Report 2012

 ASPETTI CRITICI DEL SISTEMA DI PROTEZIONE
INTERNAZIONALE IN ITALIA
REPORT
Loredana Leo PREMESSA
Il presente report – aggiornato al luglio del 2012 – si proponeva quale scopo principale quello di
delineare un quadro giuridico e fattuale della situazione di richiedenti asilo e rifugiati in Italia, con
particolare riguardo ai richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale ed umanitaria rinviati
sul territorio nazionale in applicazione del regolamento Dublino II.
Sebbene, come si è detto, l’ultimo aggiornamento del presente report risalga al luglio del 2012 va
rilevato, fin da subito, come la situazione ivi delineata non sia, invero, migliorata ma anzi numerose
ed autorevoli fonti sono del tutto concordi nell’affermare che il sistema di accoglienza di richiedenti
asilo e rifugiati in Italia sia, nel corso degli ultimi due anni, ulteriormente peggiorato.
Sul punto è intervenuto, a più riprese, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati –
UNHCR – il quale ha sottolineato il deterioramento degli standard di accoglienza del sistema
italiano. Nel documento del gennaio 2013 “Italia Paese di protezione?” è dato, infatti, leggere: “In
riferimento alla situazione del sistema asilo italiano, l’UNHCR ha pubblicato nel luglio del 2012
un documento di raccomandazioni, indirizzato alle autorità italiane. Ad alcuni mesi di distanza
corre l’obbligo di sottolineare l’involuzione del sistema d’asilo nel suo complesso, anche in
ragione delle difficoltà poste dalla gestione della cosiddetta ‘Emergenza Nord Africa’”1.
Lo stesso deterioramento del sistema viene riportato in un successivo documento dell’Alto
Commissariato ove l’Unhcr afferma: “Nel 2011, l’arrivo via mare di circa 63.000 persone ha
portato ad un deterioramento degli standard di accoglienza per i richiedenti asilo, che è continuato
nel corso del 2012 e del 2013. Circa 28.000 tra coloro che sono arrivati nel 2011, in particolare
cittadini di Paesi terzi giunti dalla Libia, sono stati incanalati in modo automatico dalle autorità
nella procedura di asilo, creando una considerevole pressione sul sistema d’accoglienza. Prima del
2011, la capacità ricettiva dello stesso sistema d’accoglienza era già stata giudicata insufficiente
per accogliere i richiedenti asilo, nel caso di arrivi particolarmente consistenti.
[…] Le condizioni di accoglienza sono deteriorate anche nei CARA, soprattutto a causa del
sovraffollamento, che si è verificato per il rallentamento del turnover in uscita dai centri, dovuto
sia alla protratta accoglienza di parte di cittadini di Paesi terzi provenienti dalla Libia nel contesto
della cosiddetta ‘Emergenza Nord Africa’, sia all’aumento nel numero di domande d’asilo, e il
conseguente allungamento delle procedure di riconoscimento della protezione internazionale. A
causa di tale pressione sul sistema d’accoglienza il Ministero dell’Interno continua ad incontrare
molte difficoltà nel trovare una sistemazione ai richiedenti asilo in arrivo. Gli standard di
accoglienza nei centri governativi (CPSAs, CARA, CDA e CIE) sono scesi anche a causa dei
1
UNHCR, Italia Paese di protezione?, Roma, gennaio 2013, pag.2;
2 significativi tagli ai finanziamenti, che hanno contribuito a fare sì che, dal 2011, i contratti per la
fornitura dei servizi vengano assegnati esclusivamente secondo il criterio dell’offerta più bassa,
senza che gli aspetti qualitativi vengano presi debitamente in considerazione”2.
Sul punto è, altresì, intervenuta di recente la Commissione straordinaria per i Diritti Umani del
Senato la quale nella risoluzione approvata dalla Commissione sull’Affare assegnato n. 183 (Doc.
XXIV-ter, n.4) parte dall’assunto secondo cui “In Italia, a partire del 2011, si è registrato un
progressivo deterioramento degli standard di accoglienza per i richiedenti asilo, aggravatosi nel
corso del 2012 e del 2013” nonché che “l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati
continua a ricevere segnalazioni relative a richiedenti asilo privati nel nostro paese della
possibilità di accedere in via immediata alle misure di accoglienza loro riconosciute
dall’ordinamento”.
La gravità della situazione dell’accoglienza di richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale
è stata, inoltre, richiamata con forza dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel
discorso di fine anno 2012 nel quale il Presidente, nel richiamare il noto articolo del New York
Times sulle condizioni dei titolari di protezione in Italia3, si domanda: “E’ concepibile che profughi
cui è stato riconosciuto l’asilo vengano abbandonati nelle condizioni che un grande giornale
internazionale ha giorni fa – amaramente per noi documentato e denunciato?”.4
Occorre, altresì, rilevare come sul punto sia intervenuto il Commissario per i Diritti Umani del
Consiglio d’Europa il quale ha, in più occasioni, denunciato la grave situazione italiana, ritenendo
che “la quasi totale assenza di un sistema di integrazione per i rifugiati e gli altri beneficiari della
protezione internazionale abbia determinato un grave problema in materia di diritti umani in
Italia”.5
È necessario, infine, ricordare come il 24 ottobre del 2012 la Commissione Europea abbia aperto
nei confronti dello Stato italiano una procedura di infrazione – N. 2012/2189 – in merito
all’applicazione delle Direttive Europee in materia di protezione internazionale ed il Regolamento
Dublino II. Tale procedura di infrazione risulta, ad oggi, pendente nei confronti dello Stato italiano6
a riprova del fatto che le carenze del sistema di protezione internazionale italiano sono da
considerarsi del tutto endemiche e ancora lungi dall’essere superate.
INDICE
2
UNHCR, Raccomandazioni dell’UNHCR sugli aspetti rilevanti della protezione dei rifugiati in Italia, Roma, luglio
2013, pagg. 9 e 10;
3
New
York
Times,
The
Italian
paradox
on
Refugees,
27
dicembre
2012,
all’URL:
http://www.nytimes.com/2012/12/27/world/europe/the-italian-paradox-onrefugees.html?emc=tnt&tntemail1=y&_r=1&
4
La trascrizione integrale del discorso del Presidente della Repubblica si può leggere all’URL:
http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Discorso&key=2600;
5
Nils Muiznieks, Rapporto, Strasburgo, 18 settembre 2012, pag. 5;
6
V. http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/what-is-new/eu-law-and-monitoring/infringements_by_policy_asylum_en.htm
3 I.INTRODUZIONE Mancanza di una legge organica sulla protezione internazionale e concreta applicazione…………………...…………...p.5 II.L’ACCOGLIENZA E L’INCLUSIONE SOCIALE DI RICHIEDENTI ASILO E RIFUGIATI II.A Premessa……………………………………………………………………………………………………………………………………………….p.6 II.B L’accoglienza dei richiedenti asilo prima della formalizzazione della domanda…………………………………………p.6 II.C L’accoglienza dei richiedenti asilo dopo la formalizzazione della domanda…………………………………………….p.10 II.C.1 Lo Sprar: servizi e posti disponibili…………………………..………………………………………………………………………...p.10 II.C.2 I Cara………………………………………………………………………………………….…………………………………………….…...….p.11 II.C.2.a) Il numero di posti disponibili…………………………………………………………………………………………….……..…….p.11 II.C.2.b) Le condizioni di accoglienza nei Cara: I bassi standard di accoglienza ..….…………………………………………p.13 II.C.3 I Centri delle aree metropolitane.………………………………………………………………………………………..………………p.16 II.C.4 Il 2011………………………………………………………………….…………………………………………………………………..………p. 18 II.D I richiedenti asilo e rifugiati rinviati in Italia in applicazione del Regolamento Dublino II……….………….…….p.21 II.D.1 I numeri……………………………………...……………………………………………………………………………………………………..p.21 II.D.2 La situazione dei titolari di protezione rinviati in Italia: la “fuga dall’Italia” e il vuoto di accoglienza………………………………………………………………………………………………………………………………………………...p.23 II.D.3 Il rinvio in Italia dei richiedenti asilo: la variabilità della loro accoglienza…...………………………………………..p.25 II.E La difficile inclusione sociale dei titolari di protezione…………………………………………………………………….……..p.27 II.E.1 Ponte Mammolo – la baraccopoli del Corno d’Africa – Roma…………..…………………………………………………….p.30 II.E.2 La “buca di Ostiense” – Roma………………………...……………………………………………………………………………………p.31 II.E.3. L’edificio di via dei Cavaglieri – Roma………………………….……………………………………………………………………..p.32 II.E.4 La “casa Bianca” – Torino…………………………….……………………………………………………………………………………..p.33 II.E.5 Altre situazioni di marginalità sociale sul territorio nazionale…….………………………………………………………..p.34 III. LA VALUTAZIONE DELLE DOMANDE IN SEDE AMMINISTRATIVA III.1 La composizione delle Commissioni Territoriali: mancata verifica degli standard di adeguata competenza e conoscenza della materia dell’asilo…………………………………………………………………………………………………………….p.35 III.2 La mancanza di standard qualitativi degli interpreti…………………………………………………………………………….p.36 III.3 Domande esaminate e tasso di accoglimento………………………………………………………………………………………...p.36 IV. LA VALUTAZIONE DELLE DOMANDE IN SEDE GIURISDIZIONALE IV.1 Cenni generali sulla tutela giurisdizionale: problemi sulla sua effettività……………………..…………………………p.41 IV.2 L’effetto sospensivo del ricorso: disciplina e problematiche connesse. Il pericolo di refoulement…………....p.43 IV.3 Le misure di accoglienza in pendenza del procedimento………………………………………………………………………..p.44 V CONCLUSIONI………………………………………………………………………………..………………………………………………………p.46 Bibliografia………………………………………………………………………………………………………………………………………….…...p.48 Webgrafia…………………………………………………………………………………………………………………………………………………p.49 I. INTRODUZIONE
4 Mancanza di una legge organica sulla protezione internazionale e concreta applicazione
Nell’ordinamento giuridico italiano non è presente una legge organica che disciplini in modo
armonico e unitario la protezione internazionale. Tale carenza pone numerosi problemi di
coordinamento tra le discipline che sono state emanate in tempi diversi e non sempre facendo
attenzione alla risoluzione dei problemi posti dalla successione di leggi nel tempo. Numerosi e
variegati sono, infatti, gli atti legislativi che disciplinano la materia. In primo luogo il d.lgs. 140/05
di attuazione della Direttiva 2003/9/CE che contiene le norme in materia di accoglienza.
Successivo a questa normativa è il d.lgs. 251/2007 di recepimento della direttiva n. 2004/83/CE,
recante le norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di
rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale nonché le norme minime sul
contenuto della protezione riconosciuta.
Va, da ultimo, citato il d.lgs 25/08 (modificato dal d.lgs 159/2008 e dalla l. 94/2009) di recepimento
della direttiva n. 2005/85/CE recante le norme minime per le procedure applicate negli Stati membri
ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.
Inoltre assumono un importante rilievo giuridico altri testi normativi che si occupano più in
generale della presenza di cittadini stranieri. Primo tra tutti il Testo Unico delle leggi in materia di
Immigrazione d.lgs. 286 del 1998, che disciplina sotto vari aspetti anche la condizione giuridica dei
richiedenti asilo e rifugiati.
Occorre, inoltre, precisare come il d.lgs 25/08 preveda, al suo articolo 36, che le modalità di
attuazione dello stesso decreto dovessero essere normate da uno o più regolamenti da emanare entro
sei mesi dalla sua entrata in vigore. Ad oggi (maggio 2012) tali regolamenti non sono ancora stati
emanati. Anche tale carenza produce sul piano pratico numerosi problemi applicativi che si
ripercuotono sull’intero iter procedurale di richiesta d’asilo. 7
Non solo la normativa italiana appare disarmonica ma al contempo si caratterizza per una sua
difforme applicazione sul territorio italiano, con prassi amministrative contraddittorie che molto
spesso cercano una loro legittimità nella mancanza di chiarezza dei riferimenti normativi.
La presente trattazione vuole concentrarsi in particolare sulle problematiche legate alle seguenti fasi
della procedura di richiesta di asilo in Italia nonché della successiva permanenza sul territorio dei
titolari di protezione internazionale:
- l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati nonché l’inclusione sociale dei titolari di protezione
7
La carenza di regolamenti attuativi viene messa in rilievo anche da Amnesty International che, nel suo rapporto annuale per il 2010
sull’Italia, riporta: “Non sono state emanate le regole di attuazione delle norme sull’asilo introdotte nel 2008 dai decreti legislativi
che attuano le Direttive europee in materia di procedure d’asilo e qualifica di rifugiato. Esse sarebbero utili anche ai fini
dell’efficacia della norma sull’effetto sospensivo (che consente al richiedente asilo di vedere la propria espulsione sospesa durante il
tempo del ricorso contro il rigetto della domanda di asilo in prima istanza)”, Amnesty International, Rapporto annuale 2010,
Maggio 2010;
5 internazionale in un momento successivo all’accoglimento della loro istanza di protezione.
- la valutazione della domanda in sede amministrativa;
- la valutazione della domanda in sede giurisdizionale.
II. L’ACCOGLIENZA E L’INCLUSIONE SOCIALE DI RICHIEDENTI ASILO E
RIFUGIATI
II.A Premessa
La definizione dell’intero sistema di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati in Italia è alquanto
complessa. Il sistema di accoglienza italiano, infatti, è costituito da strutture di accoglienza
diversificate tra loro in quanto a posti disponibili, condizioni e standard dei servizi resi. A
complicare ulteriormente la definizione del sistema va, inoltre, precisato come ad oggi
l’Amministrazione Centrale non si sia mai dotata di un rapporto periodico sul sistema di
accoglienza. L’unica parte del sistema che produce dettagliati rapporti sul proprio funzionamento, i
propri standard e i servizi offerti è il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar).
La presente trattazione si occuperà di analizzare i seguenti aspetti del sistema di accoglienza:
- l’accoglienza dei richiedenti asilo prima della formalizzazione della loro domanda;
- l’accoglienza dei richiedenti asilo dopo la formalizzazione della domanda;
- l’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati rinviati in Italia in applicazione del Regolamento
Dublino II;
- l’accoglienza e l’inclusione sociale dei beneficiari di protezione internazionale;
- l’accoglienza dei ricorrenti, ovvero di coloro che hanno proposto ricorso giurisdizionale avverso il
diniego della loro istanza di protezione. Per tale aspetto, si rinvia, per ragioni di sistematicità della
trattazione, al cap. 4 par. 3.
II.B L’accoglienza dei richiedenti asilo prima della formalizzazione della domanda
La domanda di asilo in Italia (art. 3, co. 2, e art. 26, co. 1, d.lgs 25/08) può essere presentata
all’ufficio di polizia di frontiera, all’atto dell’ingresso sul territorio dello Stato, ovvero presso la
Questura del luogo di dimora del richiedente8. Può, pertanto, accedere alla procedura di asilo sia
colui che sta per fare o ha appena fatto ingresso in Italia, sia colui che si trova già Italia, con o senza
8
Va evidenziato, tuttavia, come la nozione di dimora di cui al citato art. 26, co.1, non sia chiaramente definita dalla norma stessa. Il
che pone, nella prassi applicativa, numerosi problemi per il richiedente. “La nozione di luogo di dimora viene talora interpretata
come il luogo in cui il richiedente si trova, anche temporaneamente, o viceversa come il luogo in cui lo straniero vive abitualmente,
richiedendo in tal caso che ai fini della ricezione della domanda di asilo detta dimora sia già conosciuta o conoscibile dalla
Questura (in genere attraverso dichiarazione di ospitalità presso un privato che ha un alloggio nella Provincia, regolarmente
comunicato all’autorità locale di pubblica sicurezza ai sensi dell’art. 7 del Testo unico immigrazione).
Si ritiene che quest’ultima interpretazione di dimora come luogo di residenza vada esclusa, in quanto contrastante con l’esigenza di
garantire il fondamentale principio di accesso alla procedura quale nucleo essenziale del diritto d’asilo”, Sprar, Unhcr e al, La
tutela dei richiedenti asilo – Manuale giuridico per l’operatore, Maggio 2012, pagg. 69-70;
6 permesso di soggiorno. La domanda può essere presentata senza termini di decadenza e l’istanza
non può, altresì, essere respinta per il solo fatto di non essere stata presentata tempestivamente.
La presentazione della domanda di asilo non è vincolata, nell’ordinamento giuridico, ad una forma
precisa e può avvenire anche in modo verbale o attraverso manifestazioni comportamentali che
manifestino la chiara volontà dello straniero di richiedere la protezione. Sussiste, tuttavia, l’obbligo
per il richiedente di collaborare con le Autorità in ogni fase del procedimento, mentre la Questura
che riceve la domanda ha l’obbligo di formare un verbale, negli appositi modelli predisposti dalla
Commissione Nazionale, contenente le dichiarazioni rese dall’istante e gli allegati di legge.
Ai sensi dell’art. 26 d.lgs 25/08, la ricezione della domanda di asilo da parte dell’Autorità di PS,
con conseguente rilascio del verbale di ricezione dell’istanza, del permesso di soggiorno o
dell’attestato nominativo, avviene contestualmente o subito dopo la presentazione della domanda
stessa, che, come detto, si sostanzia nella chiara manifestazione di volontà del richiedente.
Occorre, tuttavia, precisare come molto spesso le esigenze organizzative da parte degli uffici
competenti alla ricezione delle domande di asilo nonché le carenze di personale negli stessi
producono una dilatazione significativa, e talvolta macroscopica, del tempo intercorrente tra la
presentazione della domanda e la sua formalizzazione, ossia la compilazione e il rilascio del verbale
di ricezione dell’istanza (mod. C3). Va, inoltre, segnalata la prassi applicativa presente in gran
parte del territorio nazionale, secondo la quale, senza la formalizzazione della domanda non si
ha l’accesso del richiedente asilo alle misure di accoglienza. Il richiedente si trova, quindi, in
una situazione di limbo giuridico ed è escluso di fatto dall’accesso alle misure di accoglienza.
Senza avere, in questa sede, alcuna presunzione di completezza, si segnalano, in tal senso, alcune
prassi applicative nelle più importanti aree metropolitane italiane.9
A Torino tra il momento della presentazione della domanda e la sua formalizzazione possono
trascorrere dai 20 giorni (dato fornito dall’Ufficio Immigrazione) ai 2 mesi (dato confermato da
tutte le associazioni e gli enti di tutela). In tale arco temporale il richiedente asilo non ha alcuna
garanzia di avere accesso ad un’effettiva accoglienza. Di conseguenza ed anche se il Comune di
Torino si attiva da subito per l’inserimento in accoglienza, considerandoli già – come del resto sono
– richiedenti asilo, questi ultimi hanno diritto solo all’accesso ad uno dei 200 posti in dormitorio
della città di Torino (c.d. “accoglienza in bassa soglia”). Va, tuttavia, precisato che tali posti
non sono riservati ai soli richiedenti asilo ma anche a tutti i “senza tetto” presenti in città. Va,
peraltro, segnalato come per questo tipo di accoglienza non sia previsto alcun posto per le
donne, le quali devono essere accolte in strutture di volontariato disponibili al momento.
