DOMENICA DELLA MISERICORDIA Giovanni scrive verosimilmente verso la fine del I secolo, cioè durante il regno dell'imperatore Domiziano (81-96), quando le scelte della grande politica romana stavano provocando vivaci reazioni nell'ambiente cristiano, a partire dagli ultimi anni del regno di Nerone (64-68): gli apostoli Pietro e Paolo erano già morti vittime della giustizia imperiale. Non si può parlare di vere persecuzioni contro i cristiani, ma in molte parti dell'impero la vita della Chiesa si fa sempre più difficile e conosce opposizioni vivaci e ingiuste discriminazioni. Una questione molto pericolosa nasce con la tendenza di Domiziano ad intensificare il culto dell' imperatore, che per la prima volta in quegli anni riceve il titolo di Deus et Dominus. Nella provincia d'Asia tale culto si sviluppa velocemente e nella città di Efeso viene subito innalzata una statua di Domiziano. I cristiani si trovano imbarazzati di fronte a questo pericoloso aspetto della politica romana; sanno di dover compiere precise scelte di opposizione, ma si accorgono anche di rischiare seriamente. Giovanni deve aiutare le sue comunità con una predicazione incisiva e che ribadisca i concetti fondamentali della vita cristiana. Teniamo presente che, quando l'autore scrive, siamo ormai alle terza generazione di cristiani, che non hanno né conosciuto é Gesù e nemmeno gli apostoli: l'evangelista deve offrire il fondamento della fede: Gesù Cristo morto e risorto! Per fare ciò, il giorno della risurrezione di Gesù viene segnalato con l' indicazione “il primo della settimana”, che, agli orecchi degli ebrei, aveva un richiamo immediato: la creazione! La risurrezione di Gesù è il primo giorno della nuova creazione, quella dove l’uomo non incontra la morte, e la morte non è un ostacolo alla vita, perché l’uomo, nella nuova creazione, ha una vita capace di superare la morte. Ma chi lo spiega ai discepoli terrorizzati di fare la stessa fine del loro maestro? Il mandato di cattura non era stato soltanto per Gesù, ma per tutto il gruppo. Al momento dell'arresto, Gesù era riuscito a barattare la sua cattura con la salvezza dei discepoli ora chiusi in una stanza pieni di paura. In quella stanza irrompe Gesù e, dice l'evangelista dando una meravigliosa pennellata di teologia, e “stette in mezzo” , letteralmente "al centro". E' interessante osservare che l'evangelista non ci dice chi siano i discepoli presenti in quella stanza, ma sappiamo però che sono dieci perché manca Giuda e Tommaso. Ora, “dieci” è la quota minima del minjan, il numero legale affinché nel culto ebraico vi sia un’assemblea idonea, a cui il Signore non fa mancare la sua presenza quando si pone in preghiera o si pone allo studio della Tôràh. La sera della Resurrezione perciò vede il primo minjan della nuova assemblea del popolo di Dio, a cui il Signore Risorto non fa mancare la sua presenza, tanto più che i discepoli non sembra che stiano studiando la Scrittura o pregando, ma solo si trovano uniti per farsi coraggio, per trovare qualche consolazione per la morte del loro Signore e capire come muoversi in quel contesto così ostile. Ebbene, Gesù risorto appare ai suoi si pone al centro, non davanti. Cosa significa? Se Gesù si mette alla testa di un gruppo, vuol dire che c’è una gerarchia di persone che gli sono più vicine e persone più lontane. No, Gesù sta al centro e tutta la comunità gli fa da corona, e da lui si irradia quella sorgente d’amore che è la fonte della vita stessa di Dio. Le prime parole che il Risorto dice ai suoi, sono un invito alla piena felicità. Il termine ebraico “ שָׁלוֹםShalom”, da noi tradotto poveramente con "pace", esprime tutto quello che comporta la felicità, la serenità, la gioia alla vita dell’uomo. Ma Gesù non fa solo un augurio verbale, ma mostra le ragioni di questa felicità: “mostrò loro le mani e il fianco”. E' un invito alla fiducia nel quale Gesù fa capire ai discepoli che lo stesso amore che lo ha spinto a dare la vita per loro, testimoniato dalle mani e dal fianco trafitti dai chiodi e dalla lancia, è lo stesso amore che permane in eterno! Il messaggio è lucido: andate nella vita senza preoccupazioni, fidatevi completamente