rassegna prati rubini - Università di Bologna

RUNNING HEAD: La complessità dell’identità sociale
Categorizzazioni, appartenenze sociali multiple e riduzione del pregiudizio intergruppi
Francesca Prati e Monica Rubini
Università degli Studi di Bologna
N. caratteri: 88.699
Dipartimento di Scienze dell’Educazione
Università di Bologna
Via Filippo Re 6,
40126, Bologna
Italia
email: [email protected]
1
La complessità dell’identità sociale
2
TITOLO: Categorizzazioni, appartenenze sociali multiple e riduzione del pregiudizio intergruppi
Riassunto
Questa rassegna ripercorre gli sviluppi fondamentali delle teorie sulla categorizzazione sociale.
Il percorso evidenzia che quanto più tale processo socio-cognitivo si arricchisce di criteri e dimensioni sociali, tanto più è possibile osservare tendenze alla riduzione della discriminazione
intergruppi e del pregiudizio sociale. Oltre alla complessità nella percezione delle appartenenze
sociali altrui, anche la consapevolezza di essere contemporaneamente membri di molteplici
gruppi sociali contribuisce ad attenuare differenziazioni, stereotipi e pregiudizi intergruppi. Si
discutono le implicazioni teoriche ed applicative dei risultati oggetto di questa rassegna.
PAROLE CHIAVE: categorizzazione sociale multipla, identità sociale complessa, pregiudizi sociali, relazioni intergruppi.
La complessità dell’identità sociale
TITLE: Multiple Social Categorizations, Complex Social Identities and the Reduction of Intergroup Prejudices
Abstract
The current paper reviews the fundamental developments of social categorization
theories, showing that the more the number and complexity of others’ social categories increase, the more social prejudice and intergroup discrimination decrease.
Moreover, not only the perception of the complex combination of others’ memberships but also the awareness of being at same time members of multiple
groups contribute to attenuate intergroup differentiations, stereotypes and prejudices. Theoretical and applied implications of these findings are discussed.
KEYWORDS: multiple social categorization, social identity complexity, social
prejudice, intergroup relations
3
La complessità dell’identità sociale
4
Categorizzazioni, appartenenze sociali multiple e riduzione del pregiudizio intergruppi
“I principali conflitti del mondo contemporaneo nascono dalla presunzione che le persone possano essere considerate esclusivamente in base alla religione, o alla cultura o alla etnia” (Sen, 2006, p. 15). Questa affermazione del premio Nobel Amartya Sen trova conferma
scientifica negli studi in psicologia sociale che hanno indagato il ruolo della categorizzazione
degli altri e di sé nella formazione di impressioni e comportamenti intergruppi.
Lo sviluppo degli studi sulla categorizzazione sociale ha seguito l’evoluzione storicopolitica delle società occidentali, dai cui eventi e problemi sociali gli studiosi sono stati e continuano ad essere interrogati.
Nel periodo successivo alle guerre mondiali, sono state indagate le origini del conflitto
tra gruppi sociali, arrivando a mostrare che il processo socio-cognitivo della categorizzazione
sociale è alla base dei pregiudizi intergruppi. Invece, le società contemporanee, multiculturali e
democratiche, hanno stimolato la ricerca di strategie di riduzione delle discriminazioni, attraverso l’aumento del numero e della complessità delle combinazioni categoriali. Infatti, da una
parte, la categorizzazione sociale semplice, accentuando la differenziazione tra “noi” e “loro”,
può dare origine a scontri tra tifoserie sportive, conflitti di genere, fino a guerre inter-etniche;
dall’altra, le persone sono in grado di considerare contemporaneamente le molteplici appartenenze che compongono la complessa unicità di ciascuno. Una combinazione specifica di variegate appartenenze sociali contraddistingue ogni persona, dall’etnia ai gusti musicali, dagli interessi sportivi allo status, dal genere all’orientamento politico. Dunque, così come ogni persona
si considera contemporaneamente parte di vari gruppi sociali, allo stesso modo, affiliazioni
molteplici possono essere attribuite agli altri.
Seguendo il percorso storico della letteratura sulla categorizzazione sociale, e tenendo in
considerazione i due soggetti oggetto della categorizzazione sociale, ovvero gli altri e il sé, la
rassegna è organizzata in due parti. Nella prima, viene considerata la prospettiva degli osservatori, che formulano impressioni, semplici o complesse sugli altri in base alle loro appartenenze
La complessità dell’identità sociale
5
sociali. Nella seconda parte, il focus dell’attenzione è posto sulla percezione dell’identità sociale del Sé, unidimensionale o molteplice, indagando la prospettiva dell’attore sociale.
La prima parte della rassegna esamina gli studi che hanno dimostrato l’influenza della
categorizzazione sociale nello sviluppo di pregiudizi e discriminazione verso gli appartenenti
ad outgroup, insieme agli studi che hanno proposto strategie per ridurre la differenziazione intergruppi a livello percettivo e comportamentale. Al riguardo, si evidenzieranno i processi socio-cognitivi sottesi alla valutazione di appartenenze molteplici e complesse degli altri, insieme
agli aspetti affettivi e motivazionali correlati.
La seconda parte della rassegna si concentra, invece, sull’identità sociale, intesa come
prospettiva fondamentale degli attori sociali. Dopo aver considerato i principali contributi
scientifici sulla categorizzazione del Sé, si riporteranno le evidenze sperimentali che hanno indagato lo sviluppo e le implicazioni relative alla gestione di un’identità sociale complessa, ovvero il riconoscimento simultaneo di categorizzazioni sociali molteplici del Sé.
Attraverso questo percorso, si intende evidenziare che la complessità nella percezione
delle appartenenze sociali altrui, insieme alla consapevolezza di essere contemporaneamente
membri di molteplici gruppi sociali, rappresentano strategie utili per la riduzione dei pregiudizi
e la promozione dell’integrazione sociale.
1. La prospettiva degli osservatori sociali
1.1 Gli studi sul processo socio-cognitivo della categorizzazione
Secondo Allport (1954) le categorie sociali sono “nomi che tagliano a fette il gruppo
umano”. Tali attribuzioni consentono agli individui di cogliere rapidamente gli aspetti essenziali degli altri e di sé per interagire prontamente ed efficacemente nella realtà sociale. In The nature of prejudice, il contributo che ha influenzato in maniera decisiva la letteratura sul pregiudizio, Allport (1954) sottolinea l’inevitabilità del processo di categorizzazione affermando che
“la mente umana deve pensare con l’aiuto delle categorie. Una volta formate, le categorie sono
la base di pre-giudizi normali. Non possiamo evitare questo processo. La vita ordinaria dipende
La complessità dell’identità sociale
6
da questo” (pag. 20). Tuttavia, se da un lato la semplificazione operata sulla realtà dalla categorizzazione sociale consente di ridurre le incertezze e risparmiare risorse cognitive, dall’altro,
essa può generare giudizi grossolani, stime di probabilità poco attendibili e inferenze spesso errate. Infatti, evitando un processo di ragionamento accurato, la strategia socio-cognitiva della
categorizzazione accentua le differenze intergruppi, alimentando credenze positive e attaccamento verso le persone con cui si condividono appartenenze sociali, a discapito degli altri.
Dunque, è possibile affermare che pregiudizi e discriminazioni sociali sono prodotti di
processi cognitivi funzionali alla vita quotidiana (e.g., categorizzare), tesi al riconoscimento
positivo, da parte degli osservatori, riservato a coloro che condividono le stesse appartenenze di
gruppo. Nelle relazioni intergruppi, però, tale valorizzazione degli appartenenti ai propri gruppi, inevitabilmente comporta una differenziazione svalutante verso coloro che appartengono ad
altri gruppi sociali.
Tra percezione categoriale e interpretazione della realtà
Tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, diversi studiosi hanno incentrato le proprie ricerche sulle basi razionali all’origine delle discriminazioni intergruppi. Alcuni, come Tajfel, erano spinti dal desiderio di fornire una spiegazione al genocidio di cui è stato oggetto il popolo
ebraico, insieme ad altri innumerevoli gruppi umani, durante la seconda guerra mondiale.
Partendo dagli studi di Campbell (1956), secondo il quale il conflitto tra gruppi è diretta
conseguenza della categorizzazione sociale, Tajfel (1981) ha ipotizzato due effetti percettivi distinti conseguenti alla classificazione di oggetti o persone in categorie: la sovrastima delle differenze tra membri di categorie diverse (differenziazione inter-categoriale) e l’accentuazione
delle somiglianze tra appartenenti ad una stessa categoria (assimilazione intra-categoriale).
Una prima verifica della funzione e degli effetti della categorizzazione è stata effettuata
da Tajfel e Wilkes (1963), in uno studio i cui risultati hanno evidenziato che una divisione categoriale esplicita di stimoli fisici è un principio organizzatore della modalità di conoscenza,
La complessità dell’identità sociale
7
che influenza la percezione della realtà, arrivando ad alterare la valutazione delle differenze attraverso classificazioni stereotipiche.
Analogamente a quanto rilevato per la categorizzazione di oggetti (Tajfel e Wilkes,
1963), la categorizzazione sociale induce l’accentuazione delle somiglianze tra le persone appartenenti ai medesimi gruppi e quella delle differenze tra membri di gruppi distinti. Insieme
questi effetti determinano, secondo Tajfel, una delle caratteristiche peculiari del comportamento e degli atteggiamenti intergruppi, ovvero la tendenza a considerare i membri dell’outgroup
come “elementi indifferenziati di un’unica categoria sociale” (1982, p. 21) tralasciando le caratteristiche individuali. Infatti, il processo di categorizzazione sociale si differenzia dalla classificazione “tout court”, in quanto coinvolge le appartenenze - identità sociali - degli osservatori,
quindi l’attivazione di valori e significati rilevanti, che comportano la divisione dell’ambiente
sociale in “noi” e “loro”. Sulla base di questi presupposti, studi successivi (Tajfel, Billing,
Bundy e Flament, 1971; Tajfel & Turner, 1979) hanno dimostrato che l’accentuazione delle
differenze tra membri di gruppi diversi (effetto intergruppi) e la riduzione della distinzione tra
quelli dello stesso gruppo (effetto intragruppo) sono alla base di valutazioni più positive verso
gli appartenenti agli ingroups e di attribuzioni stereotipiche verso le persone dell’outgroup.
Dalla minima categorizzazione ingroup-outgroup al pregiudizio sociale
Gli studi sul ruolo della categorizzazione nelle valutazioni sociali rappresentano uno dei
più importanti e significativi contributi nella ricerca sulle relazioni intergruppi. Per rilevare
l’influenza della mera categorizzazione su percezioni e giudizi sociali, Tajfel, Billing, Bundy e
Flament (1971) hanno studiato una condizione sperimentale controllata in modo da escludere
l’influenza di altri fattori e quindi rappresentare una forma minima di categorizzazione sociale.
I risultati hanno mostrato che la semplice distinzione noi (ingroup) vs. loro (outgroup),
anche casuale, introduce una norma comportamentale intergruppi, che porta a favorire il gruppo
di appartenenza, discriminando il gruppo di confronto. Infatti, i partecipanti preferivano la strategia di massima differenziazione intergruppi a favore dell’ingroup, a discapito del massimo
La complessità dell’identità sociale
8
guadagno assoluto dell’ingroup. Tale preferenza è stata spiegata dal concetto di positive distinctiveness, cioè dall’interesse a contraddistinguere positivamente la propria appartenenza sociale
nel confronto intergruppi. Inoltre, secondo il principio di reciprocità, le persone sono spinte dal
desiderio di veder ricambiato dai membri dell’ingroup il proprio bisogno di differenziazione
sociale.