Molti richiedenti, dunque, in questa prima fase della procedura, attivata ma non
9
I dati e le informazioni che seguono sono tratti dalla recente ricerca Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i
Rifugiati, Giugno 2011, pagg. 71 ss;
7 formalizzata, sono abbandonati a se stessi e costretti spesso a vivere all’addiaccio e/o in
sistemazioni di fortuna, con ogni evidente conseguenza di dispersione. Va, infatti, considerato
che, a fronte di questi 200 posti disponibili per tutti i senza tetto presenti a vario titolo in città, il
solo numero delle richieste di asilo presentate alla Questura di Torino sia stato di 589 per il 2008,
471 per il 2009 e 445 per il 2010.
A Roma il tempo intercorrente tra il momento della manifestazione della volontà di richiedere asilo
e l’effettiva verbalizzazione è stimabile tra 1 e 4 mesi. Si evidenzia, inoltre, come il richiedente sia
informato della possibilità di richiedere accoglienza solo al momento della verbalizzazione della
domanda e non, invece, al momento in cui manifesta la volontà di chiedere asilo. Al momento del
fotosegnalamento (che viene effettuato contestualmente alla presentazione della domanda o a
distanza di pochi giorni da questa), tuttavia, al richiedente viene rilasciato un “cedolino”. Tale
documento è valido ai fini della richiesta di ingresso nel circuito di accoglienza gestito dall’Ufficio
Immigrazione del Comune di Roma. In questa fase in cui non può avere accesso all’accoglienza
prevista per i richiedenti asilo che abbiano già formalizzato la domanda, quindi, il
richiedente, se supportato da associazioni attive sul territorio, viene quindi indirizzato presso
l’Ufficio Immigrazione del Comune. L’ingresso nel circuito comunale è, tuttavia, reso
estremamente difficile dalla carenza dei posti in relazione alla domanda. Ciò fa sì che i tempi
di attesa si attestino intorno ai quattro mesi.10 Anche a Roma, quindi, il rischio che in questa
fase i richiedenti asilo rimangano di fatto privi di qualsiasi forma di accoglienza è molto
elevato e può portare, quindi, ad una forte marginalizzazione sociale di queste persone.
Occorre, a tal proposito, evidenziare come “il direttore del CIR (Consiglio Italiano Rifugiati)
Christopher Hein parla di almeno 2000 richiedenti asilo che vivono a Roma in condizioni
alloggiative e sanitarie drammatiche”.11 È frequente, infatti, la presenza anche di richiedenti asilo
nelle occupazioni informali presenti sul territorio romano, di cui ci si occuperà più diffusamente nei
prossimi paragrafi. La Caritas Roma, in una sua recentissima pubblicazione, ha riportato la presenza
di almeno un 4,6% di richiedenti protezione internazionale nel campione dalla stessa analizzato,
basato su soggetti presenti nelle occupazioni romane.12
A Bologna tra la dichiarazione della volontà di presentare domanda di asilo e la formalizzazione
della richiesta possono trascorrere da un minimo di 30 giorni ad un massimo anche di 180 giorni.
Va rilevato che in questa fase di pre-formalizzazione della richiesta il richiedente non può accedere
all’accoglienza nello Sprar né ai servizi sociali del territorio. Nessuna forma di accoglienza è,
10
Per ulteriori dettagli sul circuito di accoglienza del Comune di Roma si rimanda a quanto riportato nel paragrafo dedicato ai centri
delle aree metropolitane.
11
IntegraAzione, I rifugiati invisibili – L’accoglienza informale nella capitale, maggio 2012;
12
Caritas – Roma e al, Mediazioni metropolitane, studio e sperimentazione di un modello di dialogo e intervento a favore dei
richiedenti e titolari di protezione internazionale in situazione di marginalità, Roma, giugno 2012, pag. 44;
8 infatti, predisposta dalla Prefettura del territorio, che invece subordina l’accesso e l’attivazione delle
misure di accoglienza alla formalizzazione della domanda. In questa fase, quindi, l’accoglienza
del richiedente conta esclusivamente su strutture dell’ente locale o del privato sociale o di
associazioni di volontariato e parrocchie. Il Comune di Bologna, infatti, riserva a proprie spese
16 posti di pronta accoglienza per i soli richiedenti che siano in attesa della verbalizzazione della
domanda e del conseguente inserimento nello Sprar. Oltre a questi limitatissimi posti, per i
restanti richiedenti asilo vi è solo la possibilità di inserimento nelle strutture comunali
generiche (vecchi centri di accoglienza e dormitori), strutture del privato sociale,
dell’associazionismo o delle parrocchie. Se si considera che nel corso del 2010 sono state
presentate a Bologna, per il tramite dello Sportello Protezioni Internazionali del Comune13, 120
domande di protezione internazionale, si può avere un’idea netta di quante persone abbiano
usufruito di queste forme minime di accoglienza. Tali forme minime di accoglienza, inoltre, nella
generalità dei casi, si protraggono per il richiedente anche per lunghi mesi, mentre lo stesso è in
attesa della verbalizzazione della propria domanda di asilo, con evidenti conseguenze
pregiudizievoli soprattutto per le situazioni maggiormente vulnerabili per le quali manca una presa
in carico effettiva nonché l’elaborazione di percorsi individualizzati.
A Milano la prassi seguita negli ultimi anni prevede che allo straniero che intenda richiedere asilo e
che si presenti, a tal fine, agli uffici della Questura, venga rilasciato un invito a ripresentarsi,
normalmente da uno a due mesi dopo la prima manifestazione di volontà di richiedere asilo. Va
evidenziato, tuttavia, come detto invito non è un documento autorizzativo alla permanenza regolare
sul territorio ed espone il richiedente a rischio di espulsione. Va, inoltre, evidenziato come anche a
seguito
dell’avvenuto
fotosegnalamento
e
della
verbalizzazione
non
venga
rilasciato
immediatamente il permesso di soggiorno per richiesta asilo, necessario per l’ingresso nella lista
d’attesa per avere accoglienza in una delle strutture comunali. Il permesso, infatti, viene rilasciato
solo se il richiedente produce una dichiarazione di domiciliazione. I tempi, quindi, di rilascio del
permesso variano a seconda della disponibilità di tale domiciliazione: il periodo che intercorre tra
l’inizio della procedura ed il rilascio del permesso può dirsi compreso tra i 4 e i 6 mesi.
Come evidenziato, inoltre, senza il permesso per richiesta asilo il richiedente non può recarsi
all’Ufficio Immigrazione del Comune di Milano per chiedere l’inserimento in una lista d’attesa per
l’accesso alle strutture di accoglienza comunali. Considerato che il periodo di attesa è
mediamente di due-tre mesi, si può evidenziare come il periodo che intercorre tra la richiesta
di asilo quale manifestazione della volontà e l’effettivo accesso ad una struttura di accoglienza
13
Va rilevato che la Questura di Bologna non ha uno Sportello al pubblico dedicato alla ricezione delle domande d’asilo e consente
l’accesso alla procedura solo previa fissazione di un appuntamento. La presentazione della domanda di protezione avviene quindi o
attraverso un legale di fiducia, o attraverso lo Sportello Protezioni Internazionali attivato dal Comune di Bologna ovvero tramite
invio di istanza scritta per gli stranieri già trattenuti presso il Cie (Centro di identificazione ed espulsione).
9 sia, complessivamente, di circa 10-12 mesi. Si tratta, come è evidente, di un lasso di tempo
molto elevato che funge da fattore di dissuasione alla presentazione della domanda di asilo nel
territorio milanese nonché da fattore di spinta all’allontanamento dallo stesso territorio.
II.C L’accoglienza dei richiedenti asilo dopo la formalizzazione della domanda
In Italia il sistema di accoglienza ordinario per richiedenti asilo, e in taluni casi anche per rifugiati, è
costituito da vari tipi di strutture. Ci sono i Centri di Accoglienza per richiedenti Asilo (CARA), i
Centri di primo soccorso e accoglienza (CDA/CPSA), i progetti territoriali del Sistema Protezione
Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR) nonché ulteriori centri nelle aree metropolitane. “Tale
apparato si presenta, allo stato attuale, numericamente inadeguato e, soprattutto, fortemente
disorganico, tanto che si possono individuare diversi sistemi paralleli, poco coordinati tra loro. I
centro dedicati all’accoglienza di queste persone hanno caratteristiche molto diverse. Si tratta di
sistemi che storicamente non si parlano tra di loro, spesso con spreco di risorse e inefficacia dei
percorsi di inserimento e integrazione. La normativa che regola la nascita e il funzionamento di tali
strutture si presenta piuttosto frammentaria”.14
II.C.1 Lo Sprar: servizi e posti disponibili
Il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) è stato istituito dalla legge n.
189/2002 (c.d. legge Bossi-Fini) ed è costituito dalla rete degli enti locali che – per la realizzazione
di progetti di accoglienza e di integrazione – accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo
Nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo (FNPSA). Il coordinamento di tale Sistema è
garantito dal Servizio Centrale, struttura operativa istituita dal Ministero dell’Interno –
Dipartimento per le libertà civili e l’Immigrazione.
Gli enti locali, afferenti alla rete Sprar, garantiscono per i beneficiari interventi di c.d. “accoglienza
integrata” che supera la sola predisposizione di vitto e alloggio, prevedendo in modo
complementare anche misure di orientamento legale e sociale nonché la costruzione di percorsi
individuali di inserimento socio-economico per i propri beneficiari. Quella dello Sprar è, quindi,
un’accoglienza ad “alta soglia” che garantisce standard elevati di servizi di accoglienza.
Lo Sprar, tuttavia, presenta un numero limitatissimo di posti disponibili in relazione al bisogno di
accoglienza presente sul territorio. Per il biennio 2009-2010 i posti disponibili all’interno del
sistema sono stati in totale 3000 per annualità, sia per richiedenti asilo che per titolari di protezione.
Se si confronta tale numero con quello delle domande di asilo presentate nel corso dell’ultimo
triennio ci si rende immediatamente conto dell’esiguità di tale disponibilità.
14
Caritas – Roma e al, Mediazioni metropolitane, studio e sperimentazione di un modello di dialogo e intervento a favore dei
richiedenti e titolari di protezione internazionale in situazione di marginalità, Roma, giugno 2012, pag. 10;
10 Nel corso del 2008 sono state, infatti, presentate in Italia 30324 domande; 17603 sono state le
domande inoltrate nel 2009 mentre 10052 quelle presentate nel 2010.15
A conferma di questa esiguità va ricordato come per il 2009 lo Sprar ha attivato, straordinariamente,
694 posti aggiuntivi, mentre 146 posti straordinari sono stati attivati per il 201016. La necessità di
ampliare la rete ordinaria di accoglienza anche in un biennio caratterizzato, come si può vedere, da
una notevole flessione delle domande di protezione internazionale è indice di una delle maggiori
criticità endemiche del sistema di accoglienza in Italia: la limitatezza del numero di posti che
rende il sistema non pienamente sufficiente alla ricezione dei richiedenti asilo e rifugiati
presenti sul territorio. Questo aspetto è, ulteriormente, confermato dalle liste di attesa dello Sprar:
alla fine del 2009 le persone segnalate allo Sprar ancora in attesa di sistemazione erano più di 1000,
mentre alla fine del 2010 – anno in assoluto con il minor numero di domande presentate – il numero
dei richiedenti asilo e rifugiati segnalati e non accolti era di oltre 2500 persone.17
Risulta, dunque, di tutta evidenza come la rete di accoglienza Sprar, pur presentando
standard di accoglienza elevati, non è assolutamente in grado di soddisfare, neppure in parte,
la domanda di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati presenti sul territorio italiano.
II. C.2 I CARA
II.C.2.a) Il numero di posti disponibili
Per quanto riguarda i centri d’accoglienza a diretta gestione dell’autorità governativa la presente
trattazione si concentrerà unicamente sui Cara, essendo i CPSA centri di primo soccorso ed
assistenza in cui l’accoglienza dei richiedenti asilo è destinata a durare per un brevissimo arco
temporale, immediatamente seguente al loro arrivo nei luoghi di sbarco.
I Cara sono stati istituiti dall’art. 20, co. 2, d.lgs 25/2008.18 Lo stesso comma regola le ipotesi in cui
il richiedente asilo deve essere ospitato in un Cara:
a) quando è necessario verificare o determinare la sua nazionalità o identità, ove lo stesso non
sia in possesso dei documenti di viaggio o di identità, ovvero al suo arrivo nel territorio
dello Stato abbia presentato documenti risultati falsi o contraffatti;
b) quando ha presentato la domanda dopo essere stato fermato per aver eluso o tentato di
eludere il controllo di frontiera o subito dopo;
c) quando ha presentato la domanda dopo essere stato fermato in condizioni di soggiorno
irregolare.
15
Fonte: UNHCR, dati riportati in Caritas/Migrantes, Dossier Statistico Immigrazione 2011, Roma, ottobre 2011, pag. 501;
V. SPRAR, Rapporto Annuale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, Dicembre 2011;
17
V. SPRAR, Rapporto Annuale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, Dicembre 2011;
18
Va, tuttavia, precisato come “l’attuale normativa non definisce nel dettaglio i Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo),
limitandosi a prevedere i casi in cui il richiedente asilo deve essere inviato in accoglienza in questi centried a disciplinare alcuni
aspetti essenziali del trattamento che nell’ambito di tale accoglienza il richiedente deve ricevere”, Sprar, Unhcr et al, La tutela dei
richiedenti asilo – Manuale giuridico per l’operatore, Maggio 2012, pag. 111;
16
11 Nell’ipotesi prevista al punto a), il richiedente è ospitato per un periodo non superiore a 20 giorni,
mentre negli altri casi per un periodo non superiore a 35 giorni.19 Secondo l’esperienza maturata da
chi scrive, tale termine, tuttavia, risulta lungamente superato in tutte le ipotesi di accoglienza. Una
recente ricerca, contenente dati forniti dal Ministero dell’Interno, ha evidenziato che “i pochi dati
disponibili in relazione ai tempi medi di permanenza nei CDA/Cara in larga misura sembrano
confermare che il periodo di permanenza nei centri dei richiedenti asilo sia significativamente
superiore alla previsione di cui all’art. 20 del D.Lgs 25/08”.20 Questo dato risulta confermato
anche da molti enti di tutela secondo cui il periodo di permanenza nei CDA – Cara si attesterebbe
su un periodo non inferiore a otto-dieci mesi, con punte superiori all’anno. 21 Una recente
pubblicazione, infine, da un’analisi effettuata sui centri di Castelnuovo di Porto e di Crotone,
riporta: “il periodo trascorso presso le strutture di accoglienza di Crotone e Castelnuovo di Porto
è, nella media, pari a 106 giorni, se consideriamo gli individui che hanno già lasciato il Cara, e
pari a 108 giorni se consideriamo anche gli individui attualmente presenti presso i Cara”.22
Il richiedente asilo ospitato nel Cara ha diritto ad uscire nelle ore diurne senza che sia necessario
richiedere alcuna autorizzazione. Nei soli casi in cui il richiedente debba allontanarsi per periodi di
tempo superiori o diversi (es. ore notturne) è previsto l’obbligo per lo stesso di chiedere
l’autorizzazione al Prefetto competente.
Va precisato come molti Cara sono anche CDA23, ossia “strutture destinate a garantire un primo
soccorso allo straniero irregolare rintracciato nel territorio nazionale. L’accoglienza nel centro è
limitata al tempo strettamente necessario per stabilire l’identità e la legittimità della sua permanenza
sul territorio o per disporne l’allontanamento”24. Tuttavia dette strutture non sono sorrette da
alcuna previsione normativa: non c’è, infatti, una disciplina delle fattispecie e delle modalità di
accoglienza o di permanenza di fatto obbligata degli stranieri in detti centri. Occorre, inoltre,
precisare come all’interno delle strutture non vi sia alcuna divisione tra i posti destinati ad essere
CDA e posti Cara.25
19
Va, inoltre, fin da ora premesso come l’invio al Cara in base ad una delle 3 ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 20 d.lgs 25/08
può avere effetti diversi anche sull’eventuale tutela giurisdizionale del richiedente asilo, come vedremo nel paragrafo ad essa
dedicato;
20
V. Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pagg. 126 ss;
21
Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pag.130;
22
V. Rossi E. Vitali L., I rifugiati in Italia e in Europa, Giappichelli, Torino, 2011, pag. 26;
23
Va, inoltre, precisato che alcune strutture che ospitano i Cara, sono strutture polifunzionali, che ospitano nel loro complesso anche
dei Centri di Identificazione ed espulsione (CIE, ex CPTA). “Il fatto che nella medesima area sorgano centri dalle finalità molto
diverse crea un clima di assimilazione. Ove sono presenti strutture di tipo polifunzionale, (sia strutture di prima accoglienza e di
protezione dei richiedenti asilo che strutture destinate all’esecuzione dell’espulsione) c’è il concreto rischio che si verifichi nei fatti
una sostanziale assimilazione dei centri per richiedenti asilo con i CPTA”, Ministero dell’Interno, Rapporto della Commissione per
le verifiche e le strategie dei centri – De Mistura, gennaio 2007, pag. 18;
24
Definizione rinvenibile sul sito del Ministero dell’Interno www.interno.it;
25
“I CARA e i CDA dovrebbero ospitare, quindi, due gruppi distinti, ma, dalle osservazioni condotte, è emersa una sovrapposizione
spaziale e funzionale tra le due tipologie di centri e per tale ragione sono stati trattati contestualmente nel presente rapporto. I
CARA e i CDA, difatti, accolgono senza alcuna distinzione richiedenti asilo e stranieri in attesa di registrale la domanda d asilo, con
12 Nella tabella che segue è possibile vedere i numeri dell’accoglienza nei Cara e CDA per il 2011.
CARA Ancona CDA + CARA Bari CDA + CARA Brindisi CDA + CARA Caltanissetta CDA + CARA Crotone CDA + CARA Foggia CDA + CARA Gorizia CARA Roma-­‐ Castelnuovo di Porto CARA Trapani CARA Totale per data 01.01.2011 63 01.03.2011 69 01.06.2011 103 01.09.2011 107 20.12.2011 136 567 47 1121 99 1062 127 1225 133 1169 122 266 430 405 464 428 722 1376 1357 1349 1361 289 538 524 579 531 128 132 129 136 380 450 473 510 56 220 258 264 2518 4435 4438 4767 Fonte: Senato della Repubblica, Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani
135 525 220 4627 I nove Cara in funzione al dicembre 2011 possono ospitare complessivamente circa 2000 persone.
