Audizione commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlate Padova 20 novembre 2014 1 Che cos'è l'Osservatorio «ambiente e legalità» Il Comune di Venezia, con delibera n°644/2011 ha deciso di sostenere la progettazione dell'«Osservatorio Ecomafie – Ambiente e legalità nella Città di Venezia» proposto da Legambiente. L'Osservatorio si configura come struttura di servizio e di raccordo tra diversi soggetti che si occupano di difesa dell'ambiente e dei beni comuni. Non intendiamo sovrapporci ai compiti di regolazione, controllo e repressione in capo ai soggetti istituzionali, ma vogliamo affiancare il loro lavoro, diventando piuttosto luogo di incontro fra i diversi soggetti per moltiplicare sinergie e testimoniare, ed ampliare, la responsabilità della società civile verso queste problematiche. Gli obiettivi dell'Osservatorio sono: - attivare tra la popolazione una cittadinanza consapevole; - promuovere un'azione di ricerca tesa ad approfondire i caratteri della fenomenologia c.d. delle ecomafie con speciale riguardo agli aspetti che possano interessare Venezia e l’area metropolitana, a cominciare dalle politiche in materia di traffico di rifiuti; - promuovere quadri conoscitivi meditati in grado di dare conto della complessità dei fattori in gioco basandosi sia sulle evidenze empiriche che sui modelli sociologici e criminologici più accreditati; - valorizzare le competenze e le risorse dei diversi soggetti impegnati nel territorio a difesa dei beni comuni; - promuovere una più attenta cultura dei beni comuni quale condizione indispensabile per uno sviluppo giusto e pulito; L'attività dell'Osservatorio è supportata in modo esclusivamente volontario e con le risorse messe in campo da Legambiente dopo il commissariamento del Comune di Venezia e la conseguente interruzione del finanziamento delle attività dell'Osservatorio 2 Le connessioni tra politiche ambientali ed illegalità nel campo dei rifiuti sono evidenti: la discarica come destinazione di smaltimento, una lunga filiera del trattamento con l'esistenza di più intermediari, una connessione opaca tra pubblica amministrazione e gestione sono tutti dispositivi gestionali che favoriscono il protagonismo della criminalità ambientale. Quando parliamo di criminalità ambientale in Veneto non parliamo necessariamente di criminalità organizzata, ma di un «giro» relativamente noto di trafficanti ed imprenditori da anni sulla scena, che hanno potuto anche, occasionalmente valersi dei «servizi» della criminalità organizzata, ma, da quanto si evince per ora, hanno potuto operare con una certa autonomia1. Secondo lo studio condotto dall’istituto di ricerca Transcrime su «Gli investimenti delle mafie», pubblicato nel gennaio del 2013, il mercato illegale dei rifiuti speciali vede il Veneto al primo posto in Italia con un fatturato di 149 milioni di euro. Negli anni sono cambiate le rotte dei rifiuti e le modalità operative, sempre più caratterizzate da processi di compenetrazione e ibridazione tra circuiti leciti e illeciti 2 . È importante focalizzare l’attenzione sui processi di trasformazione della geografia e dell’uso del territorio nelle sue differenti declinazioni e ancora più rilevante è tenere presente il ruolo delle istituzioni pubbliche nella gestione e regolazione del territorio. Diventa necessario chiamare in causa le responsabilità di una vasta schiera di imprenditori, professionisti, tecnici e funzionari: quella area grigia in cui prendono concretamente forma comportamenti opportunistici e accordi collusivi di vario tipo. È in questa area che troviamo i veri punti di forza e le ragioni del successo delle ecomafie, divenute un attore di primo piano, almeno al sud, nella stessa governance degli assetti territoriali. Una nuova fisionomia dell'illecito come viene testimoniato da diversi investigatori: «Grazie al fatto che i controlli hanno cominciato a essere più frequenti, le varie organizzazioni si sono specializzate. La documentazione è sempre perfetta e così le analisi che accompagnano i rifiuti. Negli anni Novanta ci si trovava di fronte a dei veri e propri smaltimenti abusivi tout court, partivano per andare al Sud con carte raffazzonate e lo stato d'illegalità era evidente. Oggi quelli che gestiscono il traffico hanno tutto un sistema di uffici, di laboratori e di gestione amministrativa dei rifiuti che fa sì che un rifiuto, anche se irregolare, sulla carta 1 G. Belloni, Camorra e criminalità ambientale in Veneto, in in Meridiana 73-74/2012 L'Osservatorio ha monitorato i flussi in uscita, relativi al 2011, dei rifiuti industriali dalla Provincia di Venezia. In particolare abbiamo preso in esame, per una prima delimitazione della ricerca, le ditte che producono più di 500 tonnellate annue di rifiuti. Da questo monitoraggio abbiamo desunto qualche informazione utile: - la quantità di rifiuti che prende la strada verso il sud è quasi trascurabile. - la maggior parte dei rifiuti ha come destinazione altre regioni centro-settentrionali come Lombardia, Emilia Romagna o Toscana. - una quota non particolarmente rilevante viene esportata (Germania, Ungheria, Pakistan). Per osservare una correlazione quantitativa possiamo dire che 10mila tonnellate vanno in Germania e 100mila in Lombardia. Questo non significa che la destinazione finale dei rifiuti non possa essere oltre frontiera. E' probabile che gli impianti presenti in Lombardia e Emilia Romagna siano di proprietà di aziende dotate delle necessarie autorizzazioni e in grado di movimentare rifiuti all'estero. Come ci ha confidato un inquirente: «a nostro giudizio la rotta prevalente oggi è NordNord, i rifiuti industriali vanno all'estero, in Germania, Austria, Danimarca. Parliamo di un traffico che ha tutte le carte, notifiche e contratti, ufficialmente in regola, che segue le procedure della normativa. Un confine che fa da schermo ovviamente facilita il traffico illegale e rende più difficile il controllo e l'eventuale repressione. Prima potevi fare una telefonata al collega di Napoli e dire: “segui quel camion”, ora non è più possibile, se vi sia un'organizzazione e di che tipo dietro questi traffici transfrontalieri è presto per dirlo». 2 3 risulti regolare». Un salto di qualità che si accompagna alla crescente fragilizzazione degli enti locali: l'espandersi dell'illegalità ha ovvie relazioni con la crisi della politica locale. Questa debolezza comporta una fragilità del comune nel relazionarsi autorevolmente con gli interessi privati, perché interessi privati sanno della debolezza del comune ed hanno perciò un potere contrattuale molto forte. «Esternalizzando porzioni crescenti delle utilities e delegando importanti funzioni pubbliche ai privati coinvolti in aziende a «capitale misto», gli enti locali rischiano sempre più di mostrare il fianco alla criminalità organizzata di tipo ecomafioso»3. Questa analisi fa riferimento ad altre aree d'Italia, ma se teniamo presenti i gruppi d'affari la cui fisionomia sta prendendo forma dalle recenti inchieste possiamo tranquillamente leggere la seguente analisi pensando al Veneto: «recenti studi nel campo delle scienze sociali hanno avviato un percorso analitico finalizzato alla normalizzazione dell’attore mafioso nella governance del territorio, considerato come uno stakeholder (più o meno occulto) della politica ambientale. In quest’ottica, la «regolazione ecomafiosa» del territorio si dipana a stretto contatto con i gruppi criminali, ma resta inevitabilmente associata alla strutturazione di policy network qualitativamente diversificati: è in questi termini che le mafie possono ritenersi attori tra altri, vincolati – o abilitati – da meccanismi di coordinamento tra portatori di interesse e gruppi sociali della società locale» 4. 