Gli effetti della differenziazione intergruppi sono poi stati evidenziati sia da un punto di
vista comportamentale, sia cognitivo, che emotivo (Doise, 1978). E’ stato mostrato che, quando
sono salienti le appartenenze intergruppi, piuttosto che le caratteristiche interpersonali, le persone tendono a ricordare più informazioni e in forma più dettagliata sui membri dell’ingroup
rispetto a quelli dell’outgroup (Park e Rothbart, 1982), e a provare emozioni più positive verso
coloro che condividono la stessa appartenenza di gruppo (Otten e Moskowitz, 2000).
1.2 Gli studi sulla riduzione dei pregiudizi intergruppi
Quasi simultaneamente allo studio del potere “destruens” della categorizzazione sociale,
come possibile base razionale dei conflitti intergruppi, gli studiosi hanno iniziato a considerare
anche il ruolo “construens” della categorizzazione sociale, quale base per la cooperazione e inclusione sociale. In tale prospettiva, numerosi studi hanno indagato i percorsi socio-cognitivi
che consentono di evitare tali semplificazioni interpretative e i loro effetti nelle relazioni intergruppi.
La categorizzazione sociale incrociata
Il paradigma della categorizzazione incrociata (Deschamps e Doise, 1978) rappresenta
un primo tentativo di ridurre differenziazioni e pregiudizi intergruppi, ispirato alla composizione multiforme della realtà sociale e dei singoli individui che la compongono. Infatti, la divisione sociale “noi” e “loro”, definita dalla categorizzazione sociale semplice, non è sufficiente a
catturare interamente la complessità delle relazioni umane.
Doise (1978) ha, innanzitutto, elaborato la nozione di differenziazione categoriale, distinguendo tre livelli interconnessi, sui quali agisce il processo di categorizzazione sociale:
La complessità dell’identità sociale
9
quello dei giudizi di valore, quello delle rappresentazioni o cognitivo e quello comportamentale. Poiché la differenziazione in uno di essi produce modificazioni anche agli altri livelli, allo
scopo di ridurre giudizi e comportamenti discriminatori, Deschamps e Doise (1978) hanno avanzato la possibilità di intervenire sul livello cognitivo, rendendo simultaneamente salienti
non una sola, ma due dimensioni categoriali nella valutazione degli altri. Nel paradigma delle
categorizzazioni incrociate, gli autori hanno mostrato che stimolando la valutazione contemporanea di due appartenenze sociali relative alla stessa persona si interviene sui corollari della categorizzazione, poiché la somiglianza intra-gruppo, così come l’enfatizzazione delle differenze
inter-gruppo in base ad una dimensione categoriale, è attenuata dalla seconda dimensione considerata e viceversa. Inoltre, le due dimensioni categoriali considerate possono essere entrambe
condivise (ingroup), entrambe non condivise (outgroup), oppure una condivisa e l’altra non
condivisa rispetto alle appartenenze dei percipienti. Nell’ultimo caso, si indebolisce la differenziazione, aumentando la somiglianza tra percipienti e membri dei gruppi considerati. Al contrario, la classificazione di una persona in base a due categorie convergenti rispetto alle appartenenze di colui/lei che osserva – i.e., doppio outgroup - rafforza la differenziazione e i confini
intergruppi. Nel loro esperimento, Deschamps e Doise (1978) assegnarono un gruppo di adolescenti femmine alle condizioni di categorizzazione semplice (femmine o maschi), o categorizzazione incrociata (femmine adulte, maschi giovani), chiedendo di formulare giudizi, sulla base
di tratti forniti dallo sperimentatore, sulle categorie sociali di “giovani”, “adulti”, “maschi” e
“femmine”. Nella condizione di categorizzazione incrociata, a conferma dell’attenuazione delle
differenze intergruppi, i partecipanti riportavano minori differenze in termini di tratti assegnati
tra le categorie di genere ed età (i.e., noi siamo femmine e loro sono maschi) rispetto a quelli
nella categorizzazione semplice.
In seguito, uno studio di Vanbeselaere (1991) ha confermato i risultati di Deschamps e
Doise (1978), controllando l’uguale salienza delle categorie sociali incrociate. Inoltre, egli ha
confermato le osservazioni di Brown e Turner (1979), secondo i quali, così come il pregiudizio
La complessità dell’identità sociale
10
aumenta nei confronti di coloro che non condividono alcuna appartenenza, esso si attenua verso
le persone che condividono almeno un’identità sociale.
I modelli di valutazione delle categorie sociali incrociate
Il paradigma della categorizzazione incrociata suggerisce che non solo il numero, ma
anche la condivisione, delle appartenenze sociali tra percepiti e percipienti gioca un ruolo significativo sulla formulazione dei giudizi e sulle conseguenti dinamiche intergruppi. In base a tale
evidenza, l’analisi dei modelli di valutazione (Brewer et al., 1987; Hewstone et al., 1993) illustra il ruolo dei fattori contestuali e motivazionali, che contribuiscono a differenziare i processi
di formazione e gli esiti possibili dei giudizi basati sulla combinazione categoriale presentata.
In particolare, i fattori contestuali influenzano la salienza e quelli motivazionali il valore delle
categorie sociali considerate simultaneamente. Se l’incrocio di due categorie sociali genera almeno quattro diverse combinazioni, tali associazioni categoriali contraddistinguono numerose
forme di valutazione, tra le quali sono stati identificati sei modelli distinti (vedi Migdal et al.,
1998; Urban e Miller, 1998; Crisp e Hewstone, 1999).
Il modello addizionale (Brewer et al., 1987) definisce l’incrocio di due categorie di
uguale salienza, il cui singolo giudizio viene sommato nella valutazione complessiva della
combinazione incrociata. Pertanto, gli osservatori attribuiranno giudizi più positivi a coloro con
cui condividono due ingroup rispetto a coloro che appartengono a due outgroup, e i membri di
gruppi misti (ingroup e outgroup) saranno collocati a metà tra queste due valutazioni estreme. Il
modello addizionale è il più comune e utilizzato, in quanto gli altri cinque modelli riguardano
condizioni specifiche, caratterizzate da diversa salienza tra le categorie associate in base al contesto o all’identificazione del percipiente. Il modello dominante descrive le condizioni in cui gli
osservatori ritengono che una delle due categorie sociali associate sia più importante dell’altra,
dunque, la classificazione di quest’ultima risultando meno rilevante, è ignorata nella valutazione conclusiva. Il modello dell’inclusione sociale, è un particolare caso di modello dominante, in
cui il giudizio positivo di una dimensione categoriale condivisa è esteso alla seconda, indipen-
La complessità dell’identità sociale
11
dentemente dal fatto che questa sia condivisa (ingroup), o differente (outgroup), dalle appartenenze dei percipienti. All’opposto, il modello dell’esclusione sociale si riferisce ad una valutazione basata sull’appartenenza ad un outgroup, che determina giudizi ugualmente negativi sia
verso persone appartenenti a un ingroup e ad un outgroup, sia verso persone appartenenti soltanto ad outgroups. Infine, nei modelli di accettazione gerarchica e di denigrazione gerarchica,
la dimensione categoriale comune, cioè dell’ingroup, o quella opposta, cioè dell’outgroup, sono
rispettivamente percepite come una più rilevante dell’altra. La varietà dei modelli osservati sottolinea il ruolo di moderazione dei fattori motivazionali e del contesto nella formulazione dei
giudizi sociali.
Il ruolo dell’identificazione sociale nella valutazione delle categorie incrociate
Partendo dall’assunto che la funzione principale del processo di categorizzazione sociale è la valorizzazione dei membri dei propri gruppi per il mantenimento di un’identità sociale
positiva (Tajfel e Turner, 1979), gli studi di Breakwell e colleghi (2003) hanno definito un modello di valutazione non osservato prima, basato sulla necessità di identificazione sociale. Gli
autori hanno mostrato che, sottoponendo al giudizio di un campione femminile l’incrocio delle
categorie di genere e inclinazione per le scienze naturali, la condizione mista (femmine - frequentanti scienze naturali) è considerata più negativamente rispetto alla condizione di doppio
outgroup (maschi - frequentanti scienze naturali). Poiché la rilevanza dell’aspettativa verso i
membri dell’ingroup porta a discriminare coloro che, all’interno del gruppo d’appartenenza,
non contribuiscono a mantenerne un significato stabile e positivo (le scienze naturali sono una
materia prettamente maschile), la minaccia alla propria identità sociale non è data
dall’outgroup, ma dai membri dell’ingroup che fanno parte anche di un outgroup. Dunque, verso di essi è rivolta una maggiore discriminazione. Questo studio ha mostrato che
l’interdipendenza di significati personali e sociali ha un ruolo rilevante nel processo di valutazione di due identità sociali incrociate, tanto da determinare effetti opposti a quelli attesi, ovvero l’aumento di stereotipi e pregiudizi anche nei confronti dei membri dell’ingroup.
La complessità dell’identità sociale
12
I limiti degli studi sulle categorizzazioni sociali incrociate
Nonostante la concettualizzazione contemporanea di due dimensioni categoriali ampli la
base del giudizio sugli altri, essa non si è rivelata una strategia del tutto efficace nella riduzione
dei pregiudizi. Innanzitutto, come evidenziato nel modello della dominanza, esistono categorie
che hanno una rilevanza maggiore rispetto ad altre, la cui combinazione non attenua le differenziazioni tra appartenenti a gruppi diversi. Al riguardo, Brewer (1987) ha rilevato che
l’appartenenza di genere ricopre maggiore importanza rispetto a quella etnica nel contesto di
Hong Kong. Infatti, i partecipanti tendevano a privilegiare gli appartenenti al proprio genere
indipendentemente dal gruppo etnico. Similmente, in uno studio condotto in Bangladesh (Hewstone, Islam e Judd, 1993), l’appartenenza religiosa risultava dominante rispetto alla nazionalità di provenienza. In secondo luogo, utilizzando un test metodologicamente più raffinato rispetto ai primi studi sulla categorizzazione incrociata (Deschamps e Doise,1978; Vanbeselaere,
1987), Crisp, Hewstone e Rubin (2001) hanno dimostrato che nella condizione di combinazioni
incrociate miste (ingroup e outgroup), il pregiudizio intergruppi non si attenua rispetto a quella
di categorizzazione semplice, ma soltanto rispetto alla condizione categoriale incrociata di doppio outgroup. Di conseguenza, non è possibile attestare che la categorizzazione incrociata sia
una strategia efficace a ridurre stereotipi e pregiudizi relativi al processo socio-cognitivo della
categorizzazione. Negli studi di Deschamps e Doise (1978) e di Vanbeselaere (1987) venivano
associate le combinazioni di parziale e doppio outgroup. A ulteriore sostegno di queste evidenze, la misura della somiglianza intergruppi non ha riportato differenze tra le combinazioni categoriali incrociate e quelle di doppio outgroup (Crisp et al., 2001). Dunque, la riflessione sottesa
all’approccio delle categorie incrociate, ovvero il tentativo di considerare contemporaneamente
più di una appartenenza sociale degli altri, per evitare descrizioni stereotipiche o discriminanti,
non può essere risolto dalla valutazione di due sole appartenenze sociali. In proposito, è stato
dimostrato che le persone sono in grado di tenere in memoria contemporaneamente fino a quattro categorie sociali relative agli altri o a sé (Halford, Baker, McCredden e Bain, 2005). Pertan-
La complessità dell’identità sociale
13
to, nonostante il processo di categorizzazione tenda alla semplificazione della realtà, le persone
sono in grado di afferrarne la complessità, analizzando insieme caratteristiche sociali molteplici
e differenti, che definiscono l’originalità di ogni individuo.