Aggiungendo a questi posti quelli dei CDA si raggiunge un totale di circa 5000 posti.26
Alla luce di tali dati è di tutta evidenza come la capacità ricettiva di accoglienza, anche in tali centri,
sia del tutto insufficiente rispetto all’effettiva richiesta.27
II.C.2.b) Le condizioni di accoglienza nei Cara: i bassi standard di accoglienza
I Cara sono ubicati in zone periferiche delle aree in cui insistono, isolati dal resto del territorio e
circondati da evidenti recinzioni, che li fanno apparire all’esterno come luoghi destinati a categorie
di persone che in qualche modo devono essere tenute distinte dal resto della società.28 Da un punto
di vista strutturale, dunque, la funzione di contenimento e sorveglianza sembra essere predominante
rispetto a quella dell’accoglienza.29
Molti centri sono di dimensioni enormi in quanto a capienza, come ad esempio quello di Bari e
la differenza che solo i primi possono uscire dai centri durante le ore diurne, mentre i secondi devono attendere in condizioni di
trattenimento da 10 a 60 giorni l’attestazione di richiedente asilo”, Medici senza Frontiere, Al di là del muro. Viaggio nei centri per
migranti in Italia, gennaio 2010, pag. 16;
26
Fonte: Ministero dell’Interno. Dati riportati in Senato della Repubblica – Commissione straordinaria per la tutela e la promozione
dei diritti umani, Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per
migranti in Italia, approvato il 6 marzo 2012, pag. 121;
27
Tale insufficienza è stata, altresì, denunciata dall’UNHCR nel corso della sua audizione innanzi alla Commissione straordinaria per
la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato. Come si può leggere nel rapporto, infatti, “il sistema di accoglienza ordinario
dovrebbe poter disporre strutturalmente di un numero di posti che sia in grado di rispondere in maniera flessibile anche a
particolari pressioni migratorie. La capacità ricettiva ordinaria, infatti, risulta ad oggi ancora insufficiente”, Senato della
Repubblica – Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, op. cit., pagg. 122-123;
28
Tale collocazione sicuramente contribuisce ad alimentare il clima di intolleranza e pregiudizio che circonda richiedenti asilo e
rifugiati di cui parla anche Amnesty International: “Le autorità non li hanno adeguatamente protetti [richiedenti asilo e rifugiati]
dalla violenza a sfondo razziale e, facendo collegamenti infondati tra immigrazione e criminalità, alcuni politici e rappresentanti del
governo hanno alimentato un clima di intolleranza e xenofobia” Amnesty International, Rapporto annuale 2011 – Italia, maggio
2011;
29
“Nel complesso, i centri visitati appaiono privi di alcun tipo di contatto e sinergia con i servizi del territorio e risultano come
“corpi estranei” rispetto al contesto locale in cui si trovano” Medici senza Frontiere, Al di là del muro. Viaggio nei centri per
migranti in Italia, gennaio 2010, pag. 18;
13 quello di Crotone, e solitamente hanno sede in strutture riadattate come ex aeroporti, ex saline, ex
caserme.
La collocazione dei centri nonché le loro dimensioni fanno dei Cara strutture inappropriate a fornire
idonee condizioni di accoglienza per i richiedenti asilo che vi sono ospitati. I Cara forniscono
generalmente standard di accoglienza a bassa soglia, che variano molto anche a seconda delle
strutture. Questo dato è stato rilevato dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione
dei diritti umani del Senato Italiano: “non tutti i Cara offrono lo stesso livello di servizi, in molti
casi si riscontrano carenze nella fornitura di servizi alla persona così come previsti dallo Schema
generale di capitolato per la gestione dei centri adottato nel 2008 (mediazione linguistica,
informativa legale, sostegno socio-psicologico), con potenziale danno soprattutto per i soggetti più
vulnerabili, come le vittime di tortura o trauma estremo, le vittime di violenza sessuale o di genere,
le persone con disabilità”.30
Tutti i centri forniscono un’assistenza sanitaria di base31; va, tuttavia, precisato come non sono
previste procedure per adattare l’offerta dei servizi sanitari al numero di ospiti presenti. Ciò
comporta, in periodi di sovraffollamento, grandi difficoltà nel garantire standard medico-qualitativi
costanti.32
Il d.lgs. 140/05 prevede, al suo articolo 8, che nei centri sono previsti per le persone vulnerabili
servizi speciali di accoglienza “stabiliti dal direttore del centro, ove possibile, in collaborazione
con la Asl competente per territorio, che garantiscono misure assistenziali particolari ed un
adeguato supporto psicologico, finalizzato alle esigenze della persona”. Con ciò il legislatore
italiano si è conformato a quanto previsto dall’art. 17 della direttiva 2003/9/CE il quale prevede che
le condizioni di accoglienza messe a punto dagli Stati membri debbano tenere conto della specifica
situazione delle persone vulnerabili. Nella pratica, tuttavia, tale norma europea è in molte occasioni
disattesa. Va, prima di tutto, evidenziato come non tutti i richiedenti asilo accolti nei Cara siano
iscritti al Servizio Sanitario Nazionale (SSN): tale iscrizione è condizione necessaria per fruire dei
servizi offerti dalle Aziende Sanitarie Locali (ASL) sul territorio. Non sono, ad esempio, iscritti al
SSN i richiedenti asilo ospiti dei Cara pugliesi (Brindisi, Bari e Foggia)33: tale carenza produce i
suoi effetti, nei periodi di massima capienza di questi Cara, su quasi 2000 persone. La mancata
iscrizione al SSN può influire in modo molto sensibile nella non attivazione di percorsi di
emersione, presa in carico e riabilitazione specialistica che pure sarebbero necessari nei confronti
dei richiedenti asilo con particolari vulnerabilità. Si evidenzia, infatti, come l’iscrizione al SSN
30
Senato della Repubblica – Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, op. cit., pag. 123;
“I servizi sanitari non dispongono di protocolli sanitari per la diagnosi e il trattamento di patologie infettive come TBC, HIV ed
epatiti, salvo che nei centri di Caltanissetta e Foggia”, Medici senza Frontiere, Al di là del muro. Viaggio nei centri per migranti in
Italia, gennaio 2010, pag. 20;
32
Cfr Medici senza Frontiere, Al di là del muro. Viaggio nei centri per migranti in Italia, gennaio 2010, pag. 19;
33
V. Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pag. 392;
31
14 permetta (diversamente dall’accesso alle sole prestazioni sanitarie necessarie ed urgenti) di potere
tempestivamente predisporre accertamenti ed esami clinici, nonché interventi adeguati di
riabilitazione psico-fisica dei soggetti portatori di rilevanti vulnerabilità.
Altro aspetto che urge rilevare è che le dimensioni dei Cara rendono spesso difficile l’emersione
della vulnerabilità, anche qualora vi sia la tempestiva iscrizione al SSN. Gli enti di tutela34 sono
concordi nell’affermare che il Cara in sé non è un luogo di accoglienza adatto per delle persone
vulnerabili: i grandi numeri, le strutture poco curate, gli orari rigidi, la frequente presenza di militari
e/o forze dell’ordine all’interno dei centri stessi sono fattori che non favoriscono di certo
l’emersione e la successiva presa in carico della vulnerabilità.35
Come evidenziato dalla Commissione straordinaria del Senato, inoltre, un’ulteriore gravissima
carenza si riscontra sui servizi di mediazione culturale e interpretariato.36 Tali servizi sono
indispensabili sia per i richiedenti asilo per il loro accesso ai diritti, ai servizi e per esprimere
bisogni e quesiti, sia all’ente gestore per comprendere i problemi e definire repentine soluzioni.
Ulteriore carenza è quella dei servizi di assistenza legale, anch’essa sottolineata dalla
Commissione straordinaria del Senato. Tali servizi, infatti, sono fortemente sottodimensionati
rispetto alle esigenze delle strutture.37
Le condizioni di accoglienza nei Cara presentano, in definitiva, standard di bassa soglia, che nella
maggior parte dei casi si limitano a fornire agli ospiti vitto e alloggio (talvolta in condizioni
precarie38) e assistenza sanitaria di base39, senza alcuna progettualità che possa portare gli ospiti ad
un inserimento effettivo nel territorio di riferimento. Tale situazione è particolarmente grave se si
considera, infine, che i tempi di permanenza nei Cara sono piuttosto lunghi sull’intero territorio
nazionale. Esso, infatti, come visto, si attesterebbe su un periodo non inferiore a otto – dieci mesi,
34
V. Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pag. 195;
“L’esperienza maturata relativamente all’accoglienza di persone vulnerabili conferma l’essenzialità del rapporto individuale
nell’instaurazione di un rapporto di fiducia. Queste infatti non si rivelano meccanicamente, tanto più se le vulnerabilità sono negate
a se stessi come forma di autodifesa. Occorrono quindi spazi a misura d’uomo, dove il contesto ambientale favorisca il contatto,
strutturato e informale, da cui discende il rapporto tra utente e operatore. La condizione di vulnerabilità si nutre infatti di attenzioni
mirate e contesti familiari per ricostruire un’immagine di sé in cui sia possibile riconoscersi”, Provincia di Parma, Per
un’accoglienza e una relazione d’aiuto transculturali, Fondo Europeo per i Rifugiati 2009, Parma, 2011, pag. 95;
36
“Valutando il rapporto tra numero di operatori e capacità ricettiva, emerge una grave insufficienza di mediatori e interpreti nelle
strutture di Bari, Crotone e Gorizia, dove si riscontra, approssimativamente, meno di un operatore ogni 100 ospiti, mentre nei centri
di Caltanissetta, Milano e Trapani non sono coperte lingue molto presenti tra i richiedenti asilo come l’amarico e il tigrino e gli
idiomi dell’Afghanistan”, Medici senza Frontiere, Al di là del muro. Viaggio nei centri per migranti in Italia, gennaio 2010, pag. 18;
37
“L’informazione sulla procedura di asilo e sui diritti dei richiedenti asilo è in generale carente. La distribuzione di materiale
informativo multilingue non sembra sistematica in nessun centro e sembra emergere, dalle testimonianze raccolte tra i richiedenti
asilo, una generale carenza di informazioni sulla procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato o di altre forme di
protezione internazionale”, Medici senza Frontiere, Al di là del muro. Viaggio nei centri per migranti in Italia, gennaio 2010, pag.
21;
38
“Nei centri di Foggia, Crotone, Caltanissetta spesso i pasti sono serviti freddi e la maggior parte degli ospiti è obbligata a
consumarli sul proprio letto o per terra per l’assenza di spazi ad hoc”, Medici senza Frontiere, Al di là del muro. Viaggio nei centri
per migranti in Italia, gennaio 2010, pag. 19.
39
“Gli appartamenti sono angusti e sporchi. Un afghano riferisce anche di scarsi controlli medici. Non vengono fatti check up e a
volte somministrano le stesse pillole per patologie differenti”, Dal Corriere della Sera on line del 13.01.2012, Un viaggio tra i
disperati del Cara “senza farmaci né speranza”, http://www.meltingpot.org/articolo17272.html;
35
15 con punte anche superiori all’anno.40
IL CARA DI CASTELNUOVO DI PORTO
Per comprendere meglio gli standard di accoglienza nei Cara si è voluto, in questa sede, riportare quale esempio il Cara
di Castelnuovo di Porto, nei pressi di Roma.
La struttura di Castelnuovo di Porto è stata istituita con decreto del 20.04.2005 ed è entrata in funzione quale Cara –
CDA nel maggio del 2009. Fino a febbraio 2012 l’Ente gestore della struttura è stata la Croce Rossa Italiana (CRI). Da
marzo 2012 l’Ente gestore è la società Gepsa (Gestion Etablissements Penitenciers Services Auxiliares).
Il Cara è collocato in prossimità dell’uscita autostradale della rete A1 Castelnuovo di Porto. La struttura dista circa 9 km
dal comune di appartenenza e circa 40 km da Roma. Non vi sono nei pressi della struttura collegamenti pubblici che
possano facilitare gli spostamenti degli ospiti che sono costretti, quindi, a percorrere molti kilometri a piedi, in strade a
grande frequentazione di veicoli, per raggiungere la stazione ferroviaria più vicina, Monterotondo, a circa 5 km di
distanza, e da lì recarsi a Roma. Esso sorge, quindi, in un’area fortemente isolata e del tutto astratta dal territorio
circostante. L’edificio destinato all’accoglienza dei rifugiati fa parte di un complesso di edifici dello stesso tipo, i quali
sono destinati al deposito di materiali vari. L’intera struttura è, inoltre, circondata da una enorme pavimentazione di
cemento.
Il Cara ha una capienza ordinaria di 650 posti, ma in alcuni momenti sono state ospitate fino a 780 persone. Nel gennaio
del 2010, inoltre, il Cara ha ospitato al proprio interno 85 cittadini di etnia rom che erano stati sgomberati dal Campo di
via Salone a Roma, nell’ambito del Piano Nomadi avviato dall’amministrazione comunale di Roma. Si trattava di
persone presenti in Italia da molti anni per le quali era stata attivata quasi in automatico la procedura per la richiesta di
asilo, che formalmente giustificasse la loro presenza nel Cara.
L’intera struttura è circondata da alte recinzioni e per l’ingresso nella stessa è necessario esibire l’apposito tesserino che
dimostri di essere ospite della struttura. L’area intorno alla struttura è fortemente degradata e vi sono in prossimità della
stessa fenomeni diffusi di prostituzione.
Al piano terra della struttura sono ospitati la mensa, gli uffici dell’ente gestore, l’ambulatorio medico, il servizio legale
ed una sala per la televisione; quest’ultima consiste in un enorme stanzone vuoto con un paio di sedie e un televisore. Al
piano superiore vi sono le camerate: le stanze sono mediamente di 4m per 4 e possono ospitare fino a 5 persone per
stanza. Ogni stanza ha un proprio bagno.
Non vi sono separazioni tra le zone destinate agli uomini e quelle destinate alle donne né aree destinate all’accoglienza
dei nuclei familiari o monoparentali pur presenti in modo numeroso nel centro.
Non esiste all’interno del centro alcun negozio di generi alimentari o di diverso tipo dove poter acquistare i beni che
non siano forniti dal gestore e non è, altresì, prevista l’erogazione di un pocket money agli ospiti per le loro esigenze
personali.
Occorre, infine, sottolineare come non vi sono strutture ricreative di alcun genere, neanche per i molti minori ivi
presenti.
II.C.3 I CENTRI DELLE AREE METROPOLITANE
Molte aree metropolitane sul territorio nazionale presentano circuiti di accoglienza propri, non
appartenenti né alla rete Sprar né al sistema dei Cara. Tali circuiti di accoglienza hanno regole di
accesso e capacità ricettive del tutto peculiari e difformi tra loro che danno vita a veri e propri
“sistemi a sé” di accoglienza che interessano sia richiedenti asilo, che richiedenti asilo “Dublino”,
sia titolari di protezione internazionale ed umanitaria.
Tali azioni sviluppatesi a livello locale, pur non configurandosi formalmente come attuazione della
direttiva e del decreto accoglienza, sono spesso chiamate a colmare le grandi lacune di tale
attuazione. Le stesse autorità che gestiscono l’accoglienza nei termini di cui alla direttiva e al
decreto, infatti, non di rado fanno riferimento a questo tipo strutture per sopperire alle carenze del
sistema statale di accoglienza.41
Non è possibile dare in questa sede contezza di tutti i circuiti di accoglienza che insistono sul
40
V. Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pag. 130;
Cfr. Benvenuti M. (a cura di), La protezione internazionale degli stranieri in Italia: uno studio integrato sull’applicazione dei
decreti di recepimento delle direttive europee sull’accoglienza, sulle qualifiche e sulle procedure, Jovene, Napoli, 2011, pagg 29 ss;
41
16 territorio nazionale. Ci si limiterà, quindi, a menzionare i circuiti di alcune delle più importanti aree
metropolitane che possano fornire un’idea sulle dimensioni di questo fenomeno e sulle sue
caratteristiche principali.42
Il Comune di Torino gestisce autonomamente 28 posti riservati a richiedenti asilo (26 uomini e 2
donne) ed ha 5 posti per richiedenti con disagio psichico attivati con un finanziamento FER (Fondo
Europeo per i Rifugiati). Il Comune gestisce, inoltre, ulteriori 173 posti che sono destinati a titolari
di protezione. I posti sono suddivisi in 11 appartamenti privati (uno solo dei quali è destinato
all’accoglienza di 8 donne), 2 centri di 30 persone ciascuno e un centro più grande con 65 persone.
L’Ufficio speciale Immigrazione del Comune di Roma (USI) gestisce sul territorio 21 centri di
accoglienza. Si tratta generalmente di centri di medie o grandi dimensioni (dai 25 ai 100 posti
circa). Tali centri sono gestiti dal privato sociale in convenzione diretta con il Comune di Roma.43 I
centri dispongono di circa 1300/1400 posti; tali posti non sono, tuttavia, riservati esclusivamente a
richiedenti asilo e rifugiati. I dati del Comune di Roma per il triennio 2008-2010 riportano, infatti,
un totale di 3500 nuovi ingressi, da cui si può evidenziare la non esclusiva presenza di richiedenti
asilo e rifugiati. Di questi nuovi ingressi, infatti, 1604 erano richiedenti asilo, 573 erano
rifugiati, 402 titolari di protezione umanitaria, 501 titolari di protezione sussidiaria e 420
appartenevano ad altre categorie di stranieri.
L’ingresso nel circuito comunale è comunque difficile per via della carenza dei posti in relazione
alla domanda espressa dal territorio. Va, infatti, considerato come a fronte dei posti letto disponibili
sul territorio romano (non sempre, come precisato, necessariamente riservati a richiedenti asilo e
titolari di protezione) “il numero complessivo dei richiedenti asilo e titolari di protezione
presenti sul territorio “è di circa quattro volte maggiore”.44 Questo fa sì che i tempi di attesa per
l’ingresso nel circuito cittadino si attestino intorno ai 4 mesi, così come dichiarato dall’Ufficio
Immigrazione. Ad aprile 2012 la lista d’attesa per avere un posto in accoglienza presso l’Ufficio
Immigrazione del Comune di Roma è arrivata ad oltre 1900 richieste inevase.45
A Roma è presente anche una terza realtà di accoglienza, il Centro Enea, gestito
dall’Arciconfraternita del SS Sacramento e S. Trifone che opera sotto la responsabilità dell’Ufficio
Immigrazione del Comune di Roma. Il centro ha una capienza di 400 posti, di cui 320 destinato a
ospiti provenienti dal Circuito di accoglienza comunale e 80 ai transiti provenienti dal Valico di
42
I dati che seguono sono tratti da Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pagg. 73 ss: Si
precisa, altresì, che si è scelto le aree metropolitane sotto menzionate perché attualmente sono le aree i cui circuiti di accoglienza
sono meglio documentati e dei quali si hanno dati certi su capacità di accoglienza e modalità di ingresso. Non si può, tuttavia,
escludere che anche altre città, come è nel caso di Firenze, abbiano autonomi circuiti di accoglienza;
43
IntegraAzione, I rifugiati invisibili – L’accoglienza informale nella capitale, maggio 2012;
44
Cir e al., Le strade dell’integrazione, Giugno 2012, pag. 101;
45
Fonte: IntegraAzione, I rifugiati invisibili – L’accoglienza informale nella capitale, maggio 2012. I tempi medi di accesso per i
maschi singoli è di circa 3 mesi. Più lunga è, viceversa, l’attesa per le famiglie (circa 6 mesi) dal momento che i posti disponibili
sono inferiori e decisamente maggiori i tempi di permanenza nelle strutture,
17 Fiumicino, gestito dalla stessa Arciconfraternita. Va, inoltre, notato come a seguito della
dichiarazione dello stato di emergenza per il 2011, di cui si parlerà a breve, anche a Roma sono nati
nuovi Centri di Accoglienza per ospitare oltre 1000 nuovi richiedenti asilo. Tale accoglienza,
tuttavia, rischia di chiudere definitivamente nel dicembre del 2012, con l’evidente insostenibile
pressione sull’accoglienza cittadina più che satura. Una situazione che porterebbe contestualmente
ad un’esponenziale crescita della occupazioni invisibili.46
La rete di strutture di accoglienza gestita direttamente dal Comune di Milano è strutturata sui c.d.
Centri polifunzionali che garantiscono 400 posti in accoglienza. Nella maggior parte dei centri i
beneficiari sono tenuti ad uscire nelle ore diurne dei giorni feriali.47
I centri di accoglienza gestiti autonomamente dai Comuni cercano, quindi, di colmare, almeno in
parte, le grandi lacune del sistema di accoglienza governativo in termini, in primo luogo, di
posti disponibili. Occorre, tuttavia, notare come, nonostante l’attivazione di posti aggiuntivi, questi
non riescano comunque a sopperire alle esigenze di accoglienza.
