GIACOMO COCCOLINI L’etica come ospitalità in Jacques Derrida L’attualità interrogata In questi ultimi mesi la questione degli stranieri, dell’ospitalità ad essi dovuta, dell’integrazione e di ciò che che essa effettivamente significa è salita alla ribalta delle cronache. Politici, intellettuali, opinionisti e persino uomini di chiesa si sono sono interrogati, a partire da fatti di cronaca segnati anche dalla tragedia, sull’impatto e sugli effetti delle culture straniere (soprattutto quella islamica) su quella occidentale ed, in particolare, italiana1. Il mondo in cui noi viviamo, facendosi sempre di più uno, ha mostrato interdipendenze e rapporti che si pensavano indolore, da viversi all’insegna di un ottimismo delle differenze2, ma nei cui confronti, invece, ciascuno risulta messo radicamente in questione nella propria identità, nelle proprie credenze e nei propri stili di vita. La globalizzazione3, troppo spesso intesa soltanto come possibilità economica da esportare su scala planetaria secondo il paradigma neoliberista, ha messo definitivamente in chiaro che la posta in gioco che essa evidenzia è di ordine culturale: l’incontro con persone di culture diverse dalla propria pone urgentemente la necessità di ripensare da capo le fondamenta della convivenza - quel vivere-cum in cui risiede il futuro dell’Europa4. Pubblicato in: Rivista di teologia morale 129(2001),77-85. 1 Un caso significativo, in ambito laico, è il dibattito suscitato in Italia dalla pubblicazione del volume di G. SARTORI, Pluralismo, multiculturaliamo e estranei. Saggio sulla sociatà multietnica, Rizzoli, Milano 2000. Per quanto riguarda, invece, l’ambito religioso, anzi, cattolico, il testo di riferimento è l’intervento del cardinal G. Biffi, Arcivescovo di Bologna, dal tiolo Sulla immigrazione, Elledici, Torino 2000, che aveva già trovato una prima espressione nella Nota pastorale La città di San Petronio nel terzo millennio, EDB, Bologna 2000, 21 sgg. Tale documento andrebbe poi contestualmente inserito all’interno di una più ampia sottolineatura dei contenuti centrali della religione cattolica, che è stata espressa nella dichiarazione «Dominus Iesus», pubblicata ne L’Osservatore romano, 6 settembre 2000. In un certo senso, si può affermare che questi testi assumono un significato teologico-politico di grande rilievo ancora tutto da interrogare! 2 Per una messa in discussione critica di tale plesso di questioni cfr. G. MARRAMAO, Dopo il Leviatano. Individuo e comunità nella filosofia politica, Giappichelli, Torino 1995. 3 Cfr. il FORUM dal titolo «Globalizzazione», in Rivista di teologia morale 127(2000), 323359 (con contributi di L. Biagi, E. Chiavacci, M. Vidal, L. Lorenzetti). 4 Di grande impatto sull’ergomento sono i saggi contenuti nell’Almanacco di filosofia (2/2000) che potrebbero essere letti anche in questa prospettiva geo-politica. Sull’argomento cfr. anche M. CACCIARI, Geofilosofia dell’Europa, Adelphi, Milano 1994 e 2 E’ in questa prospettiva che la riflessione filosofico-politica del filosofo francese contemporaneo Jacques Derrida5, nato a El Biar (Algeria) nel 1930, ha assunto nel panorama filosofico attuale un indice di rilevanza di tutto rispetto in quanto, per suo tramite, possono essere sottolineate e ripensate una serie di problematiche che trovano nell’elaborazione di un’etica dell’ospitalità o, per meglio dire, di un’etica come ospitalità6, la punta di diamante di un cammino di pensiero spregiudicato, che ha di mira una decostruzione ed una rielaborazione radicale di quelle categorie etico-poliche su cui l’Europa si è fino ad oggi pensata7. In questo breve contributo, si cercherà di offrire una sintesi delle riflessioni compiute da Derrida su tale questione, tenendo presente il fatto che esse, muovendo da esperienze assolutamente concrete, quando non addirittura politiche8, cercano di pensare (anzi: di toccare9), tramite la riflessione, quell’incontro tra persone, culture, linguaggi, etnie e religioni che caL’arcipelago, Adelphi, Milano 1997 che anticipano in grande stile l’odierno dibattito sulla società multiculturale. Cfr. U. REGINA(a cura di), La Libertà nell’unità delle differenze, Il Po- ligrafo, Padova 2000. 