OCSE: le crescenti disuguaglianze frenano la crescita Nell'ambito del suo progetto “Nuovi Approcci alle Sfide Economiche” (NAEC, nell'acronimo inglese), fortemente voluto anche dal TUAC, il Comitato consultivo sindacale, l'OCSE ha pubblicato nei giorni scorsi un breve studio sul rapporto tra la diseguaglianza e la crescita. Il comunicato ufficiale dell'Organizzazione basata a Parigi recita: “La diseguaglianza danneggia la crescita economica, rileva una ricerca OCSE”. In altre parole, la crescita nelle differenze di reddito fra i più ricchi e i più poveri non è solo iniqua ma fa perdere diversi punti percentuali di Pil, secondo lo studio “Focus on inequality and growth”, che ha analizzato la correlazione fra aumento nelle disuguaglianze sociali e frenata della crescita economica in 21 paesi aderenti all'OCSE, fra cui l’Italia. Lo studio mostra come le differenze di reddito siano ai massimi storici degli ultimi trent’anni: oggi, nell’area OCSE, il 10 per cento più ricco della popolazione guadagna 9,5 volte di più del 10 per cento più povero. Negli anni ’80 il rapporto era di 7 a 1. Anche l’indice di Gini, che misura le disuguaglianze sociali, riflette l'aumento delle diseguaglianze, aumentando in questi paesi in media di tre punti percentuali, da 0,29 a 0,32 in una scala in cui 0 equivale all'assenza di disuguaglianza economica e 1 corrisponde al reddito concentrato nelle mani di una sola persona. Lo studio dimostra il legame fra disparità di reddito e crescita economica, rilevando come, all’aumentare delle disparità economiche corrisponda una frenata della crescita del paese. Con l'aumento del coefficiente di Gini in media di tre punti, l’OCSE stima che, nei ventuno paesi esaminati, ci sia stata, nei 25 anni fra il 1985 e il 2010, una perdita di ben l’8.5% del Pil (0,35% all’anno). Secondo lo studio, l’Italia – che registra lo stesso aumento dell'indice Gini della media OCSE, passando da 0,291 a 0,321 - ha perso il 6,6% di crescita del Pil a causa della disuguaglianza, registrando una crescita dal 1985 al 2010 leggermente superiore all’8% (come noto, una delle più basse in Europa e nell'area OCSE), contro un potenziale del +14,75% con una più equa distribuzione dei redditi. Una analoga riduzione di punti percentuali di Pil a causa delle disparità di reddito (fra il 6 e il 7 per cento) lo studio registra negli Stati Uniti e in Svezia. Più del 10 per cento di Pil sarebbe andato perduto in Messico (-11,3%) e Nuova Zelanda (-15,5%), e quasi il 9% nel Regno Unito, in Finlandia e in Norvegia. Dall’altro lato dello spettro, una diminuzione delle differenze nella distribuzione del reddito ha aiutato il Pil pro capite a crescere in Spagna, Francia e Irlanda. Secondo l’OCSE, gli effetti negativi di queste differenze nel reddito non riguardano solo il 10 per cento più povero della popolazione, ma colpiscono gli ultimi quattro decili, il 40% della popolazione. Come visto, la crisi non ha colpito tutti allo stesso modo e, anzi, le diseguaglianze si sono ancor di più accentuate. In Italia, in particolare, se tra l'80 e il 2008, a fronte ci una crescita media del reddito dell'0,8% anno, il decile più alto cresceva dell'1,1% contro lo 0,2% del decile più basso, nel 2011- 12 quest'ultimo vedeva ridurre il proprio reddito del 3,9%, rispetto al -1,5% medio e solo al -0,8% del primo decile. Allo stesso tempo, se nel 2007 il decile più alto riceva 9 volte il reddito di quello più basso, nel 2011 questa proporzione era salita a 10,2. La distribuzione del reddito in Italia, nel 2011, vedeva il decile più alto appropriarsi del 24,4% del reddito contro il solo 2,4% del decile più basso; il 20% più ricco della popolazione ricevere il 39,3% del reddito, contro il solo 7,1% del quinto più povero; il 40% più ricco appropriarsi del 62,4% dei redditi, contro il solo 20% del 40 per cento più in basso della popolazione. A fronte di questo quadro il rapporto OCSE raccomanda di attuare politiche redistributive mirate, ad esempio attraverso sussidi alle famiglie con bambini per favorirne l’educazione e l'ascesa sociale, ma anche attraverso tasse e sussidi mirati. Infatti, rileva lo studio, la crescita è favorita quando la redistribuzione è focalizzata ad obiettivi e categorie ben precise. Sulle ragioni che determinano il peso negativo della disuguaglianza sulla crescita lo studio dell'OCSE conferma l'importanza dell’istruzione e della formazione: le differenze di reddito, prevenendo l’accumulazione di capitale umano, creano meno opportunità educative per le categorie di cittadini più svantaggiati, anche quando vengono da famiglie con un livello di istruzione medioalto. Queste mancate opportunità si rilevano sia nel minor numero di anni di frequenza scolastica che nella scarsa qualità del processo di apprendimento di alcune abilità. Il rapporto, confermando altri studi dell'OCSE come di altre istituzioni internazionali, rovescia quindi la logica dei fautori delle politiche di austerità: se si attuano misure per ridurre le disparità di reddito – quindi con maggiore spazio alla spesa sociale, ai salari e alla contrattazione – la crescita economica non potrà che trarne beneficio.
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