II.C.4 IL 2011
Le crisi politiche che hanno coinvolto i Paesi del Nord-Africa nel corso del 2011 hanno determinato
un intensificarsi dei flussi migratori dalla Tunisia e dalla Libia48. Di fronte a tale incremento, il
Presidente del Consiglio dei Ministri con decreto del 12 febbraio 2011 ha dichiarato lo stato di
emergenza sul territorio nazionale fino al 31.12.2011. Successivamente, con decreto del 7 aprile
2011, è stato decretato “lo stato di emergenza umanitaria nel territorio del Nord Africa”, per
giungere con un decreto del 5 aprile 2011 a concedere il permesso di soggiorno per motivi
umanitari a tutti i cittadini del Nord Africa giunti in Italia dopo il primo gennaio e prima del 5 aprile
2011. Con successivo decreto del 6 ottobre 2011, infine, lo stato di emergenza è stato prorogato fino
al 31 dicembre 2012.
A seguito degli arrivi dal Nord Africa il sistema italiano di accoglienza ha dimostrato
immediatamente le proprie criticità. Il 18 febbraio 2011, poche decine di giorni dopo l’inizio degli
sbarchi, viene emanata l’ordinanza n. 3924 della Presidenza del Consiglio dei Ministri che stabilisce
“Disposizioni urgenti di protezione civile per fronteggiare lo stato di emergenza umanitaria” dovuto
all’afflusso di persone dal Nord Africa. Le premesse richiamate da tale ordinanza sono
l’insufficienza delle strutture destinate all’accoglienza e al trattenimento dei migranti arrivati
46
IntegraAzione, I rifugiati invisibili – L’accoglienza informale nella capitale, maggio 2012;
Tale scelta appare, tuttavia, “di dubbia conformità alle prescrizioni dell’art. 14 della Direttiva 2003/9/CE in materia di condizioni
materiali di accoglienza”, Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pag. 112;
48
Nel corso del biennio 2009-2010 vi era stato, infatti, un fortissimo decremento dei flussi migratori dal Nord-Africa dovuto alla
nota politica dei respingimenti messa in atto dal Governo italiano. Una recente sentenza della Corte Europea per i diritti dell’Uomo
ha condannato l’Italia per tale politica (sentenza Hirsi Jamaa e altri c. Italia).
47
18 in Italia49 e la conseguente necessità di provvedimenti straordinari al fine di superare l’emergenza
che ha determinato l’attuale situazione politica del Maghreb. Va, infatti, ricordato che per il triennio
2011-2013 la rete Sprar presentava una capacità invariata rispetto al biennio precedente con 3000
posti disponibili, cui si sono aggiunti nel corso dell’emergenza 1500 posti straordinari.
Tra febbraio e marzo del 2011 continuano gli arrivi dal Nord Africa a Lampedusa, che comportano
una paralisi dell’isola.50 In questa situazione il Governo assume la decisione di trasformare il
“Residence degli aranci”, sito a Mineo, in un centro per richiedenti asilo, ivi trasferendo anche
coloro i quali si trovavano già in accoglienza presso altri Cara in Italia. Come messo evidenziato
anche dalla Commissione straordinaria del Senato “questi trasferimenti hanno comportato rilevanti
problemi di legittimità per lo sradicamento delle competenze in sede amministrativa e
giurisdizionale, rallentando le procedure relative alle istanze di asilo già presentate e coinvolgendo
anche richiedenti vulnerabili che avevano già intrapreso percorsi di accoglienza e di cura presso i
servizi socio-sanitari dei vari territori”51.
“IL VILLAGGIO DELLA SOLIDARIETA’” DI MINEO
Il residence di Mineo, costituito da 404 villette in nove ettari di terreno, è di proprietà della Ditta Pizzarotti spa di
Parma, che in passato aveva affittato la struttura al Dipartimento della Marina Militare Usa per alloggiarvi le famiglie
dei soldati in servizio presso la base militare di Sigonella.
Il residence si trova in un’area completamente isolata, lontana 10 km dal centro urbano e senza possibilità di
collegamenti con mezzi pubblici. Tale carenza dà luogo a situazioni potenzialmente pericolose in quanto i richiedenti
devo percorrere tanti km a piedi su strade a grande scorrimento per raggiungere il centro abitato. Il Centro, dunque, “si
configura come una sorta di non-luogo, totalmente isolato dal territorio (la struttura è priva persino di mezzi di
collegamento pubblici) dove le persone conducono la loro quotidianità in una condizione di apatia e rassegnazione”
(Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione - Asgi, Comunicato stampa del 28.07.2011).
I primi problemi per la struttura si sono posti per via della mancanza di uno status giuridico definito per il centro che lo
qualificasse espressamente quale Cara. Tale carenza ha come prima conseguenza fondamentale la mancata definizione
dell’ente gestore del centro. “La mancata definizione dell’ente gestore comporta anche l’assenza di servizi psicosociali: non esistono assistenti sociali che si occupano dell’integrazione degli ospiti né psichiatri che prendono in cura
i soggetti psicotici. Si è verificato nel villaggio un tentativo di suicidio da parte di un richiedente asilo proveniente da
un altro Cara. Non c’è personale specializzato per assistere le donne vittime di violenza presenti nel centro” (dal
Rapporto della Commissione straordinaria del Senato).
Gli alloggi del Villaggio sono in ottimo stato. Le condizioni materiali di essi sono, infatti, di altissimo livello. Proprio
tale livello non può che stridere con la mancanza di servizi essenziali per i richiedenti asilo che riguardano, in primo
luogo, un tempestivo accesso del richiedente alla procedura d’asilo stessa. Come riportato dalla Commissione del
Senato, infatti, “oltre alla mancanza di mediatori, interpreti e traduttori, figure indispensabili per lo svolgimento delle
procedure, mancano i moduli per la formulazione della richiesta d’asilo e di conseguenza gli ospiti devono aspettare
tempi lunghissimi per avere un documento di riconoscimento”.
Numerosi sono, infine, i problemi che si sono posti per i richiedenti asilo trasferiti forzosamente a Mineo da altre
strutture. La Commissione del Senato, a questo proposito, rileva: “Al trasferimento dei richiedenti asilo nella maggior
parte dei casi non è seguito il trasferimento delle pratiche riguardanti la loro richiesta o l’eventuale istanza di ricorso.
Manca inoltre il provvedimento di trasferimento firmato dal prefetto: questo comporta una totale incertezza sul rispetto
dei tempi previsti per questo tipo di procedure e in generale dell’intero sistema di richiesta d’asilo. Inoltre non sono
chiari i criteri con cui il Ministero dell’Interno abbia selezionato i richiedenti asilo da trasferire”. Il rischio è, quindi,
che siano stati trasferiti a Mineo richiedenti asilo vulnerabili, che non hanno potuto continuare il loro percorso di presa
in carico e cura.
49
“Rilevata altresì l’insufficienza delle attuali strutture destinate all’accoglienza o al trattenimento dei cittadini sbarcati sulle coste
italiane rispetto all’eccezionalità del flusso migratorio registrato negli ultimi giorni, con particolare riferimento a quelle situate nel
territorio della Regione siciliana”, Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 18.02.2011 n. 3924;
50
V., ex multis, http://it.peacereporter.net/articolo/27416/Lampedusa,+chiuso+il+Cpt+per+sovraffollamento,
http://palermo.repubblica.it/cronaca/2011/03/22/news/due_sbarchi_all_alba_a_lampedusa-13933955/,
http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/394208/
51
Senato della Repubblica – Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, op. cit., pag 123-124.
19 La durata incerta dell’esame della richiesta d’asilo, l’isolamento della struttura rispetto al territorio, il numero
insufficiente di personale formato e dei servizi di informazione hanno determinato in questi mesi reazioni di sfiducia e
malcontento da parte dei migranti ospitati nel centro, i quali hanno dato vita a proteste e momenti di forte tensione. Il 27
luglio 2011, all’interno del Centro, dove erano presenti circa 2000 persone, strutture e mezzi sono stati danneggiati e
dati alle fiamme.
A seguito dell’acuirsi del conflitto libico, il 13.04.2011, veniva emanata l’ordinanza del Presidente
del Consiglio dei Ministri n. 3933 che fa seguito all’accordo del 6.04.2011 tra Governo, Regioni,
ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) e UPI (Unione Province Italiane) con il quale
viene affidato al sistema di protezione civile il compito di pianificare le attività necessarie alla
dislocazione dei migranti nelle singole regioni in base al numero di abitanti di ciascuna.
Nell’accordo, però, non vengono stabiliti i criteri e gli standard minimi relativi alle condizioni
di accoglienza, determinando il collocamento dei richiedenti asilo nelle più disparate strutture come
alberghi, residence, convitti, scuole etc ovvero affidando spesso la gestione delle complesse
problematiche relative all’accoglienza e alla tutela dei richiedenti asilo a soggetti senza alcuna
esperienza nel settore.52
L’individuazione di strutture alberghiere quali strutture di accoglienza per i richiedenti asilo in arrivo dal Nord Africa
ha caratterizzato tutto il territorio nazionale.
Il monitoraggio effettuato dalla Rete Asilo Lombardia, da settembre a dicembre 2011, ha consentito di individuare le
tipologie di strutture ed i servizi offerti a livello regionale per la cd Emergenza profughi.
Il dato più preoccupante risulta, certamente, il ricorso a strutture, quali dormitori ed alberghi, in moltissimi casi prive
degli standard minimi di accoglienza previsti dalla normativa vigente.
Le strutture alberghiere censite sono state una ventina ma la stima è che il ricorso ad alberghi ed hotel sia stato in
numero maggiore e che alcune strutture siano sfuggite al monitoraggio.
Tra le situazioni che hanno destato maggiore preoccupazione si segnalano quella di Pieve Emanuele e di Monte
Campione – Artogne. La struttura di Pieve Emanuele (Residence Ripamonti) ha ospitato inizialmente 450 persone che
sono state trasferite successivamente in varie strutture lombarde fino ad arrivare, alla data del monitoraggio (ottobre
2011), a 280. Ai richiedenti asilo presenti in questa struttura sono stati garantiti esclusivamente vitto, alloggio e un
corso di italiano per stranieri organizzato tramite un’associazione locale. La struttura di Monte Campione, situata a
1800 metri di altezza, è arrivata ad ospitare fino a 116 persone ed è stata, in seguito, gradualmente svuotata.
Per la città di Milano le autorità cittadine hanno cercato di evitare l’accoglienza in strutture private. Non poche
preoccupazioni ha destato, tuttavia, una struttura sita in via Saponaro gestita dalla Onlus Fratelli di San Francesco.
Come riporta il sito della stessa associazione (www.fratellisanfrancesco.it) questa fornisce accoglienze notturne di
bassa soglia per senza fissa dimora. Sempre secondo i dati riportati sul sito nel 2011 la Onlus ha accolto 3200 senza
fissa dimora: clochard, anziani e richiedenti asilo politico nonché 51 minori stranieri non accompagnati.
I richiedenti ospitati nella struttura hanno in più occasioni protestato e chiesto l’intervento del Comune e dell’Unhcr. In
particolare essi hanno lamentato il bassissimo standard di accoglienza (assenza di acqua calda, cibo di pessima qualità e
molto spesso scaduto) nonché l’assoluta mancanza di orientamento legale, sia prima che dopo la Commissione.
L’afflusso dei profughi dal Nord Africa ha mostrato con forza le problematiche relative
all’accoglienza dei richiedenti asilo in Italia, in merito, soprattutto, alla sistemica carenza di posti
disponibili.53 Va, infatti, considerato che il numero delle domande presentate è stato, alla fine del
52
Gli standard di accoglienza sono stati poi definiti con l’ordinanza n. 3948 del 20.06.2011, quando l’accoglienza dei richiedenti era
già iniziata da oltre 2 mesi. I servizi devono essere, a scelta del gestore, equivalenti a quelli previsti per i Cara o per lo Sprar,
compatibilmente, tuttavia, “con la situazione emergenziale in atto”.
53
Per quanto riguarda il 2011 si veda, altresì, quanto riportato dal rapporto di Amnesty International per il 2011: “La risposta delle
autorità è stata carente e ha determinato violazioni dei diritti umani di richiedenti asilo, migranti e rifugiati. Tra le azioni intraprese
ci sono state espulsioni sommarie di massa, violazioni del divieto di non-refoulement e detenzioni illegali. […] Le condizioni nei
centri di accoglienza e detenzione non sono state conformi agli standard internazionali; richiedenti asilo e rifugiati sono stati
lasciati nell’indigenza”, Amnesty International, Rapporto Annuale 2012 – Italia, Maggio 2012;
20 2011, di 37350 richieste54.
Vi è stato, inoltre, un peggioramento evidente delle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo
presenti sul territorio i quali hanno avuto standard di accoglienza molto bassi55. Tale situazione è
stata evidenziata anche dal CERD (Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale), il
quale, nelle sue ultime raccomandazioni all’Italia del 9 marzo scorso, si dice preoccupato “che
nonostante le sue precedenti raccomandazioni, le precarie condizioni nei centri di assistenza,
accoglienza e identificazione siano peggiorate con l’arrivo dei migranti provenienti dal Nord
Africa”.56
II.D I RICHIEDENTI ASILO E RIFUGIATI RINVIATI IN ITALIA IN APPLICAZIONE
DEL REGOLAMENTO DUBLINO II
II.D.1 I numeri
I richiedenti asilo e rifugiati rinviati in Italia in applicazione del Regolamento Dublino II incontrano
sul territorio nazionale numerosi problemi di inserimento nei circuiti di accoglienza, problemi che si
sommano a quelli che essi incontrano ordinariamente in Italia. Per inquadrare il fenomeno è
necessario vedere i dati delle richieste di trasferimento (dall’Italia verso altri Paesi membri e
viceversa) e dei trasferimenti effettuati.57 Nei paragrafi seguenti si procederà, quindi, all’analisi
degli stessi.
RICHIESTE DI TRASFERIMENTO
PERIODO
Richieste dall’Italia ai
Paesi membri
Richieste dai Paesi membri
TOTALE
GEN – DIC 2008
GEN –DIC 2009
TOTALE
1895
1377
3272
5676
7571
10596
11973
16272
19544
GEN – DIC 2008
GEN –DIC 2009
TOTALE
124
47
171
TRASFERIMENTI EFFETTUATI
PERIODO
Richieste dall’Italia ai
Paesi membri
54
Source: www.interno.it. “When compared with the population of each Member State, the highest rates of applicants registred were
recorded in Malta (4500 applicants per million inhabitants), Luxembourg (4200), Sweden (3200), Belgium (2900) and Cyprus
(2200)”,
http://epp.eurostat.ec.europa.eu/cache/ITY_PUBLIC/3-23032012-AP/EN/3-23032012-AP-EN.PDF.
“L’Italia
dell’emergenza 2011 si colloca molto al di sotto di queste cifre: anche tenendo conto dei 37.350 richiedenti asilo contati dalla nostra
Commissione, oltre 3000 in più rispetto al dato Eurostat, per l’anno scorso si ricava un carico di 614 richiedenti asilo per milione di
abitanti”, http://viedifuga.org/?p=4083;
55
Questa situazione è stata rilevata, altresì, dal Commissario Europeo per i diritti Umani il quale, nel proprio report, scrive: “The
Commissioner also notes reports according to which centres in which asylum seekers are hosted do not always meet the relevant
standards, in particular as conerns provision of legala id and psycho-social assistence. Difficulties in the speedy identification of
vulnerable persons and the preservation of family unity during transfers from the points of disembarkation to the different centres
have also been reported, with resulting inadequate care and follow-up for the individuals concerned”; Thomas Hammarberg –
Commissioner for Human Rights of the Council of Europe, Report, Strasbourg, 7 September 2011, par. 59;
56
CERD, Recommendation n. 22/2012;
57
Dati riportati nello studio Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pag.158. Non ci sono,
al momento, statistiche consolidate per gli anni 2010 e 2011;
21 Richieste dai Paesi membri
1308
1432
TOTALE
2688
2734
3996
4167
Per ciò che concerne i rinvii in Italia attraverso l’aeroporto di Roma Fiumicino si dispone di dati
dettagliati per le annualità 2009 e 2010, forniti dall’Arciconfraternita, ente gestore del Valico di
Roma Fiumicino.58
DATI 2009
TOTALE
casi Dublino
1686
Donne
162
Uomini
Nazionalità
maggiormente
rappresentate
508
SOMALIA
495
NIGERIA
145
IRAQ
112
AFGHANISTAN
107
SIRIA
39
ALGERIA
36
SUDAN
35
1404
Minori
Minori n.a.
118
2
Posizione legale
in relazione
alla procedura
Richiedenti
Asilo
Beneficiari
protezione
Altro
ERITREA
368
104
8
270
ALTRO
209
Paesi membri richiedenti
il trasferimento
Casi vulnerabili
102
SVIZZERA
551
Nuclei con minori
51
NORVEGIA
321
Donne sole
38
PAESI BASSI
REGNO
UNITO
213
Donne incinte
6
141
Problemi salute
7
FINLANDIA
112
GERMANIA
103
FRANCIA
99
AUSTRIA
41
SVEZIA
41
Accoglienza
Adulti
Minori a
carico
Centro Enea
Centro Enea Acc.
Temporanea*
104
17
92
5
Altri Centri
289
55
TOTALE
485
77
DANIMARCA 23
ALTRO
41
*L’accoglienza temporanea presso il Centro Enea, ossia di circa un paio di giorni, viene riservata a quanti – secondo procedura –
devono presentarsi presso altre Questure di competenza.
DATI 2010
TOTALE casi Dublino Donne Uomini Minori Minori n.a. Posizione legale in relazione alla procedura Richiedenti Asilo Beneficiari protezione Nazionalità maggiormente rappresentate 2187 202 1819 164 2 582 SOMALIA 565 NIGERIA 417 AFGHANISTAN 129 IRAQ 73 SUDAN 302 IRAN 1212 ALTRO 44 47 29 301 Paesi membri richiedenti il trasferimento ERITREA GHANA Vulnerabilità riscontrate SVIZZERA 696 NORVEGIA 377 REGNO UNITO 240 PAESI BASSI 307 GERMANIA 153 SVEZIA 108 FRANCIA 98 BELGIO 93 AUSTRIA 58 190 Nuclei con minori 98 Donne sole 54 Donne incinte 10 Gravi problemi salute 26 Minori n.a. 2 Accoglienza Centro Enea Centro Enea Acc. Minori a Adulti carico 105 13 219 24 58
Dati pubblicati nello studio Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pagg. 161 ss;
22 Altro 673 DANIMARCA 18 ALTRO 39 Temporanea* Altri Centri 203 89 TOTALE 527 126 Per ciò che concerne i dati relativi al 2011 non vi sono, al momento della redazione del presente
report (luglio 2012) dati ufficiali. L’unica fonte, molto incompleta, in merito è la seguente: “I casi
Dublino nel 2011 sono praticamente raddoppiati. All’Ufficio Dublino, presso l’aeroporto di Roma
Fiumicino, arrivano circa 20 casi Dublino al giorno, contro i dieci degli scorsi anni. Per
quantificare il flusso di richiedenti ‘di ritorno’ cui l’Italia è sottoposta, ci si può riferire a titolo
esemplificativo a due Paesi: nel 2011 sono rientrati in Italia dalla Svizzera 1654 richiedenti asilo
dublinanti e 457 dalla Norvegia”.59
II.D.2 La situazione dei titolari di protezione internazionale rinviati in Italia: la “fuga
dall’Italia” e il vuoto di accoglienza
Il primo dato che emerge con chiarezza dalle tabelle sopra riportate riguarda l’alto numero di
beneficiari di protezione che viene riportato in Italia in applicazione del regolamento Dublino II.