1.3 Gli studi sulla categorizzazione sociale multipla
Nelle società multiculturali moderne risultano evidenti i numerosi gruppi sociali a cui le
persone possono appartenere simultaneamente. Pertanto, una valutazione completa degli altri
deve considerare un insieme sempre più complesso e specifico di identità sociali. Se il paradigma delle categorie incrociate può risultare riduttivo e solo parzialmente efficace per catturare la complessità della realtà, studi recenti hanno mostrato che la categorizzazione sociale multipla, applicata sia contesti sociali reali che a contesti sperimentali di gruppi minimi, può ridurre
differenziazioni, stereotipi e pregiudizi sociali (Vanbeselaere, 1991; Crisp e Hewstone, 1999).
Categorizzazioni multiple ed individualizzazione
Nelle società caratterizzate da alta segregazione sociale, le persone si contraddistinguono in base ad un’unica categoria sociale determinante, come l’etnia in Rwanda, o la religione
nell’Irlanda del Nord. Se da una parte, contrasti ed opposizione intergruppi sono alimentati dalla valutazione di una sola appartenenza sociale significativa degli altri, dall’altra è stato dimostrato che la percezione delle loro molteplici appartenenze a gruppi può contribuire ad esacerbare il pregiudizio (Deschamps e Doise, 1978; Crisp e Hewstone, 2008).
Crisp, Hewstone e Rubin (2001) hanno confrontato, per la prima volta, la valutazione di
gruppi reali e significativi per i partecipanti in condizioni di categorizzazione semplice rispetto
alla categorizzazione multipla. Il campione era costituito da studenti dell’Università di Cardiff
(UK) ai quali era chiesto di eseguire un confronto tra il gruppo degli universitari di Cardiff (ingroup) e quello degli studenti della vicina e concorrente Università di Bristol (outgroup). Il disegno sperimentale prevedeva il confronto tra i giudizi sui due gruppi in tre condizioni diverse,
ossia categorizzazione semplice (Bristol vs. Cardiff), categorizzazioni multiple convergenti, in
cui venivano proposte cinque appartenenze sociali aggiuntive condivise dai partecipanti (gene-
La complessità dell’identità sociale
14
re, età, luogo di residenza, materia di studio, nazionalità), e categorizzazioni sociali multiple
divergenti, cioè cinque categorie sociali non condivise dai partecipanti. Dai risultati è emerso
che considerare categorie sociali molteplici, sia relative a gruppi di appartenenza (ingroup) che
diversi dai propri (outgroup), riduce la differenziazione e il bias intergruppi rispetto alla categorizzazione semplice. Poiché l’aumento del numero delle categorie considerate annulla la rilevanza delle singole, anche la valutazione di molteplici categorie sociali non condivise (outgroup) tra osservatori e target, anziché rinforzare, riduce la differenzazione intergruppi. Infatti,
i risultati della rappresentazione soggettiva sul confronto sociale proposto hanno evidenziato
nelle categorizzazioni multiple rispetto a quelle semplici un “indebolimento” della struttura categoriale intergruppi, che favorisce la formulazione di una valutazione interpersonale. Dunque,
l’effetto di decategorizzazione è spiegato dall’aumento del carico cognitivo nella valutazione di
categorie sociali molteplici che determina la riduzione della rilevanza attribuita ad ognuna di
esse. Tale processo è stato concettualizzato nel modello ad una via di Fiske e Neuberg (1990)
sulla formazione delle impressioni sociali e segna il “passaggio” da una valutazione categoriale
ad una individuale delle persone, detto decategorizzazione. Inoltre, l’effetto della decategorizzazione (percezione di individui distinti) spiega l’attenuazione dei pregiudizi verso gli appartenenti a gruppi diversi dal proprio attraverso due processi cognitivi: la differenziazione (distinzione degli appartenenti all’outgroup) e la individualizzazione (considerazione dei membri
dell’outgroup come individui unici). Se da un lato, l’accentuazione di una prospettiva individuale promuove un giudizio maggiormente complesso e completo, dall’altro può risultare una
strategia limitata, in quanto tale miglioramento d’atteggiamenti e opinioni può rimanere strettamente legato alla persona considerata e dunque non comportare benefici alla percezione del
gruppo. In altre parole, la decategorizzazione è un processo che rappresenta il passaggio dalla
dimensione categoriale all’individualizzazione del target (subtyping) (Weber e Crocker, 1983;
Johnston e Hewstone, 1992), tale per cui la generalizzazione dall’individuo al gruppo risulta
alquanto improbabile, poiché le condizioni che promuovono il processo di individualizzazione
La complessità dell’identità sociale
15
contribuiscono anche alla distinzione tra individuo e categoria. Tuttavia, Crisp e Hewstone
(2008) suggeriscono che il processo di decategorizzazione nella valutazione di appartenenti a
gruppi stigmatizzati, porta all’acquisizione di una modalità che riduce l’utilizzo di stereotipi e
pregiudizi. Nel recente modello sull’adattamento cognitivo all’esperienza della diversità sociale
e culturale, Crisp e Turner (2011) sottolineano che l’esposizione prolungata alla valutazione di
categorie sociali multiple complesse degli altri promuove la flessibilità cognitiva, riducendo in
modo globale pregiudizi intergruppi e favorendo il processo di individualizzazione nella percezione degli altri.
Processi cognitivi e contesto sociale nella percezione delle categorie multiple
L’effetto di decategorizzazione non dipende dal numero preciso di categorie sociali attribuite ai membri di un outgroup, ma dalla possibilità di pensare alle numerose e varie categorie cui essi possono simultaneamente appartenere. Infatti, Hall e Crisp (2005) hanno mostrato
una riduzione del pregiudizio intergruppi da parte degli studenti dell’Università di Cardiff a cui
veniva chiesto di pensare al maggior numero possibile di categorie sociali attribuibili agli studenti dell’Università rivale di Bristol. In particolare, l’attenuazione della differenziazione, e
dunque del pregiudizio sociale, dipende da una bassa similarità o sovrapposizione tra le dimensioni categoriali del target, piuttosto che dalla condivisione da parte dei rispondenti delle stesse.
Questi risultati, non solo confermano il ruolo della decategorizzazione, quale processo sotteso
alla riduzione dei pregiudizi intergruppi, ma riprendono precedenti lavori di Linville e Jones
(1980) sul modello della complessità, secondo cui più alta è la complessità percepita di un un
outgroup, più moderato sarà il giudizio nei confronti dei suoi singoli appartenenti.
Gli studi di Crisp, Hewstone e Cairns (2001) hanno contribuito ad indagare il ruolo del
contesto insieme ai processi socio-cognitivi implicati nelle categorizzazioni multiple. Le persone sono in grado di memorizzare diverse categorie sociali rese salienti dal contesto, formulando
un’impressione basata sulla loro combinazione. Nel particolare contesto del Nord Irlanda, gli
autori hanno rilevato che i partecipanti memorizzavano le informazioni relative sia alla religio-
La complessità dell’identità sociale
16
ne che al genere dei target presentati, senza che venisse loro espressamente richiesto. In un contesto culturale differente, come quello di Singapore, è stata riscontrata la salienza contemporanea di molteplici categorie sociali nel confronto tra le etnie cinese e malese (Ward & Hewstone,
1985).
Inoltre, quando insieme a molteplici categorie sociali è resa saliente anche
l’appartenenza umana degli altri si riduce una delle forme più estreme di discriminazione (Albarello e Rubini, in stampa), ovvero la deumanizzazione. Essa rappresenta la tendenza pervasiva ad attribuire meno caratteristiche umane ai membri degli outgroup rispetto a quelli
dell’ingroup (Haslam, 2006). Nel loro studio, Albarello e Rubini hanno mostrato che la combinazione di molteplici categorie sociali e dell’appartenenza umana è la condizione migliore per
attenuare la deumanizzazione dei neri da parte degli italiani e migliorare il riconoscimento
dell’inalienabilità dei diritti umani dei neri.
In conclusione, quando il numero di sottogruppi da considerare aumenta, il contesto sociale diventa più complesso e gli osservatori possono non essere più in grado di distinguere
chiare ed esclusive differenze intergruppi. Tali evidenze sono in linea con gli studi di Vanbeselaere (1987), secondo cui le persone sono in grado di considerare fino a due dimensioni incrociate di categorie sociali in condizioni normali. Per esempio, se si possono combinare con facilità le categorie “genitore lavoratore”, risulta invece molto più difficile basarsi su valutazioni
stereotipiche quando si considerano combinazioni multiple come “giovane, nera, professionista,
madre” (Hutter e Crisp, 2005). Halford, Baker, McCredden e Bain (2005) hanno riscontrato che
le persone sono in grado di elaborare simultaneamente informazioni che derivano al massimo
da quattro dimensioni categoriali. Oltre questo livello, il processo di categorizzazione non viene
più utilizzato per strutturare le impressioni, ma subentra la decategorizzazione (Crisp et al.,
2001) che funziona da buffer contro l’utilizzo di stereotipi e la formazione di pregiudizi intergruppi.
La complessità percepita disconferma le aspettative
La complessità dell’identità sociale
17
Non appena l’aumento del numero, ma della complessità dei gruppi sociali contemporaneamente attribuiti agli altri attenua le conseguenze interpretative e comportamentali del processo di categorizzazione sociale. Una serie di ricerche (Hastie, Schroeder e Weber, 1990;
Kunda, Miller e Claire, 1990) ha infatti mostrato che la percezione simultanea di due dimensioni categoriali normativamente non congruenti (“carpentiere educato ad Oxford”), ovvero raramente attribuite alla stessa persona, induce gli osservatori alla formulazione di caratteristiche
nuove, cioè non tipiche delle due categorie sociali considerate, bensì volte a spiegare tale combinazione inconsueta o contro-stereotipica. Già negli studi di Stangor e Duan (1991) era emerso
che viene ricordata meglio la combinazione di due o più attributi non correlati bensì in contrasto tra loro, poiché il processo di risoluzione di tale incoerenza cognitiva richiede un maggiore
impiego di risorse cognitive. Sulla base di tali evidenze, Hutter e Crisp (2005; 2006) hanno mostrato che la formazione di impressioni basate su combinazioni categoriali inaspettate, poiché
poco “sovrapponibili” (“donna meccanico” o “manovale laureato”), contribuisce alla formulazione di un minor numero di caratteristiche stereotipiche e un maggior numero di attributi
“nuovi”, ovvero volti a definire una rappresentazione specifica della persona.
I primi studi sulle categorie contro-stereotipiche (Hastie, Schroeder e Weber, 1990;
Kunda, Miller e Claire, 1990) hanno evidenziato che in tali condizioni aumenta la formulazione
di caratteristiche nuove, ovvero non stereotipiche, dei target considerati. Inoltre, studi più recenti (Hutter, Crisp, Humphreys e Moffitt, 2007) hanno dimostrato anche la produzione di un
minor numero di caratteristiche tipiche dei gruppi considerati nelle condizioni controstereotipiche rispetto a quelle stereotipiche. In altre parole, la percezione di una combinazione
categoriale sorprendente inibisce la formazione di un’impressione basata su informazioni della
memoria a lungo termine, attivando processi alternativi più sistematici e focalizzati. Il processo
di incoerenza percettivo-cognitiva attivato dalle combinazioni contro-stereotipiche porta così
alla ridefinizione funzionale degli stereotipi posseduti. I pregiudizi, di conseguenza, vengono
attenuati dalla disconferma delle aspettative relative ai gruppi sociali.