5 Per una prima ricostruzione sintetica del percorso filosofico di Derrida, cfr. M. VERGANI, Jacques Derrida, Bruno Mondadori, Milano 2000. Va qui ricordato che, a partire dal 1980, sono stati organizzati in Francia una serie di convegni in onore di Jacques Derrida: nel 1980 a Cerisy, Les fins de l’homme. A partir de Jacques Derrida, Galilée, Paris 1981; nel 1990 a Royaumont, L’etique du don. Jacques Derrida et la pensée du don, MétailiéTransition, Paris 1992; nel 1992 a Cerisy, Le passage des frontières: autour du travail de Jacques Derrida, Galilée, Paris 1994; nel 1997 a Cerisy,L’animal autobiographique, Galilée, Paris 1999. 6 Fondamentale, per quanto verremo dicendo, è il contributo di C. RESTA, «Le leggi dell’ospitalità. Etica e politica nell’ultimo Derrida», in L. BONESIO (a cura di), Orizzonti della geofilosofia, Arianna Editrice, Bologna 2000, 27-54. 7 J. DERRIDA, Oggi l’Europa, Garzanti, Milano 1991. 8 L’interesse, per così dire, engagé, è sempre stato una costante della vita e della riflessione di Derrida, ma è soprattutto a partire dagli anni ‘90 che il suo impagno in tale senso risulta essere davvero senza tregua. Attraverso libri e interventi pubblici sui giornali, egli ha preso posizione sul tema dell’immigrazione, sulla Guerra del Golfo, sull’identità europea, sui conflitti etnici e sulla teletecnologia. Ha affrontato anche il tema degli intellettuali algerini e la difesa degli scrittori persequitati nel mondo - partecipando al Parlament international des écrivains di Strasburgo (cfr. Autodafè, 1(2000) -, come S. Rushdie, B. Dao, N. Mahfouz, Y. Kemal. E’ Intervenuto sul lavoro compiuto dalla commissione ‘Verità e riconciliazione’, prsieduta dal vescovo Desmond Tutu, e ad Auschwitz ha tenuto una conferenza sul perdono. Cfr. J. DERRIDA, Sur parole. Instantanés philosophiques, Ed. de l’Aube, Paris 1999. 9 Di grande importanza nel percorso filosofico di Derrida è la riflessione compiuta da un altro filosofo francese contemporaneo - Jean-Luc Nancy - che ha elaborato una vera e propria ontologia ‘tattile’, ‘aptica’, contrapposta a quella ‘eidetica’ della metafisica occidentale. Cfr. J. DERRIDA, Le toucher. Jean-Luc Nancy, Galilée, Paris 2000. 3 ratterizza l’esistenza di ogni singola persona, che si palesa sempre come «singolare plurale»10. L’altro che viene Il percorso filosofico di Derrida, se considerato in modo puramente esteriore, sembrerebbe caratterizzato dal passaggio da una prospettiva strutturalista-decostruzionista, avente come obiettivo una messa in chiaro dei propri fondamenti metafisici (mediante una rimeditazione delle grandi proposte filosofiche novecentesche quali la fenomenologia, l’ermeneutica, la psicoanalisi, lo strutturalismo - e questo, grosso modo, fino agli anni ‘80), verso una prospettiva etico-politica (con una sempre più accentuata riflessione sulle questioni del’ospitalità, dell’amicizia, del perdono, della giustizia e dell’enucleazione di una democrazia futura - e questo a partire dagli anni ‘80 in poi)11. Ad uno sguardo più attento, invece, è possibile notare la profonda unità e coerenza del cammino di pensiero di Derrida, che ha trovato nella (pratica della) decostruzione12, e nei suoi lasciti husserliani, heideggeriani e nietzscheani, il luogo a partire dal quale ridiscutere quel particolarissimo rapporto con il «mondo», che si caratterizza come uno degli elementi portanti della fenomenologia. In tutta una serie di contributi miranti a porre tra loro in relazione decostruzione e fenomenologia13, egli ha messo radicalmente in questione alcuni dei presupposti metafisici della fenomenologia husserliana (il presupposto del trascendentalismo; dell’evidenza; della datità immediata del fenomeno alla coscienza e della coscienza a se stessa) e, così facendo, ha reso il «mondo» non qualcosa di direttamente costruito dall’Io ma, al contrario, qualcosa che in larga misura viene incontro all’uomo in una sorta di differenza originaria. L’uomo - afferma Derrida - non costruisce il senso del mondo, e neppure vive in un rapporto originario, naturale, con esso, ma lo trova coJ.-L. NANCY, Être singulier pluriel, Galilée Paris 1996. «La decostruzione, ho dovuto spesso insistervi, non è un affare discorsivo o teorico, ma pratico-politico e si produce sempre in strutture dette (un po' in fretta e sommariamente) istituzionali» (J. DERRIDA, «Du tout», in ID., La carte postale. De Socrate à Freud et au-delà, Aubier-Flammarion, Paris 1980, 536. Il n. 2(1999) della rivista «Fenomenologia e società» dedicato a Jacques Derrida, porta significativamente come sottotitolo «Dalla fenomenologia all’etica»! 12 Cfr. R. DIODATO, Decostruzionismo, Ed. Bibliografica, Milano 1996. 13 Cfr. M. VERGANI, Jacques Derrida, op. cit., 22 sgg. affronta direttamente la questione del rapporto di Derrida con la fenomenologia, presentando i testi centrali della sua Auseinadersetzung con essa Cfr. più in generale J. DERRIDA, De la phénomenologie, in ID., Sur parole. Instantanés philosophique, Editions de l?Aube, Paris 89 sgg. 10 11 4 me qualcosa che gli si fa continuamente incontro nella sua eventualità, sorprendendolo con la sua alterità. In questa esperienza, che si potrebbe chiamare a giusta ragione «iperfenomenologica»14, Derrida vuole esprimere l’idea che «nulla si dà da sé, senza rapporto all’altro, né presentemente “in quanto tale”»15, e che cioè il mondo è già da sempre nell’io, la differenza già da sempre nell’identità e che l’altro, plurale e improgrammabile, viene costantemente a contaminare e rendere evanescenti quei margini che lo stesso io vorrebbe erigere quali barriere di difesa alla propria identità16. Già a questo primo livello, che potremmo chiamare astrattamente filosofico, si può vedere come da parte di Derrida la decostruzione divenga riflessione etico-politica radicale in cui l’appello, la chiamata e la voce dell’altro che abita il proprio, messa radicalmente in discussione da una serrata critica alla metafisica della soggettività, viene rigiocata in vista di una sorta di «etica originaria», in cui vige la «legge dell’impossibile», l’«esperiena dell’impossibilità»17, già in nuce racchiusa, appunto, nella riflessione sulla genesi (plurale) del senso (cioè, dell’identità). Se - come afferma sempre Derrida - il problema etico consiste nel «fare in modo che l’incondizionato accada»18, già nel tentativo di pensare quanto viene originariamente donato all’uomo, senza che egli ne possa disporre, è in gioco quella «struttura d’ostaggio» su cui l’etica deve fondarsi19. Come è stato correttamente compreso: «La legge dell’ospitalità non è patrimonio di alcuna tradizione, è l’essere in decostruzione del proprio, è la legge della genesi del soggetto, del proprio, la legge della genesi tout court, della sopravvivenza, della generazione, dell’eredità e della tradizione stessa»20. Etica come ospitalità E’ a partire da queste riflessioni, in cui l’eredità fenomenologica viene decostruita e ripensata in modo tale da chiarire che l’uno risulta già da sempre assegnato all’altro, senza essere per nulla dialettizzabile21, che Derrida, incrociando a partire dalla metà degli anni Sessanta l’opera del M. VERGANI, Jacques Derrida, op. cit., 117. M. VERGANI, Jacques Derrida, op. cit., 36. 