Tale dato risulta confermato anche dagli arrivi all’aeroporto di Milano Malpensa per il 2010.60
Malpensa – istanze di asilo e casi Dublino Anno 2010 Prime istanze 160 Casi Dublino 297 -­‐ Richiedenti asilo 199 -­‐ Rifugiati 7 -­‐ Prot. sussidiaria 60 -­‐ Prot. umanitaria 13 -­‐ Diniegati/espulsi 18 Totale 457 35% 65% 67,00% 2,36% 20,20% 4,38% 6,06% 100% Fonte: Sportello SAF Malpensa. Pur tenendo in considerazione le eventuali reti familiari o di comunità di appartenenza che possono
spingere i titolari di protezione ad abbandonare l’Italia per raggiungere altri Paesi Europei, il dato in
esame dimostra, senza ombra di dubbio, una sorta di “fuga dall’Italia” 61 che è strettamente
connesso alla carenza di percorsi di accoglienza immediatamente successivi al riconoscimento della
protezione e alla carenza di progetti a medio termine per l’inclusione sociale, di cui si parlerà a
breve. Tale situazione emerge, altresì, dai risultati di una recente ricerca condotta da Caritas Roma
59
IntegraAzione, I rifugiati invisibili – L’accoglienza informale nella capitale, maggio 2012;
Dati forniti dalla SEA- Aeroporto di Milano e pubblicati in Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati,
Giugno 2011, pag. 165;
61
V. Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pag. 165;
60
23 ove si legge che ben il 43,4% del campione intervistato ha dichiarato di aver effettuato, dopo il
primo ingresso in Italia, partenze verso altri Paesi europei. “Si tratta prevalentemente di Paesi
scandinavi (Svezia, Norvegia e Finlandia), ma anche Olanda, Regno Unito, Germania e Svizzera.
In questi paesi gli intervistati hanno avuto tempi medi di permanenza di poco meno di un anno. In
particolare per il 31,4% degli intervistati il tempo massimo di permanenza in un altro Stato
europeo non ha superato i 6 mesi, mentre circa il 44% si è trattenuto da 7 mesi a 12 mesi e il
18,2% da 13 a 24 mesi. Solo il 6,3% ha avuto periodi all’estero superiori ai 2 anni. In alcuni casi,
si è trattato di tentativi falliti di trasferimento in altri paesi, nella maggior parte dei casi perché
sono stati rimandati in Italia dalle autorità competenti”.62
Per i titolari di protezione rinviati in Italia si apre, al momento del loro arrivo sul territorio
nazionale, un vero e proprio vuoto di accoglienza. Nei casi in cui la procedura si è conclusa,
infatti, queste persone perdono il diritto di essere accolte in un Cara.63 Per loro l’unica
possibilità è quella di mettersi in lista d’attesa per un posto Sprar, lista d’attesa che, come
abbiamo visto, è molto lunga e comporta un lungo periodo in cui il titolare di protezione
risulta totalmente sprovvisto di accoglienza. Va, inoltre, precisato come nel caso in cui i
titolari di protezione fossero stati in precedenza accolti nel sistema Sprar questa accoglienza
non possa più essere ripristinata (salvo residuali eccezioni connesse ad un’elevatissima
vulnerabilità).
Tale vuoto d’accoglienza è stato, altresì, rilevato da una ricerca commissionata dalla società Sea,
gestore dell’aeroporto di Malpensa, che evidenzia come questa situazione di carenza di
accoglienza si manifesti sin dal primissimo arrivo della persona sul territorio nazionale,
quando la stessa ha, addirittura, difficoltà economiche a spostarsi dallo stesso aeroporto di
arrivo. La ricerca, infatti, sottolinea: “Fra i migranti riammessi secondo il regolamento Dublino II,
lo Sportello Immigrazione si occupa quasi esclusivamente di coloro che avanzano una prima
richiesta di protezione internazionale” e, ancora, sui titolari di protezione prosegue “lontani da
forme di assistenza pubblica possono, nei casi migliori, far leva su reti comunitarie o familiari,
simili a quelle che avevano cercato di raggiungere all’estero allontanandosi dall’Italia. Anche in
questi casi, però, si trovano spesso privi dei mezzi materiali anche solo per raggiungere, da
Malpensa, tali reti di supporto. La ricerca ha verificato la mancanza di strutture adeguate per
62
Caritas – Roma e al, Mediazioni metropolitane, studio e sperimentazione di un modello di dialogo e intervento a favore dei
richiedenti e titolari di protezione internazionale in situazione di marginalità, Roma, giugno 2012, pag. 22;
63
V. CIR, Dubliners project report, 2010, pag. 36;
24 l’assistenza di queste problematiche e la mancanza di risorse e contatti istituzionalmente
riconosciuti, al fine di offrire una reintegrazione di queste persone sul territorio italiano”64.
Si può quindi ipotizzare che la gran parte degli oltre 2200 titolari di protezione internazionale
che hanno fatto rientro tra il 2009 e il 2010 dallo scalo di Fiumicino e gli 80 titolari che sono
rientrati nel 2010 attraverso lo scalo di Malpensa siano di fatto rimasti privi di accoglienza sul
territorio e si siano, di conseguenza, trovati ad ingrossare i circuiti della marginalità sociale di
cui si parlerà diffusamente nel prossimo capitolo.
II.D.3 Il rinvio in Italia dei richiedenti asilo: la variabilità della loro accoglienza
In merito alla situazione dei richiedenti asilo rinviati in Italia in applicazione del Regolamento
Dublino II è necessario premettere quanto segue. In relazione all’accoglienza il Regolamento
Dublino non contiene alcuna norma che assicuri un trattamento omogeneo dei casi Dublino rispetto
ai richiedenti già presenti sul territorio dello Stato membro.65
Tale carenza produce, sul piano pratico, una difformità di applicazioni sul territorio nazionale.
Tale normativa viene, infatti, interpretata in modo variabile dalle varie amministrazioni territoriali,
in relazione alla sussistenza o meno di un obbligo di accoglienza del richiedente asilo rinviato in
Italia che aveva in precedenza usufruito dell’accoglienza. Molto spesso, infatti, il richiedente
rimane, di fatto, privo di accoglienza sul territorio.
I casi Dublino in arrivo all’aeroporto di Fiumicino sono indirizzati al Centro ENEA che ha 80 posti
riservati ai transiti da Fiumicino (casi Dublino – richiedenti e titolari di protezione - e richiedenti
asilo di prima istanza). Nel corso del 2010 il Centro Enea ha accolto 324 persone (di cui 219
richiedenti asilo che dovevano riattivare la procedura in Questure diversa da quella di Roma).66
Coloro che, invece, rimangono esclusi dall’accoglienza vengono indirizzati verso il circuito di
assistenza del Comune di Roma, dove però, come abbiamo visto, la lista di attesa è estremamente
lunga, oppure viene indirizzato al circuito informale costituito da enti religiosi, associazioni laiche,
ecc. Nel corso del 2010, un numero pari a 203 cd casi Dublino ha avuto accoglienza in queste
sistemazioni informali.67
Rispetto ai casi Dublino per cui è competente alla riattivazione della procedura una Questura
diversa da quella di Roma va, tuttavia, evidenziato come dopo una iniziale accoglienza al centro
Enea i richiedenti vengono inviati presso le località di destinazione. Non vi è, tuttavia, alcun
sistema di tracciabilità degli spostamenti e dell’accoglienza che garantisca la presa in carico del
64
SEA – Aeroporti di Milano, SEA Aeroporti di Milano e i controlli sull’immigrazione irregolare: pratiche e buone prassi, 2010,
pag. 35;
65
V. CIR, Dubliners project report, 2010, pag. 33;
66
Dati pubblicati nello studio Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pag. 168;
67
Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pag. 168;
25 richiedente in tempi ragionevoli. Come affermato dallo stesso Centro Enea “tutti i giorni
comunque qualcuno rimane escluso e tenta di trovare sistemazioni attraverso reti personali”.68 Il
medesimo dato è confermato anche da altri attori, quali il Consiglio Italiano Rifugiati (CIR), il
quale, in una sua ricerca sui Dubliners, riporta: “In Italia e in Grecia, dopo il trasferimento, i
Dubliners spesso non hanno un luogo dove essere accolti. Gli intervistati hanno dichiarato che,
nonostante il loro viaggio verso l’Europa fosse stato estremamente difficoltoso, il trattamento e
l’accoglienza ricevuti, una volta giunti, sono stati anche peggiori”. 69 Anche lo sportello di
assistenza legale del Cara di Castelnuovo di Porto sottolinea come non tutti i casi Dublino
trasferiti in Italia trovano davvero accoglienza.70
È il caso, ad esempio, di quanto avviene a Torino ove nel caso in cui il richiedente abbia già in
precedenza beneficiato dell’accoglienza viene escluso da una nuova accoglienza (a meno che non
sia considerato un “caso vulnerabile”). Nell’ipotesi in cui, viceversa, non abbia usufruito in
precedenza dell’accoglienza il richiedente viene segnalato allo Sprar e viene anche inserito nella
lista d’attesa del Comune di Torino per il reperimento di un posto in accoglienza, il che può
comportare tempi di attesa molto lunghi nei quali il richiedente rimane privo di qualunque
accoglienza.71
Come si può vedere, quindi, vi è sul territorio nazionale una situazione di grande incertezza
sulla esigibilità effettiva del diritto all’accoglienza dei richiedenti asilo rinviati in Italia.
Tale situazione conferma quanto emerso nel rapporto dell’associazione tedesca Pro Asyl che
nell’ottobre del 2010 ha condotto un’indagine sul campo a Torino e a Roma ove emergeva un
quadro di prevalente abbandono dei casi Dublino rinviati in Italia.72 Sulla base delle condizioni
emerse, inoltre, alcuni Tribunali Amministrativi della Germania hanno ritenuto di sospendere il
rinvio in Italia di richiedenti asilo in attuazione del Regolamento Dublino II in quanto l’Italia non
fornisce, in concreto, adeguate garanzie sull’effettivo rispetto dei diritti fondamentali dei richiedenti
asilo.73
Nella medesima direzione si collocano numerose ordinanze della Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo che, in applicazione dell’art. 39 of the Rules Of the Court, ha ordinato di sospendere il
rinvio in Italia per tutta la durata del procedimento innanzi ad essa.74 Come ha già in precedenza
statuito per la Grecia, con la sentenza M.S.S. v Belgium and Greece, la Corte potrebbe riscontrare
una violazione dell’art. 3 Cedu anche nei confronti dello Stato Italiano. Nel caso della Grecia,
68
V. Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pag. 168;
CIR, Dubliners project report, 2010, pag. 36;
70
V. Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pag. 168; 71
V. Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pag. 169;
72
V. PROASYL, The living conditions of refugees in Italy, a cura di Maria Bethke & Dominik Bender, Francoforte, febbraio 2011.
73
V. PROASYL, The living conditions of refugees in Italy, a cura di Maria Bethke & Dominik Bender, Francoforte, febbraio 2011,
pag. 10;
74
V., ex multis, decisione del 7 gennaio 2010, decisione del 17 agosto 2010, decisione del 14 gennaio 2011;
69
26 infatti, la Corte ha ravvisato una violazione dell’art. 3 Cedu nel fatto che le autorità greche non
avessero tenuto in considerazione la vulnerabilità del richiedente asilo rinviato in Grecia in virtù del
regolamento Dublino II. A causa dell’inerzia delle autorità greche sull’accoglienza del richiedente,
questi si era ritrovato a vivere in strada per diversi mesi, senza accesso a misure sanitarie e senza
mezzi per provvedere ai propri bisogni essenziali. La Corte aveva ritenuto che il richiedente fosse
vittima, per questa situazione, di trattamenti umilianti che ledevano la propria dignità, in ciò lesivi
dell’art. 3 Cedu.75
Come si è avuto modo di dimostrare nel corso della presente trattazione, la gran parte dei
richiedenti asilo e dei rifugiati rinviati in Italia in applicazione del regolamento Dublino II si
trova nella medesima situazione indicata nella sentenza sopra citata, in quanto privo di
qualunque forma di accoglienza che di fatto gli impedisce la soddisfazione dei propri elementari
bisogni. Anche nella situazione italiana, pertanto, la Corte potrebbe ravvisare la medesima
violazione dell’art. 3 Cedu.
II.E LA DIFFICILE INCLUSIONE SOCIALE DEI TITOLARI DI PROTEZIONE
L’art. 27 del d.lgs 251/07 ha dato piena attuazione in Italia all’art. 28 della Direttiva 2004/83/CE
prevedendo che “I titolari dello status di rifugiato hanno diritto al medesimo trattamento
riconosciuto al cittadino in materia di assistenza sociale e sanitaria”. Occorre, tuttavia, precisare
come, anche a causa della mancanza di una legge organica sulla protezione internazionale,
all’incontrovertibilità del principio ivi affermato corrisponde un quadro applicativo che, di fatto, lo
vanifica. 76 Va, infatti, in primo luogo considerato che il titolare di protezione nel momento
immediatamente successivo al riconoscimento del proprio status è un “soggetto debole”77 che, privo
molto spesso di reti familiari di supporto, inizia il proprio percorso di inclusione sociale in una
situazione di grande isolamento. In questo momento così delicato, viceversa, il sistema di Welfare
75
“The Court considers that the Greek authorities have not had due regard to the applicant's vulnerability as an asylum seeker and
must be held responsible, because of their inaction, for the situation in which he has found himself for several months, living in the
street, with no resources or access to sanitary facilities, and without any means of providing for his essential needs. The Court
considers that the applicant has been the victim of humiliating treatment showing a lack of respect for his dignity and that this
situation has, without doubt, aroused in him feelings of fear, anguish or inferiority capable of inducing desperation. It considers that
such living conditions, combined with the prolonged uncertainty in which he has remained and the total lack of any prospects of his
situation improving, have attained the level of severity required to fall within the scope of Article 3 of the Convention”, European
Court of Human Rights, judgment M.S.S. v Belgium and Greece, 21.01.2011;
76
Questa situazione è stata, altresì, evidenziata anche da Thomas Hammarberg – Commissioner for Human Rights of the Council of
Europe – il quale nel suo report del 7 settembre 2011 riporta: “For istance, in spite of their disadvantaged position, especially at the
early stages, on the labour market, beneficiaries of international protection do not enjoy special support in accessing employment.
[…] In many cases, they also have difficulties finding accomodation, since SPRAR housing schemes, which are available for both
asylum seekers and beneficiaries of international protection, are not enough. As a result, several hundred refugees are reported to
live in destitute conditions or squat illegally around the country, with some becoming homeless. At the local level, additional hurdles
are sometimes posed by provisions limiting access to certain rights to Italian nationals, in contravention of anti-discrimination
legislation, and difficulties in obtaining residence registration (iscrizione anagrafica/residenza), which in turn negatively affects the
enjoyment by them of a number of rights”, Thomas Hammarberg – Commissioner for Human Rights of the Council of Europe,
Report, Strasbourg, 7 September 2011, par. 70;
77
V. Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pag. 296;
27 italiano “in difformità con le esperienze della maggior parte dei Paesi UE non garantisce, ad
esempio, salvo sporadiche sperimentazioni locali, un reddito minimo di sussistenza cui possano
accedere i titolari della protezione internazionale che si trovano all’inizio del loro percorso di
integrazione sociale. L’incertezza ed il rischio che ne conseguono sono evidenti: in assenza delle
risposte essenziali e primarie il rifugiato (ma anche il richiedente se privo di accoglienza), potrà
tentare la carta di un’avventurosa mobilità sul territorio nazionale, mettendo a rischio la
procedura stessa ed esponendosi a una marginalità che sconfina nell’invisibilità e talvolta,
comunque troppo spesso, nell’illegalità (lavoro nero, ricattabilità ecc.)”.78
Va, inoltre, considerato che il titolare di protezione nel momento successivo al proprio
riconoscimento resta, spesso, completamente privo di accoglienza. Alla frammentazione
dell’accoglienza per i richiedenti asilo, che si è vista nei paragrafi precedenti, infatti, corrisponde di
fatto una frammentazione di risposte al momento successivo al riconoscimento dello status. Per lo
Sprar per il triennio 2008-2010 l’accoglienza durava fino ai 6 mesi successivi alla Commissione (o
comunque per 6 mesi dall’ingresso in struttura) e poteva essere prorogata per ulteriori 6 mesi. Allo
scadere dei successivi 6 mesi il caso veniva valutato nella sua complessità e, qualora vi fosse
assoluta necessità, si aveva una successiva proroga. Le nuove linee giuda, valide per il triennio
2011-2013, parlano di proroghe ma non stabiliscono più un limite temporale per le stesse.
Attualmente, però, le proroghe richiedono una relazione sociale sul caso “nella quale vengano
presentate in maniera puntuale le motivazioni che inducono a protrarre il periodo di
accoglienza”79.
I Cara, viceversa, si occupano solo della condizione dei richiedenti asilo per cui l’accoglienza
termina con il riconoscimento della protezione. Questo determina al momento dell’uscita dal Centro
una vera e propria situazione di vuoto per il titolare di protezione internazionale o umanitaria.
Una recente ricerca della Caritas romana ha, altresì, evidenziato come il 56,2% del campione dalla
stessa analizzato sia andato via dalle strutture di accoglienza ove era ospitato semplicemente perché
“erano trascorsi i mesi previsti”; il 10% aveva abbandonato volontariamente il centro per andare in
un altro territorio o per raggiungere la propria famiglia mentre soltanto il 6% aveva terminato il
78
Provincia di Parma, Per un’accoglienza e una relazione d’aiuto transculturali, Fondo Europeo per i Rifugiati 2009, Parma, 2011,
pag. 58. In questo senso anche una recentissima ricerca del Cir (Consiglio Italiano Rifugiati) che riporta: “A differenza di quanto
previsto in altri Paesi europei, la normativa italiana non istituisce un programma nazionale di integrazione a favore dei titolari di
protezione internazionale. L’art. 29 comma 2 del Decreto Legislativo 19 novembre 2007 n. 251 si limita a dire che si tiene anche
conto delle esigenze relative all’integrazione dei titolari di protezione internazionale ed in particolare dei rifugiati in quanto
all’attuazione dell’art. 42 del Testo Unico Immigrazione – Dlgs 286/98. In tal modo i titolari di protezione internazionale vengono
equiparati ai cittadini immigrati senza prendere in considerazione la loro particolare situazione e vulnerabilità”, Cir e al., Le strade
dell’integrazione, Giugno 2012, pag. 23;
79
Servizio Centrale del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, operativo per l’attivazione e la gestione di servizi di
accoglienza e integrazione per richiedenti e titolari di protezione internazionale, pag. 8
28 proprio percorso di integrazione.80
Non è possibile fare un’analisi quantitativa esatta del numero di persone che rimangono sul
territorio prive di accoglienza nel momento successivo al riconoscimento, soprattutto per via del
fatto che le amministrazioni centrali non si sono mai dotate di rapporti di monitoraggio periodico
sulle proprie strutture di accoglienza. Una recente ricerca81 ha formulato la seguente ipotesi
quantitativa: “solo il 32,4% dei titolari di protezione che, nella fase di esame della loro istanza di
asilo hanno avuto accesso ad un programma di accoglienza in un CARA o in un progetto Sprar
troverebbe successivamente accesso ad un percorso di successiva accoglienza, di durata
variabile, finalizzata a favorirne l’inclusione sociale. Il rimanente 67,6%, o comunque, la grande
maggioranza dei titolari di protezione rimarrebbe quindi priva di un’accoglienza successiva al
riconoscimento”.
