TERNI: “FABBRICA NELLA VERDE VALLE” Questo lavoro di Aldo Tarquini testimonia di un attaccamento alla storia locale e di una conoscenza dei problemi della città e del territorio ternano sicuramente eccezionali. Raramente accade, infatti, di incontrare un autore che assommi in sé oltre alla conoscenza storica dei luoghi, delle architetture, dei monumenti, delle fabbriche, dei fatti e dei manufatti della sua città anche la capacità di comprenderne la complessità e le contraddizioni soprattutto per esserne stato, nel corso del tempo, non solo spettatore, ma protagonista a tutti gli effetti. Il caso ternano risulta così esemplare di una vicenda importante che ha segnato la storia del nostro paese nell’ultimo secolo e costituisce un utile banco di prova per verificare attraverso un’abbondantissima quantità di materiale documentario di prima mano il senso di uno sviluppo che ha subito nel tempo una serie di flessi e di modificazioni che sono alla base del codice genetico della nostra contemporaneità. In questa prospettiva sono soprattutto due i temi centrali attorno ai quali il meticoloso lavoro di scavo e di restituzione di Tarquini ha prodotto gli argomenti di una riflessione che, andando ben oltre il caso specifico, si può facilmente espandere fino a lambire i più generali destini dello sviluppo civile della nostra penisola: il tema dell’archeologia industriale e quello dell’architettura della città, ambedue argomenti che poi si intrecciano e si avviluppano vicendevolmente più volte nelle pagine che seguono restituendoci un panorama problematico assai ricco e di grandissimo fascino. Storia dell’industria e storia della città, economia, urbanistica, architettura che dipanano la loro evoluzione novecentesca alla luce di una realtà peraltro già ricca di storia e stratificatasi per secoli in un luogo che peraltro, anche fuor di metafora si colloca a baricentro, anche geografico, del nostro frastagliato paese. Al centro della dorsale appenninica che per secoli è stata la vera struttura portante della nostra economia e della nostra storia economica, artistica e culturale, Terni si configura così come il punto di incontro e di scontro tra realtà amministrative, politiche e sociali che nel corso del tempo ne hanno profondamente segnato gli esiti evolutivi. Non v’è chi non veda poi come il caso ternano possa, per facile estensione, proiettarsi sull’idea stessa di città media italiana che, soprattutto lungo la dorsale appenninica, ma non solo, ci riserva oggi le maggiori sorprese anche nella prospettiva di un rinnovato sviluppo della nostra economia basata su dinamiche affatto nuove. Anche in questo senso il volume che presentiamo potrebbe risultare un formidabile serbatoio di esperienze, dalla cui prospezione critica avanzare oltre verso nuove e più consapevoli forme di sviluppo. E’ anche e soprattutto in questa prospettiva che l’archeologia industriale si potrebbe proporre oggi, soprattutto in una realtà come quella ternana, come un sicuro indirizzo di ricerca, e di applicazione di sistemi gestionali e amministrativi del tutto innovativi del quale questo volume rappresenta, in qualche modo, già un cospicuo contributo documentario e metodologico. Sulla spinta di un sistematico interessamento scientifico ai fenomeni relativi alla dinamica delle trasformazioni ambientali, la storiografia contemporanea ha infatti progressivamente operato una serie di scelte e di notevoli passi avanti metodologici indirizzandoli nel senso di una più generale riappropriazione di eventi, di situazioni, di fenomeni, di manufatti, di oggetti e di prodotti fin qui relegati nel limbo della disattenzione critica e progettuale. Non si è trattato soltanto dell'ampliamento e dell'estensione di alcuni particolari ambiti di studio e di ricerca al di fuori e al di là dei più consueti limiti cronologici e disciplinari, quanto e soprattutto di un vero e proprio salto di qualità ove le determinanti ambientali venivano a costituire le coordinate di un nuovo "paesaggio" metodologico. Si è venuta così a definire, con sempre maggiore chiarezza e quello che più conta allargandosi ad ambiti culturalmente già divaricati (dalla storia dell'economia e dell'industrializzazione, dall'archeologia all'architettura, dall'antropologia alla semiotica, dalla linguistica alla sociologia), un interesse nei confronti di modelli di conoscenza e di intervento che affondano le loro radici nella riconsiderazione degli aspetti materiali e strutturali dei diversi fenomeni. All'interno delle discipline comunque afferenti al campo della storia si è progressivamente affermato un interesse, via via, più accentuato verso un tipo di approfondimento e di analisi sul campo che, sviluppando un'attenzione crescente ai dati e agli aspetti fisici e materiali dei vari soggetti indagati, ha ampliato e integrato i suoi interessi nei confronti delle diverse dimensioni