GIORNALE ITALIANO DI PSICOLOGIA DELLO SPORT RICERCHE Riabilitare la mente dopo un infortunio sportivo: applicare il metodo EMDR nello sport Davide Mate*/**, Letizia Marazzi** e Francesca Cavallerio*** * Università degli Studi di Torino ** Centro di Psicologia Applicata, Torino *** University of Roehampton, London Riassunto Numerosi studi hanno dimostrato che molti atleti dopo un incidente sportivo e la riabilitazione fisica presentano difficoltà a riprendere l’attività sportiva. Questa ricerca mostra il caso di un giovane atleta riabilitato anche dal punto di vista psicologico attraverso una psicoterapia per il trattamento del disturbo post-traumatico da stress applicata in ambito sportivo: la Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari (EMDR; Shapiro, 1989). Il partecipante era un giovane atleta di sci alpino di 17 anni che ha subito un grave infortunio. Questo studio, a nostra conoscenza, è il primo che analizza un intervento basato sul metodo EMDR nel campo degli infortuni sportivi. Parole chiave Infortunio sportivo; metodo qualitativo; regolazione emotiva; case study. Summary Several studies have shown that many athletes after a sports injury and physical rehabilitation have difficulties returning to the sport. This study presents the case of a young athlete psychologically rehabilitated through a post-traumatic stress syndrome’s treatment psychotherapy applied to sports: the Eye Movement Desensitisation and Reprocessing (EMDR; Shapiro, 1989). The participant was a 17-years-old male skier, seriously injured. This study, to our knowledge, is the first that analyzes an intervention based on the EMDR method in the field of sports injuries. Keywords Sport injury; psychotherapy; emotional control; arousal regulation; qualitative methods. Giornale Italiano di PSICOLOGIA DELLO SPORT - Numero 17 - 2013 23 RICERCHE GIORNALE ITALIANO RICERCHE DI PSICOLOGIA DELLO SPORT INTRODUZIONE Nel campo della psicologia dello sport, l'infortunio è un argomento sempre più importante, sia per quanto riguarda la ricerca, sia per il lavoro applicato. Gli atleti si infortunano sovente e sono chiamati a gestire il logorio continuo del proprio corpo: in molti casi la riabilitazione non é solo fisica, ma anche psicologica (Brewer, 2010). Studi precedenti (Podlog e Eklund, 2006) hanno dimostrato come sia frequente che gli atleti che ritornano alle competizioni immediatamente dopo la riabilitazione fisica, non siano ancora pronti dal punto di vista psicologico, per esempio perché vittime di specifiche paure connesse all’infortunio subito (es. paura di un ulteriore infortunio, di non essere in grado di tornare al livello atletico precedente, etc.). Alcuni studi (Podlog e Eklund, 2006; Udry, Gould, Bridges e Beck, 1997; Wippert e Wippert, 2008) che riportano le reazioni di atleti dopo infortuni gravi (es. infortuni di fine stagione o che interrompono la carriera) hanno evidenziato come queste esperienze traumatiche condividano molti aspetti con quelle vissute da persone che soffrono di disturbo post-traumatico da stress (PTSD), come ansia, depressione e lutto, oltre a sentimenti di paura e impotenza, flashback, incubi notturni, disturbi psicologici e fisiologici che si manifestano in presenza di stimoli specifici (Appaneal, Levine, Perna e Roh, 2009; Brewer e Petrie, 1995; Evans e Hardy, 1995; Wiese-Bjornstal, Smith, Shaffer e Morrey, 1998). Il PTSD è una patologia traumatica che, secondo il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders IV-TR (APA, 2000; pp. 467-468), si basa sui seguenti criteri: Il PTSD è un disordine basato sull’ansia, che può svilupparsi in seguito ad un evento definito da due criteri specifici. Primo, l'individuo vive o è testimone di un evento nel quale è presente una minaccia di morte o la morte stessa, un infortunio grave, o una minaccia all'integrità fisica propria o di altri (criterio A1). Secondo, durante l’evento l'individuo prova paura intensa, sentimenti di impotenza e di orrore (criterio A2). Dopo l'evento traumatico, l'esperienza tipicamente esita in sintomi come flashback, incubi, disagio psicologico intenso, e reattività fisiologia o esposizione a fattori scatenanti interni 24 o esterni che simboleggiano qualche aspetto dell'evento (criterio B). Inoltre, l'esperienza traumatica spesso porta ad una reazione di indifferenza e di evitamento degli stimoli, che sono collegati in qualche modo al trauma (criterio C) e sintomi di aumentato arousal, che includono irritabilità, iper-vigilanza, e difficoltà ad addormentarsi e a concentrarsi (criterio D). Solo pochi studi hanno focalizzato l'attenzione sul tipo di trattamento che può essere usato per lavorare con atleti che soffrono di PTSD o che vivono difficoltà psicologiche ascrivibili a tale disturbo (Bauman e Carr, 1998; Shearer, Mellalieu e Shearer, 2011). Lo studio condotto da Bauman e Carr (1998) riporta il caso di un giocatore di football universitario vittima di un incidente molto grave, avvenuto al di fuori della pratica sportiva, che comportò l’amputazione della mano sinistra. Per fare in modo che l'atleta potesse continuare a giocare a football ancora per un anno prima della fine del college, il primo obiettivo del trattamento psicologico fu quello di diminuire rapidamente i sintomi del PTSD. Seguendo il desiderio dell'atleta di non utilizzare medicinali psicotropi e ben consapevole dei tempi ridotti, lo psicologo dello sport propose all’atleta l’utilizzo di una procedura all'avanguardia per quei tempi: la Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari (Eye Movement Desensitisation and Reprocessing, EMDR; Shapiro, 1989, 2001). Alla fine delle sessioni di lavoro furono registrati miglioramenti riguardanti vari sintomi: incremento della concentrazione e del livello di energia, assenza di pensieri intrusivi e di incubi, ritorno alla situazione normale di riposo, incremento dell'appetito, miglioramento del coinvolgimento sociale e affettivo. Questo studio, tra le altre cose, rappresenta un buon esempio della coordinazione possibile fra trattamenti condotti da diversi operatori socio-sanitari (Bauman e Carr, 1998). Più di recente, Shearer e colleghi (2011) hanno descritto il lavoro svolto con un atleta di tiro a volo che presentava sintomi di PTSD a seguito di una caduta dalla bicicletta. Due interventi paralleli sono stati utilizzati: un primo intervento clinico e neuropsicologico, basato