Pur temperando, come fa la ricerca citata, tale dato con fattori che potrebbero ridurre questo gap82 è
di tutta evidenza come il fenomeno di reale abbandono dei titolari di protezione nel momento
successivo al loro riconoscimento sia fortemente diffuso in Italia.
Questo stato di abbandono a sé stessi dei titolari di protezione è sicuramente alla base delle
situazioni di grave marginalità sociale presenti su tutto il territorio nazionale.83 Una recente
indagine condotta a Roma e a Firenze dall’Associazione Medici per i Diritti Umani (MEDU)84, ad
esempio, ha evidenziato un’altissima percentuale di richiedenti asilo e rifugiati tra le persone
senza fissa dimora presenti sul territorio delle due città. Per la città di Roma Medu evidenzia:
“all’interno della popolazione senza dimora risulta sempre più rilevante la presenza di rifugiati
(richiedenti asilo, titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari, per protezione
sussidiaria o per asilo politico), esclusi da adeguati percorsi di accoglienza e integrazione” e
ancora “in realtà i rifugiati arrivano a superare il 40 per cento del totale poiché tra di essi bisogna
considerare – oltre ai richiedenti asilo, i titolari di protezione umanitaria e internazionale e i
“dublinanti” – anche coloro che in Italia sono solo in transito”.
La stessa ricerca evidenzia un’analoga situazione nella città di Firenze dove all’interno della
80
“Naturalmente le risposte variano in relazione al precedente posto di abitazione: coloro i quali si trovavano in un CARA o in un
CDA sono andati via perché erano trascorsi i mesi di permanenza previsti. Tale motivazione è stata indicata anche da più della metà
di coloro che sono stati in altri centri della rete pubblica e dei Centri a gestione Protezione Civile” Caritas – Roma e al, Mediazioni
metropolitane, studio e sperimentazione di un modello di dialogo e intervento a favore dei richiedenti e titolari di protezione
internazionale in situazione di marginalità, Roma, giugno 2012, pag. 24;
81
Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pag. 302;
82
Quali: - l’esistenza di sistemi paralleli tanto ai Cara quanto allo Sprar, quali i circuiti di accoglienza metropolitani; - il turn over
annuale tanto nei Cara quanto negli sprar; - scelte individuali di autonoma sistemazione del singolo rifugiato.
83
Tale tesi è, altresì, sostenuta in una recentissima ricerca di Caritas-Roma e al. ove si può leggere: “L’insufficienza cronica dei
sistemi di accoglienza per richiedenti e titolari di protezione internazionale nel nostro paese, sia dal punto di vista strettamente
numerico che da quello dell’efficacia dei percorsi di integrazione proposti, è la causa principale della proliferazione, nei grandi
centri urbani, di forme di insediamento alternative, auto-organizzate e spesso particolarmente problematiche dal punto di vista
sociale”, Caritas – Roma e al, Mediazioni metropolitane, studio e sperimentazione di un modello di dialogo e intervento a favore dei
richiedenti e titolari di protezione internazionale in situazione di marginalità, Roma, giugno 2012, pag.12;
84
MEDU, Città senza dimora – Indagine sulle strade dell’esclusione, 2011;
29 popolazione senza fissa dimora è presente “un 24% di profughi provenienti dalla Somalia, tutti
titolari di permesso di soggiorno per richiesta asilo, status di rifugiato o protezione sussidiaria”.
Medu sottolinea, inoltre, che “all’interno della popolazione senza dimora risulta sempre più
rilevante la presenza di rifugiati esclusi da adeguati percorsi di accoglienza e integrazione con il
conseguente sorgere di aggregazioni informali di profughi”.
Alle medesime conclusioni è giunta una recentissima ricerca della Caritas Roma, ove, in merito allo
status giuridico delle persone che vivono negli insediamenti spontanei riporta che oltre il 75% del
campione analizzato è titolare di protezione internazionale, l’11,3% ha ottenuto la protezione
umanitaria, l’8,1% è un richiedente protezione internazionale.85
Il sorgere di aggregazioni informali di rifugiati è, quindi, un fenomeno sempre più diffuso sul
territorio nazionale, specialmente nelle grandi aree metropolitane. 86 La recentissima ricerca di
Caritas Roma, tesa a fornire elementi ed evidenze empiriche in merito alla situazione del sistema di
accoglienza in Italia, ha evidenziato che, “se pur con livelli di gravità diversi, in tutti gli
insediamenti analizzati le condizioni abitative sono abbondantemente al di sotto di ogni standard
minimo accettabile in particolare in relazione alle condizioni igieniche e dunque alla salute e alla
sicurezza”.
87
Di tale fenomeno nelle prossime pagine si cercherà di dare un quadro,
necessariamente incompleto, della sua quantità e delle sue caratteristiche.
II.E.1 Ponte Mammolo: la baraccopoli del Corno D’Africa – Roma
A Ponte Mammolo, nella periferia est di Roma, vicino all’omonima fermata della metropolitana
vivono circa 150 rifugiati, quasi tutti di nazionalità eritrea o etiopica, titolari di protezione
internazionale in Italia.88 Tra di loro vi sono anche intere famiglie o donne con i loro bambini.
Nello stesso insediamento, c’è una piccola minoranza di cittadini russi ed ucraini.89
I rifugi dove vivono queste persone sono minuscoli, costruiti dai rifugiati stessi con oggetti trovati
nelle discariche: pezzi di legno, lamiere, teli di plastica. Le tettoie, ad esempio, sono fatte con delle
porte. È di tutta evidenza come gli stessi materiali di costruzione non garantiscano alcun tipo di
85
Caritas – Roma e al, Mediazioni metropolitane, studio e sperimentazione di un modello di dialogo e intervento a favore dei
richiedenti e titolari di protezione internazionale in situazione di marginalità, Roma, giugno 2012, pagg. 19 e ss;
86
“The Italian government’s indifference towards refugees left them with little alternative. Once refugees are iussed a sojourn
permit, they are left to fend for themseves, with just a few receiving temporary housing and education. Many rely on Catholic
volunteer relief associations for help, but these cannot provide housing and waiting lists for dormitories seem endless.
Many refugees live and sleep on the streets. In larger cities, they squat in old buildings or abandoned factories, enduring overcrowed
and
grim
living
conditions
often
without
water
or
electricity”,
Source:
Al
Jazeera,
al
link:
http://fortresseurope.blogspot.it/2010/09/shukri-new-life.html
87
Caritas – Roma e al, Mediazioni metropolitane, studio e sperimentazione di un modello di dialogo e intervento a favore dei
richiedenti e titolari di protezione internazionale in situazione di marginalità, Roma, giugno 2012, pag. 18;
88
“Sono tutti regolari, tutti con un trascorso in centri di accoglienza e qualcuno in attesa di rientrare nel circuito istituzionale”,
IntegraAzione, I rifugiati invisibili – L’accoglienza informale nella capitale, maggio 2012;
89
Su questo insediamento si veda il video reportage realizzato dal gruppo Editoriale L’Espresso del 21.11.2011, nell’ambito
dell’inchiesta
“Rifugiati,
vergogna
italiana”,
http://video.repubblica.it/le-inchieste/roma-la-baraccopoli-del-corno-dafrica/81191/79581
30 protezione delle intemperie. In ogni rifugio vivono quattro o anche cinque persone insieme e non
hanno riscaldamento, elettricità e acqua calda.
Si cucina con dei fornelletti da campeggio e c’è un solo bagno per tutti. Esso, peraltro, è stato
costruito dagli stessi abitanti e non è collegato alla rete fognaria.90
Alcuni rifugiati presenti nell’insediamento riescono a lavorare saltuariamente, essi tuttavia non
riescono ad avere un posto di lavoro fisso che gli consenta di avere un’abitazione stabile. I rifugiati
riferiscono di essere totalmente abbandonati dallo Stato italiano che non li aiuta in alcun modo:
“Una volta che ti danno il permesso di soggiorno è finita”.91
II.E.2 La “buca di Ostiense” – Roma
La stazione Ostiense di Roma è un’area in cui trovano rifugio un numero importante di senza fissa
dimora, tra cui un’altissima presenza di richiedenti asilo e rifugiati in prevalenza afgani,
moltissimi dei quali minori stranieri non accompagnati. Infatti su 567 pazienti visitati da Medu
nel 2009, il 27,8% era composto da pazienti dichiaratisi minori. Tale dato risultava confermato
anche nei periodi successivi.92
Nel corso del 2009 e del 2010 la situazione di Ostiense ha creato tensioni tra profughi, municipio,
amministrazione comunale ed associazioni di tutela. A più riprese vi sono stati tentativi di sgomberi
dal quadrante di Ostiense con soluzioni temporanee e di fortuna93, come quella del 2009 quando
una parte dei profughi, molti dei quali già titolari di protezione internazionale, fu trasferita presso il
Cara di Castelnuovo di Porto.
Grazie alla mobilitazione ed alla mediazione di diverse associazioni, al momento di un nuovo
sgombero avvenuto nel luglio 2010, alcune delle persone sono state accolte negli edifici del
Forlanini e nella “Casa della Pace” in grado di ospitare circa 400 persone. Questo accordo,
dichiaratamente provvisorio, è stato sospeso nel marzo 2011. Da quel momento, quindi, il binario
15 della stazione è tornato ad essere meta di una occupazione spontanea. Le condizioni di vita negli
insediamenti sono particolarmente difficili: le persone vivono vicino ad un cantiere della stazione
ferroviaria. I rifugi sono costituiti, nei casi migliori, da tende utilizzate solitamente da un numero di
persone doppio rispetto alla capienza massima consentita. Negli altri casi vi sono alloggi di fortuna
composti da pezzi di legno, plastiche e coperte. Quando arriva la pioggia l’intero insediamento è
invaso dal fango che si mischia con i rifiuti che non possono essere smaltiti.94 Nel corso degli ultimi
mesi la situazione si è fatta critica in almeno due casi: il 20 ottobre 2011 c’è stata su Roma una
90
V. anche PROASYL, The living conditions of refugees in Italy, a cura di Maria Bethke & Dominik Bender, Francoforte, febbraio
2011, pag. 16;
91
http://video.repubblica.it/le-inchieste/roma-la-baraccopoli-del-corno-d-africa/81191/79581;
92
www.viaggiatoriinvisibili.it;
93
V. http://video.repubblica.it/cronaca/la-buca-afgana-dell-ostiense/38794/38926
94
V. http://www.meltingpot.org/articolo15342.html
31 violenta alluvione che ha spazzato via le tende dove dormivano le persone; nel febbraio del 2012 ci
sono state su Roma due nevicate che hanno ricoperto per giorni la città di ghiaccio rendendo le
condizioni di queste persone estremamente critiche.
Da poche settimane il V dipartimento del Comune di Roma ha aperto una nuova struttura che
dovrebbe accogliere i “profughi” che vivono in queste drammatiche condizioni all’ex Air Terminal
di Ostiense. La struttura dovrebbe accogliere sia richiedenti asilo e titolari di protezione sia persone
in transito verso altri Paesi europei. “A questo proposito è fondamentale che la struttura garantisca,
in termini di spazio e di servizi, per lo meno gli standard minimi di accoglienza e che si inserisca in
una strategia di intervento integrata che favorisca, tra l’altro adeguati percorsi di integrazione. Il
rischio è che anche questo intervento – come tutti quelli che lo hanno preceduto in questi anni – si
risolva in un’iniziativa estemporanea dettata dall’emergenza (si ricorda tra l’altro che l’area
delle tendopoli deve essere sgomberata per far posto ai lavori di ultimazione di una stazione
dell’alta velocità), riportando in breve tempo sulla strada persone vulnerabili, in una situazione
grottesca quanto drammatica”.95
II.E.3 L’edificio di via dei Cavaglieri – Roma
L’edificio sorge nel quartiere della Romanina, a poche centinaia di metri dal grande raccordo
anulare, in una vecchia sede dell’Università di Tor Vergata. Esso ospita ordinariamente un numero
tra le 300/400 e le 800 persone. Nelle stagioni invernali, tuttavia, il complesso può arrivare a
contare sino a 1000 ospiti.96 Nella struttura, oltre a donne e uomini singoli, sono presenti circa 20
nuclei familiari con minori, tra cui anche neonati.97 Le nazionalità maggiormente rappresentate
sono quella eritrea, quella somala, quella etiope e quella sudanese. La maggior parte degli
occupanti sono titolari di protezione internazionale.98 Un’altra parte è rappresentata da diniegati
o anche da soggetti rimandati coattivamente in Italia da altri Paesi europei in applicazione del
Regolamento Dublino II.99
Le condizioni igienico-sanitarie dell’edificio sono disastrose: un recentissimo reportage del
giornalista tedesco Stefan Buchen100 ha messo in luce questa “situazione disperata”. “Questa gente
vive senza acqua, senza gas, con allacci elettrici di fortuna, dormendo (almeno chi è arrivato più
di recente) in enormi cameroni fatiscenti, in condizioni igieniche terribili”. Lo stesso Buchen ha
dichiarato: “E’ davvero una situazione terribile, persino peggio di quanto mi aspettassi. Non
potevo certo immaginare che a Roma, nel cuore della vecchia Europa, nel 2012, potessero esserci
95
http://www.mediciperidirittiumani.org/comunicato_24_febbraio.html
IntegraAzione, I rifugiati invisibili – L’accoglienza informale nella capitale, maggio 2012;
97
IntegraAzione, I rifugiati invisibili – L’accoglienza informale nella capitale, maggio 2012;
98
V. Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pagg 304-305. V. anche IntegraAzione, I
rifugiati invisibili – L’accoglienza informale nella capitale, maggio 2012, secondo cui “La quasi totalità degli occupanti è regolare e
titolare di un permesso di soggiorno per asilo politico o protezione internazionale”.
99
IntegraAzione, I rifugiati invisibili – L’accoglienza informale nella capitale, maggio 2012;
100
Per il relativo video e per l’intervista v. http://www.meltingpot.org/articolo17509.html
96
32 persone che vivono in queste condizioni”.
II.E.4 La casa bianca – Torino
Il 13 ottobre 2008 circa 100 titolari di protezione internazionale, provenienti da Etiopia, Eritrea,
Sudan e Somalia, occupano l’ex clinica San Paolo a Torino. Lo stabile, abbandonato da oltre 10
anni, oltre che dalla clinica vera e propria è composto anche da una torre di alloggi, anch’essa
occupata, destinata ai medici e che verrà chiamata “casa bianca”101. Il numero degli occupanti sale
in breve tempo a 250 e nell’estate del 2009 contò oltre 350 persone. “Non sono che una parte dei
tanti rifugiati politici e beneficiari di protezione internazionale che avrebbero bisogno di qualche
forma di accoglienza e che invece non hanno nulla”.102
Il complesso è ovviamente in stato di abbandono: in giro si trovano ancora arredi sanitari, strumenti,
lastre per i raggi x. Non c’è acqua, riscaldamento, luce e gas.103
Dopo oltre 10 mesi di condizioni abitative disastrose, le istituzioni offrono ai rifugiati la possibilità
di spostarsi in altri casolari abbandonati: l’ex caserma di via Asti per gli uomini e un campo gestito
dalla Croce Rossa, a Settimo, per donne e bambini.104 Quest’ultimo centro ha chiuso nel novembre
del 2010 e i rifugiati che erano ivi ospitati hanno trovato un inserimento sociale attraverso la
realizzazione del programma “Piemonte Non solo Asilo”, finanziato con fondi regionali e fondi
FER. Alla fine del 2010 i percorsi di raggiungimento di una qualche autonomia sono stati quasi
200.105 Per quanto riguarda, viceversa, le persone accolte nella ex Caserma di via Asti il progetto
pubblico di accoglienza si è esaurito definitivamente con moltissime risorse pubbliche dedicate ma
pochissimi percorsi di inserimento effettuati.106
Ad oggi, dopo oltre 3 anni dalla sua occupazione, circa 60 persone sono ancora alla “casa bianca”,
senza riscaldamento e senza acqua calda. “Si tratta di presenze che in alcuni periodi dell’anno
risultano anche molto più alte e che appaiono in crescita complessiva. Dai colloqui con i
rappresentanti delle principali associazioni ed enti di tutela impegnati nell’accoglienza e
partecipanti al tavolo di coordinamento presso il comune di Torino è emerso infatti molto
chiaramente che gli stabili occupati, nel periodo estivo si svuotano pressoché interamente per poi
ripopolarsi all’inizio del periodo autunnale. Fenomeno, quello registrato, che difficilmente risulta
101
V. su tale stabile il film Altra Europa di Rossella Schillaci, premio miglior documentario al This Human World International Film
Festival 2011 di Vienna, al RAI International Film Festival 2011 di Londra e al Salina Doc Fest sezione Italia Doc 2011. Il trailer,
con sottotitoli in inglese, si può vedere al link http://fortresseurope.blogspot.it/2011/12/altra-europa_09.html 102
V. Quaderni dell’ufficio pastorale migranti n. 7, pag. 6;
103
V. il documentario in inglese Shukri: a new life di Rossella Schillaci prodotto da Witness di Aljazeera English al link:
http://fortresseurope.blogspot.it/2010/09/shukri-new-life.html
104
V. http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2011/11/20/video/la_casa_bianca_dei_rifugiati_un_tetto_per_600_persone25177300/
105
V. Quaderni dell’Ufficio della Pastorale Migranti, n. 7 pag. 11;
106
V. Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pag. 314;
33 scindibile dalle situazioni di grave sfruttamento dei richiedenti asilo e dei rifugiati nel mercato
nero e nell’agricoltura del Mezzogiorno”.107
II.E.5 Altre situazioni di marginalità sociale sul territorio nazionale
Non è possibile dare, in questa sede, contezza di tutte le situazioni di “insediamenti informali” di
richiedenti asilo e rifugiati presenti sul territorio nazionale. Si possono ricordare, oltre a quelli già
citati, l’occupazione di via Bologna/via Paganini a Torino che ha oltre 100 occupanti; il palazzo
abbandonato del Ministero del Tesoro a Roma sulla via Collatina occupato da più di 800 persone e
decine di bambini, di cui il 90% titolari di protezione internazionale108; l’ex-Ambasciata somala di
via dei Villini a Roma che era occupata da circa 150 titolari di protezione somali109 poi chiusa a
seguito dello stupro di una ragazza;110 i circa 50 somali dello spazio autogestito di via Luca
Giordano a Firenze;111le circa 100 persone che vivono nell’insediamento autogestito di via Slataper
a Firenze;112 le circa 100 persone che occupano alcuni immobili della Fondazione Policlinico a
Milano.113 Una recentissima ricerca ha evidenziato come solo a Roma e soltanto nelle grandi
occupazioni abitative di rifugiati vivano oltre 1700 persone,114 in condizioni abitative che sono in
ogni caso al di sotto di tutti gli standard minimi accettabili.
Si tratta, come è evidente, di un fenomeno che caratterizza molte aree metropolitane italiane. Tale
fenomeno evidenzia, sicuramente, le gravissime carenze nel campo dell’integrazione sociale dei
titolari di protezione che necessiterebbero di una radicale riforma normativa del sistema di
accoglienza italiano, che, ad oggi, tuttavia, è totalmente assente dal dibattito politico nazionale.
