluto restringere il campo dei soggetti che possono votare per convenienza. Mentre nel concordato preventivo, ciò non accade, quindi i cessionari e le società controllate/controllanti possono votare senza problemi. Infatti sono legittimati al voto: i chirografari, anche quelli non compresi nell‟elenco che comunque dimostrano di essere creditori; i creditori contestati, secondo quello che stabilisce il giudice delegato; i creditori privilegiati, in generale, non votano, perché vengono pagati al 100%. Al massimo votano solo coloro che hanno un pregiudizio nei confronti del concordato preventivo (ai sensi dell‟art. 177 comma 2 della L.f.), e se rinunciano al privilegio in tutto o in parte (senza il limite di 1/3, come accade nel concordato fallimentare). Anche in caso di privilegio incapiente, il creditore privilegiato, per la parte incapiente per l‟appunto, può votare. Comunque la rinuncia del privilegio, comunque, ha effetto solo nell‟ambito della votazione. Questa maggioranza di creditori può essere raggiunta: durante l‟udienza; 82 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it secondo l‟art. 178 della L.f., nei 20 giorni successivi alla chiusura dell‟udienza, frequentemente, le banche prima di votare, leggono la relazione (depositata 3 giorni prima dell‟udienza medesima) per farsi autorizzare dai suoi organi interni → serve qualche giorno in più. Problema: qualche creditore può votare anche prima dell‟adunanza. Nella comunicazione trasmessa oltre la convocazione, mediante l‟apposito modulo di voto, in caso di impossibilità a intervenire all‟adunanza → voto considerato valido. Ma se la maggioranza non è raggiunta, il giudice delegato lo riferisce al tribunale che: respinge l‟omologa del concordato preventivo; (più di frequente) dichiara il fallimento della società che non è automatica, ma probabile. L‟art. 180 della L.f. enuncia che se la maggioranza viene raggiunta, il giudice delegato lo dice al tribunale che fissa un‟udienza con convocazione delle parti in camera di consiglio per l‟omologa del concordato preventivo. Tale provvedimento viene comunicato anche a: il commissario giudiziale; i creditori dissenzienti; eventuali altri interessanti. Essi devono costituirsi in cancelleria almeno 10 giorni prima dell‟omologa. Il commissario giudiziale almeno 10 giorni prima dell‟omologa deve dare il proprio parere conclusivo (art. 180 della L.f. ≠ art. 172 della L.f.). A questo punto vi sono due scenari: i creditori dissenzienti non propongono opposizione all‟omologa e il tribunale deve fare solo un controllo formale della procedura; i creditori dissenzienti chiedono che il concordato preventivo non venga omologato: nel caso del concordato preventivo senza classi, qualunque creditore può opporsi all‟omologa per motivi di natura formale (per la regolarità/legalità della procedura; nel caso del concordato preventivo con classi, può opporsi un creditore contrario appartenente a una classe dissenziente, cioè esso può contestare la convenienza della proposta. Caso dubbio: il creditore, nel concordato preventivo senza classi, può votare o meno sulla convenienza della proposta ↓ prevalentemente NO! Il tribunale decide con decreto motivato che comunica a: il debitore; il commissario giudiziale; 83 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it eventuali creditori opponenti. E‟ provvisoriamente esecutivo ed è pubblicato ai sensi dell‟art. 17 della L.f.. Per l‟art. 181 della L.f. la procedura si deve concludere in 6 mesi e può essere prorogata per una sola volta per 60 giorni, termine ordinatorio, il quale sarebbe buona norma da seguire da parte dei giudici. Contro il decreto di omologa (art. 183 della L.f.) può essere proposto reclamo alla Corte d‟Appello a 30 giorni dalla pubblicazione del decreto di omologa (come nel concordato fallimentare, anche se non è previsto espressamente dalla norma). Effetti dell‟omologa Se il concordato è liquidatorio si nomina un liquidatore giudiziale che prende in possesso il patrimonio, per la liquidazione dell‟attivo (art. 185 della L.f.): il commissario giudiziale ne sorveglia l‟adempimento secondo le modalità previste dal decreto di omologa. Il concordato è una proposta contrattuale particolare (proposta, accettazione): vi è l‟ipotesi di risoluzione e annullamento. Risoluzione per inadempimento del debitore agli obblighi concordatari, art. 186 della L.f. → l‟inadempimento deve essere importante (come nel caso del concordato fallimentare → art. 186 comma 3 della L.f. per cui il ricorso per risoluzione deve proporsi entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l‟ultimo adempimento del concordato preventivo; è la stessa disciplina del concordato fallimentare). Annullamento, art. 186 della L.f. il quale rinvia all‟art. 138 della L.f. in merito al concordato fallimentare, il quale parla di annullamento come un adattamento alla norma civilistica in sede fallimentaristica (in caso di dolo, colpa, violenza) → dolo: sopravvalutazione del passivo, dolosamente sottratto dall‟attivo. Quando dal concordato preventivo non omologato, si passa al fallimento della società, si dice che si passa da una procedura all‟altra: prima della riforma del 2006: le due procedure