La complessità dell’identità sociale
18
Nel complesso, questi studi permettono di argomentare che combinazioni specifiche,
come le categorizzazioni contro-stereotipiche, attenuano i giudizi stereotipici, incoraggiando la
capacità di comprendere l’originalità di ogni persona.
1.4 Due strategie socio-cognitive per prevenire pregiudizi e discriminazioni intergruppi
Tra i contributi orientati all’attenuazione dei pregiudizi, Gaertner, Dovidio, Anastasio,
Bachman e Rust (1993) sostengono che evidenziando le caratteristiche comuni tra gruppi migliorano le valutazioni verso i membri degli outgroup, grazie all’accentuazione delle caratteristiche condivise con l’ingroup. Se le categorie sociali multiple sottendono un processo di decategorizzazione o individualizzazione del target, il modello dell’identità comune dell’ingroup
(Gaertner e Dovidio, 2000) produce una ri-categorizzazione o percezione sovra-inclusiva dei
gruppi considerati.
La ri-categorizzazione in un unico gruppo sovra-inclusivo
Secondo il paradigma di Gaertner e Dovidio (2000), i pregiudizi intergruppi possono
essere attenuati aumentando la salienza di un gruppo sovra-inclusivo. In particolare, il contatto
intergruppi aiuta a sviluppare la percezione di un’appartenenza comune, ma anche la cooperazione (Worchel, 1979; Brown e Abrams, 1986), la condivisione di risorse (Dovidio, Gaertner,
Isen e Lowrance, 1995), o la consapevolezza di un’identità sociale comune (Crisp, Stone e
Hall, 2006) contribuiscono ad attenuare le differenze intergruppi. In sintesi, quando i “confini”
tra due gruppi sono indeboliti da elementi di similarità che accomunano i loro membri, aumenta
la probabilità che il giudizio sociale positivo rivolto ai membri degli ingroup sia esteso agli altri, per effetto degli aspetti condivisi con essi (Gaertner et al., 1990).
Nonostante numerosi studi abbiano verificato gli effetti positivi della ricategorizzazione sovra-inclusiva, l’allargamento dei confini intergruppi, annullando la percezione della propria distintività, può, tramite la ri-categorizzazione, costituire una minaccia alla
propria identità sociale, aumentando l’ostilità verso gli appartenenti ad altri gruppi (Brown e
Abrams, 1986). Infatti, le persone hanno bisogno di identificarsi in gruppi specifici che forni-
La complessità dell’identità sociale
19
scono significati precisi per la definizione del loro ruolo nel mondo (Brewer, 1991; Hogg,
2000). Al riguardo, Hornsey e Hogg (2000) hanno rilevato un aumento del pregiudizio quando
gli studenti erano ricategorizzati secondo l’appartenenza sovra-inclusiva alla stessa università
rispetto a quando le facoltà d’appartenenza erano i sottogruppi salienti. Quindi,
l’identificazione e l’importanza attribuite ai gruppi possono costituire i fattori che generano il
pregiudizio, inteso come reazione alla mancanza di differenziazione intergruppi (Jetten, Spears,
e Postmes, 2004). Infatti, la riorganizzazione socio-cognitiva in un unico insieme si scontra sia
con il bisogno di differenziazione intergruppi e l’assimilazione intragruppo, sia con le necessità
di semplificazione cognitiva e riduzione dell’incertezza.
A tal proposito, Crisp, Stone, e Hall (2006) hanno mostrato che la salienza di
un’identità sociale sovra-ordinata (europei) porta ad un aumento del pregiudizio intergruppi
(inglesi vs. francesi) solo per le persone con identificazione alta nel proprio gruppo nazionale.
Attraverso l’Implicit Association Test (Greenwald, McGhee, e Shwartz , 1998), gli autori hanno
confrontato la velocità di risposta dei partecipanti nelle condizioni di associazioni congruenti
(parola positiva, ad esempio “regalo”, e nome di persona della propria nazionalità, ad esempio
“Sarah”) rispetto a quelle incongruenti (parola positiva, ad esempio “regalo”, e nome di persona di diversa nazionalità, ad esempio “Geneviève”), mostrando che il senso di appartenenza alla propria nazione influenza i tempi di reazione, indicando un maggior pregiudizio implicito
verso gli altri. Tali punteggi di risposta, infatti, decrescevano in funzione del diminuire del livello di identificazione nazionale dei partecipanti. Van Leeuwen, van Knippenberg, e Ellemers
(2003) hanno dimostrato che il livello di identificazione con l’ingroup influenza il pregiudizio
intergruppi, anche quando vengono uniti in un unico gruppo gli appartenenti a due sottogruppi
minimi, cioè costituiti casualmente. Questi contributi rivelano, quindi, che l’identificazione
funziona da moderatore della salienza della categoria sovra-ordinata.
La ri-categorizzazione, dunque, può ridurre il pregiudizio di coloro che hanno un basso
livello di identificazione. Allo stesso tempo, rappresentando una minaccia all’identità
La complessità dell’identità sociale
20
dell’ingroup, può aumentare il pregiudizio di coloro che si identificano fortemente con il proprio gruppo. Quest’ultima condizione è tipica di situazioni di aperto conflitto sociale. Al contrario, quando l’atteggiamento verso l’outgroup è caratterizzato da mancanza di fiducia e di
contatto, senza aperta ostilità, la conflittualità può essere ridotta attraverso interessi, caratteristiche simili, quindi identità comuni.
Decategorizzazione e ri-categorizzazione a confronto
I processi di decategorizzazione e ri-categorizzazione annullano il ruolo delle categorie
sociali nella valutazione degli altri. Mentre la decategorizzazione aumenta la differenziazione
infragruppo, la ri-categorizzazione aumenta le somiglianze intergruppi, promuovendo così giudizi e atteggiamenti pro-sociali nelle relazioni tra gruppi. Crisp e Hewstone (2006) sostengono
che, a seconda dei contesti, varia l’efficacia di questi due processi socio-cognitivi, i quali non
sono esclusivi, ma possono essere simultanei o sequenziali. La decategorizzazione annulla la
salienza dei confini intergruppi, inducendo a considerare se stessi e gli altri su un piano individuale e incoraggiando interazioni personali. La ri-categorizzazione, invece, ha lo scopo di alterare sistematicamente la percezione dei confini intergruppi, allargando la considerazione positiva riservata ai membri dell’ingroup, anche ai membri dell’outgroup. Entrambe queste strategie moderano i pregiudizi, attraverso la riorganizzazione delle categorie sociali attribuite agli
altri. La decategorizzazione attenua il favoritismo esclusivo dell’ingroup, rendendo co-salienti
più categorie sociali, invece, la ri-categorizzazione aumenta il valore dell’outgroup, associandolo all’ingroup in una categoria sovra-inclusiva.
A seconda del grado di identificazione con l’ingroup e dei rapporti sociali pre-esistenti
tra i gruppi una strategia cognitiva risulta più efficace dell’altra. La ri-categorizzazione agisce
meglio su pregiudizi impliciti, mentre la decategorizzazione può facilitare anche le relazioni intergruppi caratterizzate da pregiudizi manifesti e alta ostilità. Infatti, il processo di individuazione, che è parte della decategorizzazione, implica un’analisi accurata della persona considerata, contribuendo a farne emergere la complessità e, con essa, la possibilità d’interazione. Se, da
La complessità dell’identità sociale
21
una parte la decategorizzazione annulla funzionalità e rilevanza di stereotipi e pregiudizi intergruppi, poiché sposta l’attenzione da una prospettiva categoriale ad una individuale, dall’altra,
questo procedimento può avere un effetto di subtyping. In altre parole, l’attenuazione del pregiudizio può essere limitata al membro specifico del gruppo considerato e, quindi, non incisivo
sulla riduzione generalizzata degli stereotipi del gruppo.
Modello dell’adattamento cognitivo all’esperienza della diversità
Il modello recente sull’adattamento cognitivo all’esperienza della diversità sociale e culturale di Crisp e Turner (2011) va oltre i fattori socio-cognitivi che contribuiscono alla riduzione del pregiudizio verso un gruppo specifico, offrendo una prospettiva più ampia su antecedenti
e processi che promuovono la coesione sociale stimolando la flessibilità cognitiva nella valutazione dell’alterità. Nel modello, gli autori evidenziano quattro processi distinti e concatenati,
quali categorizzazione, processamento, adattamento e generalizzazione (CPAG) che risultano
essenziali per un’esperienza arricchente e stimolante della diversità. In particolare, secondo gli
autori, il riconoscimento di categorie multiple e incoerenti nella stessa persona è il primo requisito del processo di adattamento alla diversità. In secondo luogo, motivazione e abilità cognitiva sono due processi necessari e non interscambiabili, per risolvere l’incoerenza cognitiva generata dalla percezione delle categorie molteplici e distinte che definiscono gli altri. In terzo
luogo, tale comprensione della complessità e unicità degli altri impedisce l’uso di stereotipi e
generalizzazioni nella formulazione di giudizi. Infine, la ripetizione dell’esperienza di elaborazione di molteplici categorie, quindi l’inibizione degli stereotipi porta ad un adattamento cognitivo alla complessità che può essere applicato a diversi ambiti e soggetti di valutazione, promuovendo una flessibilità cognitiva generalizzata. La novità del modello risiede
nell’integrazione di modelli teorici e lavori empirici relativi a diverse letterature (psicologia sociale, cognitiva, culturale, dello sviluppo e organizzativa), confrontando così i processi sottesi
sia alla percezione della diversità sociale, che all’essere appartenenti a molteplici gruppi sociali.
In generale, gli autori sostengono che qualsiasi tipo di esperienza della diversità, quando modi-
La complessità dell’identità sociale
22
fica le proprie aspettative stereotipiche, può apportare effetti benefici non solo nelle relazioni
intergruppi aumentando la tolleranza, ma anche migliorando abilità cognitive e benessere psico-sociale personale.
Sommario
I contributi analizzati nella prima parte della rassegna considerano il ruolo della categorizzazione sociale nelle relazioni intergruppi, dal punto di vista degli osservatori. Abbiamo evidenziato che, da una parte, questo processo socio-cognitivo spontaneo di semplificazione della
realtà accentua differenze e pregiudizi intergruppi, dall’altra, quanto più tale processo coinvolge dimensioni categoriali multiple, tanto più favorisce una riduzione di stereotipi e pregiudizi.
Possono essere esempi di categorizzazione multipla gli incroci tra due o più categorie di appartenenza, la ri-categorizzazione di due gruppi in un gruppo sovra-inclusivo. Questi meccanismi
socio-cognitivi rappresentano strategie di attenuazione della differenziazione intergruppi in certe condizioni. In assenza di fattori contestuali o motivazionali che rendono salienti e dominanti
certe categorie sociali, le persone hanno la capacità si riconoscere anche più di due identità sociali degli altri, non solo attenuando le differenze, ma anche riducendo la formulazione di stereotipi e pregiudizi.