107
V. Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pag. 314;
V. http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2011/11/20/video/nel_palazzo-carcere_dei_rifugiati25316076/1/?inchiesta=%2Fit%2Frepubblica%2Frep-it%2F2011%2F11%2F20%2Fnews%2Fprofughi_vergogna_italiana25158583%2F
109
V. www.meltingpot.org/articolo15986.html
110
“Dopo aver trascorso alcuni giorni per strada, alcuni di loro sono riusciti a trovare accoglienza in dei centri, altri cercano
ancora
illegalmente
fortuna
in
altri
Paesi
europei
e
vengono
periodicamente
rinviati
in
Italia”
http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2011/11/20/foto/quando_cera_lambasciata_somala_tra_depressione_droga_e_alcol25319628/1/
111
http://www.mediciperidirittiumani.org/pdf/CITTA_SENZA_DIMORA_FI.pdf. “Il 97% dei migranti che vivono nello stabile è
titolare di protezione internazionale”, Caritas – Roma e al, Mediazioni metropolitane, studio e sperimentazione di un modello di
dialogo e intervento a favore dei richiedenti e titolari di protezione internazionale in situazione di marginalità, Roma, giugno 2012,
pag. 73;
112
“Il 90% dei migranti che vivono nello stabile è titolare di protezione internazionale, il restante 10% sono richiedenti”, Caritas –
Roma e al, Mediazioni metropolitane, studio e sperimentazione di un modello di dialogo e intervento a favore dei richiedenti e
titolari di protezione internazionale in situazione di marginalità, Roma, giugno 2012, pagg. 72-73;
113
“Certamente però nella città il numero di coloro che vivono in altre piccole occupazioni o ‘in strada’ è di gran lunga superiore,
come testimoniato anche dalle nostre interviste e dall’affluenza dei migranti presso i centri di ascolto della Caritas e delle altre
organizzazioni del terzo settore, ma anche dalle presenze nelle strutture allestite nell’ambito del ‘Piano Freddo’. Essendo piccoli
gruppi dispersi nel territorio, non si è riusciti, tuttavia a fornire una stima della numerosità complessiva”, Caritas – Roma e al,
Mediazioni metropolitane, studio e sperimentazione di un modello di dialogo e intervento a favore dei richiedenti e titolari di
protezione internazionale in situazione di marginalità, Roma, giugno 2012, pag. 18;
114
“Ma i rifugiati invisibili a Roma non si limitano alle grandi occupazioni, Un po’ ovunque, spinti sempre più ai margini e in
luoghi lontani dagli sguardi e dall’attenzione dell’opinione pubblica, si nascondono rifugiati che sopravvivono in baracche, in
scatole di cartone, sotto coperte e fogli di giornale”, IntegraAzione, I rifugiati invisibili – L’accoglienza informale nella capitale,
maggio 2012;
108
34 III LA VALUTAZIONE DELLE DOMANDE IN SEDE AMMINISTRATIVA. III.1 La composizione delle Commissioni territoriali: mancata verifica degli standard di
adeguata competenza e conoscenza della materia dell’asilo.
L’Italia, in attuazione di quanto previsto dalla direttiva 2005/85/CE, ha istituito una procedura per
l’accertamento dello status di beneficiario di protezione internazionale. In particolare con l’art. 3,
co.1, del d.lgs 25/2008 è stata data attuazione all’art. 4 della direttiva procedure, stabilendo che le
autorità competenti all’esame della domanda sono le Commissioni Territoriali per il riconoscimento
della protezione internazionale. All’interno dell’ordinamento italiano, viceversa, non si è data
attuazione all’art. 8 par. 2 della direttiva, il quale alla lettera c) prevede che “il personale incaricato
di esaminare le domande e decidere nel merito abbia una conoscenza dei criteri applicabili in
materia di asilo e di diritto dei rifugiati”. Le predette Commissioni sono organismi collegiali i cui
componenti sono nominati con decreto del Ministro dell’Interno, senza alcuna preliminare verifica
della loro conoscenza della materia dell’asilo. La loro estrazione è varia; esse sono, infatti,
composte da: un funzionario di Prefettura, in qualità di Presidente, un funzionario della Polizia di
Stato115, un rappresentante dell’ente territoriale designato dalla conferenza Stato-città ed autonomie
locali ed un rappresentante dell’UNHCR. L’art. 4, co. 2, del d.lgs 25/08 stabilisce in dieci il numero
massimo di Commissioni sul territorio. È di tutta evidenza come la nomina ministeriale di tutti i
membri della Commissione (di cui 2 di essi direttamente funzionari del Ministero dell’Interno)
ponga ragionevoli dubbi sull’indipendenza dall’esecutivo delle Commissioni territoriali.116
Come già accennato, particolarmente grave appare, inoltre, il fatto che alcun criterio di selezione,
sulla base dell’esperienza e della competenza in materia di asilo, venga applicato per la nomina dei
commissari. Questo fa sì che possono essere nominati commissari anche soggetti che mai prima di
allora si sono occupati di asilo. Tale carenza è aggravata dal fatto che nella grandissima parte dei
casi l’audizione dei richiedenti asilo avviene alla presenza di un solo commissario. Sebbene, infatti,
l’art. 12, co. 1, del d.lgs 25/08 preveda che l’esame della domanda di protezione internazionale
venga esaminata in modo collegiale dai membri della Commissione Territoriale, 117 la prassi
assolutamente prevalente rileva come, in linea generale, la norma sia costantemente disattesa in
115
“The police should not be designated as the determining authority and should not be involved in the conduct of personal
interviews”, UNHCR, Improving Asylum procedures, 2010, pag. 22;
116
Va evidenziato come tali dubbi fossero già stati messi in luce dalla Commissione affari costituzionali della Presidenza del
Consiglio e Interni la quale, nel proprio parere precedente all’emanazione del decreto, osservava “considerato, in particolare, che la
composizione delle commissioni territoriali di cui agli articoli 4 e 5 dello schema appare problematica in quanto, pur migliorando
l’impianto legislativo esistente, esse risultano non possedere il requisito di piena indipendenza dal potere esecutivo, requisito
fondamentale al fine di potere garantire un esame delle domande di asilo scevro da ogni influenza da parte dell’Esecutivo”;
117
L’art. 12, co. 1, del d.lgs 25/08 prevede: “La Commissione nazionale e le Commissioni territoriali dispongono l’audizione
dell’interessato tramite comunicazione effettuata dalla questura territorialmente competente. La Commissione, su richiesta motivata
dell’interessato, può decidere di svolgere il colloquio alla presenza di uno solo dei propri componenti e, ove possibile, dello stesso
sesso del richiedente”;
35 favore di colloqui individuali.118
III.2 La mancanza di standard qualitativi degli interpreti
Ulteriore problema che si verifica spesso in sede di audizione è relativo all’assistenza di un
interprete per il richiedente asilo. L’art. 10, co. 4, d.lgs 25/2008 dispone che “in tutte le fasi del
procedimento connesse alla presentazione ed all’esame della domanda al richiedente è garantita, se
necessario, l’assistenza di un interprete della sua lingua o di altra lingua a lui comprensibile”. È
evidente come l’efficacia e l’effettività di tale norma dipenda necessariamente dalla qualità del
servizio e dalla capacità di garantire un numero sufficiente di interpreti, di entrambi i sessi. In
mancanza di un regolamento che disciplini in modo compiuto i criteri di selezione degli interpreti
nonché le loro competenze, attualmente non è richiesta per essi alcuna qualifica particolare, né
competenza o esperienza specifica nel settore dell’asilo. Ciò pone spesso problemi per la tutela dei
richiedenti: è recentissimo il caso di un richiedente asilo turco di etnia curda al quale era stata
negata la protezione internazionale. Il richiedente aveva lamentato gravissimi problemi di
comprensione con l’interprete senza che a tali problemi fosse in qualche modo posto rimedio. Il
Tribunale di Roma, con sentenza n. 92 del 30 gennaio 2012 ha riconosciuto a questa persona lo
status di rifugiato. In tale sentenza è possibile leggere, tra l’altro: “il richiedente ha impugnato il
detto provvedimento lamentando l’insufficienza della motivazione, dovuta anche a problemi nella
traduzione, e in particolare l’inadeguata ed errata valutazione della vicenda esposta oltre che della
situazione generale del paese d’origine”. Il Tribunale in conclusione afferma: “gli elementi appena
evidenziati sembrano pertanto dimostrare, in primo luogo, l’attendibilità del racconto esposto dal
ricorrente già all’epoca della sua audizione innanzi alla Commissione, la quale non ha utilizzato i
criteri di giudizio fissati dall’art. 3, comma 5, del d.lgs 19 novembre 2007 n. 251”.
Va evidenziato, infine, come presso alcune Commissioni Territoriali la difficoltà di reperire
interpreti abbia portato alla sperimentazione di interpretariato per videoconferenza119 che pone,
come è comprensibile, rilevanti difficoltà sulla conduzione del colloquio e sulla possibilità per il
richiedente di accedere ad una procedura che tuteli il proprio diritto all’audizione.
III.3 Domande esaminate e tasso di accoglimento
Per comprendere il numero delle domande esaminate dalle Commissioni Territoriali nel corso degli
ultimi anni si possono guardare i grafici che seguono120.
118
V. Benvenuti M. (a cura di), La protezione internazionale degli stranieri in Italia: uno studio integrato sull’applicazione dei
decreti di recepimento delle direttive europee sull’accoglienza, sulle qualifiche e sulle procedure, Jovene, Napoli, 2011, pagg 445 ss;
119
Segnatamente questo è avvenuto nelle Commissioni di Gorizia, Trapani, Siracusa e Crotone, v. Asgi e al., Il diritto alla
protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pagg. 271-272;
120
Source: www.interno.it
36 Status di rifugiato
Protezione sussidiaria
Proposta di protezione umanitaria
Non riconosciuti + irreperibili
Altri esiti (rinuncia, Dublino,sospesi)
2008
2009
2010
2011
2009
2328
2094
2057
6946
5331
1789
2569
3621
2411
3675
5662
10136
12860
5218
13470
463
2183
1266
1868
Il numero delle domande di asilo esaminate è, nel corso del 2010121, drasticamente diminuito
principalmente in ragione della politica dei respingimenti attuata a seguito dell’entrata in vigore
degli Accordi Italia – Libia per cui l’Italia è stata recentemente condannata dalla Corte Europea per
i diritti dell’Uomo (sentenza Hirsi Jamaa e altri c. Italia)122.
Per le domande esaminate nel corso del 2011 si può notare un netto incremento dovuto alle crisi nel
Nord Africa.
121
Va, altresì, notato come nel 2010 l’Italia si sia classificata al 14° posto per destinazione tra i 44 Paesi industrializzati, v. UNHCR,
Asylum Levels and Trends in Industrialized Countries 2010, 28 marzo, 2011;
122
Proprio nei giorni in cui si scrive (giugno 2012) alcuni organi di stampa hanno divulgato stralci del nuovo accordo – processo
verbale stipulato tra il governo italiano e il governo libico il 3 aprile 2012, finora non reso pubblico dalle autorità italiane. Numerosi
enti
di
tutela
hanno
espresso
profonda
preoccupazione
e
grande
sconcerto
per
tale
accordo:
v.
http://www.asgi.it/home_asgi.php?n=2265&l=it nonché l’appello lanciato da Amnesty International al governo italiano:
http://www.amnesty.it/giornata-mondiale-rifugiato-appello-a-italia-sulla-cooperazione-con-la-libia;
37 Il tasso di riconoscimento della protezione internazionale (Status di rifugiato e protezione
sussidiaria) per il triennio 2008-2010 si attesta intorno al 29%. Tale tasso risulta in netta
diminuzione nel 2011. Esso, infatti, si attesta intorno al 18%.
Un discorso a parte merita il riconoscimento della protezione umanitaria, il cui tasso si attesta
intorno al 23%. Per il 2011 il tasso di riconoscimento della protezione umanitaria è del 22%. La
protezione umanitaria è prevista dall’ordinamento italiano nei casi in cui la Commissione
Territoriale, pur non accogliendo la domanda di protezione internazionale, ritenga possano
sussistere gravi motivi di carattere umanitario. In tal caso la Commissione provvede alla
trasmissione degli atti della richiesta di protezione al questore competente per un eventuale rilascio
di un permesso di soggiorno per protezione umanitaria (art. 5, co. 6, d.lgs 286/98). La durata del
permesso di soggiorno per protezione umanitaria è di un anno, rinnovabile. Numerosi sono, tuttavia,
i problemi legati al rinnovo del permesso: esso è, infatti, subordinato alla persistenza dei motivi
umanitari che hanno giustificato la protezione. Tale parametro, secondo le disposizioni del
Governo 123 , è valutato dalla Commissione che ha emesso il provvedimento, senza la nuova
audizione del ricorrente. Il permesso per motivi umanitari è, altresì, convertibile in permesso per
lavoro, ma solo a condizione di possedere un passaporto o un documento equipollente in corso di
validità124. Tuttavia, l’art. 24 del D.lgs. 251/07125 non prevede per i titolari di un permesso per
motivi umanitari il rilascio di alcun documento equipollente ad opera dello Stato italiano, così da
costringere il cittadino straniero (precedentemente richiedente asilo) a rivolgersi alla propria
ambasciata.
I dati 126 che seguono evidenziano, inoltre, come vi sia una forte variabilità in merito al
riconoscimento della protezione a seconda della Commissione che procede all’esame della
domanda di asilo.
123
L’ art. 5 co. 4 del d.lgs 286/98 prevede, in particolare, che: “il rinnovo del permesso di soggiorno deve essere richiesto dallo
straniero al questore della provincia in cui si trova almeno trenta giorni prima della scadenza ed è sottoposto alla verifica delle
condizioni previste per il rilascio o dalle diverse condizioni previste dal testo unico”. In merito alle condizioni previste per il rilascio
per permesso di soggiorno per motivi umanitari il DPR 394 del 1999 (art. 11, co. 1, lett. c)ter) prevede che tale permesso è rilasciato
“previo parere delle Commissioni Territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato”.
124
In particolare l’art. 14, co. 1 lett. c), DPR 394/99 consente la conversione del permesso di soggiorno per motivi umanitari in
permesso per lavoro autonomo o subordinato. Il successivo co. 3 prevede che con il rinnovo venga rilasciato un permesso di
soggiorno “per l’attività effettivamente svolta”. L’art. 9, co. 3, dello stesso DPR prevede che per la richiesta del permesso di
soggiorno devono essere esibiti “il passaporto o altro documento equipollente da cui risultino la nazionalità, la data, anche solo con
l’indicazione dell’anno, e il luogo di nascita degli interessati, nonché il visto d’ingresso, quando prescritto”.
125
Tale articolo prevede, infatti, il rilascio automatico del titolo di viaggio solo per coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato,
mentre per i titolari di protezione sussidiaria lo stesso articolo prevede che: “Quando sussistono fondate ragioni che non consentono
al titolare dello status di protezione sussidiaria di chiedere il passaporto alle autorità diplomatiche del Paese di cittadinanza, la
questura competente rilascia allo straniero interessato il titolo di viaggio per stranieri. Qualora sussistano ragionevoli motivi per
dubitare dell’identità del titolare della protezione sussidiaria, il documento è rifiutato o ritirato”. L’articolo nulla dice, invece, per i
titolari di protezione umanitaria.
126
Dati unificati per il triennio 2008-2010, Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pag.
258;
38 Commissione
territoriale
Domande
esaminate
% non
riconosciuti
% Protezione
sussidiaria
% Protezione
umanitaria
% Status
rifugiato
G-(B+C)
Bari
6014
46,34
32,44
10,31
10,91
Caserta
3558
48,09
14,45
30,86
6,60
Crotone
11269
39,52
20,09
28,25
12,15
Foggia
11290
45,23
9,15
41,29
4,33
Gorizia
6074
59,42
7,64
19,94
13,01
Milano
8223
53,87
10,90
24,61
10,62
Roma
13708
42,57
11,77
22,22
23,45
Siracusa
6567
51,96
36,88
5,71
5,45
Torino
3813
61,71
14,16
12,17
11,96
Trapani
7601
25,38
29,18
38,23
7,21
47,41
18,67
23,36
10,57
MEDIA
Si evidenzia l'esistenza di una forbice ampia in relazione al tasso di rigetti. Questi ultimi variano,
infatti, da un valore per così dire minimo del 25% presso la CT di Trapani ad un massimo del
59,4% di Gorizia e del 61,7% di Torino. Le tre CCTT citate si discostano rispetto alla media di una
percentuale superiore al 10%. E' altresì possibile evidenziare altri aspetti che meritano una attenta
valutazione: il tasso di riconoscimento dello status di rifugiato del 4,3% da parte della CT di Foggia
e quello del 5,45% di Siracusa si discostano in maniera alquanto ampia dalla media.
Alla luce del complesso dei dati esaminati appare evidente come vi sia tra le diverse Commissioni
Territoriali una forte variabilità in relazione all’approccio complessivo alla materia del diritto
d’asilo e come tale variabilità possa ledere in modo significativo i diritti dei richiedenti i quali
vedono o meno riconosciuto il proprio diritto alla protezione anche in relazione alla Commissione
esaminatrice.
A conforto di ciò si veda, infine, quanto accaduto per il biennio 2008-2009 in relazione alle
richieste presentate da richiedenti asilo di nazionalità eritrea127.
127
NB: laddove viene evidenziato il valore 0 in tutti gli esiti ciò è determinato dal fatto che in relazione a detta nazionalità il numero
delle domande esaminato dalla Commissione interessata era molto basso e non è stato fornito dalla CN, Asgi e al., Il diritto alla
protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pag 262;
39 Commissione Totale Status Rifugiato Protezione sussidiaria Protezione Umanitaria Non riconosciuti Altro BARI ROMA SIRACUSA TRAPANI GORIZIA TORINO CROTONE CASERTA MILANO FOGGIA 35 326 49 128 0 0 38 11 0 0 381 395 388 803 0 0 145 80 0 0 16 11 27 18 0 0 7 5 0 0 40 14 109 28 0 0 2 0 0 0 14 110 41 77 0 0 1 60 0 0 486 885 614 1054 0 0 193 156 0 0 Come si può vedere, il tasso di riconoscimento per tale nazionalità è molto variabile a seconda della
Commissione che procede all’esame della domanda. In un caso su 6, per esempio, a Siracusa non
viene riconosciuta la protezione internazionale a richiedenti asilo eritrei che si trovano quindi
esposti al rischio di espulsione, possono rimanere privi di accoglienza e devono proporre ricorso
avverso tale decisione, andando incontro a tutte le problematiche che verranno esposte nel
paragrafo successivo.
40 IV LA VALUTAZIONE DELLE DOMANDE IN SEDE GIURISDIZIONALE
IV.1 Cenni generali sulla tutela giurisdizionale: problemi sulla sua effettività
L’art. 35 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 ha dato attuazione, nell’ordinamento
italiano, all’art. 39 della direttiva 2005/85/CE cd. “Direttiva procedure” prevedendo la possibilità di
impugnazione davanti ai Tribunali ordinari delle decisioni delle Commissioni territoriali. Il bisogno
di protezione internazionale dello straniero presente sul territorio italiano può, pertanto, essere
riconosciuto tanto al termine della procedura amministrativa, con decisione della Commissione
Territoriale, quanto in sede giurisdizionale con decisione resa dal Tribunale. La tutela
giurisdizionale si articola in tre gradi di giudizio: in primo grado è possibile promuovere un ricorso
al Tribunale Civile, in secondo grado il reclamo in Corte d’Appello e in ultimo il ricorso in
Cassazione.