su terapie cognitivo-comportamentali focalizzate sul trauma; un secondo intervento di psicologia dello sport. Lo psicologo dello sport, utilizzando differenti strategie cognitivo-comportamentali, Giornale Italiano di PSICOLOGIA DELLO SPORT - Numero 17 - 2013 GIORNALE ITALIANO DI PSICOLOGIA DELLO SPORT come goal setting e simulazione di allenamenti, è intervenuto sulla fase riabilitazione e di ritorno alle competizioni, oltre che su specifici aspetti come concentrazione, rischio di burnout e di sovrallenamento. Questo studio (Shearer et al., 2011) enfatizza l'importanza di prendere in considerazione specifiche implicazioni quando si lavora con atleti che soffrono di PTSD o di altri disturbi clinici. La letteratura di psicologia dello sport sugli infortuni suggerisce come alcuni atleti infortunati possano sperimentare sintomi tipici del disturbo post-traumatico da stress; pertanto, questi atleti potrebbero beneficiare di interventi che sono stati sviluppati specificamente per curare questo disturbo. Il metodo EMDR (Shapiro, 1989; 2001), presente anche nello studio di Bauman e Carr (1998), rappresenta un intervento particolarmente interessante quando ci si confronta con situazioni di questo tipo. Il metodo EMDR è un trattamento psicologico costruito in origine per il trattamento di pazienti che soffrivano di PTSD (es. veterani di guerra, vittime di rapimento, adulti o bambini abusati, vittime di disastri naturali, etc.), e solo in seguito è stato applicato in diversi ambiti come quello sportivo, soprattutto per gestire disturbi dell'ansia (Cahill, Carrigan e Frueh, 1999). La procedura del metodo EMDR è suddivisa in otto fasi, usate in contesto terapeutico per trattare i sintomi di ansia e stress post-traumatico (Cahill et al., 1999; Luber, 2001). La procedura richiede che il paziente si focalizzi su uno stimolo di attenzione bilaterale (ad esempio, movimento oculare laterale seguendo un dito del terapeuta o un puntino luminoso; contatto alternato sui palmi delle mani o un suono direzionato prima ad un orecchio e poi all'altro), mentre gli viene chiesto di richiamare memorie rilevanti legate all’evento traumatico per brevi set di lavoro della durata di circa 20-30 secondi l’uno (Maxfield, 2007). Dopo ogni set, sensazioni, emozioni e pensieri del paziente vengono discussi con il terapeuta ed ulteriori associazioni vengono analizzate al termine del set successivo (Cahill et al., 1999; Maxfield, 2007). Di norma, con il progredire delle stimolazioni le associazioni diventano positive e, di conseguenza, lo stress del paziente viene alleviato. Per monitorare questo processo, il terapeuta può utilizzare una scala per valutare la gravità del disturbo (Subjective Units of Disturbance Scale, SUDS; Wolpe, 1990): si tratta di una scala di tipo Likert a 10 punti per misurare il grado di ansia. Shapiro ha incorporato questa scala, già largamente utilizzate nella terapia comportamentale (Kim, Bae e Park, 2008), per misurare i livelli di ansia prima e dopo la rielaborazione del ricordo rilevante. I punteggi vengono rilevati dal terapeuta con l’uso della SUDS inizialmente, per poi essere rilevati di nuovo alla fine del processo di desensibilizzazione, per valutare i cambiamenti fra prima e dopo e monitorare il progresso del trattamento (Kim et al., 2008). Le credenze positive ottenute con la desensibilizzazione sono poi nuovamente misurate, per ciò che riguarda la loro forza, con una seconda scala che misura la validità del pensiero (Validity of Cognition, VOC). La VOC è una scala di tipo Likert a 7 punti, che valuta come la persona si sente rispetto alla veridicità delle associazioni positive, con valori che vanno da 1 = “totalmente falso” a 7 = “totalmente vero” (Shapiro, 2001). Complessivamente, il metodo EMDR tende a ridurre le sofferenze causate dall'evento traumatico e aiuta il paziente a considerarlo da una nuova prospettiva, integrata e meno disturbante (Luber, 2001; Maxfield, 2007): la finalità del metodo è quello di passare da cognizioni totalmente negative e disturbanti legate all’evento traumatico (“io sono impotente”), a cognizioni più positive (“io posso gestire la situazione”). Dopo che L'EMDR ha avuto successo nel trattamento del PTSD, alcuni ricercatori hanno applicato questo metodo a diversi ambiti, lavorando con gruppi e famiglie, ex-stupratori, ma anche artisti e atleti (Ricci et al., 2009). Nel campo della psicologia dello sport, in particolare, si sono sviluppate due principali aree di ricerca: la prima è focalizzata sull'uso dell'EMDR per aiutare gli atleti a controllare l'ansia da prestazione (Foster, 2012; Foster e Lendl, 1995; Graham e Robinson, 2007); la seconda concerne l'utilizzo del metodo EMDR con atleti che hanno subito un trauma (ad esempio, atleti più volte RICERCHE infortunati, esperienze di carriere sportive terminate all'improvviso, morte di un compagno di squadra) (Allen, 2002; Bauman e Carr, 1998; Oglesby, 1995; Shearer et al., 2011). Fino ad oggi, gli studi che riguardano i traumi sportivi trattati con il metodo EMDR presentano due fondamentali problematiche: la prima è che la maggior parte delle ricerche non sono pubblicate e sono riportate semplicemente negli atti di conferenze (Allen, 2002; Oglesby, 1995); la seconda è che i pochi studi pubblicati su riviste scientifiche, pur coinvolgendo atleti, non si riferivano però a traumi dovuti all’attività sportiva (Bauman e Carr, 1998; Shearer et al., 2011). Lo scopo di questo studio è quello di descrivere dettagliatamente un intervento condotto utilizzando il metodo EMDR nell’ambito sportivo, presentando il caso di un atleta che ha vissuto un’esperienza traumatica strettamente legata alla propria esperienza sportiva. METODO Questa ricerca si basa su uno studio di caso. Come affermano Giges e Van Raalte (2012, pp. 483) “i case study permettono un'esplorazione dettagliata di una vasta gamma di situazioni e argomenti. Essi possono includere circostanze inaspettate, interventi unici e innovativi, oppure esperienze tipiche, che illustrano importanti principi della consulenza”. La decisione di sviluppare questo studio di caso, dunque, è funzionale ad una migliore conoscenza dei processi psicologici sottostanti l'intervento basato sull’utilizzo del metodo EMDR, fornendo una descrizione dettagliata dei vissuti dell’atleta e del metodo seguito. Come Udry e colleghi (1997) affermano, la possibilità di ascoltare