Infatti, la co-salienza di più categorie sociali diverse (Hall e Crisp, 2005), o incongruenti
tra loro (Hutter e Crisp, 2006), determina il passaggio da una prospettiva categoriale ad una individuale (decategorizzazione), che impedisce l’uso di generalizzazioni. Questo processo sociocognitivo di attenuazione dell’uso di stereotipi ed euristiche si acquisisce con l’esercizio, richiede sforzo cognitivo e permette di formulare attributi nuovi sugli altri, che non solo riducono il pregiudizio sociale, ma promuovono anche una maggiore flessibilità cognitiva.
2. La prospettiva degli attori sociali
2.1 Gli studi sulla categorizzazione del Sé
Nonostante gli studiosi dell’identità sociale concordino nell’affermare che le persone
possiedono numerosi gruppi d’appartenenza, è stato poco approfondito il modo in cui gli attori
La complessità dell’identità sociale
23
sociali rappresentano l’insieme delle proprie appartenenze. Prendendo in prestito le parole di
Tajfel (1978, p.30-31), “esiste un’interazione tra categorizzazioni esterne (relative agli altri) e
categorizzazioni interne (relative a sé stessi)”, ovvero la formazione dell’impressione sugli altri
è condizionata dalla valutazione di sé stessi e viceversa. Inoltre, l’adesione ad un gruppo sociale risponde al bisogno delle persone di mantenere e incrementare un’immagine positiva di sé
stessi (Tajfel, 1978). Pertanto, scopo dei membri di ogni gruppo è quello di riconoscere e conservare la propria specificità per distinguersi con orgoglio dai membri degli outgroups.
L’interazione tra contesto e accessibilità cognitiva di specifiche categorie sociali rende saliente
un’identità particolare rispetto alle altre numerose appartenenze. Poiché il contesto svolge un
ruolo di moderazione nel processo di categorizzazione del Sé, non esiste una identità sociale
che risulti sempre più saliente delle altre, bensì una continua valutazione dei gruppi
d’appartenenza in base al contesto. A tal proposito, van Rijswijk e Ellemers (2002) hanno dimostrato che la scelta degli studenti partecipanti ai loro esperimenti, di identificarsi con la facoltà (sociologia o economia) o con l’università di appartenenza (Free University di Amsterdam o Università di Leiden) variava in funzione del contesto. Tuttavia, anche se contesti specifici rendono alcune categorie più salienti rispetto ad altre (i.e., una donna in un autobus di uomini), gli attori sociali hanno la capacità di decidere, scegliendo strategicamente tra le diverse
identità sociali a loro disposizione quella che, nella condizione specifica, mantiene o aumenta
la stima di sé. In condizioni di minaccia dell’identità, gli attori possono categorizzare il sé in
base ad una appartenenza sociale che, nel confronto considerato, permette di mantenere una
immagine positiva (Beach e Tesser, 1995). Ulteriore conferma dell’interazione tra contesto e
motivazione delle persone è rappresentata dagli studi sulla minaccia dello stereotipo che riduce
la performance femminile negli esercizi matematici. Al riguardo, Mussweiler, Gabriel, e Bodenhausen (2000) hanno mostrato che donne americane ed europee consideravano meno saliente la loro identità di genere in favore di quella etnica, quando ricevevano un feedback di performance negativa rispetto ad un altro gruppo di donne americane-asiatiche. Ciò conferma
La complessità dell’identità sociale
24
l’interazione tra contesto e minaccia degli stereotipi, come fattore in grado di ridurre la performance femminile in compiti di matematica.
La percezione simultanea di due appartenenze sociali
Van Knippenberg (1978) è stato tra i primi a mostrare la capacità dei percipienti di riconoscere più caratteristiche sociali simultaneamente. Indagando una situazione reale di confronto intergruppi non ostile, ha rilevato che il gruppo di studenti di una scuola di status basso rivendicava una competenza pratica migliore, riconoscendo al gruppo di studenti di una scuola di
status alto una competenza teorica più elevata. Poiché anche il gruppo di status elevato era in
grado di considerare tali caratteristiche, ovvero status e competenze dei gruppi in modo simmetrico, se ne può dedurre che gli attori sociali sono in grado di riconoscere non solo le qualità
molteplici del loro gruppo d’appartenenza, ma anche quelle altrui, soprattutto se non minacciano la propria identità sociale. Questa e successive ricerche (Van Knippenberg e Dijksterhuis,
2000) convergono nel mostrare che le persone, non solo, possiedono molteplici appartenenze
categoriali di uguale salienza, ma soprattutto, sono in grado di percepirle e considerarle simultaneamente. Inoltre, è possibile cambiare la salienza della propria identificazione da un gruppo
d’appartenenza ad un altro ad un livello di inclusione sociale più alto (Gaertner et al., 1990),
ma è anche possibile categorizzare contemporaneamente la propria identità a due livelli di inclusione sociale diversi.
Gaertner e Dovidio (2000), nel loro modello dell’identità duplice, partendo dal presupposto che la salienza di una specifica identità sociale non è esclusiva, hanno mostrato che gli
attori sociali possono identificarsi simultaneamente nel gruppo comune sovra-inclusivo e
nell’ingroup sub-ordinato. In tal modo, l’appartenenza sovra-ordinata attenua la differenziazione intergruppi e allo stesso tempo il mantenimento della distinzione tra i sottogruppi inclusi
permette di contenere le reazioni di coloro che possiedono una forte identificazione (Crisp et
al., 2006). Il modello della duplice identità rappresenta, dunque, una riformulazione del modello dell’identità comune (Gaertner et al., 1990) proponendo la possibilità, non solo di considera-
La complessità dell’identità sociale
25
re simultaneamente le proprie diverse appartenenze sociali, ma anche quelle a differenti livelli
di inclusione. In altre parole, la salienza di appartenenze distintive non esclude la percezione di
somiglianze intergruppi.
Tuttavia, l’approccio dell’identità duplice non migliora sempre le relazioni intergruppi.
Nelle condizioni in cui l’identità sovra-ordinata non cattura la complessità delle differenze tra i
sottogruppi, ma riflette in maniera preponderante le caratteristiche del gruppo dominante , viene escluso il sottogruppo minoritario. Mummendey e Wenzel(1999), hanno infatti mostrato
questa tendenza delle persone ad attribuire le caratteristiche del loro sottogruppo
d’appartenenza al gruppo sovraordinato. Al tal proposito, la teoria della proiezione dell’ingroup
illustra che attribuendo le caratteristiche del proprio sottogruppo d’appartenenza al gruppo sovra-ordinato (ingroup projection), determina la classificazione dei membri dell’altro sottogruppo come devianti, peggiorando le relazioni tra essi. In particolare, questo processo di proiezione
delle caratteristiche del proprio sottogruppo sul gruppo sovra-ordinato si riscontra con maggior
probabilità nei membri di status alto rispetto a quelli di status basso (Dovidio, 2000).
In conclusione, la concettualizzazione dell’identità duplice può costituire una strategia
complessa di rappresentazione del Sé. Tuttavia, i suoi effetti non sempre conducono ad un miglioramento delle relazioni tra i gruppi implicati.
Biculturalismo
Nelle attuali società multiculturali, l’aumento del numero delle persone con una doppia
appartenenza etnica evidenzia non soltanto la possibilità di appartenere a categorie sociali molteplici (e.g., americano, donna, imprenditore), ma anche di identificarsi simultaneamente con
due sottogruppi distinti di una categoria sociale (e.g., afro-americano).
La letteratura sull’argomento suggerisce almeno quattro forme di gestione dell’identità
sociale da parte delle persone che possiedono doppia appartenenza intergruppi (Renn, 2000).
Tali persone possono scegliere di identificarsi con un solo gruppo, ignorando l’appartenenza al
secondo. In alternativa, possono creare una categoria sociale nuova, ovvero “ibrida” che affer-
La complessità dell’identità sociale
26
mi la loro unicità, oppure, possono avere la consapevolezza di appartenere ad entrambi i gruppi, alternando la salienza di uno o dell’altro, a seconda dei contesti e delle motivazioni. Infine,
le persone possono scegliere di non definire sé stessi in base alla divisione sociale imposta dalla
società, ma identificarsi in base ad altre appartenenze.
Gonzales e Brown (2003) affermano che le persone dalla doppia appartenenza culturale
possono essere considerate esempi di identità sociale duplice. In uno studio sperimentale, hanno mostrato che tali persone presentano livelli inferiori di pregiudizio sociale e atteggiamenti
intergruppi propositivi. Studi sullo sviluppo cognitivo di persone dalla doppia appartenenza etnica (Benet-Mertìnez, Lee e Leu, 2006) hanno riscontrato una maggiore complessità nelle descrizioni delle culture americana e cinese fornite da cinesi-americani (doppia appartenenza etnico-culturale) rispetto ad anglo-americani. Tali evidenze permettono di concludere che persone dalla doppia appartenenza etnica possiedono rappresentazioni culturali più complesse, legate
alla percezione delle differenze tra le stesse e all’identificazione con entrambe.
2.2 Gli studi sull’identità sociale complessa
Antropologi, sociologi e scienziati politici (Evans-Pritchard, 1940; Murphy, 1957) hanno documentato che popolazioni caratterizzate da una bassa conflittualità intergruppi sono accomunate da incroci complessi tra le affiliazioni sociali dei loro membri. Tali evidenze suggeriscono che modalità efficaci per prevenire e contrastare ostilità e discriminazioni intergruppi dipendono da rappresentazioni “sfaccettate” di sé, ovvero dalla consapevolezza di possedere numerose appartenenze sociali.
I livelli di complessità delle identità sociali possedute
Secondo Roccas e Brewer (2002), la concettualizzazione della complessità dell’identità
sociale si basa su due presupposti fondamentali: l’identificazione in molteplici gruppi
d’appartenenza e il riconoscimento che questi gruppi sono formati da persone differenti tra loro. Quanto più gli attori sociali percepiscono un’elevata sovrapposizione tra le loro categorie
d’appartenenza, tanto più “costruiranno” una struttura semplificata dell’identità sociale del Sé.
La complessità dell’identità sociale
27
Nel loro studio esplorativo, Roccas e Brewer (2002) hanno chiesto ai partecipanti di indicare
cinque appartenenze sociali importanti per loro, misurando poi il grado di sovrapposizione che
percepivano tra gli appartenenti ai gruppi sociali indicati, confrontandoli a coppie. Partendo dal
presupposto che il livello di sovrapposizione fra le appartenenze di una persona può variare
considerevolmente, le autrici hanno illustrato quattro diverse forme di rappresentazione
dell’identità sociale e le relative implicazioni per le relazioni intergruppi.
Queste corrispondono a intersezione, dominanza, compartimentalizzazione e fusione,
ordinate dalla rappresentazione socio-cognitiva più semplice alla più complessa.
