Dormi con me stanotte?

Dormi con me stanotte?
DORMI CON ME STANOTTE?
Sessantuno giorni sull'orlo del pregiudizio
di Stefano Zizzi
EDITING A CURA DELLA PROF.SSA LUCIA SCHIAVONE
COPERTINA DI FLORENZA MONGELLI
FOTO DI PAOLO SIERRA
PRELUDIO
Le parole. Già, le parole. Maledizione alle parole quando sono
sottintese, quando sono usate male o per loschi affari. E che
siano le benvenute nelle mie orecchie quando sono dolci,
speranzose
e
sincere.
Benvenute siano le parole di una canzone che ti fa cantare,
benvenute siano le parole di un libro, benvenute siano le parole
di chi scrive, perché scrivere è un atto d'amore, benvenute
siano le parole di chi ti vuol bene ed ha bisogno di far male
perché tu capisca il bene che altrimenti sarebbe impossibile
spiegare.
Benvenute siano le parole che bisogna imparare a memoria per
portarle in scena.
Maledizione alle parole di chi a dieci anni si scrive sul cuore
che vuol far l'attore: a trentaquattro anni mi commuovo ancora.
Solitamente scrivo i miei pensieri quando sto male; questa
volta ho scritto un romanzo.
Scrivere l'introduzione di un libro senza svelarne essenza e
contenuti è un compito molto delicato che riesce solo ai grandi
scrittori, dunque non lo farò.
Buona lettura.
Prima Parte
IL MAPPAMONDO
"Per tutti gli otto anni che durerà il lutto di
vostro padre, non entrerà in casa il vento
della via, fate conto di aver murato porte e
finestre."
Da LA CASA DI BERNARDA ALBA di F. Garcia Lorca
DORMI CON ME STANOTTE?
UNO – PENSIERI NASCOSTI
I figli unici si dividono in due categorie: quelli che, in
quanto tali, hanno costantemente necessità di avere
contatti con altra gente e quelli che, proprio perché figli
unici, sono abituati a ritagliarsi alcuni momenti da
condividere solo con se stessi.
Carlos, che apparteneva alla seconda categoria, proprio
in quei giorni stava vivendo un periodo di massima
solitudine e riservatezza. Per il sesto giorno consecutivo,
alle otto e mezza di sera, aveva aperto la porta di casa, e
aveva acceso la luce del corridoio. Un periodo piuttosto
lungo, per un uomo “sentimentalmente impegnato”.
Come i peggiori opportunisti, Patricio, il suo gatto
maltese nero lucido, spuntò da dietro la vetrata del
salotto strusciandosi sulle gambe del padrone e
miagolando con uno straziante incalzare, che si spense
solo dopo che ebbe avuto la sua brava scatoletta e la
coppa d'acqua colma fino all'orlo.
- Mondo ladro! Oggi è giovedì!
Come tutti i lunedì ed i giovedì, c'era da cambiare la
sabbia della lettiera; malgrado fosse un suo compito già
da un po', ancora Carlos faceva non poca fatica a
ricordarsene.
La posizione favorevole dell'appartamento, faceva in
modo che il sole illuminasse l'ambiente già dalle prime
luci dell'alba. Oltre che luminosa, casa Pejo avrebbe dato
a chiunque l'idea di un'abitazione appartenente ad una
famiglia
agiata,
perché
seppur
arredata
con
l'indispensabile, rappresentato da pratici e funzionali
complementi d'arredo, i minuziosi dettagli erano molto
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gustosi, degni di un ottimo arredatore o di un padrone di
casa facoltoso e con gusti di particolare raffinatezza.
Tangibile era pure il senso di spaziosità che le stanze
ordinate e geometricamente assestate davano all'insieme
dei centoventi metri quadrati di attico.
Un divano in pelle beige, una libreria colma di romanzi e
saggi di letteratura quasi esclusivamente iberica, un'altra
libreria straripante di compact disc e film ed un
videoproiettore sapientemente collegato ad un impianto
di dolby surround all'ultimo grido: questi erano gli
elementi d'arredamento più importanti del suo studio,
nella cui stanza spesso e volentieri il padrone di casa si
addormentava, sopratutto da quando dormiva da solo.
Non sa neppure lui come, quella notte si svegliò di
soprassalto in preda ad uno stupido quanto insensato
incubo ed ebbe la forza di dirigersi verso la camera da
letto, spogliarsi e infilarsi sotto le coperte di un letto
enorme per lui soltanto.
A chi ha un animale in casa non serve una sveglia. Da
anni, ormai, il padrone di casa veniva sorpreso nel sonno
da una delicata ma comunque insopportabile zampina di
gatto che premeva sulla guancia o in qualsiasi posizione
della faccia. Sempre alle sette in punto.
Carlos si alzò controvoglia, aprì l'enorme armadio
dall'unica anta che ospitava il suo guardaroba casual ma
ricercato, infilò un braccio nel bel mezzo di una ordinata
e progressiva sequenza di colori e tessuti e tirò fuori un
pantalone blu prima e poi un polo bianca di quelle con il
collo ed i polsini a quadri. Appoggiò gli indumenti sul letto
e prima che Patricio potesse scandire l'inizio della
giornata con l'ennesimo miagolio, si diresse verso la
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cucina cosi da potergli tappare la bocca con dei
bocconcini di pollo.
Da quando era da solo, nonostante l'assenza continuata
di una donna in casa, Carlos riusciva a tenere pulita ed in
ordine la cucina; il trucco era semplice: tradiva il suo
angolo cottura ed il suo adorato bancone da bar seppure lui fosse astemio - con l'After bar, uno dei
migliori locali di tutta Barcellona, situato nei pressi della
Ronda del Litoral, e che l'uomo frequenta praticamente
da sempre.
E' lì che da un po' faceva colazione, pranzava e cenava.
E' lì che dava la prima occhiata ai quotidiani, è lì che si
rifugiava quando non aveva voglia di tornare a casa. E' li
che aveva tutti gli amici, che più che reali confidenti,
erano avventori storici del bar esattamente quanto lui,
con i quali aveva stretto un buon legame, limitato alla sol
frequentazione all'interno del locale.
- La verità è che si cresce. E si resta soli. Insomma, ci
sono i famigliari, gli amici, ma tutti sono impegnati a
vivere la loro vita, giustamente, così quando ti fermi
perché hai voglia di sfogarti con qualcuno, questo
qualcuno non c'è mai.
- Ed io? Che ci sto a fare, io?
- Tu pensa a farmi un caffè, Teo, te l'ho chiesto già da
dieci minuti.
Avere un bar di fiducia, spesso può rivelarsi un’arma a
doppio taglio, perché se da un punto di vista è comodo
avere un locale di riferimento dove, in qualunque ora
della giornata, hai la possibilità di incontrare persone che
conosci e farci quattro chiacchiere, dall’altro vanno via un
sacco di soldi e nel momento in cui paghi il conto, ti si
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ripropone sempre lo stesso dubbio: ma il gestore è un
confidente vero o smetterà di esserti amico non appena
smetterai di consumare?
Da quando c'è il divieto assoluto di fumare nei locali
pubblici, nei luoghi chiusi c'è sempre un buon odore e le
pareti restano bianche molto più a lungo ma bisogna
andare a fumare fuori e quando la giornata è afosa, tra la
temperatura esterna ed il bar con l'aria condizionata, c'è
un'escursione termica da infarto.
Ma non c'è nulla che riesca a contenere, fermare,
reprimere il fumo di una sigaretta.
- Ciao, campione!
- Buongiorno, Leonardo.
- Stiamo organizzando un torneo a nove palle, ci stai?
Fino
a
che
ora
ci
intratteniamo?
- Non
ci impiegheremo più di un paio d'ore.
- Allora va bene, ma a mezzogiorno devo fare un salto in
ufficio.
- Ce la facciamo, ce la facciamo.
- SÌ, ma non come al solito, vero? Che ci riduciamo
all'ultimo momento? Se dobbiamo giocare, facciamo con
calma, sennò perdo.
Il gioco del biliardo, in ogni variante, non è altro che una
straordinaria miscela di distensione, concentrazione e
geometria e Carlos riusciva a mettere a giacere la sua
mente solo con questa pregevole disciplina.
Per uno come lui, ci voleva proprio una bella partita
rilassante, prima di affrontare la giornata lavorativa.
Non c'è nulla di meglio, in questa società, di un uomo
serio, onesto, rispettato e considerato nell'ambito
lavorativo, non c'è nulla di meglio che un ruolo
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dirigenziale tale da poter soddisfare qualsiasi desiderio a
qualunque cifra, tale da poter permettere di recarsi in
ufficio anche a mezzogiorno, o anche solo nel
pomeriggio o neppure quello...
E' anche vero che un buon imprenditore, che desideri
essere considerato tale, dev'essere il primo a dare il
buon esempio e così, dopo aver battuto Leonardo
all'ultima palla infilando la numero sei in buca d'angolo
con due sponde da valido duellante del tavolo verde,
poco prima che il suo telefono cellulare indicasse con un
pungente segnale acustico la precisa metà del giorno,
Carlos era già seduto davanti alla sua scrivania d'epoca,
lasciata in eredità prima dal nonno e poi dal padre,
insieme agli oneri e gli onori di un'azienda rampante.
Chissà perché, ma quando la gente è fuori dalla porta di
un ufficio importante, quasi sempre è indotta a pensare
che chi è dall'altra parte, sia indaffarato con chissà quale
telefonata o pratica di rilievo economico vitale; a volte è
davvero così, ma spesso, non diciamolo a nessuno, il
chiudersi dietro la porta del proprio ufficio serve a darsi il
tono di austerità che necessariamente, il titolare deve
ostentare nei confronti dei suoi dipendenti. Magari sta
facendo girare il grosso mappamondo in radica, magari
sta fissando la sabbia che passa da un bulbo all'altro di
una clessidra retrò, magari la sta cronometrando perché
sia certo che ci impieghi un minuto esatto.
Intanto, ecco spiegato il fisico tonico e longilineo di
Carlos... A mezzogiorno un doppio tramezzino, alle
diciotto una barretta di cioccolato con cereali il cui
importo aggiungeva una riga sul foglio che teneva traccia
del suo conto mensile all'After Bar.
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Tra un pasto e l'altro, effettuava reali telefonate di lavoro,
concrete revisioni di conteggi o pratiche d'ufficio ed avide
quanto poco opportune consultazione dei quotidiani, vista
l'ormai tarda ora del pomeriggio.
Alle diciannove, dopo essersi sincerato dell'avvenuto
avvicendamento del guardiano del secondo turno con
quello della notte, finalmente il dirigente abbandona il
posto di lavoro, non senza mettere in ordine la propria
stanza, dal vassoio che domani ospiterà la fresca
corrispondenza alla collocazione del telecomando del
condizionatore nell'apposita vaschetta d'alloggio affissa
al muro dietro la sua scrivania, accanto al calendario
dell'azienda.
Poco prima della fine del film in prima serata, Carlos
pigiò l'interruttore che srotolava elettronicamente il telone
ed accese il proiettore giusto quel poco che gli bastava
per capire che non aveva nessun senso guardare le
ultimissime scene, considerando che doveva ancora
preparare la cena per Patricio.
Quella sera cucinò in padella due merluzzi surgelati: uno
per lui ed uno per il gatto. Guardandoli mangiare, il primo
sul tavolo e l'altro per terra poco distante, era complicato
decidere se l'animale era stato fin troppo fortunato o se
Carlos era fin troppo penoso.
Appurato mestamente che con lo spegnersi della serata,
progressivamente si stava esaurendo anche la
programmazione televisiva, fu subito confortato dalla
tempestiva idea che aveva appena avuto e si recò di
fronte all'imponente libreria, per consultare l'estesa
varietà di film in DVD i quali, proprio perché oltre la metà
erano ancora imballati, davano l'idea di essere stati
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acquistati e messi lì unicamente perché andava fatto,
come i libri per un politico o i quadri d'autore per una
contessa decaduta. Decise di riguardarsi “Mary Poppins”,
commedia musicale che non era affatto imballata ma
che, al contrario, conosceva oramai a memoria: i
dialoghi, le canzoni, i colpi di scena ai quali non si
abituava mai.
Se è per questo, non si abituava mai neppure al suo
divano, ed al fatto che per lui era diventato
pericolosamente soporifero.
Non c'era verso: il gatto era capace di capire quando
stava per addormentarsi e nel preciso istante in cui
captava le prime avvisaglie di sonno, si avviava verso la
cesta col cuscino e vi si adagiava fino all'indomani; lui no.
Magari in cuor suo sapeva pure che era il caso di
spegnere il proiettore ed il lettore di DVD per alzarsi,
andare in camera da letto, spogliarsi, mettere il pigiama e
andare a dormire, ma dentro di sé c'era una sensazione
di troppo sonno misto ad altrettanta pigrizia per cui
assolvere a quella “interminabile” sequenza di azioni,
pareva una montagna troppo alta da scalare, una fossa
troppo larga per saltarci oltre e quindi finiva per
addormentarsi sul divano con la televisione accesa ed il
film che andava avanti comunque senza spettatori, come
un cinema di provincia durante lo spettacolo
pomeridiano.
Ancora una volta non aveva fatto in tempo ad infilarsi
sotto le coperte di un letto enorme per lui soltanto.
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STEFANO ZIZZI
DUE – NOTTE AD “HARLEM”
Ancora una volta, si svegliò di soprassalto. La
radiosveglia, sintonizzata su un network con un target
aperto alle nuove tendenze musicali, sparò senza pietà
una serie di campionamenti che sembravano colpi di
mitra dritti verso il cuscino. Il trucco per poter rendere
davvero servibile la sveglia è quello di tenerla lontana dal
letto, così da doversi necessariamente alzare, per
spegnere quel frastuono orrendo ed onomatopeico.
Una volta in piedi... Buongiorno!
Aline aveva il dono di essere già assolutamente lucida
appena dopo aver appoggiato i piedi per terra e con gli
anni aveva abituato i suoi occhi alla brillante luce che il
monitor del suo portatile emanava già fin da appena
sveglia e che avrebbe accecato chiunque ma non lei, che
aveva l'urgenza di controllare le ultime dispense di
lavoro, prima di uscire. Con la bocca che sapeva ancora
di caffè, e con la camicia bagnata sul collo dai capelli non
ancora asciutti del tutto, impugnò la bicicletta di sua
nonna Delma e filò dritta verso la scuola.
- Buongiorno, Pedro!
- Buona giornata a Lei, professoressa!
La professoressa di Matematica Applicata alle Scienze
Sociali Aline Mareno era tra le più benvolute e
considerate dal personale ausiliario dell'Istituto di
Educazione secondaria obbligatoria “Pedro Salinas”
I problemi in una scuola come il Salinas certo non
mancano, tra armi in classe esibite come trofei di guerra,
personale che chiede il trasferimento perchè oltremodo
esausto dello stato di disordine in cui versa l'istituto e
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chiusure e riaperture del plesso per cercare di
organizzarsi e fronteggiare nel miglior modo possibile la
situazione.
La scuola di frontiera dove presta servizio Aline è situata
nel quartiere del Raval e i ragazzi per il 90% sono figli di
immigrati. Il Raval, del resto, è un quartiere particolare,
densamente abitato, oltretutto da gente che si potrebbe
definire “folkloristica”. Una sorta di Harlem catalano.
Spesso chi ne le spese di questa situazione, in bilico tra
la voglia di emergere di un plesso teso all'insegnamento
dell'educazione e la naturale propensione degli
adolescenti a percorrere strade che non portano alla
legalità, sono gli operatori ausiliari, continuamente
sbeffeggiati dai numerosi “bulli” ed equiparati ai servi del
tempo dell'imperialismo dagli stessi insegnanti, che
riversano nei confronti degli inservienti le frustrazioni che
sono obbligati a sopportare dagli alunni.
Aline, però, era incantevole: aveva un sorriso per tutti,
una buona parola per i colleghi che sempre più spesso si
appartavano in sala professori per piangere e spesso
piangersi addosso, era un braccio in più per gli ausiliari
che ogni giorno avevano da aggiustare qualcosa rotta
dalla monotona follia dei ragazzi, e godeva della stima di
buona parte degli alunni del Salinas, i quali ogni anno,
spendevano il primo mese di scuola provando a deriderla
o far intendere che non si aveva voglia di studiare,
mostrando con naturalezza coltelli o quant'altro.
Ma Aline era disarmante...
La professoressa Mareno era la referente dei mediatori,
ragazzi eletti dai loro compagni, ed incaricati di mediare
nelle liti, sedare le discussioni, supportare e ascoltare,
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dopo aver frequentato un corso, la cui docente, neanche
a dirlo, era Aline stessa. Al Salinas ogni nuovo arrivato
viene anche affiancato da un ragazzino o ragazzina un
po' più grande della stessa nazionalità, qualcuno che
traduca, così si impara la lingua dagli altri compagni che
fungono da interpreti, rendendo l'apprendimento molto
più facile e veloce.
In una cornice
non semplicissima, l'insegnante di
matematica era una sorta di Maestro Perboni al
femminile in un contesto da libro cuore in chiave
moderna, un cuore con qualche bypass, forse, ma che
ancora batteva forte.
In una stanza adiacente alla sala professori e con essa
comunicante per mezzo di una porta a soffietto, vi erano
ammassati resti di computer in disuso ed alcune vecchie
macchine da scrivere di importazione italiana che molti
anni fa costituivano la strumentazione della sala di
dattilografia.
Di fronte all'ingombrante scaffalatura che ospitava questi
oggetti estromessi dall'inventario d'Istituto, c'era un
frigorifero basso ed un tavolino con una macchinetta
elettrica per il caffè insieme con un fornetto ventilato.
Qualunque fosse il suo orario delle lezioni, Aline arrivava
a scuola alle otto in punto, quaranta minuti prima della
campana della prima ora, per tirare fuori dal congelatore i
croissant surgelati e fare il caffè per tutti, nell'attesa che i
cornetti diventassero fragranti al punto giusto, perché
fosse una buona giornata per tutti.
- Questo sì, che è un cornetto! - Esclamò don Gonzalo,
l'insegnante di religione.
- Ma se sono sempre gli stessi. È la stessa marca da
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sempre!
- Vuoi dirmi che da quando insegni qui non hai mai
cambiato cornetti?
- Otto anni, quasi nove. Sempre la stessa azienda di
surgelati.
- Questa sì, che è coerenza! Comunque stamattina
hanno un sapore particolare.
Addentò il dolce sorridendo. Don Gonzalo era un bel tipo.
Cento venti chili di calvizie, sparsi in centosessanta
centimetri di altezza. Una gran fede, una fede d'altri
tempi ed un cervello mai messo in pratica sul campo.
Fare l'insegnante di religione in una scuola di periferia
voleva dire battersi continuamente contro un muro di
indifferenza e di ignoranza di fondo e Don Gonzalo,
come naturale che fosse, si rifugiava dietro la preghiera,
per ovviare a quel senso di frustrazione che avvertiva
ogni mattina, sapendo di andare nel luogo sbagliato, in
un momento sbagliato, per dire le cose sbagliate.
Il martedì, però, oltre che essere il primo giorno di lavoro
dopo un fine settimana lungo che comprendeva anche il
lunedì di giornata libera, era il giorno della terza sezione
del corso di servizi sociali, classe in cui lui era un po' più
considerato, in cui c'era qualcuno che ascoltava con
interesse ciò che diceva; era questo il motivo del buon
umore di Don Gonzalo, che addirittura dava ai cornetti
surgelati un altro sapore!
Aline gettò le carte ed i tovaglioli lasciati dai colleghi
sull'enorme tavolo della sala, prese la macchinetta della
moka e si recò in bagno per sciacquarla. Tornò in sala
professori e si affacciò sul balcone per fumarsi una
sigaretta.
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- Sono andati già tutti ai posti di combattimento?
- Sì, Direttore. Vuole che le riscaldi un cornetto?
- No, grazie, Aline. prima di venire ho fatto colazione al
bar.
- Lei sa bene che noi la mattina facciamo colazione tutti
insieme. Quando avremo l'onore di averla con noi?
- Ti ringrazio, ma non vorrei che a qualche tuo collega
andasse di traverso il caffè. La figura di Direttore incute
una certa paura, forse più che nei ragazzi.
- In fondo sappiamo tutti che lei è una brava persona,
sarebbe bello se prendesse il caffè con noi, anziché
andare al bar.
- Diciamo che, siccome dopo il latte macchiato e la
tortina di frutta ho il desiderio di fumarmi un po' la pipa,
lungo la strada tra il bar e la scuola trovo il tempo per
consumare questo rituale.
- Come desidera. Sappia solo che, con gli anni, siamo
diventati più organizzati anche del suo bar di fiducia.
- Non riesci proprio a darmi del “tu”, vero Aline?
- Vogliamo chiamarla deformazione professionale?
- Qui dentro puoi chiamarla come vuoi, ma quando ci
vediamo fuori dall'istituto non accetto più questo genere
di formalità, siamo d'accordo?
- Le assicuro che ci provo ma non è affatto semplice.
- Devi riuscirci. Non sai quant'è imbarazzante discutere
con te che mi dai del “lei” davanti ad una pizza!
- E' per questo che non esco molto, così ci vediamo poco
e siamo entrambi pochissimo in imbarazzo.
- Questo vuol dire che non possiamo vederci ogni volta
che lo desideriamo, solo perché non riesci ad essere
informale!
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- E anche perché non vuole fare colazione con tutti gli
altri.
- Te l'ho detto, non ho nessuna voglia di disturbare
questo consolidato rito con la mia opprimente presenza
di Direttore.
- Ed io, allora non uscirò mai più in vita mia con lei, né
per una pizza, né per un caffè, né per nient'altro.
- Trovato: a fine anno ti licenzio così non sarò più il tuo
Direttore, riuscirai a non essere così fredda con me e
vissero tutti felici e contenti.
- Ha dimenticato i ragazzi e la sua macchina.
- Che attinenza hanno con questo discorso la mia
macchina e gli allievi?
- Se mi licenziasse, i miei ragazzi non esiterebbero ad
esprimere il loro malcontento ed il suo fuoristrada
diventerebbe... “fuori uso”.
- Tu lo sai che sei l'unica insegnante che non vede l'ora
di affrontare gli studenti e l'unica a cui i ragazzi vogliono
bene?
- Per me, insegnare non è firmare un registro e fare
medie algebriche, per me essere professoressa è anche
venire qui la mattina, fare colazione tutti insieme e
trasmettere il mio buon umore a quei giovani che ne
hanno davvero bisogno.
- Resta un mistero come fai ad essere di buon umore
con ciò che ti sta accadendo personalmente e con ciò
che devi affrontare qui...
- Vede, non c'è cosa più bella che alzarsi la mattina col
desiderio di andare a lavorare. Io faccio il lavoro che ho
sempre sognato e mi tuffo con passione nel mio lavoro.
Ecco perché la mattina presto sono qui, perché quando
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STEFANO ZIZZI
lavoro non esiste altro al di fuori di queste quattro mura.
- Dici così perché non hai figli.
- Probabilmente anche perché quella dell'insegnante,
come quella del medico, sono vere e proprie missioni,
forse anche più importanti della missione che compie un
sacerdote.
Il discorso tra Aline ed il Professor Fernandez, direttore
dell'Istituto praticamente da sempre, fu interrotto dal
frastuono causato della campana che suona a cavallo tra
la prima e la seconda ora. I due si salutarono, Aline
afferrò la valigia e si diresse verso la classe in cui doveva
tenere la lezione. Fernandez si riaccese la pipa e andò
nel suo ufficio lasciando lungo il corridoio un forte odore
di tabacco aromatizzato.
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DORMI CON ME STANOTTE?
TRE – FACOLTÀ DI FILOSOFIA
L'insegnante diede un'occhiata fugace al grande orologio
posto al centro della parete alla spalle della cattedra e
terminò il suo discorso in maniera veloce ed un po'
approssimativa, facendo notare agli uditori che l'ora stava
per terminare e che avrebbe continuato la spiegazione
durante la lezione successiva. L'argomento di quel giorno
fu “Concetti fondamentali della filosofia del linguaggio”,
un tema assai caro a tutte le ragazze che partecipavano
al Master di “Metodologia della ricerca pedagogica”.
Julia sembrava rapita dai discorsi del Professor
Minambres, ma poi rivolse anche lei uno sguardo al
grande orologio e realizzò che non c'era tempo da
perdere. Arraffò al volo tutto ciò che aveva appoggiato
sul banco che condivideva con Lucya, la salutò
velocemente ed abbandonò l'aula, sperdendosi tra la
folla di studenti che andavano via.
Julia frequentava con profitto altalenante la Facoltà di
filosofia di Madrid, che è la meta preferita di chi vuole
avvicinarsi al mondo della conoscenza dell'uomo
seguendo le canoniche vie dell'istruzione qualificata.
Alle 15.00 di ogni giorno, gli allievi terminano le lezioni e
sono liberi di rincasare al Campus residenziale o presso
gli ostelli dove alloggiano, anche se l'abitudine da parte
dei ragazzi di prendere delle stanze in affitto presso case
private stava diventando sempre più frequente.
Per strada, Julia si abbottonò la giacca a vento ed
allacciò il cordone che teneva chiusa la grossa sacca di
raffia fucsia che utilizzava per conservare i libri di scuola.
Sebbene il tratto di strada che portava da Calle de
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STEFANO ZIZZI
Fuente del Saz a Calle de Padrillo fosse servito da una
linea di autobus dalla frequenza soddisfacente, Julia
preferiva risparmiare i soldi del biglietto e percorrere quei
seicento metri a piedi, magari addentando un panino con
un po' di frittata.
Il negozio di animali presso il quale lavorava, riapriva alle
17.00, ma lei preferiva non perdere tempo per poter fare
un salto al Teatro Padrillo, situato alle spalle del negozio
e dove ogni pomeriggio le compagnie di Madrid e
provincia facevano le prove per lo spettacolo della sera.
Era quello il momento più bello della giornata!
Quando Julia entrava in quel Teatro le si illuminavano gli
occhi. Si sedeva su una delle poltrone in fondo e restava
immobile ad assistere a ciò che i suoi beniamini
rappresentavano in scena, seppur con la leggerezza
priva di rigore e precisione, tipiche di tutte le prove
generali. Ai suoi occhi, ogni compagnia che provava su
quel palco, era un gruppo di persone baciato da Dio, non
foss'altro che per l'impagabile fortuna che avevano di
poter fare ciò che lei aveva da sempre sognato: recitare
a Teatro.
Ogni compagnia, anche la meno professionale, anche la
più distante dai suoi gusti personali, era, per quell'ora in
cui Julia restava a guardare, un gruppo di eroi, di
beniamini. Chiunque essi fossero.
Ogni bel gioco dura poco, ed anche le prove di “La casa
di Bernarda Alba” sebbene continuassero per gli attori,
per lei erano terminate con il solito senso di rammarico
per non poter sapere come andasse a finire e, forse, per
non poter vedere lo spettacolo ufficiale, quello della sera,
quello del biglietto a venti euro...
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“La casa di Bernarda Alba” è un'opera di tre atti datata
1936 e scritta da Federico García Lorca alcuni mesi
prima della sua morte. Il testo fa parte di una trilogia sulla
sottomissione delle donne nella Spagna anni trenta.
Julia stava seguendo appassionatamente la storia, ma
allo scoccare delle 17.00 si alzò controvoglia ed uscì
dalla sala, senza conoscere ancora una volta il finale
dell'opera.
- Cosa danno stasera a Teatro?
- Buona sera, signorina Adubal, scusi per il ritardo.
- Non fa niente, vorrà dire che andrai via sedici minuti
dopo le otto.
- Potrei recuperare domani? Se vado via in ritardo perdo
l'autobus!
- Avresti dovuto pensarci prima. So bene che domani non
recupererai. Non recupererai mai. Ma cosa ci trovi nel
Teatro, vorrei sapere...
Julia non replicò. Andò nel retro, si tolse la giacca a
vento e infilò il camice, poi prese lo spazzolone e si
diresse verso il lavandino per riempire il secchio d'acqua.
- Com'è possibile che frequenti una scuola di filosofia e
poi vai in Teatro, dove tutto è inventato...
- Vede, signorina – rispose – ciò che mi insegnano al
Master, è molto importante ai fini del del lavoro, della
professione, della stabilità economica. Ma il Teatro è
un'altra cosa.
