La relazione - michele perone

GLI ABUSI EDILIZI; CLASSIFICAZIONE DEI REATI EDILIZI; CRITERI DI EMANAZIONE DELLE SANZIONI PREVISTE
IN CASO DI VIOLAZIONE DI NORME. A cura di Giuditta ANGELASTRI
Introduzione
La presente relazione, si prefigge di argomentare se non di chiarire, la tematica dell’illecito urbanistico –
edilizio e dei rimedi sanzionatori all’uopo previsti dall’ordinamento, al fine di delinearne i principi di fondo,
alla luce delle novità di cui al Testo unico dell’edilizia n.380/02 come innovato dal d.l.gs. 27.12.2002 n.301 e
degli orientamenti giurisprudenziali più significativi.
Sin da ora va chiarito che la vastità e complessità della materia, caratterizzata dal concorso di sanzioni
aventi natura e finalità differenti, implicante difficoltà interpretative ed applicative nonché problemi di
ricognizione normativa della disciplina della fattispecie, non consentirà una trattazione analitica ed
esaustiva dei singoli aspetti che pur importanti verranno solo accennati creando degli spunti di riflessione di
notevole interesse.
1. LA SUCCESSIONE NEL TEMPO DEI SISTEMI DI SANZIONI Propedeutica ad ogni ulteriore indagine è l’esame
sia pur sintetico e rapido, della disciplina in materia di sanzioni amministrative e penali nei principali abusi
edilizi precedente al testo unico dell’edilizia che – com’è noto – entrerà in vigore, salvo ulteriori proroghe il
30 giugno 2003.
Sotto un profilo diacronico, il sistema delle sanzioni inizialmente disciplinato unicamente dalla legge
urbanistica fondamentale n.1150/1942, ha subito nel tempo profonde modifiche dapprima con la l
n.765/67, poi con la l. n.10/77 fino a giungere ad un organica sistemazione con la l.n.47 del 1985, recante
“norme in materia di controllo dell’attività urbanistica ed edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere
edilizie, la quale ha modificato la tipologia degli abusi, ampliandone le ipotesi, aggravando le pene ed
inasprendo i poteri di vigilanza e di repressione degli abusi edilizi. Si è passati, così, da un primo regime
(quello della L.U.) che prevedeva la sola demolizione o modifica d’ufficio delle opere abusive, a quello
introdotto dalla legge Bucalossi che, in caso di possibilità concreta della rimessione in pristino, ha
introdotto la misura alternativa della sanzione pecuniaria per equivalente, al fine di evitare il lucro
derivante al responsabile dalla mancata demolizione. Essa ha previsto, oltre la demolizione, la confisca,
sanzioni pecuniarie pari al doppio del valore dell’abuso ed altre diverse misure. Tale sistema ha avuto
termine con l’entrata in vigore della L.n.47/85 la quale delinea varie figure di illecito a seconda delle
caratteristiche oggettive dell’intervento introducendo un complesso di sanzioni estremamente
differenziato. In particolare la legge n.47/85 distingue le opere abusive dalle lottizzazioni abusive. Sono
abusive tutte le opere prive della prescritta concessione edilizia o totalmente o parzialmente difformi o in
variante essenziale rispetto ad essa od all’autorizzazione edilizia. L’abuso può essere totale, in caso di opere
senza concessione, in totale difformità o in variazione essenziale (artt.7 e 8) oppure parziale per difformità
parziale dell’opera (art.12)o per varianti in corso d’opera (art.15). Disciplina particolare è prevista per
l’annullamento della concessione (art.11). Per la lottizzazione è previsto l’abuso totale. L’intervento abusivo
sull’esistente prevede la ristrutturazione abusiva (art.9), l’abuso nelle opere soggette ad
autorizzazione(art.10), le opere interne abusive (art.26)ed eventualmente il mutamento abusivo di
destinazione d’uso senza opere (art.25). Sono inoltre ritenute abusive le opere che non rispettino le
originarie caratteristiche edificatorie di quanto costruito nelle zone di cui alla lettera A del D.M. 2 aprile
1968 n.1444. Le sanzioni sono variamente articolate a seconda delle caratteristiche fattuali dell’intervento:
- la confisca del fabbricato abusivo con il terreno di pertinenza, prescritto in genere per l’abuso totale nei
casi di nuovo intervento (artt.4 e 7) e per le lottizzazioni abusive (artt.18 e 19); - la demolizione o riduzione
in pristino, prevista in determinati casi sia per l’annullamento della concessione (art.11), che per le
difformità parziali (art.12) che per gli interventi abusivi sull’esistente(artt.9 e10); - le sanzioni pecuniarie
sostitutive della riduzione in pristino, previste per la parziale difformità (art.12) e l’annullamento della
concessione (art.11); - le sanzioni pecuniarie autonome previste in rapporto al valore dell’abuso oppure
entro un limite minimo ed uno massimo, per le ristrutturazioni abusive (art.9), per le opere soggette ad
autorizzazione (art.10), per le opere interne abusive formalmente (art.26) in maniera ridotta.
2. ANALISI E SCHEMA DEL TESTO UNICO :TITOLO IV CAPO I E II (Vigilanza sull’attività urbanistico – edilizia e
responsabilità – Sanzioni)
Dalla lettura del titolo IV del recente Testo unico dell’edilizia, non emergono rilevanti innovazioni rispetto al
precedente regime sanzionatorio, anzi le disposizioni in esso contenute sono in gran parte riproduttive di
quelle contenute nella l. n.47/85, salvo il riferimento al permesso di costruire (sostitutivo della concessione
edilizia) e alla competenza del dirigente o del responsabile ex artt. 107 e 109 del D.L.gs. n.267/00. Più
interessanti appaiono, invece, le conseguenze penali discendenti indirettamente dalla modificazione del
regime dei titoli abilitativi e dell’attività costruttiva ad essi correlata. Preme evidenziare che il T.U. ha
confermato il carattere cumulativo e non alternativo del preesistente sistema sanzionatorio
amministrativo, civile e penale. Sicchè alla commissione del reato si accompagnerà oltre che l’irrogazione
della pena detentiva e/o pecuniaria, la comminatoria delle sanzioni amministrative e civili.
2.1. Le sanzioni amministrative. Organi e poteri del sistema repressivo.
Il potere di vigilanza sull’attività edilizia e di trasformazione del territorio è regolamentato dal combinato
disposto dell’art.27 e 31 del T.U., riproduttivi rispettivamente degli art.4 e 7 della l.n.47/85. L’intervento
repressivo, in caso di accertati abusi edilizi vede coinvolti una pluralità di soggetti istituzionali, ed in
particolare il dirigente dell’ufficio tecnico comunale, ex artt.107e 109 D.L.gs. 267/00 , gli ufficiali ed agenti
della polizia giudiziaria, il segretario comunale, i competenti organi regionali in via sostitutiva.
