Conferenza “Vent’anni di Democrazia costituzionale in Sudafrica: riflessioni su dignità e giustizia” Il giorno 24 novembre 2014 la Lidu ha partecipato alla conferenza che si è tenuta presso la Corte costituzionale italiana volta a celebrare i primi vent’anni dall’avvento del regime costituzionale sudafricano, il cui certificato di nascita è senza dubbio rappresentato dalla Costituzione del 1996, la quale si configura come la Legge Suprema della Repubblica del Sudafrica. Come evidenziato da diversi relatori - fra cui il Ministro della Giustizia Andrea Orlando, il prof. Giuliano Amato e l’Avv. George Bisos – il Sudafrica offre un rarissimo esempio di un processo costituzionale guidato sia dalla precedente oligarchia bianca sia dalla sopraggiunta élite nera, che ha permesso di attraversare pacificamente la transizione verso la democrazia, rappresentando la base per il superamento dei conflitti etnici che hanno dilaniato il paese per decenni. Tale elemento emerge chiaramente dal Preambolo della Carta Costituzionale, che se da un lato riconosce le ingiustizie del passato e onora coloro che hanno sofferto per la giustizia e per la libertà sudafricana; dall’altro attribuisce alla Rule of Law la funzione di trovare soluzioni a processi che in passato avevano condotto alle armi in contesti simili. Senza dubbio, la transizione pacifica alla democrazia, definita come un vero e proprio “miracolo”, affonda le proprie radici nella storia del Paese, in particolare nel valore dell’Ubuntu. Tale principio è stato illustrato nel corso del simposio dall’ex giudice della Corte Costituzionale sudafricana ed attuale Presidentessa della commissione sudafricana per la Riforma del Diritto, la quale ha definito l’Ubuntu come un valore tipico della società sudafricana tradizionale che racchiude in sé concetti fondamentali quali l’umanità, la solidarietà, la compassione, l’onestà e l’interconnessione fra le persone. Il Tribunale costituzionale ha utilizzato tali valori nella prima storica sentenza del 1995 con cui è stata abolita la pena di morte dal codice penale sudafricano, affermando la necessità di riparazioni non di vendette. Dunque come ha posto in rilievo il Ministro Orlando, solo il riconoscimento della verità senza cedere il passo ad inutili vendette, come del resto avvenne del resto in Italia in seguito durante la fase costituente, può condurre all’affermazioni di principi di giustizia e libertà. In questo contesto, la Costituzione sudafricana ha rappresentato il ponte fra una società contraddistinta da lotte intestine e sofferenze ed un futuro basato sulla tutela della persona intesa come essere umano a prescindere da qualunque qualificazione giuridica. A tal proposito viene in rilievo il principio della dignità umana: da un’attenta lettura della nuova costituzione emerge chiaramente come essa sia intesa non solo come diritto fondamentale ma come pietra miliare dell’intero ordinamento costituzionale sudafricano. Proprio in riferimento al tema della dignità umana, il Ministro della Giustizia ha introdotto la questione della condizione carceraria in Italia. Muovendo dal presupposto che la dignità umana, connotando l’intrinseca specificità dell’essere umano, deve essere garantita anche a chi ha commesso delitti o provocato sofferenze ad altri, il Guardasigilli ha evidenziato come sia necessaria una regolazione del sistema carcerario tale da ridurre al massimo il ricorso alla pena detentiva, prevedendo misure alternative per fatti facilmente punibili con esse e riaffermando il principio della funzione rieducativa della pena come primario e non accessorio. Del resto il tema della dignità del reo è una tema fondamentale che risale all’opera di Cesare Beccaria “Dei delitti e delle pene” del 1764, che ha ispirato numerosi sistemi carcerari a livello internazionale, fra cui quello italiano per cui il fine della pena non è tormentare un essere sensibile ma quello di impedire al condannato di provocare nuovi danni alla società. Quindi Orlando sottolinea i passi in avanti mossi dall’Italia in merito alla depenalizzazione di alcuni reati e all’avvio di