erano in realtà due casi della stessa procedura. Così i termini per le revocatorie procedevano già dalla prima procedura (appunto il concordato preventivo): la sospensione degli interessi sospesi dalla domanda di concordato preventivo; secondo l‟art. 56 della L.f., la compensazione partiva sempre dalla domanda di concordato preventivo; → fenomeno di retrodatazione degli effetti fallimentari: consecuzione delle procedure concorsuali dopo la riforma del 2006: oggi, in prevalenza, la consecuzione della procedura concorsuale non si usa più, perché il concordato preventivo e il fallimento sono considerate due procedure completamente distinte, slegate l‟una dall‟altra → l‟esito patologico del concordato preventivo non è per forza il fallimento, quindi il fallimento e i suoi effetti decorrono dalla dichiarazione di fallimento. 84 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Accordi di ristrutturazione e piani di risanamento Accordo di ristrutturazione Il blocco delle azioni esecutive, ai sensi dell‟art. 182 bis comma 6 della L.f., è previsto dalla comunicazione dell‟accordo, così si apre la fase di omologa dello stesso: il tribunale si deve pronunciare. Se vi sono opposizioni, esso le respingerà. Il tribunale si pronuncia in composizione collegiale emanando un decreto di emissione/respinta dell‟accordo. Gli atti dell‟accordo sono sottratti alla revocatoria perché si tratta di atti compiuti da un soggetto in bonis. In pratica l‟art. 182 bis della L.f. (= accordo di ristrutturazione) e il concordato 85 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it preventivo è che il primo è un accordo, in cui chi è in disaccordo deve essere pagato integralmente, mentre nel concordato preventivo occorre prestare fede alla par condicio creditorum, infatti quest‟ultimo è una procedura concorsuale a tutti gli effetti (al contrario dell‟accordo di ristrutturazione). L‟art. 182 bis della L.f. si basa su un semplice accordo volontario in cui si possono, magari, prevedere dei pagamenti senza che venga rispettato l‟ordine dei privilegi. Anche la prededuzione rappresenta una diversità rispetto al concordato preventivo (infatti in quest‟ultimo i crediti prededucibili devono essere pagati prima rispetto ai creditori antecedenti, anche se privilegiati, sempre rispettando l‟ordine dei privilegi). Ai sensi dell‟art. 182 quater della L.f., si prevede la prededuzione, però, a favore dei finanziamenti bancari per meglio consentire l‟esecuzione del piano (art. 182 bis della L.f.), purché espressamente prevista dallo stesso, e che questo sia stato omologato. Sono molto pochi nella prassi i finanziamenti erogati prima dell‟art. 182 bis della L.f. (prima che questo venga omologato). Problema di interpretazione: ai sensi dell‟art. 182 quater comma 2 della L.f., i finanziamenti già effettuati in funzione dell‟art. 182 bis della L.f., e i finanziamenti ancora da effettuare (in esecuzione), sono prededucibili o no? Se l‟accordo (ex post) non ha risanato l‟impresa, la quale è fallita → risposte: art. 182 quater comma 1 della L.f.: i finanziamenti in esecuzione (post accordo omologato) sono prededucibili; art. 182 quater comma 2 della L.f.: i finanziamenti già effettuati in funzione dell‟art. 182 bis della L.f. sono prededucibili solo se l‟accordo è omologato. → La banca conosce solo dopo se il suo credito sia o meno prededucibile. Piano di risanamento Il piano di risanamento è trattato nell‟art. 67 comma 3 della L.f., nell‟ambito delle esenzioni da revocatoria (una volta denominati accordi stragiudiziali). Non vi è quindi una norma ad hoc. Definizione: piano idoneo a consentire il risanamento dell‟impresa, piano la cui attestazione è fatta da un esponente con i requisiti da curatore. Di tale piano non si descrive il contenuto, ma si dice solo che è esentato da revocatoria. Ciò trae origine dalla disciplina dell‟amministrazione straordinaria,la quale enuncia che può atteggiarsi in due modi: 1. la ristrutturazione dei debiti: finalità: consentire la prosecuzione dell‟impresa; 2. la liquidazione dell‟impresa. Tali piani unilaterali (del debitore) di risanamento, sono asseverati da esperti che ne attestano la fattibilità e la ragionevolezza. Il piano non è sottoposto a pubblicità, e non viene pubblicato nel registro delle imprese, ma per un principio di buon senso, si deve trattare di un piano scritto, attribuendo allo stesso data certa. Bisogna considerare il fatto che il piano venga effettuato da imprese in crisi o imprese insolventi (= che non riescono ad adempiere alle proprie obbligazioni): quando esso prevede dei sacrifici per i creditori (in realtà ciò avviene sempre) ha probabilità di riuscita? La prassi prevede che vi sia un piano unilaterale, il quale preveda accordi con i singoli creditori (di moratoria, di dilazione, ecc.). L‟esperto che deve accertare la ragionevolezza del piano (prevista ai sensi dell‟art. 182 bis della L.f. l‟attuabilità dell‟accordo e ai sensi dell‟art. 161 della L.f. l‟attuabilità e la fattibilità del piano). E‟ fondamentale che i dati siano veri (lo stesso asseveratore verifica la veridicità degli stessi). Il piano può avere qualunque contenuto: può anche avere contenuto liquidatorio come 86 