3 V. Martone, A. De Feo, Crisi ambientale e modelli di regolazione: l’ambiente come questione di policy, in Culture della sostenibilità 13/2014 4 Ivi 4 Temi La programmazione mancata In Veneto è mancata una programmazione che misurasse e selezionasse gli interventi dalla realtà economica, demografica e territoriale nei diversi aspetti. Occorre invece predisporre strumenti sensati di programmazione [cave, energia, paesaggio, rifiuti speciali...] che contengano gli indirizzi, gli obiettivi strategici, le indicazioni concrete, gli strumenti disponibili, i riferimenti legislativi e normativi, le opportunità finanziarie, i vincoli, gli obblighi e i diritti per i soggetti economici operatori di settore, per i cittadini. Sarebbe indispensabile che il Consiglio Regionale affronti questa questione in modo chiaro e trasparente, definisca le priorità, la pianificazione territoriale in accordo con le amministrazioni locali regionali e le parti sociali, selezionando i bisogni reali. Normative criminogene Per quanto riguarda le normative regionali segnaliamo come la delibera n. 843 del 15 maggio 2012 la Giunta Regionale azzera il contributo regionale ex art. 38 della legge regionale n. 3 del 2000 da corrispondere in caso di smaltimento di rifiuti urbani in impianti ubicati fuori dagli Ambiti Territoriali Ottimali in cui gli stessi sono stati prodotti. Questo provvedimento tradisce lo spirito delle norme comunitarie e di tutta la legislazione nazionale sui rifiuti, che si basa sui principi della prossimità e dell’autosufficienza. Secondo lo spirito della legislazione ogni ambito territoriale dovrebbe puntare a gestire l’intero ciclo dei rifiuti. Con l’eliminazione del disincentivo economico, invece, si favorisce la trasmigrazione dei rifiuti tra una provincia e l’altra. Invece di por mano ad una seria programmazione regionale sulla gestione dei rifiuti che punti sulla riduzione, sul riciclo e sul riutilizzo e renda ciascuna provincia autosufficiente, ci si limita a favorire i traffici dei rifiuti verso gli impianti che garantiranno meno costi. E’ da decenni assodato come allungare la rotta dei rifiuti provochi un aumento del rischio di una loro gestione opaca e renda più difficili i controlli. La corruzione che depreda l'ambiente Recenti, e note, inchieste hanno messo in luce un sistema di corruzione pervasivo e devastante nella nostra regione. Purtroppo all'ombra del grande sistema (parzialmente) svelato dall'inchiesta in corso, prosperano diversi piccoli sistemi corruttivi. La corruzione ha delle vittime eccellenti l'ambiente e i beni comuni 5 . Ci si preoccupa soprattutto dell’operatività delle imprese criminali, ma si rischia di perdere di vista il funzionamento (o meno) di istituzioni, amministrazione, politica, controllori, ispettori. Lo ripetiamo da tempo come Osservatorio ambiente e legalità: la minaccia non viene tanto dal mondo del crimine, ma dal sistema troppo spesso caratterizzato da acquiescenza, malafede e corruzione morale e materiale che alligna all’interno delle istituzioni. Se pensiamo al coinvolgimento nel caso Rotmafer (Verona) di un alto dirigente dell'Agenzia regionale per l'ambiente e che nel corso delle indagini è emersa l'esistenza di una circolare diramata il 27 novembre 2006 a tutti i tecnici dell'Arpav, firmata dall'allora direttore generale Andrea Drago (inquisito e prosciolto durante l’inchiesta): «In quella circolare i tecnici dell'Agenzia venivano invitati a non applicare il principio di precauzione 5 Osservatorio ambiente e legalità, La corruzione divora l'ambiente, dossier 2014 in www.osservatorioambientelegalitaveneto.it 5 nell'analisi dei rifiuti contaminati da idrocarburi e a non interpretarli, ma limitarsi a fornire i dati. Questa disposizione anche se non era indirizzata ad un caso particolare, oggettivamente favoriva la Rotmafer»6. La criminalità ambientale sembra così in grado non solo di operare con profitto nei settori ad alto impatto (edilizia, movimento terra, rifiuti, rinnovabili ecc.), ma di alterare dei principi e delle normative di tutela ambientale connesse alla corruzione (di amministratori pubblici, professionisti e funzionari incaricati di rilasciare autorizzazioni o di effettuare controlli), fino all’area grigia dell’impresa e delle professioni (produzioni inosservanti dei vincoli, professionisti e tecnici conniventi) e alla cosiddetta legalità debole. Citiamo l'ultima indagine emersa: secondo l’ipotesi accusatoria della procura veneziana Fabio Fior,dirigente regionale che a lungo si è occupato della questione rifiuti, membro della Commissione di Valutazione d’Impatto Ambientale e della Commissione Tecnica Regionale dell’Ambiente, suggeriva alle ditte che richiedevano autorizzazioni per progetti di impianti di trattamento rifiuti o discariche di farsi incaricare come collaudatore. In questa veste suggeriva le modifiche necessarie a concludere l’iter della pratica. Per questo servizio il dirigente si faceva pagare «compensi sproporzionati rispetto all’attività svolta», ma promettendo «una sorta di protezione istituzionale». Colpisce che ad approfittare di questo oneroso «servizio» – un vero e proprio taglieggiamento secondo quanto emerge dalle carte giudiziarie – siano state anche società pubbliche come la Sesa di Este o la Etra di Cittadella. Per poter condurre questo molteplice ruolo Fior avrebbe goduto di coperture istituzionali garantite dal dirigente all’ambiente Roberto Casarin e dall’ex assessore Renato Chisso. Questa inchiesta ha nuovamente messo in luce la necessità di arrivare allo scioglimento della commissione regionale Via vero e proprio coacervo di conflitto d’interessi come illustrato dallo studio dell'Osservatorio sulla Via7. Assimilazione «L'assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani è stata una delle pratiche di contrasto all'illegalità ritenute tra le più efficaci»8. Questa normativa ha infatti consentito di assoggettare al controllo pubblico una maggiore quantità di rifiuti nelle Regioni in cui si è proceduto in tal senso. Riportiamo una comparazione tra territori simili (distretti industriali) che rende bene l'idea: nella provincia di Treviso si producono 370 kg/anno di rifiuti urbani in quella di Prato 710 kg/anno. La differenza sta nella categoria dei rifiuti speciali non pericolosi che in Toscana, a differenza del Veneto, sono assimilabili ai rifiuti urbani e con questo ricadono sotto il controllo pubblico. In Veneto invece la responsabilità della raccolta, gestione e smaltimento dei rifiuti speciali non pericolosi ricade direttamente sui produttori. Differenziata L'aumento in questi anni dell'attività di raccolta differenziata ha creato in poco tempo un enorme mercato per i rifiuti da destinare ad attività di recupero, più o meno legale. Questo 6 Intervista a Pier Umberto Vallerin, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pordenone, 13 marzo 2012 (all'epoca dei fatti sostituto procuratore a Verona) in G. Belloni, Camorra e criminalità ambientale in Veneto, in in Meridiana 73-74/2012 7 Osservatorio ambiente e legalità, Ombre e disfunzioni della commissione Via, dossier 2013 in www.osservatorioambientelegalitaveneto.it 8 D. Fortini, Rifiuti urbani e rifiuti speciali: i fattori strutturali delle ecocamorre, in Meridiana 73-74/2012 6 mercato ha un'estensione globale frutto anche della crescita produttiva di paesi emergenti alla costante ricerca di materie prime, come i cosiddetti Bric (in Italia ogni anno 26 Mt di rifiuti sono avviate all'esportazione clandestina9). Citiamo l’operazione «Serenissima», dal nome delle navi commerciali della Serenissima Repubblica di Venezia: l'inchiesta è partita il 15 dicembre 2005, in seguito ad un’ispezione di 5 containers diretti ad Hong Kong contenenti rifiuti provenienti da due dei quattro stabilimenti della ditta Levio Loris srl, leader nelle operazioni di stoccaggio e recupero dei rifiuti non pericolosi in regime semplificato ed ordinario, operante nel territorio veneto (Grantorto, Selvezzano Dentro, Badia Polesine, Vigonza)10. La Levio Loris srl, regolarmente iscritta all’albo nazionale dei gestori ambientali (art. 212, D.Lgs 152/2006) è autorizzata a svolgere solo azioni di raccolta, selezione dei rifiuti (per eliminare eventuali frazioni estranee) e organizzazione di balle per tipologia. Quest’ultime possono essere destinate a smaltimento presso altri impianti o al recupero presso ulteriori società che hanno le tecnologie e le autorizzazioni per eseguire le fasi successive ed ottenere così le materie prime secondarie, pronte all’impiego nel processo produttivo. Le fasi successive di lavoro prevedono la triturazione, cioè la frantumazione grossolana del materiale, il lavaggio del prodotto (per l’eliminazione quelle parti che potrebbero essere dannose come terra e residui metallici) ed infine la macinazione e l’essiccazione del prodotto. I documenti accompagnanti la spedizione denunciano la non pericolosità dei rifiuti contenuti nei containers e, nello specifico, imballaggi in plastica, rifiuti di plastica e gomma derivanti dal trattamento di altri rifiuti. In realtà, dalle analisi effettuate, circa il 70 % del carico era composto da una miscelazione di rifiuti contenenti sostanze pericolose per l’ambiente. Rifiuti, questi, classificati come pericolosi dalla normativa vigente e non trattabili dalla ditta in questione. Oggi dagli impianti di trattamento escono rilevanti quantità di materia (codice 191212 scarto di selezione) che viene inviata all'estero. E' essenziale invece, dal punto di vista economico ed, insieme, ecologico che questo materiale venga gestito all'interno di rinnovate e trasparenti filiere di produzione attraverso l'attivazione