Del 05 Febbraio 2015 Estratto da pag. 3 I vecchi cortigiani diventano ribelli Il tramonto dell’impero di Berlusconi FILIPPO CECCARELLI ALTRO che Comitato di presidenza illegittimo e azzeramento delle cariche in Forza Italia. È uno spettacolo penoso, ma anche massimamente istruttivo assistere in questi giorni non tanto e non solo alla sconfitta e al declino di Silvio Berlusconi, ma alla bancarotta della sua maestà. Al modo, cioè, in cui hanno preso a trattarlo, a considerarlo, a offenderlo, quelli che un tempo lui ha scoperto, lanciato, assoldato e anche, in senso non solo metaforico, nutrito spesso e abbondantemente al suo tavolo di moderno sovrano della tardomodernità.Ci si risparmierà di elencare i numerosi e superflui proverbi sull’ingratitudine negli affari del potere. Basti solo, sull’onda dell’ormai prolungata rivolta di Fitto, notare come nel regno periclitante dell’ex Cavaliere ci sia oggi chi lo tratta alla pari, o come se non ci fosse, come se non bastasse più, in ogni caso come un nonno rimbambito, per giunta messo sotto tutela da una mutevole cerchia di figure magiche o tragiche che siano, tampinato da Rasputin o badanti quasi sempre rivali fra loro. La circostanza che il Re da qualche mese non caccia più soldi, chiude ali dei suoi palazzi, licenzia i dipendenti, ha chiuso con i regali e invita i suoi parlamentari in rustiche trattorie periferiche certamente non aiuta. Né la forzata lontananza da Roma, o le cronache di lui che fa l’aeroplanino per imboccare i vecchietti dei servizi sociali di Cesano Boscone, ancorché gloriose in un’ottica cristiana, hanno rafforzato l’autorità di Berlusconi presso i suoi scalpitanti ex beneficiati.Ma l’esito catastrofico della battaglia per il Quirinale, dove è apparso chiaro a tutti che ad anni 78 il Grande Furbone è stato fatto fesso dal suo giovane alleato ed erede, è certamente destinato ad accelerare l’inesorabile e sempre più conclamato processo di degradazione. Prova ne sia che i panni sporchi si lavano in piazza e il dileggio esce fuori, per cui l’altra sera a Montecitorio La Russa si permetteva di far lo spiritoso, «Silvio stai sereno» e altre amenità. Sette anni orsono, quando «Silvio» si concesse di nominare in diretta l’inconsapevole La Russa ministro della Difesa a «Porta a porta», sarebbe stato non inconcepibile, ma di più. Anche per questo è difficile rivolgere uno sguardo benevolo a quanti, dopo essersi ridicolmente esibiti nelle più viete cortigianerie (vedi il testo della targa recata in dono da La Russa per il genetliaco berlusconiano del 2011: sui 150 anni dell’Italia, «75 dei quali dominati» dal Cavaliere) ora si divertono tanto.Lo stesso Raffaele Fitto, il «Golden boy» di Forza Italia, fondatore della ineffabile lista «La Puglia prima di tutto» (starring D’Addario e Monteleone), notificò un giorno che l’allora premier in visita a Bari aveva provvidenzialmente portato la pioggia alla sua regione, prodigioso evento di meteorologia del potere. Bene, ieri Fitto ha avuto il fegato e lo stomaco di invocare lo Statuto del partito. Lo Statuto? Sì, quello di cui, già nel 1994, su pressione del professor Bobbio, si scoprì che non c’era, o era chiuso in cassaforte. E che in seguito, con tanto di bollo notarile e acclamazione congressuale, fece di Berlusconi il presidente a vita del Pdl.E insomma. La storia insegna che nei tempi d’oro chi mancava di rispetto al monarca ha dovuto cambiare non solo partito, ma anche mestiere. Così nel 2005 Marco Follini durante una conferenza stampa disse, avendo al suo fianco il Cavaliere: «C’è chi pensa che il miglior candidato possibile sia Berlusconi, e c’è chi come me ritiene di no»; così come, cinque anni dopo, fu Gianfranco Fini a puntare l’indice: «Che fai, mi cacci?».Era qualcosa più del potere. Facile documentare come nel tempo Berlusconi abbia finito per assommare su di sé, insieme a un rango meta-politico, autentiche prerogative sacrali di supremazia e teologale inviolabilità, quella « potentia absoluta » che gli dava la misura dei valori, questi ultimi variabili a seconda di quanto lui - l’Unto, l’Unico autore del «Credo laico» nonché destinatario di «Meno male che Silvio c’è» - affermava, appunto, o negava. Ecco, proprio per queste ragioni e all’interno di queste modalità espressive l’umiliazione anche canagliesca riservata oggi a Berlusconi, così come lo sberleffo traditore e sacrilego e l’empio rimprovero di aver portato il suo partito e il suo popolo al «suicidio », ecco tutto questo, anche se terribile da osservare e triste da raccontare, rappresenta una preziosa lezione che dice: così finisce, nel modo peggiore, il regime autocratico, carismatico e padronale. Una verità che poi più o meno sta già nei proverbi, certo più antichi della democrazia, «chi troppo alto sale» eccetera.Così adesso a Berlusconi non rimane che un mucchio di cenere, l’estrema fiducia e transitoria di alcuni calcolatori e vampiri ritardatari, la grottesca fedeltà di macchiette come il senatore Razzi che l’altro giorno l’ha paragonato a Gesù. Gli restano le buffe e tragiche trovate di Francesca Pascale che per il suo compleanno gli reca in dono una torta a forma di corona, con tanto di scettro di pasta zuccherata, su cui si legge: «A te che sei il Re dei nostri sogni». E tutto, come appunto in un sogno si dissolve, e la maestà se ne va a quel paese, e buona notte.
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