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it avviene nel caso del concordato e nell‟art. 182 bis della L.f.? No, si deve prevedere obbligatoriamente la continuazione dell‟impresa, infatti è un piano destinato alla ristrutturazione dei debiti e al riequilibrio dell‟azienda. La finalità per il concordato preventivo, per l‟accordo di ristrutturazione e per il piano di risanamento (tutti esenti da revocatoria) non è la stessa, quindi ognuna di queste fattispecie sarà adottate da imprese in situazioni differenti: a seconda della natura del credito e al numero dei creditori; a seconda della gravità della crisi (da notare, che il concordato preventivo è approvato a maggioranza, mentre l‟accordo di ristrutturazione e il piano di risanamento devono essere approvati dal 100% dei creditori. Più grave è la crisi e più adatto sarà lo strumento più strutturato, il quale prevede l‟intervento del tribunale (= l‟accordo di ristrutturazione dell‟art. 182 bis della L.f.). Rischio del piano di risanamento: ai sensi dell‟art. 67 della L.f., la tenuta all‟esenzione rispetto all‟accordo di ristrutturazione. Procedure concorsuali amministrative Si tratta di procedure gestite dalla pubblica amministrazione, a partire dai ministeri competenti (in caso di cooperative: Ministero del Lavoro; in caso di imprese: Ministero dello Sviluppo Economico; in caso di banche: Ministero dello Sviluppo Economico + Banca d‟Italia). Nella specialità dei casi vi sono 3 procedure concorsuali amministrative, le quali: 1. liquidazione coatta amministrativa; 87 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it 2. amministrazione straordinaria (Legge Prodi bis); 3. amministrazione straordinaria (Legge Marzano). Liquidazione coatta amministrativa E‟ una procedura di tipo liquidatorio, come il fallimento, però si tratta di una procedura amministrativa, in cui vi è un forte ruolo dell‟autonomia di vigilanza (= pubblica amministrazione). Non tutte le imprese possono essere sottoposte a liquidazione coatta amministrativa; essa è nata a fine „800 a seguito della crisi della Cassa di Risparmio (= cooperativa di risparmiatori, con azioni da questi possedute della stessa banca. Diversa dalla Cassa di Risparmio attuale, la quale è una SPA → L. bancaria del 1938 che disciplina sulle crisi delle banche). Le imprese, di cui all‟art. 2 comma 1 della L.f., in caso di crisi vengono sottoposta a LCA e non a fallimento se si tratta di: banche; assicurazioni; presupposto società fiduciarie; soggettivo intermediari finanziari; imprese sociali. Per quanto riguarda le cooperative, occorre fare una precisazione: quelle che non svolgono attività commerciale, ma solo attività mutualistiche senza ricevere profitti, sono assoggettabili sia a LCA che a fallimento (la prima procedura applicata è quella che vince). La LCA è una procedura in cui l‟organo di controllo è la pubblica amministrazione. I presupposti oggettivi sono 3: 1. violazioni delle leggi/dei regolamenti, o gravi irregolarità gestionali; 2. valutazione da parte delle autorità di vigilanza della non conformità dell‟attività esercitata rispetto allo scopo previsto dalla legge; 3. presenza di perdite patrimoniali. Perdite patrimoniali ≠ crisi o insolvenza. Infatti non sempre le perdite coincidono con lo stato d‟insolvenza. L‟art. 202 della L.f. disciplina il caso in cui alla LCA si somma l‟accertamento dello stato d‟insolvenza (caso previsto anche dall‟art. 195 della L.f.): il tribunale dichiara tale stato su richiesta, mediante sentenza, sintetizzando la normativa fallimentare, infatti in molti casi rinvia a tali norme. La sentenza che accerta l‟insolvenza dell‟impresa sottoposta a LCA, provoca l‟apertura della medesima procedura: gli organi della procedura (commissari) vengono nominati dall‟autorità di vigilanza; viceversa nel caso di dichiarazione di LCA, precedentemente all‟accertamento dello stato d‟insolvenza, il tribunale, su ricorso del commissario liquidatore, accerta tale stato successivamente. Effetto dell‟accertamento di tale stato è quello di rendere applicabile la disciplina sulla revocatoria. La LCA è un intervento intrapreso dal giudice con le seguenti caratteristiche: eventuale, la dichiarazione giudiziale dello stato d‟insolvenza non è detto che venga fatta da un giudice; 88 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it l‟accertamento del passivo viene effettuato dal commissario senza intervento alcuno del giudice → intervento eventuale, in caso il creditore si opponga alle decisioni dello stesso commissario; è provvista di una particolare forma di chiusura: il concordato: in tal caso vi sono due tipi di intervento, un intervento eventuale da parte del tribunale, e un intervento obbligatorio, da parte del giudice; il deposito dello stato passivo è fatto dal commissario; occorre depositare il bilancio finale nella cancelleria del tribunale. Gli organi della procedura sono: l‟autorità di vigilanza della LCA, organo parallelo al giudice delegato; i commissari liquidatori (o 1 o 3), che vengono nominati dall‟autorità di vigilanza, organo parallelo al curatore; i commissari di sorveglianza (3 o 5) non necessariamente nominati tra i creditori, e comunque nominati dall‟autorità di vigilanza, organo