L’art. 39 della direttiva procedure sancisce il diritto ad un mezzo di impugnazione efficace: se ne
deduce che tanto le decisioni negative, tanto quelle di revoca dello status devono essere soggette ad
un rimedio che risulti essere effettivo. Numerose sono, tuttavia, le problematiche che rischiano
di inficiare, nella pratica, tale effettività.
Il termine ordinario entro il quale può essere promosso il ricorso è di 30 giorni, dal momento della
comunicazione della decisione negativa. Eccezione alla regola generale è la previsione di un
termine ridotto di 15 giorni, se il ricorrente è stato accolto in un CARA o trattenuto in un CIE.
È di tutta evidenza come il termine ridotto di 15 giorni crei una forte disparità di trattamento e
non tenga in debita considerazione una serie di problematiche strettamente legate alla
condizione del ricorrente.128 In tal senso si era espressa nel proprio parere129 la Commissione
Permanente della Camera dei Deputati il 17.10.2007 che giudicava “di primaria importanza
prevedere un termine più ampio pur se ragionevolmente breve poiché, diversamente, si verrebbe
ad inficiare gravemente l’esercizio del diritto di difesa da parte del richiedente asilo”. 130
Il legislatore, tuttavia, ha comunque previsto tale termine differenziato. Oltre alle problematiche già
evidenziate, questa differenziazione crea ambiguità applicative in merito a determinate situazioni
quali: l’accoglienza in un centro “non CARA”, l’ipotesi di richiedenti asilo usciti dal centro per
decorrenza del termine massimo di accoglienza o trattenimento e il caso in cui l’accoglienza si
protragga oltre il termine. Tali ambiguità possono oltre modo ledere il diritto di difesa del ricorrente
128
Quali, ad esempio, la mancanza di padronanza linguistica, la difficoltà di reperire un legale e formulare in tempi molto brevi la
difesa, la difficoltà oggettiva di ottenere l’ammissione al Patrocinio a Spese dello Stato;
129
Le commissioni permanenti sono organi interni delle Camere composte in modo tale da rispecchiare la proporzione dei vari
gruppi parlamentari. Si riuniscono in sede referente per l’esame delle questioni sulle quali devono riferire all’Assemblea e in sede
consultiva per esprimere pareri, privi di efficacia vincolante. Si veda MARTINES T., Diritto costituzionale, 2003, pag. 172.
130
Si veda Parere I Commissione permanente, Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni, 17.10.2007, pag. 46
41 che rischia di vedere il proprio ricorso rigettato per difforme applicazione dei termini di
impugnazione.
Un ulteriore fattore che può significativamente incidere sull’effettività della tutela giurisdizionale è
quello riguardante l’accesso del ricorrente al gratuito patrocinio a spese dello Stato.
L’art. 16 del d.lgs 25/2008 prevede che “nel caso di impugnazione delle decisioni in sede di
giurisdizione, il cittadino straniero è assistito da un avvocato ed è ammesso al gratuito patrocinio
ove ricorrano le condizioni previste nel DPR 30.05.2002 n.115”. Il ricorrente è ammesso al gratuito
Patrocinio previa una valutazione da parte del Consiglio dell’ordine della “non manifesta
infondatezza” del ricorso (art. 74 c.2 DPR 115/02). Ne deriva che in alcuni Consigli dell’ordine si è
registrata una percentuale molto bassa di accoglimento delle istanze, pur in presenza dei
requisiti richiesti.131 Ciò in erronea applicazione della normativa in esame in quanto spesso i
Consigli dell’Ordine fanno coincidere la non manifesta infondatezza del ricorso con la piena
fondatezza dello stesso, ossia con un giudizio ex ante di possibilità che il ricorso sia accolto. Tale
giudizio, tuttavia spetta unicamente all’autorità giudiziaria. In aggiunta, la decisione di accogliere
l’istanza non è contestuale alla richiesta, per cui spesso occorre un mese per ottenere la delibera del
Consiglio dell’ordine, con l’inevitabile disagio per il ricorrente di trovare un legale disposto ad
accettare il rischio che l’istanza non venga accolta ed intraprendere la causa ugualmente.
Il giudizio di primo grado dovrebbe concludersi con una sentenza, entro 3 mesi dalla presentazione
del ricorso. Come ormai noto per le innumerevoli condanne della Corte di Giustizia delle Comunità
Europee e della Corte Europea dei diritti dell’uomo allo Stato italiano per la irragionevole durata
dei processi, anche in questo ambito la giustizia italiana necessita di almeno 6 mesi per giungere ad
una decisione. In alcuni casi, tuttavia, il procedimento è durato anche per numerosi anni.
Uno dei fattori che maggiormente incide sul mancato rispetto del termine per la definizione del
giudizio è l’alta concentrazione di contenziosi in poche sedi giudiziarie.
Ai sensi dell’art. 35 c.1, la competenza territoriale è del tribunale del capoluogo del distretto di
Corte d’appello in cui ha sede la CT che ha adottato il provvedimento. A tal proposito, viene in
rilievo una prima problematica legata al carico di lavoro di alcune sedi giudiziarie, considerato
che il numero totale di commissioni sul territorio italiano è pari a dieci. In aggiunta, qualora il
ricorrente sia stato accolto presso un CARA o trattenuto in un CIE, la competenza è individuata in
relazione al distretto di Corte d’appello, in cui si trova il centro.
Come evidenziato nel parere della Commissione permanente della Camera dei Deputati del
17.10.2007 “il testo (…) è volto ad incardinare la competenza dinanzi al tribunale che ha sede nel
capoluogo di distretto di corte d’appello in cui ha sede la commissione territoriale che ha
131
Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati, Giugno 2011, pag. 278; 42 pronunciato il provvedimento, confliggendo tuttavia con il principio del diritto ad un ricorso
efficace, ritenuto che, in proposito, si debba dare attuazione ad un diritto soggettivo dello straniero
o dell’apolide e non alle esigenze organizzative dell’amministrazione che ha adottato il
provvedimento impugnato”. 132
IV.2 L’effetto sospensivo del ricorso: disciplina e problematiche connesse. Il pericolo di
refoulement
Il decreto procedure stabilisce all’art. 35 c.6, che la proposizione del ricorso, ai sensi dei comma 1 e
2, sospende l’efficacia del provvedimento. La disposizione sembrerebbe rispondere alla garanzia
fondamentale del principio del non refoulement, consentendo l’esercizio effettivo del diritto di
difesa senza che il ricorrente sia esposto al pericolo di persecuzione e al rischio di subire un danno
grave. In realtà la previsione generale dell’effetto sospensivo nella pratica non si realizza, in
quanto la maggior parte dei casi non gode dell’effetto sospensivo automatico e necessita di
una contestuale richiesta al giudice.
Il ricorso, infatti, non sospende automaticamente l’efficacia del provvedimento impugnato quando
sia proposto dai richiedenti la protezione internazionale accolti in un Cara per motivi non connessi
alla loro identificazione, ai sensi dell’art. 20, co, 2 lett. b) e c), d.lgs 25/08 nonché dai richiedenti
trattenuti in un CIE (Centro di identificazione ed espulsione) ai sensi dell’art. 21 d.lgs. 25/08.133
In tutti questi casi, contestualmente al ricorso, viene presentata un’istanza di sospensione
dell’efficacia del provvedimento impugnato, sulla quale il giudice dovrebbe pronunciarsi entro 5
giorni. La prassi dimostra che molto spesso i giudici non rispettano questo limite temporale,
mettendo a rischio la vita del richiedente che, nel lasso di tempo che va dalla richiesta di
sospensiva alla decisione, è sprovvisto di documenti e passibile di espulsione. Appare evidente il
mancato rispetto del principio del non-refoulement.
In definitiva, l’effetto sospensivo automatico del provvedimento impugnato riguarda solo i
ricorrenti che si trovino, al momento della presentazione della domanda:
•
in una condizione di soggiorno regolare;
•
che siano stati ospitati in un CARA per accertarne l’identità o la nazionalità, ai sensi dell’art.
20 c.2, lett. a del decreto procedure.
E’ evidente che la sospensione dell’effetto attiene, dunque, a due casi marginali, anche in
considerazione del fatto che spesso il ricorrente viene inviato al Cara senza la specificazione della
concreta fattispecie per cui vi viene inviato. Molto spesso, infatti, i verbali di invio riportano
Si veda Parere I Commissione permanente, Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni, 17.10.2007, pag. 47; Per gli altri casi di sospensione non automatica del procedimento, nella pratica abbastanza marginali, si veda l’art. 35 co. 7 d.lgs
25/08;
132
133
43 indistintamente tutte e tre le ipotesi di invio di fatto vanificando la possibilità di sospensione
automatica del ricorso e rendendo maggiormente vulnerabile il ricorrente che risulta maggiormente
passibile di espulsione dal territorio nazionale. Anche in tale circostanza, quindi, si rischia di
inficiare quel principio di non refoulement che deve essere garanzia inviolabile anche in pendenza
del procedimento giurisdizionale, volto, per altro, ad accertare la sussistenza di rischi per
l’incolumità del ricorrente.
IV.3 Le misure di accoglienza in pendenza del procedimento
In pendenza del ricorso proseguono le misure di accoglienza, così come previsto dall’art. 36 del
decreto procedure, che espressamente rimanda all’art. 11 del decreto accoglienza (d.lgs. 140/2005).
I ricorrenti, precedentemente accolti nel CARA, ex art. 20 c.2 lettere b e c, rimangono nella
medesima struttura, mentre i ricorrenti trattenuti nel CIE, ex art. 21, con l’eventuale accoglimento
della richiesta di sospensione del provvedimento, vengono accolti in un CARA. Va, tuttavia,
precisato che in pendenza della decisione sulla sospensiva ovvero in caso di mancato accoglimento
della sospensiva i ricorrenti trattenuti presso il Cie possono essere rimpatriati in qualsiasi momento,
con ciò vanificando l’effettiva tutela del diritto del ricorrente alla valutazione della sussistenza dei
propri requisiti al riconoscimento della protezione internazionale.
La limitazione temporale della durata massima dell’accoglienza prevista dall’art. 5, co.7, D.Lgs. n.
140/05, tuttavia, fa sorgere rilevanti dubbi in relazione alla sua piena conformità con la Direttiva
2003/9/CE che all’art. 2, lett. e) dispone che l’accoglienza sia assicurata a “qualsiasi cittadino di un
paese terzo o apolide che abbia presentato una domanda di asilo in merito alla quale non sia stata
ancora presa una decisione definita”134. Il d.lgs 140/05, espressamente richiamato dal d.lgs 25/08,
dispone che “in caso di ricorso giurisdizionale avverso la decisione di rigetto della domanda
d’asilo, il ricorrente autorizzato a soggiornare sul territorio nazionale ha accesso all’accoglienza
solo per il periodo in cui non gli è consentito il lavoro, ai sensi dell’articolo 11, comma 1, ovvero
nel caso in cui le condizioni fisiche non gli consentano il lavoro”.
La possibilità di accedere al lavoro, garantita con il permesso di soggiorno per richiesta asilo,
che viene rilasciato al momento della presentazione del ricorso nel caso di sospensiva
automatica ovvero nel momento della pronuncia sulla sospensiva, è, dunque, configurata,
dall’art. 11 co.2 del D.Lgs 140/05, quale presupposto di per sé sufficiente a fare cessare
immediatamente le misure di accoglienza a favore del richiedente asilo ricorrente in giudizio. Va,
tuttavia, osservato come dalla mera possibilità di cercare un lavoro, non consegue automaticamente
la certezza di trovare, nell’immediatezza, un’occupazione idonea a garantire il sostentamento del
richiedente e eventualmente dei suoi familiari.
134
Va ricordato, inoltre, che la stessa Direttiva prevede quale principio generale che “gli Stati membri provvedono a che le
condizioni di accoglienza non siano revocate o ridotte prima che sia presa una decisione negativa” (art. 16, co. 5)
44 L’interruzione dell’accoglienza, specie se improvvisa, non proporzionata e graduale, può
determinare una situazione di grave difficoltà nei confronti del ricorrente privo di mezzi propri di
sostentamento, generando acute problematiche di assistenza sociale e compromettendo altresì la
stessa prosecuzione dell’azione in sede giurisdizionale.
Le prassi applicative di tale disciplina sono piuttosto diversificate sul territorio nazionale.135 In
molti progetti Sprar, fra cui Torino e Bologna, l’accoglienza non cessa all’esito della decisione
negativa della Commissione ma è garantita per ulteriori 6 mesi e tendenzialmente sino all’esito del
ricorso giurisdizionale di primo grado.
Per quanto riguarda i richiedenti asilo accolti nei Cara, occorre notare come in molte strutture (quali
quella di Crotone, Trapani e Castelnuovo di Porto) vi sia una certa flessibilità in merito ai tempi di
cessazione dell’accoglienza dei ricorrenti, prolungando l’accoglienza stessa per il tempo necessario
al ricorso. In altri Cara, quale quello di Gradisca d’Isonzo, tuttavia, il termine di cui al citato art. 11,
co. 1, del d.lgs 140/05 viene applicato con notevole rigore.
È evidente, quindi, come vi sia il concreto rischio per il ricorrente che, a seconda della struttura di
accoglienza ove è stato destinato, egli possa rimanere privo di accoglienza, in una fase molto
delicata della propria procedura per via di una supposta idoneità al lavoro. In tal caso è ragionevole
ipotizzare che il ricorrente sia ad altissimo rischio di marginalità sociale nel momento in cui,
come avviene nella maggior parte dei casi, egli sia privo di reti parentali o comunitarie di sostegno
che possano facilitarlo nell’inserimento sul territorio.
135
Le prassi riportate sono state oggetto di ricerca nello studio Asgi e al., Il diritto alla protezione, Fondo Europeo per i Rifugiati,
Giugno 2011, pagg. 289-290;
45 V CONCLUSIONI
Alla luce di quanto finora esposto risulta di tutta evidenza come il sistema italiano si caratterizza
per un elevato grado di arbitrarietà sul percorso che richiedenti asilo e rifugiati possono
avere, sia nella fase che precede il riconoscimento sia nella fase a questo successiva.
- Il richiedente asilo in arrivo sul territorio italiano non sa se e quale tipo di accoglienza riceverà
al momento del suo arrivo: in primo luogo, infatti, il richiedente rischia di non accedere
immediatamente all’accoglienza in quanto questa è spesso subordinata alla verbalizzazione della
propria domanda d’asilo. In tale fase, di conseguenza, il richiedente corre l’elevato rischio di
ritrovarsi sul territorio privo di accoglienza. In secondo luogo e dopo la verbalizzazione della
domanda, il richiedente non sa se e a quale struttura di accoglienza egli può essere destinato e, di
conseguenza, quali saranno le condizioni materiali di tale accoglienza. Il richiedente asilo, infatti,
può avere la chance di entrare immediatamente in un progetto Sprar (i cui posti, come visto, sono
limitatissimi) e quindi ricevere uno standard elevato di condizioni di accoglienza, ovvero può essere
accolto in un Cara, andando incontro a standard di accoglienza a bassa soglia, ovvero ancora può
entrare nei circuiti comunali ricevendo modalità di accoglienza diversificate a seconda delle
strutture. Tale situazione si è ulteriormente complicata con il 2011 e l’emergenza Nord Africa:
come visto, infatti, il richiedente asilo può oggi ricevere sul territorio nazionale forme di
accoglienza molto disparate tra loro, alcune delle quali di bassissima soglia ritenute compatibili con
la situazione emergenziale in corso. Va, inoltre, precisato che tale situazione è destinata a
complicarsi ulteriormente nei prossimi mesi dato che si prevede, con l’arrivo della bella stagione,
una nuova ondata migratoria, peraltro già iniziata.136
- Per i richiedenti asilo rinviati in Italia in applicazione del Regolamento Dublino II, inoltre, alla
predetta situazione di incertezza si somma, come abbiamo visto, un’ulteriore incertezza dovuta
all’interpretazione applicativa delle amministrazioni locali della mancanza di previsione esplicita
nel Regolamento Dublino di un obbligo per gli Stati membri di trattamento uniforme dei
richiedenti. In tal modo, quindi, il richiedente rinviato in Italia è esposto al concreto rischio di
rimanere privo di accoglienza al momento del suo ritorno sul territorio nazionale.
- I titolari di protezione internazionale incontrano, sul territorio nazionale, numerose difficoltà nel
momento successivo al riconoscimento della protezione. Per la gran parte di loro, infatti, in
questo momento si verifica un vero e proprio vuoto di accoglienza e di assistenza che
determina il formarsi, su tutto il territorio nazionale, di grosse sacche di marginalità sociale
che danno vita agli insediamenti che abbiamo visto.
- Tale vuoto di accoglienza è, sicuramente molto spesso, alla base della decisione di molti titolari di
136
http://www.repubblica.it/ultimora/cronaca/Unhcr-in-arrivo-nuova-ondata-migrantiattrezzare-Lampedusa/news-dettaglio/4132655
46 protezione di abbandonare il Paese. Abbiamo visto, infatti, come un grandissimo numero di rinviati
in Italia in applicazione del Regolamento Dublino sia costituito da titolari di protezione.
Per loro il rientro in Italia può essere ancora estremamente difficoltoso. Come abbiamo visto,
infatti, essi hanno pochissime possibilità di ricevere un’accoglienza immediata al loro arrivo
sul territorio e hanno ugualmente poche possibilità di entrare in accoglienza in un momento
successivo all’arrivo.
- Il percorso del richiedente asilo in Italia presenta, inoltre, un elevato grado di arbitrarietà
nella fase decisionale della domanda di protezione, sia in fase amministrativa che in fase
giurisdizionale.
Un fattore di altissima difformità di decisioni può essere, prima di tutto costituito dalla
Commissione territoriale chiamata ad analizzare la domanda del ricorrente: abbiamo visto, infatti,
come vi sia una grande difformità di decisioni tra le varie Commissioni presenti sul territorio. In
seno a queste, inoltre, la decisione sulla domanda dipende molto dal Commissario che procede
all’audizione del richiedente per il quale, come abbiamo visto, non è previsto dalla normativa
vigente un determinato standard di competenze.
Per ciò che concerne l’effettività della tutela giurisdizionale questa molto spesso è inficiata da
fattori applicativi che di fatto possono vanificarla: il termine di impugnazione e l’accesso al gratuito
patrocinio, come anche i lunghi tempi di attesa per la decisione. La prassi applicativa, inoltre,
presenta dei profili di altissima gravità che possono seriamente compromettere la necessaria tutela
del ricorrente: primo tra tutti la difficile applicazione della sospensiva per il ricorso che espone di
fatto il ricorrente al rischio di espulsione e di conseguente violazione del principio di non
refoulement. Va, infine, considerata la prassi applicativa da ultimo menzionata sull’accoglienza del
ricorrente che può esporre lo stesso ad un altissimo rischio di marginalità sociale, di indigenza e
mancanza di alloggio.
Proprio questa situazione di marginalità sociale, largamente presente, come visto, sul territorio
nazionale sembra essere il filo conduttore di tutte le fasi della procedura e rappresenta, senza
dubbio, il risultato più preoccupante dell’attuale configurazione del sistema italiano di
protezione di richiedenti asilo e rifugiati.
47 Bibliografia:
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Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per
migranti in Italia, approvato il 6 marzo 2012;
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l’attivazione e la gestione di servizi di accoglienza e integrazione per richiedenti e titolari di protezione
internazionale;
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