e analizzare le storie di infortuni sportivi attraverso il punto di vista di chi quei trauma li ha vissuti, offre l'opportunità di scoprire nuovi aspetti relativi ai processi che avvengono durante queste esperienze. Nella descrizione dei risultati sono riportati dettagliatamente alcuni stralci di sedute rappresentative della narrazione dell’atleta preso in esame, utili a comprendere i passaggi chiave dell’intervento psicoterapeutico realizzato. Giornale Italiano di PSICOLOGIA DELLO SPORT - Numero 17 - 2013 25 RICERCHE GIORNALE ITALIANO RICERCHE DI PSICOLOGIA DELLO SPORT Il partecipante Luca (nome fittizio, usato qui per proteggere l'identità dell'atleta) è il protagonista di questo studio di caso: si tratta di un giovane atleta praticante sci alpino di 17 anni, che compete a livello regionale e nazionale. L’atleta è stato contattato tramite l’allenatore, prima dell’inizio di una stagione agonistica. L’anno precedente a quello dell’intervento preso in esame, Luca aveva subito un grave infortunio, causa della rottura del legamento crociato sinistro, in seguito ad una brutta caduta durante l'ultima gara della stagione, svolta sulla pista di casa, quella in cui Luca era solito allenarsi. Durante il periodo estivo, il giovane atleta era stato sottoposto ad un intervento chirurgico di ricostruzione del legamento crociato e ad un successivo periodo di riabilitazione. Al termine della riabilitazione, Luca aveva completamente recuperato la mobilità articolare e, durante la preparazione estiva in vista dalla nuova stagione agonistica, era riuscito a recuperare completamente velocità e forza muscolare. Arrivata la stagione agonistica, nonostante il recupero fisico fosse completo, Luca manifestava al proprio allenatore vissuti di paura legati all’infortunio subito ed al timore che questo potesse nuovamente accadere. Anche in conseguenza di ciò, la sua tecnica era peggiorata rispetto a prima dell’infortunio e l’elevato livello di paura rendeva inutili tutti i tentativi dell’allenatore di tranquillizzarlo. Consapevole che la paura e le esitazioni possono costituire un fattore di rischio per ulteriori cadute e traumi, l’allenatore decise di rivolgersi ad uno psicoterapeuta esperto di psicologia dello sport per affrontare gli esiti psicologici del trauma subito. Infatti, i profondi timori di Luca l’avevano spinto ad evitare di sciare sulla propria pista di allenamento e non era possibile prepararsi in modo adeguato per le future competizioni. La paura legata all’infortunio subito aveva portato Luca addirittura a pensare di interrompere la propria attività agonistica. Nel caso di Luca, l'esperienza fisica è collegata anche al trauma psicologico: molte delle risposte negative mostrate da questo giovane atleta sono riconducibili ad disturbo post-traumatica da stress (PTSD). La caduta di Luca fu improvvisa e inaspettata, tanto che egli non realizzò immediatamente cosa fosse successo: nel corso della sua prima ricostruzione dell’incidente, il giovane atleta evidenziava una sorta di amnesia rispetto a sentimenti e percezioni subito prima e subito dopo il momento del trauma. Inoltre, l'incidente era avvenuto su un pendio e su una pista familiare all’atleta, percorsa talmente tante volte da farlo sentire sicuro e a proprio agio: proprio questo aspetto collegava, in modo inconsapevole per l’atleta, la pista dove gli allenamenti abituali avrebbero dovuto svolgersi alle sensazioni di dolore e paura collegati all’evento traumatico. Inoltre, dal momento che l'evento traumatico era avvenuto al termine della stagione sciistica, l'esperienza era rimasta ferma ad uno stato che potremmo definire di “standby elaborativo”. Il trauma, divenuto ormai cristallizzato, non aveva avuto possibilità di essere elaborato né a livello cognitivo, né emozionale o comportamentale. L'incidente non rielaborato e rimasto in sospeso, aveva favorito il consolidarsi di associazioni traumatiche e dolorose, estremamente disfunzionali per la pratica sportiva. Procedura Il giovane atleta minorenne, accompagnato dai genitori, ha partecipato ad un incontro durante il quale questi ultimi sono stati informati delle caratteristiche dell’intervento e in occasione del quale hanno firmato il consenso al trattamento. Successivamente, l'atleta ha preso parte ad un primo incontro individuale di valutazione con il terapeuta e a successive quattro sessioni terapeutiche individuali, video-registrate, della durata di circa 90 minuti ciascuna, svolte nell’arco di 2 mesi, nel corso delle quali è stato usato il metodo EMDR. Dopo un mese dalla fine dell’intervento, è stata condotta una intervista semi-strutturata (Patton, 2002) di follow-up. L'intervista era finalizzata ad esplorare ulteriormente i vissuti del giovane atleta dopo l'intervento e a comprendere quali fossero gli aspetti che l’atleta stesso considerava più funzionali per il proprio recupero psicologico. 26 La finalità dell'intervista era quella di ottenere un feedback da parte dell’atleta sull'intervento e analizzarne i risultati. Più nello specifico, le domande dell'intervista erano focalizzate alla raccolta di informazioni su aspettative e credenze prima dell’intervento (“A cosa pensi ti possa servire questo intervento?”) e dopo l’intervento (“Come valuti l’intervento in base alle aspettative che avevi?”), oltre che sulle tecniche più utili per l'atleta e sul loro utilizzo, in aggiunta ai cambiamenti avvenuti, sia a livello prestativo che psicologico (ad esempio, sensazioni rispetto all'evento traumatico, nuove strategie per migliorare la performance). RISULTATI L’analisi dei contenuti emersi durante le quattro sessioni terapeutiche individuali ha rilevato interessanti aspetti riguardanti l’intervento con il metodo EMDR. Dopo le due sessioni iniziali, il giovane atleta ha mostrato un miglioramento della regolazione emotiva e una chiara desensibilizzazione ai sintomi fisici connessi all'evento traumatico (valutata utilizzando le scale SUDS e VOC). Luca ha anche mostrato un incremento della fiducia in sé e un più positivo atteggiamento verso l'idea di tornare a competere. Alla fine del percorso terapeutico, infatti, il giovane atleta è riuscito a prendere regolarmente parte alla stagione agonistica. Giornale Italiano di PSICOLOGIA DELLO SPORT - Numero 17 - 2013 GIORNALE ITALIANO DI PSICOLOGIA DELLO SPORT RICERCHE L: “Sì, mi faceva male il ginocchio sinistro e non riuscivo a