- Io non ci vedo niente di buono in un manipolo di
pagliacci che si esibisce davanti alla gente.
- Non c'è solo il teatro comico. Stasera, per esempio,
danno una tragedia bellissima...
- Come può essere bellissima una tragedia?
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STEFANO ZIZZI
“E allora come può essere gratificante lavorare in mezzo
alla merda di cani e gatti e agli sputi di uccelli e
pappagalli, in mezzo a schifosi rettili, schifosi non più di
te, brutta zitella acida?” Questo avrebbe voluto
rispondere Julia, se solo non fosse stato per quei pochi
quanto necessari spiccioli che la Signorina Adubal le
dava a fine settimana. Così preferì star zitta. La signorina
incalzò: - E fin dove hai visto, stavolta? A che punto
della storia l'urgenza del lavoro ha disturbato il tuo
spettacolo?
Evitando di ribattere a tono, Julia smorzò la polemica: - E'
la storia di Bernarda Alba che quando restò vedova per
la seconda volta impose un lutto rigoroso alle sue cinque
figlie, meno che alla figlia maggiore Angustia, ereditiera
di gran parte del patrimonio paterno e che doveva
andare in sposa con "Pepe il romano", il cui solo obiettivo
era mettere le mani sull'eredità. Poi ho visto l'ora e sono
schizzata via.
- Hai visto quasi tutto, insomma. Quando la figlia minore
Adela si innamora, ricambiata, del promesso sposo della
sorella, la storia si intreccia fino a sfociare nel suicidio
della minore, che non voleva piegarsi alla volontà della
madre. Bernarda Alba conclude il dramma proclamando
che sua figlia è morta vergine e ordinando il silenzio
sull'intera vicenda.
La signorina Adubal chinò di nuovo la testa sulla
scrivania e riprese a fare i suoi conti.
Julia restò per un attimo di sasso, guardando fisso il
corpo curvo della sua titolare, poi abbozzò un sorriso e
cominciò a lavare per terra.
Probabilmente, dietro quella faccia ruvida e quei capelli
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DORMI CON ME STANOTTE?
grigi raccolti da un fermaglio in osso, si nascondeva una
persona vera, umana, ma che ostinatamente aveva
deciso di mostrare il suo lato burbero.
Le tre ore di quel pomeriggio volarono in fretta, tra
pensionati decisi a spendere una follia per il loro animale
domestico, adolescenti attratti dalla nuova mania di avere
rettili in casa e bimbi che s'incantavano davanti alle
gabbie dei passerotti in vetrina, appoggiando le mani ed
il naso sui vetri che Julia era obbligata a pulire anche
dieci volte al giorno.
Per la prima volta, la ragazza aiutò la signorina a
chiudere e tirar giù la saracinesca, restando al suo posto
di lavoro ben oltre il tempo che aveva da recuperare.
- A cosa devo quest'onore? - chiese la signorina Adubal,
accendendosi una sigaro.
- Dovevo recuperare i sedici minuti, siccome il prossimo
autobus passa tra mezz'ora, ho preferito darle una mano.
- E quanto mi costerà questa cosa? - borbottò la donna
sputando fumo torbido dalle narici.
- Nulla, ho tempo da perdere e l'ho impiegato aiutandola,
ho sbagliato?
- Certo che no. La signorina Adubal si mise il sigaro tra i
denti e tirò fuori una bustina di plastica trasparente dalla
tasca del camice. Vi infilò la mano dentro e tirò fuori dal
sacchetto trenta euro, poi tese la mano con i soldi verso
Julia.
- Cosa ci devo fare? - chiese ingenuamente la ragazza.
- Vai a Teatro, mangia qualcosa e poi prendi la metro.
Me li ridarai con calma.
La ragazza restò a bocca aperta. - No, signorina, non
posso accettare, grazie lo stesso.
27
STEFANO ZIZZI
- Prendili, prima che cambi idea.
- Ma come faccio? Non posso permettermelo, con trenta
euro ci pago la rata del portatile, davvero, non posso.
- Per sei settimane ti darò cinque euro in meno, ma
adesso datti una sistemata ai capelli e corri!
Julia aveva gli occhi lucidi. Si aggrappò al collo della
donna e le diede un bacio sulla guancia, la ringraziò mille
volte e girò l'angolo in direzione del Teatro.
La signorina Adubal fece fatica a tirarsi su dopo il colpo
alla schiena involontariamente inflitto dalla gioia di Julia,
terminò il sigaro, gettò il mozzicone in una falda del
tombino antistante al negozio e si diresse verso la sua
scassatissima Rover 213, sparendo nel buio.
La ragazza, ignara del ritardo con cui le compagnie
teatrali sono solite iniziare, arrivò con largo anticipo. Si
tolse la giacca a vento che puzzava di mangime per
pesci, la piegò e l'appoggiò sulle ginocchia. Rimase
saldata sulla poltrona anche durante l'intervallo. Con un
applauso fragoroso ed insistito, si congedò dal Teatro e
da i suoi eroi, che finalmente, per una volta aveva potuto
vedere all'opera, nel vero senso della parola.
Tornò all'ostello a piedi e cenò con un bicchiere di latte
caldo e caffè, decisa a riconsegnare alla signorina
Adubal dieci euro già l'indomani. Fu una delle più belle
serate in tutti i suoi ventiquattro anni. Si addormentò con
la commedia ancora davanti agli occhi e la curiosità di
sapere il motivo per cui Federico García Lorca, scrivendo
questo meraviglioso dramma, aveva deciso che "Pepe il
romano", pur essendo il perno attorno cui girava la
vicenda, non doveva essere un personaggio ma solo una
citazione senza mai entrare in scena.
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DORMI CON ME STANOTTE?
QUATTRO – TI SCRIVO
E' il quarto giorno consecutivo che piove. Ed è il quarto
giorno consecutivo che non vado a lavoro. O meglio:
faccio un salto verso le cinque del pomeriggio, firmo i
documenti, faccio delle telefonate e pongo riparo alle
asfissianti crisi maniaco-depressive in cui sprofonda la
mia segretaria quando non mi faccio sentire per oltre
mezz'ora. Di solito i dipendenti sono più tranquilli quando
il capo non c'è, ma nella mia azienda questo non
succede. Tutti mi vogliono, tutti mi cercano, chi mi chiede
consigli, chi mi sottopone cartacce da autografare...
Nessuno mi chiede se io ho bisogno di qualcuno, tutti
sanno bene cosa vogliono da me, ma nessuno si
permette il lusso di chiedermi cosa voglio io. Teo, il
gestore dell'After bar, dice che scambierebbe volentieri la
sua vita con la mia, ma io gli ripeto sempre che, fossi in
lui non lo farei, e quando mi chiede il perché non ho mai
voglia di rispondergli, anche se è l'unico che mi chiede
cosa desidero, salvo poi presentarmi il conto.
In tutte le cose c'è un conto da pagare. Sempre. In
quanto titolare di un'azienda di import-export, me ne
sono dovuto fare immediatamente una ragione. A dire la
verità, sono disincantato per carattere, così quando
succede qualcosa, succede e basta. Gioisco un po'
oppure mi dispero qualche ora, a seconda di cosa sia
accaduto.
Teo, Leonardo e quelli del bar, ad esempio, mi vedono
come uno pieno di soldi, che va a lavorare quando vuole,
che pranza e cena al ristorante... Che diavolo ne sanno
loro? Loro sono un gruppo di persone che vedo quando
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STEFANO ZIZZI
ho voglia di un caffè, mentre loro mi giudicano un leader,
ma in fondo sono un leader del nulla, a te posso dirlo.
Leonardo è un tipo strano. Avresti dovuto conoscerli,
quelli del bar. Lui è uno scrittore del sud dell'Italia,
pugliese, se non ricordo male. Dice sempre che laggiù
per diventare uno scrittore famoso devi prima morire o
almeno superare gli ottant'anni, così se n'è venuto qui e
adesso scrive pubblicità per un'emittente radiofonica.
All'inizio provò davvero a scrivere racconti, ma si fece
rapire dalla movida e così si svegliava a mezzogiorno,
giocava a biliardo fino alla chiusura dell'After bar, poi
tornava a casa e tra una doccia ed una “ricerca
d'ispirazione” con qualche amichetta, cominciava a
scrivere a notte inoltrata, inanellando una serie di
fessaggini figlie della stanchezza.
Ha cambiato lavoro, piuttosto che cambiare stile di vita.
Sai che ti dico? Che alla fine dei conti ha fatto bene. Se
passiamo il tempo a chiederci cosa sarebbe meglio fare,
la vita ci passa davanti senza darci neppure il tempo di
accorgercene.
Gli anni volano in fretta, sono le giornate che son lunghe
da passare.
Ti ho portato dei fiori. Sì, lo so, ho sempre detto che odio
i fiori finti, che non c'è cosa più ignobile dei fiori di
plastica, che sono l'anti-natura per eccellenza, ma
almeno avrai accanto a te un tocco di colore che possa
resistere al tempo. Quant'è che non ci vediamo?
Saranno più o meno due anni... Sono sempre
indaffarato, non riesco mai a trovare un momento libero
da poterti dedicare come vorrei.
Che ne pensi se la prossima volta ti portassi Patricio?
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DORMI CON ME STANOTTE?
Dovresti vederlo, è diventato enorme e davvero resterà
un mistero come sia capace di essere così agile, di
combinare sempre casini nonostante le sue dimensioni
ed il suo peso! Ci sono dei giorni in cui sono solo in casa
e nel silenzio riesco a sentire le sue zampe che sbattono
contro il pavimento dopo un salto da chissà quale
mobile...
Ecco: vorrei essere un gatto. E' possibile reincarnarsi in
un animale? Non so se la reincarnazione, supponendo
che esista, preveda la possibilità di reincarnarsi in un
animale, ma se davvero un giorno potessi scegliere
come passare la mia prossima vita vorrei essere un
gatto, per vivere alla giornata, per non avere nessun
problema... Per cadere sempre in piedi.
C'è chi non avrebbe mai ospitato un gatto randagio in
casa propria, perché dicono che i gatti sono opportunisti,
sono falsi. Probabilmente è vero, ma io adoro Patricio
per questo, per la sua inclinazione naturale a non
affezionarsi a nessuno, a non avere dei rapporti fissi e
continuati, lo ammiro perché non piangerà se un giorno
qualcosa o qualcuno dovesse staccarci.
Sto cominciando a far vecchio. A cinquantadue anni
penso delle cose che non facevano parte di me prima
che te ne andassi. E poi ci sono dei momenti in cui mi si
appanna la vista e mi viene un sonno tale che sono
costretto a fermarmi ovunque mi trovi. Sto invecchiando.
Sto invecchiando e lo sto facendo da solo, senza di te,
senza nostra figlia.
Non ho più sue notizie da oltre quattro anni e porto
questa ferita nel costato come fosse un peso enorme,
come se il pugnale col quale mi trafisse il giorno che
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STEFANO ZIZZI
andò via salutandomi appena, sia ancora piantato nel
cuore, come se fossi ancora vivo per miracolo, il
miracolo di poterla un giorno riabbracciare.
Quando ti sposai e cominciammo a crescere la nostra
bambina come fosse una principessa, feci il più grande
errore della mia vita: pensai che una volta per tutte,
avevo riempito la mia vita di persone che non mi
facessero sentire il solo superstite di una famiglia che
non esiste più.
E' per questo che non vedevo l'ora che tu mi regalassi un
erede, perché so bene cosa vuol dire essere figlio unico
in una casa di due coniugi anziani, in un contesto
familiare di gente anziana che pian piano si riduceva nel
numero, fino a lasciarmi completamente solo.
Poi arrivasti tu e mi regalasti una splendida bimba,
l'unica cosa veramente mia, l'unico sogno davvero
realizzato. Un figlio non si può comprare per quanto ricco
possa essere un uomo.
Ogni volta che vengo qui ti ripeto sempre le stesse cose,
pur essendo cosciente di averle già dette, ma voglio che
siano ben chiare a te, a me ed alla mia coscienza.
Non mi risposerò, se è questo che volete sapere; non lo
farò anche se tu me ne hai dato il permesso.
Ma quando sei andata via mi è crollato un mondo, il
nostro batuffolo di capelli neri era già diventata una
bimba a cui io ho dovuto spiegare cosa fosse successo
alla mamma; cosa fosse successo a lei, quando il giorno
prima era una bimba e la mattina dopo si svegliò in una
pozza di sangue ed in preda a dolori di pancia lancinanti,
che era già diventata una donna, la mia piccola donna.
Ho imparato a cucinare, a fare il bucato, a stirarle i
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DORMI CON ME STANOTTE?
gonnellini, a prendermi cura di lei, a seguirla nei suoi
studi, ma da solo non ce la facevo ed ogni donna che
entrava in casa era un pugno che le sferravo; io non
capii finché non se ne andò.
Non so dov'è, cosa faccia, come va avanti, se vive bene,
se vive... Ogni tanto provo a digitare il suo nome su
internet ma non mi appare nulla e avverto lo stesso stato
d'animo di quando lei provò a paragonare le donne che
entrano in casa mia con te: sono sconfortato. Ho il suo
numero di cellulare sulla bacheca di sughero che
appendesti in cucina sulla quale mi segnavi le cose da
comprare; ora il frigo lo controllo personalmente e sul
beige del sughero spicca un solo foglio bianco su cui c'è
un numero che non riesco mai a comporre.
Spesso mi viene il desiderio, ieri sera, per esempio, di
raggiungerti. E' per questo che stamattina sono qui,
perché stavo davvero pensando di mandare tutto a quel
paese finché non ho sentito suonare il campanello. Sono
andato ad aprire sperando, come ogni volta, che dietro la
porta ci fosse la mia piccola donna, invece era la signora
del piano di sotto che mi chiedeva una foglia di salvia.
Credo sia ignobile che venga da me a lamentarsi di un
mal di testa come se fosse il più grosso guaio della storia
del mondo, ma per lei credo che conti più la sua
emicrania che la mia solitudine...
Spesso penso di incrociarla in giro, nostra figlia dico,
magari dall'altro lato della strada come domenica scorsa,
quando una ragazza con lo stesso cespuglietto nero
stava passeggiando ed io pensai che fosse lei, finché
non attraversai e mi avvicinai per scoprire che mi
sbagliavo, per l'ennesima volta. Sono ritornato
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STEFANO ZIZZI
bruscamente sulla terra e non ho pensato più a nulla.
Mi si è abbassata la vista, mi sono addormentato e
all'alba ero già in piedi.
Stamattina, appena prima di svegliarmi, ho sognato di
incontrarmi per strada; cioè non di incontrare qualcuno,
ma me stesso ed è stata una strana sensazione, perché
nel sogno ero cosciente che l'uomo che avevo di fronte
ero io!
Mentre venivo qui, ho pensato a quale significato
potesse avere questo sogno strano e semplice allo
stesso tempo, ma non sono riuscito a darmi una
spiegazione.
Oggi mangio a casa. La domenica l'After bar è chiuso.
Ho un barattolo di sugo pronto e butto giù un po' di riso
che si scuocerà e che puntualmente butterò attribuendo
la colpa ai prodotti da discount.
Tu non puoi tornare. Ma fai almeno in modo che torni lei?
Ti amo con tutta l'anima. Ciao.
La vetrata, finalmente, regalò una timida luce dovuta al
ritorno del sole. Seppure l'enorme finestrone fosse ben
chiuso perché il davanzale sul quale Carlos era
appoggiato per scrivere non si bagnasse, tutt'attorno
c'era un gradevole odore di pioggia e di piante umide.
Carlos piegò il foglio, scrisse la data sul fronte della
busta, la aprì e vi infilò la lettera. Leccò il lembo
auto-incollante ed appoggiò il tutto accanto alle altre
lettere.
Passò la sua mano sulla foto di Helèna, per togliere la
polvere ed anche un po' per salutarla, poi se ne andò via
voltandosi di colpo.
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DORMI CON ME STANOTTE?
Guadagnò rapidamente l'uscita del cimitero di Sant
Gervasi, lasciandosi alle spalle la tomba di sua moglie
insieme ai cipressi e gli oleandri che sudavano pioggia
dalle loro foglie lunghe, mentre dal suo viso scendeva
fino al mento una lacrima sola.
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STEFANO ZIZZI
CINQUE – L'OROLOGIO DEGLI DEI
Ogni giorno, all'alba, c'è un solo, preciso istante in cui la
percezione dei colori è alterata per effetto naturale
dell'aurora: il bianco è beige, il blu diventa violaceo ed il
verde è quasi giallo. Si tratta di un solo secondo nel
quale ognuno di noi dovrebbe essere già sveglio per
potersi gustare questa specie di arcobaleno senza
pioggia, in cui tutto assume il fascino di una sbiadita
polaroid degli anni settanta. Nell'attimo successivo sorge
il sole e le tonalità riassumono le caratteristiche a cui
siamo abituati da sempre.
C'è chi dorme in posizione fetale, o quantomeno
assumendo una postura composta, ed altri che prendono
possesso del letto in maniera totale e quasi ossessiva e
possessiva, senza curarsi degli altri con cui dividono il
posto.
Diego aprì gli occhi che era ancora buio e fece non poca
fatica a lasciare il letto senza svegliare Julia; si ritrovò
con il dorso della mano bene aperta appoggiato al
materasso e con il palmo soffocato dal florido seno della
ragazza. Cercò di tirare fuori la mano portandola verso
l'esterno senza riuscire ad evitare il contatto con il
giovane capezzolo turgido della donna che sembrava un
mozzicone di sigaretta tenuto tra il medio e l'anulare della
mano sinistra.
Prima di alzarsi, con due dita e l'abilità di un consumato
giocatore di shanghai, prese il lembo del perizoma nero
della donna e glielo rialzò fino ad un dito sotto ai reni,
rimettendo ordine nel minimo dell'abbigliamento intimo
che Julia, con i movimenti inconsapevoli del sonno,
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DORMI CON ME STANOTTE?
aveva scompigliato fino a far scendere un lato della
striminzita mutandina ben oltre la coscia, lasciando in
bella, anzi ottima mostra gran parte del sedere che
all'occhio di un uomo, effettivamente, non necessitava
nella maniera più assoluta di una qualsivoglia copertura,
striminzita o spudoratamente avvolgente che fosse.
Riuscito nella titanica impresa di scendere dal letto,
Diego rimboccò la coperta a Julia, si recò in bagno, si
sciacquò immediatamente la faccia e poi, ritrovata la
serenità, si lavò i denti e si mise qualcosa addosso.
Proprio nell'istante magico in cui l'aurora stava scattando
la polaroid di quel giorno, un assordante boato svegliò di
soprassalto Julia, la quale immediatamente lanciò un urlo
se possibile più rintronante. Diego risalì di corsa sul
soppalco che ospitava il letto dei due.
- Non è nulla, non è nulla!
- Cosa vuol dire nulla..? Cos'è stato questo scoppio?
- Buon compleanno, cara!
- Buon compleanno un corno, c'è mancato poco che
fosse anche l'ultimo!
- Lo so, lo so... Volevo portarti la colazione a letto.
- E che cavolo prevedeva il menu, petardi?
- Stavo preparando il caffè ed inspiegabilmente è esplosa
la caffettiera.
- Porca putt... Hai messo l'acqua?
- L'acqua? Credo di si.
- Forse no.
In un attimo, Julia aveva superato tutte le fasi del
risveglio. Il “regalo di compleanno” di Diego aveva
annullato qualsiasi sbadiglio, stropicciamento di occhi e
stiracchiamenti vari. Quando si affacciò dalla ringhiera di
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STEFANO ZIZZI
legno che delimitava il soppalco, per dare un'occhiata
all'angolo cottura, l'impatto visivo con ciò che rimaneva
della cucina le evitò persino la necessità di lavarsi la
faccia.
Scese le scale e si guardò intorno attonita: due delle
quattro mura del monolocale presentavano una serie
inqualificabile di macchie di varie forme e dimensioni,
esattamente color caffè.
Mentre Julia restò pietrificata con gli occhi sgranati e
senza fiato, al contrario Diego si affrettò a togliere quadri
e soprammobili per pulirli, ma anche per evitare alla
festeggiata ulteriori dolori visivi.
- In tanti anni di convivenza, ci sarà un motivo per cui non
hai mai fatto il caffè...
- Onestamente non ci ho mai pensato...
- Come non hai pensato a metter l'acqua nella moka.
- Vabbè, ma non darmi addosso, ormai è fatta. Piuttosto
diamoci da fare.
- Diamoci? “Datti” da fare.
- C'è da pulire dappertutto e forse anche da imbiancare le
pareti, non c'è la farò mai da solo.
- Bel regalo di compleanno. E dove la troviamo la
vernice?
- Serve della tempera bianca. Quella che avete usato per
rimettere a nuovo il negozio di animali, per esempio...
- No. Di domenica, il giorno del mio compleanno, non ho
nessuna intenzione di chiedere favori alla signorina
Adubal, me lo rinfaccerebbe a vita.
- E dai. Pensa che bello: passerai il tuo ventiquattresimo
compleanno impregnata di quel buon odore di pittura
fresca!
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DORMI CON ME STANOTTE?
- Tante grazie.
Il retro del negozio di animali della signorina Adubal era
composto da un locale abbastanza ampio che fungeva
da retrobottega dal quale, per mezzo di una porta
blindata, si accedeva ad un mini appartamento,
residenza dell'anziana donna. Julia aprì la porta del
negozio e vi trovò la titolare, intenta a fare conti come
fosse un giorno feriale.
- Buona domenica, signorina.
- Che ci fai qui?
- Avrei bisogno di una cortesia, se non le dispiace.
- Mi dispiace eccome. Sei ancora in debito con me di ben
venti euro.
- No, non mi servono soldi, vorrei imbiancare casa e
necessiterei di quella tempera che le è rimasta da
Natale, se non è un problema.
- E cosa credi che io la vernice l'abbia avuta gratis?
- Certo che no, ma domani gliela ricompreremmo.
- Lo sapevo che dietro questa impellente necessità ci
fosse anche quella specie di maggiordomo.
- Posso prenderla?
- Sai dov'è. Ce una latta ancora chiusa, prendi quella e
sparisci. Domani me la ricompri, intesi?
- Non dubiti.
Julia salutò, chiuse la porta dietro di sé con una mano e
con l'altra passò la latta ed i pennelli a Diego.
- Ho sentito come mi ha chiamato, quella.
- Ringraziala, piuttosto. E impara a fare il caffè.
- E allora tu impara a coprirti, la notte.
- Che cavolo c'entra?
- Lo so io, andiamo...
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STEFANO ZIZZI
- Vai avanti, io passo un attimo dal Teatro Padrillo e poi ti
raggiungo.
- Cerca di tornare subito.
Ovviamente, Julia tornò quando Diego aveva già finito
una delle due pareti e stava addentando un panino con
las magras.
Tutti i mobili appoggiati ai muri, erano stati spostati al
centro dell'esiguo monolocale e avvolti dal cellophane
con cui coprivano il bucato nelle giornate di pioggia. Non
appena sentì il rumore della chiave che entrava nella
serratura, girò lo sguardo verso l'ingresso.
- Ma che cavolo di fine hai fatto!
- Ho incontrato Lucya all'uscita del Teatro e siamo andati
a prenderci un aperitivo.
- Il cellulare lo hanno inventato perché si possa essere
reperibili ovunque, sempre che il proprietario non lo
lasci a casa...
- Hai ragione, ma siamo usciti insieme e non ho pensato
a portarlo con me.
Julia scoppiò a piangere di colpo. Si gettò sul divano e
abbracciò Diego, il quale, colto di sorpresa, si lasciò
sfuggire il panino, che cadde e si aprì per terra
macchiando di sugo il lembo del copri divano che aderiva
al pavimento.
- Che... che hai? Che t'è preso?
- Niente, niente.
- Come niente? Stai singhiozzando... Che è successo?
- Ho incontrato Lucya ed ho insistito perché le offrissi un
aperitivo per festeggiare il compleanno. Siamo entrati
nel bar alle spalle di Parque Berlin, abbiamo preso da
bere e poi sono andato a pagare alla cassa.
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DORMI CON ME STANOTTE?
- E allora?
- E allora sai chi c'era alla cassa? Quella troia che era
convinta di essere mia madre!
- E che ci fa a Madrid?
- Lei è di Madrid.
- Ma è quella per cui hai litigato con tuo padre?
- Sì.
- Credi che t'abbia riconosciuta?
- Non lo so. Sono andata via di corsa.
- Se aveva un minimo dubbio, gliel'hai tolto.
- Non m'interessa nulla.
- Di lei. Ma tuo padre?
Julia continuò a strofinarsi gli occhi umidi con le dita in un
silenzio a dir poco assordante. Diego incalzò
- Ti manca, vero?
- Ogni tanto sì. Oggi ancora di più. Non e' affatto
semplice condurre una vita da sola, mi manca il suo
appoggio, la sua dolcezza nei momenti in cui sono
fragile.
- Non hai mai pensato, sul serio, di farti viva una volta per
tutte?
- Quando mia madre morì avevo due anni e quando
cominciai a capire, gli chiesi perché io non avessi una
mamma. Lui mi rispose che mia madre era salita in
cielo perché Dio vuole con sé le persone migliori
affinché diventino angeli; io da quella sera cominciai a
scrivere delle lettere e le lasciavo sul comodino. Lui la
notte le leggeva, mi scriveva le risposte e me le
faceva trovare sulla mia scrivania. Ogni giorno mi
svegliavo all'alba per sorprenderla come si fa con
Babbo Natale, ma finivo con leggere la lettera che
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STEFANO ZIZZI
trovavo e piangere come una stupida, esattamente
come ora. Io piangevo sul mio letto e mio padre sul
suo.
- Non mi hai risposto, però.
Con uno scatto di reni e di nervi Julia si alzò, si infilò il
cappellino di giornale che Diego le aveva costruito e
cominciò a dipingere la parete che era ancora macchiata.
L'unico flebile, impercettibile rumore che si sentiva era
quello delle lacrime che cadevano nel barattolo della
tempera.
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DORMI CON ME STANOTTE?
SEI – PAROLE
Uno dei numerosi lati positivi di una metropoli come
Barcellona, è la presenza del mare e di conseguenza del
porto, su cui fa perno la città per invogliare i turisti.
Luoghi di attrazione per chi vuol vivere la città e posti
d'attracco per chi vuol governare il mare cavalcando le
proprie imbarcazioni, si mescolano in uno dei più
pittoreschi ed incantevoli angoli di Spagna.
Particolare luogo d'attrazione è Portal De La Pau, la
piazza circolare che ospita il Monument a Colom,
realizzato nel 1888: è composto da una colonna in ferro
alta 60 metri e decorata da rilievi che raccontano la vita
ed i luoghi visitati da Cristoforo Colombo, la cui statua,
che indica il mare, si trova sulla cima della colonna.
All'ombra della statua, c'è uno degli hotels più importanti
di tutta la Spagna ed è nella sala congressi di questo
albergo che annualmente si tiene il corso di
aggiornamento per docenti, a cui partecipano anche gli
insegnati del Salinas.
- Se il ministero sapesse come funziona realmente la
nostra scuola, non spenderebbe così tanto per invitare
anche noi.
- Credi che non lo sappia? Hai visto? Eravamo l'unica
scuola che aveva solo due partecipanti, giusto per
rappresentanza.
- E' vero, per gli altri plessi c'era anche l'insegnante di
educazione fisica...
- Che hai da dire contro gli insegnanti di educazione
fisica?
- Nulla. Anzi, hai visto che “educazione al fisico” aveva
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STEFANO ZIZZI
quello del liceo classico?
- Vorrei ricordarti che, oltre ad essere la mia migliore
amica, sei anche la moglie del Direttore della nostra
scuola... Nelle mie orecchie questi apprezzamenti non
dovrebbero entrare!
- A dire la verità, m'importa che non escano dalla tua
bocca!
Tra ostriche e frittatine di gamberi, la cena
post-congresso stava cominciando all'insegna dell'ilarità,
ultimo appiglio a cui le due colleghe si stavano
aggrappando per non farsi vincere dal sonno provocato
dalla tediosa riunione alla quale erano state obbligate a
partecipare.