Come già previsto dalla l.n.47/85, gli ufficiali ed agenti della polizia giudiziaria debbono, nei casi di presunta
violazione delle norme e prescrizioni urbanistiche, darne immediatamente comunicazione all’autorità
giudiziaria, al competente organo regionale e al dirigente del competente ufficio comunale, il quale verifica
la regolarità delle opere e dispone gli atti conseguenti.
Il segretario comunale (art.31T.U. ; art.7 l.n.47/85) redige e pubblica mensilmente, mediante affissione
all’albo comunale, l’elenco dei rapporti comunicati dagli ufficiali e agenti della polizia giudiziaria riguardanti
opere o lottizzazioni abusive e delle relative ordinanze di sospensione, e lo trasmette all’autorità giudiziaria
competente, al Presidente della Giunta Regionale, e tramite l’ufficio territoriale di governo, al Ministro
delle Infrastrutture e dei trasporti.
Il Presidente della giunta regionale ha potere di intervento sostitutivo (art.31 co.7 T.U.) che viene esercitato
in caso di inerzia da parte del dirigente nel prendere provvedimenti per oltre quindici giorni dalla
constatazione delle violazioni (art.27 co.1); nonchè nell’ipotesi di mancata adozione dei provvedimenti
definitivi da adottarsi entro il termine di 45 giorni dalla disposta sospensione dei lavori(art.27 co.3).
Per le opere eseguite da amministrazioni statali, qualora ricorrano le ipotesi di cui all’art. 27, il dirigente o il
responsabile dell’ufficio comunale competente deve informare immediatamente la Regione, il Ministro
delle infrastrutture e dei trasporti, al quale compete d’intesa con il Presidente della Giunta regionale,
l’adozione dei provvedimenti previsti dall’art. 27 (demolizione e ripristino dello stato dei luoghi).
Giova rammentare che il dirigente competente ex lege all’adozione delle misure repressive è condizionato
nel suo operato nel caso in cui il Consiglio comunale dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici che
consiglino il mantenimento dell’opera abusiva, e a condizione che l’opera non contrasti con rilevanti
interessi urbanistici ed ambientali (art.31co.5). In tal caso l’ordinario procedimento di acquisizione –
demolizione previsto in caso di opere eseguite in assenza del permesso di costruire o in totale difformità o
con variazioni essenziali, viene interrotto dopo la confisca e il manufatto abusivo non viene demolito ma
utilizzato dal Comune.
Oltre al dirigente e al Presidente della Giunta Regionale in via sostitutiva, competente in via esclusiva o
concorrente all’emanazione delle misure sanzionatorie, nei casi previsti dalla legge, è l’autorità preposta
alla tutela del vincolo speciale non urbanistico. La stessa può intervenire di propria iniziativa in caso di
intervento abusivo su aree soggette a vincolo storico artistico (co. 2 ul.periodo dell’art.27 T.U.) pur
restando competente in materia anche il dirigente; mentre è competente in via esclusiva nel caso di
ristrutturazione abusiva di immobili soggetti a vincolo storico artistico o paesistico (co.3 dell’art.33 T.U.).
Altresì competente ad ordinare la demolizione, se non sia stata altrimenti eseguita è il giudice penale che
può disporla con la sentenza di condanna per il reato di cui alla lett. b) dell’art.44 T.U. Il giudice penale,
inoltre, ove accerti la sussistenza di una lottizzazione abusiva, provvede alla confisca dei terreni
abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite.
2.2. La sospensione dei lavori.
Per quanto attiene i singoli provvedimenti repressivi, viene anzitutto in rilievo la sospensione dei lavori.
Nella normativa precedente, la stessa era disciplinata dall’art.32 L.U. e costituiva un rimedio di carattere
generale, volto a tutelare l’interesse pubblico con l’arresto delle opere in corso che apparivano irregolari,
per valutare meglio la situazione e prendere gli opportuni provvedimenti. La sospensione si poteva disporre
in due casi: a) nel primo, l’accertamento dei lavori in difformità dalla licenza (poi dalla concessione)
comportava la sospensione degli stessi con riserva dei provvedimenti definitivi necessari per la rimessione
in pristino, da adottarsi entro trenta giorni, in difetto di che l’ordine di sospensione cessava di avere
efficacia; b) nel secondo caso, ovvero nell’ipotesi di lavori iniziati senza licenza (o concessione) la
sospensione non era prevista dalla legge ma dalla giurisprudenza, la quale ne ammetteva l’adozione così
come riteneva che l’ordine di sospensione per l’abuso totale non fosse soggetto al termine di decadenza di
trenta giorni, derivando tale potere non già da una norma di legge, bensì dai poteri generali della P.A.
La legge n.47/85 prima e il T.U. dopo hanno previsto tipi specifici di sospensione dei lavori in determinati
casi.
Ai sensi dell’art.27co.3 T.U., ove siano in corso lavori e sia constatata dai competenti uffici comunali
l’inosservanza di norme e delle prescrizioni di legge, di regolamento e degli strumenti urbanistici, o
l’inosservanza delle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi, il dirigente ordina la sospensione dei
lavori. La sospensione ha durata fino all’adozione dei provvedimenti definitivi da adottarsi entro
quarantacinque giorni dalla disposta sospensione.
Va rilevato, al riguardo, la finalità cautelare e non sanzionatoria della sospensione dei lavori in quanto si
fonda sul semplice sospetto di un abuso e non costituisce un atto sostanzialmente di sequestro del
cantiere. La tesi che attribuisce alla sospensione dei lavori durata indefinita riconoscendole natura
sostanziale di sequestro appare contraria alla su evidenziata finalità meramente cautelare. Per cui il
Comune sarà tenuto a risarcire il danno in caso di ritardata adozione dei provvedimenti definitivi, mentre
l’anticipata emissione degli stessi produrranno l’interruzione degli effetti della sospensione.
L’ordine di sospensione dei lavori non richiede la preventiva comunicazione dell’avvio del procedimento in
virtù di quanto disposto dall’art.7 comma 2, l.241/90.
Dall’esame della disciplina emerge la mancata previsione della sospensione dei lavori, nel caso di opere
abusive eseguite su aree vincolate inedificabili, rispetto alle quali è contemplata l’immediata demolizione.
Tuttavia, anche se la legge non prevede espressamente il potere di ordinare la sospensione, non è escluso
che eventuali difficoltà che impediscano un tempestivo intervento demolitorio, possano rendere opportuno
e conforme al pubblico interesse un provvedimento cautelare di sospensione.