muoverlo... dopo ho capito che era un infortunio grave...” T: “Hai avuto paura?” L: “Sì, sì, ho avuto moltissima paura... credo di essere stato terrorizzato.” T: “Oggi, ripensando a quel momento cosa provi?” L: “É come se non ci volessi pensare.” Sono riportati di seguito alcuni stralci dei contenuti emersi durante le quattro sessioni terapeutiche individuali, che riportano concetti e momenti fondamentali del percorso terapeutico svolto con il giovane atleta. Nel colloquio iniziale, Luca e il terapeuta definiscono l’obiettivo dell’intervento, esplicitando come “tenteranno insieme di alleviare la paura che l’infortunio ha portato con sé e che, ancora oggi, impedisce a Luca di affrontare una gara. Sarà poi Luca a decidere se utilizzare quanto emerso dalla terapia per affrontare o meno una nuova stagione agonistica” (parole del terapeuta, indicato di seguito con la lettera “T”). In primo luogo, viene fatta una ricostruzione generale dei fatti relativi all’infortunio, soffermandosi maggiormente sulle emozioni provate da Luca (indicato di seguito con la lettera “L”) al momento dell’incidente. In questi primi racconti le parole dell'atleta sono piuttosto generiche nel descrivere l’accaduto: T: “Cosa ricordi di quel giorno?” L: “Mmh non molto... la pista era una pista che conoscevo bene e quindi ero tranquillo... poi su un cambio di pendenza sono caduto... quando ho cercato di alzarmi, non ci riuscivo e sono caduto nuovamente... poi in ospedale mi hanno detto che mi ero rotto il legamento crociato.” T: “Ricordi le emozioni che hai provato? Come ti sei sentito?” É possibile notare come le descrizioni di Luca siano carenti nei dettagli e come le emozioni emergano solo nel momento in cui è il terapeuta ad introdurle, nominandole direttamente. Il racconto di Luca appare da subito focalizzato sulle azioni, piuttosto che sui vissuti psicologici (pensieri ed emozioni), lasciando trasparire la volontà di evitare il ricordo specifico dell’evento traumatico. Il terapeuta ha deciso di gestire la fase di assessment usando una struttura di intervista circolare (Selvini Palazzoli, Boscolo, Cecchin e Prata, 1980), cioè tornando con alcune domande in modo ricorsivo sugli eventi traumatici ma solo per pochi minuti, alternando a queste domande più generali, utili ad ampliare il quadro diagnostico dell’atleta (Brown, 1997). Vengono, così, raccolti altri dati (relativi a famiglia, attività sportiva, scuola, hobby, etc.). È possibile notare che, nonostante il tentativo di non addentrarsi sui vissuti emotivi legati al trauma, ogni volta che l’argomento torna sugli eventi traumatici, Luca mostra una diffusa attivazione fisica, le mani iniziano a sudare e a muoversi in modo irrequieto, così come lo sguardo tende a diventare sfuggente e rivolto verso il basso. Nella fase di assessment, inoltre, emerge come Luca ancora al momento dell’intervento continuasse ad evitare pensieri ed immagini legati all’infortunio; a volte aveva incubi notturni legati ad immagini pericolose, in cui lui si vede cadere sugli sci e si infortuna. La paura di farsi male compare improvvisamente, senza motivo apparente, sia durante la giornata, che mentre scia. T: “Ti capita qualche volta di avere paura di subire altri infortuni?” L: “A volte quando scio... ma avviene all’improvviso... magari sto sciando tranquillo e poi mi blocco.” T: “Cosa senti?” L: “Non so... è come se mi irrigidissi, sì... divento più rigido e... poi mi agito!” Il blocco descritto da Luca assomiglia alla sensazione di freezing, legata alla paura. Un aspetto interessante è che in questi primi racconti emersi dalla descrizione di Luca dell’incidente, l’agitazione compare successivamente rispetto alla sensazione di blocco, mentre durante il corso dell’intervento Luca imparerà a riconoscere come tali emozioni siano precedenti rispetto al blocco fisico che lui sperimenta. In questa situazione, è ipotizzabile che la tendenza ad evitare il vissuto emotivo di paura non permetta a Luca di percepire l’insorgere di tali vissuti e come, tali vissuti, vengano rilevati solo dopo un chiaro segnale fisico come il freezing. I dati raccolti nella fase di assessment fanno ipotizzare una diagnosi di PTSD, in particolare per l’emergere di strategie di evitamento di situazioni e vissuti emotivi simili a quelli provati al momento dell’incidente. Tuttavia, è necessario rilevare che tale condizione emotiva non comporta una compromissione di altri ambiti di vita: il disturbo generato dal trauma è specifico rispetto al contesto sportivo che lo ha generato e le capacità di Luca gli consentono di tenere i vissuti traumatici isolati dal resto della propria vita quotidiana, come è stato rilevato in alcuni studi (O’Neil, 2008). Prima sessione Al termine della raccolta delle informazioni diagnostiche, è stato concordato con Luca di affrontare i vissuti di paura legati all’infortunio utilizzando il metodo EMDR. Durante la prima sessione, il protocollo EMDR viene spiegato al giovane atleta in tutte le sue parti, includesse quelle più tecniche. La sessione prosegue poi con la definizione di un “luogo sicuro”: si tratta di un luogo immaginario o reale (nel caso di Luca, era la propria stanza, con lui seduto alla Giornale Italiano di PSICOLOGIA DELLO SPORT - Numero 17 - 2013 27 RICERCHE GIORNALE ITALIANO RICERCHE DI PSICOLOGIA DELLO SPORT scrivania con il computer di fronte). Gli obiettivi di questa fase erano molteplici, ma il primo era offrire al giovane paziente uno strumento per controllare le proprie esperienze emozionali: Luca è stato invitato a visitare con la mente il suo luogo sicuro, immaginando se stesso in prima persona e facendo attenzione alle sensazioni fisiche e cercando di collegarle a sensazioni di calma e sicurezza. T: “Adesso immagina un luogo in cui tu ti senti al sicuro... quale potrebbe essere?” L: “La prima cosa che mi è venuta in mente è la mia stanza.” T: “Bene, allora immaginati nella tua stanza e descrivi cosa vedi intorno a te.” L: “C’è la mia scrivania, il computer di fronte a me, la finestra, il letto.” Passo dopo passo, con un tono di voce sempre calmo e rilassato, il terapeuta guida Luca ad immaginare e visualizzare l’ambiente circostante; dopo le percezioni visive, vengono inserite lentamente anche quelle sonore, olfattive e tattili. Al termine della ricostruzione percettiva, il terapeuta introduce anche elementi propriocettivi e cognitivi. T: “Adesso continua ad