di apposite sinergie. Monitoraggio La delibera della giunta regionale 863 del 2012 ha previsto la soppressione, per la supervisione dei piani di monitoraggio e controllo degli impianti di trattamento dei rifiuti, della figura del cosiddetto «terzo controllore». La legge regionale 3 del 2000 prevedeva, infatti, che «per tutti gli impianti di smaltimento e di recupero di rifiuti costituiti da matrici organiche selezionate, con potenzialità superiore a 100 tonnellate al giorno […] dovrà essere approvato in sede di rilascio del provvedimento di autorizzazione da parte della provincia un programma di controllo» a cui deve provvedere «personale qualificato ed indipendente». Sull’indipendenza di questa figura, un soggetto privato, ci sarebbe molto da dire, visto che risulta spesso pagato dal titolare dell’impianto che è chiamato a controllare. D’altronde i «terzi controllori» erano tenuti a produrre delle relazioni per gli enti pubblici accessibili ai cittadini: è questo il risultato migliore e più utile di quel provvedimento normativo e proprio questo patrimonio di conoscenza e trasparenza rischia di venire cancellato dal provvedimento regionale. Con questo provvedimento, infatti, si è lasciato 9 S. Tunesi, Conservare il valore. L'industria del recupero e il futuro dell'umanità, Luiss University Press, 2014 M. Ariniello, Giochi Pericolosi, Ricerche dell'Osservatorio Ambiente e legalità, 2014, in www.osservatorioambientelegalitaveneto.it 10 7 all'Arpav l’onere dei controlli. Controlli che avvengono sporadicamente, quando va bene una volta all'anno. In pratica ci si affida all’autocertificazione. Sarebbe stato più ragionevole imporre ai gestori di devolvere all'Arpav - ente pubblico – la parte della tariffa destinata al programma di monitoraggio e controllo. D'altronde vogliamo citare una buona prassi: è stato infatti assegnato alla Provincia di Venezia il premio nazionale «Ambiente e legalità 2013» con la seguente motivazione: «per l’efficace e intenso impegno – attraverso pratiche amministrative innovative come il Tavolo interforze per i controlli ambientali – nell’implementazione di efficaci sistemi di controllo e nel contrasto alle varie forme d’illecito ambientale». Le forze di contrasto La recente inchiesta che ha portato all'arresto dei vertici dell'Ecolando, ditta di trattamento rifiuti nel padovano, ha visto il protagonismo del Corpo forestale dello Stato, attori fondamentali nelle grandi inchieste che hanno attraversato la nostra regione in questi anni. Altre forze di polizia, come la Guardia di Finanza o il Noe dei Carabinieri, cosi come la Polizia stradale nella provincia di Verona, stanno lavorando con diligenza e passione contro i crimini ambientali. Ma tutte queste forze lamentano una cronica mancanza di risorse che ne limita pesantemente l'operatività. Il ruolo delle organizzazioni criminali Nel recente rapporto Dia 2011 (I semestre) viene segnalato come, riguardo l’operatività di Cosa nostra, “altre indagini in corso riguardano infiltrazioni della mafia siciliana nel Veneto Orientale (Jesolo) e a Venezia, come pure a Porto Marghera nel traffico dei rifiuti”. Aggiungiamo a questo le dichiarazioni del presidente della Corte d’appello di Venezia, Vittorio Rossi, che nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, il 26 gennaio del 2013, ha rilevato come emerga in Veneto il fenomeno dell’associazione a delinquere di stampo mafioso. Dai tre episodi contestati nel 2011 si è passati ai nove del 2012. L’aumento deriva, secondo i magistrati, da una “innegabile espansione del fenomeno a livello locale”, che segue l’andamento nazionale, soprattutto negli appalti pubblici e nell’attività di smaltimento dei rifiuti. Come abbiamo avuto modo di denunciare11 il quadro che sta emergendo dalle ultime inchieste in particolare a Verona cambia in modo radicale il modo di leggere l’operatività delle mafie in Veneto: non solo un azione “silente” impegnata al riciclo di capitali in attività economiche e finanziarie o il servizio – operazioni finanziarie, truffe, evasione fiscale, bancarotte fraudolente, smaltimento di rifiuti, somministrazione di manodopera – prestato alle imprese venete – spesso con l’aiuto di una rete di professionisti locali -, ma un insediamento stabile e continuativo capace di attivare contatti e complicità con settori del mondo politico e imprenditoriale. D'altronde la presenza delle mafie nell'economia sarebbe in aumento secondo quanto riportato nel rapporto Unioncamere del 2013: «I dati ci dicono che negli ultimi vent’anni la penetrazione delle organizzazioni criminali nel tessuto produttivo delle regioni italiane del Nord è in costante crescita e parte dai settori economici che non richiedono particolari conoscenze 11 8 vedi il dossier confezionato dall'Osservatorio sull'insediamento della 'ndrangheta a Verona, Osservatorio ambiente e legalità, 'Ndrangheta, corruzione, cemento. Il Veneto che deve cambiare, dossier 2014 in www.osservatorioambientelegalitaveneto.it tecnologiche, come il commercio al dettaglio (per mettere in circolazione i prodotti della contraffazione), i trasporti (per sfruttare le sinergie con le attività illecite spostando assieme stupefacenti e ortofrutta), l’edilizia (soprattutto nelle fasi di movimento terra e fornitura materiali), i servizi di ristorazione» (Unioncamere 2013 p.12). Per questo occorre andare aldilà dei protocolli – che quando vengono firmati devono essere resi operativi! – ed individuare, e cambiare radicalmente, le politiche che oggi costruiscono il contesto più favorevole per l’insediamento delle mafie. Siamo infatti di fronte a delle vere e proprie politiche criminogene davanti alle quali e poi – quando è già tardi – inutile invocare la magistratura e la polizia. E’ ora di mettere in campo “l’antimafia del giorno prima” non strillare, a volte ipocritamente, quando le cose sono già acclarate. In particolare nel settore dei rifiuti le reti criminali avrebbero compiuto un salto di qualità: dallo smaltimento al reinvestimento del denaro sporco anche in questo settore. È la tesi sostenuta dal magistrato veneziano Roberto Terzo: «i gruppi camorristici hanno guadagnato somme imponenti dallo smaltimento dei rifiuti delle aziende venete - secondo testimonianze di collaboratori di giustizia fino a un milione di euro alla settimana -, ora quelle somme vengono reinvestite, anche nel Veneto»12. Che il settore dei rifiuti sia particolarmente frequentato da chi intende riciclare denaro è testimoniato anche dal rapporto 2011 dell’Unità di informazione finanziaria (Uif) della Banca d’Italia. I dati delle segnalazioni di operazioni sospette evidenziano infatti che l’infiltrazione delle mafie è particolarmente rilevante in alcuni settori, tra i quali lo smaltimento dei rifiuti e la produzione di energia eolica. Le segnalazioni relative a imprese operanti nel settore dello smaltimento e riciclaggio di rifiuti (in particolare rottami metallici e rifiuti pericolosi) sono state oltre 300 nel 2010; tale attività è di particolare interesse per le organizzazioni criminali in quanto offre la possibilità di profitti molto consistenti (a fronte di guadagni unitari bassi, i volumi di fatturato sono molto ampi). Ma non occorre tirare in ballo la criminalità organizzata per raffigurare la criminalità ambientale nel Veneto: «gli affari sui rifiuti non sono appannaggio delle mafie, ma spesso di cricche di potere che a loro volta, in qualche caso, utilizzano le organizzazioni criminali13. L'ecomafia dei rifiuti si configura – ha osservato con efficacia Antonio Pergolizzi - come «l'affollamento ben orchestrato di personaggi legati alle mafie in combutta con quel sottobosco di cosiddette "persone per bene" che ha reso il fenomeno un corpo "liquido" e nauseabondo. Dove non è più possibile distinguere gli uni dagli altri, i mafiosi dagli imprenditori, gli amministratori dai professionisti o dai banchieri»14. Forse non è azzardato sostenere che l'evoluzione della gestione illegale dei rifiuti rispecchia quella delle reti criminali: un ruolo sempre più opaco e inafferrabile. Le aziende non risultano intestate a personaggi riferibili all'ambito camorristico; soltanto attraverso minuziose indagini a ritroso all'interno di trust finanziari e di complicate scatole cinesi societarie è possibile individuare collegamenti con la criminalità. E nemmeno il modus operandi li distingue più di tanto: le regole del mercato sono sufficienti per garantire il successo di imprese senza particolari 12 Intervista a Carlo Mastelloni, procuratore aggiunto, e Roberto Terzo, sostituto procuratore, della Direzione distrettuale antimafia di Venezia, 8 marzo 2012 in G. Belloni, Camorra e criminalità ambientale in Veneto, in in Meridiana 7374/2012 13 G. Corona, R. Sciarrone (a cura di), I crimini contro il territorio. Conversazione con Raffaele Cantone, Meridiana 73-74/2012 14 A.Pergolizzi, Toxicitaly. Ecomafie e capitalismo: gli affari sporchi all'ombra del progresso, Castelvecchi, Castel Gandolfo 2012, p. 9. 