culturali e ambientali dei fenomeni. Il vasto panorama problematico relativo ai modi, ai tempi agli strumenti ed alle personalità, singole e collettive facenti capo ai processi della produzione industriale si sono con maggiore chiarezza rivolti all'analisi dell'evoluzione delle tecniche e delle tecnologie alla base della dinamica dei diversi modi di produzione e di definizione delle diverse forme della modificazione ambientale. La trasformazione progressiva dell'ambiente fisico, del territorio antropizzato, da parte di generazioni successive di operatori, maestranze, imprenditori, progettisti, utenti, è diventa così oggetto di analisi sempre più sistematiche e approfondite che, attraverso lo studio delle tecniche e delle metodiche attraverso le quali si è, di volta in volta, articolata la produzione industriale, sono approdate ad una lettura integrata delle grandi mutazioni strutturali che hanno, fin qui, caratterizzato i diversi modi attraverso i quali si è andato esprimendo il rapporto tra uomo e natura, tra il mondo naturale e quello artificiale. La natura fisica del territorio al suo stato originario, ma soprattutto l'ambiente artificiale trasformato e condizionato come oggi ci appare, dove praticamente nulla è escluso e potenzialmente estraneo alle trasformazioni tecnologiche dell'ambiente, sono così diventati l'oggetto di studi e di progetti di salvaguardia, di trasformazione, ma anche di vero e proprio "restauro" degli oggetti e dei luoghi. Oggetti e luoghi ove per decenni si è operata una trasformazione di tipo produttivo che ha viste impegnate risorse energetiche e umane, ove le tracce del passato remoto e prossimo si inseguono e si sovrappongono, identificandosi, cancellandosi a vicenda, sovrapponendosi, sviluppando sinergie e contiguità che formano nel loro complesso lo scenario necessario della nostra vita organizzata e che soprattutto ci impegnano in un progetto integrato e globale per la nostra esistenza di domani. Modificazioni lente o improvvise di interi territori, nascita e morte di piccole ed i grandi concentrazioni urbane, di piccoli come di estesi agglomerati produttivi, di fabbriche, di industrie innumerevoli e disseminate che meritano un'attenzione analitica sistematica, la sola capace di indirizzare correttamente qualsiasi progetto per il futuro. In tale prospettiva il campo che, fin qui, è stato toccato da quanto in questi ultimi decenni è andato sotto il nome di "archeologia industriale" costituisce, oggi che le condizioni decrescenti del produrre vanno così vorticosamente trasformando le loro più tradizionali connotazioni, lo scenario di vasto respiro rispetto al quale possono individuarsi interessanti prospettive operative. In sintesi, e generalizzando estesamente, si può così intendere oggi per archeologia industriale tutto l'arco ampio delle discipline attinenti all'ambito della ricerca e del progetto che si indirizzano alla conservazione e al riuso, alla riscoperta e alla valorizzazione dei reperti fisici e culturali, relativi alla storia dell'industria e del lavoro ad essa connesso. Una enorme quantità di fabbricati industriali, di macchinari, di infrastrutture, di abitazioni operaie, città intere, interi territori una volta luogo e concentrazione di attività produttive, giace nel più completo abbandono oppure è abbondantemente sottoutilizzata mentre potrebbe, con opportune misure, essere recuperata ad una nuova dimensione sia economica che culturale. Non si tratterebbe perciò di una rivalutazione fine a se stessa di materiali, di manufatti, di ambienti, di documenti il cui fine e le cui destinazioni primarie sono evidentemente obsolete sotto molteplici punti di osservazione, quanto e soprattutto della necessaria ricontestualizzazione sociale, culturale ed economica di una massa enorme di oggetti, di architetture, di ambienti e di dati la cui fondamentale rilevanza documentaria è stata, e continua ad essere ancora, in larga misura, sottovalutata. Non si tratterà di ricreare attorno all'oggetto fabbrica un'aura o una dignità artificiali, quanto invece di ripercorrere un itinerario storicamente corretto capace di riproporne poi un uso socialmente utile all'interno di un vasto e affascinante progetto di ricostruzione della "memoria" della nostra storia industriale. Ci piace quindi concludere queste brevi considerazioni con le parole di un grande intellettuale del novecento, Hermann Hesse che intorno al 1922 già rifletteva sulla dimensione estetica, non ancora archeologica, ma comunque complessa e vicina a quanto intendevamo poco sopra per "ambiente" e "paesaggio" insieme nella sua visione del Pittore che dipinge una fabbrica nella valle: Sei bella anche tu, fabbrica nella verde valle, anche se simbolo e patria di cose odiate: caccia al denaro, schiavitù, prigionia tetra. Anche tu sei bella! Rallegra a volte l'occhio il rosso tenero dei tuoi tetti e la tua