LA GRANDE GUERRA Arte Luoghi Propaganda

LA GRANDE GUERRA
Arte Luoghi Propaganda
Milano, Gallerie d’Italia - Piazza Scala
La Grande Guerra. Arte e artisti al fronte
1 aprile - 23 agosto 2015
Curatori: Fernando Mazzocca e Francesco Leone
Inserita nell’ambito del programma nazionale delle commemorazioni per il Centenario sotto l’egida della
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Struttura di Missione per gli Anniversari di Interesse Nazionale e con
il patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo nonché del Ministero della Difesa, la
mostra ha il patrocinio del Comune di Milano e fa parte del palinsesto di eventi di Expoincittà.
La Grande Guerra. Arte e artisti al fronte è il titolo della sezione della mostra ospitata a Milano alle Gallerie
d’Italia - Piazza Scala, che racconta la Grande Guerra non come un fatto isolato, inspiegabile e irripetibile,
ma cercando di interpretare gli umori di quel periodo tra i due secoli, la drammatica realtà del conflitto e la sua
ricaduta negli anni immediatamente successivi che verranno a sfociare in un’altra controversa stagione della
storia del nostro paese, quella del Fascismo.
Lo scoppio nel 1914 - ma l’Italia entrerà nel conflitto nel 1915 - della Prima guerra mondiale aveva fatto crollare
bruscamente le certezze della cosiddetta Belle Époque, una lunga stagione che, a partire dall’ultimo decennio
dell’Ottocento, era stata caratterizzata dall’ottimismo e dall’incondizionata fiducia nei valori del progresso e
della tecnica.
Ne erano stati espressione, sul versante artistico, movimenti come il Liberty, più frequentemente chiamato
anche da noi come in Francia “Arte Nuova”, il Simbolismo e il Divisionismo, per lo più identificati in iconografie,
come quella privilegiata della Primavera, e in soluzioni stilistiche intese a esaltare il valore vitalistico della luce e
della linea, che esprimevano l’entusiasmo di quegli anni felici. Prima e durante il conflitto, le nuove avanguardie,
come il Futurismo, e la guerra stessa, avevano rappresentato un decisivo punto di svolta e avevano bruciato,
come in un grande rogo, la civiltà dell’Ottocento. Si era dunque diffusa la convinzione che il Novecento potesse
iniziare solo in quel momento.
Il percorso espositivo, che comprende circa 200 opere, è articolato in quattro grandi sezioni: due indagano gli
anni che precedettero la guerra, le altre due sono dedicate agli anni durante e dopo il conflitto.
Con il patrocinio di
Nella parte iniziale, intitolata 1890-1914. Il lato oscuro della Belle Époque, gli artisti rappresentano l’atmosfera
dell’ultimo decennio dell’Ottocento e degli anni precedenti la Grande Guerra, etichettati sotto l’insegna scintillante
di Belle Époque, che furono in realtà uno dei periodi più tormentati della storia d’Italia. In particolare cercano un
nuovo modo per rappresentare, interpretare, denunciare e provare a capire povertà diffusa, questione sociale
irrisolta, fame e malattie endemiche come la malaria, e disastrose imprese coloniali passando dalla pittura di
denuncia sociale a opere più visionarie, dove prevale un cupo senso della fine. Si tratta di opere di grande
impatto visivo, spesso di dimensioni monumentali.
In Patria e interventismo, l’apologia della “guerra - sola igiene del mondo” lanciata da Marinetti, nasce come
risposta alle angosce da crisi di civiltà e da imminente catastrofe globalizzata che a inizio secolo pervadono
l’Europa. Le idee di rivoluzione e di guerra dei futuristi si pongono come azione rivoluzionaria di rinnovamento
globale.
La terza sezione, intitolata In guerra. Realtà e rappresentazione, mette in mostra le immagini del fronte,
potente elemento d’ispirazione per gli artisti combattenti: l’iconografia delle “macchine” di guerra, ancora ignote
all’uomo di fine Ottocento, e i tre generi “classici” quali la ritrattistica, il paesaggio, la pittura di battaglie. Ne
emerge una spaccatura tra chi, per corroborare la fiducia dei civili rimasti a casa e soprattutto per tenere alto
il morale dei soldati, rappresenta il lato eroico della guerra e chi, più colpito dalla miseria della sofferenza, ne
descrive l’altro lato.