Aline e Lorenza Seges, insegnante di storia e cultura
spagnola, approfittarono di quell'evento per ritagliarsi una
giornata da vivere insieme, da sole e senza orari,
campanelle e circolari a cui dover prestare attenzione.
Lorenza e Miguel Fernandez si erano conosciuti sei anni
prima, all'arrivo dell'insegnate nell'Istituto già da allora
sotto la guida di colui che sarebbe poi diventato suo
marito.
Seppure il legame con la moglie fosse ben più che saldo,
Aline aveva non poche difficoltà a dare del “tu” al suo
diretto superiore, ancora abituata al rapporto che
avevano prima, malgrado quest'ultimo fosse cambiato e
nonostante i continui inviti di Fernandez a considerarlo
come amico e non come Direttore.
Aline, stranamente, pur essendo una costante nella vita e
nell'intimità della casa dei coniugi Fernandez, anche nelle
quasi quotidiane cene a casa dei due, riusciva con
imbarazzante disinvoltura a districarsi tra i discorsi serrati
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DORMI CON ME STANOTTE?
e gli sguardi di complicità tra due grandi amiche e
atteggiamenti di distaccato rispetto dei ruoli nei confronti
di Miguel.
Il cameriere, con un gesto minimo, lasciò elegantemente
che il carrello dei primi proseguisse solo per circa mezzo
metro, allorquando le calamite poste sui bordi del ripiano
entrarono in contatto con le lamelle di acciaio che
fungevano da angoliere del tavolo.
Il carrello si adagiò a ridosso del tavolo e si bloccò. Il
cameriere, con una posa regale, sicuro di sé, scoperchiò
i piatti fumanti e consegnò le due zuppe di pesce e frutti
di mare ordinate dalle signore. Staccò il carrello e si
congedò con un solenne “buon appetito”.
- Lo voglio a casa un carrello così...
- I carrelli li utilizzano i camerieri, mia cara. Noi a casa
nostra siamo cuoche, cameriere, lavapiatti e, se occorre,
anche imbianchine.
- Per questo c'è Miguel.
- Il mio “Miguel” è momentaneamente assente...
- Come va, se mi posso permettere?
- Alti e bassi. Ci sono dei giorni in cui non potremmo
vederci l'uno lontano dall'altro, e ci sono periodi in cui
non ci potrebbe essere distanza maggiore.
- Scusa se insisto, ma non ho potuto fare a meno di
notare che ha parlato di “giorni” positivi e di “periodi” per
così dire agitati. Mi par di capire che che sono più i bassi
degli alti... Ma è possibile che non riuscite a stare una
settimana di fila in santa pace?
- Non guardare me. Questa volta non so cosa gli sia
preso. Dice che è indaffarato, che il lavoro lo opprime,
eppure ogni volta che facciamo un discorso, dopo
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STEFANO ZIZZI
qualche battuta lo sorprendo intento a pensare a quel
cliente, a quella fornitura. Poi io mi incazzo e lui dice che
non ho pazienza.
- Beh....
- Beh, che?
- Se ti innervosisci così, non posso che dargli ragione.
- In realtà, sai cosa mi irrita?
- Cosa ti irrita maggiormente, vorrai dire...
- Ogni volta che discutiamo, ho sempre l'impressione che
non voglia toccare determinati argomenti, che viri di
proposito davanti ai discorsi.
- Non è poi così ingiustificabile...
- Lo so, è questo che mi infastidisce, il fatto che non ho
nessun titolo per fargli vuotare il sacco.
Lorenza prese le mani di Aline tra le sue e le rispose: Insomma, tu vorresti che un giorno il tuo uomo ti prenda
la mano e ti dica: “Da oggi parliamo di tutto, anche di ciò
che ho sempre tenuto dentro, è arrivata l'ora di sfogarmi
e di renderti partecipe completamente della mia vita.”
- Dici che chiedo troppo?
- Domanda retorica.
Proprio in quel momento un ragazzino di quindici anni
anni al massimo, si avvicinò al tavolo delle signore, che
al lume di una candela rossa più della sua stessa flebile
fiamma, sembravano dirsi parole dolci mano nella mano
e con una fisarmonica d'epoca, per usare un eufemismo,
accennò il classicissimo “Libertango” di Astor Piazzolla,
credendo così di enfatizzare un momento romantico.
Le due donne lo guardarono e poi si guardarono le mani,
le staccarono imbarazzate e scoppiarono in una risata
che risolse l'equivoco.
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DORMI CON ME STANOTTE?
La cena continuò con il ragazzo con qualche centesimo
in più concentrato a suonare per altri tavoli e le
chiacchiere di due amiche che accompagnavano lo
stufato di aragoste in bella mostra nel vassoio.
- C'è una cosa che non mi piace...
- Io scelgo sempre il tartufo bianco, preferisco evitare le
sorprese di pasticcieri folli.
- Non parlavo del dolce, mi riferivo a me e... insomma hai
capito.
- Ma non avevamo detto che questa cena doveva essere
solo nostra?
- Sei stata tu a cominciare, e poi questa cena “è” nostra,
infatti sto parlando con te.
- Sì, ma non stiamo parlando di te o di noi. Tanto, alla
fine, sai benissimo come andrà: tutta la disperazione di
questa sera, terminerà con un meraviglioso ed assolato
pomeriggio di puro, semplice e libero sesso che getterà
acqua sul fuoco.
- Appunto.
- Appunto, cosa?
- Ogni volta, qualsiasi litigio, finisce nel nulla, anzi, no:
finisce a letto.
- Ti pare poco? Magari avessi da litigare con Miguel tutti i
giorni.
Resasi conto della gaffe, Lorenza si scusò.
- Perdonami, non volevo. Certe volte l'ironia prende il
sopravvento sul buon senso.
- Figurati. Anzi, forse hai ragione tu. Ne sto facendo una
questione di Stato.
- Però?
- Come sai che c'è un però?
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STEFANO ZIZZI
- A dire la verità non ne ero sicura, ma ora mi hai tolto
qualsiasi dubbio. Dunque: pero?
- Però sono sicura che non è uno stronzo, so per certo
che mi ama, ho quarantasei anni, credo di
aver
conosciuto abbastanza gli uomini per non rendermi conto
di cosa c'è sotto. E' per questo che tutta questa faccenda
mi fa irritare.
- Partendo dal presupposto che anch'io credo che non
sia uno stronzo, quello che ho imparato dalla vita è che
nessuna donna conoscerà mai a fondo un uomo, fosse
anche suo fratello.
- E quindi?
- E quindi dovresti muoverti tu.
- In che senso?
- Nel senso che è arrivato il momento di cominciare a
fare vita sociale. Ti rendi conto che per ogni situazione
familiare i ragazzi non esitano a chiamarti e tu non ti
risparmi ad ergerti a paladina del Ravel? Che rifiuti i
week-end fuori con lui perché devi ospitare a casa tua i
ragazzi che puntualmente si sbronzano e non hanno il
coraggio di andare a casa nelle condizioni in cui si
riducono? Io ti adoro, ma tu non puoi fossilizzarti a casa
o a casa mia, cinque sere su sette hai una scusa buona
per cenare con noi. Voglio dire: non sai quanto mi faccia
piacere, ma ogni tanto dovresti anche prendere un po'
d'aria... Ti lamenti che spesso è freddo e distaccato.
Conosci la sua situazione, dovresti capirlo... Raggiungi
inarrivabili picchi di nervosismo quando passano dei
giorni senza sentirlo, ma non hai mai preso il telefono per
chiamarlo tu, ed ogni tanto dovresti, considerato il fatto
che due volte su tre sei tu a mandarlo a quel paese. E
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DORMI CON ME STANOTTE?
qual è il motivo? Te lo dico io; è lo stesso motivo per cui
non riesci a dare del tu al marito della tua migliore amica:
assolutamente nessuno, o meglio le motivazioni ci sono,
ma sarebbero delle prese di posizione anacronistiche
anche per novantenni! Ecco cosa sei tu: una donna che
ha vissuto a cavallo tra la prima e la seconda guerra
mondiale e chissà perché è stata sbalzata nel 2002 e
adesso guarda il mondo atterrita come un indù che vede
passare un tram!
Dicono che le ostriche siano afrodisiache; di sicuro
disinibiscono! Lorenza era stata quello che si dice un
fiume in piena. Si svuotò di tutte le parole che non era
mai riuscita a dire alla sua collega, ma evidentemente
aveva bisogno dell'occasione giusta per fare davvero
l'amica e non offrire soltanto una spalla su cui Aline
aveva già pianto fin troppo.
Infatti, anziché lamentarsi o controbattere, si chiuse in un
mutismo che aveva il sapore dell'assenso e che la
accompagnò fino a casa dove ebbe molto tempo per
riflettere per lo meno su quanto fosse fortunata ad avere
una amica come Lorenza che non le manda a dire, che
non ti dice quello che vorresti sentirti dire ma quello che
pensa.
Aline non faceva altro che pensare a come e quanto le
opinioni di Lorenza coincidevano con la realtà in maniera
imbarazzante.
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STEFANO ZIZZI
SETTE – IL BACIO
All'uscita del cinema Verdi, Julia, Diego e Lucya erano
intenti a commentare “ Habla con ella”, il nuovo film di
Almodovar che avevano appena finito di ammirare.
L'argomento principe era la scelta del regista di
“spezzare” la storia del film con la tecnica della
suddivisione in capitoli attraverso dei flash-back. Julia
aveva apprezzato molto l'idea, perché induceva lo
spettatore ad entrare ed uscire dalla vita di ciascuno dei
protagonisti, salvo poi ricompattare il tutto con un epilogo
che lasciava al pubblico la possibilità di scrivere il proprio
finale.
Lucya, che già non amava molto Almodovar, continuava
a ribadire il cattivo gusto del regista, attento ad infarcire
quasi tutti i suoi film di personaggi omosessuali o
comunque palesemente ambigui.
Diego restò zitto quasi tutta la sera, fino a che non salutò
le due donne, deciso a non seguirle a bere qualcosa in
un pub.
Da quando i due conviventi cominciarono ad essere più
affiatati, a dire la verità da quasi subito, Julia e Diego si
promisero di non far uscire dal loro monolocale nessuna
confidenza che l'uno offriva all'altro, come se la loro
esigua abitazione fosse uno scrigno contenente i loro
segreti, piccoli o grandi. Nessun altro conosceva la loro
storia più di loro stessi.
Tutti e due via da casa quasi subito, tutti e due con una
vita da reinventarsi, tutti e due con un futuro sempre più
in salita. Ma sempre più convinti delle loro scelte.
Diego restò solo in casa giusto il tempo di una doccia, un
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DORMI CON ME STANOTTE?
bicchiere di latte ed una sigaretta. Dopodiché arrivò Julia.
- Ciao.
- Ciao.
- Che hai?
- Nulla.
- Certo, si capisce dal tono con cui l'hai detto...
- Niente, non ho niente.
La ragazza, conoscendo a memoria il suo coinquilino,
non abbandonò il discorso, ma ebbe la delicata furbizia di
girarci intorno.
- Siamo andati in un bar nei pressi della rotonda che c'è
alle spalle del cinema, perché non sei venuto?
- Non mi andava.
- Lucya dice che sei molto simpatico.
- Ah, davvero?
- E che sei anche abbastanza carino.
- Allora dille subito che sono gay così ci togliamo tutti il
pensiero.
- Ti ha dato fastidio, vero?
- Cosa? Che gli stia antipatico Almodovar perché porta
avanti la causa degli omosessuali? Ma come ti viene
in mente...
- Non lo sapeva... Lo pensa e l'ha detto. Non poteva
immaginare che tu fossi gay.
- Anch'io penso che una donna con la sesta di seno
perché pesa un quintale dovrebbe metterle in mostra
il meno possibile, ma non glielo dico, però.
- Vabbè, non pensarci.
- Certo che non ci penso, non penserei a lei neppure se
fossi etero! Anzi, vado a letto perché domani mi
aspetta una giornata pesantissima. Buonanotte.
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STEFANO ZIZZI
- Buonanotte.
Diego è il responsabile della pubblicità della Galería del
Prado a Plaza de la Cortes, uno dei centri commerciali
più grandi, importanti e di tendenza della capitale
spagnola. Ha un ruolo di responsabilità, ma molto
creativo e pertanto assolutamente pertinente con le sue
peculiarità caratteriali.
Ci sono persone che in determinati momenti, si lasciano
trascinare dalle emozioni; i loro occhi si chiudono in
modo da poter vedere solo con le lenti di ingrandimento
più speciali: le sensazioni.
Il lavoro, e la vita privata di Diego Malerba ruotavano
attorno al perno dei sentimenti, pur essendo questo suo
modus vivendi un'arma a doppio taglio: se il più delle
volte il suo istinto lo portava a superare con facilità alcuni
problemi, in qualche circostanza si venivano a creare
delle situazioni in cui rimaneva profondamente deluso.
Se l'istinto lo portava ad affrontare una situazione con un
preciso atteggiamento e la piena sicurezza di averci visto
bene, quella era la volta in cui Diego sistematicamente si
pentiva del passo compiuto.
Alle sette in punto, il telefono cellulare di Julia intonò
“L'aria Della Regina Della Notte” tratta dall'opera di
Mozart “Il Flauto Magico”, che la ragazza aveva come
sveglia.
Gli acuti della Lukianez che interpretò La Regina Della
Notte nella versione diretta dal Maestro Nuti alla Scala di
Milano nel 1995, erano quello che serviva per far scattare
sull'attenti la vera regina della notte, anzi del sonno.
Julia tolse la mano da sotto il suo cuscino e la diresse
verso il comodino per far tacere il telefono.
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DORMI CON ME STANOTTE?
- Ahia! Porca puttana!
Anzichè agguantare il cellulare, la ragazza premette
inavvertitamente due dita su una spina della rosa che
Diego le aveva lasciato sul comodino, insieme ad un
biglietto.
“Ciao bimba, una rosa per farmi perdonare, scusa per
ieri, ti voglio bene. Buona giornata, Diego”.
- Buona giornata un cazzo! Cominciamo proprio bene...
Fanculo alle rose, fanculo alle spine... Odio i fiori! Non
servono a nulla. E fanno anche male...
Julia uscì dal bagno in accappatoio e mentre apriva
l'armadio per scegliere cosa indossare, pensava
nervosamente a quanto fosse pericoloso Diego quando
gli veniva in mente di fare le sorprese. Aveva già avvolto
le sue gambe sode e lisce con un paio di gambaletti
fucsia e gialli, e stava calzando le scarpe da tennis, non
prima di aver indossato un jeans a bassa vita che
lasciava intravedere un malizioso perizoma color prugna.
Si alzò dal letto dopo aver allacciato le scarpe e si girò in
direzione del corridoio, quando incrociò una sagoma che
la fece sobbalzare.
- Diego!
- Che c'è?!
- Mi hai fatto prendere uno spavento!
- Scusa, non volevo...
- Ti giri per favore? Mi fai infilare il reggiseno?
- Uno: non sei “assolutamente” il mio tipo; due: se avessi
un euro per ogni volta che ti ho vista nuda, andrei a
vivere da solo nel miglior albergo della città.
- Ma non eri fuori?
- Fuori al balcone, certo. Dove credi che abbia preso la
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STEFANO ZIZZI
rosa per la quale, tra l'altro, non mi hai ancora
ringraziato?
- Lasciamo perdere. Piuttosto, come ti viene in mente di
fare il giardiniere a quest'ora?
- Le piante si annaffiano quando non c'è troppo sole,
quindi o la mattina presto o al tramonto.
- Non c'è la possibilità che ti possa dimenticare di
annaffiarle, diciamo per un paio di mesi di fila?
- Scherzi? Così morirebbero...
- Appunto, io odio le piante. E tu hai riempito il balcone.
Sono costretta a chiedere premesso alle foglie della
selcia per stendere il bucato
- Felce, non selcia... Che donna sei se non ami le piante?
- Una donna che è costretta a scopare e lavare il
pavimento due volte al giorno, perché le dannate
foglie della Felce e del Geranio cadono e, col vento,
entrano in casa.
- Impossibile. Il Pelargonium, che tu volgarmente chiami
Geranio, perde le foglie solo se si seccano.
- Impossibile un corno, guarda per terra: sembra di
essere al Parco del Retiro!
- Due fogliucce, stupidaggini...
- Devo trovare un sistema per farti seccare tutte le
piante... Pisciarci dentro, o succhiare l'acqua con una
cannuccia...
- Sei una bestia!
- E tu sei innamorato.
- Cosa ti viene in mente?
- Quando cominci un nuovo passatempo è perché sei
innamorato.
- Si vede così tanto?
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DORMI CON ME STANOTTE?
- Diciamo che ti conosco bene, ormai... Cos'è? Fioraio?
- No, è un botanico.
- Cavolo... Puntiamo in alto...
- Non m'interessa la professione, è bellissimo e già può
bastare.
- Ti posso chiedere una cosa?
- Dimmi..
- Ma “voi” come fate a capire se l'uomo che avete di
fronte è anche lui...
- ...Gay?
- Appunto.
- Quando guardi un uomo ti chiedi se è etero o lo punti e
basta?
- Vuoi dirmi che non c'è differenza?
- Nessuna. Ma ora basta con i discorsi, devo andare. Ho
appuntamento con Rupert tra venti minuti.
- Uno con questo nome lo punterei anch'io. Mi sa di...
- Esatto!
- Vengo anch'io...
- Scordatelo. Bacio.
- Ciao. Salutami Rupert.
A Julia, chissà per quale fortuna, finalmente venne in
mente di guardare l'orologio.
- Le nove! Cazzo le nove!
Anche oggi, la prima lezione era andata a farsi benedire.
Afferrò scopa e paletta e ripulì la stanza prima di
affrontare con molta calma la lezione delle undici.
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STEFANO ZIZZI
OTTO – SOGNO DI BACH
Il mestiere dell'insegnante, per il fatto che si tratta di una
una vera e propria missione, quindi già per questo
oltremodo faticoso, ha un rilevante ed imprescindibile lato
positivo: il tempo libero. In realtà non è così tanto lungo
come un non addetto ai lavori possa credere. Per
esempio, non tutti i pomeriggi sono liberi e da poter
dedicare ad altro e neppure l'estate è così lunga come
quella di uno studente. A seconda dei distretti, per
contratto, un professore si presuppone “reperibile” dal
giorno successivo al termine degli esami, fino a fine luglio
e dal primo lunedì di settembre fino all'apertura ufficiale
dell'anno scolastico. Il suo, però, è uno dei pochi rami
dell'istituzione Nazionale Spagnola che concede ai propri
dipendenti una mattina libera a settimana, utile per far la
spesa, passare in banca e chissà quante altre cose.
Il giorno libero di Aline è sempre stato il giovedì, fin da
quando la badante della povera nonna chiese
ventiquattr'ore di pausa a metà settimana. Qualche anno
fa sua nonna morì, non ebbe più bisogno di una badante
e poté usufruire del giovedì mattina a suo piacimento,
finalmente.
Il suo piacimento constava nell'andare a trovare il suo
compagno in ufficio, sbirciare i depositi con le novità, fare
due chiacchiere con Fran, la responsabile della
contabilità e passare lì gran parte della mattinata.
La grossa industria di surgelati “Pecados de Hielo” si
trova a Sabadell, un quartiere residenziale della periferia
di Barcellona. Ha il privilegio di essere ubicato in una
posizione tranquilla e allo stesso tempo centrale per
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DORMI CON ME STANOTTE?
mezzo di facili collegamenti con l’aeroporto ed il centro
città.
Il guardiano di turno, riconobbe da lontano la Seat
Cordoba gialla di Aline e sollevò velocemente la barra
all'ingresso dell'ampio parcheggio che contornava il
maestoso capannone.
La donna fece un cenno con la mano per salutare e
ringraziare e infilò la macchina in uno dei pochi posteggi
liberi, tra due furgoncini inspiegabilmente privi entrambi
delle quattro ruote e perciò adagiati su otto grossi massi
di tufo.
L'ingresso dell'azienda aveva tutta l'aria di essere stato
disegnato da un architetto specializzato in... hotels! Un
grande tunnel realizzato con delle piante rampicanti ai lati
e con una tenda da sole come tetto, convogliava coloro i
quali volessero entrare, verso una porta girevole.
Quest'ultima aveva anche un indiretto compito e cioè
quello di ribaltare completamente la percezione della
temperatura che passava dai trentatrè gradi segnalati dal
computer di bordo della Cordoba ai ventisei gradi che
facevano bella mostra sul grande display che ospitava la
temperatura, la data, l'ora locale, quella di Casablanca,
Sidney ed Hong Kong.
Un salotto in pelle bordeaux ed un bancone da reception
guarnivano lo spazioso ingresso della fabbrica.
Conoscendo molto più che bene la strada, Aline salì
lungo la grande scala a vista e si diresse al primo piano,
riservato agli uffici. Appena imbucato il corridoio, subito
incontrò Guillermo, il fac-totum dell'azienda, occupato a
fare alcune fotocopie per conto di chi non aveva neppure
il tempo di alzarsi dalla scrivania, bersagliato da fax, mail
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STEFANO ZIZZI
e telefonate che molto spesso si sovrapponevano.
- Buongiorno, signor Guillermo!
- Buongiorno a Lei, signora Pejo.
In verità, tutti, compreso Gullermo, sapevano che Aline e
Carlos non erano sposati, ma avevano l'accortezza di
chiamare l'ospite “signora Pejo”, compresa Fran.
- Come va, Fran?
- Buongiorno, Signora Pejo.
- Quando comincerai a chiamarmi col mio nome?
- Ha ragione, signora, ma è più forte di me... Una specie
di...
- Deformazione professionale? Capisco.
- Comunque tutto bene, al solito.
- C'è Carlos?
- Non è ancora tornato, credo. L'ho chiamato per delle
questioni urgenti e mi ha detto che sarebbe rientrato
stasera sul tardi.
- Tornato? Da dove?
- E' da cinque giorni a Melilla, non lo sapeva?
- Ah, già, certo. Melilla, che stupida. Buona giornata.
- Buona giornata a lei.
Melilla è una città autonoma spagnola situata sulla costa
orientale del Marocco.
Da quando, nel 1995, la città ha ottenuto lo statuto di
autonomia, la maggior parte della produzione a marchio
“Pecados de Hielo” avviene a dieci ore e mille chilometri
dalla sede amministrativa e legale. Sia che si passi dallo
stretto di Gibilterra o che ci si imbarchi da Almeria, la
distanza tra le due industrie sorelle potrebbe sembrare
proibitiva e controproducente se non fosse per il fatto che
Melilla è un porto franco e cioè gode di benefici tributari,
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DORMI CON ME STANOTTE?
non ci sono dazi da pagare, né imposte per esportazioni
ed importazioni. Peraltro, sebbene sia geograficamente
situata nel nord dell'Africa, gode dei fondi e delle
sovvenzioni per le medie imprese, sia dal governo
spagnolo che dalla comunità europea.
L'azienda della famiglia Pejo cominciò col produrre solo
nel settore del pesce surgelato, essendo la pesca
l'attività economica principale di Melilla. Qualche anno fa,
l'intuizione di Carlos Pejo diede una svolta definitiva
all'azienda, spostando la quasi totalità della produzione
oltremare. L'idea geniale dell'allora direttore commerciale
fu quella di dar posto a circa milleseicento marocchini
immigrati illegalmente, a fronte di una convenzione col
governo spagnolo che si impegnava a concedere
l'esclusiva alla famiglia Pejo su tutte le forniture di
competenza governativa sull'intero territorio spagnolo per
venticinque anni. In questo modo lo stato poté tamponare
il problema dei clandestini che invadevano la cittadina
spagnola per poter avere libero accesso nella comunità
europea, e “Pecados de Hielo” aumentò la produzione
del centosessanta per cento e con una mano d'opera che
costa tuttora un decimo di quella europea. E così, da
allora, sono tutti felici e contenti.
A dir la verità una persona che non è contenta affatto c'è,
ed è Aline.
L'ultimo dialogo con Carlos risaliva a due settimane
prima di questa inutile visita all'ufficio del compagno, dal
quale uscì rossa di rabbia in viso per non essere riuscita
ad evitare un'ennesima disdicevole figura.
Sopratutto, la data dell'ultimo incontro con Carlos
coincideva con quella dell'ultimo litigio. Dopodiché il buio.
59
STEFANO ZIZZI
Ultimo domicilio conosciuto dell'imputato: Melilla.
Lungo la strada del ritorno a casa, che sembrava più
lunga del normale e del dovuto, Aline continuava a
ripetersi che avrebbe dovuto alzare il telefono, anche se
lui avrebbe comunque dovuto avvisarla di un viaggio
della durata di quasi una settimana, ma che però
trattandosi non di una trasferta di piacere ma di lavoro,
Carlos non aveva nulla da rimproverarsi, pur se lei era
stata sempre avvisata per viaggi anche solo di un giorno;
ed essendo questa la prima volta che passava la notte
fuori casa immediatamente dopo un litigio, che
oggettivamente era scaturito dall'inspiegabile nervosismo
dell'uomo, probabilmente l'inspiegabilità era tutta sua e
magari lui aveva le sue buone ragioni, che comunque
ella non condivideva. Insomma, per tutto il giorno fu un
confusionario ping-pong di torti e ragioni, uno scaricare o
assumersi colpe che non portò a nulla se non un'altra
notte insonne.
Il poeta libanese Kalhil Gibran diceva che “Per arrivare
all'alba non c'è altra via che la notte”, così Aline, dopo un
ennesimo pasto notturno, pensò di trarre beneficio da
questo consiglio e cercò di trovare finalmente un sonno
ristoratore, ascoltando le arie di Bach ed immergendosi
nella svogliata lettura di una vecchissima copia di
“Torpedo”, un fumetto noir spagnolo ambientato durante
la grande depressione, dove il protagonista è un
gangster ispirato ai lineamenti di Clint Eastwood, peraltro
uno dei suoi attori preferiti, assieme ad Audrey Hepburn.
Chi come lei è nata a metà degli anni cinquanta, perciò in
piena dittatura franchista, al giorno d'oggi vive la sua
condizione di donna in modo assai particolare, in quanto
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DORMI CON ME STANOTTE?
il famoso periodo di “transizione spagnola” compreso tra
la fine del regime dittatoriale sancita con la
proclamazione di Juan Carlos I di Borbone come Re di
Spagna e la prima costituzione, coincise con il periodo di
transizione degli allora ventenni, da ragazzi ribelli a
giovani adulti. In particolare, le donne si trovarono di
colpo nella possibilità di lavorare, mettere la minigonna,
divorziare, pensare con la propria testa e far valere le
proprie idee.
Libere di urlare, insomma, dopo oltre quarant'anni di
silenzi strozzati dall'ignoranza che contraddistingueva la
quasi totalità degli europei del primo dopoguerra e dal
recinto di indifferenza imposto da Francisco Franco.
In virtù di questa nuova condizione, le donne covarono in
loro stesse un misto di sensazioni dettate dallo
sconcerto, la paura, il disagio, ma anche da esaltazione,
ingenuità ed orgoglio. Tuttora, coloro che hanno avuto il
destino di nascere, crescere ed arrivare sino ad oggi con
un carattere come quello di Aline, si dimostrano
scontrose, impettite e scalmanate, sebbene in realtà
siano comunque donne, cioè con l'innata tenerezza, il
bisogno di amare e, nello specifico, di essere amate ed
accompagnate lungo un cammino che le porti a superare
le difficoltà che si nascondono dietro il saper gestire
questo “nuovo” modus vivendi, ancora adesso dopo
vent'anni.
Oltre a questo, si aggiungono le primissime avvisaglie di
menopausa a far di Aline una donna che definirla
instabile significherebbe sminuire e, di fatto, non voler
neppure affrontare il problema.
La sua relazione “ad intermittenza” con Carlos era allo
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STEFANO ZIZZI
stesso tempo vittima e causa dei primi sintomi di natura
psicologica dovuti anche al prossimo importante evento
fisiologico che la muterà radicalmente; e le sempre più
basse probabilità di assecondare il suo istinto materno
con una agognata gravidanza, sono con tutta probabilità
il vero motivo per il quale Aline si batteva per la causa dei
suoi studenti, per cui affrontava insieme a loro le piccole
lotte quotidiane che si presentavano. Inspiegabili erano
però i motivi per il quale questa voglia di combattere non
la tirava fuori quando c'era da affrontare i suoi personali
drammi quotidiani.
