Misura 124 – Cooperazione per lo sviluppo di nuovi prodotti, processi e tecnologie nei settori agricolo e alimentare, e in quello forestale ECODENS – Ecostabilizzazione delle sanse mediante densificazione Progetto dell’impianto di co-densificazione delle sanse vergini Introduzione Nel presente lavoro viene sviluppato il progetto di un impianto di co-densificazione di sanse vergini di olive miste a residui di potature. In generale le sanse si presentano cosi come sono prodotte dai frantoi (sottoprodotto della lavorazione delle olive) mentre i residui di potature subiscono un processo di trinciatura grossolana attraverso macchina trinciatrice (o trincia sarmenti) appositamente dimensionata. Poichè le biomasse in oggetto sono caratterizzate da un contenuto di umidità relativamente elevato e tale da non consentirne la densificazione tal quale, il “cuore” della linea di densificazione in oggetto è costituito da un essiccatore di biomassa (sansa e cippato), che sarà appositamente progettato a partire da modelli termodinamici atti a valutare le principali caratteristiche geometriche e funzionali della macchina e dell'impianto di captazione in cui essa è inserita. Nel progetto ECODENS, cui si riferisce la presente attività di progettazione, vengono esaminate le potenzialità di valorizzazione energetica delle sanse vergini e dei residui di potatura disponibili nel territorio siciliano, oggi poco utilizzate quali biomasse per la produzione di energia, anche a causa della elevata umidità. L’approccio considerato prevede la opportuna preliminare triturazione delle biomasse, quindi l’essiccazione delle stesse attraverso un apposito essiccatore, quindi l’affinamento granulometrico e la finale pellettizzazione con macchinario appositamente pure progettato allo scopo. In accordo con gli obiettivi del progetto ECODENS, un tale impianto consente di venire incontro anche al problema dello smaltimento delle sanse vergini, che in assenza di una loro utilizzazione da parte dei sansifici (oli di sansa sempre meno competitivi nel mercato), possono diventare un rifiuto con significativo carico inquinante; la densificazione inoltre, consente di superare i limiti legati alla stagionalità della disponibilità di questo sottoprodotto. Come è ben nota dalla stessa letteratura tecnica sull’argomento, per una corretta pellettizzazione di biomasse, il contenuto di acqua nella materia prima non deve essere superiore al 12%, valore che è ben inferiore alla umidità media sia dei residui di potature sia delle sanse vergini, caratterizzate da contenuti di umidità rispettivamente non inferiori al 30-40% e 50-60% circa. Nel seguito è riportata la progettazione della linea di densificazione, considerando in dettaglio tutti i singoli componenti costituenti; tenuto conto di quanto brevemente detto in premessa, l’attività di progettazione muove i passi a partire dalla progettazione dell’essiccatore, che è appunto il cuore del sistema: dalle sue dimensioni e dai relativi peculiari parametri di funzionamento, strettamente legati all’essiccazione necessaria, dipende il dimensionamento degli altri elementi costituenti il sistema di densificazione. 1- Essiccamento dei solidi Il processo di essiccamento ha una notevole importanza nell’industria di processo: l’essiccamento di un solido consiste nella rimozione del liquido presente nel materiale sino ad un valore che ne consenta un corretto stoccaggio. I liquidi vengono allontanati mediante evaporazione attraverso procedimenti meccanici, usando centrifughe o presse, o processi termici che tendono a vaporizzare il liquido presente. Di solito il liquido è l’acqua e quindi l’essiccamento è inteso come riduzione dell’umidità del solido, anche se vi sono casi importanti in cui il liquido non è acqua ma si tratta di un liquido organico che viene recuperato. Nell’essiccamento si usa solitamente aria come fluido essiccante, con adatta temperatura e contenuto di umidità: in genere si utilizza aria calda e secca, cioè con una bassa umidità relativa Ur, in modo che il contatto aria-acqua provochi l’evaporazione dell’acqua dal solido in cui è contenuta. In questa operazione unitaria si ha un trasferimento di materia (l’acqua che evapora dal solido e che passa nell’aria essiccante) e un trasferimento di calore (l’evaporazione dell’acqua avviene grazie all’assorbimento del suo calore latente dall’aria essiccante). L’umidità contenuta nei prodotti solidi può essere di due tipi: - umidità libera: è presente nei pori del solido, come l’acqua in una spugna, solo per effetto meccanico. Può liberamente trasferirsi da e verso il solido a seconda della temperatura, pressione di vapore, tensione di vapore del sistema aria-acqua. - umidità legata: è adsorbita sulla superficie del solido e negli spazi capillari di quest’ultimo mediante legami deboli (a idrogeno, dipolari, Van Der Waals, ecc.). E’ più difficile da allontanare dell’umidità libera perché tende a rimanere con il solido. Figura 1 - esempi di umidificazione ed essiccamento in un solido generico. Quando un solido umido viene messo a contatto con l’aria, in base alle caratteristiche di temperatura e di umidità dell’aria, si possono avere due diversi fenomeni: 1) Se la pressione parziale del vapor d’acqua pv supera la pressione di saturazione ps , cioè pv > ps allora l’acqua si trasferisce dall’aria al solido e si ha un processo di umidificazione, tramite la condensazione del vapor d’acqua sul solido 2) Se al contrario pv < ps allora l’acqua si trasferisce dal solido all’aria e si ha un processo di essiccamento (deumidificazione). Perché questo fenomeno avvenga è inoltre richiesto che la temperatura dell’aria sia maggiore della temperatura del solido, perché possa esserci il trasferimento di calore dall’aria all’acqua sotto forma di calore latente di evaporazione, e che l’aria abbia una bassa Ur , sia cioè lontana dalla saturazione e quindi si in grado di “assorbire” una significativa quantità di nuovo vapor d’acqua. In sintesi, affinché avvenga l’essiccamento di un solido è necessario che si abbia una pressione parziale del vapore inferiore alla pressione di saturazione ed inoltre l’aria sia sufficientemente calda da fornire all’acqua il calore latente di vaporizzazione. Gli apparecchi che effettuano l’essiccamento sono detti essiccatori. In un essiccatore l’aria essiccante cede calore al solido umido, riscaldandolo e provocando quindi l’evaporazione dell’acqua ivi contenuta: il processo avviene in pratica senza scambio di calore con l’esterno e quindi l’aria si raffredda e si umidifica seguendo una delle rette di raffreddamento adiabatico presenti nel diagramma psicrometrico che descrive il sistema aria-acqua alla pressione standard di 1 atm. Il processo di essiccamento può essere vantaggiosamente descritto, in termini di velocità di essiccazione e variazione della umidità nel tempo, dai seguenti due grafici: Kg acqua evap /(h x mq) Kg acqua evap /(h x mq) Kg acqua evap /100 kg sost.secca (a) (b) Figura 2 - a) andamento tipico della velocità di essicazione rispetto all’umidità del solido; b) andamento tipico dell’umidità rispetto al tempo. Nel grafico a sinistra viene riportata la variazione della velocità di evaporazione dell’acqua dal solido umido (kgacqua evap/h·m2) rispetto all’umidità presente nel solido (kgacqua/100 kgsost. secca); si vede come la velocità si mantiene costante in un limitato range della ascissa, quindi decresce progressivamente tendendo a zero per bassi valori dell’ascissa (l’evoluzione del processo va da destra verso sinistra). Nel grafico a destra viene riportata invece la quantità specifica di acqua evaporata in funzione del tempo; si vede come dopo un periodo stazionario, si assiste ad una diminuzione progressiva con tendenza a zero (kgacqua evap/h·m2), per tempi più lunghi. I processi di essiccamento pertanto non sono in genere processi lineari, e l’eliminazione di contenuti di umidità relativamente bassi è caratterizzato da tempi relativamente lunghi. In dettaglio, con riferimento anche alla fig.2a è possibile affermare che l’essiccazione segue le seguenti modalità: - inizialmente il solido umido, a contatto con l’aria calda e secca, si riscalda fino all’equilibrio termico (non rappresentato nel grafico); - all’equilibrio termico la temperatura della superficie del solido corrisponde alla T bu dell’aria essiccante e si raggiunge quindi una condizione stazionaria (punto A). Da questo momento l’acqua evapora a velocità costante dalla superficie del solido (tratto A-B) e l’acqua superficiale evaporata viene costantemente rimpiazzata da acqua presente nei pori (spazi capillari) del solido che giunge in superficie mediante diffusione. In questa fase il calore latente di evaporazione viene fornito dall’aria, che si raffredda diabaticamente e si umidifica. Il calore ceduto dall’aria è uguale al calore acquistato dal solido e quindi nel tratto A-B la temperatura del solido rimane costante; - proseguendo nell’essiccamento si raggiunge il punto B, corrispondente a una umidità critica: da questo punto in poi (tratto BC) la velocità di evaporazione diminuisce perché sempre più zone del solido sono già secche e la diffusione dell’acqua interna al solido non riesce più a mantenerle umide e quindi diminuisce la superficie di contatto aria-acqua. In questa fase, che di solito è molto più lunga della precedente, la temperatura del solido aumenta perché il calore fornito dall’aria è maggiore del calore latente richiesto per l’evaporazione dell’acqua; - dopo il punto C la velocità di evaporazione diminuisce ancora più rapidamente in quanto tutta la superficie del solido è secca e la poca acqua che arriva con difficoltà dall’interno per diffusione evapora istantaneamente; - la velocità di evaporazione si annulla nel punto D, in cui l’umidità residua interna del solido ha raggiunto il punto di equilibrio con l’aria essiccante. 2 - Tipologie di essiccatori Esistono diverse apparecchiature per l’essiccamento e la loro scelta in relazione ad uno specifico processo dipende da vari fattori: caratteristiche chimico-fisiche del solido umido, potenziale pericolosità del solido da essiccare, sua granulometria ecc. Se il materiale umido ha una granulometria molto fine il gas essiccante asporterà una quantità non trascurabile di solido, che dovrà essere recuperato mediante abbattitori di particelle (come ad esempio filtri a ciclone) oppure si dovrà utilizzare un tipo di essiccamento indiretto. La forma e la struttura delle particelle solide hanno una notevole influenza sul processo di essiccamento: solidi di forma irregolare con struttura fibrosa si essiccano con maggiore difficoltà rispetto a solidi con struttura porosa. Inoltre, è importante la sensibilità alla temperatura del solido: prodotti organici sono generalmente termo-degradabili e quindi si dovranno utilizzare processi di essiccamento indiretto, evitando il contatto con aria calda. Gli essiccatoi più diffusi sono per lo più rotativi, costruiti in diverse varianti (vedi Figura 3): principalmente si suddividono in essiccatori rotativi ad equicorrente ed essiccatori rotativi in controcorrente. Figura 3 - Schema riassuntivo per le tipologie di essiccatoi rotativi. Di solito la configurazione più realizzata è quella “equicorrente” che risulta in genere preferibile in quanto, cosi come avviene per molti solidi organici, come è appunto il caso in trattazione di sansa e/o legno, il materiale da essiccare non può sopportare alte temperature allo stato secco (rischio di torrefazione), ed essendo inizialmente umido tende ad aderire alle pareti. Al fine di comprendere meglio le leggi che regolano il processo di essiccamento e le diverse fasi del processo, nella figura seguente è riportata una rappresentazione schematica di un essiccatore: Figura 4 - rappresentazione schematica di un essiccatore a tamburo rotante a singolo passaggio. Nella seguente figura sono riportati gli schemi di un essiccatore a tamburo rotante equicorrente controcorrente: (a) (b) Figura 5 - essiccatore a tamburo rotante a) equicorrente; b) controcorrente. Per ciascuna delle due configurazioni, equicorrente e controcorrente, il riscaldamento del materiale da essiccare può essere diretto o indiretto. Negli essiccatoi a riscaldamento diretto il materiale umido entra in contatto con i gas caldi che possono essere costituiti dai prodotti della combustione (essiccazione a fumi diretti) o da aria riscaldata (essiccazione ad aria calda). L’essiccatoio a fumi diretti è il più semplice ed economico ed è generalmente adottato quando il materiale può entrare in contatto coi prodotti della combustione anche in relazione al tipo di combustibile impiegato. In molti casi è possibile realizzare interessanti economie di combustione utilizzando fumi caldi di recupero e riscaldandoli fino alla temperatura necessaria con appositi bruciatori in vena d’aria. Di solito si ricorre all’essiccazione con aria riscaldata quando il materiale non deve entrare in contatto coi prodotti della combustione. Quando occorre invece raggiungere temperature abbastanza elevate senza che il materiale venga a contatto coi prodotti della combustione, si può ricorrere al riscaldamento indiretto. In questo caso il tamburo è montato in una cassa a fuoco rivestita di mattoni refrattari ed è riscaldato esternamente. Gli essiccatoi a riscaldamento diretto sono costruiti nella versione a semplice tubo o a doppio tubo. Con il tipo semplice tubo si possono realizzare sia l’essiccazione in controcorrente che quella in equicorrente. Con gli essiccatoi a doppio