16 Cfr. J. DERRIDA, Margini della filosofia, Einaudi, Torino 1997. 17 J. DERRIDA, «L’ordine della traccia (intervista a cura di Gianfranco Dalmasso)», in Fenomenologia e società, op. cit., 14. 18 J. DERRIDA, , «L’ordine della traccia (intervista a cura di Gianfranco Dalmasso)», in Fenomenologia e società, op. cit., 15.. 19 J. DERRIDA, De l’hospitalité, Calmann-Lévy, Paris 1997, 66. 20 M. VERGANI, Jacques Derrida, op. cit., 121. 21 J. DERRIDA, La «différance», in ID., Margini della filosofia, op. cit., 51: «E’ forse così che il gioco eracliteo del en diapheron eautô, dell’uno differente da sé, in dissidio con sé, si 14 15 5 crociando a partire dalla metà degli anni Sessanta l’opera del filosofo ebraico Emmanuel Levinas, si è appropriato in modo sempre più produttivo della nozione di ospitalità, assolutamente centrale per pensare ‘altrimenti’ la venuta dell’altro e l’idea della legge a cui l’ospite deve sottostare. Se nel primo testo del 1964 - Violenza e metafisica. Saggio sul pensiero di Emmanuel Lévinas22 -, dedicato ad una discussione del volume levinasiano Totalità ed infinito, Derrida sottolinea i meriti innovativi di questo filosofo, riconoscendo nel contempo i limiti della sua proposta filosofica, è nel secondo testo del 1980 - En ce moment même dans cet ouvrage me voici23, in cui rilegge Altrimenti che essere o aldilà dell’essenza - e, soprattutto, negli ultimi due, del 1995 e del 1996 - Addio a Emmanuel Levinas e La parola d’accoglienza24 che Derrida sembra avvicinarsi in modo maggiormente empatico a questo filosofo il quale, proprio con Totalità e infinito, ci avrebbe lasciato «in eredità un immenso trattato sull’ospitalità», specialmente là dove, nelle pagine conclusive di questo libro, «l’ospitalità diventa il nome stesso di ciò che si apre al volto, di ciò che, più precisamente, l’“accoglie”. Il volto si offre sempre ad un’accoglienza e l’accoglienza accoglie solo un volto» 25. Da questo momento in poi, Derrida non smetterà più di girare attorno alla nozione di ospitalità, decostrundo costantemente ciò che in esso resta ancora troppo legato all’idea di proprietà di cui il soggetto sarebbe in qualche modo padrone. Se l’ospite, entrando in casa di altri, entra in qualche modo in un mondo che non gli appartiene, che gli è estraneo, colui che ospita26 deve perde già come una traccia nella determinazione del diapherein come differenza ontologica». Cfr. sulla questione M. VERGANI, «En diapheron eautô. Derrida ed Eraclito», in Fenomenologia e società, op. cit., 129-136. Derrida si confronta con la dialettica platonica (tra i moltissimi testi sull’argomento vanno ricordati: «La farmacia di Platone», in ID., La disseminazione, Jaca Book, Milano 1989, 101-197; e «Khôra», in ID., Il segreto del nome, Jaca Book, Milano 1997, 41-86) e la dialettica hegeliana (di cui vanno ricordati Glas. Que restet-il du savoir absolu?, Galilée, Paris 1974; «Dall’economia ristretta all’economia generale. Un hegelismo senza riserve», in ID., La scrittura e la differenza, Einaudi, Torino 1990, 325358; «Il pozzo e la piramide. Introduzione alla semiologia di Hegel», in ID., Margini della filosofia, op. cit., 105-152. 22 J. DERRIDA, «Violenza e metafisica. Saggio sul pensiero di Emmanuel Lévinas», in ID., La scrittura e la differenza, op. cit., 99-198. 