9 problemi di liquidità e con grandi capacità di tessitura di reti15. Discarica selvaggia Le «vecchie» pratiche dello smaltimento selvaggio di rifiuti di vario genere non sono in realtà passate di moda: giusto qualche giorno fa è stata sequestrata un'estesa area a Ronco all'Adige (Vr) e sono stati iscritti 12 persone nel registro degli indagati. Gli investigatori della Squadra Mobile sarebbero riusciti ad accertare che sotto la zona occupata da una fornace sono stati sepolti quintali di rifiuti tossici (metalli pesanti) che potrebbero aver fortemente inquinato la falda acquifera. Nel febbraio di quest'anno la polizia municipale ha scoperto, a Verona, un'area di 12mila metri quadri che un veronese affittava per smaltire illegalmente rifiuti. Gli agenti avevano visto il responsabile dell’area asportare lo strato superficiale del terreno, compresa della ghiaia, e interrare ramaglie, terriccio, rifiuti vari e teli in nylon, del tipo utilizzato in agricoltura, che coprivano interamente l’area. Sono state identificate, durante i controlli, altre quattro persone e sono stati sequestrati i due mezzi escavatori. La crisi e i rifiuti La crisi ha una ricaduta immediata rispetto alla gestione dei rifiuti: accade di frequente che una ditta al momento della chiusura abbandoni, magari stoccata sul piazzale, la quantità di rifiuti fino ad allora prodotti e non smaltiti per mancanza di risorse. Per altro è in crescita l'abbandono di rifiuti anche pericolosi16 Incendi/reati spia Abbiamo notato scorrendo la stampa locale del Veneto un susseguirsi di incendi in particolare negli stabilimenti di trattamento e stoccaggio dei rifiuti. Abbiamo così voluto provare ad esperire alcune cifre legate al fenomeno chiedendo ai comandi provinciali dei vigili del fuoco delle cifre riguardo «gli incendi di edifici a destinazione commerciale ed industriale di stoccaggio e trattamento rifiuti» negli anni tra il 2007 e il 2011. Abbiamo poi richiesto all'Arpav i numeri riguardanti la stessa tipologia di rifiuti per quanto riguarda il 2012. Malgrado le differenti fonti comunque i numeri saltano all'occhio: nel veronese nel 2007 abbiamo 5 incendi, nel 2008 1, nel 2009 3, nel 2010 2, nel 2011 1 e nel 2012 ben 7. Un trend simile ha riguardato il veneziano. Pensiamo il fenomeno debba essere monitorato: la preoccupazione è che appena vengono messi in discussione interessi o posizioni consolidate, il sistema di illegalità, connivenza, corruzione, reagisce mostrando il suo volto violento. La pesante eredità Tra le varie stratificazioni d'illegalità riemerge la gestione «disinvolta» dei rifiuti operata negli scorsi decenni: nell'area a nord di Vicenza, come ha denunciato Legambiente, sono stati rilevati 43 vecchie discariche di cui 13 sono i casi più delicati e sono oggetto di convenzioni dei Comuni per essere monitorati costantemente. «Un problema particolare – segnala il circolo vicentino di Legambiente - si pone ora in Comune di Caldogno (VI) dove è prevista una cassa di espansione in caso di alluvione, dove negli anni 1970-1980 sono 15 M. C. Ribera, Ecomafia e traffico illecito organizzato di rifiuti, in Rapporto ecomafia 2008. I numeri e le storie della criminalità ambientale, Legambiente – Osservatorio Ambiente e legalità, Edizioni Ambiente, Milano 2008, pp. 63-69 16 D. Fortini, Rifiuti urbani e rifiuti speciali: i fattori strutturali delle ecocamorre,in Meridiana 73-74/2012 10 stati seppelliti grandi quantità di rifiuti, poi coperti con terra. La bonifica di questo invaso con la rimozione dei rifiuti, secondo il presidente della Provincia, costerebbe tre milioni di euro, troppi soldi, quindi si procederà alla copertura con un isolamento dal costo preventivato di 450mila euro e l’impegno di un monitoraggio assiduo». Una discarica abusiva con rifiuti tossico-nocivi in riva al fiume Brenta. E’ quanto denunciato con un esposto da alcuni consiglieri del Movimento 5 stelle a Cartigliano, in provincia di Vicenza, con il sostegno di un gruppo di parlamentari (Girotto, Cappelletti, Benedetti, Da Villa, Cozzolino, Brugnerotto). L’atto è stato presentato all’Agenzia regionale per l’ambiente per chiedere spiegazioni su due aree che, dicono, sarebbero “fortemente inquinate”: “Una prima area appare come una vera e propria discarica abusiva di rifiuti tossico-nocivi di origine industriale, riferibili all’industria della concia. La seconda area, limitrofa alla discarica abusiva, presenta invece evidenti tracce di sedimi e residui di fanghi, contenenti metalli pericolosi”. La Regione Veneto, il Magistrato alle acque e la Guardia di finanza avevano promosso in passato una campagna di monitoraggio satellitare delle discariche prima nella provincia di Venezia e poi in tutta la campagna veneta. Purtroppo l’operazione, secondo la Procura, è risultata «inquinata» dalla cricca del Mose in quanto pilotata grazie al Consorzio Venezia Nuova verso una ditta risalente al dirigente Fabio Fior, poi arrestato. Il monitoraggio, sospeso nel 2010, aveva comunque evidenziato una situazione inquietante: dei 600 siti ritenuti a rischio furono 165 quelli indagati, 37 le indagini concluse e in 19 di questi siti è stata riscontrata la presenza di rifiuti potenzialmente inquinanti. Rifiuti e fisco Ma al tradizionale e collaudato smaltimento illegale, il mondo criminale dei rifiuti, anche nel Veneto, si arricchisce di aspetti «innovativi» intrecciati alle truffe finanziarie e all’evasione fiscale, confermando così le più aggiornate analisi investigative. Citiamo, per esempio, l’inchiesta condotta dal pubblico ministero Giorgio Gava, che ha portato, nel luglio del 2012, a nove ordinanze di arresto per una serie di truffe nel campo del trasporto di materiali ferrosi. Imputati trafficanti veneti, calabresi e romeni. Una truf- fa che ha garantito agli ideatori circa un milione di euro in sei mesi di attività. Il business illegale smantellato dai carabinieri si basava su società fittizie create per aggiudicarsi il trasporto di carichi di metalli ferrosi in subappalto. Una settimana dopo, un’altra inchiesta ha messo in luce un sistema finalizzato all’evasione fiscale, e ha coinvolto 32 persone attive nel commercio dei rottami metallici. 30 le imprese coinvolte, tra cui 16 società di capitali, con sede in Veneto, Lombardia e Calabria. I finanzieri hanno svolto accertamenti che hanno consentito di individuare un complesso sistema fraudolento, caratterizzato dalla partecipazione di numerose imprese “cartiera” intestate a nullatenenti e utilizzate per emettere le fatture che avrebbero dovuto giustificare la provenienza dei rottami di compravendita, anche con importi dichiarati superiori a quelli effettivamente versati in nero ai reali cedenti. Il sistema aveva garantito un’evasione fiscale per 500 milioni di euro. E per finire, da segnalare un’altra truffa – più sofisticata, se vogliamo – emersa nel marzo 2012 grazie alla Guardia di finanza di Bassano del Grappa (Vi), che ha sequestrato a due imprenditori beni per 4,7 milioni di euro tra ville, quote societarie e conti correnti bancari. Sequestri intervenuti subito dopo che gli investigatori hanno ipotizzato l’esistenza di articolati sistemi di frode, finalizzati a costituire indebiti crediti d’imposta, annotando in 11 contabilità costi fittizi per emettere fatture false. In particolare, un imprenditore specializzato nel trattamento di materiale plastico avrebbe compreso nelle dichiarazioni dei redditi relative ad alcune sue società, dal 2007 al 2010, fatture false per oltre 70 milioni di euro: un sistema fraudolento per creare falsi crediti di Iva, mentre la merce acquistata «in nero» da altre ditte veniva poi rivenduta senza applicazione dell’imposta a società che dichiaravano falsamente di essere «esportatori abituali». Come ci testimoniano questi episodi effetto diretto del comportamento ecocriminale volto ad accumulare denaro sporco, perché frutto di reati ambientali, è l’evasione. L’emissione di fatture per operazioni inesistenti non è il solo reato fiscale a poter essere eventualmente coinvolto in una indagine in materia ambientale. Possono rientrarvi anche la dichiarazione infedele, l’omessa dichiarazione, l’occultamento e distruzione di documenti contabili, la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, tutti reati disciplinati dal Decreto legislativo 74 del 2000 e che per lo più richiedono il superamento di determinate soglie di evasione: un accertamento della contabilità fiscale di una azienda operante nel settore dei rifiuti potrebbe facilitare le forze dell’ordine nell’acquisizione di elementi utili a provare anche eventuali reati ambientali come il delitto di cui all’art. 260, Testo Unico Ambientale, il quale richiede di per sé che la gestione abusiva dei rifiuti sia finalizzata al conseguimento di un «ingiusto profitto». Un approccio fiscale in un procedimento per traffico illecito di rifiuti potrebbe portare all’ulteriore contestazione di reati finanziari, sferrando così un duro colpo per i trafficanti di veleni che troppo spesso riescono ad accumulare grandi capitali in spregio della disciplina in materia ambientale. Un nuovo modo di svolgere le indagini quando si ha a che fare con la "monnezza" e che fa assumere alla Guardia di Finanza un ruolo fondamentale nelle inchieste sull’art. 260, Decreto Legislativo 152 del 2006, ma anche in quelle riguardanti l’abusivismo edilizio e le attività di escavazioni, entrambi settori che si considerano appartenenti al mondo delle ecomafie, al pari dei traffici illeciti di rifiuti. 