L’intersezione definisce un’identità sociale degli attori caratterizzata esclusivamente da
gruppi sociali inclusivi, cattura cioè una rappresentazione identitaria di diverse appartenenze
sociali completamente sovrapponibili. Pertanto, solo gli individui che possiedono una serie di
appartenenze sociali uguali e sovrapposte sono ritenuti membri del proprio gruppo, mentre
quelli che non ne condividono solo alcune sono considerate membri di ougroups. Alcuni gruppi
sociali sono completamente inclusi in altri (sottogruppi; e.g., tutti gli emiliani sono italiani), tuttavia, quando si considerano numerose dimensioni categoriali, è probabile che i gruppi siano
solo parzialmente sovrapposti, per cui la composizione dell’identità sociale diventa più complessa. Il modello della dominanza riguarda l’identificazione prevalente di una sola categoria
sociale. L’appartenenza a tale specifica categoria sociale determina la condivisione della propria identificazione con gli altri. Per esempio, una donna bianca e cristiana può pensare che il
suo gruppo religioso sia composto principalmente da persone di pelle bianca, anche se obiettivamente, esistono molti cristiani di pelle nera. Tale modello evidenzia che la rappresentazione
soggettiva dell’identità sociale del sé può anche non riflettere la complessità reale delle proprie
appartenenze. Il modello della compartimentalizzazione spiega, invece, la condizione in cui il
contesto sociale gioca un ruolo preponderante dell’inclusione soggettiva dei gruppi
d’appartenenza. Per esempio, in ufficio, dove il contesto sociale enfatizza l’identità professionale, una donna manager si percepisce appartenente allo stesso gruppo dei colleghi uomini,
La complessità dell’identità sociale
28
mentre quando l’identità di genere è resa saliente, la stessa persona non si considera membro
dello stesso gruppo dei colleghi uomini. Al contrario, la struttura d’identità basata sul modello
di fusione include tutte le diverse appartenenze a gruppi sociali che contraddistinguono le persone. In questo caso, l’identità sociale degli attori diventa la somma di numerose identificazioni
di gruppo e viene estesa a tutti coloro che condividono una qualsiasi appartenenza di gruppo
dell’attore. Dunque, l’essere consapevoli che non tutti gli studenti di psicologia sono femmine,
o fanno parte della stessa università e accettare di condividere solo alcune appartenenze con altre persone, definisce una identità sociale complessa.
Recentemente Bodenhausen (2010) ha individuato tre modelli, in base alle strutture psicologiche e i processi che influenzano la relazione tra le categorie sociali multiple che compongono non solo la propria ma anche l’altrui identità sociale. In ordine di complessità crescente,
l’autore ha distinto i modelli di dominanza, compartimentalizzazione e integrazione.
Fattori correlati allo sviluppo dell’identità sociale complessa
Aspetti cognitivi, motivazionali e contestuali condizionano disponibilità e accessibilità
delle rappresentazioni dei gruppi d’appartenenza.
Gli studi di Roccas e Brewer (2002) hanno attestato che le persone inserite in società
multiculturali, ispirate da un’ideologia d’integrazione, possiedono rappresentazioni più complesse della propria identità sociale rispetto a persone che vivono in società monoculturali e
stratificate. In secondo luogo, persone con alto bisogno di chiusura cognitiva e volontà di mantenere una sola identità sociale principale hanno una rappresentazione semplificata delle diverse appartenenze possedute. Inoltre valori sociali, come apertura al cambiamento in contrasto al
conservatorismo, sono legati ad una maggiore complessità dell’identità sociale. La rappresentazione cognitiva dell’identità sociale può essere influenzata da fattori situazionali quali stress,
carico cognitivo o minaccia percepita. Tali condizioni, limitando le risorse attentive, semplificano la rappresentazione della propria identità.
La complessità dell’identità sociale
29
Dai primi studi di Roccas e Brewer (2002) si riscontra anche una relazione diretta tra la
consapevolezza di possedere un’identità sociale complessa e la sensibilità alla tolleranza e al
rispetto intergruppi. A tal proposito, Brewer e Pierce (2005) hanno individuato alcuni comportamenti che derivano dalla percezione della propria identità sociale complessa. Persone così caratterizzate possiedono ideologie politiche liberali, mostrano tendenze pro-sociali e l’impegno a
favorire l’integrazione sociale delle minoranze.
Miller, Brewer e Arbuckle (2009) hanno, invece, approfondito la relazione tra identità sociale complessa e stile cognitivo degli attori sociali, evidenziando che bisogno di conoscenza,
valori ideologici ed emozioni intergruppi sono significativamente correlati al possesso di una
concezione complessa di Sé, che a sua volta risulta influenzata dall’esperienza e dal contesto di
riferimento.
Queste ricerche aggiungono informazioni sui fattori sottesi alla costruzione e rappresentazione dell’identità sociale di ciascun attore, evidenziando l’importanza dell’apertura ideologica
e dell’apertura mentale. In generale, risulta evidente che l’interazione tra caratteristiche strutturali dell’ambiente sociale e differenze individuali degli attori risultano i fattori principali per lo
sviluppo di un’identità sociale complessa e la comprensione delle diversità sociali.
Identità sociale complessa e conseguenze intergruppi
La consapevolezza di possedere identità sociali molteplici influenza il processo di categorizzazione sociale degli altri. McGuire, McGuire e Winton (1979) hanno verificato che
quando le persone prendono coscienza di un successo inaspettato, riescono non solo a riorganizzare parte della definizione di sé interiorizzando la novità, ma anche a formulare con più
probabilità aspettative alternative rispetto agli altri, evitando stereotipi sociali.
Gli studi sulla risoluzione d’incoerenza cognitiva in contesti di minaccia dello stereotipo (Allen, Wilder e Atkinson, 1983; Mussweiler, Gabriel e Bodenhausen, 2000), evidenziano la
capacità degli attori sociali di riconoscere e utilizzare a proprio vantaggio le diverse appartenenze per mantenere una identità sociale positiva e adatta alla situazione contingente. Al ri-
La complessità dell’identità sociale
30
guardo, Crisp, Bache e Maitner (2009) hanno rilevato che possedere un’identità sociale controstereotipica (donne-ingegneri), cioè un insieme inusuale di appartenenze, permette di sviluppare un atteggiamento mentale flessibile e le capacità di evitare stereotipi e pregiudizi verso gli
altri. Infatti, il loro studio ha mostrato che un gruppo di studentesse di ingegneria non ricadeva
nell’effetto di minaccia dello stereotipo a differenza del gruppo di studentesse di psicologia,
perché le prime riuscivano più facilmente a cambiare identificazione dalla categoria di gnere a
quella occupazionale, in quanto combinazione categoriale contro-stereotipica e non inclusiva.
Inoltre, identificarsi con una categoria inusuale rispetto al genere d’appartenenza induceva le
partecipanti a apprezzare lo status contro-normativo di altre persone solitamente discriminate.
Questi risultati mostrano che le caratteristiche di fluidità e flessibilità della categorizzazione del
sé possano costituire strategie efficaci contro gli stereotipi sociali.
Similarità e correlazione tra le identità sociali possedute
Antecedenti ed effetti del possedere identità sociali multiple sono stati indagati anche in
una situazione di conflittualità intergruppi irrisolta, come l’attuale clima sociale nel Nord Irlanda (Schmid, Hewstone, Tausch, Cairns e Hughes, 2009). Religione (protestante e cattolica),
provenienza (inglese e irlandese), schieramento politico (in favore dell’Irlanda del Nord unita
al resto dell’Irlanda e in favore dell’Irlanda del Nord unita al Regno Unito), tifoseria sportiva e
quartiere di residenza rappresentano le numerose appartenenze sociali parzialmente sovrapposte e apertamente ostili, che compongono l’identità sociale degli abitanti del Nord Irlanda. Questa situazione ha ispirato gli autori ad approfondire il concetto di identità sociale complessa, distinguendo due aspetti. Gli attori sociali possono percepire una complessità relativa al livello di
sovrapposizione delle identità sociali possedute e una diversa complessità relativa alla somiglianza percepita tra esse. La prima definizione si riferisce all’importanza dei confini percepiti
tra le molteplici categorie d’appartenenza considerate. La seconda, invece, denota il grado di
interrelazione percepito tra le proprie affiliazioni sociali, in base agli attributi prototipici con
cui vengono differenziate. In generale, avere la consapevolezza di una varietà di appartenenze
La complessità dell’identità sociale
31
sociali favorisce le relazioni intergruppi, ma intervengono anche fattori situazionali, motivazionali e cognitivi. Per concludere, la consapevolezza della eterogeneità delle identità sociali possedute favorisce giudizi e comportamenti positivi tra appartenenti a gruppi sociali opposti.
La ricerca di Schmid e coll. (2009) ha indagato il ruolo delle esperienze intergruppi sulla rappresentazione della complessità del Sé, analizzando il contatto intergruppi e la minaccia
percepita come antecedenti allo sviluppo dell’identità sociale. I risultati hanno mostrato che il
rapporto inversamente proporzionale tra contatto e pregiudizi intergruppi è interamente spiegato dalla percezione di identità sociale multipla e complessa che gli attori sociali possiedono. Inoltre, una più alta percezione di minaccia alla distinzione dell’ingroup è caratteristica delle
persone che mostrano bassi livelli di complessità dell’identità sociale.
2.3 Gli studi sullo sviluppo del processo socio-cognitivo di categorizzazione multipla
Il percorso illustrato in questa rassegna, dal processo di categorizzazione semplice a
quella multipla di sé e degli altri ripercorre lo sviluppo socio-cognitivo di ogni essere umano.
Studi in psicologia dello sviluppo (Bingler e Liben, 1992; Averhart e Bigler, 1997), infatti, attestano che la capacità di attribuire simultaneamente più categorie d’appartenenza a una stessa
persona si acquisisce con l’apprendimento, in quanto è una valutazione più complessa che richiede uno sforzo cognitivo e viene stimolata dall’ambiente sociale con cui ci si confronta.
Le ricerche sullo sviluppo cognitivo mostrano che i bambini in età scolare acquisiscono
la capacità di classificare oggetti, persone e sé stessi in base ad una categoria, facendo fatica a
distinguere simultaneamente appartenenze multiple. Bigler e Liben (1992) hanno mostrato che i
bambini in età prescolare, non avendo ancora sviluppato la capacità di definire contemporaneamente gli altri e sé stessi come membri di più gruppi, presentano molti stereotipi e atteggiamenti sociali rigidi. Di fronte a tale evidenza, Bigler e Liben (1992; 1993) hanno sviluppato
una serie di studi per verificare l’influenza dello sviluppo cognitivo della categorizzazione
complessa sull’attenuazione di generalizzazioni e stereotipi sociali. La procedura consisteva nel
classificare una serie di 12 immagini di persone non soltanto in base al genere, ma anche in ba-
La complessità dell’identità sociale
32
se all’occupazione in una tabella (femmina/maschio x lavoratore manuale/lavoratore non manuale), ogni giorno per un periodo di una settimana. Mentre prima dell’addestramento meno del
3% dei bambini tra i 5 e i 10 anni era in grado di compiere classificazioni multiple, dopo tale
periodo il 95% dei bambini che si erano esercitati utilizzando uno stimolo sociale, e il 68% di
quelli che si erano esercitati usando oggetti, erano in grado di compiere categorizzazioni sociali
multiple. In particolare, i bambini che avevano acquisito questa competenza usando stimoli sociali mostravano una diminuzione significativa della produzione di stereotipi di genere (con benefici intermedi per il gruppo sottoposti alla classificazione multipla di oggetti) rispetto agli altri della stessa età e con le stesse capacità verbali.
In una ricerca successiva con bambini bianchi di età compresa tra i 4 e i 9 anni, Bigler e
Liber (1993) hanno trovato che l’età era negativamente correlata con la produzione di stereotipi
verso gli afro-americani e positivamente correlata con risposte non-stereotipiche verso lo stesso
gruppo sociale. Infine, Averhart e Bigler (1997) hanno condotto una ricerca con bambini afroamericani tra i 5 e i 7 anni, misurando l’abilità di categorizzare figure di bambini in base non
solo al colore della pelle, o all’età, ma anche l’espressione facciale, i vestiti e la postura. I risultati hanno mostrato che l’abilità di categorizzazione complessa era negativamente correlata con
risposte stereotipiche e positivamente correlata con risposte non stereotipiche riguardanti vignette sugli afro-americani.