tubo è invece possibile solo il funzionamento in equicorrente. Si ha peraltro il vantaggio di un ingombro considerevolmente ridotto e di un rendimento termico più elevato grazie alla minor dispersione termica. In entrambi i casi la costruzione del cilindro rotante è in lamiera di acciaio saldato di spessore adeguato, perfettamente calandrato. All’interno del cilindro vengono montate alette o diaframmi per l’avanzamento del materiale e per favorire lo scambio termico fra i gas caldi ed il materiale stesso. In genere il tamburo rotante è collegato ad un bruciatore o forno che consente di mandare una idonea portata di aria calda (con o senza fumi) sul materiale da essiccare. Il tamburo ed il bruciatore sono dimensionati in base alla quantità di calore e al tempo di permanenza necessari al materiale per raggiungere il grado di essiccazione desiderato. Nella essiccazione di materiali organici in genere l’umidità dell’essiccato viene portata ad un valore massimo intorno al 10-12%, valore che sovente rappresenta la condizione di equilibrio del materiale in atmosfera libera a temperatura ambiente. I materiali contenuti nell’essiccatore vengono allontanati con un “ciclone” o un separatore di solidi. Per avere una depurazione dei fumi più spinta possono essere impiegati filtri elettrostatici, filtri scrubber o super cicloni. Esistono poi anche gli essiccatoi speciali che impiegano la tecnologia del vuoto la quale permette di conciliare tempi molto brevi di essiccazione con: • basse temperature del materiale in essiccazione; • limitati gradienti di umidità fra interno e superficie; • l’eliminazione del rischio di fessurazioni, collassi, ecc; • facilità di conduzione; • ridotta manutenzione dell’impianto. L’estrema compattezza di questi tipo di impianti, la mancanza di opere murarie di preparazione, i limitati spazi impegnati, l’alto valore dell’usato, limitano i rischi dell’investimento iniziale. Infine, esistono sistemi di essiccazione cosiddetti a “circuito chiuso” in quanto l’aria (o il fluido essiccante) dopo che ha svolto il suo compito, viene mandato in un condensatore dove viene quindi separata dall’acqua e quindi mandata in ricircolo al riscaldatore per il ciclo successivo. Si tratta comunque di sistemi molto più complessi e costosi, per questo poco usati. 2.1 – L’essiccatore autoalimentato Al fine di ottimizzare le “perfomance” economiche ed ambientali del processo di produzione di biomasse da sansa vergine e residui di potature, il progetto ECODENS intende attuare la possibilità di alimentare il forno a servizio dell’essiccatore, non già con combustibili tradizionali (gasolio, gas ecc.), bensì la stessa biomassa essiccata cosi come ottenuta in uscita dall’essiccatore. Come è facile comprendere questo approccio risulta certamente più vantaggioso rispetto ad essiccatori che utilizzano combustibili derivati dal petrolio, sia dal punto di vista economico che da quello ambientale. Inoltre al fine di ottimizzare il rendimento dell’essiccazione, tenuto conto che i materiali trattati sono materiali “poveri” ed è bene ridurre al massimo i costi di lavorazione, un essiccatore adatto per il progetto ECODENS, di costi relativamente ridotti, dovrà essere costituito preferibilmente da un sistema a tamburo rotativo a multi passaggi (almeno 2-3 passaggi), opportunamente progettato per il trattamento di materiali in piccola pezzatura (pochi centimetri) aventi umidità iniziale anche relativamente molto elevata. La sansa infatti, presenta sovente umidità non inferiore al 55-60%. A titolo di esempio nella seguente figura è riportato lo schema di un essiccatore rotativo a 3 passaggi con forno (non auto-alimentato) ad aria calda e fumi, e sistema finale di separazione dell’essiccato centrifugo. Figura 6 - schema funzionale di essiccatore a tamburo rotante a tre passaggi concentrici. Dalla figura 6 si vede che, al minimo, un sistema di essiccazione è costituito da quattro monoblocchi: forno, essiccatoio vero e proprio, caricatore e ciclone separatore. Solitamente il combustibile alimenta un bruciatore posto all’interno della camera di combustione, generalmente di tipo verticale. Dispositivi di questo tipo presentano i seguenti vantaggi: • mantengono il combustibile sulla “griglia” di combustione investita dall’aria primaria; • non permettono al combustibile stesso di venire a contatto con le parti interne del forno, che altrimenti potrebbero surriscaldarsi; • la fiamma viene contenuta e ossigenata da un flusso d’aria direzionale ottenuto con un apposito ventilatore. Solitamente, inoltre, l’esterno del forno viene raffreddato dall’aria secondaria che si preriscalda prima di rientrare in camera di combustione miscelandosi poi coi fumi sino a raggiungere la temperatura di trattamento sopra indicata. Il collegamento forno-essiccatore è ottenuto con un condotto metallico termicamente isolato. La tecnica raccomanda di alimentare l’essiccatore con materiali umidi aventi una granulometria sufficientemente ridotta in modo da ottimizzare i tempi di essiccazione; in genere i costruttori fanno riferimento per sostanze organiche a pezzature ottimali indicative del tipo 30x30x3 mm, che consente una facile e veloce essiccazione poiché il materiale presenta una buona superficie di scambio ed un “spessore” massimo non superiore a 3 mm. L’avanzamento del materiale all’interno di un essiccatore è prodotto dall’effetto combinato della rotazione e della spinta d’aria; la presenza di elementi spintori è pero sempre necessaria, anche per potere regolare la portata in funzione della velocità di rotazione. Per quanto sopra richiamato, per la messa a punto di un processo di essiccazione efficiente della sansa vergine mista a residui di potature debitamente tritati, si dovrà optare per un processo ad aria calda con flusso d’aria che si miscela direttamente col prodotto entro il rotore cilindrico di una macchina possibilmente a tre passaggi (costituita da tre cilindri coassiali dotati di pale interne). La deumidificazione dovrà avvenire ad “alta temperatura” con gas (aria e fumi) entranti nell’apparecchio a 300-400 °C e scaricati in uscita a 90-110 °C. Il salto termico, di circa 200 °C è indice di un buon rendimento del sistema. Il materiale da essiccare, sminuzzato a pezzi di dimensioni non superiori a 3-5 cm, attraverso la tramoggia di carico del tamburo rotante, cade all’interno del primo condotto dove viene investito dalla corrente di gas caldi ed è obbligato a seguire il percorso di essiccazione. E’ bene, comunque prevedere che la macchina possa lavorare anche con biomassa con pezzatura maggiore, sebbene ciò porterà inevitabilmente ad una diminuzione della produttività del sistema. L’impianto di essiccazione in progetto dovrà, inoltre, lavorare in “autonomia” gestendo opportunamente anche il circolo della biomassa essiccata all’uscita dell’essiccatore per l’alimentazione del forno. 3 – Dimensionamento dell’essiccatore Il progetto termodinamico dell’essiccatore porta oltre che alla definizione dei parametri termodinamici di esercizio, anche alla parallela definizione delle dimensioni principali della macchina a partire dalle esigenze specifiche del progetto. Le ipotesi di base per l'analisi sono: a) stazionarietà del moto dei fluidi e della materia da essiccare; b) assenza di turbolenza nel moto dei fluidi nel tamburo rotante; c) fluidi ideali. Il dimensionamento dell’essiccatore a tamburo rotante comincia partendo dalla capacità produttiva della macchina: dal punto di vista funzionale essa apparterrà ad un linea di produzione in cui dovrà potersi interfacciare in ingresso con il nastro trasportatore proveniente dal trituratore monoalbero, mentre allo scarico sarà connessa al mulino raffinatore, posto a sua volta a monte della pellettatrice. Nel dettaglio, per il progetto “ECODENS-ecostabilizzazione delle sanse mediante densificazione” si prevede per l’essiccatore la possibilità di potere operare sia con la sola sansa vergine (periodi di maggiore produzione di sansa da parte dei frantoi) sia con solo cippato proveniente dalla trinciatura/triturazione dei residui di potatura provenienti da aziende agricole (vigneto, frutteto, uliveto ecc.). La stagionalità della disponibilità di questi sottoprodotti dell’agricoltura, obbliga infatti ad una rapida essiccazione per evitare l’innescarsi di dannosi processi di putrefazione del materiale umido. Ciò determina la necessità di dimensionare l’impianto di essiccazione con capacità di lavorazione ben superiore a quella che si potrebbe facilmente stimare considerando la disponibilità di biomassa (sansa e residui di potature) uniformemente distribuita durante tutto l’anno. In particolare, si sceglie di individuare le dimensioni minime dell’impianto tali che lo stesso possa servire alla “lavorazione” delle sanse provenienti da un solo frantoio di dimensioni medie. In particolare, l’analisi dei frantoi presenti nel territorio mostra che mediamente tali impianti sono costituiti da linee di produzione con caratteristiche piuttosto standardizzate e capaci di fornire una “produzione” in sansa vergine pari a circa 350 tonnellate per stagione. Poiché mediamente un frantoio è dotato di 2 linee di produzione in parallelo, ne segue che la produzione media di sansa vergine per frantoio si attesta intorno alle 700 tonnellate per anno. Al fine di limitare gli inconvenienti legati all’uso di pellet da sola sansa vergine (difficile pellettizzazione ovvero pellet di bassa qualità e residui fissi nelle ceneri con conseguenti problemi di gestione delle piccole caldaie), il progetto ECODENS prevede l’uso di una micela di sansa vergine e legno con una percentuale di questo ultimo non inferiore al 30%. In altre parole il pellet che si vuole produrre sarà composto al massimo dal 70% da sansa vergine e dal 30% di residui di potature triturate di oliveto, vigneto e frutteto. Con questi valori si avrà una quantità annua di materie prime da essiccare pari a 1.000 tonnellate per anno, essendo 300 tonnellate costituiti da residui di potature di varia origine. Per quanto sopra detto, tenuto conto che i residui di potature sono caratterizzati da un contenuto di umidità più basso delle sanse vergini (20-30% del legno contro il 55-60% delle sanse), si aha che la miscela con rapporto 70/30 /sansa/legno) può considerarsi la condizione di riferimento per la progettazione dell’essiccatore in quanto ad essa corrisponde certamente la massima quantita di acqua da evaporare e quindi la massima potenza termica dell’impianto. Tenuto conto che la sansa è disponibile nel periodo di esercizio degli impianti oleari (frantoi), che mediamente corrisponde a circa 2 mesi lavorativi (in Sicilia dai primi di Ottobre ai primi di Dicembre), essendo necessario essiccare tale biomassa in tempi brevi e cioè praticamente in due mesi lavorativi, la capacità giornaliera dell’essiccatore dovrà essere pari a: Capacità giornaliera = 𝑡𝑜𝑛𝑛𝑒𝑙𝑙𝑎𝑡𝑒 𝑠𝑎𝑛𝑠𝑎 +𝑡𝑜𝑛𝑛𝑒𝑙𝑙𝑎𝑡𝑒 𝑝𝑜𝑡𝑎𝑡𝑢𝑟𝑒 2 𝑚𝑒𝑠𝑖 = 700+300 60 = 16,7 tonnellate/giorno (1) E’ questa quella che possiamo definire la produzione media giornaliera del forno, poiché si dovrà tenere conto di necessari periodi di fermo del sistema per manutenzione (estrazione ceneri, ispezione tamburo) ecc. Considerando per esempio un tempo di fermo del 20%, cio equivale in pratica ad un funzionamento medio per 20 ore al giorno e pertanto ad una capacita produttiva oraria di essiccazione (C) pari a circa: C = (16,6 ton/gg)/20 = 850 Kg/h (2) Tale dato consente comunque una certa “elasticità” di funzionamento alla macchina che potrà trattare anche portate leggermente superiori qualora si intenda diminuire il rapporto sansa/cippato, mantenendo cosi la stessa capacita di trattare tutte le sanse provenienti da un frantoio medio. Ai fini delle successive calcolazioni si assume una capacita oraria dell’essiccatore arrotondata a 850 Kg/h: questa è la quantità di biomassa umida che potrà essere somministrata per ogni ora all’impianto. Preliminari prove fatte appositamente sulle sanse vergini fresche fornite dalla azienda partner Fll.i Bacchi s.a.s. e sui residui di potature forniti dalle aziende agricole partner (Provenzano, La Franca e Inghilleri), hanno mostrato che la sansa vergine ha una umidità massima del 54% (tipica del decanter a 3 fasi), mentre le potature in media hanno una umidità massima del 40%. Per ragioni conservative il calcolo dell’essiccatore è stato eseguito considerando una umidità massima della sansa vergine pari al 60% (valori possibili in condizioni estreme) e pertanto una miscela sansa vergine – legno avente una umidità media ponderata (xmp) pari a: 𝑥𝑚𝑝 = 60% ∙ 0,7 + 40% ∙ 0,3 = 54% (3) Facendo riferimento al sistema aria-acqua il dimensionamento di un essiccatore prevede il calcolo dei seguenti parametri : - portata solido umido entrante/uscente dall’impianto ; - portata aria calda essiccante; - calore da fornire al solido per l’evaporazione dell’acqua; - calore da fornire all’aria essiccante prelevata dall’atmosfera; Tali calcolazioni involgono la risoluzione di una serie di bilanci di materia e di energia (termici o di calore), di seguito in dettaglio riportati. Bilancio di materia relativo al solido secco Tale bilancio tiene conto che in condizioni stazionarie la portata di solido secco (W) entrante nel sistema deve essere uguale alla portata di solido secco uscente; si ha cioè: 𝑊 = 𝐹𝑒 ∙ 𝑦𝑒 = 𝐹𝑢 ∙ 𝑦𝑢 (4) essendo Fe ed Fu rispettivamente la portata di solido in ingresso e in uscita (kg/h), ye e yu le percentuali in peso del solido secco (con umidità relativa nulla) in ingresso e in uscita (%). Calcolo della portata oraria di solido secco in entrata nell’essiccatore: Come calcolata attraverso la regola delle miscele (eq.3), la miscela di biomasse in entrata all’essiccatore ha umidità iniziale xmp= 0,54 (kgacqua/kgsecco), cui corrisponde una percentuale in peso del solido secco ye = 0,65; si ha pertanto una portata di solido (W) secco pari a : 𝑊 = 𝐹𝑒 ∙ 𝑦𝑒 = 850 ∙ 0,65 = 550 𝑘𝑔/ (5) Calcolo della portata oraria di solido essiccato in uscita dall’essiccatore: Sebbene al fine di ottimizzare il processo di essicazione evitando inutili sprechi energetici, è consigliabile impostare i parametri di funzionamento in modo da avere in uscita una miscela di biomasse ad una umidità relativa pari a quelle tipica di equilibrio con l’atmosfera normale, e cioè pari a al 12%, per esigenze conservative di progetto si considera in uscita un materiale perfettamante secco, si pone xu = 0. A questo valore corrisponde in uscita una percentuale di solido secco yu = 1. In altre parole, ai soli fini del dimensionamento dell’impianto si considera una portata di solido essiccato (Fu) pari alla porta di solido secco : 𝑊 550 𝐹𝑢 = 𝑦 = 1,00 = 550 𝐾𝑔/ 𝑢 (6) Bilancio di materia relativo all’acqua: Tiene conto che in condizioni stazionarie l’acqua uscente dal sistema è uguale all’acqua entrante nello stesso; si ha cioè: 𝑊 ∙ 𝑥𝑢 + 𝐺 ∙ 𝑈𝑢 = 𝑊 ∙ 𝑥𝑒 + 𝐺 ∙ 𝑈𝑒 (7) essendo G la portata di aria secca (kg/h), W la portata di solido secco (kg/h), Ue ed Uu la umidità assoluta entrante e uscente dell’aria (kgvap/kgas), xe e xu la umidità entrante e uscente del solido (kgacqua/kgsolido secco). Nel caso più comune di essiccamento diretto, effettuato con aria calda e secca a diretto contatto con il solido umido, il bilancio precedente si può opportunamente riscrivere in modo da calcolare la portata di aria secca necessaria: 𝐺 ∙ 𝑈𝑢 − 𝐺 ∙ 𝑈𝑒 = 𝑊 ∙ 𝑥𝑒 − 𝑊 ∙ 𝑥𝑢 (7a) 𝐺 = [𝑊 ∙ 𝑥𝑒 − 𝑥𝑢 ]/ 𝑈𝑢 − 𝑈𝑒 (7b) Per il calcolo di tale portata è pero necessario definire opportunamente l’umidità in ingresso e uscita dell’aria. Calcolo della portata oraria di acqua da evaporare: Per il principio di conservazione della massa, in condizioni stazionarie la portata oraria di acqua da evaporare (E) è data dalla differenza delle portate del solido umido in ingresso e in uscita dall’essiccatore; si ha cioè: 𝐸 = 𝐹𝑒 − 𝐹𝑢 = 850 − 550 = 300 𝑘𝑔/ (8) Ovviamente tale portata corrisponde all’acqua presente nella biomassa all’ingresso che è appunto pari a: H2Oin = 850·(1-ye)=850*0,35= 300 Kg/h. Se si fa lavorare il sistema con una umidità residua in uscita del 12%, a essa corrispondente y u= 0.89 e quindi ad una portata di acqua in uscita pari a: H2Oout = 550·0,11 = 60,5 Kg/h. In queste condizioni ottimali la portata di acqua da evaporare scende quindi del 20% circa. Si può dire quindi che il sistema progettata ha un margine operativo del 20%. Calcolo portata d’aria essiccante Supponendo che l’aria atmosferica, in condizioni invernali, ha una temperatura di 10°C, con umidità relativa del 70% in ingresso, imponendo una temperatura ed una umidità relativa all’uscita del camino dell’essiccatore pari rispettivamente a 50°C ed a 80%, utilizzando il diagramma psicrometrico (vedi figura 7) è possibile calcolare la portata d’aria essiccante che deve entrare nel tamburo rotante. Figura 7 - Diagramma psicrometrico dell’aria alla pressione di 101.323 kPa. Tenuto conto della relazione: 𝐸 = 𝐺 ∙ (𝑈2 − 𝑈1 ) (9) dal diagramma psicrometrico (vedi figura 7), considerando i dati di ingresso e uscita sopra definiti, e cioé: - aria in entrata nel forno: Ti = 10°C, Ur = 70% - punto (A) - aria in uscita al camino dell’essiccatore: Ur = 80%, Tu = 50°C° – punto (B) è facile calcolare l’umidità dell’aria ingresso e uscita. L’evaporazione dell’acqua dal solido avviene infatti grazie al raffreddamento adiabatico dell’aria rappresentato dal tratto B-C (vedi diagramma psicrometrico), essendo C il punto univocamente individuato dalle condizioni finali dell’aria in uscita dal camino dell’essiccatore. Dal diagramma psicometrico si ricavano pertanto immediatamente i valori delle seguenti grandezze: Taria uscita forno= 200 °C; U1= 6 grvapore/1000 garia = 0,006; U2= 65 grvapore/1000 graria = 0,065 La temperatura massima in ingresso della aria cosi calcolata risulta congruente con le esigenze di progetto, in quanto tale temperatura garantisce l’assenza di nocivi fenomeni di “torrefazione” della sansa e del legno. Tenuto conto di tali valori si calcola quindi una portata di aria secca: 𝐺 = (𝑈 𝐸 300 2 −𝑈1 ) = (0,066−0,006) = 5.000 𝐾𝑔/ (10) Considerando per l’aria fredda un peso specifico di 1,297 Kg/m3 si calcola una portata volumetrica (Gv) di aria secca pari a : 𝐺 5.000 𝐺𝑣 = 1.297 = 1.297 = 3855 𝑚𝑐/ (11) cui corrisponde una portata volumetrica di aria calda in uscita dal forno pari a: 𝐺𝑣,𝑢𝑠𝑐𝑖𝑡𝑎 𝑓𝑜𝑟𝑛𝑜 = 𝐺𝑣 200+273 10+273 = 6443 𝑚𝑐/ (12) Bilancio termico Il calcolo sopra eseguito consente di determinare la portata minima di aria capace di “assorbire” l’umidità contenuto dalla miscela umida di sansa vergine e legno. Affinché pero l’essiccamento avvenga realmente è necessario che l’aria sia in grado anche di cedere una sufficiente quantità di calore necessario alla evaporazione dell’acqua. Tenuto conto di operare in regime stazionario ovvero che deve ovviamente risultare: calore ceduto dall’aria = calore necessario per l’essiccamento Il calore ceduto dall’aria (Q) si calcola moltiplicando il calore specifico medio per il salto termico dell’aria tra ingresso e uscita dell’essiccatore; volendo teoricamente rendere possibile la completa essiccazione della miscela, si impone che all’uscita dell’essiccatore l’aria, in equilibrio termico con il solido, abbia una temperatura non inferiore a 110° C; pertanto, trascurando le perdite di calore nell’essiccatore (debitamente coibentato) deve verificarsi che (Q) risulti superiore al calore necessario all’essiccamento del solido; si ha: 𝑄 = 𝐺 ∙ 𝐶𝑢 ∙ (𝑇𝑒𝑎 − 𝑇𝑢𝑎 ) (13) essendo Tea e Tua rispettivamente le temperature di entrata e di uscita dell’aria dall’essiccatore, pari a Tea=200°C e Teu=100°C; inoltre, con Cu si indica il calore specifico medio dell’aria tra le temperatura Tea e Tua , che risulta pari a: Cu =(1,025+1,012)/2=1,018 KJ/Kg·°K = 0,243 Kcal/kg·°C Dalla (13) Si ha quindi: (14) 𝑄 = 5000 ∙ 0,243 ∙ 200 − 110 = 109.350 Kcal/h= 127 𝑘𝑊 (15) Il calore (Qeff) necessario per l’effettivo l’essiccamento della miscela di biomassa, è la somma di vari contributi quali: - calore sensibile Q1 necessario per riscaldare l’acqua dalla temperatura iniziale del solido alla temperatura di bulbo umido a cui avviene l’evaporazione (100°C): 𝑄1 = 𝐸 ∙ 𝐶𝑎𝑐𝑞 ∙ 𝑇𝑏𝑒 − 𝑇𝑠𝑒 = 300 ∙ 1 ∙ 100 − 10 = 27000 𝐾𝑐𝑎𝑙/ (16) essendo Cacq il calore specifico dell’acqua,pari a 1 kcal/kg·°C ; Tbe la temperatura di bulbo umido dell’aria in ingresso 100°C; Tse la temperatura del solido umido in ingresso = 10°C - calore latente Q2 necessario per vaporizzare l’acqua alla temperatura di bulbo umido, pari a: 𝑄2 = 𝐸 ∙ 𝜆𝑒𝑣 = 300 ∙ 539,07 = 161.910 𝑘𝑐𝑎𝑙/ (17) avendo indicato con λev il calore latente di evaporazione dell’acqua alla temperatura di bulbo umido (100°C), essendo λev = 2257 kJ/kg= 539,07 Kcal/Kg - calore sensibile Q3 necessario per portare il vapore formato dalla temperatura di bulbo umido alla temperatura di uscita dell’aria dall’essiccatore: 𝑄3 = 𝐸 ∙ 𝐶𝑣𝑎𝑝 ∙ 𝑇𝑎𝑢 − 𝑇𝑏𝑒 = 300 ∙ 0,466 ∙ 110 − 100 = 1710 𝐾𝑐𝑎𝑙/ (18) avendo indicato con Cvap il calore specifico del vapor d’acqua mediato tra le due temperature 𝑇𝑎𝑢 = 110°𝐶 e 𝑇𝑏𝑒 = 100°𝐶 ; si ha Cvap= 0,466 Kcal/Kg·°C - calore sensibile Q4 necessario per riscaldare il solido secco dalla temperature di entrata alla temperatura di uscita, imposta pari 100° C: 𝑄4 = 𝑊 ∙ 𝐶𝑠 ∙ (𝑇𝑠𝑢 − 𝑇𝑠𝑒 )= 550 ∙ 0.69 ∙ 100 − 10 = 34155 𝐾𝑐𝑎𝑙/ (19) avendo indicato con Cs il calore specifico del solido secco pari a (0.7 Csansa + 0.3 Cpotature) = (0.7*3000+0.3*2700)= 2910 J/Kg·°K = 0.69 Kcal/Kg·°C, e con Tsu e Tse rispettivamente le temperature di uscita e di ingresso del solido secco. Il calore necessario per il riscaldamento è quindi la somma dei 4 contributi sopra calcolati; si ottiene: 𝑄𝑒𝑓𝑓 = 𝑄1 +𝑄2 +𝑄3 +𝑄4 = 224.775 Kcal/Kg = 261 kW (20) Il calore necessario al riscaldamento della miscela e dell’acqua da evaporare risulta superiore a quello che la portata d’aria prima calcolata (5.000 kg/ora) può fornire con un salto termico imposto di 90° C. Il problema pertanto si risolve o aumentando la portata di aria o aumentando la temperatura in ingresso della stessa. Poiché, al fine di non alterare le proprietà della biomassa si intende non superare la temperatura di ingresso aria di 200°C trovata, si opta necessariamente per la prima soluzione. La portata di aria necessaria (Gc) ad assicurare l’effettivo essiccamento della miscela risulta pertanto dalla relazione: 261 𝐺𝑐 = 𝐺 𝑄/𝑄𝑎 = 3855 ∗ 127 =7933 mc/h (21) Il ciclo di essiccazione abbisogna pertanto di una portata di aria circa doppia di quella strettamente necessaria a “contenere” il vapore d’acqua estratto dalla essiccazione della miscela umida. E’ necessario pertanto un dotare l’impianto di essiccazione di ventilatore aria che abbia una portata massima di almeno 8.000 mc/h. 4 – Analisi e dimensionamento del forno auto-alimentato Per un corretto dimensionamento del forno è tenere conto della tipologia specifica dell’essiccatore; come sopra brevemente accennato un essiccatore può essere a circuito aperto o a circuito chiuso, equicorrente e controcorrente. Sebbene, esistono sistemi molto efficienti in cui il bruciatore (generalmente a gasolio o gas) è disposto direttamente nel cestello di essiccazione, questa configurazione è attuabile solo quando il materiale da essiccare non è sensibile all’esposizione diretta della fiamma (materiali non combustibili: minerali pesanti, pietrisco e pietra, sabbia, scorie, materiali refrattari, calcare etc.). I sistemi a circuito chiuso sono relativamente rari perche molto più costosi, mentre i sistemi in controcorrente hanno lo svantaggio di metter in contatto il materiale praticamente secco con il fluido essiccante alla massima temperatura e ciò, per sostanze che temono le alte temperature, può portare ad avere facile danneggiamento (es. torrefazione delle sostanze organiche come è il caso in esame). La scelta pertanto, come già sopra ampiamente discussa, cade per il sistema di essiccazione equicorrente a circuito aperto. Con questa soluzione si evita l’inconveniente della bruciatura del prodotto in lavorazione perché l’elevato grado di umidità presente nel prodotto in ingresso lo protegge dal flusso d’aria calda. L'essiccatore funziona normalmente con due ventilatori, progetti per avere un sistema bilanciato, in cui l'ingresso dell’aria viene mantenuto ad una pressione leggermente negativa per minimizzare le perdite d’aria verso l’esterno. Le caratteristiche del materiale da trattare (biomassa) e la scelta della auto-alimentazione portano pertanto alla definizione del sistema di riscaldamento come composto da un forno, da un sistema di generazione di aria forzata e da un condotto che immette il fluido di lavoro direttamente all’interno dell’essiccatore, come mostrato nella seguente figura 8: Figura 8 - Diagramma a blocchi del sistema di riscaldamento dell’aria essiccante. Il funzionamento del sistema è molto semplice: un apposito sistema di generazione di aria forzata genera dell’aria che accede nel forno. Questo produce, per effetto della combustione del materiale essiccato prelevato in uscita dall’essiccatore, energia termica e fumi di combustione. L’aria forzata attraversando il forno si riscalda e si miscela con i fumi di combustione; la miscela cosi formata costituisce il fluido di lavoro o fluido essiccante. Quest’ultimo, attraverso un condotto, accede all’essiccatore, dove scambiando energia termica con il materiale in ingresso da essiccare, ne estrae l’umidità in eccesso; il materiale cosi essiccato esce dalla bocca d’uscita dell’essiccatore. 4.1 - Combustione della biomassa Per ottenere una completa combustione della biomassa con basse emissioni e scorie ridotte, la quantità e il metodo di alimentazione dell'aria di combustione rivestono un'importanza fondamentale. Per ottimizzare la combustione è necessario dividere la camera di combustione in due sezioni: una sezione di combustione primaria una sezione di combustione secondaria In ognuna di queste sezioni è prevista una propria alimentazione d'aria. In dettaglio, nella zona primaria avviene la cosiddetta “combustione primaria”, composta da due fasi: fase di essiccazione fase di gassificazione della biomassa (o pirolisi). Durante l'essiccazione, viene rilasciata sotto forma di vapore, l'acqua costituente la parte di umidità residua, che quindi evapora dalla biomassa. A questo punto la biomassa essiccata viene scomposta in combustibile, componenti volatili e carbone di legna. La combustione primaria richiede un input energetico e si verifica con una proporzione d'aria inferiore al rapporto stechiometrico (rapporto aria/combustibile). Durante la “combustione secondaria” i componenti volatili infiammabili vengono bruciati nella zona secondaria con eccesso d'aria, mentre il carbone viene bruciato nella sezione di combustione primaria, col rilascio, in entrambe le fasi, di energia di ossidazione. Per una combustione ottimale è necessaria un'adeguata miscelazione tra l'aria secondaria e i gas di combustione. Tale miscelazione può essere ottenuta con un accurato dosaggio dell'aria nella camera di combustione. Quanto più a lungo i gas di combustione rimangono nella caldaia, tanto più completa sarà la combustione. Il quantitativo di eccesso d'aria nella zona secondaria è molto importante ed influenza la produzione di monossido di carbonio (CO) e gli idrocarburi non bruciati (OGC). Esiste inoltre un trade-off tra queste emissioni e l'emissione di ossidi di azoto (NOx). Troppa poca aria comporta un aumento delle emissioni di CO e OGC, ma limita il quantitativo di NOx nei gas di combustione. Al contrario, un maggiore eccesso d'aria comporta il rilascio dal bruciatore di un quantitativo maggiore di NOx. Un controllo elettronico dell'alimentazione d'aria effettuato utilizzando un ventilatore a velocità variabile controllato da un sensore CO o Lambda aiuta a ridurre le emissioni e quindi ad ottenere una combustione ottimale della biomassa. Tuttavia, realizzando un elevato quantitativo di eccesso d'aria, il bruciatore a biomassa, il cui processo di combustione non sia dotato di controllo elettronico, permette di ottenere una buona combustione. Caldaie a biomassa con controllo Lambda sono già state realizzate, nonostante la maggior parte dei dispositivi di riscaldamento a biomassa attualmente in uso permetta soltanto una regolazione manuale. 