parallelo al comitato dei creditori; il tribunale, il quale ha un ruolo marginale, intervento eventuale. In generale, comunque, vi sono differenze tra gli organi del fallimento e della LCA in merito alle funzioni. L‟autorità amministrativa della LCA varia a seconda del tipo di impresa e può coincidere o meno con l‟autorità di vigilanza della LCA (coincide nel caso delle cooperative, non coincide nel caso di banche). I poteri dell‟autorità di vigilanza sono i seguenti: nomina/sostituzione e controllo del commissario di liquidazione; controllo della LCA; autorizzazione degli atti importanti della procedura (prevista dall‟art. 35 della L.f.): esercizio provvisorio dell‟impresa; vendita beni immobili e mobili in blocco, effettuazione di pagamenti parziali ai creditori, autorizzazione di proporre il concordato. Commissario liquidatore E‟ 1 o 3, si tratta di un pubblico ufficiale per il quale la norma sulla LCA (art. 199 della L.f.) non richiama le norme previste per il curatore (come accade nell‟art. 38 della L.f.). Dubbio: può essere comunque prevista l‟applicazione analogica delle norme del fallimento, riguardo alla professionalità, inapplicabilità? Si, per un principio di buon senso. I compiti del commissario liquidatore: amministrazione e gestione del patrimonio dell‟impresa insolvente; accertamento del credito; liquidazione dell‟attivo; distribuzione delle somme ricevute al creditore. Il commissario liquidatore assume le stesse responsabilità del curatore (art. 199 della L.f.), e il pagamento del suo compenso è liquidato dall‟autorità di vigilanza. Comitato di sorveglianza 89 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Composto di 3 o 5 membri, anche non creditori (ad es. funzionari), è un organo collegiale che ha funzioni meramente consultive ed esprime pareri non vincolanti, diversamente dal comitato dei creditori nel fallimento, che integra i poteri gestori del curatore. Tribunale Ha un ruolo eventuale. Effetti della LCA Nei confronti dell‟imprenditore, ai sensi dell‟art. 200 della L.f., il quale rinvia alle norme che prevedono lo spossessamento dei beni e il passaggio della gestione, con riferimento ai giudizi pendenti; la norma non menziona l‟art. 43 della L.f. riferito al fallimento, ma comunque viene richiamato nella prassi anche nella LCA. Non si applicano le incapacità personali del fallito (perché cambia la dimensione dell‟impresa, che per legge è una SPA). Cessano le assemblee degli organi di amministrazione e controllo (gli amministratori e i sindaci non decadono dalla carica, ma perdono i loro poteri, tranne che per l‟impugnazione della sentenza dichiarativa di LCA, per l‟impugnazione del decreto per quanto riguarda la respinta del concordato). Nei confronti dei rapporti giuridici preesistenti si rinvia completamente alle norme fallimentari. Nei confronti di atti pregiudizievoli ai creditori (revocatorie), solo se l‟impresa è insolvente, per rispettare la par condicio creditorum. Viceversa la revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c) può essere fatta dal commissario liquidatore, anche se l‟impresa non è insolvente. La revocatoria fallimentare, per l‟art. 67 della L.f., viene effettuata solo dal commissario liquidatore (art. 203 della L.f.), anche se la legge non dice nulla, è competente il tribunale del luogo, in cui è stata accertata l‟insolvenza. I termini per l‟azione revocatoria sono quelli utilizzati nel fallimento: entro 3 anni dalla dichiarazione di fallimento, nel caso specifico della LCA entro 3 anni dall‟accertamento dell‟insolvenza. Nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, l‟art. 203 della L.f. dice che quando una società sottoposta a LCA ha dei soci a responsabilità illimitata, i soci non vengono assoggettati a fallimento o a LCA, ma si liquida il loro patrimonio. Problema: nei confronti dei loro atti può essere applicata la revocatoria sul patrimonio personale usato per pagare un debito della società. Accertamento del passivo I liquidatori devono comunicare ai creditori l‟avvenuto della LCA entro un mese e devono indicare le somme che risultano a ognuno di essi, derivanti dalle scritture contabili. Il commissario liquidatore forma l‟elenco dei crediti ammessi e non ammessi e lo deposita in cancelleria, comunica il deposito e a quel punto si dà inizio alle opposizioni. Liquidazione dell‟attivo Ci si riferisce alle norme della L.f.. Concordato E‟ un modo di chiusura della LCA diverso dal concordato fallimentare, e gli art. 214-215 della L.f. sono richiamati anche per il concordato in caso di amministrazione straordinaria. 