Martedì 10 marzo 2015 ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Stagione 2014-2015 Concerto n. 13 Reto Bieri clarinetto Nicolas Altstaedt violoncello Herbert Schuch pianoforte Schumann - Sei Studi in forma canonica op. 56 (arr. di T. Kirchner) Beethoven - Trio in si bemolle maggiore op. 11 Widmann - “Nachtstück” per clarinetto, violoncello e pianoforte Brahms - Trio in la minore op. 114 Di turno Maria Majno Carlo Sini Consulente Artistico Paolo Arcà Robert Schumann (Zwickau 1810 - Endenich, Bonn 1856) Sei Studi in forma canonica op. 56 (versione per trio di T. Kirchner) (ca. 18’) 1. Nicht zu schnell 2. Mit innigem Ausdruck 3. Andantino 4. Innig 5. Nicht zu schnell 6. Adagio Anno di composizione: 1845 Anno di pubblicazione: Lipsia, 1845 Subito dopo il trasferimento da Lipsia a Dresda con la famiglia, nel 1845, Schumann cominciò a studiare in maniera sistematica la musica di Bach. Sistematica potrebbe sembrare un eufemismo, sarebbe più esatto forse dire compulsiva, secondo l’indole un po’ caratteriale dell’autore. La venerazione per Bach e l’ansia di carpire i segreti del linguaggio contrappuntistico indussero Schumann a studiare ogni giorno una fuga o un lavoro analogo con la moglie Clara, alla quale illustrava ogni dettaglio con l’acume e la passione che contraddistinguono anche per il lettore odierno le sue appassionate critiche musicali. La produzione di questo periodo risente in misura diversa gli influssi della musica barocca. Uno dei lavori in cui emerge con maggior evidenza lo studio del contrappunto sono i Sei pezzi in forma canonica op. 56, scritti in origine per il cosiddetto Pedalflügel, un tipo di pianoforte provvisto di una pedaliera analoga a quella dell’organo. Schumann si era fatto costruire un Pedalflügel verticale con una pedaliera di 29 note ed era entusiasta del risultato, tanto da convincere Mendelssohn ad aprire una cattedra per questo strumento al Conservatorio di Lipsia. Su un normale pianoforte a coda da concerto, i Pezzi devono essere eseguiti invece a quattro mani da due pianisti. La loro caratteristica principale, come avverte il titolo, consiste nell’esplorare le varie possibilità espressive della scrittura canonica. Il canone, che è la forma di contrappunto più semplice, aveva incantato anche i musicisti del periodo classico come Mozart e Beethoven, ma per un autore romantico come Schumann esso diventa anche un elemento di riflessione sul tempo, in maniera analoga alle rovine dei quadri di Friedrich e di Ruskin. Nel 1888 Fürchtegott Theodor Kirchner, un musicista della cerchia di Schumann, preparò una versione per Trio dei Sei pezzi, con lo scopo di rendere più chiara la trama della scrittura attraverso la trascrizione delle voci per strumenti diversi. Ludwig van Beethoven (Bonn 1770 - Vienna 1827) Trio in si bemolle maggiore op. 11 (ca. 21’) I. Allegro con brio II. Adagio III. Tema: Pria ch’io l’impegno. Allegretto Var. I-IX Anno di composizione: 1798 Anno di pubblicazione: Vienna, 1798 Il Trio in si bemolle maggiore op. 11, scritto in origine per clarinetto ma eseguito più spesso nella versione con violino, appartiene a quel ristretto gruppo di lavori pensati per dare lustro al nome dell’autore in società. Dedicato alla contessa Wilhelmine von Thun, suocera del principale mecenate di Beethoven a Vienna nell’ultimo scorcio del Settecento, il principe Karl Lichnowsky, il Trio poggia soprattutto sull’ultimo movimento, un tema con variazioni, in cui veniva esaltata una delle caratteristiche più apprezzate della sua arte come pianista, l’abilità di improvvisare e di variare. Il tema è tratto da un terzetto del dramma giocoso L’amor