In 1915-1935. Mito, memoria e celebrazione, ultima sezione, gli anni difficili della guerra e del dopoguerra, che
diventarono per alcuni artisti l’occasione per denunciare gli orrori del conflitto e il malessere di una società che
non aveva risolto i suoi problemi, furono generalmente superati nel nuovo percorso dell’arte italiana. La pittura
e la scultura celebrarono la guerra e alimentarono il suo mito, come fosse stata una formidabile opportunità
per un profondo rinnovamento del paese che, nell’imminente affermazione del Fascismo, vedrà il superamento
della crisi dell’Italia postunitaria e la nascita di un mondo nuovo.
Ognuna di queste sezioni è stata scandita in successivi nuclei tematici per costruire una narrazione più articolata
e appassionante.
Il lato oscuro della Belle Époque e il motivo dell’“abisso”, mutuato da un famoso passaggio di Nietzsche (“L’uomo
è una fune sospesa tra l’animale e il superuomo, una fune sopra l’abisso”), diventa emblema del malessere,
sia individuale sia collettivo, che si diffonde nella dura realtà dell’Italia da poco unificata e satura di problemi e
tensioni sociali. Il celebre gruppo scultoreo rappresentante proprio L’abisso di Pietro Canonica introduce una
serie di dipinti drammatici nei temi, come nelle soluzioni formali improntate a una sorta di simbolismo “nero”,
dominato dall’angoscia, dal dolore e dal male di vivere, dal presagio della morte.
Mario De Maria, Giuseppe Mentessi, Pilade Bertieri, Felice Carena, Plinio Nomellini, Leonardo Bistolfi, Luigi
Nono, Galileo Chini, Giulio Aristide Sartorio, Luigi Selvatico, Giovanni Boldini, Giovanni Sottocornola, Emilio
Longoni, Angelo Morbelli, Lorenzo Viani, Adolf Hirémy Hirschl rappresentano nelle loro opere la triste condizione
dei poveri, degli emarginati, dei lavoratori rassegnati o in rivolta, la desolazione di certi luoghi dove la bella natura
è stata stravolta dal progresso, la malattia; o elaborano visioni eroiche, di eventi storici come fuori dal tempo
dove, accanto a destini di gloria, incombe un tragico senso della fine.
Sono poi presenti pittori di estrazione diversa, tra cui emergono i futuristi come Adriana Bisi Fabbri, Giacomo
Balla, Gino Severini, Cagnaccio di San Pietro, Mario Sironi, Achille Funi, Osvaldo Licini e ricompaiono Sartorio,
Nomellini, Chini, Viani, cui si aggiungono nuovi testimoni come Gaetano Previati, Achille Beltrame, Anselmo
Bucci, Giovanni Battista Crema, Giuseppe Cominetti, Aldo Carpi, Edgardo Rossaro, Italico Brass, Duilio
Cambellotti, Ottone Rosai.
Le loro opere documentano quanto sia stato ampio il coinvolgimento, determinato in molti dalla diretta presenza
al fronte, nel rappresentare una guerra in cui all’inizio tutti credevano. Andiamo dalle rappresentazioni più serene
e eroiche di Sartorio e Beltrame al registro tragico e visionario di Cominetti e Cambellotti, alla trasfigurazione
simbolica di Previati.
Nell’ultima parte, relativa agli anni della celebrazione della Vittoria, che coincidono in parte con l’affermazione
del Fascismo, rimane, almeno all’inizio, anche un ristretto margine per la rappresentazione del dolore delle
famiglie dei caduti e di tensioni sociali rimaste irrisolte, come dimostrano i dipinti di Aroldo Bonzagni, Edoardo
Gioia, Cagnaccio di San Pietro, Chini.
Ma poi è una dimensione simbolista e eroica a prevalere nei vari monumenti ai Caduti e alla Vittoria, documentati
dalle sculture di Arrigo Minerbi, Domenico Trentacoste, Aurelio Mistruzzi, Libero Andreotti, Adolfo Wildt, Eugenio
Baroni, Domenico Rambelli, Pietro Canonica, Ettore Ximenes, Arturo Martini.
Progetti, modelli e bozzetti ci conducono, attraverso linguaggi plastici diversi, nei multiformi percorsi della
costruzione del mito della Grande Guerra.