23 J. DERRIDA, En ce moment même dans cet ouvrage me voici, in ID., Psyché. Inventions de l’autre, Galilée, Paris 1987, 159-202. 24 Pubblicati in J. DERRIDA, Addio a Emmanuel Levinas, Jaca Book, Milano 1998. 25 J. DERRIDA, Addio a Emmanuel Levinas, op.cit., 83. 26 J. DERRIDA, «La parola d’accoglienza», in ID., Addio a Emmanuel levinas, op. cit., 103, scrive: «L’ospite che riceve (host), colui che accoglie l’ospite invitato o ricevuto (guest), l’ospite che accoglie e che si crede propietario di luoghi, è in verità un ospite ricevuto nella propria casa. Egli riceve l’ospitalità che offre nella propria casa, la riceve dalla propria casa 6 in qualche modo, se vuole veramente praticare la legge dell’ospitalità, accogliere l’altro, facendolo sentire a casa propria, dandogli luogo, in modo assoluto e incondizionato. Mettendo a tema l’«arrivant, (...). Il «nuovo arrivante» - «nome che può designare, certo, la neutralità di ciò che arriva, ma anche la singolarità di chi arriva, colui o colei che viene, capitando là dove non lo si attendeva, dove lo si attendeva senza attenderlo, senza attenderselo, senza sapere cosa o chi attendere, ciò che o chi attendo - ed è l’ospitalità stessa, l’ospitalità dell’evento»27, Derrida riflette con forza sull’incondizionatezza dell’ospitalità, su quel gesto nei confronti dell’altro che, soltanto, consente di lasciarlo essere, nella sua inappropriabilità. Non soltanto colui che arriva non ha nome, non ha un’identità prefissata (ed è per questo motivo che proprio nel volto dello straniero, dell’estraneo, viene rimesso in discussione proprio quel mondo da cui chiede di essere ospitato); ma, si chiede Derrida: non è forse vero che «l’ospitalità comincia con l’accoglienza senza domanda alcuna»? Non è forse vero che «l’ospitalità si offre, si dona all’altro prima che egli si qualifichi, prima ancora che sia (posto o supposto) soggetto, soggetto di diritto e soggetto nominabile col suo cognome?» 28 Se questo è vero - e già qui comincia a percepirsi tutta la distanza che intercorre tra le domande radicali portate avanti da Derrida e le risposte a poco prezzo che troppo spesso in questi tempi abbiamo sentito -, non è un caso che, riflettendo problematicamente sulle ricerche etimologiche condotte da E. Benveniste sui termini hostis, hospes e hosti-pet29, Derrida rimarchi un nesso strettisimo tra ‘ospite’ e ‘nemico’ (come a dire che lo straniero viene accolto come ospite o come nemico)30. Ma, allora: quale è la legge dell’ospitalità? Se La legge dell’ospitalità illimitata deve essere incondizionata, se essa, per essere veramente radicale, deve «dare luogo» all’altro, lasciandolo venire «senza domandargli né reciprocità (l’entrata in un patto) né il suo nome»31, che rapporto può esserci tra essa e Le leggi dell’ospitalità, che hanno sempre a che fare con i diritti, i doveri e i patti? Non esiste forse un’antinomia tragica tra La legge dell’ospitalità e Le leggi dell’ospitalità? - che in fondo non gli appartiene. L’ospite come host è un guest. La dimora si apre a se stessa, alla sua “essenza” senza essenza, come “terra d’asilo”. Colui che accoglie è innanzitutto accolto a casa propria». 27 J. DERRIDA, Aporie, Bompiani, Milano 1999, 29-30. 28 J. DERRIDA, Sull’ospitalità, Baldini & Castoldi, Milano 2000, 54-55. 29 E. BENVENISTE, Il vocabolario delle istituzioni europee, vol. I, Einaudi, Torino 1976, 64 sgg. 30 J. DERRIDA, Sull’ospitalità, op.cit., 64. 31 J. DERRIDA, Sull’ospitalità, op.cit., 53. 