12 Casi Rovigo Daneco a Rovigo Segnaliamo l'inchiesta in cui risultano indagati per abuso d'ufficio i vertici del consorzio polesano di rifiuti solidi urbani in carica due anni fa. L'inchiesta riguarda una decisione del consorzio di affidare la gestione della discarica di Villadose (Ro) alla Daneco Impianti senza aver indetto la gara d'appalto. Antitrust apre procedimento su raccolta differenziata L’Antitrust indaga su un bando di gara per lo smaltimento dei rifiuti da raccolta differenziata nei comuni della provincia di Rovigo. L’Autorità ha infatti deciso di aprire un’istruttoria, scaturita dalla segnalazione di un privato cittadino, su un presunto cartello tra le imprese Fertitalia S.r.l., Nuova Amit S.r.l., Ni.Mar. S.r.l. e S.E.S.A. – Società Estense Servizi Ambientali S.p.A., nell’ambito della partecipazione a una gara svoltasi nel 2013 per la gestione del servizio di smaltimento delle frazioni “umido organico” e “verde” (la FORSU, Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano) derivanti dalla raccolta differenziata dei rifiuti di tutti i comuni della Provincia di Rovigo da parte della società Ecoambiente S.r.l. L’appalto era diviso in quattro lotti geografici ognuno dei quali aveva un “baricentro operativo”, ovvero un luogo di riferimento per il calcolo delle distanze rispetto agli impianti dei soggetti partecipanti alla gara. Alla gara hanno partecipato solo solo le quattro imprese cui fa riferimento la segnalazione: Fertitalia, Nuova Amit, Nimar e Sesa. Secondo il segnalante, spiega l’Antitrust, “si tratta delle uniche quattro imprese del settore in grado di rispettare per almeno un lotto il primo dei requisiti qualitativi previsti nel bando -la disponibilità di un impianto di compostaggio entro un raggio di 60 km dal baricentro operativo del lotto. I tre soggetti partecipanti, tuttavia, non si sono mai presentati in concorrenza tra loro, in quanto per ciascun lotto non è stata presentata più di una offerta”. La ricostruzione dello svolgimento della gara, spiega l’Antitrust, evidenzia alcune “anomalie che appaiono incompatibili” con uno svolgimento concorrenziale della gara e che fanno pensare a un’intesa volta a dividersi il mercato e a fissare i prezzi. Un indizio è rappresentato dal fatto che le imprese, pur avendo i requisiti per partecipare a più lotti, hanno deciso di presentare solo un’offerta (tranne la società Nuova Amit che ne ha presentate due) selezionando lotti diversi dalle altre; i concorrenti inoltre hanno presentato offerte di pochissimo inferiori alla base d’asta. Quello che viene ipotizzato, spiega l’Antitrust, è “l’esistenza di un coordinamento tra le società Fertitalia, Nuova Amit, Nimar e Sesa, volto a limitare il confronto concorrenziale tra le stesse nella partecipazione alla procedura svoltasi nel 2013 per l’affidamento del servizio di smaltimento delle frazioni “umido organico” e “verde” derivanti dalla raccolta differenziata dei rifiuti di tutti i comuni della Provincia di Rovigo, configurando un’intesa restrittiva della concorrenza”. Co.im.po. 13 Sono morti quattro operai durante un’operazione di sversamento di acido solforico che ha provocato l’esalazione di una nube tossica: tutto questo lo stabilimento della Co.im.po. a Cà Emo frazione di Adria (Rovigo) il 22 settembre del 2014. L’indagine della magistratura dovrà chiarire cosa è «andato storto» per cui l’acido solforico versato nella vasca di decantazione ha reagito con l’ammoniaca, o con altri composti presenti nella vasca, portando alla produzione di una micidiale nuvola di vapore tossico. Aldilà dell’operazione attorno alla vasca, sulla cui sicurezza il pubblico ministero ha già espresso gravi perplessità, occorrerà indagare sull’intero ciclo di produzione della ditta, sulle sostanze trattate e sui procedimenti e le autorizzazioni allo smaltimento. Una ditta importante la Co.im.po., sorta negli anni ’80 che trattava 100mila tonnellate all’anno di rifiuti speciali. Rifiuti che provenivano da tutta Italia (e anche dall’estero stando alle dichiarazioni degli abitanti che notavano le targhe dei camion in arrivo). I rifiuti, una volta trattati, venivano sparsi sui terreni agricoli quali ammendanti a cura della Agri.Bio.Fert., società di Rossano Stocco, anche lui ferito nell’incidente, braccio destro dell’amministratore delegato della Co.im.po. Gianni Pagnin. Diversi ettari di terreno sono stati acquistati dalla ditta nelle vicinanze, altri venivano affittati in altri paesi polesani. Accadeva anche che venissero offerti gratuitamente ai contadini e riversati nei campi a cura della stessa ditta. Operazione in sé non illecita se il trattamento dei rifiuti viene condotto a dovere. La normativa è molto complessa e ammette l’utilizzo di rifiuti, opportunamente trattati, quali liquame zootecnico, scarti di produzione di industrie tessili, del pellame e del legno che la Co.im.po. ufficialmente trattava. Altra cosa sono fanghi di origine industriale, contenenti metalli pesanti. Molto dipende dai controlli che vengono effettuati e “se” vengono effettuati. L’odore nauseabondo che proveniva dalle lavorazioni della ditta e dalla “concimazione” dei campi ha attirato le proteste e i malumori degli abitanti che per un periodo formarono anche un comitato e lanciarono una raccolta di firme. Segnale non colto appieno dall’agenzia regionale per l’ambiente spesso chiamata in causa dagli abitanti e da Legambiente, sempre per la questione degli odori. «Abbiamo fatto innumerevoli segnalazioni, ma senza ottenere nulla» racconta Leonardo Conte del circolo di Legambiente di Adria. La mobilitazione dei cittadini ebbe vita breve anche perché una parte degli abitanti di Cà Emo non ha voluto mettersi contro Mauro Luise, il titolare, che dal trasporto latte si era convertito, nella metà degli anni ’90, al settore rifiuti mietendo in breve tempo grande successo. Nel frattempo Luise si è trasferito in Romania dove ha avviato una attività nel settore agricolo insieme al vecchio socio Gianni Pagnin che comunque è rimasto al comando della Co.im.po. divenendone dal dicembre 2012 nuovo amministratore. Massimo Barbujani, il sindaco di Adria, dopo la tragedia ha ricordato la generosità di Luise nel sostegno alle iniziative del paese. In effetti la sponsorizzazione della Co.im.po ha sorretto molte manifestazione compresa l’attività della locale squadra di calcio. Un’analisi eseguita dal Corpo forestale dello stato nel 2011, su richiesta dell’amministrazione di un paese delle vicinanze dove la ditta sversava il suo prodotto, San Martino di Venezze, registrava una quantità superiore al consentito di «correttivo calcico». Il «fertilizzante» proveniente dalla Co.im.po. venivano portati e «subito interrato da mezzi agricoli e carro – botti muniti di interratore» scrivono gli agenti del corpo forestale. Oltre 25mila quintali di sostanze nel giro di una settimana sono state sparse (ed interrate ad almeno 40 centimetri di profondità) nel terreno oggetto dell’analisi del corpo forestale, che nella nota sottolineano: «un così ingente impiego non risulta giustificato da alcun studio approfondito sulle caratteristiche del terreno che determinano un pH così elevato e di conseguenza 14 sull’idoneità del correttivo calcico che viene impiegato sui terreni fortemente alcalini; non risulta poi essere stato fatto un calcolo del fabbisogno del gesso in base ai parametri del terreno, né è stato predisposto un piano di utilizzazione agronomica o un monitoraggio sull’andamento dei risultati ottenuti come invece la buona pratica agricola richiederebbe». Gli agenti forestali chiudono allarmati: «per quanto appreso in sede di controllo, risulta che altre superfici in disponibilità della Co.im.po. siano state in passato interessate dall’applicazione del correttivo calcico prodotto dall’Agribiofert e dunque non si esclude che la problematica esposta riguardi [..] anche altre superfici agricole». Ora occorre che le indagini amplino il loro raggio d’azione ai campi del Polesine dove la Co.im.po. ha sversato in questi anni il suo concime, ai prodotti che sono stati coltivati e all’uso che ne è stato fatto e all’acqua che ha irrigato i campi. 