marinaro, un’opera di successo del maestro di cappella del Teatro di corte Joseph Weigl. Beethoven in realtà comincia già prima a variare il tema, presentandolo in una forma diversa e più piccante rispetto alla piatta versione originale, grazie all’innesto dell’accento sul tempo debole e di una figura con il punto che conferiscono al motivo un maggior slancio ritmico. Le variazioni rappresentano una serie di libere elaborazioni del tema, molto efficaci e ingegnose. Rispetto allo standard dell’epoca, la novità è la presenza di due variazioni in minore e soprattutto la forma canonica dell’ultima variazione, sia nella scrittura pianistica che in quella degli altri due strumenti. Inoltre è interessante notare anche l’uso del trillo, svincolato dalla sua funzione originale di abbellimento e impiegato invece come elemento costruttivo de lla cadenza finale, prima della coda conclusiva e brillante. L’insieme di questi elementi, oltre a una tendenza verso armonie complesse messa in evidenza già nell’“Allegro con brio” iniziale, indussero l’anonimo critico musicale di una famosa rivista tedesca dell’epoca a giudicare il lavoro pieno di buone idee, ma scritto in maniera poco naturale. Negli anni seguenti, infatti, la produzione di Beethoven verrà spesso tacciata di cercare uno stile difficile in maniera artificiosa. Una critica di stampo conservatore, ma non priva di fondamento. I semi della rivoluzione linguistica portata nei grandi lavori del primo decennio dell’Ottocento, infatti, andrebbero forse cercati in musiche di occasione come queste. Jörg Widmann (Monaco 1973) “Nachtstück” per clarinetto, violoncello e pianoforte (ca. 9’) Anno di composizione: 1998, rev. 2009 Prima esecuzione: Dresda, 17 aprile 1998 Jörg Widmann è nato a Monaco di Baviera, dove ha studiato clarinetto, perfezionandosi in seguito alla Juilliard School di New York. Widmann ha cominciato a prendere lezioni di composizione a soli undici anni e ha coltivato questo lato del suo talento con grande scrupolo, studiando con maestri come Hans Werner Henze e Wolfgang Rihm. Numerose istituzioni hanno riconosciuto il valore della sua musica, premiata con riconoscimenti importanti e promossa da figure di spicco della scena musicale internazionale, come per esempio Claudio Abbado. Nachtstück, che risale al 1998, ricalca infatti il tipo di sonorità e il carattere introspettivo dell’analogo Trio di Brahms, legato in maniera emblematica all’ultima fase della sua produzione e al timbro melanconico del clarinetto. In Widmann, come del resto in Brahms, l’eco della storia dello strumento si riflette nel carattere intimo e assorto della scrittura. Del resto l’idea del doppio, dell’Io come altro da sé, così frequente nella cultura tedesca e carica in particolare di suggestioni romantiche, costituisce da tempo uno degli assi portanti del lavoro di Widmann, che ha sviluppato proprio su questo tema il suo lavoro teatrale di maggior impegno, Das Gesicht im Spiegel (Il volto allo specchio, 2003). Widmann è il rappresentante di una generazione di musicisti eterogenei, che vivono in maniera problematica la necessità di recuperare il filo rosso della tradizione dopo la drammatica cesura avvenuta negli anni del dopoguerra e della nuova musica. Autori come Ligeti, Berio e Schnittke, solo per citare i maggiori esponenti del variegato panorama del post-moderno, si erano trovati a fare i conti con la Storia, in mezzo a un paesaggio ridotto a un cumulo di macerie dalla ribellione violenta contro le forme d’espressione del primo Novecento. L’ala più radicale della Nuova musica vedeva rispecchiarsi nella cultura degli anni Venti e Trenta