4.2 - Tipologie di forni Dopo la sopra riportata analisi dei principali parametri della combustione, si analizzano nel seguito le varie tipologie di forni adatti alla essiccazione di una biomassa. Innanzitutto uno dei requisiti fondamentali del forno deve essere la possibilità di autoalimentazione, cioè di utilizzare come combustibile lo stesso prodotto essiccato. Una prima classificazione dei forni a biomasse può essere effettuata in base alla tipologia di combustione, che puo essere a: Letto fisso Letto fluido Bruciatori per polvere di biomassa Whole tree concept. 4.2.1 - Letto fisso In questa tipologia di forni, l’aria primaria passa attraverso un “letto fisso” dove avvengono essiccazione, gassificazione e combustione della biomassa. Per cui con l’aggiunta di aria secondaria (aria forzata) è possibile effettuare una seconda combustione dei gas prodotti dalla prima e la trasmissione del calore. In base alla struttura di questa tipologia di forni è possibile effettuare una ulteriore sotto-classificazione in : Forni a griglia Underfeed stokers 4.2.1.1 - Forni a griglia Sono dotati di camera di combustione con pareti e volta rivestiti in refrattario resistente alle temperature di processo. Alla base della camera di combustione e’ posta una griglia che ha la funzione di supportare e movimentare il combustibile dalla zona di ingresso fino alla zona di uscita delle scorie. Per tale funzione la griglia e’ dotata di elementi mobili o combinazioni di elementi fissi e mobili. Un esempio di forno a griglia è riportato nella seguente figura: Figura 9 - Esempio di forno a griglia con relativa caldaia (inceneritore). Il questa tipologia di forni, in dettaglio il combustibile presente nella tramoggia, per effetto della forza di gravità, accede, attraverso una valvola proporzionale, all’interno della griglia fissa, in questo caso appositamente inclinata. L’aria primaria accede dalla zona sottostante la griglia e permette una uniforme combustione della biomassa. La presenza del piano inclinato permette, anche con l’eventuale ausilio di vibrazioni imposte alla griglia, lo “scivolamento” delle ceneri, frutto della combustione, in appositi recipienti posti in basso. L’accesso dell’aria secondaria consente una ulteriore ossigenazione della camera e il completamento della combustione dei prodotti gassosi generati. Questa tipologia di forni è relativamente “onnivora” in quanto adatta per generazione di energia termica usando come combustibile miscele di diverse biomasse legnose con elevata umidità, dimensioni variabili ed elevato contenuto di cenere. Per ottenere una distribuzione omogenea di combustibile nelle braci e per una corretta gestione della distribuzione di aria primaria nelle varie zone della griglia, richiedono l’inserzione di un sistema atto ad imporre un movimento continuo della griglia, nonché di un sistema ad infrarossi per controllare l’altezza delle braci e di un sistema in grado di controllare la velocità di rotazione dei ventilatori al fine di modulare l’afflusso di aria primaria. In base alla direzione della fiamma rispetto al combustibile, i forni a griglia possono suddividersi in: forni a griglia con flusso in controcorrente forni a griglia con flusso in equicorrente forni a griglia con flusso incrociato I forni a griglia con flusso in controcorrente sono caratterizzati dall’avere una fiamma che si propaga in direzione opposta rispetto alla direzione combustibile, come indicato nella seguente figura: Figura 10 – Rappresentazione schematica di un forno a griglia con flusso controcorrente. Questa tipologia di forni è particolarmente indicata per combustibili a basso potere calorifico (corteccia umida, chips di legno, segatura); in questo caso in fatti, il fluido di lavoro, passando sulla biomassa fresca e umida, ne consente un relativo essiccamento ed un trasporto di vapore dal letto aumentato per convezione (in aggiunta al fenomeno dominante, lo scambio termico radiante verso la superficie del combustibile) I forni a griglia con flusso in equicorrente sono caratterizzati dall’avere la fiamma che si propaga invece in direzione concorde alla direzione del combustibile, come indicato nella seguente figura: Figura 11 – Rappresentazione schematica di un forno a griglia con flusso equicorrente. Questa tipologia di forni è indicata qualora il combustibile da usare sia invece secco (ad esempio residui di legno e paglia) o in sistemi che utilizzano aria preriscaldata; inoltre, il sistema consente l’aumento del tempo di residenza dei gas incombusti sul letto. Tuttavia in questo caso (svantaggio) può essere necessario controllare il trasporto di ceneri volatili. Nei forni a griglia con flusso incrociato, infine, i gas caldi fuoriescono dal centro della fornace come indicato nella successiva figura 12. Questo sistema è risultante dalla combinazione degli altri due sopra analizzati. Viene utilizzato in impianti con camera di combustine secondaria verticale. Il controllo della temperatura viene effettuato mediante il ricircolo dei gas combusti e il raffreddamento della camera di combustione secondaria mediante acqua (viene ridotto il volume dei gas al camino ed impedita la sinterizzazione delle ceneri sulle pareti della camera aumentando così la vita del refrattario). Figura 12 – Rappresentazione schematica di un forno a griglia con flusso incrociato. In base alla tipologia della griglia, tali forni possono essere distinti in forni a : griglia a nastro griglia fissa griglia mobile inclinata griglie mobili orizzontali griglie vibranti cigar Burners griglie rotanti alimentate dal basso griglia conica rotante 4.2.1.1.1 - Forni a griglia a nastro Questi forni sono caratterizzati da una griglia a nastro collegata ad un meccanismo a rulli. Figura 13 - Forno a griglia a nastro con sistema di alimentazione a spruzzo (spreader-stoker). In questa tipologia di forni la biomassa viene “posizionata” sul nastro semipermeabile (in modo da consentire il passaggio dell’aria primaria attraverso lo stesso) mediante una coclea oppure mediante un sistema di “spruzzo” della stessa (come mostrato in figura 13). Il movimento lento del nastro, consente la distribuzione della biomassa: la combustione avviene utilizzando l’aria primaria; i gas prodotti dalla combustione e l’aria per lo stesso effetto riscaldatasi “salgono” mentre le ceneri vengono trasportate fino ad un serbatoio appositamente previsto per le stesse. Nella fase di “ritorno” del nastro, lo stesso viene raffreddato dall’aria primaria, quindi la velocità della griglia è un parametro che insieme al flusso di aria primaria consente il controllo della energia termica prodotta. Questo sistema presenta i seguenti vantaggi: Condizioni uniformi di combustione Basse emissioni di particolato Facilità di manutenzione e sostituzione della griglia Lo svantaggio principale è che i tempi di combustione risultano più lunghi rispetto alla tipologia a griglia mobile. 4.2.1.1.2 Forni a griglia fissa inclinata I sistemi a griglia fissa rappresentano la tipologia più semplice di combustori a biomassa; inoltre, sono stati i primi ad essere adottati. In figura 14 è riportato un esempio di questa tipologia di forno. Esso è caratterizzato da una griglia fissa inclinata (A), alla quale, tramite una bocca di ingresso, perviene il combustibile (𝑚𝑐 ) per mezzo di una coclea. La griglia, oltre alla funzione di sostegno della biomassa, permette sia il passaggio dell’aria primaria (a1) che delle ceneri più fini. Man mano che la biomassa perde consistenza, per effetto della combustione avvenuta grazie all’ausilio dell’aria primaria (a1), per via dell’inclinazione della griglia il combustibile “scivola” sulla stessa. Le ceneri, frutto della combustione, proseguono la discesa verso un apposito bacino di raccolta, mentre i fumi della combustione e i gas non combusti accedono in una seconda camera di combustione dove perviene l’aria secondaria (a2) e dove quindi avviene una seconda combustione. Figura 14 - Esempio di forno a griglia fissa inclinata. La regolazione della potenza termica viene effettuata mediante la modulazione del flusso d’aria (a1). Anche se molto semplice, questa tipologia di forno è utilizzata marginalmente (solo per forni di piccola taglia) per via delle difficoltà che si incontrano durante la fase di trasporto e della distribuzione del combustibile all’interno della camera di combustione. 4.2.1.1.3 Forni a griglie mobili inclinate Questa tipologia di forni è caratterizzata da alternate schiere fisse e mobili della griglia. Il movimento alternato avanti-indietro delle schiere mobili consente il trasporto del combustibile sulla griglia. La tipologia più diffusa è quella con griglia inclinata nella quale la pendenza è generalmente compresa tra il 15 e il 35%. Su di essa, una volta riversato il combustibile mediante dispositivi a vite o semplici tramogge, è possibile distinguere più zone in ciascuna delle quali si localizza una fase specifica del processo di conversione termochimica. Queste griglie sono costituite da file di barrotti mobili alternate con file di barrotti fissi; i primi, azionati da attuatori elettrici o idraulici, si sovrappongono ai secondi con un movimento avanti– indietro alternato, la cui corsa ha frequenza e lunghezza regolabili. Quest’ultimo aspetto rappresenta di fatto un grande punto di forza di questa tecnologia: regolando infatti la velocità della griglia, la quantità di combustibile introdotto e l’aria fornita è possibile bruciare una grande varietà di biomasse con caratteristiche anche estremamente diverse. Le griglie sono inoltre divise in varie sezioni che possono essere mosse a velocità diverse in base alle condizioni di combustione. Figura 15- Esempio schematico di forno a griglia mobile inclinata. I combustori a griglia mobile inclinata, nonostante il costo relativamente elevato, risultano essere oggi quelli maggiormente utilizzati tra tutti i sistemi a letto fisso grazie soprattutto alla loro estrema versatilità di funzionamento. 4.2.1.1.4 Forni a griglie mobili orizzontali La caratteristica fondamentale di questa tipologia di forni è che il letto di braci risulta essere completamente orizzontale. Questa presenta diversi vantaggi, tra questi si ricordano: l’assenza di movimenti involontari del combustibile sulla griglia per effetto della gravità a cui fa seguito una più omogenea distribuzione della biomassa nel letto, la mancanza di punti caldi e quindi di fenomeni di sinterizzazione delle ceneri e infine la possibilità di avere combustori di dimensioni più contenute che è necessario però precaricare all’avvio evitando così che le particelle di combustibile cadano tra le barre della griglia prima di essere state completamente bruciate. Figura 16 - Esempio schematico di forno a griglie mobili orizzontali. 4.2.1.1.5 Forni a griglie vibranti La tipologia di forno a griglia vibrante viene utilizzato particolarmente per la combustione soprattutto di residui legnosi. Esso è caratterizzato da un griglia composta da una parete inclinata di tubi che viene posizionata sopra delle molle. La biomassa, che viene introdotta tramite spruzzatori, sistemi a vite o idraulici, durante la fase di combustione è soggetta a della vibrazioni intermittenti generate da due o più motori eccentrici che facilitano il processo di mescolamento. Queste oscillazioni ad intervalli brevi evitano la formazione, in camera di combustione, di scorie di grosse dimensioni ed è per tale motivo che questa tipologia di forni viene principalmente utilizzata là dove si ha una sostanza organica che presenta problemi di sinterizzazione e formazione di grandi quantitativi di residui e agglomerati (si veda ad esempio la paglia o scarti legnosi). Un esempio di schema di principio del forno a griglie vibranti è mostrato nella seguente figura 17. Figura 17 - Schema semplificato di un forno a griglie vibranti per biomasse legnose. I maggiori inconvenienti che tale tipologia di forno presenta sono l’elevata emissione di ceneri volatili per effetto delle vibrazioni della griglia e l’alta concentrazione di monossido di carbonio nei gas combusti, indice quest’ultimo di una combustione non completa che si spiega soprattutto a causa dei “disturbi” periodici indotti dalle oscillazioni sul letto di materiale combustibile. 