sanzioni che mantengano il reo in comunità e altre misure tese ad evitare il processo penale e la privazione della libertà quando possibile. Specificamente al tema del sovraffollamento delle carceri italiane, Orlando ha evidenziato una riduzione del numero di detenuti da 60 mila a 54 mila unità da quando il geverno Renzi si è insediato, in una condizione di capienza massima di circa 48mila. Sotto questo profilo si è almeno in parte ottemperato a quanto stabilito dalla Corte Europea dei Diritti dell’uomo nell’ambito della sentenza Torreggiani, pronunciata l’8 gennaio 2013, in cui i giudici di Strasburgo hanno definito il sovraffollamento delle carceri italiane come una condizione non conforme alle previsioni minime di vivibilità individuate dalla giurisprudenza comunitaria e, dunque tale da costituire una violazione all’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che contiene il divieto di trattamenti inumani e degradanti. La Corte aveva quindi connato l’Italia ad una compensazione pecuniaria, invitando le autorità competenti a risolvere il disfunzionamento del sistema penitenziario italiano entro un anno. Tuttavia, non e' solo una questione di numeri, ma di “modello di detenzione”, definito dal Ministro Orlando “passivizzante” con molte ore trascorse in cella da parte del detenuto e perciò incapace di assicurare una piena rieducazione. Non a caso il sistema carcerario italiano presenta il più alto tasso di recidiva in Europa. Inoltre, Orlando ha annunciato la convocazione per il 2015 degli Stati generali del carcere per fare il punto su quanto è stato fatto e quanto resta ancora da fare per migliorare la situazione dei detenuti in Italia, dando voce a tutti i soggetti che ruotano intorno al carcere, dalla polizia penitenziaria, al volontariato, alla magistratura di sorveglianza e agli educatori, superando la paura dell’opinione pubblica verso chi ha attentato a valori propri della società su cui fa moltissima presa il solo tema delle diritto penale e dell’esecuzione della pena. Infine, Orlando esprime soddisfazione per la ratifica da parte del Sudafrica del Protocollo opzionale alla Convenzione Onu per l’abolizione della tortura, già sottoscritto dall’Italia nel 2013, il quale prevede un sistema di monitoraggio interno di prevenzione mediante l'istituzione di un sistema di visite regolari nei luoghi di detenzione, da parte di "meccanismi preventivi nazionali" indipendenti che gli Stati parte del Protocollo s'impegnano a istituire o nominare, e di un nuovo organismo internazionale di esperti, il Sottocomitato per la prevenzione della tortura. Per quanto concerne la dignità umana, di particolare interesse è l’intervento del giudice costituzionale sudafricano Christopher Jafta per cui il valore assolutamente prioritario di tale principio nell’ordinamento costituzionale sudafricano è confermato dalla giurisprudenza del Tribunale Costituzionale, il quale ha fatto riferimento alla dignità umana per determinare l’ambito di applicazione di altri valori fondamentali del Bill of Rights sudafricano, quali a titolo esemplificativo la libertà di espressione, la quale trova un limite esplicito, sancito dal secondo comma dell’art. 16 della carta costituzionale, nei casi di propaganda per la guerra, d’incitamento alla violenza, di apologia dell’odio razziale, etnico, di genere o religioso. Se l’instaurazione del regime democratico in Sudafrica ha determinato effetti positivi soprattutto in relazione all’affermazione del primato del diritti umani da garantire a qualsiasi essere umano, questi venti anni di democrazia nella “Nazione Arcobaleno” non sono stati sufficienti a risolvere problemi ancora vivi e attuali nella società sudafricana, quali la sanità, la disoccupazione e la persistenza di disuguaglianze socio-economiche inaccettabili. Comunque il caso sudafricano dimostra come bisogna sempre lottare per un modo migliore, basato sulla tutela dei diritti fondamentali della persona umana, anche in condizioni difficili come quelle determinate dal regime di apartheid. Ilaria Nespoli
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