il mondo che aveva trascinato la civiltà europea in un abisso d’orrore senza fine. Il lavoro controverso di quei musicisti post-moderni consisteva nel riformulare un mondo sonoro condivisibile, nel quale autore e ascoltatore avessero la possibilità di riconoscersi all’interno di un linguaggio in qualche misura comune, secondo un codice di segni e gesti appartenente allo stadio primario di una coscienza musicale. Per Berio e Ligeti il cammino nella Storia rappresentava un drammatico percorso di ricerca, che poteva trasformarsi a ogni svolta in un labirinto o in una forma illusoria, mentre per i musicisti più giovani, come Widmann, questa dolorosa ferita non sanguina più come prima e il passato costituisce casomai un’enigmatica presenza. Ecco dunque che autori come Widmann, non a caso eccellente strumentista e del tutto a suo agio con il patrimonio musicale, interrogano la Storia alla ricerca di un senso per il loro stesso lavoro, ascoltano l’eco di antiche voci nella speranza di un segno premonitore e vedono nello specchio la propria figura nelle fattezze di una musica amata a tal punto da non sapersene distaccare. Il dramma di questa generazione consiste, a differenza dei loro padri, nel frequentare la Storia brancolando nel buio di una notte senza luna. Un Nachtstück, appunto, una musica notturna. Johannes Brahms (Amburgo 1833 - Vienna 1897) Trio in la minore op. 114 (ca. 24’) I. Allegro II. Adagio III. Andante grazioso IV. Allegro Anno di composizione: 1891 Prima esecuzione: Berlino, 12 dicembre 1891 Quando scrisse il Trio in la minore per clarinetto, violoncello e pianoforte, nel 1891, Brahms aveva solo cinquantotto anni, ma aveva deciso già da quattro anni di andare in pensione per così dire. La sua attività pubblica si era conclusa nel 1887 con il Doppio Concerto per violino e violoncello, anch’esso un lavoro in la minore. Brahms non cessò di scrivere musica, ma non più in una dimensione ufficiale, rivolta alla grande sala da concerto. Il guerriero pensava che fosse arrivato il tempo di deporre le armi, come aveva ripetutamente dichiarato nelle lettere agli amici, forse con una punta di civetteria. A cinquant’anni nemmeno un uomo affetto da manie senili come Brahms poteva sentirsi davvero vecchio e l’elenco dei capolavori di musica da camera scritti negli anni Novanta smentisce nella maniera più clamorosa la sua pretesa stanchezza creativa. Brahms coltivava senza dubbio un’immagine postuma di se stesso, come se volesse apparire il sopravvissuto di un’epoca gloriosa e lontana dalle forme d’espressione del suo tempo. L’idea che abbiamo di Brahms corrisponde in larga misura a quest’immagine, quando vediamo le fotografie di un vecchio signore con la barba bianca e il corpo appesantito, il ritratto di un nonno piuttosto che di un padre. La produzione degli ultimi anni riflette questi ambigui e insondabili aspetti della sua personalità. Lavori come il Trio, le due Sonate per clarinetto, le due serie d’Intermezzi per pianoforte e persino gli ultimissimi Corali per organo sembravano sgorgare in apparenza da un mondo definitivamente tramontato, ma in realtà parlavano con un linguaggio di sconcertante modernità. L’estrema fluidità delle forme della musica da camera dell’ultimo Brahms, scavalcando il mondo di Mahler, rappresenta il solido punto di riferimento per la musica di Schönberg e dei giovani musicisti viennesi all’inizio del Novecento. Desta una certa impressione pensare che a Vienna, negli anni Novanta, le Sinfonie di Bruckner e di Mahler convivevano con la musica da camera di Brahms, gl’inquietanti bagliori dei Lieder di Wolf e i primi vagiti della musica di