4.2.1.1.6 Cigar burners Infine, l’ultima tipologia di forni a griglia analizzata è quella relativa ai cosidetti “cigar burners”. Questi si prestano particolarmente alle esigenze del settore agricolo; difatti consentono la combustione diretta di grosse balle di paglia e cereali. Un esempio di tale configurazione è quello riportato nella seguente figura 18: Figura 18- Schema di funzionamento di un forno per derivati agricoli del tipo “cigar burner”. Le biomasse vengono introdotte in maniera continua per mezzo di un pistone idraulico all’interno del tunnel di alimentazione, nel quale comincia a realizzarsi il processo di gassificazione della stessa che, una volta raggiunta la camera di combustione, si presenta di fatto quasi totalmente carbonizzata. Quindi con l’inserzione dell’aria comburente, si ha la fase di ossidazione del carbone prodotto da cui si liberano ceneri e incombusti che, depositandosi sulla griglia, vengono successivamente scaricati nella parte bassa del combustore. Di fondamentale importanza in questi impianti è poi il controllo della temperatura che, in condizioni di funzionamento normale, non dovrebbe mai superare i 900 °C, considerando proprio il basso punto di fusione che hanno le ceneri prodotte da biomasse come paglia e cereali. Tra i principali inconvenienti si segnala soprattutto l’alta concentrazione, nei gas combusti, di ceneri volatili e vapori alcalini. 4.2.1.1.7 Forni a griglia rotante alimentata dal basso I forni a griglie rotanti alimentate dal basso sono caratterizzati dalla presenza di una griglia a forma di cono, nella quale l’alternanza di sezioni che ruotano in senso orario e antiorario determina il mescolamento della biomassa e il suo avanzamento verso la zona di raccolta delle ceneri, come mostrato nella seguente figura. Figura 19 - Esempio di tipologia di forno a griglia rotante alimentato dal basso. L’aria primaria viene inserita dal basso nella camera di combustione primaria (subito sopra la griglia) favorendo così lo sviluppo di gas combustibili che vengono quindi bruciati in una seconda camera che può essere verticale o orizzontale. Il combustibile viene introdotto dal basso tramite una opportuna coclea, per cui questo deve avere opportuna granulometria, in genere inferiore ai 50 mm. Anche questi sistemi permettono la combustione di biomasse ad alto contenuto di umidità come cortecce, segatura o chips di legno appena tagliati. 4.2.1.1.8 Forno a griglia conica rotante Tale tipologia di forno è composta da una griglia a forma di cono capovolto. Dentro questa perviene la biomassa combustibile, caricata con continuità dall’alto e, grazie ad una lenta rotazione attorno ad un asse inclinato rispetto all’asse orizzontale, ne facilita il mescolamento. La biomassa quindi si accumula all’interno della griglia conica che si comporta come una sorta contenitore (vedi figura 20). Figura 20 - Rappresentazione schematica di forno a griglia conica rotante. L’aria, necessaria per realizzare il processo di combustione, viene immessa in due sezioni distinte: l’aria primaria, viene inserita attraverso la griglia, mentre l’aria secondaria è iniettata tangenzialmente e ad elevata velocità nella sezione cilindrica del forno. Tra gli aspetti più interessanti di questa tipologia di forni vi è la possibilità di operare con un eccesso d’aria intorno a circa il 20–30% che dimostra la capacità di raggiungere elevati rendimenti di combustione. Altre caratteristiche positive sono poi il basso quantitativo di prodotti volatili presenti nei gas combusti (per effetto del flusso rotazionale indotto dall’aria secondaria) e la possibilità di trattare biomassa con caratteristiche estremamente variabili in termini di dimensioni, contenuto di umidità e temperatura di fusione delle ceneri. Il principale inconveniente è che questa tipologia di forni necessita di un bruciatore ausiliario per realizzare l’avvio del forno, il quale, tra l’altro, deve periodicamente fermarsi affinché possa essere effettuata la rimozione dei grossi agglomerati di cenere che si vanno accumulando al centro della griglia. 4.2.1.2 - Underfeed stokers Altra tipologia di forno a letto fisso è rappresentata dai cosiddetti “underfeed stokers”, che si distinguono dai forni a griglia per via della modalità con cui la biomassa viene introdotta all’interno del sistema. Un esempio di tale configurazione è riportata nella seguente figura: Figura 21 - Rappresentazione schematica di forno a letto fisso di tipo “underfeed stokers”. Una coclea permette al combustibile di accedere alla cavità (di forma piramidale), dalla quale fuoriesce per effetto della spinta del combustibile inserito dalla coclea stessa. Il combustibile quindi risale fino alla fuoriuscita nella camera di combustione, posta sopra questa cavità. In questa camera viene introdotta l’aria primaria che si occupa della attivazione del processo di ossidazione che si completa nella parte più alta della camera di combustione, grazie all’immissione dell’aria secondaria. Questa tipologia di forni presenta il vantaggio consistente nella possibilità di lavorare in maniera ottimale anche in presenza di carichi parziali, grazie alla facilità di gestione e controllo del dispositivo di alimentazione del combustibile. Lo svantaggio principale consiste invece nel fatto che la eventuale formazione di cenere sinterizzata nella parte superiore del letto del combustibile, può portare ad un processo di combustione instabile, specie per forni di grandi dimensioni. 4.2.2 - Letto fluido Questa tipologia di forni si distingue dalle altre per via della particolare struttura dei combustori. Questi sono infatti costituiti essenzialmente da una camera cilindrica verticale, detta riser, all’interno della quale il combustibile da biomasse brucia in un letto di materiale inerte, solitamente costituito da sabbia, calcare o dolomite che hanno la capacità di abbattere gli inquinanti acidi, mantenuto in sospensione per mezzo di un flusso d’aria comburente introdotto dal basso. La presenza di un letto fluido consente un maggiore controllo del processo di combustione grazie soprattutto alla più equilibrata e uniforme distribuzione del calore che permette, a parità di efficienza, di avere una minore temperatura di lavoro rispetto ai tradizionali impianti a letto fisso. La trasmissione del calore viene realizzata quasi esclusivamente per convezione e in modo trascurabile per irraggiamento. Il riscaldamento del combustibile avviene quasi sempre rapidamente con un’ossidazione piena in tutti i punti del reattore. Un parametro a cui bisogna prestare attenzione è, oltre alla dimensione della biomassa utilizzata, le impurità in essa contenute: nella maggior parte dei casi sono infatti necessari dei pretrattamenti per attuare la pulizia della sostanza organica e per ridurre la sua pezzatura a misure omogenee e idonee per la fluidizzazione del letto. Lo svantaggio principale di questa tipologia di forni e dato dall’elevato contenuto di polveri nei gas, che rende quasi sempre necessaria la presenza di precipitatori e di sistemi di pulizia del boiler, in grado di limitare i fenomeni di agglomerazione di ceneri basso fondenti e quindi scongiurare il pericolo di defluidificazione. Per facilitare lo scarico delle parti incombuste sono allora stati messi a punto reattori a letto fluido rotante nei quali, grazie ad una differenzazione nella velocità di alimentazione dell’aria lungo la piastra inferiore di distribuzione, si creano moti rotatori che favoriscono l’allontanamento delle scorie. Un altro inconveniente è dettato dalla frequente espulsione di parte del materiale inerte costituente il letto fluido, con le ceneri e i fumi, che deve pertanto essere periodicamente reintegrato. Altri svantaggi sono: il mal funzionamento ai carichi parziali e gli elevati tempi di avvio che possono raggiungere anche le 15 ore, utilizzando bruciatori ad olio o a gas. Essenzialmente si distinguono due diverse tipologie di combustori: quelli a letto fluido bollente (BFB – Bubbling Fluidised Bed) e quelli al letto fluido ricircolante (CFC – Circulating Fluisised Bed). I primi sono caratterizzati da un letto fluidizzato costituito da granelli di sabbia silicea di circa 1 mm, che tende a mantenersi nella parte inferiore dell’impianto per effetto delle basse velocità di fluidizzazione (1–2,5 m/s). I secondi sono invece caratterizzati da una maggiore velocità di fluidizzazione (5–10 m/s) che consente, rispetto alla tipologia precedente, di aumentare il mescolamento trasversale della sostanza organica nel reattore, producendo così una migliore turbolenza, un più efficace scambio termico e una più uniforme distribuzione di temperatura nel letto. 4.2.3 - Bruciatori per polvere di biomassa In alternativa alle tipologie di forni esaminati nei paragrafi precedenti, facenti uso invece della biomassa formata da particelle le cui dimensioni sono solitamente comprese tra i 20 e i 50 mm, ve ne sono altre tipologie che utilizzano per la combustione biomasse polverulenti e leggere come ad esempio lolla di riso, segatura, polvere di legno o paglia triturata nelle quali le dimensioni delle singole particelle non supera i 20 mm e il tenore di umidità si mantiene al di sotto del 20%. All’interno del forno, questi combustibili polverulenti, che devono essere estremamente omogenei, vengono iniettati tramite un sistema pneumatico che inoltre li miscela con l’aria primaria che li trasporta e li mantiene in sospensione. Pertanto, il flusso così generato, che viene immesso tangenzialmente, produce all’interno della camera di combustione cilindrica un moto vorticoso rotazionale che può, in alcune applicazioni, esser favorito anche dal ricircolo dei gas combusti provenienti dal camino. Per via delle ridotte dimensioni delle particelle di combustibile e della presenza di questo flusso, i processi di gassificazione e successiva combustione del materiale carbonizzato si verificano rapidamente e quasi contemporaneamente. Quindi è necessario utilizzare efficaci sistemi di controllo del caricamento che possano garantire una rapida sostituzione della sostanza organica impiegata. Inoltre, considerando l’alto grado di miscelazione raggiungibile, questa tipologia di combustori non richiedono spesso l’introduzione di aria secondaria, favorendo così elevate efficienze e basse emissioni di ossido di azoto. Lo svantaggio principale è che i materiali isolanti si consumano rapidamente per l’erosione e stress termico; per ovviare a questo si sono realizzati altri sistemi che non utilizzano il moto vorticoso. Altro svantaggio di questa tipologia di combustori è la presenza di un bruciatore ausiliario che realizza la fase di start–up dell’impianto. 4.2.4 Whole tree concept Questa innovativa tipologia di forni, consente di utilizzare alberi interi: questi vengono stoccati in una copertura ad aria per 30 giorni, pertanto l’umidità passa dal valore iniziale di circa 50% al valore finale del 20-25%. Successivamente vengono tagliati a misura della fornace per poi essere inseriti in una griglia alimentata con aria alla temperatura di 350 °C. In questa griglia gli alberi si gassificano e la biomassa solida viene bruciata. I gas volatili vengono poi mescolati all’aria secondaria per completare così la combustione. Nella seguente figura è schematicamante illustrato una tale tipologia di forno: Figura 22 - Rappresentazione schematica di forni del tipo “Whole Tree Energy” 5 - Scelta e dimensionamento del forno per l’impianto ECODENS Tenuto conto della limitata potenza termica richiesta per la essiccazione della miscela di sansa vergine e residui di potature, e della esigenza di limitare i costi trattandosi della essiccazione di un materiale relativamente “povero”, da quanto sopra in dettaglio esaminato discende che la configurazione di forno certamente più conveniente è quella a letto fisso, a griglia fissa inclinata. Tale tipologia in fatti anche se poco utilizzata per sistemi di media e grande potenza termica, combina semplicità ed economicità che consentono di raggiungere un ottimo rapporto prestazioni/costo di impianto. Per massimizzare il rendimento, si richiede al costruttore comunque una efficiente coibentazione dello stesso con opportuno materiale. Il materiale refrattario, in forma di mattoni, legati da un collante ad alto tenore di allumina a bassa densità; e come strato isolante esterno si utilizzerà del silicato. Al fine di garantire la “auto-alimentazione” lo stesso forno sarà servito da opportuni sistemi di raccordo al dispositivo di carico che preleva la biomassa secca in uscita dall’essiccatore. Al fine di ovviare ai transitori iniziali e/o di regolazione, quest’ultimo dovrà essere costituito da una tramoggia di carico della capacità di circa 1 𝑚3 completa del rilevatore del livello di massima capienza raggiunta. Quest’ultimo dovrà inibire il movimento della coclea che “alimenta” la tramoggia di carico prelevando parte della biomassa essiccata, presente in uscita dall’essiccatore. Inoltre, sulla stessa tramoggia di carico, è necessaria la presenza di un rilevatore del livello di minima capienza, che riattiva la coclea di alimentazione della tramoggia di carico, quando questa si va svuotando. Sotto la tramoggia di carico, dovrà essere posta una seconda coclea, del tipo resistente alle alte temperature, perla immissione della biomassa secca all’interno della camera di combustione. Il suo compito è ovviamente quello di alimentare il bruciatore del forno, nelle sue condizioni di esercizio ma anche in quelle di massima produttività di progetto. La portata di biomassa combustibile, si calcola facilmente a partire dall’energia termica richiesta dal processo di essiccazione, innanzi in dettaglio