15 Treviso Treviso servizi: truffa non denunciata Malgrado la denuncia dei vigili urbani di Treviso, rilanciata dall'Osservatorio ambiente e legalità, la Treviso Servizi, società controllata al 100% dal Comune, non ha ritenuto di procedere alla denuncia alle autorità di Ecolando, l'azienda padovana che smaltiva i rifiuti ingombranti. La polizia locale aveva ipotizzato una vera e propria truffa con fatture gonfiate per la raccolta degli ingombranti a cui veniva imputato un peso maggiore di quello reale. I vigili hanno autonomamente depositato, nel 2012, un esposto in procura. E' stato poi, proprio grazie a quella denuncia, che si è sviluppata l'indagine nei confronti di Ecolando e che ha recentemente portato all'arresto dei due amministratori. Incendi e reati spia Da segnalare i due incendi - avvenuto nel febbraio e nel marzo di quest'anno - che hanno riguardato l’azienda Bigaran di servizi ambientali di San Biagio di Callalta (Tv). Nel primo, avvenuto nella notte tra 18 e 19 febbraio, era andato a fuoco del materiale organico depositato all’interno del capannone. Nel secondo, una settimana dopo, sono andati a fuoco cinque automezzi parcheggiati all'interno del piazzale, in una zona nascosta dagli sguardi da una siepe altissima. Vidori in Puglia Una importante ditta trevigiana, operante nel settore dei rifiuti, la Vidori [già coinvolta nell'inchiesta Cassiopea] ha fatto parte di un'organizzazione che smaltiva illecitamente rifiuti in una discarica in provincia di Lecce. L'organizzazione, colpita da dodici ordinanze di custodia cautelare nel 2009, poteva contare sulla complicità di funzionari e membri delle forze dell'ordine. Mediante attestazioni fasulle le ditte coinvolte scaricavano nella discarica rifiuti tossico nocivi che avrebbero dovuto essere sottoposti a diverso, e più oneroso, trattamento. Secondo le forze dell'ordine «a seguito delle indagini e del nuovo assetto amministrativo delle società sopra indicate, i rifiuti non sono stati più smaltiti in Puglia, ma, in alcuni casi, sono stati esportati in Germania»17. Depuratore di Carbonera - Entei L’Environmetal Technologies International [Entei], una importante società operante nell’ambito della gestione del ciclo delle acque e delle bonifiche, colpita da interdittiva antimafia dalla prefettura di Cagliari, ha vinto, nel maggio del 2011, un regolare appalto per l’ampliamento del depuratore di Carbonera [Tv]. La Entei è nata dalle ceneri della Ibi, società sospesa dalla gestione del sito di Chiaiano nel febbraio 2011, è accusata di aver utilizzato materiali scadenti ed aver dato subappalti alla Edil Car della famiglia Carandente Tartaglia legata al clan Mallardo e ai Casalesi. L’appalto è stato vinto precedentemente all’interdittiva della prefettura cagliaritana. Non per questo il caso non può destare qualche perplessità e riflessione sul meccanismo degli appalti e sulla rete di controlli preventivi. 17 Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo di rifiuti, Relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione Puglia, XVI legislatura, 20 giugno 2012 16 In sintesi: 1) La società appaltante i lavori, la società Alto trevigiano Servizi srl, ha dichiarato di aver saputo dell’interdittiva da articoli di stampa usciti in Sicilia. Una volta appresa la notizia ha avuto, con qualche difficoltà, conferma dalla prefettura cagliaritana dell’esistenza di questo provvedimento in forza del quale gli appalti in essere possono considerarsi nulli. Non esiste, infatti, un meccanismo per cui una volta che una ditta viene colpita da un provvedimento antimafia vengano informate le prefetture e i soggetti con cui quella ditta ha contratti in essere nei vari territori. Sappiamo che dalla recente legislazione antimafia prevede la costituzione di una banca dati perché le Prefetture possano condividere le informazioni. Speriamo che il meccanismo venga messo a punto in tempi brevi. 2) Le autorità di bacino di Caltanisetta e Agrigento, una volta emessa l’interdittiva della Prefettura cagliaritana, hanno diffidato le società di gestione dal mantenere all’interno del loro consiglio d’amministrazione l’Entei. A Carbonera l’appalto è stato fin’ora solo congelato in attesa della pronuncia del Tar siciliano (dopo che quello sardo a demandato a quest’ultimo la decisioen finale in merito alla validità dell’interdittiva). 3) Il protocollo della legalità nelle grandi opere pubbliche sottoscritto il 9 gennaio del 2012 dal ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri, del presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, e da rappresentanti dell’Anci e dell’Upi è un provvedimento importante che potenzia i meccanismo di controllo negli appalti in settori che fin’ora erano rimasti in un cono d’ombra come il noleggio di macchinari e di manodopera [nolo a caldo e a freddo]. Il protocollo ha però un falla a sua volta, che già denunciammo, non riguarda infatti quei lavori con un importo inferiore ai 5 milioni di euro [articolo 2, pg 8 del Protocollo]. Solo per i lavori sopra quella cifra complessiva le stazioni appaltanti siano tenute alla comunicazione in Prefettura della pubblicazione del bando di gara. Come abbiamo denunciato a suo tempo si tratta di una cifra molto elevata che esclude tutto ciò che avviene per appalti più modesti che però sono quelli territorialmente più impattanti. Come nel caso dell’appalto vinto dall’Entei. Mestrinaro Segnaliamo l'inchiesta in corso sulla Mestrinaro che avrebbe utilizzato materiali inquinati per i lavori sulla terza corsia A4 e per la realizzazione di un parcheggio all’aeroporto Marco Polo. Nella ditta di Zero Branco (Tv) i rifiuti inquinati che le aziende edili - in particolare l'«Intesa 3» di Maurizio Girolami l’«Adriatica Strade costruzioni generali» di Loris Guidolin - gli conferivano per renderli inerti, li miscelavano tali e quali a calce e cemento realizzando il “rilcem” – misto cementato per sottofondi stradali – utilizzato per grandi cantieri. Il rilcem risulta contenesse anche sostanze inquinanti come vanadio, cobalto, nichel, cromo. Intesa 3 Dall'inchiesta sulla Mestrinaro ha preso il via una secondo inchiesta riguardante rifiuti pericolosi che sarebbero stati nascosti in un terreno di Volpago del Montello [Tv] da parte della di Intesa 3 di Maurizio Girolami. Rifiuti che viaggiavano con bolle apparentemente regolari, che non rappresentavano però il reale contenuto dei mezzi che si muovevano e scaricavano alla pendici del Montello. Si è trattato di 5.900 tonnellate di rifiuti provenienti 17 dai lavori di scavo nel cantiere di via dei Tigli a Mestre e contenenti arsenico, piombo, rame, mercurio, stagno, zinco, floruri e idrocarburi pesanti superiori ai limiti di legge. Sev: il veleno e la truffa Discariche gestite in provincia di Treviso dalla Sev, dopo il conferimento di rifiuti non conformi, sono state abbandonate. La gestione era stata garantita con polizze non ammesse dalla normativa, che non è stato possibile escutere per il fallimento del fideiussore. E' così che il fallimento Sev costerà 11,5 milioni di euro ai contribuenti. I soldi sarebbero serviti a bonificare la discarica Sev di via Veccelli dove, si trovano frutti tossico-nocivi conferiti illegalmente e dell'amianto invece portato regolarmente. Con il fallimento della Sev quindi non c'è nessuno che pagherà la manutenzione e la bonifica del sito ormai chiuso da anni. 18 Padova Biogas – società agricola Tosetto E' mancata nella nostra regione in questi anni qualsiasi programmazione nella produzione di energia e pure l'attuale piano energetico – in via di approvazione – non individua limitazioni nella qualità e nella modalità di produzione dell'energia da biogas (a parte limitazioni riguardanti la localizzazione territoriale degli impianti) 18 . Il pericolo è che gli impianti di biogas divengano strutture per lo smaltimento illegale di materiali contaminati. Una pratica che incrementerebbe i profitti privati già di per sé assicurati dai finanziamenti pubblici. Non mancano, infatti, in Italia, casi in cui agricoltori fanno fatica a gestire correttamente impianti di grandi dimensioni e sono disposti ad accettare anche biomasse contaminate senza domandarsi la natura e l’origine