Ed inspiegabili rimasero anche l'indomani mattina
quando Aline si svegliò e tornò dai suoi ragazzi.
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DORMI CON ME STANOTTE?
NOVE – IL VENTO
Alcune specie di farfalle vivono un giorno solo.
Però, essere una farfalla o comunque un insetto, così da
poter volare ovunque e non essere visti, per assistere a
vicende in cui i protagonisti si muovono con la libertà di
chi crede di essere solo, può essere inebriante, anche
solo per un giorno.
- Non basta.
- Cosa non basta?
- Non basta venirmi a prendere da scuola con un mazzo
di rose.
- Beh, con due sarebbe stato stupido.
- Finiscila, Carlos! Sei stato via cinque giorni senza farti
vivo.
- Infatti, guarda: una rosa per ogni giorno.
- Ti prego, smettila.
- Ma smettiamola davvero. Se proprio devo dir la verità,
sono passate tre settimane da quando mi ha mandato a
quel paese e se c'è qualcuno che deve chiedere scusa...
- Sono io, vero? Lo sapevo che andava a finire così; la
colpa è sempre la mia.
- Lo vuoi capire che non mi interessa chi ha torto e chi ha
ragione? Cerchiamo di fare gli adulti, una buona volta.
- Ah, sì? E come?
- Parliamo.
Era prevedibile che alla fine lei avrebbe mollato il colpo.
La discussione, ovviamente, continua nella macchina del
brizzolato.
63
STEFANO ZIZZI
- Ma poi con la mia macchina come facciamo?
- Ma come, stiamo insieme e pensi alla macchina?
Stasera ti riaccompagno io.
- Ah...
- Che significa questo “ah”?
- Nulla.
- Senti, siamo fin troppo adulti per litigare come due
innamorati alla prima cotta, cerchiamo di raffreddare
questa tensione, perché a me non va assolutamente
bene.
- Invece a me esalta...
- Appunto.
Odio stare in macchina con i finestrini chiusi. Aria
condizionata un corno, li dentro si gelava; per fortuna
casa di Carlos non è molto distante dalla scuola dove
insegna Aline. L'unico problema potrebbe essere la
presenza di questo gatto, ma per il momento è intento a
mangiare.
- Come hai fatto con Patricio in questi giorni?
- Ho dato un extra alla signora delle pulizie perché
passasse tutti i giorni.
- Cavolo, ti ha fatto anche la spesa... Finalmente il frigo è
pieno, è la prima volta!
- Lo sai che pranzo o ceno sempre fuori, e poi quando
torno a casa non voglio avere a che fare con frigoriferi e
congelatori...
- Ti ci vorrebbe una donna in casa.
- La signora delle pulizie è brava...
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DORMI CON ME STANOTTE?
Lei è rimasta in silenzio, credo che il padrone di casa
abbia fatto una gaffe.
- Voglio dire che se una donna deve entrare in casa mia
non deve farlo per pulire, accudirmi e far da mangiare.
- Lodevole da parte tua, anche se ancora non ho capito
quale dovrebbe essere il compito della “tua” donna.
- Che domande del cavolo.
- Sei tu che hai iniziato.
- Senti, non è facile spiegarti ed anche se lo facessi, non
mi capiresti.
- Grazie tante.
- Voglio dire: cosa conosci del mio lavoro, a parte che
quando finiscono i cornetti a scuola, basta dirmelo per
avene degli altri?
- Cosa fai, rinfacci?
- Rispondi, piuttosto. Cosa sai di mia figlia, di mia
moglie...
- Quello che mi hai detto tu.
- Beh, allora è davvero poco. Ma anche se ti spiegassi
non capiresti...
- Ancora?!?
- Non l'hai vissuto con me, capisci? La morte di Helèna è
un tarlo che mi buca il cuore, oltre che il cervello.
- Io lo so che parlare da fuori è semplice, ma così rischi
di annientarti, hai bisogno invece di riprenderti, di
raccogliere i mille pezzi in cui il tuo “io” si è frantumato,
devi ricominciare a guardare alla tua vita con positività. Ti
rabbui giorno per giorno, ti stai chiudendo, diventi più
pigro ogni giorno che passa!
- Ma che pigro, anzi. Il lavoro mi sta tenendo impegnato
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STEFANO ZIZZI
sempre di più.
- Lascia stare il lavoro, io parlo di te. E bada: parlo di te e
non di me e te.
- Ma io voglio stare con te!
Oh, mamma mia, che teneri. Nemmeno il gatto si sta
perdendo la scena. E' accovacciato sul tappeto davanti
al divano su cui sono seduti e li guarda dal basso senza
perdersi neppure una sillaba.
- Non sai quanto mi fa piacere quando mi dici queste
cose.
- Non sai quanto mi fai incazzare quando non mi capisci.
- Se parli ti capisco, ma se te ne vai cinque giorni a
Melilla...
- Oh! Che palle! Ti ripeto per l'ultima volta che quella che
mi ha mandato a quel paese sei stata tu venti giorni fa.
- Vuol dire che te lo meritavi...
- Che significa, che neppure ti ricordi il perché?
- Certo... che mi ricordo... ti ho mandato a quel paese
perché...
- Perché?
- Perché non baci bene.
- Ah, io non bacerei bene? Vieni qui.
Ma che fanno, si rincorrono? Ma in due fanno un secolo
di età... Caspita che bacio... Caspita che abbraccio...
caspita che... Oh caspiterina!
- Pranziamo? Prima mangiamo e prima ti riaccompagno
alla macchina, è meglio farlo ora altrimenti non ci
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DORMI CON ME STANOTTE?
stacchiamo più. Sono quasi le sei...
- Mamma, che ansia! Ma che problema hai? Non c'è
fretta: domani è sabato!
- Infatti lo dicevo per te.
- Non preoccuparti, durante le prime due ore i ragazzi
sono impegnati con la donazione del sangue trimestrale,
mi basta arrivare a scuola per la terza ora.
- E la colazione di rito in sala professori?
- Domani salta.
- Dunque stasera puoi tornare a casa più tardi...
- O non tornare affatto...
- Beh, sarebbe stupido alzarci domattina presto, passare
a casa tua, per prendere le cose che ti servono e poi
accompagnarti a scuola, non trovi?
- Già, dimenticavo che qui non c'è niente di me.
- Che bisogno c'è di avere due guardaroba, due
necessaire, due portatili per il lavoro, senza contare che
dovresti raddoppiare la tua già vastissima collezione di
testi scolastici...
- Ho capito, metto tavola.
- E io faccio una bella doccia.
Non ci capisco molto, ma a me pare che lei si sia stizzita.
Sta facendo un tale baccano con le pentole ed i piatti.
Sembra che voglia urtare di proposito le stoviglie tra loro
per non sentire il rumore dell'acqua che cade dalla
doccia del bagno. Se non fosse che li ho visti baciarsi,
giurerei che quelli sono occhi gonfi di pianto.
- Se il mio olfatto non mi inganna, questo è odore di
stufato d'agnello. Niente primo?
67
STEFANO ZIZZI
- Nel forno c'è il riso. Il signore desidera altro?
- Riso al forno? Tu mi vizi, tesoro.
- Non abituartici e sopratutto mangia in fretta, voglio
tornare a casa.
- Che hai?
- Mi sono ricordata che ho necessità di consultare uno
dei testi scolastici che fanno parte della mia “già
vastissima collezione”.
- Ma... ho detto qualcosa che non va?
- No, assolutamente.
- Hai un tono strano...
- E' semplicemente il tono di chi ha capito che è
necessario tornare a casa ora. Subito. Adesso.
- Va bene, finiamo di mangiare e ti accompagno.
Non parlano più. Mangiano nervosamente, bevono molto
e molto avidamente e non parlano più. Sembrano voler
tenere occupata la bocca per essere sicuri che non
escano parole. Lo spettacolo si è fatto noioso. Questo
reality show non mi piace più. Litigano, non si spiegano,
restano in silenzio, poi litigano ancora ed ancora restano
zitti. O si spiegano e mi fanno capire, o la finiscano di
litigare per stupidaggini. Quasi quasi volo via, non ci sto
capendo nulla. E poi... E' quasi l'ora di morire!
68
DORMI CON ME STANOTTE?
DIECI – PORTAMI VIA
Quella sera sembrava fosse iniziata normalmente. Diego
aveva finito il suo lavoro in galleria e si stava recando in
pub in compagnia esclusivamente di una delle sue ultime
sigarette della giornata, col lungo cappotto nero e col
cappello di lana che gli copriva la testa fino agli occhi.
Quella lucetta rossa e fumante ora all'altezza della
bocca, ora tra le dita della mano, era l'unico segno
visibile della presenza di Diego in quella strada nera
come il cielo delle otto di sera a febbraio.
Camminava con un'andatura lenta e statuaria.
Ogni segno distintivo della strada, un lampione, un
cassonetto o l'insegna di un cinema a luci rosse,
rappresentavano ciascuno una sorta di tappa ed ognuno
di questi riferimenti a loro volta segnalavano a Diego
l'avvicinarsi gradatamente del locale dov'era solito
fermarsi dopo il lavoro per incontrare gli amici e non solo.
Probabilmente Julia avrebbe voluto essere svegliata dal
suo orologio biologico o, al massimo, dal suo cellulare
che intona “L'aria della Regina della Notte” ma
certamente non immaginava di dover essere sorpresa
nel sonno da uno scalmanato che irrompe all'alba.
- Julia! Julia, svegliati!
Come da copione, l'avesse chiamata anche la
reincarnazione di Jack lo squartatore, Julia in un primo
momento non accennò ad uno che fosse un solo
movimento tipico di chi sta per valutare se svegliarsi o
no...
- Juliaaa!
- Che cazzo.. Diego! Che vuoi! Che ore sono?
69
STEFANO ZIZZI
- E' passata un'ora dalla mia nuova vita!
- Se non mi fai dormire, perderai TUTTE le tue vite a
disposizione!
- E dai, svegliati.
Julia aprì gli occhi e trovò davanti a sé dapprima la
sagoma di un uomo offuscata dal sonno, e poi una figura
a metà tra l'uomo che aveva salutato dopo cena e Dustin
Hoffmann quando interpretò Tootsie, nell'omonimo film
del 1982.
- Che t'è successo?
- Mi sono innamorato.
- Mi auguro che duri fino a domattina, così ne parliamo
meglio. Buonanotte.
- No, Julia, aspetta. L'ho fatto.
- Che cosa... porca zozza! Hai fatto... cioè... quello che
penso?
- Ho fatto l'amore con Rupert.
Julia in un baleno si eresse sulle sue gambe incrociate
sul letto.
- Ce l'hai fatta, maledetto gay!
- Ti prego, odio quando mi chiami “maledetto”...
Entrambi risero compiaciuti, l'una per l'imbarazzante
novità riportata dall'amico, quest'ultimo per il momento
felice che ha vissuto.
- E com'è stato?
- Bello.
- Che cazzo di risposta è? Piombi qui alle quattro e
mezza del mattino, mi svegli con questa notizia
straordinaria e mi dici soltanto che è stato... bello?
- Rupert è stato grazioso.
- Grazioso?
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DORMI CON ME STANOTTE?
- Sì. E' un uomo di classe e grazia da vendere. Siamo
stati a casa sua, abbiamo mangiato del pesce,
abbiamo visto “Two Much “ con Banderas. Siamo
partiti dal commentare il bell'Antonio e da cosa è nata
cosa.
- Com'è la casa? E' bravo in cucina? E' ordinato?
- Mi ha accolto in jeans e polo, è un uomo molto
semplice; l'appartamento, modesto ma molto curato,
era pieno di piante. Tutte le luci erano spente, ma si
vedeva benissimo, per via delle pareti del salone
dipinte di bordeaux intonate con il parquet ed una
cinquantina di candele aromatizzate che emanavano
nell'insieme un profumo che mi ha dato l'idea di
essere abbracciato. E' stata da subito una sensazione
fantastica.
- E poi?
- E poi è successo qualcosa che mi ha convinto del tutto.
- La smetti di farmi stare sulle spine? Racconta.
- Dopo cena, durante il film, c'era già molta intesa e
quando ci siamo liberati di ogni pudore, lui si è
fermato. In un primo momento mi si è gelato il sangue
perché pensavo che non volesse, invece...
- Invece?
- Invece non aveva preservativi!
- Ma come?!?
- Mi ha detto che non pensava che volessi già andare a
letto con lui e non aveva pensato a rifornirsene.
Capisci che dolce?
- Li avevi tu, spero!
- No. Ma è stato meglio, perché anche se siamo dovuti
scendere obbligatoriamente, non abbiamo affatto
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STEFANO ZIZZI
rotto l'incantesimo, anzi siamo riusciti a trasformare il
contrattempo in una romantica passeggiata nel
Chueca. Bisogna sempre trasformare i problemi in
opportunità!
- Quindi lui vive proprio nel quartiere gay...
- Sì, cara, finalmente un uomo con cui poter passeggiare
mano nella mano senza nessun problema; poi siamo
andati alla Chocolatería San Gines e ci siamo riempiti
di churros.
- E i preservativi?
- Quando ci siamo riempiti ben bene di macchie di
frittura, ancora ebbri di zucchero e cioccolata
abbiamo preso i preservativi e abbiamo passato due
ore meravigliose...
Diego proseguì nel racconto dei dettagli, con Julia che si
immerse nella storia come fosse un bimbo davanti ad un
film di animazione. Lui sembrava quasi commosso nel
raccontare la sua splendida serata in cui tutto era stato
perfetto, magico, idilliaco.
Per quanto Madrid sia una città già pronta alle nuove
tendenze, per usare un eufemismo, in realtà
la
sensibilità eterea di un omosessuale che si scopre tale
non è poi così diretta ed immediata, ma ha bisogno di un
lavoro interiore ed una ricerca di equilibrio solido e
duraturo che possa far affrontare a gente come Diego,
tutti gli ostacoli che ad uno ad uno si presentano sulla
strada già tortuosa di un uomo che deve scoprire chi è e
poi avere il coraggio di spiegarlo agli altri.
Relativamente a quella sera, la vittoria di Diego non fu
perdere la propria verginità con un uomo, ma lo scoprirsi
innamorato di un uomo, pensarlo come l'uomo con cui
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DORMI CON ME STANOTTE?
condividere il proprio tempo, scendere per strada, mano
nella mano, per andare a comprare i churros.
Diego, in effetti, non è una di quelle mancate drag-queen
che ostentano la propria sessualità intesa come
aggressiva e sfacciata smania di sesso, non è neppure
una di quelle viscide checche che accentuano i loro
atteggiamenti pseudo effeminati che riescono ad essere
amici di tutte le donne, perché di loro si fidano, che
allungano le mani sulle ragazze che, a loro volta, li
lasciano fare perché “tanto sono gay”. Diego è uomo. E'
un uomo che ama un uomo. E' un uomo ben inserito in
società, con un lavoro che lo affascina, che ama un altro
uomo.
Nel suo splendido mondo chiuso come una palla di vetro
con la neve che la mano del destino di tanto in tanto si
diverte a smuovere sballottando Diego in un terremoto di
incertezze, qualche anno fa fece capolino la faccia acqua
e sapone di Julia.
A Madrid, città così uguale e diversa dalla sua
Barcellona, il cespuglio nero e disincantato della neo
maggiorenne frequentava la Galería del Prado a Plaza
de la Cortes e per la precisione lavava le vetrine in
cambio di qualche spicciolo. Diego, durante il suo lavoro
di pubblicitario, ebbe modo di scorgere più volte e in
punti diversi della galleria quella figura minuta e con un
fare risoluto ed introverso allo stesso tempo. Non gli fu
difficile avvicinarla, frequentarla, e diventare suo amico
fino ad offrirle una stanza del suo appartamento. Da
allora, quattro anni fa, Diego e Julia sono inseparabili.
Se cerchi Julia ti basta trovare Diego e Julia sa che
Diego è sempre lì, come quando tuo padre guida e tu ti
73
STEFANO ZIZZI
giri per guardare fuori dal lunotto posteriore il sole che ti
segue fino a casa.
La “Regina della Notte”, precisa in quanto sveglia,
cominciò lentamente a cantare la sua aria e prontamente
Julia spense il cellulare, giacché erano svegli da ore.
La ragazza cominciò la giornata con un sentimento
strano, di contentezza per il suo migliore amico, misto a
quello di insicurezza che continua a distinguerla da
Diego. Sopratutto, aveva un pizzico d'invidia per essersi
trovata ad applaudire il sogno raggiunto da una persona
a cui vuol bene ma non da lei. Non solo non sa bene qual
è il suo obbiettivo, ma sopratutto ha paura di
raggiungerlo, qualunque sia. Sarebbe come vincere la
lotteria: tutti giocano, non sanno bene cosa farsene della
vincita e, più sale il montepremi, più si ha paura di essere
schiacciati dal sogno stesso.
74
DORMI CON ME STANOTTE?
UNDICI – LA NOTTE PRIMA
L'amore scivola stasera. Scivola qui sotto casa, mia non
di certo. Non più. L'ho capito piano piano, cerco di
farmene una ragione, di trovare delle motivazioni, perché
sicuramente ci saranno e la colpa è mia che non le
conosco o non le ho capite.
Da qui l'attico è un puntino giallo di luce calda e
accogliente su uno sfondo verde di piante che hanno la
fortuna di guardare ancora quel panorama incantevole
da lassù.
Se fossimo in estate, si scorgerebbero i focolai delle
candele accese sul balcone e forse anche le ombre di
chi in quell'attico ci abita ancora. Non ho verificato, però.
Io ho sempre guardato il resto del mondo solo da dentro
la casa. Mi bastava solo quello ed ora mi manca.
Mi mancano i suoni, i colori, le parole, le risate, le
discussioni, i racconti, i segreti. Mi mancano le pizzette
davanti alla tv, il divano che aveva preso la mia forma,
ormai; mi mancano le volte in cui ho urtato la chitarra col
gomito frantumando l'atmosfera, le volte in cui ho fatto
cascare il posacenere per terra, le volte che andavo a
comprare le sigarette o a fare la spesa. Non faccio più
favori, non aiuto a spostare i mobili, non vado più da
nessuna parte in nome e per conto altrui. E di colpo la
giornata mi si è svuotata. Il lavoro non manca, anzi
aumenta, grazie a Dio che ha capito quanto amo quello
che faccio e che mi apre sempre nuove finestre da cui
lanciarmi nel vuoto, quando mi si chiudono le porte in
faccia. D'altronde fu un vero e proprio salto nel buio che
diede il via alla frequentazione di chi mi avrebbe poi
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STEFANO ZIZZI
aperto un mondo, oltre che casa propria. Credo di aver
saltato quel fossato in maniera composta e dignitosa,
tanto che ne seguì un percorso molto simile a quello
delle feste rionali, in cui ad ogni passo è una sorpresa,
una luce irradiante, una musica suadente, un quadro
disarmante o un grosso disegno da colorare.
Mi manca un posto che per quanto abbia quattro pareti,
per me ha sempre raffigurato una piazza colma di gente
che non sempre conosci; una piazza in cui poter
piangere da soli quando se ne ha voglia o sulla spalla di
chi ti conosce quando hai bisogno di una carezza.
Spesso non ho paura di rivivere momenti brutti nella mia
vita, quanto mi terrorizza il non poter sfogarmi in "quella
piazza".
E sì che non mancavano le discussioni, le voci grosse e i
vaffanculo, e sì che certe volte si era superbi a turno,
arroganti a giorni alterni, presuntuosi uno dopo l'altro. Si
che così si viveva, però!
Pur calpestando quel pavimento in punta di piedi,
l'inferiorità non l'ho mai sfiorata, ho sempre discusso a
voce chiara, decisa, e fremente d'esser capita
immediatamente. Sento di aver onorato in maniera
inequivocabile ciascuna serata passata attorno a quella
tavola, di aver reso omaggio con infinita riconoscenza al
ben di Dio che mi è sempre stato offerto, sento di non
aver mai calcolato le parole e le intenzioni affinché mi
portassero in nessun modo alcun beneficio.
Mi sentivo di famiglia.
Ed in questo senso ne ho condiviso i dolori, i periodi di
tensione, le situazioni torbide in cui mi ritrovavo senza
saper bene come mai, spesso ero in mezzo ai fuochi ed
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DORMI CON ME STANOTTE?
io mi sentivo d'essere acqua e a volte cenere.
E poi le risate e le canzoni, i balli e le emozioni, di nuovo.
Come i passeri dopo i temporali.
Mi mancano due mani ed una chitarra che scuotevano
regolarmente il cuscino in cui tenevo i sogni per vederli
volare ed ogni volta la mia era la sorpresa di un bimbo
quando la mattina di Natale scopre che sotto l'albero c'è
un dono. Mi mancano le commozioni che avevamo nel
raccontarci dei nostri genitori, mi manca vedere le mani
avvolte nella tuta rosa che si asciugano le lacrime, mi
mancano i giorni in cui il sorriso era così splendente che
te ne accorgevi già da qui, sotto casa.
L'amore scivola come olio su una lastra di vetro, come
pioggia sui finestrini della mia macchina che ogni tanto
mi porta qui, dove mi fumo una sigaretta a cui tolgo il
filtro. Il tempo e le circostanze allontano le persone e Dio
solo sa quanto questo mi dispiaccia, quanto vorrei
convincere che, almeno in coscienza, ho dato tutto e di
non avere mai promesso nulla di più, né negato
qualcosa, neppure offeso nessuno.
Io sono dell'idea che il lavoro e gli affetti privati siano due
colori che mescolati assieme ti rendono una tonalità
molto simile al grigio, una macchia che non ha nemmeno
il coraggio di esser bianca o nera. Non riesco a non
amare pur sapendo di aver bisogno di soldi, non ci
riesco. Non riesco a non pensare che oltre al lavoro c'è
un'umanità che invece si è tranciata in due e di colpo,
sotto la fredda ghigliottina del rancore. Io la ghigliottina
non la so usare e soltanto l'idea già mi spaventa. In
questi anni non ho capito nulla, se è vero che soltanto io
ho sempre pensato a quei giorni, a questa casa quassù,
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STEFANO ZIZZI
a l'amore che c'era. A me quell'amore sembrava vero, o
almeno il mio lo era di sicuro.
Le parole se le porta il vento, però, che non è capace di
fare una cernita tra quelle di chi ha sempre parlato
apertamente e di persona e quelle di chi vuol portare
acqua al proprio mulino, di chi vuol mantenere mansueta
una bestia da cui mungere latte fresco tutti i giorni. Io
bevo acqua: è più fresca, più dissetante, più limpida.
E neppure ho mulini da alimentare.
Io, dentro quelle luci lassù, sono stato sempre un ospite
invitato e mai un intruso invadente. Mai.
Le sigarette senza filtro sono migliori perché è del
tabacco che un fumatore ha bisogno, non di qualcosa
che egoisticamente lo trattiene a sé. Le sigarette senza
filtro sono più corte e la mia si sta esaurendo senza che
ancora una volta abbia capito perché si preferisce
avallare le dicerie altrui, piuttosto che le dirette verità, di
cui, ameno, si potrebbe discutere.
Ma tutte le parole sono parole e tutti i venti sono aria.
A volte le mie parole hanno provato ad essere messaggi,
telefonate, pensieri, poesie o auguri di Natale e fosse per
me continuerei all'infinito ma so che undici piani sono
lunghi da salire ed allora credo proprio che questa volta
sia l'ultima.
L'ultimo ululato alla luna e poi il lupo andrà a dormire.
L'amore scivola come olio su una lastra di vetro, tu la
vedi ma non riesci a stargli dietro.
Aline infilò la lettera sotto il tergicristallo della macchina di
Carlos, gettò il mozzicone, mise in moto la macchina e si
allontanò.
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DORMI CON ME STANOTTE?
Per una sorta di deformazione professionale, quella di
scrivere è una passione che Aline cova da quand'era
ragazza: ogni volta che non aveva la voglia o il coraggio
di affrontare qualcuno o qualcosa lei estraeva dalla
fondina del cuore, o dello stomaco, a volte, la sua arma
preferita: le parole.
E scriveva. E chi leggeva imparava molte più cose di lei
che non frequentandola o convivendoci. Per questo
decise di segnarsi come in una sorta di lista della spesa
ciò che pensava in quel momento del suo rapporto tra lei
e Carlos...
Vagò un po' senza meta, come succede sempre a chi per
riflettere non bada alla strada che percorre, tirò dritto per
un bel po', poi si ritrovò stupidamente a fare il giro dello
stesso isolato più volte, prima di considerare l'opportunità
di fermarsi davanti al “cafè Lulù”, un locale che si affaccia
nella ronda de Sant Pere e che è noto per
l'ambientazione anni cinquanta che offre ai suoi
avventori. Aperto cinque notti su sette, entrandoci ti
sembra che da un momento all'altro arrivi lo sceriffo del
Texas in trasferta nello stato accanto... Il proprietario è la
copia sputata di Bufalo Bill e pure le ballerine danno
l'idea di essere un po' prostitute come quelle del west. La
musica è quasi sempre jazz o dixieland, ma quella notte
Aline fu accolta da un juke-box che suonava i brani delle
Boswell Sisters.
Si sedette ad un tavolino quadrato posto sotto una
finestra dalla quale poteva controllare la sua Cordoba
gialla e ordinò una sangria, servita in un bricco di
terracotta che un po' ne alterò il gusto.
Ma Aline non si fermò in un posto pseudo-americano per
79
STEFANO ZIZZI
bere al meglio una bevanda tipicamente spagnola, ma
semplicemente per non tornare a casa, per non stare
troppo tempo da sola, per non dormire, da sola.
Come quasi sempre accade, più si è innamorati, meno si
è attendibili quando si parla di troncare una relazione.
Appena mezz'ora prima aveva scritto al suo compagno
che il lupo avrebbe ululato per l'ultima volta e già
pensava a come recuperare il rapporto con Carlos, al
fatto che forse non tutto ciò che rimproverava al suo
uomo era vero, che probabilmente aveva ragione
Lorenza nel dire che non aveva il coraggio di chiamarlo.
Avrebbe voluto parlare con la sua amica in quel
momento in cui la sangria faceva schifo, ma non voleva
sembrare ancora più invadente agli occhi della sua
collega e del suo “Preside”.
Lasciò i soldi sul bancone e si avviò verso casa. L'aria
era gelida ed il sistema di riscaldamento della sua
macchina cominciò ad emanare aria calda a poche
centinaia di metri da casa, praticamente in fase di
parcheggio. Aline si sciacquò il viso, si infilò una tuta rosa
e andò a letto con un pensiero fisso: il giorno dopo
avrebbe chiamato Carlos.
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DORMI CON ME STANOTTE?
DODICI – ROOM 108
Sempre più spesso accadeva che gli si appannava la
vista e che sprofondava in un sonno immediato ed
irrefrenabile. Ogni volta che ciò accadeva, Carlos
meditava di chiamare Hernesto, il suo medico curante
nonché amico dai tempi delle scuole, ma poi si svegliava
e ricominciava il suo lavoro, la sua vita frenetica con
l'opportunismo di Patricio, lo stress di Aline ed i suoi
fantasmi personali, che probabilmente lui sapeva bene
essere la chiave di volta di tutto.
Come ogni mattina, il suo maltese lo svegliò reclamando
il merluzzo fresco che puntualmente arrivò. Dopo che i
due finirono la colazione, il padrone di casa si sedette sul
divano per guardare le notizie di borsa sullo specifico
canale satellitare, mentre Patricio, a stomaco pieno, si
sbizzarriva con la sua pallina di gomma facendola
rimbalzare qua e là.
Con un salto felino, è il caso di dirlo, il gatto spinse la sua
pallina oltre le inferriate del balcone, facendo cadere la
pallina giù dagli undici piani, nel giardinetto che adornava
il piano terra della palazzina. Sebbene Carlos si accorse
di tutto, l'animale non ci pensò due volte ed andò a
miagolare sul ventre del suo padrone, il quale non poté
fare altro che scendere, riprendere la pallina di gomma e
risalire gli undici pian per mezzo di uno dei due
ascensori.