calcolata. Difatti, cin accordo con quanto calcolato nel capitolo relativo al processo di essiccazione e dimensionamento dell’essiccatore, la potenza termica 𝑄 richiesta dal sistema di riscaldamento deve essere pari alla potenza termica necessaria a riscaldare una portata di aria di 8000 mc/h, dalla temperatura ambiente minima di 10° C alla temperatura di ingresso al forno 200° C; considerando cautelativamente una perdita del 10% nella circolazione dell’aria dal forno all’uscita dell’essiccatore ed una altrettanta perdita per non perfetto isolamento dei vari componenti del forno, si calcola pertanto per lo stesso una potenza termica non inferiore a: 𝑄 = 1.1 ∗ 1.1 ∗ 8000 ∗ 0.243 ∗ 200 − 10 = 446 𝑘𝑐𝑎𝑙 = 518 𝑘𝑊 (22) Considerando un rendimento della combustione del 90% si puo dire che il forno necessario deve avere una potenza termica nominale pari a: 𝑘𝑊 𝑄 = 518 0.9 = 575 𝑘𝑊 (23) Per determinare la portata di biomassa da introdurre nel forno, si considera un rapporto di miscelazione tra biomassa da sansa e biomassa da residui di potatura pari a 7:3. Considerando inoltre il potere calorifico delle suddette biomasse pari a : Potere calorifico sansa = 𝑃𝐶 𝑠𝑎𝑛𝑠𝑎 = 4500 𝑘𝑐𝑎𝑙 𝑘𝑔 Potere calorifico residui da potatura = 𝑃𝐶 𝑟𝑒𝑠 = 3800 𝑘𝑐𝑎𝑙 𝑘𝑔 Facendo la media ponderata, si ottiene il potere calorifico della biomassa miscelata, pari a: 𝑃𝑚𝑖𝑠𝑐𝑒𝑙𝑎 = 0,7 ∙ 𝑃𝐶 𝑠𝑎𝑛𝑠𝑎 + 0,3 ∙ 𝑃𝐶 𝑟𝑒𝑠 = 0,7 ∙ 4500 + 0,3 ∙ 3800 = 4290 𝑘𝑐𝑎𝑙 𝑘𝑔 (24) Per cui la portata di biomassa secca che deve pervenire nel forno, 𝑊𝑐𝑜𝑚𝑏𝑢𝑠𝑡𝑖𝑏𝑖𝑙𝑒 , per ottenere la potenza termica necessaria per essiccare la miscela risulta essere: 𝑄 𝑊𝑐𝑜𝑚𝑏𝑢𝑠𝑡𝑖𝑏𝑖𝑙𝑒 = 𝑃 = 𝐶 575 .000 𝑘𝑐𝑎𝑙 / 1.16 4290 𝑘𝑐𝑎𝑙 𝑘𝑔 = 115,65 𝑘𝑔 (25) Pertanto la coclea deve essere dimensionata in modo tale da presentare in ingresso al forno una portata massima non inferiore a circa 120 𝑘𝑔 . Inoltre, la coclea deve essere provvista di un cassetto di ispezione, utile per la manutenzione della stessa, e deve essere dotata di apposita una sonda termica tipo PT1000, utile a monitorare la temperatura all’interno della coclea a controllare eventuali processi di gassificazione e carbonizzazione del combustibile all’interno della stessa. Quindi, considerando che la coclea di alimentazione del forno deve poter fornire la sopra calcolata portata 𝑊𝑐𝑜𝑚𝑏𝑢𝑠𝑡𝑖𝑏𝑖𝑙𝑒 , la coclea di alimentazione della tramoggia puo essere vantaggiosamente dimensionata fissando per questa una portata doppia rispetto alla 𝑊𝑓𝑜𝑟𝑛𝑜 , così da mantenere la tramoggia di carico del forno sempre ad un livello tale da consentire che non si arrivi mai allo svuotamento della tramoggia di carico. Il bruciatore scelto per il forno in questione è di tipo “auto-fuoco” meccanico, con massima potenza termica sviluppabile di 600 kW, alimentabile con cippato di legno e sansa (con umidità fino al 30%); a questo deve essere accoppiato un ventilatore di aria primaria con una portata di 8.000 mc/h, affiancato da due idonei ventilatori di aria secondaria. Tutti i ventilatori dovranno essere provvisti di un sistema di regolazione manuale, in modo da potere selezionare la ottimale quantità d’aria da immettere nelle due sezioni della camera di combustione. E’ consigliata inoltre l’adozione di un sistema di controllo, tipo “Humidity Drive” e smili, di tipo elettronico e completamente automatico che, quando attivato dall’operatore, agendo sulla portata d’aria e modulando la portata di combustibile, consente la regolazione della temperatura dell’aria essiccante. Tale funzione è particolarmente utile in presenza di caratteristiche variabili della biomassa in ingresso. Per raccordare il forno all’essiccatore a tamburo rotante si prevede di utilizzare tubature in acciaio INOX AISI 304, opportunamente coibentate con lana di roccia dello spessore di almeno 80 mm, in modo da minimizzare la dispersione di calore in questo importante tratto del sistema. Infine, il forno deve essere dotato di un adeguato sportello di ispezione che permette la manutenzione della macchina stessa e lo scarico periodico delle ceneri. In particolare, tenuto conto dei potenziali problemi che potrebbero verificarsi nella estrazione delle ceneri, è consigliabile la adozione di un opportuno sistema meccanizzato di estrazione ceneri che risolva il problema legato alla eventuale formazione di silicati ecc. 6 - Scelta pratica del sistema di essiccazione e relativi parametri operativi Per quanto sopra in dettaglio analizzato e calcolato, è possibile affermare che il gruppo di essiccazione ottimale per il progetto ECODENS, cioè per la produzione di pellet di sansa e legno è un impianto di essiccazione rotativo semipneumatico a tre passaggi che consente il trattamento di materiali in piccola pezzatura aventi umidità iniziale anche molto alta. Questo tipo di macchina, utilizza la stessa biomassa essiccata come combustibile: il combustibile utilizzato, miscela di sansa vergine e cippato, viene utilizzato in uno speciale bruciatore di tipo “auto-fuoco”. Il fluido scaldante è costituito da aria mista ai prodotti gassosi della combustione, mandato da appositi ventilatori dalla camera di combustione al tamburo rotante, con percorso equicorrente con la miscela di biomasse da essiccare. La combustione avviene con notevole eccesso di aria, con l’aggiunta di aria secondaria, per avere una combustione più completa possibile. Dal tamburo rotante dell’essiccatoio escono la biomassa essiccata, diretta verso il mulino raffinatore, ed i fumi saturi di vapore di essiccazione, contenenti le frazioni piu fini della biomassa, per questo dovranno essere inviati al camino tramite un ventilatore centrifugo, con separazione primaria delle polveri mediante un ciclone a secco, che costituisce parte integrante dell’essiccatoio. Le polveri abbattute dal ciclone saranno convogliate sullo stesso flusso della biomassa essiccata uscente dall’essiccatoio. Nella figura seguente si riporta una rappresentazione schematica dell’impianto di essiccazione cosi configurato: Figura 23 – Rappresentazione schematica dell’impianto di essiccazione configurato. Di seguito vengono analizzati nel dettaglio i singoli componenti del sistema di essiccazione, fissandone per ciscuno i principali parametri operativi : 6.1 - Camera di combustione In accordo con quanto esposto ai capitoli precedenti, la camera di combustione è composta da: - Un corpo cilindrico in lamiera di acciaio al carbonio, rivestito internamente con mattoni refrattari ad alto contenuto di allumina. - Un elemento cilindrico tubolare, concentrico ed esterno al suddetto corpo cilindro, che crea attorno alla camera di combustione una intercapedine di coibentazione e refrigerazione, percorsa da una corrente d’aria utilizzata come aria secondaria alla combustione. Il suddetto flusso d’aria viene generato da un elettroventilatore centrifugo a flusso regolabile. - Una camera di combustione per combustibile solido, realizzata in ghisa. L’introduzione di combustibile verso la griglia (focolare) di combustione si ottiene per mezzo di una coclea ad eliche rafforzate per alte temperature. L’azionamento del suddetto alimentatore di combustibile avviene per mezzo di un motoriduttore, controllato da un variatore elettronico di velocità, a sua volta collegato ad un sensore di temperatura sul flusso di fumi – vapori in uscita dal tamburo di essiccazione e ad un microprocessore regolatore ai fini di mantenere stabile la temperatura d’esercizio. - Un ventilatore centrifugo per l’aria comburente primaria, con canale di convogliamento aria alla griglia del focolare, dotato di valvola regolatrice del flusso. - Porte in ghisa sia nella parte frontale e sia sulla parte laterale, per l’accensione e l’ispezione del fuoco, nonché per la rimozione delle ceneri. - Rivestimento esterno coibente con contenimento di lamiera galvanizzata del corpo del forno, per evitare le dispersioni termiche ed i rischi di contatto con le superfici calde. - Camino con cappello cinese (sulla camera di combustione); tale camino consente la sicurezza operativa in caso di interruzione prolungata della energia elettrica e quindi anche del flusso di aria attraverso il forno e lo stesso essiccatoio. E’ ovvio che in tale situazione si concentra localmente il calore con probabile sviluppo di incendio della stessa biomassa in essiccazione se dalla camera di combustione non potessero uscire i gas caldi. 6.2 - Precamera di combustione. - E’ il corpo intermedio necessario per la continuità di flusso dell’aria calda dalla camera di combustione al tamburo rotante di essiccazione. Non è meccanicamente solidale né alla camera di combustione né al tamburo rotante. E’ costruita in lamiera di acciaio al carbonio rivestita internamente di materiale refrattario di bassa densità, con una sua particolare conformazione (con deviazione di flusso). - La parte fondamentale della precamera consiste nella bocca di entrata della biomassa da essiccare, verso il tamburo. Tale bocca ha internamente un tratto inclinato di convogliamento a gravità della biomassa dalla parte statica della precamera alla parte rotante del tamburo. E’ costruita in lamiera di acciaio inossidabile AISI 310 refrattario. - La precamera è equipaggiata di porta per l’ispezione e per la rimozione delle ceneri, realizzata in lamiera di acciaio e protetta al suo interno con calcestruzzo refrattario. - Il corpo della precamera è rivestito esternamente di materiale isolante e di lamiera galvanizzata del per evitare dispersioni termiche ed i rischi di contatto da superfici calde. 6.3 - Tamburo rotante a doppio circuito. - E’ costituito da due cilindri orizzontali concentrici tra loro solidali, in lamiera di acciaio al carbonio, per costituire il doppio percorso della biomassa in essiccazione. Detto corpo bicilindrico (tamburo) rotola su due piste in acciaio solidali alle estremità sporgenti della parte esterna del cilindro interno. Ogni pista del “tamburo” è costituita da un anello di acciaio forgiato. Tali anelli poggiano su quattro rulli ad asse orizzontale, di supporto, montati su cuscinetti oscillanti. Il retrotreno dei rulli dispone di rulli verticali per il centraggio ed il contenimento del tamburo (per evitare il “fuori pista”). Gli anelli ed i rulli sono lubrificati da un velo d’olio trascinato dallo stesso rotolamento dei rulli di supporto. - L’azionamento del tamburo avviene attraverso una motorizzazione elettrica ed un riduttore ad ingranaggi ad alto grado di riduzione. Il riduttore aziona un pignone che si accoppia con una corona dentata calettata al corpo tamburo. Il pignone e la corona sono in acciaio forgiato. - All’interno dei due cilindri percorsi dalla biomassa in essiccazione sono disposti dei deflettori che consentono il movimento dal basso verso l’alto e l’avanzamento della stessa sansa all’interno del tamburo. Figura 24 - Movimento del materiale granulare in essiccazione. L’avanzamento del materiale è prodotto dall’effetto combinato della rotazione e della spinta d’aria. In particolare, le particelle solide all’interno del tamburo sono sottoposte ciclicamente a movimenti di sollevamento, cascata, slittamento e rimbalzo. L’essiccazione, prodotta da un flusso d’aria calda che si miscela direttamente col prodotto entro il rotore della macchina, avviene in gran parte trasferendo il calore per convezione, durante la fase di cascata del materiale; nelle altra fase invece si ha trasferimento di calore per conduzione ed irraggiamento. - All’esterno del tamburo è montato un rivestimento coibente ed una lamiera zincata in modo da creare una opportuna la barriera alle dispersioni termiche ed al rischio di contatto con superfici calde. 6.4 - Elementi di trasporto e componenti ausiliari di impianto. - Nell’impianto in oggetto si hanno più tipologie di prodotti da trasportare, in particolare si ha: - Combustibile, dalla tramoggia di carico posta alla bocca di uscita dell’essiccatore, fino al bruciatore. Come già ampiamente accennato sopra, tale trasporto è eseguito con apposite tramogge; - Sansa umida, dalle vasche di stoccaggio della sansa vergine in arrivo, fino alla bocca di entrata del prodotto nella precamera dell’essiccatore. Il trasferimento può essere diretto o indiretto attraverso la tramoggia di carico ed immagazzinamento del tipo a tappeto mobile. - Le potature, dai cumuli posti all’esterno del capannone, alla tramoggia di carico del trituratore monoalbero. Tramite un nastro trasportatore che “pesca” il cippato all’uscita del trituratore, queste si possono miscelare con la sansa vergine, confluendo dentro la tramoggia di carico del tamburo dell’essiccatore. - Biomassa essiccata, dall’uscita del tamburo rotante e del ciclone di separazione delle polveri fino al mulino raffinatore. Dato che la biomassa essiccata è utilizzata come combustibile, possono essere predisposti mezzi di convogliamento per alimentare la tramoggia del combustibile. La biomassa essiccata esce dal tamburo attraverso una coclea di raccolta disposta nella stessa estremità di uscita fumi – vapori. Tutti gli altri trasportatori a coclea di movimentazione materiali in entrata ed in uscita dal gruppo di essiccazione possono essere considerati ausiliari. La loro lunghezza e diametro dipende dalle caratteristiche dell’impianto, secondo le necessità specifiche e le disposizioni planimetriche conseguenti. 