bandiera e insegna: l'orgogliosa ciminiera! Io ti saluto ed amo, gentile, tenue blu sulle povere case dove tutto sa di sapone, di birra e di bambini! Nel verde dei prati, sul viola dei campi giocano i cubi delle case, il rosso dei tetti, festosi dentro, festosi e anche teneri, musica a fiato mista di oboe e flauto. Rido, intingo il pennello in lacca e cinabro, passo sui campi un verde polveroso, ma più bella di tutto splende la ciminiera rossa, ritta piantata in questo stolto mondo, immensamente fiera, bella quanto ridicola, asta della meridiana infantile d'un gigante. Altra riflessione che si impone, come accennavamo più sopra, è quella relativa agli specifici problemi della città italiana del novecento che ha visto Terni come punto di riferimento di cruciale attraverso tutto il corso del Novecento. Architetti di primissimo piano a livello nazionale si sono qui avvicendati nel dare forma, struttura e significato ad alcuni luoghi importanti del tessuto cittadino e si sono in taluni casi affermati come paradigmi di riferimento per l’intero territorio nazionale. Vengono alla mente i nomi di Bazzani, di Ridolfi, di Frankl, di De Feo, di De Carlo, solo per citarne alcuni le cui opere segnano il transito di linguaggi, tendenze, personalità tipiche del dibattito, spesso anche aspro che si è susseguito negli ultimi decenni nel nostro paese. Tra tutte, naturalmente la presenza di Mario Ridolfi e di Wolfgang Frankl che ha segnato in maniera fondamentale la città, i suoi piani, i suoi monumenti, il suo linguaggio, la sua immagine. Così la città di Terni si trova ad essere un ininterrotto laboratorio di sperimentazione e si costituisce quale punto di riferimento inelimilabile per chiunque voglia tracciare un quadro evolutivo dell’urbanistica e dell’architettura del secolo passato, con particolare riferimento alla seconda metà del Novecento. Di questo, il volume di Tarquini offre uno spaccato ricchissimo di documentazione di prima mano che riesce per la prima volta, attraverso un lavoro di sintesi straordinario, ad offrirci il quadro più persuasivo e, fin qui, inedito delle diverse vicende sviluppatesi sull’intero territorio cittadino. Non è questa la sede per ricordare nel dettaglio le tante opere e le tante personalità esaminate nel testo che segue, ma se ci corre l’obbligo di insistere sull’importanza centrale della presenza ridolfiana sul contesto, non va d’altro canto dimenticata la diversificata elaborazione di tipi, di modelli, di linguaggi che hanno visto la città di Terni comunque protagonista o perlomeno testonianza assai efficace del complesso dibattito che ha caratterizzato, soprattutto, gli anni del secondo dopoguerra. Terni infatti, per la sua specifica connotazione politica e economica, è stata come altre poche realtà italiane, soprattutto del centro-‐nord e segnatamente padane, il luogo di una sperimentazione ove una certa politica delle sinistre al governo è riuscita la lasciare una riconoscibile presenza del suo passaggio nel volto fisico della città costruita. Tutto ciò nel bene e nel male, ma indubbiamente, rispetto ad altre zone del paese, bisogna riconoscere alle diverse amministrazioni cittadine la capacità di aver fatto confluire in concreti esiti urbani, a livello di pianificazione, di scelte urbanistiche e di architettura una certa idea e di capacità di governo del territorio che, in altre zone del paese, risulta del tutto inimmaginabile. Lo stesso concetto di “città per parti” che trae le sue origini teoriche e metodologiche nella scuola di architettura di Venezia e che trae alimento dai contributi teorici di personalità come Giuseppe Samonà, Saverio Muratori, Aldo Rossi e Carlo Aymonino, sembra poi, nel caso della città di Terni, trovare una sua possibile e concreta applicazione cui l’interpretazione del nostro autore aggiunge capacità di analisi e di introspezione. Dal centro storico alle nuove addizioni urbane, attraverso meccanismi di modificazione, sostituzione, adattamento e recupero di cospicue porzioni della città costruita l’affascinante vicenda ternana si dipana così dagli anni d’oro della prima industrializzazione fino alla cronaca recente di una delle più cospicue dismissioni del nostro paese. Si aprono così gli scenari del recupero, del diradamento, del recupero, del restauro di porzioni anche assai cospicue del costruito e altresì avanzano le occasioni per un ritrovato e più equilibrato rapporto con il contesto fisico ambientale all’interno del quale il cospicuo patrimonio idrico non cessa di giocare il suo ruolo fondamentale e determinante nell’indirizzare le ragioni dello sviluppo. Un libro quindi assai utile e capace di porsi quale capofila di una ,speriamo cospicua, serie di ulteriori approfondimenti sulla storia e il destino della citta media contemporanea in Italia. Giorgio Muratore marzo 2015
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