La rilevanza di questi contributi risiede nella dimostrazione della malleabilità delle capacità cognitive umane. Questa evidenza rafforza l’orientamento degli studi illustrati, teso alla
riduzione dei pregiudizi attraverso l’approfondimento della complessità di un processo di base
come quello della categorizzazione. I risultati degli studi in psicologia sociale dello sviluppo
permettono di affermare che valutare la complessità della propria identità sociale e considerare
la molteplicità che contraddistingue gli altri sono capacità che necessitano di esercizio nelle relazioni intergruppi e possono essere apprese.
Sommario
La complessità dell’identità sociale
33
I contributi illustrati nella seconda parte della rassegna considerano il ruolo della categorizzazione del Sé sulle relazioni intergruppi, dal punto di vista degli attori sociali. In particolare, è stato mostrato che la rappresentazione soggettiva del Sé può essere definita da una categoria sociale in base al contesto, o da molteplici appartenenze sociali che possono essere più
o meno inclusive o sovrapposte. Inoltre, se numerosi fattori contestuali e personali contribuiscono a definire il livello di complessità dell’identità degli attori sociali, a sua volta, la percezione semplice o complessa delle identità sociali in cui si articola il Sé influenza il processo di
categorizzazione degli altri, quindi giudizi e comportamenti intergruppi. Al riguardo, è stato
dimostrato che la consapevolezza della diversità tra le proprie appartenenze sociali, ossia il riconoscere la complessità del Sé, risulta una strategia socio-cognitiva efficace per attenuare il
pregiudizio intergruppi, poiché promuove il riconoscimento del valore dei diversi da Sé.
3. Considerazioni conclusive
Questa rassegna ha messo in rilievo il ruolo della categorizzazione sociale, quale processo che guida la formazione delle impressioni sugli altri, così come su di sé. Il percorso illustrato ha inteso evidenziare che, se la categorizzazione sociale semplice è alla base delle differenziazioni intergruppi e dello sviluppo di pregiudizi verso gli altri in favore del Sé, la categorizzazione multipla, invece, ossia la considerazione simultanea delle numerose appartenenze
sociali che caratterizzano le persone, funziona da buffer contro l’insorgere dei pregiudizi, stimolando una valutazione complessa degli altri e di sé. I modelli teorici e gli studi proposti sono
argomentati secondo la prospettiva degli osservatori, il cui oggetto di valutazione sono gli altri,
rispetto al punto di vista degli attori sociali, il cui oggetto è il Sé. L’insieme dei contributi considerati ha illustrato non solo antecedenti cognitivi, motivazionali e contestuali, ma soprattutto
effetti sulle relazioni intergruppi di considerare sé e gli altri, in termini di categorizzazione
semplice rispetto a categorizzazioni multiple.
La categorizzazione semplice degli altri e del Sé contribuisce primariamente a sottolineare le differenze intergruppi e a rafforzare il favoritismo per l’ingroup quindi la discriminazione
La complessità dell’identità sociale
34
degli outgroup. L’incrocio di più di una categoria d’appartenenza o la disponibilità di un gruppo sovraordinato comune attenuano le differenze e i pregiudizi tra percipienti e percepiti. Infine, la rappresentazione di sé in termini di identità sociale multipla riduce i pregiudizi verso gli
altri, migliorando l’accettazione delle diversità nei confronti intergruppi.
L’analisi dei processi socio-cognitivi sottesi a percezioni e giudizi sociali su gruppi e
persone ha rivelato quali strategie di categorizzazione sono maggiormente efficaci a seconda
del contesto e delle motivazioni dei percipienti. Dalla prospettiva degli osservatori, il processo
di ri-categorizzazione risulta una buona strategia per forme di pregiudizio sociale implicito. In
presenza di aperta ostilità funziona meglio il processo di decategorizzazione. Dal punto di vista
degli attori, se si possiede un alto livello di identificazione in un gruppo sociale, il modello duale dell’identità può essere utile per attenuare la percezione di minaccia alla propria esclusività.
Tuttavia, quando le due identità considerate sono altamente correlate, la proiezione
dell’ingroup sulla categoria sovra-inclusiva genera un rifiuto dei membri dell’outgroup. Infine,
mentre alternare la salienza del gruppo d’identificazione sociale e ricategorizzare a livello sovra-ordinato la propria e/o altrui identità sociale attenuano solo parzialmente le differenze intercategoriali, la decategorizzazione implica una riorganizzazione complessa della realtà, che
annulla completamente il ruolo delle categorie. Infatti, il processo di decategorizzazione, sotteso alla percezione di identità sociali multiple di sé e degli altri, determina una valutazione individuale che rispetta accuratamente la complessità della persona, anche se risulta poco generalizzabile al gruppo.
A tal proposito, la percezione di molteplici appartenenze sociali risulta una strategia cognitiva che si apprende ed applica in ambiti diversi, generalizzando così un’interpretazione
complessa e realistica del mondo.
La categorizzazione sociale multipla e le altre strategie socio-cognitive presentate assumono rilevanza, non soltanto a livello di approfondimento teorico dei processi che “guidano” le
La complessità dell’identità sociale
35
dinamiche sociali, ma anche per suggerire ipotesi significative di intervento volte a migliorare
le relazioni intergruppi.
Per quanto riguarda le implicazioni pratiche, è possibile declinare l’influenza della categorizzazione multipla e complessa a livello interpersonale e intergruppi. Infatti, l’acquisizione
dell’abilità di considerare contemporaneamente tante caratteristiche diverse degli altri e del Sé
stimola lo sviluppo cognitivo e il benessere delle persone, predispone a riconoscere il valore
degli appartenenti ad outgroup e offre una prospettiva per migliorare il funzionamento dei sistemi sociali.
Nonostante il clima delle società moderne sia caratterizzato dal riconoscimento dei diritti umani per tutti e dall’incremento della multiculturalità permangono stereotipi sociali e pregiudizi manifesti che possono sfociare in episodi di discriminazione grave. Lo sforzo sociocognitivo e psicologico di non fermarsi alle apparenze, ma ricercare complessità e unicità degli
altri e di sé attenua le differenziazioni intergruppi e le problematiche relazionali conseguenti.
Questo approccio previene ed agisce su stereotipi, pregiudizi e discriminazioni relative al genere, all’orientamento politico, all’etnia, alla fede religiosa, alla squadra sportiva, ecc.
Pertanto, per promuovere l’educazione al rapporto con gli altri e la costruzione
dell’identità sociale del Sé, quali processi interdipendenti, si possono definire tecniche e compiti che stimolano il processo di categorizzazione sociale multipla, al fine di favorire e accelerare
il processo di integrazione sociale valorizzando la varietà dei gruppi umani.
Il progressivo aumento della mobilità geografica delle persone, delle unioni miste, dei
gruppi sociali, contribuiscono già a orientarci verso una prospettiva plurale che le persone devono imparare a cogliere per vivere la positività di una società sempre più complessa e salvaguardare il bene dell’uguaglianza sociale.
In generale, è importante sottolineare che la plasticità della categorizzazione sociale, il
ruolo fondamentale che questa ha nell’interpretazione della realtà e lo capacità di sviluppo di
La complessità dell’identità sociale
36
tale abilità rendono questo processo particolarmente rilevante per intervenire attivamente e prevenire situazioni di disagio, incomprensione e discriminazione intergruppi.
In conclusione, incoraggiare le persone a considerare appartenenze sociali molteplici
nella valutazione degli altri e di sé rappresenta un tentativo efficace e utile non solo per migliorare le capacità cognitive personali, ma anche perché le relazioni tra gruppi e la convivenza
umana possa godere della ricchezza delle diversità, anziché sentirsi minacciata.
Riferimenti bibliografici
Albarello, F. and Rubini, M. (in stampa). Reducing Dehumanization Outcomes Towards
Blacks: The Role of Multiple Categorization and of Human Identity. Journal of
Experimental Social Psychology.
Allen, V.L., Wilder D.A. e Atkinson M.L. (1983). Multiple group membership and social identity. In T.R. Sarbin e K.E. Schiebe (ed.). Studies in social identity (pp. 92-115).
New York: Praeger.
Allport G.W. (1954). The nature of prejudice. Cambridge, MA: Addison–Wesley.
Averhart, C.J. e Bigler, R.S. (1997). Shades of meaning: Skin tone, racial attitudes, and constructive memory in African American children. Journal of Experimental Child Psychology, 67, 363-388.
Beach, S. R. H., e Tesser, A. (1995). Self-esteem and the extended self-evaluation maintenance
model: The self in social context. In M. H. Kernis (Ed.), Efficacy, agency, and selfesteem (pp. 145–170). New York: Plenum Press.
Benet-Martinez, V., Lee, F., e Leu, J. (2006). Biculturalism and cognitive complexity: Expertise in cultural representations. Journal of Cross-Cultural Psychology, 37, 386–407.
Bigler, R.S. e Liben, L.S. (1992). Cognitive mechanisms in children’s gender stereotyping:
Theoretical and educational implications of a cognitive-based intervention. Child Development, 63, 1351-1363.
La complessità dell’identità sociale
Bigler, R. S., e Liben, L. S. (1993). A cognitive-developmental approach to racial stereotyping
and reconstructive memory in Euro-American children. Child Development, 64, 1507–
1518.
Bigler, R.S. e Liben, L.S. (2007). Developmental intergroup theory: Explaining and reducing
children’s social stereotyping and prejudice. Current Directions in Psychological Science, 16, 162-166.
Breakwell, G. M., Vignoles, V. L., e Robertson, T. (2003). Stereotypes and crossed-category
evaluations: The case of gender and science education. British Journal of Psychology, 94,
437-455.
Brewer. M. B. (1991). The social self: On being the same and different at the same time. Personality and Social Psychology Bulletin. 17, 475-482.
Brewer, M. B., Ho, H.-K., Lee, J.-Y., e Miller, N. (1987). Social identity and social distance
among Hong Kong school children. Personality and Social Psychology Bulletin, 13,
156–165.
Brewer, M.B. e Pierce, K.P. (2005). Social identity complexity and outgroup tolerance. Personality and Social Psychology Bulletin, 31, 428-437.
Brown, R. J. e Abrams, D. (1986). The effects of intergroup similarity and goal interdependence on intergroup attitudes and task performance. Journal of Experimental Social
Psychology, 22, 78–92.
Brown, R. e Turner J.C. (1979). The criss-cross categorization effect in intergroup discrimination. British Journal of Social Psychology, 18, 37–383.
Campbell, D. T. (1956). Leadership and its effects •upon the group. Monogr. No. 83. Columbus: Ohio State Univer. Bur. Business Res.
Crisp, R.J., Bache L. M. e Maitner A.T. (2009). Dynamics of social comparison in counterstereotypic domains: Stereotype boost, not stereotype threat, for women engineering
majors. Social Influence, 4(3), 171-184.
37
La complessità dell’identità sociale
38
Crisp, R.J., e Hewstone M. (1999). Differential evaluation of crossed category groups: Patterns,processes and reducing intergroup bias. Group Processes & Intergroup Relations,
2, 307-333.