Ulteriore ipotesi di sospensione dei lavori è quella prevista dall’art.30, co.7 T.U. nel caso di accertata
lottizzazione di terreni a scopo edificatorio senza la prescritta autorizzazione. Questo tipo di ordine di
sospensione presenta caratteristiche diverse dal precedente di cui sopra. Infatti, l’ordine in questione
contiene non solo il divieto di prosecuzione delle opere in corso, ma anche il divieto di disporre dei suoli e
delle opere con atto tra vivi. L’ordine , inoltre, deve essere trascritto nei registri immobiliari.
Decorsi novanta giorni dall’avvenuta notifica della sospensione, senza che sia intervenuta la revoca, essa si
trasforma in atto di confisca in quanto le aree lottizzate e descritte nell’ordine sono acquisite di diritto al
patrimonio comunale. L’ordine di sospensione previsto per le lottizzazioni abusive, dunque, è un atto non
cautelare ma definitivo. Come tale deve contenere tutti gli elementi per poter spiegare gli effetti voluti
dalla legge, nonostante nulla vieti un ulteriore atto ricognitivo. Acquisiti i beni, il dirigente provvede alla
demolizione delle opere, pena l’intervento sostitutivo del competente organo regionale.
2.3. Confisca e riduzione in pristino o demolizione.
La confisca è sanzione tipica dell’abuso mediante nuova costruzione ovvero per le opere in totale difformità
del permesso. Essa non si pone più come alternativa alla rimessione in pristino o alla demolizione, ma come
pena.
Giova rammentare che per opere in totale difformità del permesso di costruire si intendono ai sensi
dell’art.31 co. 1 T.U. “ quelle che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente
diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche, o di utilizzazione da quello oggetto del
permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire
un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile”.
L’intervento repressivo per tali interventi è disciplinato dall’art.31 co.2 T.U. riproduttivo dell’art.7 L.
n.47/85. Anzitutto viene emessa ingiunzione a demolire, che ha il carattere di diffida e che concede al
proprietario e al responsabile dell’abuso novanta giorni per l’esecuzione della demolizione e ripristino dello
stato dei luoghi. Tale ingiunzione è immediatamente lesiva costituendo l’unico atto soggetto ad
impugnazione e a richiesta cautelare al giudice amministrativo. In passato la giurisprudenza aveva ritenuto
che l’ordine di demolizione – diffida a demolire, era impugnabile, ma non era suscettibile di sospensione in
sede giurisdizionale, dovendo essere seguito da altro atto direttamente pregiudizievole, ovvero, l’ordine di
demolizione o l’atto di acquisizione del bene. In base all’attuale disciplina poichè l’acquisizione di diritto
avviene per il mero decorso del termine, senza che sia necessario attendere l’adozione di ulteriore apposito
provvedimento, gli effetti immediatamente lesivi devono essere correlati direttamente all’ingiunzione.
Posto che l’inutile decorso dei novanta giorni provoca l’automatico trasferimento della proprietà in capo al
Comune dei beni sopra elencati, è opportuno precisare che, ove le opere abusive fossero sottoposte a
sequestro penale, data l’impossibilità per l’interessato di provvedere alla spontanea demolizione, “il
termine concesso dal dirigente inizia a decorrere solo dal dissequestro” (cfr. Tar Lazio, sez. II, 20.01.1999,
n.340 e Tar Campania Salerno 07.01.1997, n.3)
In caso di inottemperanza all’ingiunzione nel termine di 90 giorni, è previsto un atto di accertamento della
stessa inottemperanza, notificato all’interessato, che ha valore dichiarativo (cfr. Cons. Stato, sez. V,
9.11.1998, n.1595 in Foro Amm., 1998, s.m.), e costituisce titolo per l’immissione in possesso del bene e per
la trascrizione nei registri immobiliari dell’acquisizione. Inoltre, poiché deve essere notificato all’interessato
viene ad assumere anche i caratteri di identificazione del bene confiscato, in specie dell’area di sedime.
L’oggetto della confisca è l’opera abusivamente realizzata, l’area di sedime e quella ulteriormente
necessaria - secondo le prescrizioni urbanistiche vigenti al momento dell’ingiunzione - alla realizzazione di
opere analoghe a quelle abusive. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la
superficie utile abusivamente costruita.
A seguito dell’acquisizione, il dirigente ordina la demolizione a cura e spese dei responsabili dell’abuso,
salvo che con deliberazione consiliare, non si accerti l’esistenza di prevalenti interessi pubblici al
mantenimento della stessa. Il mantenimento potrà avvenire solo se non ostino rilevanti interessi urbanistici
ed ambientali. In ogni caso l’area confiscata rimane di proprietà del Comune.
Sotto tale profilo la sanzione in esame differisce rispetto a quella disciplinata dal precedente art.15 l.
n.10/77 che si applicava solo nel caso in cui non si facesse luogo a demolizione.
Se l’area è soggetta a vincoli di tutela, l’acquisizione avviene a favore dell’Amministrazione preposta alla
vigilanza sull’osservanza del vincolo, le quali provvedono alla demolizione delle opere abusive e al ripristino
dello stato dei luoghi a spese dei responsabili dell’abuso. Nel caso di concorso di vincoli diversi,
l’acquisizione si verifica a favore del Comune.
La riduzione in pristino o la demolizione, è prevista per le difformità parziali nelle nuove costruzioni e per gli
interventi abusivi sull’esistente, nei quali vi sono parti legittime dell’opera preesistente e parti illegittime
(quelle modificate se abusive). E’ prevista altresì per le opere eseguite su aree vincolate inedificabili.
Ne consegue che, nella maggior parte dei casi, più che di demolizione sarà più corretto parlare di riduzione
in pristino, in quanto potranno essere disposte non solo demolizioni ma anche ricostruzioni delle parti
abusivamente modificate o demolite.
Si rammenta che solo gli interventi di ristrutturazione di cui all’art.10 comma 1 debbono essere eseguiti
previo rilascio del permesso di costruire, mentre quelli che non rivestono le caratteristiche dettate dalla
norma citata è sufficiente la D.I.A.
Per le ristrutturazioni edilizie prive di permesso o da questo del tutto difformi, è previsto un ordine –diffida
a demolire, rimuovere e regolarizzare nel termine congruo stabilito dal dirigente o dal responsabile
dell’ufficio competente comunale, con l’ulteriore previsione della sostituzione della misura del ripristino
eventualmente impossibile con una sanzione pecuniaria pari al doppio del valore del manufatto (calcolato
secondo criteri diversi da quelli previsti per gli immobili ad uso abitativo art. 33 co. 1 e 2 T.U.).
Qualora le opere di ristrutturazione edilizia abusive siano eseguite su immobili sottoposti al vincolo storico
artistico od a quello paesistico, è l’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo che ordina la riduzione
in pristino, indicandone i criteri e le modalità, ed irroga una sanzione pecuniaria.