90 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Si può proporre il concordato solo dopo l‟autorizzazione del commissario su parere del comitato di vigilanza. Non è prevista nessuna votazione da parte dei creditori, i quali hanno solo la facoltà di opporsi. In ogni caso, se è scaduto il termine, se vi fosse l‟opposizione, il tribunale o omologa il concordato, o accetta l‟opposizione. Caratteristiche del concordato nella LCA Il concordato è munito delle seguenti caratteristiche: è difficile parlare di accordo; il tribunale ha il potere pieno nella valutazione della proposta di concordato, sia in caso di opposizioni, sia in caso non ve ne siano; non vi è il voto dei creditori a causa di un problema di coordinamento nella stesura delle leggi. Amministrazione straordinaria 91 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Vi sono due tipi di amministrazione straordinaria: 1. amministrazione straordinaria comune, D.lgs. 8 Luglio 1999, n. 270, detto L. Prodi bis; 2. amministrazione straordinaria speciale, D.l. 23 Dicembre 2003, n.347, detto L. Marzano. Si tratta di procedure che coniugano l‟intervento amministrativo con quello giudiziario, in modo non omogeneo tra le due diverse procedure, entrambe differenti dalla LCA. Vengono controllate da un‟autorità di vigilanza. Amministrazione straordinaria comune Tale procedura è regolamentata dalla cosiddetta L. Prodi bis, la quale fa seguito alla L. Prodi del 1979. Quest‟ultima prevedeva di conservare l‟attività produttiva delle grandi imprese, sottraendole così al fallimento (ai tempi il fallimento era una procedura liquidatoria), conservando l‟attività produttiva, e di conseguenza dei posti di lavoro. Questa legge è stata sostituita nel 1999 dalla L. Prodi bis perché quella precedente era considerata un indebito aiuto statale, e veniva effettuata accantonando del tutti i debiti dell‟impresa e ricevendo dallo stesso Stato aiuti in denaro (anche da banche). Era una procedura distorsiva, soprattutto nei confronti della concorrenza → per questo motivo: la CEE è intervenuta, e nel 1999 la L. Prodi viene trasformata in L. Prodi bis, della quale le nuove norme sono condivise con la UE. Infatti la garanzia dello Stato, deve essere coordinata con la normativa comunitaria in tema di ristrutturazione delle grandi imprese. Nel 2003 viene emanata la L. Marzano (amministrazione straordinaria speciale), normativa specifica delle imprese di grandissime dimensioni, così da accelerare l‟ingresso alla procedura da parte di imprese come la Parmalat e nel 2008 l‟Alitalia. Ritornando all‟amministrazione straordinaria comune, l‟art. 1 della L. Prodi bis individua la finalità: procedura della grande impresa commerciale insolvente con fini conservativi del patrimonio per la prosecuzione/riattivazione/riconversione, solo se vi sono concrete prospettive di recupero dell‟attività produttiva. Condizioni: l‟impresa in questione deve essere una grande impresa; l‟impresa in questione deve avere delle probabilità di sopravvivenza (= concrete prospettive di recupero, art. 27 comma 2 L. Prodi bis). A proposito dell‟art. 27 comma 2 della Prodi bis: a. tramite la cessione dei complessi aziendali, mediante la prosecuzione dell‟impresa che può durare al massimo un anno (una sorta di esercizio provvisorio obbligatorio); l‟azienda sopravvive, ma passa di mano a un terzo; b. la ristrutturazione economica/finanziaria deve avere una durata non superiore ai due anni → impresa che ristruttura sia la propria attività che la propria posizione debitoria (come già detto, al massimo in due anni), e trascorsi i due anni, riprende il proprio operare (senza cessione dei beni aziendali). Tramite una semplice moratoria, o un aumento di capitale (con la sottoscrizione di terzi), si effettua un taglio dei debiti accordato con i creditori. Tale possibilità praticamente non viene utilizzata in Italia; 92 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it c. (b. bis) clausola inserita in occasione della L. Marzano, la quale è residuale: riferita a imprese che operano nei servizi pubblici essenziali (come Alitalia). La procedura può atteggiarsi non solo tramite cessione aziendale, ma anche tramite cessione complessiva di beni e contratti, che ricorda la cessione di beni giuridici, identificabili in blocco, nell‟ambito del fallimento. Ciò è qualcosa di più rispetto la cessione singola, e qualcosa di meno della cessione aziendale. Il legislatore, inserendo tale clausola, ha pensato ad Alitalia, senza tenere in considerazione tutte le altre imprese, ma solo quella del servizio pubblico essenziale. Solo quando l‟imprenditore rientra in una di queste 3 possibilità, allora rientra nell‟amministrazione straordinaria. Le revocatorie possono essere fatte solo nel I e nel II caso (non possono essere fatte in caso di ristrutturazione del debito, perché non vi è alcuna lesione della par condicio creditorum, infatti il fine è quello di pagare tutti i creditori, mettendosi d‟accordo sul quantum con gli stessi). L‟amministrazione straordinaria delle grandi imprese le quali presentano prospettive di recupero, sono fornite di due soggetti: 1. la parte della pubblica amministrazione: il Ministero dello Sviluppo Economico, il comitato di rappresentanza; 2. l‟autorità di vigilanza: il giudice delegato. Questi due soggetti intrecciano le loro competenze, ad es. nel caso dell‟accertamento del passivo, il quale deve essere effettuato dall‟autorità giudiziaria: in pratica vi è un mix tra competenze giurisdizionali e amministrative contemporaneamente. Le imprese ammesse sono quelle che abbiano un numero di lavoratori (compresi anche quelli già in cassa integrazione) pari a 200, e che da almeno un anno abbiano i seguenti requisiti dimensionali: debiti complessivi anche non scaduti pari ai 2/3 sia dell‟attivo dello S/P, sia dei ricavi di