immaginare di essere all’interno del tuo luogo sicuro. Abbiamo detto che sei seduto sulla poltrona davanti alla tua scrivania e che davanti a te c’è il computer acceso, la luce non è forte. Adesso ascolta le tue sensazioni corporee. Quali sono le parole che descrivono meglio il tuo stato fisico ed emotivo? Io sono...” L:“…tranquillo... Io sono tranquillo.” Al termine di questa ricostruzione, il terapeuta procede con stimolazioni visive bilaterali, cioè muove le dita orizzontalmente davanti agli occhi di Luca, chiedendogli di seguire le dita e di lasciare che le immagini e le sensazioni legate al luogo sicuro scorrano nella sua mente. Ogni circa 25 set di stimolazioni, il terapeuta si ferma e chiede al giovane atleta cosa egli stia notando. [Al termine di un set di stimolazioni.] T: “Fai un respiro profondo. Cosa noti?” L: “L’immagine non è cambiata: lo schermo del computer non è chiaro, è un po’ sfocato, ma adesso c’è la musica…c’è la mia musica preferita di sottofondo.” T: “Recupera le sensazioni corporee e le parole che hai scelto «Io sono tranquillo»” [Viene eseguito un altro set di stimolazioni.] T: “Cosa noti?” L: “Sono tranquillo e rilassato... [Sorride.] è come se fossi realmente lì... [Sorride.] non c’è nient’altro intorno.” Immaginare il luogo sicuro è stata un’esperienza intensa di regolazione delle emozioni, che ha offerto al giovane atleta la sensazione poter controllare il proprio mondo. Il terapeuta ha poi chiesto a Luca di ripetere anche a casa l'immaginazione del luogo sicuro, così da consolidarla e riuscire ad entrare in quello stato di sicurezza e calma in ogni situazione. Questo processo di allenamento, combinato con l’abitudine all'osservazione di se stessi, serve a Luca ad imparare a non avere un atteggiamento giudicante verso le proprie sensazioni fisiche e mentali, oltre che a prepararlo alla fase successiva, durante la quale un comportamento non giudicante e osservazioni libere saranno la chiave per l'elaborazione dell'evento traumatico. Seconda sessione Nella seconda sessione legata al metodo EMDR, il terapeuta rinforza il recupero delle percezioni di sicurezza e calma associate al luogo sicuro, assicurandosi che Luca sia davvero tranquillo e a proprio agio, per poi avviare la seconda sessione di lavoro: il ricordo dell'evento traumatico, vissuto come se fosse visto dall'esterno, da una terza persona. T: “Mi hai descritto la scena: tu che hai girato a sinistra, che cadi, che rimani a terra, che provi ad alzarti, ma non ci riesci. 28 Di questa sequenza, qual’è il momento peggiore, l’immagine che rappresenta la parte più brutta?” L: “Quando sono caduto.” T: “Se dovessi estrarre una fotografia, come sarebbe la foto?” L: “Faccio la curva e cado.” T: “Ok, immagina di avere questa foto davanti a te e con questa foto davanti, che cosa pensi di te stesso? «Io sono...»” L: “…io sono... io non ho il controllo.” T: “Che cosa vorresti pensare oggi, vedendo quant’immagine?” L: “Che io ho il controllo della situazione e del mio corpo, che sono forte.” T: “Tra le due - «Ho il controllo» o «Sono forte» - cosa sceglieresti?” L: “Sono forte.” Questa fase dell’intervista viene eseguita con un ritmo abbastanza serrato, in modo da mantenere un buon funzionamento cognitivo, lasciando da parte gli aspetti emotivi che verranno invece ripresi nella fase successiva. Poiché, le cognizioni positive di Luca sono due (“Sono forte” e”Ho il controllo”), il terapeuta ha deciso di ritornare sulla sequenza di eventi per identificare meglio l’immagine. Nella ricostruzione della scena, Luca aveva spostato il focus dal momento della caduta, a quando era a terra: L: “Ci sono io sulla neve: cerco di spingere sulla gamba, ma la gamba non risponde.” T: “Con quest’immagine davanti, che cosa pensi di te?” L: “Io sono debole, fragile...” [A questo punto immagine, pensiero negativo e pensiero positivo sono allineati e coerenti fra loro.] T: “Adesso, guardando quest’immagine, cosa provi?” L: “Beh, se mi soffermo, sento che mi agito.” T: “Che cosa stai provando nel corpo?” L: “Sento il cuore che batte, che batte sempre più forte [Inizia a muovere le mani una sull’altra.] e... anche le mani, le mani mi stanno sudando [La testa si muove un po’ a destra e un po’ a sinistra.] ... e come se non volessi guardare la scena.” T: “Cos’altro senti guardando l’immagine?” L: “Il cuore... il cuore... sempre più forte... faccio fatica a respirare.” T: “Su una scala da zero a dieci, quanto senti disturbanti le emozioni che stai provando adesso?” L: “Dieci” [Risponde senza alcuna esitazione.] Quella utilizzata come parte del protocollo è la SUDS. Una volta richiamata l’attivazione corporea ed emotiva, il terapeuta ha deciso di procedere con set di stimolazioni bilaterali. T: “Adesso, Luca, guarda l’immagine e tieni con te le sensazioni corporee: pensa all’idea di «Io non ho il controllo». Segui le mie dita e lascia andare le immagini mentali. Ricorda che se ti senti eccessivamente in difficoltà, puoi interrompere alzando la mano.” [Viene eseguito un set di stimolazioni bilaterali.] T: “Fai un respiro e lascia andare. Cosa noti?” L: “Vedo la scena: mi sembra di sentire anche il dolore... ho male.” T: “Bene così, andiamo avanti.” [Viene eseguito un ulteriore set di stimolazioni bilaterali.] L: “Ho male ... mi guardo attorno, provo ad alzarmi... non, non riesco... ho paura.” Il procedimento di rielaborazione dura circa cinquanta minuti e l’intera seduta un’ora e mezza; le immagini diventano sempre più vivide e destabilizzanti. Lentamente, si inseriscono anche pensieri di fallimento ed emozioni di disperazione. In seguito, la nitidezza delle immagini tende a diminuire, così come l’intensità delle emozioni. Nelle visualizzazioni entrano anche altre persone, come il padre che lo accompagna all’ospedale, i soccorritori che lo rassicurano. La fotografia sembra evolversi e si integra, passo dopo passo, con altre immagini più rassicuranti che rimandano ad un senso di sicurezza e di maggiore controllo. La valutazione attraverso la scala SUDS Giornale Italiano di PSICOLOGIA DELLO SPORT - Numero 17 - 2013 GIORNALE ITALIANO DI PSICOLOGIA DELLO SPORT dell’attivazione emotiva legata alle immagini iniziali era passata dalla valutazione “10”, al punteggio “2”. Al termine dell’elaborazione, Luca è fisicamente e mentalmente stremato. la stanchezza è visibile anche fisicamente: oltre ad aver sudato molto, ha una camminata