di me perché io sarò sempre accanto a voi in ogni momento. Il mio amore non è mutato verso di voi ma è lo stesso! Il passaggio dal timore alla gioia è immediato. Per la seconda volta, Gesù torna a ripetere l’invito alla pace ma con un' aggiunta: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi". Perché questa doppia ripetizione dell’invito alla pace? La prima è un amore comunicato dal Risorto, la seconda è un invito a donare agli altri questo amore comunicato. Nella dinamica d' amore tra Dio e l’uomo, c’è un processo d' identificazione con il Signore. Sentirsi amati da Dio si trasforma in un processo di donazione. Come il Padre manda Gesù a manifestare il suo amore, così Gesù manda i suoi, ad essere testimoni visibili che è possibile avere con le creature soltanto e unicamente – come lui ha fatto – un rapporto d’amore. Per avere questa capacità d'amore, l'evangelista usa un'immagine eloquente che va però capita: “Detto questo, soffiò”. Il verbo "soffiare" è lo stesso che troviamo nel libro della Genesi al momento della creazione dell’uomo, quando Dio soffia, cioè comunica la sua vita al primo uomo, lo rende creatura vivente. Poi soggiunge: “ricevete Spirito Santo”. Da parte del Signore c’è la comunicazione dello Spirito, della sua forza, della sua capacità d’amore; l'accoglienza di questo Spirito da parte dell'uomo, dipende dalla sua capacità d’amore, dalla sua capacità di donazione. Gesù aveva detto che lo Spirito Santo viene dato senza misura, la misura la mette l’individuo. Quelle parti dell’uomo che sono ancora occupate da rancori, odio, risentimenti, invidia e chiusura, sono paratie che bloccano l'azione dello Spirito. Ed ecco importantissimo il mandato che Gesù da a tutta la comunità. Quello che segue non è un potere concesso a pochi, ma una responsabilità data a tutti i membri della comunità. Qual è? “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati". L’evangelista non adopera il verbo perdonare, ma condonare, cancellare i peccati. Il termine “peccato” (ἁμαρτία hamartia) adoperato dall’evangelista non indica le colpe degli uomini, ma un atteggiamento sbagliato di vita che nei Vangeli riguarda sempre il passato. Cosa vuol dire Gesù con questo? La comunità di Gesù ha ricevuto questo mandato di far brillare la luce dell’amore. Quanti vivono sotto le tenebre per una direzione sbagliata di vita ma si sentono attratti dalla logica dell'amore e del dono proposti da Gesù, ed entrano all’interno di questo cerchio al cui centro c’è Gesù, questi hanno il passato totalmente cancellato. Viceversa, quanti pur vedendo brillare la luce, se ne allontanano, per rintanarsi nelle tenebre, non potranno mai sperimentare una vita nuova libera e liberante. Entra poi in scena Tommaso, l’apostolo di Gesù, l’uomo, il discepolo, che ha la più alta espressione di fede di tutto il Vangelo. Tommaso è indubbiamente il discepolo più importante del Vangelo di Giovanni; il suo nome viene ripetuto per ben sette volte – il numero sette significa ‘la totalità, la completezza’ – e per ben tre volte il suo nome viene accompagnato dall’espressione Δίδυμος Dìdimo, che significa gemello. Tommaso viene presentato come il gemello di Gesù. Non nel senso fisico, materiale – sarebbe ridicolo – ma nel senso spirituale. È il discepolo che deve diventare gemello di Gesù, al punto da assomigliargli come una goccia d’acqua. Ecco l’ultima figura della fede con cui chiudiamo il nostro cammino, per aprire il resto del cammino della vita. La fede nel Signore Gesù ci porta ad assomigliargli, ad assumere in noi le sue fattezze, i suoi lineamenti. È una dinamica psicologica consueta. Quando si ama una persona la si imita, se ne assumono anche i gusti, ci si mette nei panni della persona e si finisce per parlare allo stesso modo, per fare i gesti che fa quella persona. Colui che ama imita. Come è l’amico, così sarà il suo amico. Diventare credente, per Tommaso, significa diventare gemello, diventare “il doppio” di Gesù. L’amore che si fa servizio consente di essere accanto a Gesù e di sperimentarlo vivo, vivente, vivificante nella nostra esistenza. A cura di padre Umberto
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