6.5 - Quadro elettrico, elementi di controllo e sicurezza dell’essiccatoio. - L’impianto sarà dotato di idoneo armadio elettrico che contiene tutte le apparecchiature di comando, controllo e regolazione. Trattasi di armadio metallico con grado di protezione IP55 o superiore, montato su zoccolo che lo isola dal suolo, verniciato con vernice epossidica. - Il circuito elettrico è provvisto di interruttore generale e di una distribuzione in parallelo ai vari circuiti, con protezione magneto-termica per ogni singolo motore elettrico e per ogni singola utenza. - La connessione tra quadro elettrico e motori è attuata attraverso apposita morsettiera standard. - I circuiti di comando sono alimentati a 24 V, con segnalazione di marcia e di interruzione termica per ogni motore. - La regolazione della temperatura avviene per mezzo di un sistema a circuito chiuso composto da: − Sonda (temperatura di esercizio) collocata sull’uscita dei gas dal tamburo; − Regolatore di temperatura programmabile a mezzo microprocessore con preselezione, regolazione di sensibilità e rampa temporale. E’ corredato di allarme per bassa e per alta temperatura. − Variatore elettronico di velocità per il motoriduttore del bruciatore, permettendo così una regolazione molto precisa dell’alimentazione del combustibile, senza arresti e riavviamenti (per evitare discontinuità di combustione con punte di inquinamento dei fumi). 6.6 - Misure di sicurezza elettriche e termiche. - Nei casi in cui si dovesse verificare un fuori servizio dei dispositivi di regolazione, sono previste le seguenti misura di sicurezza elettroniche e termiche: · Temperatura di allarme in uscita dal tamburo. Superata la soglia di temperatura programmata, viene generato un comando di interruzione dell’alimentazione del combustibile e dell’aria di combustione. · Termo-valvola di allarme dei refrattari della precamera. Nel caso in cui si raggiunga una eccessiva temperatura viene interrotta l’alimentazione del combustibile e dell’aria di combustione. - Sul panello frontale, oltre ai pulsanti e agli elementi di segnalazione sono presenti i seguenti dispositivi di misura: · Voltmetro per la tensione tra le fasi; · Amperometro sull’alimentazione del ventilatore di aspirazione fumi – vapori; · Amperometro sull’alimentazione del motore di rotolamento tamburo; · Indicatore della temperatura d’esercizio; · Indicatore della temperatura d’allarme; · Indicatore della temperatura dei refrattari. Particolare cura deve essere posta nell’avviamento del motore del ventilatore e del motore di rotolamento tamburo, per evitare eccessivi sovraccarichi allo spunto. Entrambi devono essere avviati in assenza di carico, per evitare spunti eccessivi di corrente (con impedimenti anche dell’avviamento), all’avviamento del ventilatore la valvola di intercettazione e regolazione del flusso dei fumi – vapori, deve essere chiusa; all’avviamento del rotolamento del tamburo, il tamburo deve essere vuoto di sansa e cippato (tale condizione è raggiungibile soltanto se la fermata precedente del tamburo viene fatta dopo aver vuotato il tamburo). 7 - La triturazione preliminare dei residui di potature I residui di potature di vigneti e/o frutteti, ricavate dai cantieri di raccolta delle aziende agricole, devono essere opportunamente trattate per poter essere prima essiccate opportunamente e poi pellettizzate previa miscelazione con le sanse vergini. Al fine di ottimizzare il processo di essiccazione e consentire la successiva pellettizzazione in pellet di diametro di 6-8 mm, è necessario ridurre i residui di potatura in frammenti più o meno piccoli e regolari: questa operazione viene definita triturazione (o cippatura fine) e in linea di principio può essere effettuata con diverse macchine che, a seconda del principio di funzionamento e delle caratteristiche del prodotto finale, sono dette cippatrici o trituratori. La triturazione meccanizzata consente di ottenere una serie di vantaggi, quali: risparmio di tempo rispetto all’allestimento convenzionale con motosega (sramatura e sezionatura dei fusti), specie quando nel trituratore è possibile introdurre piante intere o intere porzioni di queste, senza doverle “sramare” o sezionare: in tal modo si ottengono produttività orarie davvero elevate specie se si utilizzano macchine appositamente progettate allo scopo, tenendo pure conto della varietà di essenze trattate; risparmio anche nelle operazioni di carico, dal momento che tali macchine sono in grado di trasportare il prodotto finale direttamente nel mezzo di trasporto; migliore sfruttamento della biomassa ricavata dalle utilizzazioni: si utilizzano tutte le parti della pianta, anche quelle che altrimenti rimarrebbero in bosco o in campo come scarti di lavorazione, recuperando in genere almeno un 20-30% del prodotto complessivo; diminuzione della suscettività agli incendi da parte del soprassuolo dove i residui sono assenti; riduzione del volume apparente di rami, cimali, scarti di utilizzazione, facilitandone il successivo trasporto ai siti di stoccaggio o impiego finale. Tuttavia, tale operazione presenta in generale anche alcuni svantaggi, quali: presenza di un mercato non ancora così espanso e trasparente per l’impiego del cippato a fini energetici; la notevole richiesta di energia delle macchine trituratrici, che si ripercuote nel bilancio finale dei costi e dei consumi del lavoro. Nell’ambito del progetto Ecodens, per consentire la pellettizzazione dei residui da potatura (insieme alla sansa vergine d’oliva), il prodotto uscente dal sistema di triturazione deve rispondere ad alcune caratteristiche indispensabili per una corretta ed efficace essiccazione, necessaria alla pellettizzazione. Tali caratteristiche essenzialmente riguardano la dimensione del materiale che in particolare deve presentarsi come particelle di legno sfibrate aventi forma pressoché cilindrica, con diametro massimo di 15 mm ed altezza compresa tra i 20 e i 50 mm. E’ necessario pertanto individuare la tipologia di macchina piu adatta a questa specifica operazione, tenuto conto che i residui di potature tendo in genere a dare una biomassa che si presenta con elevati rapporti di allungamento lunghezza/diametro, 7.1 - Macchine per la triturazione/cippatura del legno Come accennato nel paragrafo precedente, le macchine che permettono la trasformazione da residui di potature a frammenti di legname, detto cippato, sono essenzialmente due: la cippatrice e il trituratore. Il prodotto delle prime si presenta generalmente come un insieme di piccoli pezzi di legno aventi la forma di un parallelepipedo, con lati aventi dimensioni dagli 8 ai 60 mm, come mostrato nella seguente figura: Figura 25 – Aspetto tipico del prodotto di lavorazione delle cosiddette “cippatrici”. Il cippato viene spesso utilizzato come combustibile o come materia prima per processi industriali. Il prodotto dei trituratori si invece presenta come un insieme di scaglie, le cui dimensioni e forme dipendono dalle peculiari caratteristiche dell’organo predisposto alla triturazione. Un esempio di di prodotto trituratore, insieme al trituratore è illustrato nella seguente figura: Figura 26 – Aspetto tipico della legna triturata e relativo trituratore a coltelli. I. Anche se a prima vista il prodotto sembra simile, in realtà le differenze produttive e le modalità con cui avviene questa trasformazione permettono la netta distinzione di queste categorie di macchine operatrici in cippatrici e trituratori. 7.1.1 Le cippatrici Le cippatrici sono macchine composte in genere da una struttura portante trasportabile, che sostiene l’organo di taglio e di alimentazione. La potenza è trasmessa all’organo di taglio attraverso catene o cinghie, mosse a loro volta dall’unità motrice per mezzo di giunti cardanici, muniti di frizione per evitare i danni altrimenti provocati dalle eccessive sollecitazioni. Sono inoltre presenti gli apparati di alimentazione e di espulsione della materia da trattare. A seconda del tipo e delle caratteristiche dell’organo tagliente, le cippatrici si distinguono in tre tipologie diverse, quali: 7.1.1.1 cippatrici a disco ; cippatrici a tamburo ; cippatrici a vite senza fine (oppure dette a vitone o coclea). - Cippatrici a disco Nelle cippatrici a disco l’organo tagliente è costituito da un pesante volano (vedi figura 18) in acciaio su cui sono montati 2-4 coltelli in posizione radiale: vicino ai coltelli il disco presenta delle piccole fessure, attraverso cui passa il materiale tagliato. Figura 27 – Cippatrici a disco con di volano dotato di coltelli e finestre passaggio materiale. Le dimensioni delle scaglie possono essere variate regolando manualmente la sporgenza dei coltelli; il disco ha un diametro minimo di 80 centimetri e ruota attorno a un asse orizzontale o inclinato di 40-45°. In queste macchine la materia prima legnosa è introdotta manualmente, arriva ai coltelli in obliquo e viene tagliata a becco di flauto. Il materiale triturato viene poi espulso attraverso il convogliatore di scarico, dotato di deflettore orientabile che permette di direzionarne il flusso a terra, o verso un apposito contenitore. 7.1.1.2 - Cippatrici a tamburo Nelle cippatrici a tamburo l’organo tagliente è costituito da un cilindro ruotante attorno al proprio asse longitudinale, che giace su un piano orizzontale. La cippatura avviene tramite l’azione del tamburo, il quale ruotando ad elevata velocità, tramite i coltelli, montati sulla superficie esterna del tamburo (il loro numero varia da 1 a 4), taglia parti di legno dai tronchi che vengono spinti verso il tamburo, perpendicolarmente all’asse di rotazione di quest’ultimo, come mostrato in figura 4. Figura 28 – Rappresentazione schematica di una cippatrice a tamburo. Variando la dimensione dei coltelli è possibile scegliere la dimensione dei chips prodotti. Il diametro minimo del tamburo è compreso tra circa 30 centimetri nelle cippatrici più piccole e circa 100-150 centimetri nei modelli più grandi. 7.1.1.3 Cippatrici a vite senza fine Nelle cippatrici a vite senza fine l’organo di taglio è costituito da una spirale tagliente che ruota attorno a un asse orizzontale. Tale apparato non è regolabile, per cui non si può variare la grandezza delle scaglie ricavabili, che in genere presentano una lunghezza di 50-80 mm. Il legno è inserito manualmente e viene trascinato e lavorato da una coclea. Solitamente l’alimentazione della cippatrice avviene attraverso una bocca tronco-piramidale caratterizzata da una forte svasatura verso l’esterno, in modo tale da facilitare l’ingresso di piante complete di rami; l’alimentazione può essere effettuata manualmente o per mezzo di una gru idraulica, la quale permette di innalzare la produttività e il livello di sicurezza. Normalmente, per tutti i modelli a uso professionale o industriale, dalla bocca di alimentazione il materiale viene inviato all’organo di taglio per trascinamento tramite rulli dentati, il cui moto è ottenuto mediante motori idraulici. In questa tipologia di cippatrice non vi sono veri e propri organi di trascinamento, in quanto è lo stesso apparato tagliente che provvede anche al rifornimento. L’espulsione dei chips avviene grazie a una ventola posta dietro l’organo di taglio, che soffia il materiale attraverso un collo d’oca. Nei modelli a disco l’azione è svolta da una serie di alette poste radialmente al volano e tutt’uno con esso. La direzione e la gittata delle scaglie possono essere modificate in modo variabile. 7.1.2 I trituratori A differenza delle cippatrici, i trituratori producono in genere materiale piuttosto sfibrato e irregolare per dimensioni e qualità; in genere il prodotto ottenibile è utilizzabile non per la produzione di energia ma per il compostaggio, per cui i trituratori solitamente non rientrano nelle dotazioni di mezzi di cui dispongono le piattaforme di produzione del legno-energia. Si tratta pero di macchinari relativamente semplici e molto affidabili, particolarmente adatti per piccoli impianti. Come le cippatrici, anche i trituratori sono costituiti da una struttura di supporto, da una trasmissione, da un organo sminuzzatore e dagli apparati di alimentazione della materia prima legnosa e di espulsione del prodotto. Rispetto alle cippatrici tali componenti nei trituratori sono più semplici e allo stesso tempo più robusti. L’invio del materiale destinato alla sminuzzatura avviene per caduta o per mezzo di un nastro trasportatore. L’operazione di triturazione può avvenire impiegando organi rotanti ad alta velocità che sminuzzano il legno con un’azione di taglio, oppure impiegando organi rotanti a bassa velocità che sminuzzano il legno strappandolo o schiacciandolo. L’espulsione della biomassa triturata avviene per caduta attraverso un vaglio, sotto al quale è generalmente situato un nastro trasportatore. In base al numero di alberi rotanti i trituratori si suddividono in: Trituratori monoalbero Trituratori bialbero Trituratori quadrialbero. 7.1.2.1 Trituratori monoalbero Questa tipologia di trituratori è la più semplice implementabile ed essenzialmente fa uso di un solo albero a cui sono solidali gli organi taglienti (vedi figura seguente). Figura 29 – Rappresentazione schematica di un trituratore monoalbero. Un trituratore monoalbero essenzialmente è composto da un cassetto spintore ad azionamento idraulico (4) con limitatore di massima pressione e inversione del moto, il quale spinge il materiale verso un rullo (2) porta utensili di taglio (3) che, grazie alla sua rotazione ed all'azione di una contro lama (6), effettua la pre-rottura e la macinazione del materiale. Una griglia forata determina la dimensione finale del macinato e quindi permette il passaggio del prodotto delle dimensioni volute al successivo passo di lavorazione, mentre il prodotto la cui misura è maggiore di quella richiesta rimane nella camera continuando il processo di triturazione. Nella figura seguente è riportata la immagine di albero di un trituratore monoalbero dotato di 32 utensili: Figura 30 - Esempio di albero di un trituratore monoalbero corredato da 32 utensili taglienti. 