7 Quale rapporto potrà essere istituito, teoreticamente e praticamente, tra il gesto dell’accoglienza, assoluto e incondizionato, in cui si esprime l’etica come ospitalità - quel gesto di giustizia in cui si declina «l’esperienza dell’altro come altro, il fatto che lascio l’altro essere altro»32-, e le leggi particolari dell’ospitalità (le procedure e le condizioni particolari poste dalle norme? Diritto e giustizia E’ attraverso queste domande davvero cruciali, che il percorso di riflessione di Derrida è giunto ad interrogarsi in questi ultimi anni sulla rapporto tra diritto e giustizia, girando intorno a quel dissidio che è al cuore di ogni Legge (anche di quella dell’ospitalità)33. Esiste, da un lato, - questo, in sintesi, il ragionamento di Derrida - un ‘diritto’, costruito, fatto di norme e di regole, di momenti ben definiti, a cui chi ospita e chi è ospitato in qualche modo devono sottostare; ed esiste, dall’altro lato, una ‘giustizia’ superiore, assoluta, così intransigente ed urgente da non ammettere costrizioni o regole. Questo dissidio vale per ogni legge, anche per la legge dell’ospitalità! Saremmo più giusti - si domanda Derrida - se accogliessimo incondizionatamente l’altro, senza chiedergli o imporgli nulla (un nome, un’identità, che ne certifichino in qualche modo l’appartenenza34), senza pretendere da lui neppure una risposta nella nostra lingua? o saremmo invece più giusti, se gli chiedessimo di entrare in quel «patto» di ospitalità che il nostro diritto ha deciso di stipulare? Questa la risposta: «L’ospitalità giusta rompe con l’ospitalità di diritto; non che la condanni o vi si opponga, può anzi metterla e tenerla in un moto incessante di progresso; ma è tanto stranamente diversa dall’altra, quanto la giustizia è diversa dal diritto al quale tuttavia è così vicina»35. Come essere giusti con l’altro36? «Come conciliare l’atto di giusizia che deve sempre concernere una singolarità, degli individui, dei gruppi, delle esistenze insostituibili, l’altro o me come l’altro, in una situazione unica, con la regola, la norma, il valore o l’imperativo di giustizia che hanno necessariamente una forma generale, anche se questa generalità prescrive J. DERRIDA - B. STIEGLER, Ecografie della televisione, Cortina, Milano 1997, 23. J. DERRIDA, Pre-giudicati. Davanti alla legge, Abramo, Catanzaro 1996. 34 J. DERRIDA, Sull’ospitalità, op.cit., 50: «Si tratta in qualche modo di saper se il patto, il contratto d’ospitalità che lega allo straniero e che lega a sua volta lo straniero vada oltre l’individuo, e si estenda alla famiglia, alla generazione, alla generazione». 35 J. DERRIDA, Sull’ospitalità, op.cit., 53. 36 Fondamentale in tal senso è il contributo di G. CATELLANI, «Comunità e giustizia», in R. PANATTONI (a cura di), La comunità. La sua legge , la sua giustizia, Poligrafo, Padova 2000, 169-193. 32 33 8 un’applicazione ogni volta singolare?»37 Questo è il problema a cui ogni politica dell’immigrazione, ogni etica dell’ospitalità giusta deve corrispondere, tenendo però fermo questo riferimento alla giustizia assoluta! Proprio perchè il diritto è sempre frutto di elaborazione, costruito, è anche sempre e necessariamente decostruibile, attraverso quel principio dell’ospitalità incondizionata, in quell’«intervallo», che rende possibile «un’esperienza dell’impossibile»38. Ma dal momento che l’altro sta-sempre-per-venire, l’ospitalità, così come la giustizia con cui lo ‘devo’ trattare, deve essere infinita, come una sorta di «dono senza restituzione, senza riappropriazione e senza giurisdizione»39. «Infatti, per essere ciò che “deve” essere, - dice ancora Derrida - l’ospitalità non deve pagare un debito, né essere pretesa come dovere: di pura cortesia, non “deve” essere offerta all’ospite [invitato o visitatore] né “conformemente al dovere” e neppure, per