vendita nell‟ultimo esercizio → requisito sull’insolvenza; ulteriore requisito: le imprese confiscate (procedimento di apprensione penale) che si rivelano insolventi a prescindere dalla dimensione (anche per quanto riguarda la dimensione dell‟insolvenza). L‟art. 4 della L. Prodi bis enuncia che anche le imprese individuali possano essere ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria, ma solo se vengono rispettati gli artt. 10-11 della L.f. (in cui sono contenuti i principi di portata generale che si applicano a tutte le imprese anche quelle in amministrazione straordinaria). L‟art. 3 della L. Prodi bis dice che nel caso di un‟impresa, la quale abbia i precedenti requisiti, sia insolvente, allora il tribunale competente sarà quello del luogo in cui vi è la sede principale dell‟impresa. In pratica la dichiarazione d‟insolvenza può essere richiesta su istanza del debitore, di uno più creditori, del PM, ovvero d‟ufficio (è lo stesso tribunale che può dichiarare tale stato). Tale stato d‟insolvenza deve essere accertato con sentenza. → Discrasia tra la L.f. (che ha eliminato il fallimento d‟ufficio) e l‟amministrazione straordinaria: le norme non sono coordinate. Se è lo stesso imprenditore a chiedere l‟accertamento dello stato d’insolvenza,ai sensi dell‟art. 5 della L. Prodi bis, deve fornire i documenti necessari al fine della procedura (come le scritture contabili, ecc.). La domanda può essere fatta anche da parte dei creditori, ai sensi dell‟art. 6 della L. Prodi bis. 93 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Il tribunale convoca in camera di consiglio il debitore per sentirlo, ma convoca anche il Ministro delle attività produttive, dandogli un preavviso di almeno 15 giorni, in modo da far conoscere ai terzi la sua opinione. Quest‟ultimo è invitato a indicare (entro la data dell‟adunanza) il nome di uno o 3 commissari giudiziali, qualora venga accertato lo stato d‟insolvenza, il numero è stabilito dal tribunale (uno o 3 a seconda della grandezza dell‟impresa insolvente). Il tribunale, durante l‟udienza fissata, sente la parte e può decidere così: a) emettere una sentenza che accerti lo stato d‟insolvenza, nominare il giudice delegato e uno o 3 commissari giudiziali, ordinare il deposito delle scritture contabili, dare un termine ai creditori per presentare domanda d‟insinuazione al passivo. Sempre in questa fase potrà decidere se la gestione dell‟impresa (che deve proseguire) resti in capo all‟imprenditore insolvente o passi ai commissari giudiziali. Per quanto riguarda le opposizioni di fronte al tribunale in questione, occorre agire ai sensi dell‟art. 9 della L. Prodi bis, infatti contro la sentenza di accertamento dell‟insolvenza si può ricorrere davanti al tribunale; b) rigettare la domanda d‟insolvenza, emettendo un decreto motivato (opponibile per l‟art. 12 della L. Prodi bis → reclamo alla corte d‟appello); c) dichiarare il fallimento, l‟impresa non ha i requisiti per accedere all‟amministrazione straordinaria. Contro la sentenza di fallimento si può reclamare alla corte d‟appello. Questi sono tutti provvedimenti impugnabili, ma in modo differente rispetto alla sentenza di fallimento. Quando viene accertato lo stato d‟insolvenza, la gestione può essere affidata al commissario (il quale gestisce esattamente come nel caso del curatori nella procedura fallimentare: caso più comune), oppure può rimanere in capo all‟imprenditore insolvente (come avviene nel concordato preventivo). Durante la fase intermedia di osservazione,non si è ancora formalmente in amministrazione straordinaria, ma già in una procedura concorsuale in cui gli organi hanno le stesse funzioni della L.f. non ancora rettificata dalla riforma del 2006. Quindi tale procedura è caratterizzata dalla prevalenza del tribunale, e dal fatto che i creditori contino poco o nulla. Il commissario giudiziale ha un ruolo simile a quello del curatore nel fallimento: anch‟esso è un pubblico ufficiale, il quale deve avere i requisiti di onorabilità e professionalità (art. 39 della L. Prodi bis). L‟art. 8 comma 2 della L. Prodi bis, in caso la procedura risulti particolarmente complicata, prevede che vengano nominati 3 commissari che decidono a maggioranza, e la rappresentanza sia determinata da due su 3. La fase intermedia di osservazione, in cui ancora non si sa con certezza se l‟amministrazione straordinaria sia accettata, è necessaria, poiché deve essere presentata la relazione motivata prevista dall‟art. 27 della L. Prodi bis al fine di una concreta prospettiva di recupero, depositata entro 30 giorni al tribunale e fatta visionare al ministro, il quale entro 30 giorni esprime il proprio parere (art. 29 L. Prodi bis). Anche i creditori possono esprimere il proprio parere. A questo punto il tribunale, sulla base delle indicazioni ricevute dai soggetti nominati, può: dichiarare l‟amministrazione straordinaria (caso più normale) con decreto; dichiarare fallimento con decreto motivato: cessano tutti gli organi dell‟amministrazione straordinaria. La fase intermedia dura due mesi. Dopo di essa si svolge la vera e propria amministrazione straordinaria, entro 5 giorni il Ministero nominati i commissari (che di solito sono gli stessi 