In caso di interventi di ristrutturazione su immobili ricadenti in zona A di cui al D.M. 2 aprile 1968, n.1444,
(centro storico), l’Amministrazione Comunale dovrà richiedere il parere vincolante all’autorità preposta alla
tutela dei beni culturali ed ambientali facendo, se del caso, presente “l’eventuale pregiudizio che verrebbe
cagionato alla struttura dall’eliminazione delle parti abusive” e quindi “ l’impossibilità “dell’irrogazione della
misura demolitoria o ripristinatoria (Cons. St., sez.VI, 28.02.2000 n.1055) ed attenersi pedissequamente a
quanto deciso dalla predetta Autorità.
In caso di inerzia da parte di quest’ultima per oltre 90 giorni, il Comune dovrà procedere autonomamente,
iniziando un nuovo procedimento repressivo ed ingiungendo la demolizione al proprietario e, in caso di
inottemperanza, valutare la possibilità o meno di ripristinare d’ufficio lo stato dei luoghi “sulla base di
motivato accertamento dell’Ufficio Tecnico comunale” ed applicare, a seconda dell’esito, o la sanzione
pecuniaria o quella ripristinatoria.
Sull’obbligo del Comune di valutare la possibilità di ripristinare lo stato dei luoghi solo dopo aver emesso la
diffida, va segnalata una recente sentenza del Consiglio di Stato che, prendendo in esame il caso analogo di
opere eseguite in parziale difformità dalla concessione ex art.12 L. n.47/85, ha stabilito che “l’ordinanza di
demolizione prevista dall’art.12 L.28 febbraio 1985 n.47 per l’ipotesi di opere eseguite in parziale difformità
dalla concessione edilizia ha la natura, il valore e la funzione della diffida, risolvendosi nel formale invito al
trasgressore ad eliminare l’abuso, ed è prodromico alla valutazione e alla determinazione che
successivamente l’Amministrazione dovrà adottare nell’eventualità che il destinatario non ottemperi;
pertanto, la valutazione circa la possibilità o meno di demolire un’opera abusiva e la conseguente scelta tra
demolizione d’ufficio e l’irrogazione della sanzione pecuniaria attiene ad un momento e ad un
procedimento successivo ed autonomo rispetto all’atto di diffida, con la conseguenza che è in quella sede
che devono essere esternate le ragioni del ricorso all’una o all’altra sanzione “(cfr. Cons. St. 28.02.2000,
n.1055).
Analogamente al procedimento sanzionatorio previsto per le ristrutturazioni edilizie abusive per le opere e
interventi eseguiti in parziale difformità del permesso di costruire, è prevista la rimozione o demolizione a
cura e spese dei responsabili entro un congruo termine, decorso il quale vi provvede il Comune a spese del
contravventore.
Qualora la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o
responsabile dell’U.T.C. commina una sanzione pecuniaria pari al doppio del costo di produzione (nel caso
di manufatti residenziali) o rispetto al valore venale (nel caso di immobili non abitativi) ai sensi dell’art.34.
Infine, demolizione e ripristino colpiscono gli interventi abusivi - per assenza della concessione, ovvero in
totale o parziale difformità - eseguiti su immobili demaniali o patrimoniali dello Stato o di enti pubblici da
terzi estranei, ex art. 35 T.U.
Per le opere eseguite in assenza o in difformità della denuncia di inizio attività è prevista una semplice
sanzione pecuniaria “pari al doppio del valore venale dell’immobile “ … e comunque, non inferiore a 516
Euro (art.37 T.U.).
La sanzione ripristinatoria è prevista in via alternativa a quella pecuniaria nell’ipotesi di restauro e
risanamento conservativo realizzate abusivamente su “immobili vincolati”. In tale ipotesi l’Autorità
preposta alla tutela del vincolo può, infatti, ordinare la riduzione in pristino.
Qualora le opere di restauro e di risanamento conservativo vengano eseguite senza D.I.A. in zona A del
P.R.G., il dirigente deve (così come previsto per le ristrutturazioni edilizie abusive) chiedere
all’Amministrazione competente alla tutela dei beni culturali e ambientali parere vincolante circa la
riduzione in pristino o l’applicazione della sanzione pecuniaria. Decorso inutilmente il termine di 90 giorni,
egli decide autonomamente.
2.4 Il regime sanzionatorio in caso di annullamento del permesso di costruire
L’art.38 del T.U. stabilisce che in caso di annullamento del permesso, qualora non sia possibile, in base a
motivata valutazione, eliminare i vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente
o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pari al valore venale delle opere o
loro parti abusivamente costruite. L’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i
medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’art. 36
L’annullamento del titolo abilitativo, rende, infatti, abusive le opere realizzate in virtù di esso.
Il dirigente, quindi, in tale ipotesi deve, in primo luogo, valutare se l’annullamento del permesso sia dipeso
da vizi formali e, ove tale indagine dia un esito positivo, eliminarli.
In caso contrario, deve disporre la restituzione in pristino e, qualora ciò non sia possibile, applicare la
sanzione pecuniaria.
3. I SINGOLI REATI URBANISTICI
3.1. Rapporti tra le ipotesi di reato previste dall’art.44
L’art.44 del T.U. comprende tre ipotesi di reato urbanistico con pene edittali progressivamente più gravi in
rapporto all’offensività della condotta, in aggiunta alle sanzioni amministrative.
La fattispecie di cui alla lett. c) a differenza di quella prevista dalla lett. b), si riferisce agli abusi urbanistici
commessi in zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, nonché alla
lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, mentre la fattispecie di cui alla lett. a) ha un valore
residuale concernendo gli abusi urbanistici commessi al di fuori dei casi sopra ricordati.
La fattispecie prevista dalla lett. c), ovvero l’ipotesi di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio e la
realizzazione di costruzioni in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza di concessione in zone
vincolate, la cui pena edittale viene autonomamente stabilita, si caratterizza per un’elevata potenzialità
offensiva della condotta che va ad incidere su interesse che presenta, ad un tempo, natura urbanistica –
culturale – ambientale. Ne consegue, dunque, che la fattispecie prevista dalla lett. c) dell’art.44 lungi dal
costituire semplice circostanza aggravante del reato di cui alla lett. b), rappresenta ipotesi autonoma di
reato.
3.2. L’art.44 lett.a).
La norma rubricata prevede come reato l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive
previste dal titolo IV del T.U., se ed in quanto applicabili; l’inosservanza dei regolamenti edilizi, degli
strumenti urbanistici e del permesso di costruire. Si ritiene, inoltre, che venga punita dalla disposizione in
esame la violazione di leggi regionali che integrano o modificano la disciplina urbanistica nazionale.