Schönberg. Nell’altro Impero tedesco, invece, sopravvivevano forme politiche del Settecento, come la piccola corte del Duca di Meiningen. Il Duca manteneva ancora una eccellente cappella musicale, diretta niente meno che da Hans von Bülow. Il primo clarinetto di Meiningen era Richard Mühlfeld, un musicista talmente affascinante da destare in Brahms il desiderio di scrivere dei lavori per il timbro umbratile e melanconico di questo strumento. Nacquero così in successione il Trio, il Quintetto in si minore op. 115 e le due Sonate, in maniera per certi versi analoga alla passione per il clarinetto di Mozart negli ultimi anni. Il carattere intimo di questa musica è testimoniato anche dal fatto che Brahms stesso volle partecipare come pianista alla prima esecuzione del lavoro, il 12 dicembre 1891, assieme a Mühlfeld e al violoncellista del Quartetto dell’amico Joachim, Robert Hausmann. Il timbro del clarinetto rende in maniera perfetta la struggente nostalgia di questo esempio di scrittura postuma, destinata a sopravvivere al tempo dell’autore. Ma il Trio, sotto la maschera della sua struttura classica, nasconde una visione moderna della forma musicale. I movimenti estremi, ossia l’“Allegro” iniziale e quello conclusivo, sebbene siano concepiti con l’architettura della sonata, esprimono una sensazione di mobilità nervosa, d’incessante trasformazione degli elementi del discorso. Georg Bernard Shaw giudicò un lavoro orchestrale di Brahms “una striscia di danze incomplete e di strofe da ballata… con una coerenza non superiore a quella di una successione d’immagini passanti, riflesse da una vetrina a Piccadilly ogni venti minuti della giornata”. Quel che a Shaw sembrava un caotico ammasso di figure rappresentava invece, a uno sguardo più moderno, un grande passo in avanti verso lo sviluppo di forme più libere e snelle. Brahms in effetti accosta gli elementi della forma con la massima economia, sviluppando il discorso tematico con audaci scorci di prospettiva, senza sprechi di tempo e inutili ripetizioni. Brahms il conservatore voleva forse dimostrare, in polemica con i presunti campioni della musica “moderna”, di saper governare la barca nel mare tempestoso molto meglio di tanti colleghi più giovani all’anagrafe, ma più vecchi nella sostanza. Nel Trio c’è spazio anche per la bellezza melanconica della musica, non solo per le intricate figure della speculazione intellettuale. Il lato sensuale emerge nell’“Adagio”, che indulge al fascino della melanconia, ma soprattutto nell’“Andantino grazioso”, dove il clarinetto e il violoncello intrecciano un irresistibile dialogo amoroso, coniato nello stesso metallo dei Liebesliederwalzer. Oreste Bossini Reto Bieri clarinetto Reto Bieri, nato in Svizzera nel 1975, è cresciuto ascoltando la musica tradizionale del suo paese, prima di scoprire il mondo della musica classica. Ha studiato clarinetto a Basilea con Francois Benda e, in seguito, alla Juilliard School di New York con Charles Neidich. La sua crescita musicale è stata fortemente influenzata anche dalle lezioni di musica da camera di György Kurtag e Krystian Zimerman. Nel 2001 si è aggiudicato il premio “International Rostrum for Young Performers”, sponsorizzato dall’UNESCO e da allora è stato invitato ad esibirsi in tutto il mondo, sia come solista sia in formazioni da camera. Ha collaborato con orchestre quali Cˇajkovskij Symphony Orchestra della Radio di Mosca, le Orchestre da Camera di Praga e Zurigo, Orchestra Filarmonica Ungherese, Tibor Varga Festival Orchestra, Orchestra Sinfonica di Basilea, Kremerata Baltica, e con direttori d’orchestra del calibro di Vladimir Fedoseyev, Kurt