Nello stesso momento, Aline aveva aperto l'armadio per
dare un'occhiata al suo guardaroba e decidere cosa
indossare. Si era svegliata con lo stesso desiderio che
aveva partorito nel “Cafè Lulù” e voleva approfittare del
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STEFANO ZIZZI
suo giorno libero, per andare a parlare con Carlos, per
discutere, per sotterrare l'ascia di guerra e fare gli adulti,
come disse lui l'ultima volta che si videro e che fecero
l'amore.
Optò per una gonna blu scuro ed un maglione di lana
bianca lavorato a mano, si aggiustò con le mani i capelli
davanti allo specchio dell'ingresso ed uscì di casa.
Pareva stranamente contenta, per una volta sembrava
convinta di quel che faceva e con il sorriso in faccia entrò
nella Pasticceria di Plaza del Angel per acquistare
qualche Yemas , giacchè entrambi erano ghiotti di pinoli
e marzapane.
Riaccese la sua autovettura e si recò in azienda in fretta
e furia, nell'intento di anticipare Carlos e fargli una
sorpresa.
- Buongiorno, Fran!
- Salve, signora - rispose educatamente la segretaria - Smettila di chiamarmi “Signora” o “Signora Pejo”.
- Mi scusi, ha.... hai ragione....
- Oh! lo vedi com'è bello darsi del tu?
- Cosa festeggiate?
- Nulla, è un vassoio di yemas, per fare colazione
insieme.
- Ma il signor Pejo non è arrivato, ancora.
- Meglio, l'aspetterò e gli farò una sorpresa.
- Spero sia gradita....
- Che vuoi dire?
- Nel senso che mi auguro che gradisca un vassoio di
dolci, considerando che noi fabbrichiamo dolci....
- Dici che può sembrare offensivo?
- Ma no, il signor Carlos capirà...
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DORMI CON ME STANOTTE?
- Adesso che mi ci fai pensare.... è come regalare le
scarpe ad un calzolaio...!
- In effetti...
L'attico di Carlos Pejo era l'unico appartamento
dell'ultimo piano. In origine erano dei locali condominiali
che Carlos prese in affitto per adibirli ad uffici di
contabilità della sua azienda, ma quando tutta la fabbrica
si trasferì nel nuovo complesso tra la zona industriale ed
il porto, egli decise di acquistare l'appartamento e farne
la sua abitazione.
Abel, il portiere, in quei giorni era andato in Tunisia, al
capezzale di suo padre che era arrivato agli ultimi suoi
giorni, dopo aver combattuto per anni con una lunga e
torturante malattia. L'intero palazzone, così come gli
ascensori, cominciavano a risentire dell'assenza
dell'addetto alle pulizie, mentre invece l'attico era ancora
in buono stato, considerando che Carlos tornava a casa
solo per dormire o per dar da mangiare a Patricio.
Le due donne, continuarono a chiacchierare e Aline
decise di scartare il pacco dei dolci per offrirne ai
dipendenti, prima che il suo compagno potesse arrivare e
scoprirne la gaffe.
Passò ancora un'ora, in cui le telefonate di Fran
scorrevano a vuoto. Carlos non si riusciva a rintracciare;
entrambi i cellulari ed il telefono di casa squillavano
senza che nessuno dall'altra parte rispondesse. Aline
decise di percorrere il tragitto che conduceva dalla
fabbrica a casa Pejo, con la speranza di incontrarlo per
strada ma così non fu.
Arrivò nel residence dove abitava Carlos, parcheggiò
l'auto nel cortile antistante la recinzione e citofonò al
83
STEFANO ZIZZI
portiere senza avere risposta. Come la scorsa notte,
aspettò qualche minuto e poi approfittò dell'uscita di una
macchina dal cancello per infilarsi e raggiungere il
portone d'ingresso del palazzo. Provò a citofonare a
Carlos ma anche questo tentativo andò a vuoto, poi girò
alle spalle del palazzo per vedere se c'era la macchina e
non solo l'autovettura era ancora lì, con la brina notturna
ancora aggrappata ai vetri, ma faceva bella mostra di sé
anche la lettera ferma sotto il tergicristallo ed avvolta in
una busta di plastica, anch'essa praticamente gelata.
Carlos non si era mosso da casa.
Decise di tornare al portone e di citofonare a qualcuno
dei piani inferiori ed appena ebbe risposta, spiegò
all'interlocutore che probabilmente il suo compagno era
sotto la doccia e che non sentiva campanello. Le
aprirono e lei attese che l'ascensore scendesse a
prenderla per condurla all'attico.
Quando si aprirono le porte dell'elevatore, fu accolta da
Patricio che miagolava in maniera straziante percorrendo
velocemente e più di una volta il tratto tra le gambe di
Aline ed il corpo del suo padrone steso per terra,
apparentemente esanime, sotto l'arco della porta di casa
aperta e con le chiavi ancora nella serratura.
Aline non urlò neppure. Ebbe un brivido e le si gelò il
sangue. Seguirono attimi in cui non fu in grado di
pensare a nulla, finché non fu destata dal miagolio del
gatto. Toccò il collo di Carlos e si sincerò che fosse
ancora vivo, poi infilò le mani nella sua borsa, prese il
cellulare e chiamò i soccorsi. Entrò in casa e si diresse
verso la cucina; aprì il rubinetto del lavandino e si bagnò i
polsi e poi le mani e poi si sciacquò la faccia. Cominciò a
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DORMI CON ME STANOTTE?
realizzare e a piangere spaventata. Aprì il frigorifero e si
versò un bicchiere d'acqua. Poi il suo sguardo fu attratto
dalla bacheca accanto al frigorifero, così afferrò il
bigliettino che vi era appeso e dirigendosi verso Carlos
compose il numero. Il pianto e la paura erano
inimmaginabili, si sedette per terra con la schiena
appoggiata al battente della porta blindata e dall'altra
parte del telefono rispose una voce di donna:
- Pronto!?
- Ciao. Senti, tu non mi conosci, sono un'amica di tuo
padre. Dovresti venire, ha avuto un malore. Serio.
Julia chiuse il telefono e scoppiò in un pianto
sconfortante.
85
Dormi con me stanotte?
Intervallo
INTERVALLO
Ayer, un golpe de viento, templado pero picante, volvió a abrir
una ventana ya cerrada durante algún tiempo. El sol, la luz, el
aire, cegaron mis ojos más tiempo de lo que normalmente
necesitan mis claras pupilas para que vuelvan a mirar más allá
de
lo
que
hay
para
ver.
Ayer, una de las telarañas ahora consuetas, por las cuales no me
daba mas penas como si estuvieron allí desde siempre, se
marcharon con la tramontana, que no ahorró traerse polvo y
migas también, dando a todo una apariencia de limpieza.
Ayer me puse en frente a esa ventana, y no pasaba durante
meses, apenas recordaba que panorama ocultase, de vez en
cuando me sucedió preguntarmelo también, sin conseguir
encontrar una respuesta, sin querer girar nunca y mirar fuera.
Había un niño vivaz, que jugaba con el descuido de una flora
que marque por una fuga del asfalto; ese niño era yo. Había un
chaval sincero y lleno de si mismo, poeta y gascón, que guiaba
a los días con la cara de quien pensaba tener el futuro en mano;
aquel
chico
era
yo.
Había un hombre en camisa que hablaba por teléfono y al lado
de sus discursos de trabajo pasaban otras vidas con otros
protagonistas parados como hijas en un río; ese hombre era yo.
Otros días me pondré en frente a la ventana y otra vez nos
miraremos, tendremos de que hablar, y si que seremos
cómplices,
de
acuerdo
o
menos.
No te conozco, pero espero no decirlo mas, eres ventana y
panorama y de tus labios corre la vida, y tus ojos son el viento,
solo El Dios sabe si miento cuando digo que me has
sorprendido y que querría que, cerrando un portón, este
siempre una ventana por la cual evadir.
Stefano zizzi - Ventitré settembre duemilaotto
Ieri, un colpo di vento, tiepido ma deciso, ha riaperto una
finestra che tenevo chiusa da tempo. Il sole, la luce, l'aria, mi
hanno accecato gli occhi per più tempo di quanto di solito
serve alle mie chiare pupille perché ritornino a guardare, oltre
che vedere.
Ieri, delle ragnatele ormai famigliari, alle quali non davo più
peso come se fossero li da sempre, sono andate via assieme
alla tramontana, che non ha lesinato di portar con se anche
polvere e briciole, dando al tutto una timida parvenza di
pulito. Ieri mi sono affacciato da quella finestra e non lo
facevo da mesi. Quasi non ricordavo più che panorama
nascondesse, a volte m'è capitato anche che me lo chiedessi,
senza riuscire a darmi una risposta, senza mai voler davvero
girare la maniglia e guardare fuori. C'era un bambino vivace
che giocava con la spensieratezza di un fiore che spunta da
una crepa dell'asfalto; quel bambino ero io.
C'era un ragazzo sincero e sbruffone, poeta e guascone, che
ammiccava alle giornate col fare di chi credeva di avere il
futuro in pugno; quel ragazzo ero io.
C'era un uomo in maniche di camicia che parlava al telefono
ed accanto ai suoi discorsi di lavoro scorrevano altre vite con
altri protagonisti immobili come foglie in un fiume; quell'uomo
ero io.
Altri giorni mi affaccerò ed ancora ci guarderemo, avremo di
che discutere e si che saremo complici, volenti o nolenti. Non ti
conosco ma spero di non dirlo più, sei finestra e panorama e
dalle tue labbra scorre la vita ed i tuoi occhi sono il vento, Dio
solo sa se mento quando dico che m'hai sorpreso e che vorrei
che chiuso un portone ci sia sempre una finestra da cui
evadere.
Traduzione a cura Fabio Casciabanca
Seconda Parte
LA CLESSIDRA
"Io non ti vedo. So bene che sei qui, dietro
una parete fragile di mattoni e di calce, alla
portata della mia voce, se io ti chiamassi.
Ma io non chiamerò."
PEDRO SALINAS – PRESAGIOS
DORMI CON ME STANOTTE?
UNO - SOSPESO NEL TEMPO
18 marzo 2002
Spesso le idee sono giuste, ma i tempi no. Da qualche
giorno Aline aveva smesso di fumare e in verità aveva
già superato la prima fase, quella più dura, in cui
l'abitudine aveva il sopravvento. Già il suo organismo
aveva cominciato a non reclamare più la nicotina, rispetto
ai giorni precedenti in cui l'astinenza urlava nel sangue e
le faceva vibrare tutto il corpo.
L'unico trucco per riuscire a smettere davvero di fumare è
volerlo veramente. Se si decide di smettere per
motivazioni terze o, addirittura, per costrizioni altrui o
circostanze pure importanti quali la salute o il dispendio
economico, quasi certamente si ricomincia, con la sola
differenza che con tutta probabilità si appena lasciati alle
spalle in un periodo di astinenza che, in quanto tale, ha
esclusivamente marcato quei giorni come tra i peggiori in
assoluto di tutta l'intera esistenza. Adesso la sfida era
contro sè stessa: Aline doveva riuscire a dimostrare al
suo corpo fatto di ossa e debolezze che poteva farcela,
che voleva riuscirci, perché tutto è frutto della propria
volontà.
Però in quel momento una bella sigaretta ci voleva
proprio. Da sola in una sala d'aspetto enorme, con
almeno trenta sedie vuote ma scomode per sdraiarcisi,
senza un altro visitatore con cui spartirsi le
preoccupazioni, senza un medico di passaggio che si
assumesse l'ingrata responsabilità di spiegarle come
stanno le cose; con Carlos dall'altra parte del vetro
incosciente, morto o recuperato per un pelo e vigile
nonché voglioso di vederla. Ma la porta dalla quale si
93
STEFANO ZIZZI
accede alla sala di terapia intensiva è chiusa,
mimetizzata col muro, ingoiata dal muro. Serrata.
Nel silenzio gelido dell'anticamera, il sibilo del motorino
della porta scorrevole pareva un suono ammaliante e
carico di aspettative. Finalmente, l'arco dell'ingresso fu
attraversato da due volti conosciuti e cioè Lorenza,
collega ma sopratutto amica, insieme con Miguel. Aline si
alzò, corse incontro alla sua amica e la abbracciò forte,
rompendo una volta per tutte l'argine che fino a quel
momento aveva sorretto e contenuto tante, moltissime
lacrime.
Ci sono dei momenti nella vita di una persona, in cui si
raggiunge un livello di sopportazione del quotidiano così
flebile che ci si vorrebbe chiudere in un posto e piangere
per giorni. Lo sfogo intenso della donna, dapprima tra le
braccia della collega e subito dopo in quelle di suo
marito, pareva essere dettato dalla situazione di Carlos,
ma quasi sicuramente proveniva dalla situazione “con”
Carlos; un tempo lunghissimo fatto giornate fantastiche
prese a pugni da discussioni inutili, di comunioni di intenti
e di pensiero come due anime gemelle intervallati da
silenzi distruttivi e dimostrazioni di poca comprensione.
Miguel cercò di tirare su la sua amica facendola parlare: Cosa dicono i medici?
- Nulla – rispose Aline soffiandosi il naso – a me nulla, io
non sono nessuno.
- Non dire così, lo sai...
- Io per la legge non sono nessuno.
Lo sfogo di Aline fu contenuto. Quando succedono cose
di questo genere, un essere umano viene investito da
una forza che non avrebbe mai sospettato di avere: la
forza della disperazione. Ma anche le lacrime che Aline
94
DORMI CON ME STANOTTE?
aveva versato non erano quelle “giuste”. Avrebbe avuto
bisogno che tutto finisse, in un modo o nell'altro; che
Carlos diventasse suo marito o che andasse via dalla
sua vita in maniera definitiva. In quel caso e solo in
quello, Aline avrebbe potuto trovare conforto in un luogo,
che sia il lungomare o la panchina di una piazza, per
poter piangere davvero di un pianto bambino in grado di
svuotarla del tutto.
Non era ancora arrivato il tempo, però. La vita le stava
dando una prova d'amore grandissima e lei, che aveva
sempre risolto i problemi a tutti, ancora una volta si
sentiva in dovere di farsi trovare pronta, proprio perché
oggettivamente si trattava di un suo ostacolo e non di
uno dei ragazzi del Salinas.
Fino all'arrivo dei suoi amici, la donna ripensò ai quattro
anni vissuti con Carlos, con la maniacale pazienza con
cui si guardano gli album di fotografie.
Aline nacque proprio negli anni in cui il franchismo
condusse la Spagna verso il boom economico. La
nazione entrò nel mondo industrializzato e, nonostante la
crescita produsse notevoli miglioramenti nella qualità
della vita degli spagnoli con lo sviluppo di una classe
media, i genitori di Aline, nati a loro volta al termine della
guerra civile, erano politicamente attivi e, nello specifico,
contrari alla dittatura di Franco. Entrambi furono fucilati a
pochi mesi dalla nascita della loro figlia, perché sorpresi
nei locali sotterranei di un calzoleria durante
un'assemblea clandestina.
Da quel momento Aline crebbe con la sua nonna
paterna, Delma, che le fece da mamma, prima che da
nonna.
Carlos entrò nella vita della professoressa Mareno dopo
95
STEFANO ZIZZI
la scomparsa della nonna, e quell'uomo così bello e così
solare, fin da quando le tese la mano per presentarsi, le
aprì il cuore, glielo rimise in moto. Aline avrebbe fatto di
tutto per il suo Carlos, era pronta a sposarlo, a rendere
quelle telefonate notturne dei dialoghi sullo stesso
divano, fare in modo che le sorprese che si facevano
continuamente potessero diventare la spinta per
continuare a vivere insieme. Aline l'amava.
Ma anche lui amava lei.
Solo che non riusciva a mettersi alle spalle la lunga
relazione che lo lasciò vedovo; solo che aveva una figlia
che non vedeva da quattro anni e che non aveva
neppure il coraggio di chiamare; solo che in seguito a
determinate condizioni aveva perso ogni sicurezza; solo
che si sentiva a suo agio esclusivamente nel suo ufficio
perché era molto più facile distrarsi con il lavoro; solo che
gli veniva comodo chiudersi e tirarsi indietro; solo che
aveva paura.
E dopo tutti i muri di sofferenza che nel tempo alzò
Carlos, lasciando Aline impotente dall'altra parte a
sbatterci contro, quella parete grigia era il valico più alto
e più crudele, con una porta che avrebbe potuto lasciare
intendere che ci fosse un via di uscita, ma che era chiusa
a chiave. Una beffa doppia.
Lorenza e Miguel restarono con lei tutto il pomeriggio,
l'uomo lasciò le amiche da sole giusto il tempo per
scendere al pian terreno e andare al bar. Prese tre caffè
ed un tramezzino per Aline, che era rimasta a digiuno.
- Sua figlia l'ha saputo?
- Sì, l'ho chiamata.
- Che ha detto?
- Nulla, solo che verrà. Credo non abbia compreso la
96
DORMI CON ME STANOTTE?
gravità della situazione.
- Ma non si sa nemmeno dove sia?
- No. Di lei ho visto solo una fotografia e sapevo che
quel biglietto sulla bacheca in cucina era il suo numero.
Miguel rientrò nella sala d'aspetto, ma si vide rifiutare il
tramezzino da Aline, la quale asserì di non aver appetito.
Allora l'uomo, così come si fa con i bambini, glielo scartò
davanti a gli occhi e glielo porse tra le mani: - Devi
mangiare!
- Grazie, Miguel, grazie.
Aline terminò l'esigua merenda in tre bocconi,
dimostrando che in realtà le volontà del suo stomaco
erano in netta contrapposizione con l'ostinazione della
donna a non mangiare. Lei stessa si accorse di aver
terminato il tramezzino ancor prima che i suoi amici
avessero avuto il tempo di zuccherare il caffè, guardò
loro negli occhi ed abbozzò un flebile sorriso.
− Così ti voglio – esclamò Miguel – Dovresti vederti
come sei bella quando sorridi. I tuoi occhi grandi si
illuminano!
− E' la fame – rispose Lorenza – innescando una
risata generale che strideva con l'ambiente e con
la situazione, ma che proprio in queste circostanze
diventa una costante curiosa e fondamentale per
la mente.
Arrivò il termine dell'orario delle visite. Aline si alzò al
primo messaggio dell'interfono. Solitamente
gli
accompagnatori dei pazienti più critici sono quelli che più
si fanno pregare per uscire dagli ospedali, ma lei, oltre
che perennemente ligia ai doveri, non aveva voglia di
farsi chiedere ancora una volta che relazione ci fosse tra
lei ed il paziente, così come non aveva voglia di
97
STEFANO ZIZZI
rispondere che in realtà non c'era nessuna relazione
ufficiale.
Si alzò dalla seggiola, aggiustandosi il vestito,
controllando di non aver dimenticato nulla e che tutto
fosse in borsa. Afferrò i bicchieri di plastica e la carta del
tramezzino e si diresse verso il cestino dei rifiuti.
Sembrava volesse aspettare ancora un istante, magari
che arrivasse Julia, o che quella porta chiusa vibrasse ai
colpi della serratura aperta da qualche medico o forse da
Carlos stesso, ma non ci fu verso.
Uscirono dal reparto proprio mentre le luci bianche
lasciarono il posto ai neon blu dell'orario notturno. In un
attimo realizzò in maniera ancora più drastica che si
trovava in un ospedale e quei neon, anziché rilassare ed
indurre alla tranquillità, le incussero uno stato di paura,
acutizzato dall'estrema preoccupazione sullo stato di
salute di Carlos.
I tre restarono ancora un po' nel parcheggio antistante
all'ospedale; in verità fu proprio Aline a cercare ogni
scusa buona per restare lì sotto, e tener d'occhio la
finestra corrispondente alla sala d'aspetto in cui si
trovava fino a qualche momento prima. Con un tacito
assenso, Lorenza e Miguel la assecondarono facendole
compagnia. Prima di tornare a casa, Aline si premurò di
chiedere al suo Preside di poter restare qualche giorno in
ferie.
- Naturalmente non ci sono problemi, cara. Ma non
perché hai ferie arretrate o perché lo impone la gravità
della situazione, ma soltanto perché, finalmente, oggi, sei
riuscita a darmi del “tu”.
98
DORMI CON ME STANOTTE?
DUE – INCONTRO
19 marzo 2002
La mattina seguente, Aline arrivò e dietro la porta
scorrevole le si aprì una novità.
– Julia!
– E tu chi sei?
– Sono Aline.
- E saresti?
– Sarei... sono la compagna di tuo padre.
– Un'altra...
– La stessa da quattro anni, credo. Ho trovato il tuo
numero su un biglietto attaccato alla lavagnetta accanto
al frigo.
– Puoi evitare i dettagli, non conosco la casa di mio
padre così a fondo come te.
– Sì, lo so...
– E così, dopo quattro anni.... mi hai chiamato tu.
– Già.
- Che cos'ha?
– Non so... siamo qui da ieri, non mi hanno detto niente.
– Che è successo?
– Dovevamo vederci, lo chiamavo e non mi rispondeva,
sono salita su e l'ho trovato per terra. Ho chiamato i
soccorsi...
– E poi me.
– Ho pensato che avresti dovuto saperlo...
– E' la prima volta che succede?
– Da quando stiamo insieme sì.
– Non usare quei termini. Mio padre è stato insieme solo
con mia madre...
– Comincio a pensarlo anch'io.
99
STEFANO ZIZZI
– Che vuol dire?
– Che ultimamente è stato assente, distratto...
– Mio padre ha pensato sempre e solo a lui.
– Sei un po' diversa dalle foto.
– Sono cresciuta. Da sola.
– C'è una foto sul tavolino del salotto dove hai i capelli
lisci, sei un amore.
– Senti! Credi che sia venuta qui per sapere se sono
meglio ora o in foto? Non mi conosci, le foto non sono
recenti ed io qui sono venuta per mio padre. Va bene?
– Scusami. Era un modo per rompere il ghiaccio. Almeno
con me.
– Sarebbe?
– Sarebbe che con tuo padre hai avuto tempo per parlare
e non l'hai fatto. Ora sei qui ma non puoi parlargli..
– E dovrei farlo con te?
– Non è necessario, ma non puoi neppure avercela con
me. Non mi aspetto né che tu mi parli, né che tu mi
ringrazi per averti avvisata.
– Grazie.
– Non era il caso, te l'ho detto. Ma già va meglio. Ok,
ricominciamo daccapo.... siamo tese, capisco...
– Cos'è? Dovremmo ripresentarci e piangere abbracciate
al capezzale dell'uomo più egoista del mondo?
– Non parlare così di tuo padre!
– Ah, è così che dovremmo ricominciare? Con te,
sconosciuta, che mi dai ordini ed io che obbedisco come
se fossi mia madre?
– E' tuo padre, comunque. Sta soffrendo e non mi pare
giusto parlare di lui con questo tono. E poi io non mi
sognerei mai di considerarmi tua madre.
– Anche perché se lo fossi, sapresti cos'ha avuto.
100
DORMI CON ME STANOTTE?
– Già.
– Vado a chiedere io... A me diranno qualcosa.
– E già, sei la figlia... Se solo sapessero.
– Sono la figlia!
– Vai, vai.
Se l'aspettava diversa, Julia. Aline pensava di trovarsi di
fronte ad una ragazzina neo-punk con i capelli rasati da
un lato o da dietro e lunghi su un lato, con i polsi coperti
da mille bracciali ed il corpo pieno di tatuaggi. Invece i
tatuaggi “visibili” erano tre: un folletto sulla caviglia, un
sole sul polso ed un turbine in stile irlandese sulla
clavicola destra. Il viso era contornato da una montagna
di riccioli neri tagliati a quattro dita da sopra le spalle, che
lasciano quasi intendere che non fosse mai stata liscia
né bionda; due occhi grandi e neri, che sembrano quelli
di un'eroina dei fumetti da collezione; un seno florido e
materno e gli abiti che rispecchiano la sua semplicità. Un
sedere burroso che sa far innamorare gli uomini. A
dispetto della rabbia con cui si è presentata, apparve ad
Aline immediatamente come una ragazza molto dolce,
amorevole e bisognosa di amore. Julia uscì dal reparto
con gli occhi gonfi ma ancora carichi di pianto.
- Allora? Che dice?
- Dice che sta male.
- Che vuol dire? Spiegati.
- Ictus. Sai cos'è un ictus?
Aline si pietrificò. Restarono in silenzio per alcuni minuti
ed ancora una volta, appena assimilata la gravità del
problema, fu la donna a prendere la parola.
101
STEFANO ZIZZI
- Come sarebbe: Ictus?
- Sarebbe un colpo apoplettico, apoplessia, ischemia,
trombosi, interruzione cerebrovascolare; scegli tu come
chiamarlo.
- Con chi hai parlato?
- Con Hernesto.
- E chi sarebbe?
- Vivi con mio padre da quattro anni e non sai chi è
Hernesto?
- Non vivo con tuo padre. E non so chi sia Hernesto.
- Il medico di fiducia di mio padre, nonché mio pediatra,
nonché primario del reparto di chirurgia vascolare...
- Cosa ha detto Hernesto?
- I-c-t-u-s.
- Smettila!
- E' in terapia intensiva. Stanno facendo tutti gli
accertamenti del caso. La condizione è seria, ma non
sembra in pericolo di vita. Non è certo una questione di
ore.
- Per morire?
- Per tornare a casa.
Aline si alzò in piedi e cominciò a passeggiare avanti ed
indietro davanti ai tre finestroni del lato lungo della sala
d'aspetto. I tacchi colpivano il pavimento gommato della
stanza lasciando che il rumore assomigliasse sempre di
più ad un battito del cuore. Era davvero una situazione
strana: due donne che non si conoscono tra di loro ma
che hanno un interesse comune, ovvero un uomo che
non può, per ora, riabbracciare né l'una né l'altra.
Inverosimilmente, da una parte c'era l'insegnante di una
102
DORMI CON ME STANOTTE?
scuola di frontiera, pertanto abituata alle situazioni
drammatiche, che non riusciva a trattenere gli spasmi del
suo sistema nervoso posto duramente alla prova, mentre
dall'altra parte, comodamente seduta, una ragazzina che
aveva tutta la sua famiglia racchiusa in un uomo con seri
problemi di salute, un Déjà vu della situazione vissuta
con sua madre e la schiena dritta e l'imperturbabilità di
chi quasi non se ne preoccupa; o non ha ancora
realizzato. Julia non solo aveva confermato il sospetto di
Aline secondo cui la ragazza non aveva capito la gravità
del problema ma sopratutto aveva tutta l'aria di voler
concludere presto questa faccenda e tornare alla sua
vita. A testimoniarlo c'era la tracolla della ragazza, una
borsa di tessuto nero, di quelle che si usano tutti i giorni e
che appariva anche piuttosto smunta, dunque vuota. Era
l'unico bagaglio di Julia. Viaggiatrice minimalista o
testimone disinteressata di questo imprevisto? In ogni
caso, era necessaria una permanenza a Barcellona più
lunga, con tutta l'opportuna organizzazione che ciò
comporta. Costatata la propria impotenza, considerando
inutile il suo stare seduta lì a non far nulla, chiese le
chiavi di casa ad Aline, la quale non poté far altro che
dargliele, ovviamente, però decise di seguirla. Julia annui
con tutta l'aria di chi avrebbe annuito anche se Aline
fosse rimasta in ospedale. La presenza della donna le fu
da subito indifferente. Quest'ultima capì immediatamente
e con un tono di rabbia, annunciò di aver cambiato idea e
cioè di voler tornare a casa sua. Ancora una volta, Julia
annuì. Scendendo dalle scale, le due donne incontrarono
alcuni ragazzi che facevano clown terapia. Una ragazza
mostrava un cartellone con su scritto: “19 de marzo: día
del Padre”. “19 marzo: festa del papà”.
103
STEFANO ZIZZI
TRE – LE SOLE NOTIZIE CHE HO
20 marzo. Ore 00.40
La carpa è il pesce più furbo. Riesce a distinguere la
differenza di peso da un boccone all'altro da come si
muove nell'acqua e spesso riesce a scansare le esche
attaccate ad un amo. Per pescare una carpa bisogna
tenere l'amo ad almeno un paio di centimetri dall'esca ed
utilizzare un filo sottilissimo. La carpa infatti si alimenta
aspirando il cibo e non mordendolo come tipicamente
fanno altre specie di pesci. Importante è abituare il pesce
alla nuova esca gettando nel luogo prescelto grosse
quantità dell'esca che si impiegherà qualche giorno prima
dell'effettivo inizio della pesca. Con questo sistema si può
far abboccare la carpa a qualsiasi esca.