La disposizione è strutturata come norma penale in bianco, in quanto pur prevedendo le sanzioni, rinvia,
per la determinazione del precetto a dati prescrittivi, tecnici e provvedimentali di fonte extrapenale; essa
assume carattere eventuale punendo abusi commessi al di fuori delle altre fattispecie incriminatici
contemplate nello stesso articolo (cfr. Cass. Pen., sez. un. 28.11.2002).
Il reato è configurabile nel caso di interventi di trasformazione del territorio posti in essere in violazione
della legalità urbanistica ed edilizia ovvero delle prescrizioni del permesso di costruire, richiamate dalla
norma penale ad integrazione descrittiva della fattispecie, ma anche degli strumenti urbanistici, dei
regolamenti edilizi e delle disposizioni di cui al titolo IV del T.U.
L’art. 44 cit. sanziona solo attività materiali urbanistiche ed edilizie e non quelle meramente
amministrative. Ne consegue, che va esclusa la configurabilità del reato di cui alla lett. a), a carico dei
funzionari comunali, i quali rilascino permessi di costruire in violazione del P.R.G. (cfr. Cass. Pen., sez. III,
30.01.1989 in Giust. Pen., 1990, II, 235; idem, 15.10.1988).
L’omessa esposizione sul cantiere edile del cartello lavori, integra il reato di cui alla lett. a) dell’art.44 in
commento, solo qualora riguardi lavori assentibili in base a permesso di costruire. L’onere espositivo del
cartello, stabilito dal combinato disposto di cui agli artt. 20, co.7 e 27, co.4 T.U., non è, infatti, previsto in
caso di d.i.a. (tacendo sul punto gli artt. 22 e 23 T.U.), stante anche la minore rilevanza urbanistica degli
interventi soggetti al regime della d.i.a.
Tale impostazione appare coerente con la giurisprudenza formatasi nel regime precedente, secondo la
quale integra il reato di cui alla lett.a) cit., l’omessa esposizione sul cantiere edile del cartello indicante i dati
della relativa concessione, purchè tale obbligo sia espressamente imposto dai regolamenti edilizi comunali
o dal permesso di costruire (cfr. Cass. Pen., sez. III, 5.10.1994 e sez. un. ,29.05.1992).
Secondo altra opzione ermeneutica, l’omessa esposizione del cartello con l’indicazione dei dati della
concessione edilizia non avrebbe rilevanza penale in quanto la norma incriminatrice contemplerebbe solo
prescrizioni di carattere urbanistico.
3.3. L’art.44 lett.b).
L’ipotesi di reato contemplata dalla norma in epigrafe (costruzione senza permesso o in totale difformità
dallo stesso o prosecuzione dei lavori nonostante l’ordine di sospensione), al pari di quella stabilita
dall’art.20 lett. b) L.n.47/85 è speciale rispetto a quella di cui alla lett. a ).
Ne consegue che qualora venga ritenuta penalmente lecita una costruzione in quanto realizzata con il
relativo permesso, nessuna rilevanza è da ascrivere alle violazioni di legge o di regolamenti edilizi, che siano
il presupposto del permesso stesso (cfr. Cass. Pen., sez. III, 8.1.1992).
Le sanzioni previste per le violazioni edilizie contemplate dalla lett. b) sono l’arresto fino a due anni e
l’ammenda da 5164 a 51645 Euro, il ché consente al giudice di graduare la sanzione in relazione alla gravità
della mancanza.
Il reato di costruzione abusiva ha natura permanente, ma la relativa consumazione perdura fino alla
cessazione della condotta abusiva.
A tale conclusione è giunta la Cassazione a sezioni unite (Cass. Pen. sez. un. 27. 2.2002 in Foro it. 2002, II,
411), ripudiando la concezione bifasica del reato permanente, secondo cui quest’ultimo implicherebbe un
duplice obbligo, ovvero in un momento iniziale l’obbligo di non realizzare uno stato antigiuridico (nella
specie iniziando la costruzione abusiva); nella seconda fase, l’obbligo di far cessare tale stato, omettendo di
porre termine alla situazione antigiuridica (non demolendo il manufatto abusivo).
Si è affermato, viceversa, che non si rinviene, all’interno della norma incriminatrice, alcuna previsione circa
l’esistenza di un obbligo secondario di rimozione; conseguentemente violerebbe il principio di tassatività,
inteso come divieto di analogia, l’incriminazione della successiva omissione di una controcondotta. In
definitiva, la condotta incriminata consiste nella costruzione di un manufatto senza titolo edilizio, e tale
azione si perfeziona e si consuma nel momento della materiale attuazione dell’opera, la quale va dall’inizio
all’ultimazione dei lavori, con la conseguente configurabilità della permanenza circoscritta nell’ambito di
questi due momenti.
Alla mancanza di permesso sono parificabili, per giurisprudenza costante, tutti casi in cui l’atto, pur
rilasciato sia stato in precedenza annullato o dichiarato decaduto o sia divenuto inefficace per lo spirare dei
termini.
La totale difformità è definita dall’art.31, co.1 T.U. che riproduce la corrispondente norma di cui all’art.7 L.
n.47/85).
Con l’espressione organismo edilizio, il comma 1 in esame indica sia una sola unità sia una pluralità di
porzioni volumetriche. La costruzione in totale difformità dal permesso può derivare:
a)dall’esecuzione di un corpo autonomo; b)dall’effettuazione di modificazioni con opere interne o esterne
tali da comportare un intervento che abbia rilevanza urbanistica; c) dal mutamento di destinazione d’uso di
un immobile preesistente, che va equiparato alla realizzazione di una costruzione edilizia in assenza o totale
difformità, allorché non sia meramente funzionale ma si realizzi attraverso opere implicanti una totale
modificazione rispetto al preesistente e al previsto e che sia urbanisticamente rilevante.
Per quanto attiene le variazioni essenziali, ai sensi dell’art.32 T.U. sono le Regioni a stabilire quali sono le
variazioni essenziali rispetto al progetto approvato, tenuto conto che l’essenzialità ricorre quando si
verificano le condizioni di cui alle lett. da a) ad e) del 1.co. art.32. Non possono ritenersi tali quelli incidenti
sull’entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità
abitative.
Viceversa, per gli interventi su immobili sottoposti a vincolo lato sensu culturale ed ambientale o ricadenti
in parchi e aree protette, il 3co. dell’art.32 ha innalzato la soglia di tutela di detti beni parificando le
variazioni essenziali alla totale difformità.
L’art.31 co.1 nel fornire la definizione di costruzione in totale difformità dal permesso fa riferimento ad un
manufatto illecito che abbia in concreto una notevole entità. Ne consegue, dunque, che non è configurabile
il reato di cui alla lett. b) ma quello di cui alla lett. a) dell’art.44, nell’ipotesi in cui venga, in zona non
vincolata, posta in essere una volumetria, la quale pur superando i limiti del progetto approvato, non dia
luogo ad un organismo (o parte di esso) integralmente diverso o che sia autonomamente utilizzabile, quale
un veranda di modesta entità (Cass. Pen. Sez.III 19.05.1986).