Masur, Roger Norrington, Tibor Varga e Howard Griffiths. Nella stagione in corso ha eseguito il Concerto di Fazil Say con l’Orchestra Sinfonica di Lucerna. In ambito cameristico collabora abitualmente con Patricia Kopatchinskaja, Sol Gabetta, Riccardo Bovino, Henri Sigfridsson, il Quartetto Casals e il Trio Tecchler. Ha inoltre suonato al fianco di grandi interpreti tra cui Gidon Kremer, Heinz Holliger, Jacques Zoon, Dénes Várjon, Gautier Capuçon, Raphael Oleg, Carolin Widmann, Gérard Wyss, Peter Sadlo, Quartetto Carmina, Quartetto Johannes, Quartetto Petersen, Basler Quartet e Trio Altenberg. è inoltre membro stabile dell’Ensamble Raro. Registra in esclusiva per ECM Records che ha pubblicato nel 2010 il CD di debutto “Contrechant”. Dal 2012 è docente di musica da camera all’Università di Würzburg. Dal 2014 è direttore artistico del Festival di Davos. È per la prima volta ospite della nostra Società. Nicolas Altstaedt violoncello Nicolas Altstaedt, violoncellista di origini tedesche e francesi, è stato uno degli ultimi allievi di Boris Pergamenschikow a Berlino, dove ha proseguito gli studi con Eberhard Feltz. Vincitore di diversi concorsi internazionali e del “Borletti-Buitoni Trust” (2009), nel 2010 si è aggiudicato il premio “Credit Suisse Young Artists”, che gli ha consentito di esibirsi con i Wiener Philharmoniker e Gustavo Dudamel al Festival di Lucerna. Ha fatto parte del progetto “New Generation Artists” della BBC, esibendosi con le Orchestre della BBC ai Proms e alla Wigmore Hall. Ospite regolare di importanti orchestre con direttori di primo piano, nella stagione scorsa si è esibito con l’Orchestra Sinfonica di Vienna e Neeme Järvi al Konzerthaus di Vienna (Šostakovicˇ), l’Orchestra Sinfonica di Tokyo (Dvorˇák), la Filarmonica Ceca e David Zinman (Schumann), l’Orchestra della Svizzera Italiana e Vladimir Ashkenazy (Walton), la Filarmonica dei Paesi Bassi e Mark Wigglesworth al Concertgebouw di Amsterdam, l’Orchestra Sinfonica della Radio di Francoforte con André de Ridder (prima esecuzione tedesca del Concerto di Nico Muhly). È stato inoltre musicista ospite dello Scharoun Ensemble in occasione dello Zermatt Festival della Filarmonica di Berlino. Attualmente è “artist in residence” alla Philharmonie Haydn del Musikverein di Graz e, nella stagione in corso, anima una propria serie di musica da camera al Musikkollegium di Winterthur. Particolarmente appassionato di musica contemporanea, collabora con Sofia Gubaidulina, Matthias Pintscher, Thomas Adès, Jörg Widmann, Thomas Larcher e Raphael Merlin. In ambito cameristico collabora con musicisti quali Alexander Lonquich, Vilde Frang, Barnabás Kelemen, Pekka Kuusisto, Antoine Tamestit, Jonathan Cohen e il Quartetto Ébène. È inoltre artista ospite alla Chamber Music Society del Lincoln Center di New York e di importanti festival quali la Mozartwoche e il Festival di Salisburgo e i Festival di Utrecht, Stavanger, Delft, Ainola, Gerusalemme e Kaposvár. Nel 2012 è stato indicato da Gidon Kremer come suo successore alla direzione artistica del Festival di Lockenhaus. Tra le registrazioni più recenti ricordiamo le Sonate per viola da gamba e clavicembalo di Bach con Jonathan Cohen (2013) e il Concerto di Ligeti con il Pluralensemble di Madrid e Fabián Panisello (2014). Nicolas Altstaedt suona un violoncello di Giulio Cesare Gigli realizzato a Roma intorno al 1770 e un violoncello di Robert König (2012). È stato ospite della nostra Società per I concerti del FAI a Villa Panza nel 2009. Herbert Schuch pianoforte Herbert Schuch, nato in Romania nel 1979, dopo aver iniziato gli studi di pianoforte nella sua città