incerta, quasi dovesse cadere da un momento all’altro. Il terapeuta lo invita ad aspettare un momento prima di alzarsi. Viene concordato di monitorare cosa succede nei giorni immediatamente successivi la seduta ed il terapeuta ricorda al giovane atleta che potrebbe sentirsi particolarmente stanco e che di notte avrebbe potuto sognare eventi legati ai contenuti emersi durante l’ultima seduta. Terza sessione La terza sessione avviene dopo due settimane dalla predente e dopo l’inizio della nuova stagione agonistica. Inizialmente, il terapeuta riprende i contenuti della seduta precedente per monitorare gli effetti del lavoro svolto. Luca racconta di aver affrontato il percorso di gara dove l’anno prima si era infortunato e, con estrema meraviglia, afferma di essere riuscito a disputare la gara e ad affrontare quelle paure che solo un mese prima gli apparivano insormontabili. La gara si era conclusa discretamente: il giovane atleta aveva utilizzato la visualizzazione del luogo sicuro prima della partenza. Luca riporta, inoltre, come siano stati strani i giorni successivi alla seduta precedente: afferma di aver sognato in modo confuso e disconnesso e, in particolare il giorno dopo, si sentiva un po’ disorientato. Aggiunge che, trascorsi tre giorni dalla seduta, si sentiva meglio e durante gli allenamenti non avvertiva più paura, né senso di debolezza e fragilità. Il terapeuta ha deciso di ritornare sull’evento traumatico, per valutare se ci fossero ancora aspetti da rielaborare: nel farlo, ha chiesto direttamente all'atleta se ci fosse ancora qualcosa da migliorare in relazione all’infortunio. L: “Cosa si può migliorare? Mmh... sicuramente, diciamo, che quando scendo e quando mi sono trovato lì... quella parte è sicuramente da migliorare.” [Il riferimento è al punto specifico del tracciato in cui Luca era caduto e si era infortunato.] T: “Quella dove ti sei fatto male?” L: “Sì. In quel momento è stato più forte il pensiero della paura, rispetto al mio pensiero positivo. E... sì ci sono delle RICERCHE porte in cui il richiamo, anche solo visivo, mi porta a pensare più a... alla paura di farmi male. É come se in alcuni punti della pista mi indebolissi mentalmente.” T: “Vuoi che proviamo ad tornarci sopra un attimo e vedere se cambia?” L: “Sì.” T: “Allora, come l’altra volta, scegliamo un momento, che magari può non essere quello dell’incidente. Un momento in cui la paura arriva proprio ad alti livelli.” L: “Forse è... è quel passaggio lì, secondo me, in cui proprio c’è più... Forse l’attimo prima di arrivare... cioè la paura non è proprio sulla porta in cui mi sono fatto male, ma sull’entrata, proprio il passaggio prima, perché è lì che arriva il pensiero.” T: “Quindi, noi avevamo guardato quando eri a terra e adesso proviamo a lavorare sul passaggio prima, appena prima. Quindi, fammi la descrizione, di dove sei, come sei.” L: “Sul curvone, sull’entrata, porta verso sinistra e ho cambiato, devo fare la porta verso destra... e proprio lì, la porta dopo è quella dove mi sono fatto male.” T: “Ok. Pendenza?” L: “La pendenza è abbastanza ripida ma non più di tanto: la difficoltà è che ci sono tre porte e poi c’è un’altra curva della pista verso sinistra.” T: “Quindi siamo sulla curva verso sinistra. La porta di che colore era?” L: “La porta era rossa, blu e poi di nuovo rossa.” T: “Ok, quindi adesso siamo su...?” L: “Noi adesso siamo sulla blu, precedente alla prima rossa menzionata prima e stiamo per andare appunto verso quella rossa.” T: “Condizioni di neve?” L: “Mah, abbastanza buona, la neve abbastanza bene... la pista non è neanche troppo rovinata...Un po’ scarenata la porta dopo, però non più di tanto.” T: “Ok, andiamo proprio sulle micro-azioni. A che punto tu senti la massima paura? Dove siamo? Uscita o entrata?” L: “Mah, secondo me, abbatto il palo verso destra ed è proprio lì, quando mi porto per fare la curva per far presa di [...], è proprio lì che sento...” T: “Ok, il peso? Ce l’hai giusto? Davanti?” Giornale Italiano di PSICOLOGIA DELLO SPORT - Numero 17 - 2013 29 RICERCHE GIORNALE ITALIANO RICERCHE DI PSICOLOGIA DELLO SPORT L: “Sì...ehm...sì....sto...la mia voglia forse è quella di arretrarmi un po’, buttare un po’ fuori lo sci per diminuire la velocità.” T: “Ok, quello è prima o dopo la paura?” L: “Prima.” T: “Ok. Quindi stai rallentando un po’, stai pensando a mettere un po’ il peso indietro e lì stiamo entrando nella paura. Dove la senti?” L: “Mah, diciamo che secondo me è come... una forma di ansia che.... cioè... qua nel torace [Tocca il petto.], come se diminuisse quasi un po’ il respiro.” T: Come se bloccasse il respiro?” L: “Cioè, non la respirazione normale, il respiro un po’ sfalsato.” T: “Sì, che sia un attimo, però è qua?” [Tocca il petto.] L: “Sì.” T: “Andiamoci dentro. Proviamo ad entrare precisamente in quella situazione lì, a sentirla quella cosa lì.” [A questo punto il terapeuta inizia la stimolazione visiva bilaterale.] L: “Sì, è come... più mi spingo verso la porta e più è come se mi bloccassi... lo sento dal torace, come se mi venisse su... E poi come se avessi anche, diciamo... mi irrigidisco un po’ tutto.” T: “Quindi, senti la rigidità. Ovunque o da qualche parte?” L: “In particolare sulla gamba sinistra, però tutto mi sento... anche le braccia, sono molto più contratto, rigido.” Da qui in avanti, il processo di rielaborazione prosegue come descritto in precedenza, portando l’attivazione percepita (e misurata con la SUDS) al valore di “0” (zero). É possibile notare come le descrizioni di Luca degli istanti legati all’evento traumatico siano diventate ricche di particolari e dettagli. Il suo uso delle immagini mentali è diventato più fluido e i singoli fotogrammi possono essere scomposti ed analizzati uno ad uno, senza un’eccessiva attivazione emotiva. La desensibilizzazione ottenuta grazie all’uso del metodo EMDR ha consentito un accesso più fluido al ricordo, permettendone una rielaborazione ed integrazione con altri vissuti, tanto che la percezione di aver superato la paura porta oggi Luca ad un maggiore senso di auto-efficacia. L’evento negativo viene così legato anche ad un pensiero di riuscita e di competenze acquisite e non rimane esclusivamente qualcosa di negativo, cristallizzato in memoria. La maggiore capacità di richiamare mentalmente il luogo sicuro, inoltre, aumenta il senso di padroneggiare i propri stati emotivi e cognitivi, come mostrano