Il pesce deve sentirsi al sicuro, così quando si accorge
dell'inganno... è già troppo tardi.
L'ospedale dov'era ricoverato Carlos, non era troppo
distante dal rio Besòs, il fiume che lambisce Barcellona.
Mentre, con tutta probabilità Aline era già rientrata a
casa, Julia non aveva il coraggio di fare la medesima
cosa, perché tornare a casa Pejo voleva dire aprire un
baule che traboccava di ricordi, meravigliosi ma anche
orrendi.
Con la macchina che aveva preso a noleggio atterrata in
aeroporto, percorse le nuove strade che costeggiano il
fiume. Rimase a bocca aperta per la trasformazione di
tutti i posti in cui lei andava da piccola insieme a suo
padre. Lo ricordava come un luogo brutto, sporco,
contaminato dalle industrie, invece i cartelli spiegavano
che erano state già effettuate le operazioni di
depurazione delle acque e che erano in corso i lavori per
104
DORMI CON ME STANOTTE?
la costruzione del nuovo polo turistico “Parc Fluvial del
Besòs”.
Suo padre le diceva sempre che quando lui era bambino
ed ancora il fiume era incontaminato, andava con suo
papà, nonno Julio, a pescare le carpe e si augurava che
un giorno il “suo” fiume potesse liberarsi dalle brutture
industriali per ritornare a splendere di quel blu intenso
che lo contraddistinse durante la sua infanzia.
Le trasformazioni non erano mai piaciute a Julia.
Nemmeno quelle positive: lei preferiva evitare i problemi
scappando via. Piuttosto che cercare di riprendere il
rapporto con il padre, chiedergli che cosa cercasse nelle
donne che entravano a casa Pejo, ella preferì aspettare
di diventare maggiorenne e poi abbandonare casa,
padre, abitudini, per fuggire in un'altra città.
Però la vita è come un fiume: sai qual è la strada ma non
sai che corrente ti spinge e come una carpa, appena
credi di essere al sicuro, abbocchi ad un amo.
Passò ancora qualche minuto e poi decise, finalmente, di
rientrare a casa. Aprì la porta di casa e Patricio, con un
miagolio che sembrava quasi che piangesse, corse verso
Julia facendole le fusa e leccandole la caviglia infilando
la testa nell'orlo dei pantaloni, come faceva sempre,
come se quei quattro anni non fossero mai passati.
La ragazza strinse a sé il gatto e si sedette sul divano
con Patricio in braccio. Poi si addormentò. Tale padre tale
figlia.
Prima di tornare in ospedale, Aline passò dall'azienda di
Carlos, per spiegare ai dipendenti e sopratutto a Fran
cosa fosse accaduto.
105
STEFANO ZIZZI
− O Signore benedetto! E come sta ora?
− È sotto osservazione, sono le sole notizie che ho.
Non possiamo vederlo.
− La figlia? Lo ha saputo?
− L'ho chiamata immediatamente ed è arrivata ieri.
− Come sta?
− È un tipo freddo, sembra quasi che non sia più
interessata al padre.
− Intendo lei, lei come sta?
− Come vuoi che stia, Fran. Rosa dai sensi di colpa
per aver litigato, perché l'ultima volta non gli ho
rivolto la parola ed ora potrei non parlargli mai più.
− Non lo dica neppure per scherzo, signora Pejo.
Sarà stato qualcosa di leggero, magari dovuto allo
stress.
− Appunto. Avrei dovuto avere pazienza, non avrei
dovuto caricarlo di ansie con le mie stupide
domande da donna sognatrice.
− Macché, sarà stato il lavoro. Nella sua posizione
avrebbe potuto benissimo infischiarsene, fare solo
la presenza per firmare alcuni documenti, invece
curava quest'azienda come un bambino cura i suoi
semini di girasole, dalla piantagione allo sbocciar
del fiore.
Con estrema sensibilità, la segretaria si preoccupò più
della reazione di Aline che non della salute del suo
datore di lavoro. Non è semplice spiegarlo, ma in realtà
quando qualcuno necessita di cure ospedaliere, il
ricovero è sì la soluzione migliore per il paziente ma
106
DORMI CON ME STANOTTE?
anche la più comoda per i familiari. Un malato non può
stare in mani migliori di chi cura gli ammalati; più
problematico, senza dubbio, è avere un malato in casa,
quando le necessità vanno oltre le capacità dei familiari,
la cui rapidità d'urgenza non è mai paragonabile a quella
che possono avere gli operatori medici. Quando
accadono cose del genere, è più necessario rassicurare
le persone vicine al paziente. Ma la dolcezza di Fran
nulla poteva contro l'apprensiva Aline.
La donna arrivò all'ospedale che Julia era lì già da un
pezzo. Sembrava che, una volta sveglia, la ragazza
avesse avuto solo il tempo di andare in bagno e
sciacquarsi la faccia. Ancora una volta i ricordi le misero
fretta.
Aline entrò in sala d'aspetto e vide Julia parlare con
Hernesto.
- Hernesto, lei è Aline.
- Molto lieto, signora. Carlos non faceva altro che parlare
di lei.
Julia cambiò discorso: - Hernesto mi diceva che la
situazione è stazionaria, ma ancora sotto stretto
controllo.
- Ma si sa qual è stata la causa, dottore?
- Spiegavo a Julia che dalle prima analisi Carlos sembra
affetto da diabete mellito, il quale, probabilmente, ha
scatenato l'ictus.
- Ma Carlos non mi aveva mai detto nulla.
- Probabilmente non lo sapeva neppure lui.
Personalmente ho insistito più volte perché venisse a
fare i controlli di routine, ma lui si negava sempre,
rimandando.
107
STEFANO ZIZZI
- Se avesse avuto qualche sintomo, probabilmente
sarebbe venuto.
- In realtà, trasferendo le cartelle dei pazienti nel
database del computer, mi sono reso conto che l'ultima
volta che Carlos si sottopose agli esami fu quasi cinque
anni fa.
- E allora? - chiese candidamente Aline.
- Prima che partissi io.
- Esatto, Julia. Dopo la tua partenza si è sempre rifiutato.
Quando collegai le cose, decisi di non insistere più,
arrivando alla conclusione che sarebbe venuto da solo,
qualora ne avesse avuto bisogno. Lei, signora, ha mai
notato sintomi strani?
- Di che genere?
- Sonnolenza, perdita delle forze quasi istantanea,
problema di vista o di equilibrio?
- No, non mi sono mai accorta di nulla, tanto meno ne ha
mai parlato con me.
- Va bene, indagheremo.
- Mi scusi ma è lei che ha sotto cura Carlos? E' a lei che
dobbiamo chiedere?
- Sì sono io. Ma l'unica autorizzata a chiedermi
informazioni è Julia. A meno che lei....
- Certo – intervenne la ragazza – puoi dirle tutto.
- Bene, allora facciamo in questo modo: io le lascio il mio
biglietto da visita; la vostra presenza qui può far bene a
voi, ma per Carlos è indifferente, al momento. Sperando
che la situazione possa cambiare, intanto capisco che la
vostra vita deve andare avanti dunque sappiate che
potete chiamare e chiedermi di lui in ogni istante.
- Grazie, Hernesto
- Grazie, dottore.
108
DORMI CON ME STANOTTE?
- Non dovete ringraziarmi. É il mio mestiere e Carlos è un
mio amico d'infanzia; mi sembra il minimo. Un'ultima
domanda, signora. Ha mai notato movimenti strani,
spasmi inconsueto di Carlos durante il sonno, la notte?
- Noi.... non... non abbiamo mai dormito insieme.
Il medico si congedò per tornare al suo lavoro. Le donne
si risedettero e rimasero un po' in silenzio, finché Julia
esclamò: - Davvero non hai mai dormito con mio padre?
- Vero.
- Come mai?
- Perché lui non voleva. E perché era giusto così. Non
era pronto e non si deve cercare mai di forzare una
persona a fare quel che non vuole o non è pronto a fare.
L'ho capito. Tardi, ma l'ho capito.
109
STEFANO ZIZZI
QUATTRO – OSSESSIONE
29 marzo. Venerdì Santo.
Da qualche giorno Aline e Julia avevano cominciato a
darsi appuntamento al bar di fronte l'ospedale. Ogni
mattina facevano colazione insieme e poi entravano nel
complesso ospedaliero. Nessuno dei locali pubblici del
nosocomio erano degni di essere chiamati “bar”. Quelli
che dovrebbero essere dei punti di ristoro per gente che
è ricoverata e che non sopporta le acque colorate che in
corsia spacciano per caffè, latte o tè, in realtà sono delle
trappole in cui caschi una volta sola. La gestione di
questi locali commerciali è pressoché sommaria, poiché i
titolari delle licenze offrono le attività in gestione a gente
che solitamente ha poco a che fare con la conduzione di
un bar. Ciò che interessa a loro è la fila che la gente fa
alla cassa, senza preoccuparsi della qualità o del
servizio, perché si ritiene che un bar di un ospedale sia
riservato a fruitori di passaggio; un po' la stessa mentalità
dei self-service sulle autostrade. Nessuno considera che
per un ammalato sarebbe meglio bere un buon caffè, di
mattina presto, anziché ricevere un pugno in bocca ed
uno allo stomaco.
Ma la verità è che che il bar di fronte aveva i cornetti di
“Pecados de Hielo”.
Al di là degli interessi personali di Aline ed ovviamente
anche di Julia, per quanto i cornetti surgelati siano
oggettivamente non freschi, realizzati con concezione
industriale e con materie prime probabilmente meno
genuine, appena sfornati sono molto buoni, per Aline
addirittura i migliori.
Mentre stavano attraversando la strada, il telefono di
110
DORMI CON ME STANOTTE?
Julia squillò; sul display comparve il nome di Lucya.
- Tesoro!
- Amica, come stai?
- Così.
- Ho incontrato Diego e mi ha raccontato. Come sta tuo
padre?
- In coma, stabile. Sto per salire in ospedale.
- Ti salutano tutti e ti abbracciano tanto.
- Ringrazia tutti da parte mia. Spero di tornare presto.
- Prenditi tutto il tempo che vuoi, tesoro.
- Grazie Lucya. E, per favore, prendi tu gli appunti per
me.
- Già pensato, lo sto facendo e continuerò a farlo, ma tu
torna presto.
- Dipendesse da me, tornerei oggi stesso.
- Ti lascio amica, un bacio grande.
- Ciao, Lucya, grazie per aver chiamato.
- Figurati. Aspetta un secondo: quando ho incontrato
Diego stava passeggiando mano nella mano con un
uomo. E' vero che è gay?
Dopo quest'ultima domanda davvero poco opportuna,
Julia chiuse la telefonata senza rispondere. Infilò il
telefono nella borsa e raggiunse Aline davanti
all'ascensore. Fu la prima volta che si sentì pronunciare
la parola “coma”.
- Hai di tutto in quella sacca...
- Da quando uso questa borsa, spendo di più in chiamate
dal cellulare.
- Perché?
111
STEFANO ZIZZI
- Perché quando mi chiamano faccio fatica a trovarlo
finché il mio interlocutore non si convince che io non
posso rispondere e desiste. Successivamente, dunque,
sono costretta a richiamare e spendere soldi che avrei
potuto risparmiare rispondendo in tempo. - Ottima analisi.
- Nella mia borsa c'è di tutto, a partire dal mio taccuino
Moleskine con una Fila Tratto 3 di colore blu. Una delle
classiche domande è “cosa ti porteresti su un isola
deserta”? Io rispondo sempre: “carta e penna”, ma la
verità è che senza la mia tracolla nera mi sentirei nuda.
Tutto ciò che essa contiene fa parte del mio quotidiano e
dunque della mia personalità.
- Capisco.
Quando ho con me la mia borsa, praticamente sempre,
sono sicura di me perché non mi serve altro e ho con me
tutto ciò di cui ho bisogno; solo lei è capace di
assecondare il mio animo nomade; dovunque io voglia
andare, in qualunque momento io voglia partire, posso
farlo perché non mi serve altro. Mi sento una sorta di
gigantesca lumaca che porta con sé la sua casa in ogni
luogo. Con lei mi sento sempre a casa mia, come se
fosse un cane di compagnia, mi segue ovunque ed è con
me testimone di tutto ciò che io vedo.
- Mai dato così valore ad una borsa. Giuro.
- E' parte integrante dei miei ricordi ed essa li contiene
tutti, a volte mi dà quasi l'illusione di avere un'anima, ma
è solo un'impressione dettata dall'affezione che ho nei
suoi riguardi. Essa stessa è figlia e madre allo stesso
tempo di uno dei più bei ricordi che ho della mia vita, e mi
piace pensare che il fatto che sia parte integrante di un
piacevole ricordo, possa dare al ricordo stesso il
permesso di vivere con me il resto dei miei giorni.
112
DORMI CON ME STANOTTE?
La telefonata della sua amica, per quanto invadente,
consegnò a Julia un inaspettato buon umore, che si
tramutò in un'improvvisa loquacità.
Aline, ovviamente, considerò subito che dietro il racconto
così enfatico e poetico di una tracolla nera c'era un
episodio che stava molto a cuore alla ragazza, forse la
borsa era il regalo di una persona cara e per questo le
uscì una considerazione così appassionata nei confronti
di una sacca. Nonostante si rese conto che quel discorso
avrebbe potuto farlo a tutti e non era certo una
confidenza fatta direttamente a lei, in cuor suo si
compiacque del fatto che, finalmente, aveva messo in fila
più di dieci parole e senza la minima ombra di rabbia.
Proprio mentre stavano percorrendo il corridoio che
sfociava nella sala d'aspetto della terapia intensiva,
furono raggiunti e superati da alcuni medici, compreso
Hernesto, che correvano dritti verso la stanza dov'era
ricoverato Carlos. La luce lampeggiante della richiesta di
soccorso installata sulla porta era accesa, appena i
medici giunsero davanti ai posti letto si spense. Aline e
Julia aumentarono il passo arrivando fino alla porta, e
restandoci davanti per alcuni minuti che sembravano ore.
Mute. Entrambe. Dal vetro affumicato si vedevano
sagome con le cuffie da paramedico correre da un lato
all'altro, ogni tanto qualcuno usciva dalla sala per
rientrare con un arnese sempre nuovo. Nessuna delle
due donne era in grado di intromettersi, di chiedere, di
disturbare. Ogni mossa d'intralcio poteva valere la vita di
Carlos. E comunque non avevano nemmeno un briciolo
di fiato.
Qualche minuto dopo la situazione si acquietò.
113
STEFANO ZIZZI
L'andirivieni del personale si esaurì ed anche le sagome
dietro ai vetri sparirono. Era tornata la sala d'attesa che
ben conoscevano da undici giorni. Poco dopo, la porta si
aprì e due infermieri uscirono un letto con sopra un corpo
coperto da un lenzuolo. Era coperto anche il viso.
In coda, uscirono anche i coniugi Navarro. La figlia
Sabina, ricoverata in seguito ad un incidente con la
motocicletta, dopo tre giorni di coma, aveva concluso la
sua vita.
I parenti di chi è ricoverato in questo genere di reparto
diventano tutti un'unica famiglia, poiché assoggettati allo
stesso destino ed alle stesse speranze. Aline abbracciò
la mamma di Sabina mentre Julia, che aveva la stessa
età della ragazza appena morta, abbracciò il padre, quasi
come se fosse il suo.
Dopo quell'esperienza così paurosa, forte e drammatica
restarono in silenzio sedute per tutta la giornata,
eccezion fatta per il tempo che ci volle per scendere e
pranzare con un po' di tortilla nel bar in cui la mattina
facevano colazione.
Fino alla sera restarono lì. Ore ed ore di silenzio e di
sconforto, in segno di lutto per quella povera ragazza ma
il cuore un po' più leggero per il pericolo scampato. In
questi casi, purtroppo, si diventa persino un po' egoisti.
Solo quando gli inservienti accesero le luci blu, le due
donne scesero dall'ospedale.
Julia avvisò: - Ho fame.
- Anche io.
- Sarà per il fatto che abbiamo sullo stomaco solo un po'
di tortilla.
- Sicuramente, ma stamattina mi si era stretta la pancia.
- A chi lo dici.
114
DORMI CON ME STANOTTE?
- Andiamo in un ristorante?
- Buona idea.
Si accordarono sul locale dove cenare ma ognuna di loro
prese la propria macchina. Quando parevano aver fatto
un passo avanti, sembrava quasi se ne pentissero e
fossero pronte per farne due indietro. Anche durante la
cena, la conversazione fu molto fredda e rigida. Usciti
fuori dal locale, però, prima di prendere le macchine ed
andare ognuno a casa propria, si appoggiarono sul
cofano della “Fiesta” presa a noleggio da Julia e si
misero insieme a contemplare la magnificenza della luna.
115
STEFANO ZIZZI
CINQUE – ANELLI
30 marzo. Sabato Santo
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Non viaggiavo in treno dal '78.
Contenta di questa esperienza?
Macchè, io avrei preso l'aereo.
Ma come? Vuol mettere il fascino del treno?
Mah.
Soffre di mal di treno, signorina?
No. O almeno non mi ricordo.
Mal d'auto?
Ho sessantasette anni e guido da quaranta.
Sessantasette? Davvero?
Ne dimostro meno?
Di più.
Come sarebbe?
No dico, se ha sessantasette anni guida da più di
quarant'anni. Ha mai avuto problemi di emicrania?
Senti, lo vogliamo fare questo viaggio, o no?
Sì, scusi. D'ora in poi eviterò di fare domande
stupide.
Ne dubito.
Ecco.
Povera ragazza, chissà come sta.
L'ho sentita frequentemente. Lei sta bene...
Il padre?
Sempre in coma, sempre stabile.
Povera ragazza. E tu finalmente hai deciso di
muovere le chiappe. Dopo dodici giorni.
116
DORMI CON ME STANOTTE?
− Eh, lo so. Non potevo lasciare prima il lavoro.
− Ma certo. La tua ragazza corre al capezzale del
padre e tu resti al lavoro.
− Signorina Setubal, gliel'ho detto mille volte: Julia
non è la mia ragazza.
− Non insistere. Sarà tua moglie quando vi
sposerete.
− Sarà difficile.
− E cosa lavori a fare, allora. Che ne fai dei soldi
che guadagni?
− Io e Julia viviamo insieme....
− Voi giovani fate sempre le cose a metà. Dico io:
vivete insieme, la casa è vostra, perchè non vi
sposate?
− La casa è mia.
− Non fare l'egoista. In amore non si è egoisti. Cerca
piuttosto di prenderti le tue responsabilità. Fai
l'uomo!
− Signorina Setubal, lei è fuori strada.
− Anche se...
− “Anche se” cosa?
− Niente.
− No, su, avanti, dica.
− Lasciamo stare.
− Con tutto il rispetto, non sopporto chi lascia i
discorsi a metà.
− Tu, giovanotto, sembri un po'...
− Un po'?
− Effeminato. Ecco: l'ho detto.
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STEFANO ZIZZI
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Senta signorina....
Si, ma senza offesa, ci mancherebbe.
No, non mi offendo.
Lo so che ti dà fastidio quando ti chiamo
“maggiordomo”, però i giovani d'oggi non li
comprendo.
Lasci perdere, è meglio.
Io capisco che sia casa tua, ma hai una donna
accanto, non mi sembra il caso di farle fare la
studentessa mantenuta.
In che senso?
Certo, a me fa comodo, ma Julia pulisce il mio
negozio e a casa ci pensi tu. Così lei è esente dai
servizi di casa ed in più guadagna uno stipendio.
Figuriamoci.
Che vuoi dire?
Che se dovesse dipendere dal suo stipendio, Julia
si sposerebbe tra vent'anni.
Non è questo il punto. Il punto è che non mi
sembra normale che tu sia quello che in casa lava,
cucina, stira...
A me piace fare i servizi di casa.
Ma che ragionamento è? Se lasci che Julia faccia
la studentessa a vita, non le infilerai mai quel
benedetto anello.
Io non voglio sposarmi!
Perchè?
Perchè. Perchè? Perchè voglio affermarmi nel
mondo del lavoro. Ecco perchè.
118
DORMI CON ME STANOTTE?
− Ma siete già grandi. Non ci pensate ad un figlio?
Un figlio non si può comprare per quanto ricco
possa essere un uomo.
− Oddio mio!
A Diego il viaggio sembrò molto più lungo del normale.
Barcellona sembrava non arrivasse mai. Più volte fu
tentato di svelare i propri gusti sessuali, ma aveva paura
che la signorina Setubal potesse scandalizzarsi, tirare il
freno e scendere in mezzo alle campagne di Calatayud.
Finalmente arrivarono in stazione, Diego aiutò la
signorina a scendere dalla carrozza e poi si preoccupò di
recuperare la valigia contenente alcuni effetti personali
che Julia gli aveva chiesto di prendere, dopodiché
salirono sulla linea 6 della metropolitana. Nonostante i
due viaggiatori avevano occupato il mezzo pubblico per
sole quattro fermate, la signorina Setubal ebbe il tempo
di inveire contro un ragazzo reo di non essersi alzato per
farla accomodare, descrivendolo, urlando, come un
“lattante irrispettoso”.
Arrivarono davanti all'ospedale e salirono al piano.
Appena Julia vide Diego, gli corse incontro e lo abbracciò
sciogliendosi in un pianto inconsolabile. Subito dopo
accarezzò la spalla curva della signorina Setubal,
ringraziandola per la sorpresa con un bacio sulla guancia
rugosa.
Julia presentò Aline prima alla sua datrice di lavoro e poi
a Diego; successivamente i due ragazzi scesero al bar
per prendere dei caffè.
In sala d'aspetto, invece, la signorina Setubal e Aline si
esprimevano in discorsi di circostanza, finché
l'insegnante ammise: - Sa, signorina, lei somiglia molto a
119
STEFANO ZIZZI
mia nonna Delma.
- Quanti anni ha?
- Aveva settantatre anni. Da quattro anni non c'è più.
Ad Aline si arrossarono gli occhi e le guance, dalle quali
colavano alcune timide lacrime.
- Non pianga, signora. Non pianga mai.
- Mi scusi, ma non è facile.
- Sa cosa dice sempre mio fratello? Che quando una
donna piange, i motivi sono due: o perché la sua vita è
sconvolta o perché sta per sconvolgere la tua.
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DORMI CON ME STANOTTE?
SEI – CARTA E PENNA
31 marzo. Pasqua.
La sera precedente, all'uscita dall'ospedale una
macchina attendeva la signorina Setubal. Era del fratello,
che viveva a Matarò un paese della provincia a trenta
chilometri da Barcellona. Considerando che sarebbe
andata a trascorrere la Pasqua dal suo unico familiare, la
signorina, in un impeto di buonismo, aveva deciso di
partire con Diego per andare a trovare Julia. La ragazza
gradì molto la sorpresa e quando andò via, ancora una
volta la salutò con un bacio sulla guancia che sapeva di
sigaro.
Julia passò la notte con Diego, in casa del padre. Dopo
oltre un mese si ritrovò a dormire col suo miglior amico,
anche se le condizioni furono leggermente diverse.
Prima di prender sonno, durante la notte, il ragazzo si
mostrò stupito di come e quanto la sua amica avesse
“ammorbidito” la propria opinione circa le frequentazioni
di suo padre.
- Allora? Come stai?
- Puzzo di ospedale.
- E questa maglietta? Dove hai trovato una maglietta
dell'Irlanda, a Barcellona?
- Qualche giorno fa ho fatto un giro per mercatini. Dovevo
pur vestirmi.
- Non hai niente qui?
- Non ho visto, non ho cercato. Dormo qui, nell'ingresso,
sul divano dove dormirai tu. Uso solo il bagno e la cucina
per dar da mangiare al gatto.
121
STEFANO ZIZZI
- Che tipo è lei?
- Non parliamo molto. Però non sembra cattiva.
- Dici che vuol bene a tuo padre?
- Non so, ma credo di sì. Sai che in quattro anni non
hanno mai dormito insieme?
- E cosa vuol dire, secondo te?
- Che se non fosse innamorata l'avrebbe mandato a quel
paese dopo qualche settimana.
Cedette il divano al suo ospite, mentre lei andò a dormire
in camera sua. Le fece un effetto strano rivedere la sua
stanza, spoglia di ogni traccia dei suoi ultimi quattro anni,
ma conservata intatta come si conserva una reliquia. La
libreria con tutti i testi scolastici, l'armadio pieno di abiti
che ora non le vanno più, le foto dei saggi di danza alle
pareti e il piumone copri letto che non era molto coerente
con le temperature del periodo ma che era li da quel
febbraio del 1998, quando lasciò casa del padre. Senza
un briciolo di polvere.
"Se vuoi una cosa, se la vuoi davvero, vai e prenditela";"
in amore vince chi fugge"; "Se ti ama davvero ti
aspetterà"; "Fai in modo che torni solo quando avrà le
idee chiare". Nel frattempo i miei cari amici consiglieri del
buonismo hanno confuso le mie, di idee. Sapere che per
raggiungere l'anima gemella, l'amore della vita e per la
vita intera bisogna percorrere una strada ben più che
tortuosa, equivale a porgere la testa a bocche di leone
affamate. Ancor peggio, riprendere la strada dopo una o
più interruzioni consapevoli o brusche che siano pone
l'umanità nella scomoda posizione di vantare ragionevoli
dubbi. Ma se alla fine il cuore batte ancora, è ancora
122
DORMI CON ME STANOTTE?
insito in noi il desiderio che torni tra le nostre braccia,
perché a guardare il cielo ed il mare ed il sole o la luna
con le stelle mosse dal vento sia uno sguardo solo, ma di
entrambi.
Che il tempo passi in fretta, meglio che sia già adesso o
che sia già passato da un istante; che la rabbia non torni,
che torni l'amore. Con un sorriso che cancella le nuvole.”
Aline infilò il tappo alla penna e chiuse il suo diario; poi
prese un altro caffè e si vestì per incontrarsi, come tutte
le mattine, con Julia.
Tre cappuccini e tre tranci di Mona de Pascua, un dolce
tipo della tradizione pasquale catalana. Dopo parecchio
tempo, Aline “tradì” i cornetti surgelati di Carlos, per
adempiere ai doveri della tradizione quaresimale, spinta
anche da Diego, fervido credente.
Prima di salire in sala d'aspetto, l'uomo trascinò le due
donne nella Cappella dell'ospedale, situata a pian
terreno, tra i bagni ed il bar.
I luoghi deputati alla preghiera, costruiti negli ospedali, si
differiscono sempre molto dalle Chiese. I tre entrarono in
uno stanzone con un grande Crocifisso alla parete, ed
una cinquantina di sedie disposte davanti a un Altare.
Lungo i muri c'erano dei quadri senza cornice raffiguranti
alcuni Santi; niente di più.
Aline e Diego si sedettero immediatamente mentre Julia
rimase defilata, appoggiata in piedi allo stipite di una
delle due porte d'ingresso in legno bianco. Dopo qualche
minuto Diego girò la testa verso la sua amica e questa
decise di sedersi qualche fila più indietro.
“Chi ha inventato le preghiere? Chi le ha scritte? Quanto
ci si può “fidare” di un testo tramandato in maniera orale
123
STEFANO ZIZZI
per diverse generazioni per poi essere trascritto solo
molto tempo dopo? A cosa serve pregare? C'è davvero
qualcuno “sopra” di noi a seguirci? C'è davvero vita dopo
la morte?”. Tutte queste ed altre simili domande,
rimbombavano nella mente di Julia, mente gli altri due, a
capo chino e con gli occhi chiusi, si lasciavano dondolare
dalla cantilena pronunciata a bassa voce da alcune
donne che stavano dicendo il rosario.
Spesso, in momenti di disperazione come quelli che loro
stavano vivendo, la gente si affida alla preghiera,
qualunque sia il proprio pensiero personale sulla
religione. Tanti si rivolgono a qualcuno o qualcosa che
non sanno neppure bene cosa sia, ma cercano in tutti i
modi di risolvere il dramma che li ha colpiti.
Anche Julia, allora, chinò il capo e si fece il segno della
croce.