della materia pur di mantenere in produzione gli impianti. L'incidente occorso in una delle centrali a biogas più grandi del Veneto, appartenente alla società agricola Tosetto S.S. potrebbe – il condizionale è d'obbligo – rappresentare un triste esempio della concretizzazione di questo rischio. L’Arpav ha riscontrato, nel settembre del 2012 e nel febbraio 2013, nelle analisi effettuate nel digestato - residuo del processo di produzione del biogas che conserva la parte organica e minerale - prodotto dall'azienda di Limena, la presenza di Pcb, composti chimici denominati policlorobifenili. Si tratta di liquidi oleosi dall’odore intenso, classificati tra le sostanze maggiormente cancerogene. Ma è solo il 28 marzo 2013 - in seguito alla comunicazione dell’Arpav emessa oltre cinque mesi dopo l’analisi del campionamento -, che il sindaco di Limena, con ordinanza n. 2/2013, ha obbligato la ditta in questione alla messa in sicurezza dell’impianto. Per spiegare la presenza del Pcb nel digestato la ditta Tosetto ha ipotizzato un tentativo di sabotaggio, ma allo stato attuale non si è a conoscenza dell’inoltro o meno di una denuncia da parte dell’azienda presso l’autorità giudiziaria. La sostanza tossica non era contenuta nel letame e nell’insilato di mais utilizzati per l’alimentazione dell’impianto, ma solo nel digestato solido e liquido all’interno delle vasche di stoccaggio. Ancora oggi, l’origine della contaminazione non è stata definita. Ma partendo dal dato oggettivo, quale appunto la presenza di pcb nel digestato, possono essere formulate una serie di ipotesi generali, tra le quali l’idea che il digestore potrebbe esser stato ripulito immediatamente dopo il contatto con le matrici contaminate. Tutte queste problematiche inducono a sollevare la questione dei controlli. Controlli che verrebbero in realtà demandati alla stessa azienda, la quale ha l’obbligo di controllare l’omogeneità e la tracciabilità delle materie prime in entrata e l’attività di stoccaggio della materie. Risulta molto problematico il controllo esterno sul funzionamento dell'impianto e, soprattutto, la qualità delle materie prime utilizzate. A gran voce, le associazioni ambientaliste del territorio si domandano che fine abbia fatto il digestato contaminato da Pcb prodotto dalla ditta Tosetto. Lo spargimento sui terreni agricoli determinerebbe un contagio della catena alimentare, causando danni irreversibili all’ambiente e alla salute umana. 18 Sulla vicenda si veda M. Ariniello, Veleni e biomasse: una caso che deve far riflettere, in Schegge di Dark economy, Quaderni dell'Osservatorio ambiente e legalità, 3, 2013 in www.osservatorioambientelegalitavenezia.it 19 Etra La vicenda che segnaliamo non riguarda la gestione dei rifiuti ma lo stile amministrativo della società. La fonte è la relazione della Corte dei conti del Veneto del 2013. In materia di partecipazioni pubbliche un’importante istruttoria ha riguardato una società partecipata totalmente da enti locali (ETRA S.p.A. subentrata a Brenta S.p.A.) che gestiva il ciclo integrato dell’acqua sulla base della convenzione con l’ATO. Detta società ha costituito una società (AS srl) con un partner privato per finalità invero estranee alla sua attività e comunque fattibili con gli uffici che aveva. La società derivata, poco dopo la sua costituzione ha acquisito i rami aziendali di una terza società (Claim srl) che era controllata dal partner privato scelto per la società derivata. La società derivata non ha realizzato alcun utile ed è servita sostanzialmente a spalmare a carico del soggetto pubblico le perdite dell’azienda acquisita. La società derivata (AS srl) è fallita causando un notevole danno alla società di proprietà pubblica (ETRA). La Procura ha sostenuto la responsabilità degli amministratori della società pubblica originaria e di quelli della società derivata per la costituzione di AS srl e per l’acquisizione dei rami aziendali di CLAIM srl, operazioni effettuate senza alcuna stima come invece previsto dal codice civile oltre che dal principio di economicità. Ecolando La più recente inchiesta sul traffico illecito di rifiuti coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Venezia e condotta dal corpo forestale dello stato del Veneto ha colpito l'impresa Ecolando di Sant'Angelo di Piove. Sono state effettuate inoltre 14 perquisizioni nelle province di Venezia, Padova, Ferrara, Bologna e Modena. Perquisita la sede della Akron del gruppo Hera, colosso emiliano veneto dei servizi, in quanto ritenuta nella disponibilità delle attività di Ecolando. Il traffico illegale di rifiuti sarebbe consistito nel ritiro dei rifiuti, di diversa natura ma in massima parte non pericolosi, da diversi stabilimenti e dal suo fittizio trattamento. I rifiuti infatti venivano miscelati e trattati sommariamente avviandoli poi in impianti di smaltimento o di recupero contraddistinti da un codice identificativo (Cer) che non corrispondeva alla reale consistenza dei rifiuti assicurandosi così un importante guadagno dato dal mancato trattamento dei rifiuti. Preoccupa il coinvolgimento di una grossa impresa la Akron del gruppo Hera, colosso emiliano veneto dei servizi, di cui è stata perquisita la sede in quanto ritenuta nella disponibilità delle attività di Ecolando. La ditta padovana ha subito diversi procedimenti penali in questi anni. L'ultimo in ordine di tempo aveva portato al sequestro degli impianti. Il successivo rilascio di autorizzazione integrata ambientale (Aia) da parte della Regione Veneto era stato concesso dato il particolare sistema di tracciamento dei rifiuti che di cui la ditta si era dotata. Malgrado queste cautele l'attività criminosa era proseguita. Cal – Loris Candian Nicoletta Stefanutti, Giudice del Tribunale di Dolo, ha condannato nel settembre 2011 Loris Candian, imprenditore di Noventa Padovana, legale rappresentante della CAL s.r.l. di Fossò – ditta di smaltimento e recupero scarti di lavorazione – a due anni di reclusione e a 15 mila euro di risarcimento danni alla Provincia di Venezia per irregolarità nella gestione di rifiuti. Secondo le indagini, nell’impianto della CAL s.r.l. assorbita dal gruppo «Ecolando srl» di Sant’Angelo di Piove di Sacco, tra il 2006 e il 2008, i rifiuti venivano miscelati 20 indistintamente senza effettuare una raccolta per categorie omogenee e senza effettuare analisi sulla pericolosità del materiale proveniente da produttori diversi. In seguito a queste operazioni di miscelazione dei rifiuti mutavano le classi di pericolo delle partite e anche la destinazione, che dalla filiera dello smaltimento passava a quella del recupero, in modo del tutto arbitrario. Loris Candian era già stato arrestato a seguito di una inchiesta coordinata sempre dal sostituto procuratore Giorgio Gava che portava alla luce come, tra il 2001 e il 2006, circa 4 milioni e mezzo di chili di legno impregnato di creosoto (una sostanza derivante dal petrolio altamente cancerogeno) fossero stati riciclati come palizzate per giardini o, mescolati con altri tipi di legname, triturati e usati per pannelli truciolari e poi venduti ai mobilifici invece di essere smaltiti secondo procedure controllate o finire in discariche attrezzate. Il legno era quello delle traversine della linea ferroviaria Venezia-Padova, dei lavori per l’alta velocità, e di altre linee ferroviarie. Considerate come rifiuti pericolosi, dovevano essere smaltite dalla Rossato s.r.l. che da anni aveva l’appalto per farlo ma invece venivano riutilizzate senza essere trattate adeguatamente. Rossato Lo scorso 22 luglio la procura antimafia di Reggio Calabria ha disposto l’arresto di 24 persone tra cui Sandro Rossato, imprenditore padovano nel settore dei rifiuti, ed esponenti della ‘ndrangheta legati alle cosche Libri e Condello. Gli arresti seguono un’inchiesta avviata già nel 2001 sulle infiltrazioni mafiose nella gestione delle discariche e del ciclo dei rifiuti in Calabria che, nel marzo 2006, aveva portato all’arresto dello stesso Rossato e di altre numerose persone appartenenti alla ‘ndrangheta. Il Rossato nel corso degli anni ha costituito una vasta rete di società operanti nel settore della raccolta, del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti in Veneto e in Calabria, attraverso rapporti con imprese private e pubbliche che, alla luce dei procedimenti giudiziari in corso, devono essere analizzati con attenzione per prevenire le infiltrazioni criminali, e assicurare la concorrenza e la trasparenza nell’affidamento e nella gestione dei servizi di igiene ambientale. Rossato dal 1988 è stato socio e amministratore con altri familiari della Rossato Fortunato srl, con sede a Pianiga. La famiglia Rossato ha partecipato come socio