SULLA PELLE DEI ROM Sassari, 23 settembre

SULLA PELLE DEI ROM
Sassari, 23 settembre 2014
“La condizione sociale e giuridica delle comunità rom e sinte in Italia a due anni dalla Strategia
Nazionale per l’Inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti”
(Carlo Stasolla)
Iniziamo rifacendoci all’esperimento mentale proposto dall’antropologo Leonardo Piasere:
Viviamo in un momento di grave crisi economica e politica: l’Europa è in pericolo. Gli Stati cercano
un capro espiatorio e decidono che la colpa è tutta di quelli che loro chiamano “zingari”. Nello
stesso giorno, all’unisono, tutti gli Stati d’Europa cacciano rom e sinti che vivono nei loro confini.
Invece di cambiare continente i rom decidono di radunarsi tutti in un’unica regione costruendo
un’entità politica che per comodità chiamiamo Stato. Andati a dormire ci svegliamo il giorno dopo
la cacciata ci troviamo in un’Europa in cui vi è uno stato in più: lo Stato Romanì. Uno Stato che per
numero di abitanti si trova al 12° posto sui 47 stati del Consiglio d’Europa, posizionandosi subito
dopo la Romania e l’Olanda, ma prima di ben 36 altri stati, più popoloso di Portogallo, Grecia,
Ungheria, Norvegia e Svezia!
Il Consiglio d’Europa stima la presenza complessiva in Europa di 12 milioni di rom presenti in
percentuale diversa nei differenti Stati. Rom più europei degli altri cittadini, per la loro mobilità
molto precedente di quella oggi praticata nel Vecchio Continente da studenti e imprenditori.
In Italia la consistenza numerica dei rom dovrebbe aggirarsi intorno alle 170-180 mila unità, terza
minoranza in Italia dopo i sardi e i friulani. Eppure prima minoranza non riconosciuta né dal punto
di vista linguistico, né culturale. Se volessimo ripetere l’esperimento mentale di Piasere anche in
Italia i rom cacciati dalle varie Regioni formerebbero una città della stessa grandezza di Perugia, di
Cagliari o di Reggio Calabria. Si comprende così come è più facile pensarli come un popolo affetto
da problematiche sociali e sanitarie, piuttosto che a decine di migliaia di persone potenzialmente
destabilizzanti l’assetto politico italiano.
Ed è così che rendiamo invisibili i più di 100 mila rom e sinti che vivono immersi tra i non rom,
immersione che li mimetizza e li nasconde, in abitazioni convenzionali e svolgendo un regolare
lavoro. Si preferisce additare solo i 40 mila rom che vivono nei cosiddetti “campi nomadi”, la
maggior parte dei quali concentrati nelle periferie delle grandi città.
Dal 1984 alcuni legislatori hanno tentato di offrire risposte alla cosiddetta “questione rom”
emanando testi legislativi organici con l’intenzione di tutelare il diritto al nomadismo e
allineandosi al presupposto che rom e sinti non fossero stanziali. Il legislatore regionale, convinto
che i rom in quanto “nomadi” preferissero condurre una vita all’aria aperta e separata dalla
società maggioritaria, ha previsto la creazione dei “campi nomadi”, diventati negli anni ghetti
urbani organizzati su base etnica. Lo stato di “emergenza nomadi”, dichiarato il 21 maggio 2008,
con le sue azioni fondate su un approccio sicuritario, ha marcato una profonda e quasi insanabile
linea di demarcazione istituzionale tra l’abitante del “campo nomadi” e la società maggioritaria.
Solo negli ultimi due anni si è assistito al debole tentativo di superare l’approccio di tipo
assistenzialista e/o emergenziale per iniziare ad affermare politiche segnate dall’uguaglianza, dalla
parità di trattamento, dalla titolarità dei diritti fondamentali e dei doveri inderogabili.
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La Strategia Nazionale per l’Inclusione dei Rom è stata approntata in risposta alla Comunicazione
n. 173 del 4 aprile 2011 “Un quadro dell’Unione europea per le strategie nazionali di integrazione
dei Rom fino al 2020” della Commissione dell’Unione Europea (rivolta al Parlamento Europeo, al
Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni) che sollecitava gli
Stati Membri a definire strategie nazionali di inclusione dei rom o ad adottare misure di intervento
nell’ambito delle politiche più generali di inclusione sociale per il miglioramento delle loro
condizioni di vita. Richiamandosi a principi normativi costituzionali e internazionali, la Strategia
Nazionale si pone infatti l’obiettivo generale di “promuovere la parità di trattamento e l’inclusione
economica e sociale della comunità RSC, assicurare un miglioramento duraturo e sostenibile delle
loro condizioni di vita, renderne effettiva e permanente la responsabilizzazione e la partecipazione
alla vita politica e sociale del Paese, nonché favorire il godimento dei diritti garantiti dalla
Costituzioni e dalle Convenzioni internazionali ratificate dall’Italia”. Come viene specificato
dall’UNAR, Punto di Contatto della Strategia, la stessa mira ad applicare, assicurare e
implementare il criterio-principio di uguaglianza e non discriminazione per garantire il rispetto dei
diritti umani dei rom e dei sinti, tenendo conto della loro eterogenea condizione giuridica e della
necessità di ridefinire la situazione sul territorio nazionale alla luce del superamento della
Emergenza Nomadi. I principi ispiratori sono infatti quelli della inclusività (e dunque della non
esclusività), dell’approccio diritti umani, della prospettiva di genere e della sussidiarietà.
Il 2020, anno entro il quale si muoveranno le azioni delle Strategie Nazionali, rappresenta per tutti
noi una sfida epocale. Vogliamo sognare. Entro quella data tutti gli insediamenti formali saranno
superati, gli sgomberi forzati saranno un ricordo del passato, i rom e i sinti saranno riconosciuti
come una delle minoranze presenti nel nostro Paese, ai rom apolidi verrà finalmente riconosciuto
uno status giuridico. Questa è una sfida ma questa è anche una mèta che quanti lavorano per i
diritti umani dovranno darsi a partire da oggi.
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