“Non ho avuto mai un rapporto intenso con la religione e
con la spiritualità. Si dice che quando ti succede una
disgrazia, come per noi è questa, o ti avvicini alla
religione, oppure te ne allontani definitivamente. A me
non è successo nulla di tutto ciò. Non ero molto vicina e
non lo sono ancora; non ero scettica e non lo sono
adesso.
Io non credo che non esista Dio.
Ognuno ha il suo. Chi crede nel destino, ritiene
quest'ultimo un Dio, ovvero un'attività sovrumana capace
di cambiare la nostra vita secondo per secondo. La
fortuna è un Dio che ci fa vincere oppure perdere. Credo
che la nostra vita sia un marciapiede. Possiamo
percorrerlo sul bordo della strada e possiamo passare
dall'altra parte, rasentando il muro, ma il percorso resta
quello, dritto e sconosciuto, con alcuni momenti in cui il
124
DORMI CON ME STANOTTE?
marciapiede
finisce e dobbiamo stare attenti ad
attraversare gli incroci pericolosi, quelle che noi
chiamiamo coincidenze. Voglio dire che tra Dio, la fortuna
e il destino non so cosa esista e cosa no e forse siamo
un po' troppo presuntuosi nel provare a rispondere,
perché siamo troppo piccoli, se confrontati a ciò che ci
permette di cambiare la nostra vita.
Se morissi, avresti almeno due donne che non si
darebbero pace, a cui mancheresti ogni momento, tu e le
tue ansie schizofreniche, tu e le tue pazzie buffe. Se
morissi, il numero degli stronzi sulla faccia della terra,
automaticamente s'incrementerebbe di una unità, e
confermeresti il luogo comune secondo cui se ne vanno
sempre i migliori. Se morissi, non saprei più con chi
incazzarmi, non avrei più chi mette a dura prova i miei
nervi, chi testa la mia pazienza così scarsa. Se morissi,
però, non mi brucerebbe più lo stomaco. E dovrei
continuare a farmi le coccole da sola e non sarebbe la
stessa cosa. Se morissi sarebbe un mortorio. Se morissi,
perderei gran parte di me, se morissi morirei un po'
anche io. Se morissi non smetterei di amarti perché di
amarti non l'ho deciso io ma il cuore mio che di me e del
mio cervello se n'è sempre fregato e ha fatto bene. Se
morissi non avrei più risposte a tutti i punti interrogativi
che sbocciano nel mio cervello quando assumi
comportamenti pensati ed irrazionali, quando ti
contraddici più volte nello stesso momento, quando lo so
che mi ami però non lo dimostri affatto. Se morissi, non
potremmo più litigare. Se morissi, continuerei a vivere
alla giornata. Però, papà, una cosa ti posso dire: se tu
non farai più il padre con me, io da grande non potrò più
fare la figlia con te.”
125
STEFANO ZIZZI
Si alzarono tutti e tre e con una sorta di tacito accordo,
insieme lasciarono la Cappella. Restarono un po' nel
corridoio. Aline andò in bagno a sciacquarsi il viso per
poter mimetizzare le lacrime con l'acqua, Julia prese un
caffè; Diego le guardò intenerito e preoccupato.
Chiamarono l'ascensore e salirono al piano. Appena
entrati
nella
sala
d'aspetto,
Aline
riconobbe
immediatamente l'abito nero di Don Gonzalo, il quale si
alzò e le andò incontro a braccia aperte. Aline lo
abbracciò forte e cominciò a singhiozzare. Nessun
rubinetto di nessun bagno sarebbe servito a nasconderlo.
126
DORMI CON ME STANOTTE?
SETTE - L'APE E IL FIORE
1 Aprile. Lunedì Di Pasqua
Patricio, il maltese nero della famiglia Pejo, fece il suo
ingresso in casa il 21 maggio del 1992. Fu trovato da
Carlos sul pianerottolo alle quattro del mattino. Il padrone
di casa stava tornando dai festeggiamenti della Coppa
dei Campioni vinta dal Barcellona ai danni della squadra
italiana della Sampdoria. Nessuno mai capì come quel
cucciolo di maltese arrivò sullo zerbino antistante alla
porta d'ingresso. Fu chiamato Patricio come il bambino
che Carlos incontrò nei pressi de La Monumental, dove
avevano allestito uno dei maxi-schermo per seguire la
finale, che quell'anno si teneva a Londra.
Carlos, Lorenzo ed i suoi amici dell'After Bar, si
ritrovarono questo bambino di colore di una decina di
anni, che soffrì, esultò e festeggiò con loro la storica
vittoria. Ancora un po' brillo dopo i festeggiamenti, arrivò
davanti alla porta e sentì miagolare. Chinò il capo verso i
suoi piedi e scoprì questa bella sorpresa. Dopo aver vinto
la coppa, intese il ritrovamento del gatto come un segno
bene augurante, pertanto lo chiamò Patricio, come il
bimbo porta fortuna.
Molto affettuoso e di compagnia, Patricio conservava un
altro segreto. Ogni volta che in casa arrivava un ospite,
l'animale spariva per andare a nascondersi chissà dove.
Sopratutto Helèna, molto spesso voleva far vedere il
gatto alle amiche, ma non riusciva mai a scovarlo.
Il giorno precedente, Don Gonzalo rimase in ospedale
fino a tutto il pomeriggio. Il sacerdote, con le sue parole
di conforto, restituì alla Santa Pasqua il giusto valore
religioso. Da uomo Cristiano, quell'anno, anziché offrire il
127
STEFANO ZIZZI
suo consueto contributo alla mensa dei poveri, decise di
andare in aiuto della sua collega, provando a stemperare
la sua disperazione e aiutandola a recuperare la propria
spiritualità con le tre virtù teologali: fede, speranza e
carità. Fu una giornata molto intensa, di domande
provocatorie e risposte serene, di momenti di collera e
carezze significative. Il giorno di Pasqua si chiuse con un
regalo: un “Tau”, che Don Gonzalo aveva portato in dono
ad Aline ma che alla fine della serata infilò al collo di
Julia.
Ancora una volta, la presenza di un estraneo, cioè Diego,
indusse Patricio a nascondersi, negandosi all'ospite.
- Insomma, mi par di capire che io questo gatto non lo
vedrò mai.
- Non decido mica io...
- Certo, decide lui! Ma che razza di animale di compagnia
è un gatto che si nasconde?
- Un animale può essere di compagnia ma anche molto
riservato.
- Capisco che sono a Barcellona e non posso vedere la
Sagrada Família, ma non vedere un gatto in un
appartamento è davvero il colmo!
- Hai ragione Diego, ti abbiamo sepolto con noi in
ospedale.
- Ma figurati, dicevo per dire, sono qui per te, non per
fare
una
gita.
- Facciamo così: visto che oggi è Lunes de Pascua,
pranziamo qui e poi andiamo in ospedale. Non gireremo
come turisti ma almeno faremo qualcosa un po' diversa.
- Ma no, andiamo da tuo padre.
- Ci andremo dopo pranzo. Adesso mando un messaggio
128
DORMI CON ME STANOTTE?
ad Aline, capirà.
- Non pranza con noi?
- No. Le dico che devi preparare i bagagli e che la
raggiungiamo più tardi.
- Secondo me sbagli.
- Ma no, cosa vuoi che sia mezza giornata. Stiamo in
ospedale dalla mattina alla sera. É giusto che ti offra
almeno un pranzo.
- Non mi sono spiegato. Non è giusto che Aline non
pranzi con noi.
- Diego, per favore non cominciare. Non mi va.
- Va bene, allora. Dammi dieci minuti e scendiamo.
- Per andare dove?
- In ospedale. Io senza Aline non mangio. O meglio: TU
senza Aline non mangi!
- Per favore, non insistere.
- Non insisto. Sono pronto. Scendiamo.
- Eddai!
- Chiamala.
- Ti odio.
Per Aline, quella chiamata fu una sorpresa ed ancora di
più la sorprese l'invito. Completamente spiazzata, non
sapendo che dire, accettò subito e dopo mezz'ora era a
casa Pejo, in cui si ritrovò a rientrarci dopo venti giorni,
non senza difficoltà. Citofonò e le rispose Diego; quando
salì, trovò Julia accovacciata accanto alla lettiera del
gatto.
- Che fai?
- Cambio la sabbia alla lettiera di Patricio, oggi è lunedì.
- E' vero! Tutti i lunedì e tutti i giovedì. E tu come lo sai?
129
STEFANO ZIZZI
- E' sempre stato cosi. Mio padre è una persona che non
cambia mai abitudini di questo tipo.
La donna si presentò con un mazzo di girasoli appena
sbocciati nel suo terrazzo. Lei stessa prese un vaso, lo
colmò d'acqua e lo riempì con i fiori. Lo appoggiò sul
tavolino basso del balcone e cominciò ad apparecchiare.
Diego era ai fornelli. Pranzarono con un timballo al forno
ricavato da quello che il ragazzo trovò nel frigo; per
secondo scongelarono alcune fettine di cavallo e
terminarono con dei bocconcini di pasta sfoglia al
cioccolato, anch'essi trovati nel congelatore. Marca?
“Pecados de Hielo”, ovviamente. Durante il pranzo,
partendo da una telefonata improvvisa del suo fidanzato,
Diego raccontò ad Aline della sua storia d'amore con
Rupert, costretto a subire le ironie bonarie di Julia. I
pettegolezzi poi cambiarono bersaglio, cadendo sulla
signora che Carlos chiamava due volte alla settimana per
fare le pulizie. Maliziosamente, la ragazza raccontò che
quando telefonò alla signora per raccontarle l'accaduto,
ella si mostrò più preoccupata del mancato guadagno
settimanale che non della salute del suo datore di lavoro.
Nel corso della conversazione Aline non faceva altro che
guardarsi intorno. Nonostante conoscesse a memoria
l'appartamento, girava costantemente la faccia,
scrutando attentamente ogni angolo della casa; pareva
che la ragazza avesse donato agli ambienti una luce
nuova. Nel balcone, le api cominciarono ad accorgersi
dei girasoli, mentre Patricio, a sua volta, si accorse degli
insetti. Con un gesto imprudente, il gatto urtò la sua
zampa sul vaso di vetro, facendolo cadere per terra. Il
cristallo, deflagrandosi, produsse un rumore acuto che
130
DORMI CON ME STANOTTE?
spaventò tutti. Diego corse a vedere cosa fosse accaduto
e d''un tratto urlò: - L'ho visto! L'ho visto! Ho visto il gatto!
Il pranzo improvvisato si concluse con una grande risata
distensiva che rese il caffè di fine pasto ancora più dolce.
Quando si alzarono da tavola, Aline, da buona ospite
sparecchiò e lavò i piatti insieme a Julia, mentre Diego
cominciò ad ordinare le sue cose nello zaino. Scesero da
casa Pejo e salirono tutti e tre nella macchina di Aline;
prima tappa: stazione centrale, dove trovarono la
signorina Setubal, preventivamente avvertita da Diego.
Tutti e cinque, compreso il fratello della signorina,
attesero che arrivasse il treno, dopodiché cominciarono a
salutarsi. Diego strinse calorosamente la mano ad Aline,
subito dopo strinse in un abbraccio lungo e avvolgente la
sua amica alla quale si arrossarono di nuovo gli occhi.
Il treno arrivò e ripartì in perfetto orario. Le donne
rimasero sulle pedane di stazionamento finché l'ultimo
convoglio non sparì dall'orizzonte. Optarono per un altro
caffè e poi salirono in macchina in direzione
dell'ospedale. In macchina ebbero il tempo di scambiarsi
poche ma significative parole.
- Che ne dici se domani riconsegni la macchina
all'autonoleggio? Basta la mia.
- In effetti è una comodità superflua che mi sta costando
un patrimonio.
Seguirono minuti di silenzio, finché Aline non aprì il
cassettino porta documenti posto ai piedi di Julia, per
afferrare un pacchetto di sigarette semi vuoto, dal quale
ne estrasse una. Se l'accese.
- Hai ricominciato a fumare?
- Stanno ricominciando tante cose.
131
STEFANO ZIZZI
OTTO – FILO DI PERLE
18 aprile
E' passato un mese. Trenta giorni di consulti medici
sempre uguali e sempre inutili, settecento ore di
palpitazioni di tutti i parenti di coloro i quali giacciono
inermi su quei letti orrendi. Qualche giorno fa un operaio
di ventotto anni è dovuto ricorrere alle cure estreme
dell'èquipe di terapia intensiva a causa delle
conseguenze di un rave party. Giunto in ospedale in stato
di incoscienza, sono state fatali, per lui, l'assunzione di
droghe chimiche e di chissà quanti litri di alcool. Questa
mania di “sballarsi” è davvero crudele quanto stupida.
L'infima moda di ubriacarsi e mettersi al volante è un
segnale forte di incoscienza e di leggerezza irrispettosa
nei riguardi della propria vita nonché di quella degli altri.
Sentirsi “macho” soltanto con l'alcool nel corpo, è una
convinzione che appartiene agli stupidi ed agli ignoranti,
che non si rendono conto delle pene che recano a loro
ed i loro famigliari.
Durante questo lungo periodo, l'istituto “Pedro Salinas”
ha fatto non poca fatica a sopperire all'assenza di Aline,
figura oggettivamente insostituibile poiché l'unica ad
essere
entrata
nelle
grazie
degli
studenti.
Fortunatamente, il professor Fernandez, molto vicino alla
professoressa, ha comunque fatto in modo che la sua
amica potesse disporre di tutto il tempo necessario a
sbrogliare le matasse della sua vita.
Lucya avrà raccolto almeno una mezza dozzina di
quaderni colmi di appunti per la compagna di banco
Julia; sarà difficile recuperare le lezioni e dare gli esami
in tempo, ma la vita è una questione di priorità.
132
DORMI CON ME STANOTTE?
Al timone dell'azienda “Pecados de Hielo” è salito, con un
incarico pro-tempore, il dott. Ortiz, già responsabile del
distaccamento di Melilla. Una promozione sul campo che
avrebbe gradito che fosse arrivata in condizioni
decisamente diverse.
La vita, dunque, andava avanti. Julia già da qualche
giorno aveva riconsegnato la macchina all'autonoleggio
e, per spostarsi, approfittava della complicità di Aline. Per
riparcheggiare la “Fiesta” nel salone dell'autonoleggio,
servirono circa seicento euro, a copertura dei diciannove
giorni di utilizzo della vettura. Come se non bastasse, il
portiere dello stabile di Carlos consegnò alla ragazza un
pacco corposo di lettere e plichi postali. In mezzo, alcune
bollette in scadenza. Anche Aline aveva l'esigenza di
recarsi presso l'ufficio postale, dunque la sera prima si
fece consegnare le bollette dalla ragazza, così da poterle
pagare l'indomani. Julia l'avrebbe aspettata a casa, poi
sarebbero andate insieme in ospedale.
Alle sette in punto, la zampina di Patricio cominciò a
premere sulle guance della sua padroncina, la quale
inevitabilmente si svegliò.
Si preparò un caffè, poi entrò nella doccia. Giusto il
tempo di asciugarsi i capelli, che già si diresse verso la
sedia sulla quale aveva appoggiato i suoi vestiti. Da
quell'armadio di fortuna, selezionò una gonna di jeans ed
una camicetta. Era già pressoché pronta, ma era ancora
maledettamente presto. Durante la notte andò via la luce.
Al suo ritorno il lettore DVD, entrando in una sorta di
protezione, espellendo il supporto che aveva custodito al
suo interno fino a quel momento. Julia s'incuriosì e vide
che il disco era quello del musical “Mary Poppins”. La
ragazza si intenerì, non appena realizzò che il disco
133
STEFANO ZIZZI
molto probabilmente fu inserito dal padre, il quale non
ebbe più possibilità di estrarlo. Infilò nuovamente il DVD
nella fessura e prese a vedere la commedia musicale.
Al termine della proiezione, durante il volo con l'ombrello,
Julia pigiò sul telecomando e spense il lettore prima
ancora che la commozione potesse raggiungerla.
Le due donne avevano pattuito che ad uno squillo sul
telefonino di Julia quest'ultima sarebbe dovuta scendere.
Lo squillo ancora non era arrivato e, per la prima volta, la
ragazza non sapeva come impiegare il tempo restante. In
memoria dei tempi in cui vedeva le commedie musicali
con i suoi genitori, Julia si recò nella camera dei suoi
genitori e si sedette sul letto matrimoniale. In preda alla
nostalgia ed ai ricordi, aprì un paio di cassetti, finché non
si trovò davanti ai gioielli della madre.
Riconobbe immediatamente l'anello con tre pietre di
corallo, presente sulle sue dita in ogni fotografia, il filo di
perle di Tahiti che Carlos le comprò in un viaggio d'affari
e la finissima collanina d'oro con la medaglietta riportante
la data di nascita: 06-09-1953.
Alla vista del cofanetto contenente la sua fede, la
ragazza scoppiò in un pianto liberatorio e straripante,
urlando a squarcia gola, senza pietà e senza vergogna,
quasi come se fosse tornata bambina. Era seduta sul
letto e aveva le mani davanti alla faccia. Patriciò accorse,
salì prima sul letto e poi sulle gambe, infine le leccò le
dita, facendole sentire la sua presenza. Facendola
sentire meno sola.
In quel momento il cellulare squillò. Julia ebbe giusto il
tempo di sciacquarsi la faccia e di scendere.
- Hai pianto?
134
DORMI CON ME STANOTTE?
- Hai pagato le bollette?
- Sì le ho pagate.
- Sì ho pianto.
- Come mai?
- Colpa di Mary Poppins.
- Non me lo ricordavo così brutto.
- Lo vedevo sempre con papà. L'ho rivisto e mi ha fatto
un effetto strano.
Julia decise di non rivelare ad Aline la scoperta dei gioielli
della madre.
- A proposito di Mary Poppins, c'è una cosa che mi ha
colpita molto.
- Cosa?
- La storia della tracolla nera.
- In che senso?
- Di' la verità, te l'ha regalata qualcuno?
- Si.
- Qualcuno di speciale?
- Molto.
- Beh, allora adesso mi autorizzi a chiederti se sei
fidanzata...
- Sono impegnata.
- Come sarebbe?
- Sarebbe che il mio cuore è impegnato, ma io no.
- E che differenza c'è?
- Non sono unita sentimentalmente alla persona che
amo.
- Ah. Come mai, se posso saperlo?
- Differenze caratteriali.
- Capisco.
135
STEFANO ZIZZI
- Io sono una persona per la quale non esistono vie di
mezzo, o bianco o nero, o zero o cento.
- Quindi la colpa è tua?
- Non solo. In una coppia gli errori e le ragioni sono di
entrambi. Ci amiamo molto, siamo perfetti insieme, ma lui
ha una maturità sentimentale diversa dalla mia.
- E questa cosa ti indispone?
- Mi innervosisce. Tanto. E allora certe volte non lo
tollero, lo presso, gli rispondo male, lo offendo.
- Se può esserti d'aiuto, già il fatto che tu stia
ammettendo un difetto vuol dire che in cuor tuo stai
lavorando per eliminarlo...
- Il fatto è che siamo adulti e non possiamo permetterci di
fare i bambini. Lui è stato spessissimo molto infantile ed
egoista e questa cosa mi ha dato sempre sui nervi.
- Non vedi nessuno spiraglio?
- Non so. Quello che posso dirti è che sono orgogliosa
del fatto che lui abbia cominciato un percorso che lo
porterà a ritrovare sé stesso.
- E a te basta?
- No, ovviamente. Vorrei che ritrovasse sé stesso e che
poi ritornasse da me.
- Succederà?
- Non ne ho idea. Ciò che è certo è che lui ha rimesso in
moto il mio cuore quando sembrava del tutto spento.
- Quando si è spento? Quando hai lasciato tuo padre?
- Sì. E vorrei avere a disposizione tutta la vita per
ringraziarlo, ogni giorno, col mio amore.
- Che tenera che sei. Somigli molto a tuo padre, sai?
- Sì.
136
DORMI CON ME STANOTTE?
NOVE – COME SEI VERAMENTE
28 aprile. 40 giorni
Quel giorno in sala d'aspetto passò come tutti gli altri. Tra
tutti i parenti dei pazienti di terapia intensiva si era creato
un clima familiare e quella stanza color glicine era
diventato un luogo di terapia anche per gli ospiti. Tutti
conoscevano tutti. Tutti parlavano con tutti e la
preoccupazione era la stessa per ognuno di loro, sia che
ci fossero novità per il proprio caro, sia che che gli
aggiornamenti fossero relativi agli altri ammalati.
Subito dopo pranzo, Hernesto convocò le due donne nel
suo ufficio, comunicando loro, con molto tatto, che la
situazione di Carlos era arrivata ad un punto di non
ritorno, pertanto era necessario un intervento che
potesse sopperire all'inefficacia del trattamento
farmacologico. Per le donne fu una doccia fredda.
Avrebbero dovuto decidere, in un lasso di tempo
relativamente breve, se acconsentire ad un intervento in
ogni caso molto più che rischioso oppure sperare in un
miglioramento “naturale” sul quale i medici erano
assolutamente scettici. Julia, colei che burocraticamente
aveva la facoltà di scegliere, decise di prendersi qualche
ora di tempo per riflettere.
Salutarono tutti ed andarono via in silenzio. Una volta
arrivati al pian terreno, automaticamente si condussero
verso la Cappella e guardarono fisso il Crocifisso.
Andarono a casa di Carlos e si fecero un caffè. Fu
davvero molto strano come nessuna di loro ebbe la
capacità di proferire parola: Julia era seduta sul divano
con Patricio in braccio, Aline era in piedi davanti alla
finestra da dove si vedeva mezza Barcellona, ospedale
137
STEFANO ZIZZI
compreso.
Lo squillo del telefono di casa Pejo, destò le donne dal
torpore pensieroso da cui erano state avvolte. Seguirono
numerosi squilli, prima di riuscire ad avere il coraggio di
rispondere. Erano quasi certe che la telefonata arrivasse
dall'ospedale.
- Pronto?
- Signora Pejo, finalmente!
- Ciao, Fran, scusami, ero dall'altra parte della casa;
dimmi pure.
- Come sta il signor Carlos?
- La situazione è stabile. Speriamo migliori. Avevi bisogno
di qualcosa?
- Avrei bisogno di alcuni files custoditi nel computer del
signor Pejo, sarebbe possibile mandarmeli via mail?
- Non ho mai mandato una mail, ma mi farò aiutare da
Julia.
- Bene. Da qualche parte nella memoria, c'è una cartella
denominata “ets 2002”; ne avrei bisogno con una certa
urgenza.
- Che io sappia, il computer di Carlos ha una password...
- Sì lo so, ed io sono l'unica a conoscerla, per motivi di
sicurezza. Viste le circostanze gliela comunico:
“Turbine19”.
- Perfetto, ti manderò il tutto immediatamente.
- Grazie signora, buona giornata. La abbraccio.
- Buon lavoro, Fran
Avviarono il computer e spedirono la cartella all'ufficio di
Fran. Aline restò a curiosare tra i documenti di Carlos,
finchè un suo urlo non attirò le attenzioni di Julia, che nel
138
DORMI CON ME STANOTTE?
frattempo aveva ripreso a pulire i bagni. Quando la
ragazza raggiunse Aline davanti allo schermo del
computer si trovò di fronte ad uno scenario impensabile.
In una cartella nascosta e titolata con una sequenza di
numeri, c'erano un mucchio di foto di donne nude e di
scene sessuali esplicite. Materiale pornografico
imbarazzante, che fece sprofondare Aline in un pianto
straziante e la ragazza in uno stato di semi choc: effetti
della crisi di mezza età del maschio!
Sorprendentemente, quel ritrovamento fu, per le donne,
oggetto di accurata analisi introspettiva.
- Vuoi bene a mio padre, vero?
- Io AMO tuo padre. Da prima ancora che si presentasse
a me, per anni l'ho guardato da lontano. Lo amo più di
quanto abbia amato nella mia vita.
- E che ne pensi di queste immagini?
- Non so che rispondere, davvero.
- Posso farti una domanda indiscreta?
- Stiamo parlando di tuo padre, Julia; puoi chiedermi quel
che vuoi.
- Tu e mio padre facevate sesso?
- Io e tuo padre abbiamo fatto l'amore. Sempre amore.
Compresa quella volta in cui venne a casa mia.
- Solo una volta?
- Sì. Salì a casa mia una sola volta. Se è per questo non
abbiamo mai fatto il bagno a mare insieme, non abbiamo
mai passeggiato mano nella mano in pubblico, non
abbiamo mai ammesso pubblicamente di stare insieme
se non davanti a pochi amici; non siamo stati mai più di
tre mesi senza litigare, non abbiamo mai dormito
insieme... Però l'amavo tanto e lo amo ancora e con
139
STEFANO ZIZZI
alternata pazienza attendevo che questa situazione si
sbloccasse insieme a lui ed alle sue paure. Spesso
avevo fretta ed inveivo contro di lui ma, in verità, puntavo
a passare il resto della mia vita insieme a tuo padre e
sapevo che prima o poi la nostra storia sarebbe
sbocciata.
- E' bello. E' bello che tu dica “amore” e non “sesso”.
- Perché per me è sempre stato amore. Ed anche per lui.
Con una complicità pazzesca, un'unione di corpi che non
era per nulla spiegabile, un'affinità che mi faceva
commuovere. Non mi sono mai concessa ad un uomo in
quel modo, mai nessun uomo è riuscito a sconcertarmi
come tuo padre.
- Davvero?
- Impazzivo per i suoi baci sul collo. Tuo padre mi vedeva
meravigliosa. Ogni volta che facevamo l'amore mi
guardava con un'aria che sembrava pensare “sei così
bella che se ti tocco ho paura di sciuparti”.
- Ma perché, allora, avete tutti questi problemi?
- Perché tuo padre si trascina un fardello di pensieri che,
per quanto giusti, non lo mettono in condizione di vivere
serenamente.
- Ti riferisci a me?
- A te, a tua madre. Io ho sempre rispettato la condizione
di tuo padre, così come non ho mai pensato di voler
scavalcare la figura della donna che ti ha generata; però
cercavo di spiegargli in ogni maniera, che la vita
continuava nonostante l'assenza di sua moglie, che
avrebbe dovuto riprendersi la sua vita per avere il
coraggio di staccare quel numero dalla bacheca e
chiamarti.
- Secondo te, lui cosa avrebbe deciso di fare? Si sarebbe
140
DORMI CON ME STANOTTE?
operato?
- Secondo me sì. Le avrebbe provate tutte. Mai e poi mai
avrebbe voluto staccarsi da te.
- E da te.
- Non so, non so dirlo. Quel che è certo che ogni giorno
aspettava che tu tornassi.
- E perchè non mi ha mai chiamata?
- Perchè tu gli hai messo un muro davanti. Lo hai reso
impotente. Non c'è cosa peggiore che chiudere la porta
in faccia ad una persona che ti ama, sopratutto senza
motivarlo.
- Sono stata una stupida.
- Non pensarci; ora sei qui. Tuo padre si sveglierà e
troverà la tua mano da stringere e da cui attingere la
forza per tornare la persona meravigliosa che è sempre
stata.
- Domattina firmerò i documenti per l'intervento. Tu sei
d'accordo?
- Quel che scegli tu va bene. Io voglio che tu e tuo padre
stiate bene.
141
STEFANO ZIZZI
DIECI – LE TUE MANI
1 maggio. L'intervento.
L'operazione era prevista per le ore 16. Hernesto si era
raccomandato con Julia, perché la ragazza trovasse le
cartelle cliniche precedenti a questo ricovero, qualsiasi
ricetta medica o documento sanitario che fosse sfuggito
al suo archivio di medico personale. Un intervento così
delicato andava preparato al meglio anche dal punto di
vista burocratico. In più c'era bisogno di avere tutti i
documenti personali, passaporto compreso.
Le normative fiscali circa questo genere di situazioni
erano così rigide che urtavano contro l'estrema
debolezza di chi doveva prendersene cura. In una
giornata così importante, le due donne passarono mezza
mattinata a perquisire ogni angolo dell'appartamento alla
ricerca di documenti, con la speranza che almeno
potessero servire successivamente all'operazione.