7.1.2.2 Trituratori bialbero Un trituratore bialbero è composto essenzialmente da due alberi a lame rotanti con opportuni pettini distanziatori (vedi fig.22) . Figura 31 - Alberi di un trituratore bialbero, costituiti da frese a disco provvisti di uncini. Con riferimento alla successiva fig.23, in queste macchine il materiale da triturare viene caricato nella tramoggia di carico (1), quindi per caduta accede ai due alberi con elementi taglienti, costituiti da frese a disco (3), provvisti di uncini (2). Ciascun uncino ha la funzione di “agganciare” il prodotto e di effettuarne il trascinamento ed il taglio, grazie all’azione dei due alberi contro rotanti. I pettini distanziatori (4) mantengono puliti gli utensili facilitando lo scarico del materiale. Figura 32 - Schema rappresentativo di un trituratore bialbero di medie dimensioni. 7.1.2.3 Trituratori quadri albero Questa tipologia di trituratori è composta essenzialmente da quattro alberi, due di essi ruotano in un verso, mentre gli altri due nel verso opposto, in modo da convogliare il materiale da triturare tra gli alberi. Essi, come mostrato nella successiva figura 24, sono composti da una tramoggia in ingresso (1), dalla quale per caduta il materiale accede alla camera dove si trovano quattro alberi con elementi taglienti costituiti da frese a disco (3) provvisti di uncini (2). Il prodotto quindi nella fase successiva passerà attraverso una griglia (5) che effettuerà la vagliatura del materiale a secondo della granulometria richiesta. Il materiale, le cui dimensioni non sono idonee a passare attraverso la griglia, e quindi non rispondente alle specifiche del progetto, viene riportato in circolo per essere ulteriormente triturato. Per cui più i fori della griglia sono piccoli, più aumentano i passaggi che deve compiere il materiale attraverso il gruppo di macinazione e quindi il tempo impiegato. Figura 33 - Schema semplificato di un tipico trituratore quadrialbero. Di solito è presente un dispositivo di sicurezza che inverte temporaneamente il movimento delle lame, prevenendo ogni sovraccarico strutturale o rottura della macchina in presenza di una quantità eccessiva di materiale in presa. 7.2 Scelta e dimensionamento del macchinario per il progetto ECODENS La scelta della tipologia di macchina da utilizzare per la produzione del prodotto semilavorato adatto alla essiccazione ed alla successiva pellettizzazione previo opportuno raffinamento, dipendono essenzialmente da sei fattori: Dimensione del prodotto semilavorato Consistenza del prodotto semilavorato Produttività oraria massima Costo iniziale del macchinario Robustezza della macchina Energia impiegata per produrre il semilavorato La scelta ottimale della macchina idonea per assolvere alla triturazione dei residui di potatura è frutto pertanto di una attenta analisi di tali fattori. La dimensione e la consistenza del prodotto semilavorato sono dei fattori assolutamente rilevanti, in quanto da essi dipende la qualità del prodotto finale. Infatti, le caratteristiche richieste dalle fibre legnose per la successiva fase di raffinamento sono le seguenti: Forma pressoché cilindrica Diametro massimo 20 mm Lunghezza del prodotto semilavorato compresa tra 20 e 50 mm. Altro fattore importante è la produttività oraria raggiungibile, intesa come la quantità di semilavorato prodotto in un ora di funzionamento ordinario [kg/h]. Nella ipotesi che il trituratore debba lavorare in serie con l’impianto di essiccazione e lo stesso sia impiegato per la essiccazione separata di sanse e residui di potature tritati, al trituratore è richiesta una produttività oraria di biomassa pari alla portata nominale dell’impianto di essiccazione di 850 kg/ora. Il costo della macchina è anch’esso un fattore fondamentale; nella fattispecie del progetto ECODENS poiché il pellet è di per se un prodotto “povero” ci si dovrà orientare verso soluzioni che comportano bassi costi di investimento. La robustezza della macchina è importante perché da questa dipende la durata del macchinario stesso nonché i costi di manutenzione ordinaria e straordinaria. Come già accennato, da questo punto di vista i trituratore superano le cippatrici, cioè i trituratori sono macchine più robuste ed affidabili caratterizzati da minori costi di manutenzione. Infine il consumo di energia (elettrica o altro) per la triturazione del materiale è anch’esso di primaria importanza, in quanto concorre significativamente alla definizione del costo finale del prodotto, facendo parte dei costi variabili. Ci si deve orientare pertanto verso la oculata scelta di un sistema poco “energivoro” ed ecosostenibile. Dovendo minimizzare i costi di investimento, ma anche i costi di esercizio e manutenzioni, tenuto conto della limitata produttività oraria necessaria (850 kg/ora), la scelta ricade certamente sui trituratori più semplici e cioè sui trituratori a coltelli monoalbero. Tale macchinario dovrà avere dimensioni opportune ed una potenza elettrica del motore commisurata alla produttività oraria richiesta evitando possibili sprechi per sovradimensionamento, approccio tipicamente utilizzato dai costruttori per evitare specifiche progettazioni del prodotto. Per quanto concerne le dimensioni del cilindro rotante porta utensili, tenuto conto della limitata portata oraria richiesta, delle limitate dimensioni dei residui di potatura da triturare, che solitamente sono conferiti attraverso una preliminare azione di trinciatura in campo con macchina trincia sarmenti (dimensioni massime di 15-20 cm), nonché dei limitati sforzi di taglio che caratterizzano il materiale legnoso si può optare per una macchina avente una lunghezza d’asse di 800 mm (valore minimo dei trituratori commerciali) ed un diametro del rotore di 300-350 mm (valori minimi adottati dalle principali case costruttrici. Per quanto concerne invece il dimensionamento del motore elettrico che consente di minimizzare i consumi, lo stesso può farsi a partire dal calcolo degli sforzi di taglio e della superficie media di taglio oraria da produrre. In particolare considerando in modo leggermente conservativo che tutte le superfici della massa triturata siano ottenuto da taglio, con una granulometria media di 15x15x30 mm si ha una superficie da tagliare Schip pari a: 𝑆𝑐𝑖𝑝 = 60𝑥 30 + 2 ∗ 15 ∗ 15 = 1800 + 450 = 2250 𝑚𝑚𝑞 Poiché un tale “chip” ha un peso Wchip pari a : (26) 𝑘𝑔 𝑊𝑐𝑖𝑝 = 15 ∗ 15 ∗ 30 ∗ 600 𝑚𝑐 ∗ 10−9 = 4.05 𝑔 (27) Alla produzione di 850 kg/h corrisponde pertanto una superficie di taglio complessiva (Stot) pari a : 850 𝑆𝑡𝑜𝑡 = 2250 𝑥 4.05 𝑥 1000 = 472 𝑚𝑞 (28) Per creare una tale superficie di taglio (frattura), considerando un fattore di utilizzazione della macchina pari a 2 ed una resistenza al taglio del legno pari a 500 N/cmq, occorre una energia (Etot) mediamente pari a: 𝐸𝑡𝑜𝑡 = 2 𝑥 500 ∗ 100 ∗ 100 𝑆𝑡𝑜𝑡 ∗ 𝑆𝑡𝑜𝑡 0.5 = 50 𝑥 10 9 𝐽 = 50.000 𝑘𝐽 = 27.8 𝑘𝑊 (29) Considerando un rendimento totale dei riduttori meccanici e dei sistemi di trasmissione del 93%, si ottiene una potenza nominale del motore elettrico ottimale pari a 27.8/0.93=30 kW. L’esame delle macchine disponibili in commercio con le caratteristiche geometriche sopra definite (lunghezza d’asse di 800 mm e diametro cilindro di 300-400 mm) mostra l’adozione da parte dei costruttori di motorizzazioni nel range 37-50 kW, che risultano piuttosto largamente sovradimensionate. Al dine di evitare inutili sovradimensionamenti con spreco di energia elettrica consumata, si dovrà chiedere al fornitore la installazione di un motore elettrico di potenza di circa 30 kW. 8 Progettazione di massima della pellettatrice Una volta essiccato e successivamente raffinato, con apposito mulino raffinatore (con mulino a coltelli e griglia di 4 mm ovvero con mulino centrifugo con griglia di pari dimensioni) la pellettizzazione conclude il processo di densificazione. La pellettizzazione è una fase della lavorazione che mal si presta ad una progettazione accurata in quanto il processo risulta dipendente da una molteplicità di parametri mutamente interferenti che è difficile controllare in sede teorica. La definizione finale dei parametri della pellettatrice è una operazione che necessita di una sistematica campagna di prove sperimentali condotte possibilmente in collaborazione con il produttore. Nella pellettizzazione il prodotto in ingresso, detto volgarmente “polverino” (il materiale in uscita dal mulino raffinatore), viene trasformato dalla configurazione di particelle sfuse di diametro generalmente compreso tra 2 e 4 mm, ad una configurazione di di piccoli cilindri, di diamtro di 6-8 mm, caratterizzato da notevoli vantaggi sia in termini di facilità ed economia di stoccaggio sia in termini di maneggi abilità e facile trasporto. La configurazione in pellet da luogo anche a significativi vantaggi per quanto concerne la gestione del processo di combustione e il rendimento dello stesso. Il macchinario utilizzato per la trasformazione del “polverino” in pellet si chiama pellettatrice o pellettizzatrice. Il lavoro svolto da quest’ultima consiste in sintesi nella pressatura del “polverino”, unito all’ 1-2% di acqua sotto forma di vapore, attraverso una trafila forata (matrice) ad elevata pressione (fino a 200 atmosfere con associato riscaldamento sino a 70°C circa), utilizzando idonei sistemi pressori a rulli. Si realizza cosi in pratica un processo di estrusione, che avviene per compressione e riscaldamento, e si creano dei cilindretti più o meno compressi, normalmente con diametro variabile da 2 a 12 mm (6-8 mm è pero il range più ricorrente) e altezza media variabile da 12 a 18 mm. L’addensamento del materiale organico e la compattazione sono ottenute attraverso la parziale fusione di alcune sostanze naturali presenti nelle particelle di legno, provenienti dagli scarti della potatura, e si verifica mediante la sua compressione e conseguente riscaldamento per effetto dell’attrito che si viene ad avere tra il materiale e le superfici dei fori estrusori. In dettaglio, nel caso della pellettizzazione del legno e di sostanze similari, poiché il legno è composto principalmente da cellulosa e lignina, tramite la pressione ottenuta nella fase di pressatura la lignina presente fa da collante rivestendo le fibre di cellulosa: la pellettizzazione del legno può avvenire così senza l’aggiunta di specifici collanti, come avviene talvolta invece con altre sostanze. Normalmente il riscaldamento della biomassa operato dall’attrito assicura che la lignina venga meglio rilasciata e questo contribuisce ad aumentare il legame delle particelle nel prodotto finale. Non si hanno pertanto in genere problemi di sorta nella pellettizzazione del legno, che consente di ottenere pellet con vari diametri e varie lunghezze. Nel caso in studio di pellettizzazione di una miscela costituita da sansa vergine mista a legno proveniente da residui di potature di diversa natura (vite, ulivo ecc), il processo di pellettizzazione può incontrare due diversi problemi: 1) La presenza di sostanze oleose nella sansa vergine potrà dar luogo ad un basso coefficiente di attrito e quindi ad una bassa compattazione della miscela, con conseguente bassa stabilità meccanica del pellet; 2) La variabilità delle essenze trattate (alcune significativamente più dure) può dar luogo a maggiori sforzi di pellettizzazione e ad una maggiore usura dei rulli pressori e impossibilità di individuare condizioni ottimali di lavorazione. Il primo problema potrà essere risolto con opportuno dimensionamento della trafila, con particolare riferimento alla sua altezza intesa come la altezza dei fori estrusori che dovrà essere opportunamente calibrata tenuto conto della massima percentuale di sansa che si intende miscelare con i residui di potature (rapporto 70:30). Il secondo problema consiglia l’adozione di una trafila e di rulli pressori dimensionati considerando le caratteristiche del materiale più duro da trattare. Per la effettiva risoluzione di tali problemi si rimanda ad una opportune campagna di prove sperimentali. Visti gli elevati costi delle macchine pellettatrici, ai fini della implementazione dell’impianto di essiccazione, al fine di contenere opportunamente i costi si sconsiglia la collocazione della stessa in serie all’impianto; risulta infatti economicamente molto più conveniente l’uso di una pellettatrice di portata inferiore a quella del sistema (850 kg/h) separando la pellettizzazione dalla linea stessa mediante introduzione di una operazione di stoccaggio del polverino, che potrà essere successivamente caricato nella pellettatrice ed essere pellettizzato in tempi anche significativamente superori a quelli di lavoro dell’impianto (2 mesi per anno). Per esempio, ipotizzando di pellettizzare il materiale durante tutto l’anno con turni di lavorazione di 8 ore, i 660 tonnellate di materiale essiccato potrebbero essere lavorate in un tempo di 8 ore x 300 giorni lavorativi = 2400 ore da una pellettizzatrice avente una produttività oraria di 660000 kg/ 2400 ore = 275 kg/ora. E’ questo l’ordine di grandezza della macchina che è bene scegliere per limitare opportunamente i costi dell’impianto. Quasi tutte le cose produttrici di pellettizzatrici costruiscono macchine professionali a trafila verticale con simili portate orarie.
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