Viceversa può ritenersi integrato il reato di cui alla lett b) dell’art.44 nel caso di realizzazione di una
struttura destinata a ristorante a carattere stagionale, in quanto la stagionalità non è sinonimo di
precarietà, in quanto implica l’utilizzo annualmente ricorrente della struttura (cfr. Cass. Pen., sez.III,
9.12.98).
Il mutamento di destinazione d’uso con o senza opere edilizie ha dato vita a contrasti in dottrina e
giurisprudenza nel sistema precedente.
Secondo la giurisprudenza penale il mutamento di destinazione d’uso con opere era equiparabile al reato di
costruzione senza concessione.
L’art.25 della l.n.47/85 (come modificato dalla l. n. 662/96) stabiliva che le Regioni, determinassero con
propria legge, i casi in cui il mutamento di destinazione d’uso connesso o meno a trasformazione fisiche
fosse soggetto ad autorizzazione o a concessione.
Venuto meno il titolo autorizzatorio con il nuovo testo unico, l’art.10, co.2, sancisce che le Regioni
stabiliscono sempre con legge, quali mutamenti di destinazione d’uso di immobili o loro parti, connessi o
meno a trasformazioni fisiche, siano subordinati a permesso di costruire o a d.i.a.
Ne deriva che il mutamento di destinazione d’uso integrerà il reato di cui all’art.44, lett.b) se soggetto, in
base a legge regionale, al permesso di costruire (non rilasciato); viceversa se assentibile mediante d.i.a., in
caso di omessa attivazione della procedura, rimarrà al fuori dell’area penalmente rilevante.
3.4. L’art.44 lett. c).
Il reato contravvenzionale in esame è previsto – come già esposto in precedenza – in caso di lottizzazione
abusiva di terreni a scopo edilizio e nel caso di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico,
artistico, archeologico, paesistico ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità ed in assenza del
permesso, prevedendo l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 15493 a 51645 euro. La norma si presenta
meramente riproduttiva dell’art.20 lett. c) L.n.47/85.
Cosa si deve intendere per lottizzazione abusiva?
Ai sensi dell’art. 30 T.U., essa va definita come abusiva quando via sia inizio di opere che comportino
trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici o
comunque dettate da leggi statali o regionali ovvero senza alcuna autorizzazione, come nella
predisposizione della stessa mediante il frazionamento e la cessione in lotti dei terreni e che in relazione
alla natura e alla destinazione di questo denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo
edificatorio.
L’interesse protetto dalla norma è l’ordinato sviluppo dell’assetto territorio in conformità agli strumenti
urbanistici avuto particolare riguardo alle necessarie infrastrutture ed all’assunzione dei relativi oneri. Dalla
ricostruzione del bene giuridico tutelato, scaturisce che il reato è a forma libera potendo essere realizzato
mediante qualsiasi utilizzazione del terreno in violazione degli strumenti urbanistici.
L’art.30 ha individuato due fattispecie di lottizzazione abusiva a scopo edificatorio, equiparandole: a) la
lottizzazione materiale, realizzata attraverso l’inizio di opere di trasformazione urbanistico – edilizia senza
autorizzazione o in violazione della normativa vigente e delle prescrizioni degli strumenti urbanistici; b) la
lottizzazione giuridica o cartolare con la quale la trasformazione avviene attraverso il frazionamento e
vendita dei terreni in lotti che per numero e caratteristiche e per l’eventuale previsione di opere di
urbanizzazione denuncino in modo non equivoca la loro destinazione a scopi edificatori.
La disposizione incriminatrice, attraverso una valorizzazione di circostante indizianti espressamente
specificate, ribadisce l’estensione della tutela penale a condotte che di per sé potrebbero non preludere ad
una trasformazione urbanistica del territorio.
Il reato di lottizzazione abusiva ha natura dolosa per la cui sussistenza è necessario che l’evento sia previsto
e voluto dall’agente, quale conseguenza della propria condotta cosciente e volontaria, diretta a limitare e
condizionare, con ostacoli di fatto o di diritto, la riserva pubblica di programmazione territoriale (cfr.
Cass.pen., sez.un., 3.2.1990).
La successiva approvazione del piano di recupero urbanistico non può configurare una ipotesi di sanatoria
della lottizzazione in quanto trattasi di fattispecie non prevista dalle disposizioni regolanti la sanatoria
edilizia contenuta nella l.n.47 (ora T.U.), e da quelle che prevedono il condono ex lege n.724/1994; del pari
deve escludersi la configurabilità di una causa di giustificazione ex post atipica non contemplata dal codice
penale (cfr. Cass. Pen. Sez. III, 29.08.2002 in Urbanistica ed appalti 2002, 159).
Il reato di lottizzazione abusiva ha natura di reato permanente, a condotta libera e progressivo nell’evento,
che giunge a compimento solo con la ultimazione delle costruzioni. La permanenza cessa solo quando
l’intero programma lottizzatorio viene attuato, cioè all’epoca di realizzazione dell’ultima opera, sia essa una
costruzione abusiva oppure un opera di urbanizzazione primaria o secondaria. Qualora si tratti di
lottizzazione negoziale l’azione non si esaurisce nella redazione di atti diretti al frazionamento della
proprietà, ma permane durante tutto il tempo necessario per effettuare le singole compravendite e tutte le
attività conseguenti ed indispensabili.
L’art.44 lett.c) secondo periodo, punisce come reato autonomo gli interventi edilizi eseguiti in assenza, in
totale difformità o in variazione essenziale dal permesso in zone vincolate.
Gli abusi commessi in zone sottoposte a vincolo idrogeologico rientrano nell’ipotesi di cui alla lett. b)
dell’art.44 e non in quello della lett. c), in quanto tale vincolo, non espressamente menzionato nella norma
non ha carattere ambientale (cfr. Cass. Pen., sez. III, 22.02.1993).
3.5. Opere eseguite in assenza o in totale difformità dalla d.i.a.
L’esecuzione di opere eseguite in assenza o in totale difformità non è idonea a concretare alcuna fattispecie
di reato, atteso che l’art. 44 parla sempre e solo di permesso e che le norme del testo unico prevedono che
tali interventi non comportino sanzioni penali.
Giova rammentare, in ordine al regime della d.i.a., che a seguito della novella apportata al T.U. n.380/01 dal
D.L.gs. n.301/2002 (di coordinamento del T.U. con le previsioni della legge obiettivo n.443/01), la d.i.a.
semplice e la super d.i.a. rispondono a due logiche di fondo divergenti che determinano conseguenze
diverse sul piano sanzionatorio.