usare ancora la distinzione kantiana, “per dovere”. Tale legge incondizionata dell’ospitalità, se così possiamo pensarla, sarebbe dunque una legge senza imperativo, senza ordine e senza dovere. Una legge senza legge, insomma. Qualcosa che fa fare senza esigere. Poichè se pratico l’ospitalità per dovere [e non soltanto conformemente al dovere], quest’ospitalità di adempimento non è più un’ospitalità assoluta, non è più cortesemente offerta al di là del debito e dell’economia, offerta all’altro, un’ospitalità inventata per chi arriva, per il visitatore imprevisto considerato nella sua unicità»40. La politica Essere giusti, allora, è non essere mai abbastanza giusti - una sorta di differimento di quella giustizia che, per essere all’altezza di sè stessa, deve essere improrogabile, quasi un eccesso che preme, un’imminenza che urge, mai presente, ma che non vuole essere rimandata41. Essere ospitali significa praticare questa giustizia, «lasciare l’altro essere altro», consapevoli che la storia dell’ospitalità è anche e sempre «una perversione sempre possibile della Legge dell’ospitalità (che può sembrare incondizionata) e delle leggi che la limitano e la condizionano, iscrivendola in un diritto»42. J. DERRIDA, «Diritto alla giustizia», in VATTIMO - J. DERRIDA (a cura di), Diritto, giustizia, interpretazione, Laterza, Roma-Bari 1988, 3-36, qui 20. 38 J. DERRIDA - B. STIEGLER, Ecografie della televisione, op.cit., 18. 39 J. DERRIDA - B. STIEGLER, Ecografie della televisione, op.cit.,23. 40 J. DERRIDA, Sull’ospitalità, op.cit., 87-88. 41 J. DERRIDA, «Diritto alla giustizia», op.cit., 30. 42 J. DERRIDA, Cosmopoliti di tutti i paesi, ancora uno sforzo!, Cronopio, Napoli 1997, 27. 37 9 Come la giustizia, così anche la politica è chiamata a farsi carico dell’altro, ad accoglierlo, molto meno rassicurata dall’idea di poter «disporre anticipatamente della generalità di una regola (...) come un sapere e un potere che precederebbero, regolandola, la singolarità di ogni decisione, di ogni giudizio, di ogni esperienza di responsabilità applicandoli a dei casi»43. Questa politica, molto spesso ridotta ad organizzazione tecno-scientifica, in cui il calcolo del diritto d’ospitalità tende a prendere il posto dell’incondizionatezza delLa legge dell’ospitalità, è chiamata ad aprirsi all’altro, quasi in un estremo gesto messianisco44, spogliato, però, di ogni caratterizzazione religiosa istituzionale, là dove ogni singolo uomo, «l’arrivante che può arrivare - o non arrivare mai - ma di cui per definizione non devo sapere nulla in anticipo»45, diventa oggetto di un’attesa assoluta. Nell’attesa dell’altro uomo, dell’uomo come l’altro (e nell’altro) che viene, si dà forse quella porta attraverso cui, soltanto, può entrare il Messia46. Come nella sua Assenza , ci ricorda Derrida, egli ci accoglie prima che lo ospitiamo, così l’altro, la sua venuta messianica, «ha sempre una forma intempestiva, profetica o messianica, e non ha bisogno per questo né di clamore né di spettacolo. Essa può restare quasi inapparente»47. J. DERRIDA, Oggi l’Europa, Garzanti, Milano 1990, 48-49: «L’invenzione del nuovo che non passasse attraverso la persistenza dell’antinomia sarebbe pericolosa mistificazione, l’immoralità più la buona coscienza, e talvolt la buona coscienza come immoralità». 44 Sul messianico in Derrida, cfr. C. RESTA, «Le leggi dell’ospitalità», op. cit., 47 sgg. 45 J. DERRIDA - B. STIEGLER, Ecografie della televisione, op.cit.,14. 46 J. DERRIDA - B. STIEGLER, Ecografie della televisione, op.cit.,14. 47 J. DERRIDA - B. STIEGLER, Ecografie della televisione, op.cit.,10. 43
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