Crisp, R. J. e Hewstone, M. (2006). Multiple social categorization: Context, process, and social consequences. In R. J. Crisp e M. Hewstone (ed.), Multiple social categorization:
Processes, models and applications. Hove, E. Sussex: Psychology Press (Taylor e
Francis).
Crisp, R. J., Hewstone, M., e Cairns, E. (2001). Multiple identities in Northern Ireland: Hierarchical ordering in the representation of group membership. British Journal of Social
Psychology, 40, 501–514.
Crisp, R.J., Hewstone M. e Rubin, M. (2001). Does multiple categorisation reduce intergroup
bias?. Personality and Social Psychology Bulletin, 27, 76–89.
Crisp, R. J., Stone, C. H., e Hall, N. R. (2006). Recategorization and subgroup identification:
Predicting and preventing threats from common ingroups. Personality and Social Psychology Bulletin, 32, 230–243.
Crisp R. J., e Turner, R. (2011). Cognitive adaptation to the experience of social and cultural
diversity. Psychological Bulletin, 137, 2, 242-266.
Deschamps, J. C. e Doise, W. (1978). Crossed category memberships in intergroup relations.
In H. Tajfel (ed.), Differentiation between social groups (pp. 141–158). Cambridge:
Cambridge University Press.
Dovidio, J. F., Gaertner, S. L., Isen, A. M. e Lowrance, R. (1995). Group representations and
intergroup bias: Positive affect, similarity, and group size. Personality and Social
Psychology Bulletin, 21, 856–865.
Evans-Pritchard, E. E. (1940). The Nuer. London: Oxford University Press.
Fiske, S. T., e Neuberg, S. L. (1990). A continuum model of impression formation from category based to individuating process: Influences of information and motivation on atten-
La complessità dell’identità sociale
tion an interpretation. In M. P. Zanna (Ed.), Advances in experimental social psychology. 23,1–74. New York: Academic Press.
Gaertner S.L. e Dovidio J.F. (2000). Reducing intergroup bias: The common ingroup identity
model. Philadelphia: Psychology Press.
Gaertner, S. L., Dovidio, J. F., Anastasio, P. A., Bachman, B. A., e Rust, M. C. (1993). The
common ingroup identity model: Recategorization and the reduction of intergroup bias.
In W. Stroebe & M. Hewstone (Eds.), European review of social psychology, 2, 247–
278. Chichester: John Wiley.
Gaertner, S. L., Mann, J. A., Dovidio, J. F., Murrell, A. J. e Pomare, M. (1990). How does
cooperation reduce intergroup bias? Journal of Personality and Social Psychology,
59, 692–704.
Gonzales, R. e Brown, R. (2003). Generalization of positive attitude as a function of subgroup and superordinate group identifications in intergroup contact. European Journal of Social Psychology, 33, 195-214.
Greenwald, A. G., McGhee, D. E., e Schwartz, J. L. K. (1998). Measuring individual differences in implicit cognition: The implicit association test. Journal of Personality and
Social Psychology, 74, 1464–1480.
Halford, G. S., Baker, R., McCredden, J. E., e Bain, J. D. (2005). How many variables can
humans process? Psychological Science, 16, 70–76.
Hall, N. R. e Crisp, R. J. (2005). Considering multiple criteria for social categorization can
reduce intergroup bias. Personality and Social Psychology Bulletin, 31, 1435–1444.
Haslam, N. (2006). Dehumanization: An integrative review. Personality and Social Psychology Review, 10, 252–264.
Hastie, R., Schroeder, C. e Weber, R. (1990). Creating complex social conjunction categories from simple categories. Bulletin of the Psychonomic Society, 28, 242–247.
39
La complessità dell’identità sociale
Hewstone, M., Islam M.R. e Judd C.M. (1993). Models of crossed categorisation and intergroup relations. Journal of Personality and Social Psychology, 64, 779–793.
Hogg, M. A. (2000). Subjective uncertainty reduction through self-categorization: A motivational theory of social identity processes. European Review of Social Psychology, 11,
223–255.
Hogg, M. A. e Abrams, D. (1990). Social motivation, self-esteem and social identity. In D.
Abrams e M. A. Hogg (ed.), Social identity theory: Constructive and critical advances (pp. 28–47). New York: Harvester Wheatsheaf.
Hornsey, M. J. e Hogg, M. A. (2000). Subgroup relations: A comparison of mutual intergroup differentiation and common ingroup identity models of prejudice reduction.
Personality and Social Psychology Bulletin, 26, 242–256.
Hutter, R. R. H. e Crisp R.J. (2005). The composition of category conjunctions. Personality
and Social Psychology Bulletin, 31, 647-657.
Hutter, R. R. H., e Crisp, R. J. (2006). Implications of cognitive busyness for the perception
of category conjunctions. Journal of Social Psychology, 146, 253–256.
Hutter, R. R. H., Crisp R.J., Humphreys G. W., Waters G. M. e Moffitt G. (2009). The Dynamics of Category Conjunctions. Group Processes Intergroup Relations, 12, 673.
James, W. (1890). The principles of psychology, Cambridge, Maas., Harvard University
Press, 1983; trad. it. Principi di psicologia, Milano, Società editrice libraria, 1901.
Jetten, J., Spears, R., e Postmes, T. (2004). Intergroup distinctiveness and differentiation: A
meta-analytic integration. Journal of Personality and Social Psychology, 86, 862–
879.
Johnston, L. A., e Hewstone, M. (1992). Cognitive models of stereotype change: (3) Subtyping and the perceived typicality of disconfirming group members. Journal of Experimental Social Psychology, 28, 360–386.
40
La complessità dell’identità sociale
Kunda, Z., Miller, D. T. e Claire, T. (1990). Combining social concepts: The role of causal
reasoning. Cognitive Science, 14, 551–577.
McGuire, W. J., McGuire C. V. e Winton W. (1979). Effects of household sex composition
on the salience of one's gender in the spontaneous self-concept. Journal of Experimental Social Psychology, 15, 1, 77-90.
Migdal, M., Hewstone, M., e Mullen, B. (1998). The effects of crossed categorization in intergroup evaluations: A meta-analysis. British Journal of Social Psychology, 37,
303–324.
Miller, K.P., Brewer M.B. e Arbuckle N.L. (2009). Social identity complexity: Its correlates
and antecedents. Group Processes and Intergroup Relations, 12, 79-94.
Mummendey, A. e Schreiber, H-J. (1984). Different" just means "better": Some obvious and
some hidden pathways to in-group favouritism. British Journal of Social Psychology.
23(4), 363-368.
Mummendey, A. e Simon, B. (1989). Better or different? The impact of importance of
comparison dimension and relative in-group size upon intergroup discrimination.
British Journal of Social Psychology. 28(1), 1-16.
Murphy, R. F. (1957). Intergroup hostility and social cohesion. American Anthropologist,
59, 1018–1035.
Mussweiler, T., Gabriel S. e Bodenhausen, G. (2000). Shifting social identities as a strategy
for deflecting threatening social comparisons. Journal of Personality and Social Psychology, 79, 398-409.
Otten, S, Moskowitz, G. B. (2000). Evidence for implicit evaluative in-group bias: affect biased spontaneous trait inference in a minimal group paradigm. Journal of Experimental Social Psychology, 36,77–89.
41
La complessità dell’identità sociale
42
Park, B., e Rothbart, M. (1982). Perceptions of outgroup homogeneity and levels of social categorization: Memory for the subordinate attributes of ingroup and outgroup members.
Journal of Personality and Social Psychology, 42, 1051–1068.
Renn, K. (2000). Patterns of situational identity among biracial and multiracial college students. Review of Higher Education, 23, 399-420.
Roccas S. e Brewer M.B. (2002). Social identity complexity. Personality and Social Psychology Review, 6, 88-106.
Schmid, K., Hewstone M., Tausch N., Cairns E. e Hughes J. (2009). Antecedents and Consequences of Social Identity Complexity: Intergroup Contact, distinctiveness Threat,
and Outgroup Attitudes. Personality and Social Psychology Bulletin, 35, 1085-1098.
Sen, A. (2006). Identity and violence: The illusion of destiny. New York, NY: W. W. Norton
& Co.
Simon, B. e Mummendey, A. (1990). Perceptions of relative group size and group homogeneity: We are the majority and they are all the same. European Journal of Social
Psychology. Vol. 20(4), Jul-Aug, 351-356.
Stangor, C., e Duan, C. (1991). Effects of multiple task demands upon memory for information about social groups. Journal of Experimental Social Psychology, 27, 357-378.
Tajfel, H. (1978). Differentiation between social groups: studies in the social psychology of intergroup relations. London: Academic Press.
Tajfel, H. (1981). Human groups and Social Categories: Studies in Social Psychology.
Cambridge: Cambridge Univ. Press. pp. 369.
Tajfel, H. (1982). Social psychology of intergroup relations. Annual Review of Psychology, 33,
1–39.
Tajfel, H., Billig M.G., Bundy, R.P. e Flament, C. (1971). Social categorization and intergroup behaviour. European Journal of Social Psychology, 1, 149–178.
La complessità dell’identità sociale
43
Tajfel, H. e Turner J.C. (1979). An integrative theory of intergroup conflict. In W.G. Austin,
S. Worchel (ed.), The Social Psychology of Intergroup Relations, Monterey:
Brooks/Cole.
Tajfel, H. e Wilkes, A.L. (1963). Classification and quantitative judgement. British Journal
of Psychology, 54, 101–144.
Turner, J.C., Hogg M.A., Oakes P.J., Reicher S.D. e Wetherell M.S. (1987). Rediscovering
the social group: A Self–Categorisation Theory. Oxford: Blackwell.
Urban, L. M., e Miller, N. M. (1998). A theoretical analysis of crossed categorization effects: A
meta-analysis. Journal of Personality and Social Psychology, 74, 894–908.
Van Knippenberg, A. (1978). Status differences, comparative relevance and intergroup differentiation. In H. Tajfel (ed.), Differentiation between social groups (pp. 171-199).
London: Academic Press.
Van Knippenberg, A. V. e Dijksterhuis, A. (2000). Social categorization and stereotyping: A
functional perspective. In W. Stroebe e M. Hewstone (ed.), European Review of Social Psychology (Vol. 11, pp. 105-144). Chichester: John Wiley and Sons Ltd.
Van Leeuwen, E., van Knippenberg, D., e Ellemers, N. (2003). Continuing and changing
group identities: The effects of merging on social identification and ingroup bias.
Personality and Social Psychology Bulletin, 29, 679–690.
Van Rijswijk, W., e Ellemers, N. (2002). Context effects on the application of stereotype
content to multiple categorizable targets. Personality and Social Psychology Bulletin,
28, 90–101.
Vanbeselaere, N. (1991). The different effects of simple and crossed categorizations: A result of the category differentiation process or of differential category salience?. In W.
Stroebe, M. Hewstone (ed.), European Review of Social Psychology (Vol. 2, pp.
247–278). Chichester: John Wiley and Sons Ltd.
La complessità dell’identità sociale
44
Ward, C. and Hewstone, M. (1985) Ethnicity, language and intergroup relations in Malaysia
and Singapore: A social psychological analysis. Journal of Multilingual and Multicultural Development 6 (4), 271–296.
Weber, R., e Crocker, J. (1983). Cognitive processes in the revision of stereotypic beliefs.
Journal of Personality and Social Psychology, 45, 961–977.
Worchel, P. (1979). Trust and distrust. In W. G. Austin e S. Worchel (ed.), The social psychology of intergroup relations (pp. 174–187). Belmont, CA: Wadsworth.