Nel secondo cassetto dell'armadio in ferro dello studio di
suo padre, Julia trovò una busta gialla contenente una
lettera. Sulla busta c'era scritto: “Abbiamo fatto le cose
col cuore”.
“Mia dolce Aline, ho paura. Ho paura di lavorare senza
essere considerato “distante”; ho paura di non essere a
disposizione quando non hai nulla da fare; ho paura di
dover litigare per forza quando vuoi litigare; ho paura di
non accudirti mai come meriti e come vorresti; ho paura
di non poter essere più innamorato di nessun altro; ho
paura di non essere più amato; ho paura di non poter più
fare l’amore; ho paura di dover accontentarmi del sesso;
ho paura di non trovare nessun’altra come te; ho paura
142
DORMI CON ME STANOTTE?
che non esiste nessun’altra come te; ho paura che i miei
posti preferiti diventino incubi; ho paura di non vederti
più; ho paura che le nostre telefonate diventino sempre
più rare; ho paura di diventare il primo che muore per
amore; ho paura di perderti; ho paura di perdermi; ho
paura di lasciarMi solo; ho paura delle crisi di astinenza
dai tuoi occhi neri e grandi; ho paura di non poter
realizzare il mio sogno, che è quello di camminare mano
nella mano con te; ho paura di farti soffrire; ho paura di
non essere quello giusto; ho paura di non essere l'ultimo;
ho paura che stare senza di te sia peggio che restare da
soli; ho paura del niente, quando non ci sei; ho paura di
non poterti avere più; ho paura di non poterti avere mai;
ho paura di non averti mai avuto; ho paura che le mie
paure ti allontanino. Forse non avrei dovuto scoprirmi fino
a questo punto, ma io NON HO PAURA di mostrarmi per
quello che sono, perché malgrado io sia pieno di paure,
tu vieni sopra ogni cosa.
Sposami. Carlos.”
Finalmente, dopo tante lacrime, Julia fu colorata da un
sorriso meraviglioso. Richiuse il foglio e lo infilò di nuovo
nella sua busta. Prese la lettera e la appoggiò sul
tavolino in cristallo posto ai piedi del divano nello studio
del padre. Poi raggiunse Aline in cucina.
- Cavolo!
- Che è successo?
- Ho visto dappertutto ma non sul tavolino del divano. Ti
dispiace andare a controllare tu mentre io riordino queste
scartoffie?
- Certo.
143
STEFANO ZIZZI
Aline si diresse verso lo studio. Dopo alcuni minuti di
attesa, Julia realizzò che la donna aveva trovato la busta
e che era intenta a leggerla, così la raggiunse senza farsi
vedere. Quando Aline ebbe finito di leggere, richiuse il
foglio e si girò, trovandosi di fronte alla ragazza.
Entrambe fecero due passi avanti e si unirono in un
abbraccio forte intenso ma anche pieno di significato
perché quasi sicuramente i passi compiuti erano ben più
di due.
Quella lettera, che con tutta probabilità Carlos avrebbe
consegnato ad Aline qualche giorno più tardi, se solo ne
avesse avuto la possibilità, aumentò nella donna la
speranza di poter riabbracciare il suo amato. Alla stessa
maniera si compiacque della maturazione di Julia, che
soltanto un mese prima si presentò con un atteggiamento
diffidente e scostante.
La ragazza, a sua volta, sprofondò in una malinconia
dovuta al rammarico di aver gestito nel peggiore dei modi
quattro anni della sua vita, ma anche alla paura di non
avere la possibilità di rimettere ogni cosa a suo posto.
Con una fretta che sembrava più preoccupazione, le due
donne saltarono il pranzo per stare in ospedale già due
ore prima dell'operazione. Arrivate nella solita sala
d'attesa, Julia fece uno squillo al telefono personale di
Hernesto, il quale dopo qualche istante sbucò da dietro la
vetrata affumicata. Consegnarono tutti i documenti al
medico.
- Questo è tutto quel che abbiamo trovato.
- Perfetto. Ora dovete stare solo tranquille.
- Chi farà l'intervento?
144
DORMI CON ME STANOTTE?
- Il Professor Arranz.
- Ah, non operi tu?
- No, Julia. Se ne occuperà il professore, ma stai
tranquilla. E' un luminare.
- E perchè non venuto a parlarci lui in persona?
- Perchè tu hai chiamato me. Stai tranquilla, piccola.
State tranquille. Tutto andrà per il meglio.
Aline, più razionalmente, chiese: - Ma che genere di
intervento è?
- Speravamo che le cure riuscissero a far rientrare
l'edema creato dalla lesione al cervello. Questo non è
accaduto, per cui dobbiamo incidere e svuotare la parte
del cervello colpita, dai liquidi accumulati. Una volta
riassorbito l'edema, cercheremo di far riprendere le
cellule cerebrali che ancora possono essere in grado di
assolvere a funzioni vitali.
- Detto così sembra una stupidaggine.
- Ma non lo è, signora. Non lo è. E' un intervento molto
delicato, molto lungo ma che potrebbe riconsegnarci un
Carlos ancora più vivo e combattivo di prima.
Hernesto pregò un'infermiera di accompagnare le due
donne in un'altra camerone, ad un altro piano, quello
sotterraneo in cui erano attrezzate le sale operatorie.
Stessi muri color glicine, stesse sedie in plastica. Non era
cambiato nulla, se non che dall'altra parte della porta,
questa volta c'era solo Carlos. E da questa parte solo
loro.
Nessuno a cui chiedere come andasse, nessuno con cui
esultare per i risultati raggiunti dal loro parente;
nemmeno nessuno, però, da consolare dopo la notizia
più brutta che una moglie, un fratello o un figlio possano
145
STEFANO ZIZZI
avere.
Julia ed Aline avvertivano in maniera ancora più forte la
loro impotenza davanti a ciò che stava per accadere. La
partita era in mano ad una èquipe di medici professionisti
ed alla caparbietà di Carlos.
C'è chi aggiungerebbe che l'arbitro di questo tipo di
incontri è Dio.
Si perde ogni dignità su quei letti. Si resta nudi, coperti
con un leggero telo di carta. Persone mai viste prima ti
depilano, persone estranee ti guardano nel cuore o nel
cervello come nemmeno tu hai fatto fino a quel momento.
Per la prima volta ti trovi di fronte a gente con cui non
puoi barare, perché mentire come si fa con una moglie o
un genitore, è un atto di imprudenza nei confronti di se
stessi.
E
comunque
si
verrebbe
scoperti
immediatamente.
Ognuno di noi ha una persona a cui non mentirà mai. E
non mi riferisco alle bugie “bianche” che servono per
mandare avanti la propria vita senza incepparla con
polemiche sterili e neppure a omissioni che magari
possono essere determinanti ma che ogni tanto si
utilizzano perché non sono catalogabili come bugie; mi
riferisco allo scoprirsi interamente, allo specchiarsi di
fronte ad un'altra persona, quella che sarà custode dei
più grandi segreti, quella a cui si ammetteranno con
candore le proprie maggiori debolezze.
Quasi mai questa persona corrisponde alla moglie o al
marito. Certamente non è mai il proprio padre o la propria
madre. Di solito è una persona che, semplicemente, è
entrata nella nostra vita in un momento particolare, sia
esso breve o lungo, per un anno o per tutta la vita.
Per Carlos era questione di ore. Nel vero senso della
146
DORMI CON ME STANOTTE?
parola. Per lui, quei medici avrebbero potuto
rappresentare gli ultimi esseri umani con cui stare a
stretto contatto, oppure semplicemente un gruppo di
sconosciuti ai quali aveva consegnato il suo destino. In
ogni caso, sarebbero stati indimenticabili.
Da qualche minuto era cominciata la sfida con il destino.
Una lotta impari, una partita sulla quale nessuno di noi si
sentirebbe pronto a scommettere.
Ma queste sono sfide che devi cogliere al tempo giusto,
anche se il tempo non lo scegli tu; sono treni che, se
passano, passano una sola volta e molto di corsa, e devi
avere anche la fortuna di non trovarti una piccola
cittadina nella cui stazione il treno magari passa pure ma
non effettua fermata.
Allontanarsi dai binari...
147
STEFANO ZIZZI
UNDICI – AFFINITÀ ELETTIVE
18 maggio. Sessanta giorni.
I fabbisogni primari dell'uomo sono sempre stati nutrirsi,
coprirsi, ripararsi. Poi, l'evoluzione dellla società ha fatto
sì che si modificassero per diventare un lavoro, una
casa, una macchina ed una famiglia tranquilla. Io, in
quanto numero di questa società, sono costretto a
credere a questi dogmi, ma ritengo che ai piedi di queste
rocce salde ci siano anche dei sassolini che non vadano
per niente trascurati: piccoli piaceri della vita, le
sfumature della mia personalità, che hanno fatto di me
l'uomo in cui credo così tanto da non aver nessun
problema a riconoscere anche gli errori, i passi indietro.
Dal mio personale punto di vista, ciò che ci è accaduto è
più grande di quanto tu possa pensare; si trascina dietro
un circo di colori, suoni, immagini e sapori che tu non
avverti, ma io sì e non credo di essermi sbagliato o,
almeno, non mi sono allontanato moltissimo dalla verità.
La mia, ovviamente.
Sai bene che io mi mostro agli altri per quello che non
sono, per poi rivelarmi sinceramente solo a chi ottiene la
mia fiducia e questa "maschera" ha anche il suo lato
bianco, vuoto ma che mi sento attaccato alla pelle: il più
mio. Il "rovescio della maschera" sta nel essere additato
come uno che crede alle favole, che vuol nutrirsi con
l'aria, che con i sentimenti e gli idealì non sarà mai in
grado di fare la spesa. E' verissmo, mica no. Io però mi
accontento di poco, nelle cose materiali sono molto
spartano, ma ho delle convinzioni e dei principi, che
rispetto per il sol fatto che sono miei. E' chiaro che
spesso mi viene il dubbio che in realtà io non sia mai
148
DORMI CON ME STANOTTE?
cresciuto, poi mi guardo alle spalle e tutto ciò che di
brutto ho dovuto passare mi fa rinsavire. Sono adulto, io.
Eccome.
Poi dipende anche dalle persone con cui accadono gli
avvenimenti.
Eccolo qui, il leader. Guardatemi pure e ridete di me.
Non che la cosa non mi faccia incazzare, chiariamoci,
ma la verità è che non posso farci niente, non posso
reagire e dunque finché potete, spassatevela.
Non avete idea di che razza di umiliazione sia, essere
sdraiati su questa lettiga che puzza di pronto soccorso,
con la pancia in giù ed il culo scoperto, alla mercé di tutti
i medici, i paramedici, pazienti e visitatori che transitano
da questo corridoio. Un caldo bestiale e nonostante ciò
vorrei tanto coprirmi il sedere. Vago per uno stato
d'animo a metà tra la rassegnazione e la paura di non
poter essere vigile come vorrei. Attendo da oltre venti
minuti che arrivi l'infermiera, sperando che non sia
l'ennesima tirocinante che deve fare esperienza con il
mio didietro. Ma non esistono dei culi in silicone?
Possibile che la scienza e la tecnologia medica non
abbiano trovato il modo di evitare che si faccia
esperienza con il sedere degli altri? E' facile fare il
tirocinante col culo degli altri!
A somministrarmi la prima iniezione fu un uomo e
successivamente pregai che fosse stabilmente sostituto
da una donna, così che si potesse dimezzare il sensibile
imbarazzo che si prova in questi casi. Le mie preghiere
furono esaudite, ma l'imbarazzo aumentò.
Intanto, una donna è una donna. Il culo che conta è il
suo, non il mio. Quello di un uomo lo si mostra solo
quando si va a letto e nell'impeto della passione qualsiasi
149
STEFANO ZIZZI
sedere maschile va bene ed è accettabile. Boh, io la
penso così. Forse per via delle pubblicità, delle modelle,
delle riviste patinate e della televisione, il cui squallido
mercato ha imposto questa mentalità. Forse anche
perché non sono una donna, dunque ignoro che anche
l'universo femminile è attratto dal nostro sedere; chissà
poi perché. Comunque parlavamo di punture.
La prima infermiera che si è prestata a questo dovere
ippocratico era alta più o meno un metro e sessanta, con
un corpicino gracile ma con tutte le forme giuste ed al
loro posto, anche troppo considerando che si notavano
da sotto al camice bianco da infermiera provetta.
Carnagione scura, capelli neri, lisci e corti, labbra
carnose ed occhi profondi: un bel tipo davvero. Peccato
che prese la rincorsa dal corridoio per entrare in fretta e
piantarmi la siringa in un posto a caso nella chiappa, con
la violenza di un macellaio quando separa le cosce di
tacchino dal petto e dalle anche, mentre guarda eccitato
il calendario di Natalia Estrada del 2000.
Un dolore inquietante che mi è rimasto vivo fino al giorno
dopo, quando notai con piacere che a iniettarmi
l'intramuscolare non era più la piccola stronzetta.
Onestamente, all'apparenza, al cambio pensavo di
rimetterci... le chiappe, perché al mio capezzale (è
proprio il caso di dirlo) si presentò un donnone alto più o
meno due metri, con le braccia equipaggiate con muscoli
degni di un idraulico cubano ed un velatissimo pizzetto
che non le stava nemmeno male, a dir la verità.
Arrivò scandendo i passi con la delicatezza di chi calza
un quarantasei pianta larga. Potrebbe sembrare un
fattore controproducente ma non lo è, considerando che
in questo modo è possibile intercettare l'incedere
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DORMI CON ME STANOTTE?
pesante alcuni minuti prima dell'effettivo ingresso del
paramedico in sala. Questa sfumatura, per chi deve farsi
fare un'iniezione, è utile per avere il tempo di prepararsi
a dovere. Quando l'infermiera entrò in stanza, oscurando
pesantemente l'ambiente, pensai anche io che a volte
pregare potrebbe risultare vantaggioso. Smentendo ogni
previsione la figura mitologica con corpo di armadio e
testa di infermiere mi applicò il farmaco intramuscolare
con un garbo ed una delicatezza sulla quale non avevo
nessun tipo di fiducia.
Ecco: non è che ci tenga particolarmente, ma se in futuro
dovessi avere ancora bisogno di iniezioni, vorrei poter
spaventarmi con la visione dell'infermiera, piuttosto che
con le modalità con cui applica l'iniezione.
Quando verrà il tempo, sarà meglio non raccontare
quest'episodio ad Aline. Le donne ascoltano solo quello
che vogliono e poi incollano i pezzi del discorso a loro
piacimento. E non mi farò mai vedere nemmeno una
volta mentre piango. Le donne non amano quelli che
piangono, piuttosto adorano quelli che non si
commuovono nemmeno quando piangono loro. Sarò
forte e sarò delicato. Chissà quando potrò parlarle. Prima
parlavamo di tutto per ore ed ore; adesso non possiamo
farlo più.
Chissà se la gente sogna, quando è in coma. Chissà se
ci ascolta, se ragiona, se è in grado mentalmente di poter
rispondere alle domande che stupidamente noi
sottoponiamo, presi dallo sconforto di avere davanti un
corpo inerme. Chissà se è vero che si svegliano con la
musica. La scienza non è mai chiara su questi argomenti.
Forse perché non può. Forse perché davvero ci sono
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STEFANO ZIZZI
reazioni e relazioni che partono da un uomo ma si
rivolgono “altrove”. Ci sono state e ci sono tuttora, a
volte, controversie e cause legali sulla decisione se
tenere in vita persone da lungo tempo in coma con
l'ausilio di macchine per il supporto vitale, praticando
l'accanimento terapeutico o se staccarle da tali ausili e
praticare ad esse, nei fatti, una forma di eutanasia, stante
la difficoltà di previsione di un risveglio anche solo
parziale.
L'amore non ha l'interruttore.
E' un po' come quando qualcuno è oggetto di una rapina.
I commenti, successivamente, sono molti e diversi. Quasi
sempre, salta fuori un tizio che dice: “Se ci fossi stato io
avrei dato un calcio alla pistola e poi gli avrei rotto la
testa con il primo oggetto pesante che mi capitava per le
mani”.
Certo! Come no!?
La verità è che ci sono situazioni che non puoi giudicare
se non le hai vissute in prima persona. Come potrebbe,
ciascuno di noi, prendersi la responsabilità di giudicare
una donna che pratica l'aborto? Non siamo noi a portare
in grembo un feto; non siamo stati noi ad essere stuprati,
non siamo noi a dover crescere un bambino, quando non
siamo in grado di educare noi stessi.
Non era cambiato nulla. Ancora in ospedale, ancora in
coma.
Anzi, per Julia ed Aline, dopo l'intervento si era aggiunta
una difficoltà: quella di poter vedere il proprio caro. Ogni
giorno, a turno, una tra loro due poteva vedere Carlos da
dietro un vetro per cinque minuti al massimo. Restavano
più tempo nell'anticamera per indossare la cuffia la tua e
le ciabatte monouso, che non nel corridoio previsto di
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DORMI CON ME STANOTTE?
vetrata.
Una gratificazione in più ma pagata a caro prezzo. Un
passo avanti e due indietro.
Le stesse medesime ansie.
Un giorno, guardando il padre, a Julia venne in mente
quell'unica sera in cui andò a vedere un'opera teatrale.
Era la “Casa di Bernarda Alba” in cui il personaggio
principale, "Pepe il romano", pur essendo il perno attorno
cui girava la vicenda non doveva essere un personaggio
ma solo una citazione che non entrava mai in scena...
153
STEFANO ZIZZI
DODICI - PRENDIMI
19 maggio. Sessantunesimo giorno.
Cominciò un altro giorno uguale agli altri. Quella mattina
toccò ad Aline avere la forza di stare cinque minuti
davanti ad un corpo che ormai non assomigliava più a
quello dell'uomo che amava. La situazione si stava
avvolgendo su sé stessa e stava diventando sempre più
straziante. Tornarono a casa per pranzare ed il
pomeriggio, approfittando del fatto che fosse domenica,
Julia decise di andare al cimitero di Sant Gervasi a
trovare sua madre. Aline si offrì immediatamente di
prestarle la macchina, per due ragioni: per sostenere il
desiderio di Julia prima che per un motivo qualsiasi
potesse cambiare idea, e per non sentirsi in dovere di
accompagnarla, giacchè non lo riteneva opportuno.
Quando la ragazza arrivò davanti alla lapide della madre,
fu attratta da una busta di plastica appoggiata tra la
lampada votiva ed il marmo. Questa busta conteneva le
lettere che Carlos scriveva alla defunta moglie ogni volta
che andava a trovarla. Contò circa una trentina di lettere,
ma sopratutto notò che su ogni busta c'era scritto “con
amore”. Rimise tutto a posto. Guardò negli occhi la foto
di sua madre e andò via immediatamente, con lo stato
d'animo rabbioso di chi aveva paura che a quelle lettere
potessero non seguirne più.
- Sei già tornata?
- Sì.
- Tutto bene?
- Posso farti una domanda?
- Di' pure...
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DORMI CON ME STANOTTE?
- Secondo te, cos'è l'amore?
Aline, che non si aspettava una domanda del genere,
aspettò qualche istante e poi le raccontò un aneddoto.
- Quando avevo 28 anni, ero fidanzata con un ragazzo, il
quale stava studiando per conseguire la laurea. La storia,
per vari motivi, si esaurì, così ci lasciammo. Lui stette
così male che decise di sospendere gli studi per
cominciare a lavorare. Inoltre, dopo un paio di anni, mise
incinta una ragazza e dovette sposarla. Il matrimonio,
comunque, fu molto felice, tanto che anni dopo ebbero
altri due figli. Lui, che non aveva mai smesso di
desiderare la laurea, a quarant'anni finalmente coronò il
sogno della sua vita laureandosi col massimo dei voti.
Organizzarono un pranzo con tutti gli amici, i parenti ed i
colleghi sia del lavoro che dell'università. Stava vivendo
uno dei giorni più belli della sua vita. Ma a metà dei
festeggiamenti, scomparve. Prese la macchina e venne a
citofonarmi. Io non lo sentivo da anni, ma quella voce la
riconobbi subito.
Salì e mi raccontò tutto, dal matrimonio fino alla mattinata
appena trascorsa davanti alla commissione. Mi disse che
aveva promesso a sé stesso che sarebbe venuto
immediatamente a riferirmi la notizia, perché non mi
aveva mai dimenticato, perché un pezzetto della laurea
era anche mio e perché voleva dimostrarmi, finalmente,
di essere diventato uomo. Quello fu un gesto d'amore.
Julia abbozzò un sorriso, dimostrando di aver compreso
la metafora.
- Purtroppo, nella mia vita – proseguì Aline – mi è
capitato di dover partecipare ad alcuni funerali. In un paio
di queste funzioni, un parente prossimo al defunto salì
sull'Altare per leggere una lettera dedicata al proprio
155
STEFANO ZIZZI
caro. Io non sono mai stata d'accordo su questo genere
di iniziative, perché ritengo sia un modo di comportarsi
egocentrico e fuori luogo. Se è vero che chi abbandona
la vita terrena non ci lascia da soli, bensì ci segue da
“lassù”, vuol dire che non serve porsi davanti ad una
platea per parlare al proprio defunto. Piuttosto, preferirei
appartarmi in un angolo e “parlare” con lui in privato.
Perchè l'amore, quello vero, è un sentimento privato.
- Tu credi che papà ce la farà?
- Non lo so, Julia, non lo so.
- E se mi lascia sola?
- Non resterai da sola.
- E se dovesse lasciarti da sola?
- Non succederà. Io non scorderò mai tuo padre.
Il viso di Aline cominciò ad arrossarsi. Prima di
cominciare a piangere, smantellando ogni briciola di
tranquillità che aveva cercato di infondere alla ragazza,
infilò la giacca e prese le chiavi della macchina che erano
appoggiate sulla consolle dell'ingresso.
- Non andare via.
- Come?
- Resta qui.
- Di che hai bisogno?
- Di un ultimo favore.
- Dimmi.
- Dormi con me stanotte?
Ci sono storie che finiscono dopo dieci anni, matrimoni
che si interrompono dopo vent'anni e tre figli, amicizie
che si esauriscono per un inganno innocente.
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DORMI CON ME STANOTTE?
Spesso si ricomincia, ma le storie non ricominciano mai
interamente daccapo. Bisogna esser bravi a distinguerle
cose urgenti da quelle importanti.
Ognuna delle persone che hanno fatto parte della nostra
vita, già solo per questo motivo meritano riconoscenza.
Essere capaci di riconoscere i valori con cui l'altro ha
arricchito la nostra vita e la nostra persona è la più
grande delle qualità che un uomo possa avere. A me
piacerebbe far conoscere ai miei figli tutte le persone che
mi hanno reso migliore. Servirà del tempo, forse, servirà
maggiore maturazione, più coscienza dei propri limiti; a
volte si potrebbe non averne più, di tempo, ma in tutte le
cose c'è un conto da pagare.
Quando scriviamo una frase, una lettera, una storia
dedicandola alla persona che amiamo, scriviamo sempre
“con amore”. In realtà noi scriviamo alla persona che
amiamo in virtù dell'amore che proviamo per lei, dunque
è più corretto scrivere “per amore”.
Spesso si scrive dopo che l'amore finisce, per cercare di
riparare al grave errore di aver dato per scontata la
quotidianità del rapporto, oppure perché si smette di
sorprendere il partner e si sa che la consuetudine
sminuisce l'ammirazione. Così ci si imbarca in gesti
estremi, dettati dalla paura e dalla confusione, come
quelli di scappare via o ergere un muro inutile oppure in
atti amorevoli come perdonare
qualsiasi cattiveria
oppure scrivere un libro, che è il più grosso gesto “per
amore” che uno scrittore possa compiere, nonché
l'ultimo.
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STEFANO ZIZZI
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SIPARIO
Una piazza enorme, grande più del mar Caspio, che poi è
un lago. Ecco: considera il mar Caspio completamente
pavimentato in marmo bianco; qua e là un bel mosaico in
grigio perla chiarissimo, quasi tono su tono. Migliaia di
tavolini in pietra e milioni di panchine in ferro battuto bianco.
Attenzione: non di ferro battuto verniciato di bianco, ma di
ferro battuto che esce di color biancastro da una speciale
fonderia. A cingere questo gigantesco piazzale, enormi
edifici dipinti a calce, con maestosi archi che conducono
all'interno dei palazzoni. Passeggiano per questa piazza,
uomini con completo di lino, borsalino di feltro bianco e
bastone in madreperla. Scarpe col tacco nere ma coperte
con bianche uose, le ghette basse che coprono dalla
caviglia in giù. Le donne indossano un elegantissimo tailleur
in seta di taffetà, anch'esso bianco o in alcuni casi rosa
chiaro, pallido, quasi bianco. Capelli raccolti in una retina
del colore dei capelli. Quando ti troverai a calcare i lastroni
di questo splendido posto, resterai a bocca aperta di fronte
a Cristoforo Colombo e Napoleone Bonaparte che giocano
a scacchi, Leonardo e Michelangelo che commentano
negativamente tutto il candore discutendo animatamente
sul colore della vernice con cui ridipingerebbero tutto,
Gutemberg e Marconi che consultano la posta elettronica,
Shakespeare e Pirandello che si raccontano barzellette,
Neruda e Manzoni che declamano, passeggiando, i loro
best sellers, Chopin al piano e Pavarotti che intona la
Tosca, Einstein e Galilei indaffarati con la calcolatrice,
madre Teresa e Hitler che discutono amabilmente, Fellini
che fa la corte a Audrey Hepburn, o magari Freddie Mercury
ed Elvis Presley che cantano “Tutti frutti”; Dorian Gray e
Robin Hood che non solo sono esistiti davvero, ma che ora
si amano alla follia come fossero degli adolescenti. Carlos
che se lo aspettava diverso, il Paradiso, mentre Helèna,
finalmente, lo riabbraccia.
Ogni fine è un inizio. Bisogna solo aspettare.
(Stefano Zizzi)
INDICE
PRELUDIO
PRIMA PARTE: IL MAPPAMONDO
• UNO – PENSIERI NASCOSTI
• DUE – NOTTE AD HARLEM
• TRE – FACOLTÀ DI FILOSOFIA
• QUATTRO – TI SCRIVO
• CINQUE – L'OROLOGIO DEGLI DEI
• SEI – PAROLE
• SETTE – IL BACIO
• OTTO – SOGNO DI BACH
• NOVE – IL VENTO
• DIECI – PORTAMI VIA
• UNDICI – LA NOTTE PRIMA
• DODICI – ROOM 108
9
16
23
29
36
43
50
56
63
69
75
81
INTERVALLO
SECONDA PARTE: LA CLESSIDRA
• UNO - SOSPESO NEL TEMPO
• DUE – INCONTRO
• TRE – LE SOLE NOTIZIE CHE HO
• QUATTRO – OSSESSIONE
• CINQUE – ANELLI
• SEI – CARTA E PENNA
• SETTE - L'APE E IL FIORE
• OTTO – FILO DI PERLE
• NOVE – COME SEI VERAMENTE
• DIECI – LE TUE MANI
• UNDICI – AFFINITÀ ELETTIVE
• DODICI – PRENDIMI
SIPARIO
93
99
104
110
116
121
127
132
137
142
148
154
L'AUTORE
Non ho conseguito la maturità; ciò nonostante, vivo ogni
giorno da oltre dodicimila giorni. Se fossi umile, leggerei,
ma sono presuntuoso, dunque scrivo. Ligio ad un dovere
che non so più neppure quale sia, il metodo narrativo che
adotto per le mie “opere” è molto semplice: vado sul
lungomare di Taranto e scrivo finché regge la batteria del
portatile.
Dopodiché lo ricarico ed il giorno dopo ricomincio.
Poi, ad un certo punto, da solo, arriva il momento di
smettere per un po', per poi riprendere.
Insomma: forse non sarò un buon partito ma a me basta.
A te?
I titoli dei capitoli, sono
anche titoli di alcune
composizioni del pianista
Giovanni Allevi.
Avreste dovuto leggere il
romanzo ascoltandolo in
sottofondo. Ma ormai...
OGNI RIFERIMENTO A PERSONE
O FATTI REALMENTE ACCADUTI
È PURAMENTE VOLUTO
PRIMA EDIZIONE - LUGLIO 2012
EDIZIONE PER IL WEB – DICEMBRE 2012