La d.i.a. semplice è titolo abilitativo originario e prioritario per gli interventi edilizi minori. L’interessato ha
la facoltà di chiedere il permesso di costruire anche per tali interventi, ma in tal caso il regime giuridico di
fondo rimane quello della d.i.a..
Da ciò deriva che: a) il permesso di costruire è meramente facoltativo;b) è gratuito come la d.i.a.; c) dalla
violazione del permesso di costruire non conseguono sanzioni penali, come non ne conseguono dalla
violazione della d.i.a. semplice.
Nel caso di super d.i.a., invece, che ha ad oggetto interventi edilizi maggiori, il regime giuridico è quello del
permesso di costruire, in quanto la super d.i.a. non ha un ambito di applicabilità proprio alternativo al
permesso di costruire.
Sicchè l’interessato ha la facoltà di utilizzare la super d.i.a. in luogo del permesso di costruire ma il regime
giuridico resterà quello del permesso.
Ne deriva che il difetto o la violazione della super d.i.a. è sanzionata in maniera identica anche sotto il
profilo penale al difetto o violazione del permesso di costruire.
Nell’opera di coordinamento del T.U. con la legge obiettivo vengono affrontati due questioni risolte
diversamente dal T.U. e dalla legge obiettivo: a) quello dell’onerosità o gratuità della d.i.a.;
b) quello dell’ambito della potestà legislativa regionale.
Il primo viene affrontato distinguendo tra d.i.a. semplice, confermando la versione del T.U. in termini di
gratuità - salvo che la Regione la configuri in termini onerosi - e super d.i.a. riconoscendole carattere
oneroso.
La tematica dell’ambito della potestà legislativa regionale viene affrontata accogliendo la soluzione
introdotta dalla l. n.166/02.
Si demanda, perciò, alla Regione il potere di stabilire il confine tra d.i.a. e permesso di costruire, ampliando
o riducendo l’ambito della d.i.a. rispetto a quanto previsto dal legislatore statale.
Nonostante tale previsione, si ribadisce che il regime penale stabilito dalla legge statale resta invariato : ciò
significa che anche se le Regioni liberizzino l’attività edilizia, sottoponendo a d.i.a. interventi che per legge
statale ricadono in regime di permesso di costruire, permangono le sanzioni penali. Viceversa, ove le
Regioni inaspriscano il regime edilizio, sottoponendo a permesso di costruire, interventi precedentemente
sottoposti a d.i.a. la condotta dell’intervento edilizio senza titolo o in violazione dello stesso rimane
penalmente rilevante. Va rilevato che l’accurata opera di coordinamento operata dal citato D.L.gs, ha
ricondotto nell’ambito costituzionale un istituto che è stato strumentalizzato da alcune Regioni per fini
impropri, mostrando di rispettare il nuovo art.117 Cost. e riconoscendo una competenza legislativa
concorrente dello Stato e della Regione in materia di urbanistica ed edilizia.
Giova, infine, rammentare che gli interventi abusivi in quanto privi di d.i.a. o completamente difformi da
questa sono sanzionati con una misura pecuniaria pari al raddoppiato valore venale dell’immobile (in ogni
caso non meno di un milione) ed, ove si tratti di restauro o di risanamento conservativo su immobili
vincolati, con il ripristino a cura e spese del responsabile, colpito anche da una sanzione pecuniaria da uno a
venti milioni di lire.
Ripristino e sanzione pecuniaria sono alternativamente previsti per analoghi interventi su immobili anche
non vincolati ricompresi in zona A, D.M. 2.4.68 n.1444 cit. (cfr.art.37 co. 1,2,3, mentre una sanzione
pecuniaria da uno a dieci milioni di lire è prevista per l’ipotesi di sanatoria di cui al co.4 stesso articolo e la
spontanea d.i.a. in corso d’intervento implica il pagamento di una misura pecuniaria fissa di un milione,
laddove l’omessa d.i.a. comporta le sanzioni di cui agli artt.31,33,34,35,36 e 44).
4 LA DEMOLIZIONE ORDINATA DAL GIUDICE PENALE
L’ultimo comma dell’art.31 del T.U. stabilisce che il giudice penale con la sentenza di condanna dispone la
demolizione delle opere abusive.
A tale provvedimento è stata riconosciuta natura amministrativa ed è stato previsto dalla L. n.47/85 al fine
di sopperire all’inerzia dell’Amministrazione comunale nel reprimere gli abusi. Tuttavia, lo stesso non può
essere considerato come un ordine impartito a quest’ultima, posto che “la sua esecuzione è demandata al
P.M. e al giudice dell’esecuzione nei loro rispettivi ruoli. (cfr. Cass. S.S.UU. 19.06.1996).
L’esecuzione dell’ordine del giudice penale non può, comunque, avvenire prescindendo dalle vicende
amministrative. Tuttavia è da registrare la presenza di pronunzie contrastanti, alcune delle quali hanno, ad
es., ritenuto ininfluente nei confronti della sua efficacia la sospensiva disposta dal giudice amministrativo
dell’analogo provvedimento del Comune; altre, viceversa, hanno sostenuto il contrario.
Inoltre, va segnalato che l’emanazione di un provvedimento, ad es. il rilascio da parte del Comune di una
concessione in sanatoria che legittimi a posteriori l’intervento abusivo, impedisce la concreta esecuzione
dell’ordine del giudice penale, anche quando la relativa sentenza sia passata in giudicato (cfr. Corte Cost.
ord. 12.03.1998 n.56).
5. L’ACCERTAMENTO IN CONFORMITA’
L’art.36 T.U., riproducendo quanto originariamente prescritto dall’art.13 L. n.47/85 stabilisce che fino al
termine concesso dal dirigente per demolire un’opera abusiva o comunque, “fino all’irrogazione delle
sanzioni amministrative” il responsabile, pagando una sanzione pecuniaria pari al doppio del contributo di
concessione, può ottenere il rilascio del permesso in sanatoria qualora “l’opera abusiva è conforme agli
strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati, sia al
momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della domanda”.
Al fine del conseguimento del permesso in sanatoria occorre la c.d. doppia conformità dell’intervento
ovvero che lo stesso sia conforme alla disciplina edilizia e urbanistica vigente sia al momento della sua
realizzazione, sia al momento della presentazione della domanda.
Ne deriva che l’accertamento in conformità è uno strumento di regolarizzazione dei soli abusi edilizi
formali, destinato a porre rimedio alla mancata tempestiva acquisizione del titolo abilitativi idoneo a
legittimare l’intervento.
Accanto all’accertamento in conformità disciplinato dalla legge, la prassi applicativa degli uffici tecnici
comunali ha introdotto un’ulteriore ipotesi di sanatoria, che prescinde dalla doppia conformità alla
disciplina edilizia ed urbanistica ed ha riguardo solo alla disciplina vigente al momento del rilascio del
provvedimento in sanatoria.