natale, nel 1988 si è trasferito con la famiglia in Germania, dove attualmente risiede. Successivamente ha proseguito gli studi con Kurt Hantsch e Karl-Heinz Kämmerling al Mozarteum di Salisburgo. Particolarmente significativo è stato l’incontro con Alfred Brendel. La sua affermazione in ambito internazionale è arrivata in seguito alla vincita in un solo anno di tre importanti concorsi: il Concorso Casagrande, il Concorso Pianistico Internazionale di Londra e il Concorso Beethoven di Vienna. Da allora si è esibito con orchestre di primo piano quali London Philharmonic Orchestra, Orchestra Sinfonica NHK, Camerata Salzburg, Residentie Orkest Den Haag, Bamberger Symphoniker, Orchestre Sinfoniche delle Radio MDR, WDR e NDR di Hannover e DR (Radio Danese) e direttori del calibro di Pierre Boulez, Andrey Boreyko, Douglas Boyd, Olari Elts, Lawrence Foster, Eivind Gullberg Jensen, Jakub Hrusa, Yannick Nézet-Séguin, Jonathan Nott, Markus Poschner, Michael Sanderling e Alexander Vedernikov. È inoltre ospite regolare di festival quali Kissinger Sommer, Rheingau, Ruhr e Salisburgo. Nella stagione scorsa è stato protagonista di recital con sei diversi programmi dedicati alle opere di Franz Schubert e Leoš Janácˇek che lo hanno portato in prestigiose sale concertistiche tra le quali il Mozarteum di Salisburgo. Nel settembre 2013 è stato pubblicato il suo ultimo CD che comprende opere proprio di Schubert e Janácˇek. Nella stagione in corso è protagonista a Bruxelles di “Portrait” un ciclo di concerti con cinque diverse formazioni. In ambito discografico ricordiamo anche Nachtstücke e Sehnsuchtswalzer dedicati a opere di Schumann, Ravel e Schubert e un CD dedicato a Holliger e Lachenmann. Per la registrazione del Terzo Concerto per pianoforte di Beethoven e il Concerto per pianoforte di Viktor Ullmann con l’Orchestra Sinfonica WDR e Olari Elts Herbert Schuch ha meritato nel 2013 il premio ECHO Klassik che aveva già ricevuto nel 2012 per i Quintetti per pianoforte e archi di Beethoven e Mozart. Nel 2014 è stato pubblicato “Invocation” con opere di Bach, Liszt, Messiaen, Murial e Ravel Herbert Schuch si dedica inoltre con particolare impegno a “Rhapsody in School”, un progetto fondato da Lars Vogt e volto alla diffusione della musica classica nelle scuole. È per la prima volta ospite della nostra Società. Prossimo concerto: martedì 24 marzo 2015, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Quartetto Jerusalem La musica da camera rappresenta fin dalla fondazione il marchio distintivo del Quartetto e nella stagione dei 150 anni occupa un posto ancora di maggior rilievo nella programmazione. A completare il panorama dei quartetti d’archi offerto nella stagione in corso viene infatti il Quartetto Jerusalem, che torna a suonare per la Società dopo oltre dieci anni. La formazione può vantare il privilegio di rappresentare il primo quartetto professionale formato in seno al giovane Stato d’Israele. Il concerto copre un arco di oltre 120 anni di musica, partendo dal Settecento del primo Beethoven, con uno dei Quartetti dell’op. 18, per arrivare alle sublimi bizzarrie di un autore dall’accesa fantasia e dal sicuro istinto teatrale come Janácˇek. In mezzo si attraversa il brullo paesaggio dell’anima di un musicista chiuso nel suo mondo interiore come Schubert, che prende spunto da uno dei suoi Lied più dolci e amari allo stesso tempo come “La morte e la fanciulla” per scrivere uno dei capolavori immortali della musica. Società del Quartetto di Milano - via Durini 24 20122 Milano - tel. 02.795.393 www.quartettomilano.it - [email protected]
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