94 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it della fase intermedia) e iniziano a prodursi degli effetti, i quali sono quelli tipici anche del fallimento, come lo spossessamento del debitore, gli effetti sugli atti pregiudizievoli (revocatorie) i quali si applicano solo se viene programmata la cessione aziendale. Per quanto riguarda i contratti pendenti, l‟effetto tipico è quello che questi proseguono obbligatoriamente, al contrario della procedura fallimentare, il commissario, può scioglierli, ma solo fino a quando non espleta il contratto. In pratica il contratto prosegue finché il commissario non ha predisposto il programma di liquidazione/ristrutturazione, il quale deve essere fatto entro 60 giorni dalla sua nomina, e il ministro entro 30 giorni lo deve rendere definitivo: in tale programma si prevede, infatti, una prosecuzione del medesimo contratto o temporanea o definitiva. Quindi tutti i contratti proseguono, ma vi sono dei particolari contratti che, comunque, non possono essere sciolti dal commissario e sono: contratti di lavoro subordinato; contratti di locazione, nel caso l‟impresa sia il locatore. In ogni caso, sia che tali contratti vengano sciolti, o sia che vengano proseguiti, i diritti dell‟altro contraente sono quelli contenuti nella L.f., in pratica essi sono caratterizzati da prededuzione. 95 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it Organi Gli organi della procedura hanno competenze tra di loro parallele: competenze amministrative e competenze giudiziarie. Per quanto riguarda le competenze amministrative, il Ministero allo sviluppo economico ha il potere di controllo sull‟esecuzione del programma, e deve esprimere un parere sulla trasformazione (conversione) della procedura, da amministrazione straordinaria a fallimento, in caso il programma non venga rispettato. Il commissario straordinario redige il programma e lo attua: egli ha responsabilità simili a quelle del curatore. Il comitato di sorveglianza viene nominato dal ministro, può essere composto da uno o 3 membri tra i creditori o esperti nel settore in cui opera l‟impresa. Ha funzioni solo consultive (diversamente a quanto concerne al comitato dei creditori nella procedura fallimentare: ciò è possibile poiché la L. Prodi bis è stata emanata nel 1999 similmente sulla L.f. del periodo, la quale è stata successivamente riformata; questo non è avvenuto alla L. Prodi bis). Per quanto riguarda le competenze giudiziarie, il giudice del tribunale sorveglia e controlla il passivo, la ripartizione dell‟attivo (anzi la ordina la ripartizione dell‟attivo), dichiara l‟apertura della procedura, e approva la sua eventuale conclusione mediante l‟utilizzo del concordato. Programma L‟art. 55 comma 2 della L. Prodi bis riguarda la redazione del programma. Questa è in capo al commissario straordinario, il quale deve redigerla entro 60 giorni dalla sua nomina con l‟obiettivo di salvaguardare l‟unità dei complessi aziendali, tenuto conto degli interessi dei creditori → problema: incompatibilità: se il programma si avvale di ricorso al tesoro, o altre agevolazioni pubbliche non rientranti nelle misure previste dalla Commissione Europea, esse devono essere adeguate alla normativa comunitaria. Il comitato di sorveglianza deve esprimersi sul programma il quale viene inviato al Ministero dello sviluppo economico e al tribunale. Il programma deve essere approvato dal Ministero, e vige il principio del silenzio assenso: se per 90 giorni il Ministero non si pronuncia, allora è approvato. Se entro un anno non è stata ceduta l‟azienda, può essere concessa una proroga, ma solo per una volta, per un periodo non superiore a 3 mesi (predisposta dal tribunale). Alternativamente l‟amministrazione straordinaria è revocata e viene convertita in fallimento. In particolare gli artt. 61-62-63 della L. Prodi bis riguardano: la vendita autorizzata dal ministro, previo parere del comitato; vi sono due esigenze: la rapidità e la trasparenza (art. 62 della L. Prodi bis), per quanto riguarda la vendita dei beni singoli che compongono l‟azienda, effettuata mediante le forme adeguate rispetto alla natura dei medesimi beni e finalizzata al miglior realizzo. Nella prassi il ministro chiede un‟adeguata forma di pubblicità, suggerendo una procedura pubblicizzata. Infatti, ai sensi dell‟art. 62 comma 2 della L. Prodi bis, per i beni, i quali abbiano un valore superiore a 51.000 €, la vendita deve essere effettuata previo espletamento di idonee forme di pubblicità. Durante la vendita aziendale in esercizio, la valorizzazione (della medesima azienda) deve tener conto anche della redditività della stessa, anche qualora sia negativa, nel momento in cui 96 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it viene venduta o nei due esercizi successivi → elemento imposto dalla legge che permette l‟abbattimento dei valori dell‟azienda durante l‟amministrazione straordinaria. Chi acquista l‟azienda deve comunicare il fatto di mantenerne i dipendenti (tutti o in parte) per almeno due anni: l‟art. 63 della L. Prodi bis prevede che il venditore e l‟acquirente convengano sull‟assunzione anche solo di una parte dei lavoratori → fenomeno piuttosto frequente. Rischio: l‟acquirente può non mantenere le promesse fatte in merito al livello occupazionale o riguardo ai tempi. Per porre rimedio a tale rischio viene introdotta una penale, al fine di disincentivare tali iniziative selvagge (ad es. i licenziamenti). Scelta dell‟acquirente L‟art. 63 comma 3 della L. Prodi bis riguarda la scelta dell‟acquirente, basata sui seguenti elementi: l‟ammontare del prezzo offerto; l‟affidabilità. Conclusione dell‟amministrazione straordinaria La conclusione, ai sensi dell‟art. 69 della L. Prodi bis, può avvenire mediante la conversione in fallimento: in qualunque momento, in caso non si riesca a procedere, l‟amministrazione straordinaria può essere convertita in fallimento. Gli elementi che motivano tale conversione sono i seguenti: deve essere sentito il commissario straordinario e/o chiunque possa intervenire che sia legittimato a impugnare. In caso avvenga la trasformazione in fallimento, la procedura diventa una normale procedura concorsuale fallimentare. Ancora la conclusione della procedura può avvenire tramite la chiusura della procedura, la quale è costituita di due fasi: quando l‟azienda viene ceduta, ai sensi dell‟art. 73 della L. Prodi bis, il tribunale dichiara la cessazione dell‟esercizio d‟impresa; quando nella liquidazione è necessario incassare i crediti, le revocatorie, le azioni di responsabilità, occorre presentare il rendiconto finale effettuato dal commissario e successivamente il riparto dell‟attivo. Un altro modo di conclusione della procedura è il concordato, previsto dall‟art. 88 della L. Prodi bis, che può essere richiesto da un creditore, da un terzo e ricalca la disciplina in merito alla LCA, quindi non vi è il voto dei creditori. L‟amministrazione straordinaria è l‟unica procedura di gruppo, quindi valida per i gruppi di imprese, ai sensi degli artt. 80-91 della L. Prodi bis. Infatti le imprese sono ammesse all‟amministrazione straordinario se: vengono agevolate prospettive di recupero, mediante il coordinamento nella gestione delle insolvenze tra le varie aziende in capo al gruppo (gestione unitaria dell’insolvenza); l‟estensione alla procedura si può fare sulle aziende che controllano o che sono controllate o ancora su quelle che risultano sotto una direzione comune. In caso di una procedura di gruppo, ai sensi dell‟art. 91 Prodi bis, la procedura è aggravata per le attività eseguite infragruppo, infatti per quanto riguarda le revocatorie: periodo sospetto: 5 anni; per gli atti anormali di gestione; 97 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it periodo sospetto: 3 anni; per gli atti normali di gestione. Considerando il fatto che per il fallimento tali termini sono: Amministrazione straordinaria speciale prima della riforma dopo la riforma 1 anno, 6 mesi 2 anni, 1 anno Tale procedura si riferisce alla Legge Marzano del 2003, la quale detta i seguenti requisiti: i lavoratori devono essere non meno di 100; i debiti devono essere non inferiori a 1 miliardo di &. La Legge Marzano è stata emanata su misura a seguito della crisi della Parmalat, e dopodiché riformata ben 5 volte, adattandola a veri fallimenti come quello di Volare. Attualmente i requisiti per usufruire di tale procedura sono: l‟azienda deve avere almeno 500 dipendenti; i debiti devono ammontare ad almeno 300 milioni di €. Inizialmente la procedura prevedeva un programma solo attinente alla crisi finanziaria, come accaduto per la Parmalat (non si trattava infatti di una vera e propria crisi industriale), quindi si parlava solo di ristrutturazione dei debiti. Non era previsto all‟interno dell‟amministrazione straordinaria speciale un programma di liquidazione, il quale è stato introdotto successivamente nel caso delle crisi di Alitalia (con il D.l. 28 agosto 2008 si estende la Legge Marzano anche alla cessione dei beni aziendali). Le differenze tra la procedura comune e quella speciale non riguardano solo criteri dimensionali, ma anche (soprattutto) per quanto riguarda la soppressione della fase intermedia: su istanza solo del debitore, il ministro ammette immediatamente l‟impresa in amministrazione straordinaria (speciale) con la conseguente nomina immediata del commissario straordinario, che viene fatta ancora prima dell‟accertamento dell‟insolvenza e contestualmente viene domandato al tribunale la stessa (accertamento insolvenza) quando richiesta l‟ammissione alla Legge Marzano. Caratteristiche Viene nominato un solo commissario straordinario (ai sensi dell‟art. 2 del D.l Luglio 2011) al fine di contenere i tempi dell‟amministrazione straordinaria nelle imprese impiegate nei servizi pubblici essenziali, ma queste se sono state cedute, il commissario è coadiuvato da altri due commissari (come nel caso Alitalia, in cui gli altri due commissari hanno avuto la funzione di contrastare il primo commissario straordinario). La procedura può concludersi con il concordato,il quale è il prototipo del concordato preventivo (art. 4 bis della L. Marzano), e che deve essere approvato dai creditori. 98 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it - FINE - 99 Stefania Aiello – Diritto delle Crisi di impresa http://www.sharenotes.it
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