di minoranza alla costituzione della Società Estense Servizi Ambientali (SESA spa), controllata (51%) dal comune di Este e Rossato è stato vicepresidente di Sesa dal 1995 al 2004 quando la famiglia Rossato è stata sostituita nella proprietà da società controllate dall’attuale consigliere di Sesa Angelo Mandato e da alcuni suoi familiari. Tra il 2002 e il 2004 Rossato e Mandato, direttamente e tramite la controllata Eco tecno plans srl, sono stati soci della Rossato Fortunato srl e hanno collaborato attivamente, partecipando alla costituzione della Rossato sud srl e del Consorzio stabile airone sud. Nel 2001 la famiglia Rossato ha costituito la Rossato group, una spa di servizi alle imprese per la gestione del ciclo dei rifiuti con sede a Padova. Il 20 maggio 2004 la società è stata assorbita dalla Finam group spa, società finanziaria controllata dalla famiglia Mandato, con sede a Mirano che detiene la quota di minoranza di Sesa. Rossato Fortunato srl possiede RAMM srl, con sede a Pianiga, amministratore unico Sandro Rossato e avente per oggetto i servizi per la gestione del ciclo dei rifiuti. Il ramo d’azienda di Ramm relativo alla gestione dell’impianto di cogenerazione da biogas nella discarica di via Pontifuri a Campodarsego è stato venduto nel febbraio 2014 a Etra spa, società pubblica di servizi composta da 77 comuni delle province di Padova e Vicenza. Nel gennaio 2013 nel deposito di rifiuti della Rossato Fortunato a Pianiga (Ve) si è sviluppato un incendio. Rossato Fortunato srl ha iniziato a 21 costituire società in Calabria nel 2000. Rossato sud srl, con oggetto sociale la raccolta e il trattamento dei rifiuti e sede a Reggio Calabria e capitale sociale di 118.000 euro, è stata costituita nel 2000 da Edilprimavera srl (50%) e da Rossato Fortunato srl (50%). Sandro Rossato è stato amministratore unico fino al 2004 e procuratore speciale fino al 2006. Dal 21.2. 2006 la società è sotto sequestro giudiziario in seguito a un’indagine per associazione di stampo mafioso. Edilprimavera srl è una società di costruzioni costituita nel 1988 con sede e a Reggio Calabria e capitale sociale di 118.800 euro. Edilprimavera è di proprietà di Giuseppe Siclari, di Giovanna e di Giuseppe Alampi ed è stata a lungo amministrata da Matteo Alampi, arrestato il 22.7.2014 nell’ambito dell’indagine sulle infiltrazioni mafiose nella gestione dei rifiuti. In precedenza il tribunale di Reggio Calabria il 21.2.2006 aveva disposto il sequestro preventivo della società che è stata confiscata nel 2012 con sentenza della Corte di Cassazione. Nel 2003 Rossato sud srl, Rossato Fortunato srl ed Edilprimavera srl hanno costituito il Consorzio stabile Airone sud, con sede a Reggio Calabria. Sandro Rossato è stato consigliere del consorzio fino al 21.2.2006, quando il tribunale di Reggio ha emesso un provvedimento di sequestro preventivo delle quote del consorzio in seguito a un’indagine per associazione di stampo mafioso. Nel luglio 2014 lo stesso tribunale ha stabilito l’amministrazione giudiziaria del consorzio. Nel 2005 Edilprimavera srl, Rossato Fortunato group srl e Biotecongas srl hanno costituito a Milano il Consorzio stabile Globus. Dal 2005 al 2007 sono stati consiglieri d’amministrazione Sandro Rossato e Matteo Alampi. Nel 2007 il tribunale di Reggio Calabria ha sequestrato le quote di Edilprimavera srl. Sui rapporti tra Rossato e la criminalità organizzata è intervenuta la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti che nella sua relazione sulla regione Calabria del maggio 2011 ha spiegato che alcune cosche della ‘ndrangheta hanno costituito con Rossato società per entrare nella gestione ciclo dei rifiuti: “dal quadro probatorio – quale acclarato da una sentenza del tribunale di Reggio Calabria che, nel dicembre 2008, ha condannato tutti gli imputati per associazione mafiosa – risulta l’inserimento mafioso negli appalti dei comuni del territorio reggino. Invero, alcuni imprenditori, gli Alampi, avevano costituito delle società ad hoc (la Edilprimavera, la Rossato Fortunato ed altre) per effettuare tali attività”. E' necessario precisare che non tutte le persone e le imprese che hanno avuto rapporti con Rossato sono coinvolte nei procedimenti giudiziari, in particolare per due importanti società operanti nei servizi di pubblica utilità nel territorio padovano e veneto, SESA ed ETRA, che non risultano coinvolte nei procedimenti giudiziari in corso. La vicenda Rossato rappresenta un altro esempio di come la criminalità organizzata, attraverso la collaborazione attiva di imprenditori e professionisti settentrionali, apparentemente esterni ai gruppi mafiosi, è riuscita a inserirsi nel tessuto economico legale. Inoltre desta particolare allarme e preoccupazione un aspetto della vicenda che manifesta i limiti e le insufficienze dei controlli basati sulle certificazioni antimafia e le forme concrete della presenza delle mafie nell’Italia settentrionale. Assetti societari A parere di alcuni osservatori hanno segnalato acquisizioni anomale nel settore delle aziende di trattamento rifiuti. Cambi di mano che potrebbero indicare interessi e risorse circolanti sul territorio. In particolare la recente acquisizione da parte di Ecolando della più grande Cal segnalerebbe una disponibilità importante di capitale. Un ulteriore aspetto da approfondire è il know how utilizzato da alcuni soggetti imprenditoriali per operare truffe – 22 in particolare riferite al ciclo dei rifiuti solidi urbani -, un know how che parrebbe mutuato da analoghe operazioni avvenute nel sud Italia. Sempre a proposito di rifiuti solidi urbani – ma le informazioni in nostro possesso non riguardano direttamente la provincia di Venezia – grande attenzione andrebbe posta al reale avvio a recupero del materiale differenziato raccolto. De Vizia Transfer spa La De Vizia Transfer spa è una importante azienda del settore, nata alla fine degli anni ’60 in quel di Avellino, nel grembo della Fiat – ha partecipato alla costruzione dei maggiori stabilimenti targati Fiat come Termini Imerese, Cassino e Pomigliano d’Arco – ed in crescita vorticosa negli anni ’80 della ricostruzione del terremoto. Ha vinto, in Ati con la Sesa di Este [Pd] e la Abaco di Padova, nel 2010, l’appalto la gestione della raccolta rifiuti dei 43 comuni, 233mila abitanti, dei bacini Padova 3 e Padova 4 (ora Padova sud). Al timone una famiglia unita: Vincenzo, il patriarca – sfiorato, ma uscito indenne dall’inchiesta sul traffico di rifiuti denominata «Chernobyl» -, il figlio Emilio, vicesindaco del comune di Montefusco [Av] – ha subito, secondo un’interrogazione presentata nel 2012 al Consiglio Regionale veneto, un procedimento penale per aver minacciato «di licenziare i dipendenti di una ditta, della quale era azionista, qualora non fossero stati riconoscenti nell’espressione del voto» -, e il fratello Nicola, insieme ad Emilio, sotto processo per ipotesi di reato che vanno da avvelenamento delle acque, inquinamento, disastro ambientale e che riguardano la gestione della discarica di Difesa Grande di Ariano Irpino. Sono dieci le pagine che parlano della De Vizia nella relazione della commissione d’accesso presieduta dal prefetto Frattasi che richiese, invano, lo scioglimento per infiltrazione mafiosa del comune di Fondi, in provincia di Latina, [l'azienda, nella relazione, non viene comunque associata ad organizzazioni criminali]. E in sei dense pagine se ne occupa Tommaso Sodano, ex presidente della commissione ambiente del senato, nel suo libro «La peste. La mia battaglia contro i rifiuti della politica italiana». In diverse realtà – dalla Sardegna al Lazio – la gestione della ditta avellinese ha suscitato polemiche, come a Gaeta per la qualità del servizio e per di debiti contratti dall’ente appaltante o a Cagliari per rapporti sindacali burrascosi. Alcuni recenti conflitti sindacali sostenuti dalla Cgil hanno attirato i riflettori sulla De Vizia, tanto che un’interrogazione parlamentare, nel dicembre del 2011, è stata presentata da Alessandro Naccarato e Margherita Miotto del Pd ed una analoga al consiglio regionale da Piero Ruzzante e Mauro Bortoli, sempre del Partito democratico. Oggetto delle interrogazioni la qualità [pessima] delle relazioni sindacali e le condizioni dell’ecocentro di Monselice, chiuso da più di un mese. L’ecocentro di Monselice è stato oggetto di una denuncia della Cgil e di Francesco Miazzi (allora consigliere comunale di Monselice): al centro delle denunce il rischio di inquinamento della falda per la mancanza di collettori che farebbe sì che l’acqua piovana, ristagnante nel piazzale dell’ecocentro, finisca direttamente nel sottosuolo. 23
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