le parole di Luca nell’ultima seduta. Quarta sessione Seguendo la linea della più recente letteratura, che enfatizza il ruolo del supporto sociale durante il processo riabilitativo (Cutrona e Russell, 1990; Mitchell, 2011; Podlog e Eklund, 2007), l'obiettivo dell'ultima sessione di lavoro è stato quello di visualizzare alcune persone significative per Luca, e far sì che diventasse automatico riportare alla mente il loro supporto. Queste figure funzionano come supporto, come se fossero il suo “fan club” personale che tifa per il giovane atleta (Foster, 2012; Foster e Lendl, 1995). Usando la stessa tecnica, a Luca viene chiesto di identificare e immaginare queste persone importanti mentre cercano di supportarlo. Queste immagini di fantasia possono aver luogo in qualsiasi momento l’atleta desideri (ad esempio, prima della partenza, durante la competizione, etc.). Intervista di follow-up Durante l'intervista, Luca ha parlato di quali siano stati gli strumenti più utili acquisiti durante la terapia e ha spiegato come l'abilità di richiamare alla mente il luogo sicuro lo abbia aiutato a controllare gli stati cognitivi ed emotivi. Intervistatore (I): “A cosa ti è servito fare questo breve percorso psicologico?” 30 L: “Trovare un luogo sicuro, essere nella camera, tutto... diciamo isolarmi dal resto.” I: “Quali sono i momenti in cui usi di più la tecnica del luogo sicuro? Prima, dopo, durante?” L: “Prima, prima della gara: cerco di farlo il più vicino possibile alla partenza.” I: “Il più vicino possibile alla partenza?” L: “Sì, così sono proprio più... più dentro. Cioè, non mi perdo in altre cose, pensando proprio a quello prima di partire, mi toglie il pensiero dal ginocchio e dalla paura di farmi male.” I: “Quindi ti toglie il pensiero di quando sei caduto e ti sei fatto male?” L: “Sì, sì.” I: “Per esempio questa volta qui, quanto prima, dov’eri, come l’hai fatto? L: “Allora, me ne sono accorto il primo giorno, perché la prima manche l’ho fatto 20 minuti prima di partire; però ho notato che appena prima di partire ero un po’... l’ho fatto troppo distante... Poi nella seconda manche, l’ho fatto 5 minuti prima.” I: “Ah, 5 minuti prima!” L: “Sì, proprio. Mancavano 10 numeri e più o meno... sì, cinque, sei minuti.. .non di più, e mi sono messo lì, ero già con gli sci ai piedi, con gli scarponi: sono entrato con le cuffie.” I: “Avevi le cuffie?” L: “Sì, con la musica riuscivo a pensare....cioè, era molto reale.” I: “Quindi sembra che la musica fosse l’aggancio che dicevamo l’altra volta, che poteva essere molto reale. Quanto ci metti a visualizzare il tuo luogo sicuro?” L: “Per averlo proprio reale, reale... secondo me, 40 secondi... un po’ meno di un minuto sì, per averlo proprio fatto bene.” I: “Quando lo usi? A che cosa ti serve?” L: “Mah, sia nel dimenticare la paura, sia comunque nell’essere più concentrato sulla gara, cioè sapere quello che devo fare. Ad esempio, non sono mai stato uno attentissimo nelle ricognizioni. Magari su un dosso non mi ricordavo benissimo dov’era la porta e quindi soprattutto quello: ricordarmi tutto mi dà un senso di sicurezza.” I: “Quindi stai dicendo che è migliorata la concentrazione?” L: “Sì, sì. Anche perché l’ho fatto due volte: quando salivo su in macchina con mio papà, che ci vogliono 10 minuti, però, lì ero già diciamo abbastanza dentro. Poi abbiamo fatto le ricognizioni, un po’ di giri, poi l’ho rifatto di nuovo appena prima di partire.” I: “Quindi, l’hai fatto due volte: un pezzo prima, un pezzo lì. Quanto sarai stato in tutto su questi pezzi?” L: “Mah, la prima volta più o meno quattro minuti… la durata di una canzone.” I: “Ah, interessante regolarsi con la durata della canzone.” L: “Sì. La seconda volta diciamo ho messo il repeat della canzone ed è suonata due volte: però, la seconda volta non è finita, quindi diciamo... saranno stati 5 minuti.” I: “Sì, ho capito. Quindi questa concentrazione, sia prima nel tenere a mente delle cose che ti potevano servire nei passaggi, sia nel non avere paura, come se fosse la paura a tenere il centro delle situazioni. E alla paura cosa è successo? “ L: “Diciamo che è stata, non so come dire, è prevalso un pensiero positivo, diciamo che è stata schiacciata.” I: “Ti toglie il pensiero dalla paura e ti lascia il pensiero su di te che sei in camera tua.” L: “Sì, con la musica, davanti al computer, diciamo il massimo relax.” I: “Senti, qualcuno potrebbe dire però «Eh, tu pensi di essere da un’altra parte e poi quando ti tocca fare la gara come fai ad essere concentrato?»” L: “Eh no, perché... forse è difficile da spiegare... mentre comunque penso di essere da un’altra parte, c’è un pensiero Giornale Italiano di PSICOLOGIA DELLO SPORT - Numero 17 - 2013 GIORNALE ITALIANO DI PSICOLOGIA DELLO SPORT che comunque mi porta sulle porte. Sono... è come se mi passasse tutto, come se sullo schermo del computer avessi la pista, non so come dire... è così... come se sulla pagina di facebook avessi una di quelle lezioni video...e mi ricordo tutto... Difatti cerco di usare la stessa musica che uso durante la ricognizione, così mi porta a pensare a quello che ho visto durante la parte prima.” I: “Mi stai dicendo che il rilassamento diventa ottimale?” L: “Diciamo che non è un rilassamento fisico, ma più della mente. Comunque appena esco dal cancelletto, c’è subito la voglia di attaccare la pista, di aggredirla!” I: “Quindi è un rilassamento che non toglie l’aggressività?” L: “No, assolutamente. Il primo giorno, la prima manche un po’, infatti sono sceso non come scendevo di solito, ma un po’ troppo tranquillo, un po’ troppo preciso. La seconda manche, invece, l’ho presa un po’ diversa e anche il giorno dopo è stato nettamente diverso, di nuovo aggressivo come so fare.” Luca descrive come la pratica della visualizzazione del luogo sicuro lo abbia aiutato a rilassare la mente: il problema era che all'inizio Luca si rilassava troppo e, quindi, perdeva lo spirito competitivo, ma diventando sempre più allenato alla procedura, alla fine è riuscito a rilassare solamente la mente mantenendo il corpo attivato. Luca, inoltre, sottolinea anche come la musica lo abbia aiutato a sviluppare la tecnica. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI Il presente lavoro si è basato su uno studio di caso che ha coinvolto un giovane sciatore infortunato, che presentava prima dell’intervento alcuni sintomi del disturbo post-traumatico da stress connessi ad un infortunio sportivo (Frustaci, Lanza, Fernandez, Di Giannantonio e Pozzi, 2010). L'atleta è stato trattato con una specifica tecnica psicoterapeutica per il recupero dal PTSD tramite il metodo EMDR. Nel campo della psicotraumatologia, le più frequenti tecniche riabilitative sono la terapia cognitivo-comportamentale specifica per i traumi, la terapia di gestione dello stress, la terapia cognitivoprocessuale (Shearer et al., 2011), e il metodo EMDR (Welling, 2012). Tutte queste tecniche fanno largo uso della visualizzazione guidata individuale (Driediger, Hall e Callow, 2006; Monsma, Mensch e Farroll, 2009). La tecnica di intervento presentata in questo studio è il metodo EMDR (Shapiro, 2001) che va oltre l’uso classico della visualizzazione, per regolare l'arousal fisico ed emotivo (Shearer et al., 2011). Nel metodo EMDR, le immagini sono utilizzate per attivare quei meccanismi che non hanno seguito il normale processo di memorizzazione ed elaborazione a causa dell'evento traumatico (Shapiro, 2001). Quando questo succede, memoria, emozioni e pensieri collegati al trauma possono rimanere isolati e continuare ad RICERCHE influire in modo non coerente con il resto dei vissuti psicologici della persona. In accordo con gli psicologi clinici, questo meccanismo può causare una riattivazione involontaria dei vissuti traumatici durante la vita quotidiana (McFarlane, Weber e Clark, 1993). Nel case study qui presentato, la memoria traumatica genera uno stato di ansia e paura legate all’attività sportiva che portano l’atleta ad un evitamento costante delle situazioni legate all’evento traumatico e di conseguenza dell’attività agonistica. Nel caso di Luca, l'evitamento cognitivo dei pensieri negativi ha funzionato come una strategia che a lungo termine ha modificato la sua esperienza. Quando Luca ha iniziato il percorso terapeutico, stava considerando la possibilità di porre fine alla carriera di atleta, con tutte le conseguenze negative collegate alla perdita dell'identità di atleta (Evans e Hardy, 1995; Kamm, 2008; Kleiber e Brock, 1992; Lavallee, Grove e Gordon, 1997). In questo contesto, il metodo EMDR, iniziato con l'uso di immagini mentali, ha favorito non solo il controllo e la regolazione degli stati emotivi, ma ha permesso anche la rielaborazione delle cognizioni disfunzionali legate all’evento traumatico. La complessa integrazione di sensazioni corporee, emozioni e pensieri con le immagini, ha condotto Luca ad associarle nuovamente con la propria esperienza sportiva: le emozioni negative sono state collegate ad altre emozioni positive di eventi passati. Questo processo non modifica o cancella la memoria dell'evento traumatico, ma semplicemente la integra con il resto delle memorie (Steele, Van der Hart e Nijenhuis, 2005). L'immagine del sé è, quindi, in grado di cambiare secondo linee funzionali, in modo da abbandonare l'idea di sé fragile, limitata alle sole emozioni dall'evento traumatico, a favore di un sé più articolato e positivo (Guidano, 1991). I risultati di questo studio di caso rafforzano l'efficacia del metodo EMDR come un protocollo efficace in ambito sportivo, da poter usare nel trattamento psicologico di eventi traumatici attraverso una adeguata psicoterapia. Inoltre, questa procedura può essere utilizzata con successo con gli atleti, non solo per gestire gli aspetti disfunzionali dell’ansia da prestazione, ma per affrontare le paure di un nuovo infortunio. LIMITI E SVILUPPI FUTURI Il metodo EMDR è uno strumento estremamente efficace per guidare il processo di elaborazione, ma deve essere applicato da terapeuti esperti: non rappresenta semplicemente un intervento psicologico, ma una procedura complessa. Il caso di Luca mostra come questo processo di rielaborazione e riabilitazione possa avvenire anche in tempi brevi, in modo da risultare uno strumento utile anche dal punto di vista temporale. Il limite principale di questo protocollo è quello che paradossalmente appare anche come punto di forza: risiede nella velocità dell'intero processo. Lo sviluppo di emozioni e pensieri durante il processo di rielaborazione è così intenso, che per il paziente può essere difficile memorizzare le singole fasi del processo stesso. Spesso ci sono momenti chiave che risultano visibili per il terapeuta, ma non per il paziente. Il metodo EMDR anche per tale ragione necessita del sostegno di un terapeuta esperto. Ulteriori ricerche sono necessarie per capire se il metodo EMDR possa essere utilizzato sia in situazioni in cui gli atleti infortunati mostrino una forma lieve di PTSD, sia come metodo per migliorare la gestione della paura e dell’ansia relative alla prestazione, possibilmente con aggiustamenti specifici a seconda di ogni sport (Foster e Lendl, 1995). Inoltre, una recente pubblicazione (Foster, 2012) ha evidenziato come all’interno del metodo EMDR possano essere implementati in maniera efficace i concetti legati alla psicologia positiva. Considerato il recente sviluppo di studi che considerano i possibili effetti benefici degli infortuni sportivi (Podlog e Eklund, 2006; Udry et al., 1997; Wadey, Clark, Podlog e McCullough, 2012; Wadey, Evans, Evans e Mitchell, 2011), l’integrazione del metodo EMDR con l’approccio della psicologia positiva potrebbe rappresentare un nuovo, interessante filone di ricerca anche per la psicologia dello sport. Giornale Italiano di PSICOLOGIA DELLO SPORT - Numero 17 - 2013 31 RICERCHE GIORNALE ITALIANO RICERCHE DI PSICOLOGIA DELLO SPORT BIBLIOGRAFIA • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • 32 Allen, W. (2002). Coaching amateur athletes: From frozen to fearless. In L. Grodzki (Ed.), The new private practice: Therapist-coaches share stories, strategies, and advice (pp. 178-191). New York, NJ: Norton. American Psychological Association (2000). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (4th ed.). Washington, DC: Author. Appaneal, R. N., Levine, B. R., Perna, F. M., & Roh, J. L. (2009). Measuring postinjury depression among male and female competitive athletes. Journal of Sport & Exercise Psychology, 31, 60−76. Bauman, N. J., & Carr, S. M. (1998). A multi-modal approach to trauma recovery: A case history. The Psychotherapy Patient, 10, 145−160. Brewer, B. W. (2010). The role of psychological factors in sport injury rehabilitation outcomes. 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