Si tratta, secondo la giurisprudenza, di un istituto desumibile dai principi di buon andamento, economicità e
ragionevolezza dell’azione amministrativa. (cfr. Cons. St., V, 13.02.1995, n.238).
Ove, infatti, la disciplina urbanistica ed edilizia attuale renda possibile la realizzazione di un intervento
corrispondente a quello eseguito in precedenza senza titolo, non avrebbe alcun senso ordinare la
demolizione dell’opera già realizzata per poi autorizzare l’esecuzione di un’opera identica.
A suffragare la legittimità della c.d. sanatoria giurisprudenziale soccorre l’istituto generale del
provvedimento amministrativo in sanatoria. La verifica della conformità delle opere abusive alla disciplina
in vigore al momento del rilascio del provvedimento richiesto a posteriori, costituisce condizione sufficiente
per il rilascio di una sanatoria, accompagnata comunque da una sanzione pecuniaria che, in via analogica,
può applicarsi nella misura fissata dall’art.36 T.U.
Vanno, altresì, segnalate alcune pronunce che hanno ammesso, talvolta, il responsabile dell’abuso a
regolarizzare anche opere parzialmente difformi dalla disciplina urbanistica vigente al tempo della loro
realizzazione o della presentazione della domanda, con un provvedimento in sanatoria contenente
prescrizioni di adeguamento dell’edificato, mediante nuovi lavori, alla disciplina vigente al momento del
suo rilascio.
5.1. La sospensione dell’azione penale
Il primo comma dell’art.45 T.U. (riproduttivo dell’art.22 co.1,3 l.n.47/85), stabilisce che l’azione penale
rimane obbligatoriamente sospesa fino a che non siano esauriti i procedimenti amministrativi di sanatoria
disciplinati dall’art.36 T.U.
Quanto al concetto di esercizio dell’azione penale si rinvia a quanto prescritto dall’art. 60 c.p.p.. In questa
sede, è sufficiente precisare che la proposizione dell’istanza di sanatoria non determina la sospensione
delle indagini preliminari che precedono l’esercizio dell’azione penale.
La sospensione del processo scatta solo con riferimento al procedimento amministrativo attivato per il
rilascio dell’accertamento in conformità e non già con riferimento a quello giurisdizionale: a ciò consegue
che tale sospensione è limitata allo spirare del termine di 60 giorni decorrente, ai sensi dell’art.36 u.c. cit.,
dalla richiesta del permesso in sanatoria (che può essere inoltrata non oltre il momento dell’irrogazione
delle sanzioni amministrative ex art.36, co.1 cit.).
Decorso detto termine senza che la domanda sia stata accolta, la stessa si intende respinta, per cui il
procedimento amministrativo è concluso e potrà riprendere quello penale.
La possibilità che il privato impugni il diniego espresso o tacito innanzi al g.a. non comporta la sospensione
del procedimento penale. Parimenti si è escluso che l’accoglimento da parte del g.a. dell’istanza di
sospensione dell’ingiunzione a demolire possa determinare la sospensione del procedimento penale
pendente (cfr. Cass. Pen., III,, 06.02.2002).
La sospensione dell’azione penale non sospende i termini prescrizionali per i reati che rimangono insensibili
agli effetti estintivi determinati dal rilascio della sanatoria, diversamente da quanto previsto in materia di
condono edilizio dall’art.38 della L. n.47/85.
6. I SOGGETTI RESPONSABILI
Il reato di costruzione o in difformità o in contrasto con le prescrizioni urbanistiche o edilizie, costituisce un
reato proprio, potendo essere commesso solo dai soggetti contemplati dall’art.29, commi 1 e 2, T.U.
(riproduttivi dei co. 1 e 2 dell’art.6 della L. n.47/85: titolare della concessione, committente, costruttore e
direttore dei lavori, i quali sono anche destinatari di misure amministrative pecuniarie se non provino la
loro estraneità all’abuso (ipotesi di presunzione relativa), mentre il direttore dei lavori incorre in
responsabilità ove non contesti tempestivamente a chi di dovere le violazioni riscontrate (escluse le varianti
in corso d’opera), rinunciando neI casi più gravi (totale difformità o variazioni essenziali) al relativo incarico,
sotto comminatoria di sospensione dal rispettivo albo professionale per un periodo variabile da tre mesi a
due anni.
Tale configurazione non impedisce, tuttavia, il concorso dell’estraneo nel reato proprio, tutte le volte in cui
soggetti diversi dai destinatari degli obblighi previsti dall’art.29 T.U. abbiano compartecipato all’attività
illecita edilizia.
Varie forme di arresto ed ammenda sono previste per il committente, direttore dei lavori o costruttore che
non rispetti le prescrizioni tecniche del nuovo testo unico, come pure il produttore in serie di manufatti, il
costruttore che ometti o ritardi denunce, il direttore dei lavori che non conservi i prescritti documenti in
cantiere, il collaudatore ritardatario e chi consenta l’uso di manufatti ancora non collaudati (artt.71 –75
T.U.).
7. ELEMENTO PSICOLOGICO DEI REATI URBANISTICI
I reati previsti dall’art.44 T.U., essendo contravvenzioni, sono punibili indifferentemente sia a titolo di dolo
che di colpa, ex art.42, co.4, c.p.
Tanto il dolo che la colpa devono essere effettivamente riscontrabili, apparendo oramai superato l’indirizzo
giurisprudenziale che riteneva sufficiente la mera coscienza e volontà della condotta o una presunzione
iuris et de iure di colpevolezza.
8. ULTERIORI NULLITA’
L’art. 46 T.U. sancisce la nullità degli atti di trasferimento della proprietà e dei diritti reali – con correlative
responsabilità dei notai roganti ai sensi dell’art.47 - aventi ad oggetto edifici o loro parti qualora dagli stessi
non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire, anche se rilasciato in
sanatoria.
Tale norma ha voluto porre un freno all’abusivismo edilizio decretando la sostanziale incommerciabilità
degli immobili costruiti senza titolo abilitativi.
Un ulteriore ostacolo al fenomeno è costituito dal divieto “per le aziende erogatrici di servizi pubblici di
somministrare le loro forniture per l’esecuzione di opere prive di permesso, nonché ad opere prive di titolo
abilitativi iniziate dopo il 30 gennaio 1977 e per le quali non siano stati stipulati contratti di
somministrazione anteriormente al 17 marzo 1985”.
Preme, infine, evidenziare che l’art.30 T.U. sanziona con la nullità gli atti (pubblici o scritture private) tra vivi
privi di certificato di destinazione urbanistica relativi ai terreni (di non meno di 5.000 m.q.) oggetto di
lottizzazioni abusive.