Reverse charge, novità 2015 e primi chiarimenti dell`Agenzia delle

Circolare n. 7 del 7 aprile 2015
Reverse charge, novità 2015 e primi chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate
Indice
1. Principi generali e novità 2015
2. Estensione del reverse charge nel settore edile
2.1. Soggetti esclusi
2.2. Presupposti applicativi
2.3. Nozione di “edificio”
2.4. Servizi di pulizia
2.5. Servizi di demolizione, installazione di impianti e completamento
3. Estensione del reverse charge nel settore energetico
4. Estensione del reverse charge alle cessioni di pallets
5. Reverse charge e split payment
6. Consorzi
7. Reverse charge e Iva per cassa
8. Reverse charge e nuovo regime forfetario
9. Acquisti di servizi promiscui dell’ente non commerciale
10. Utilizzo del plafond
11. Clausola di salvaguardia
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1. Principi generali e novità 2015
L’art. 17, co. 1, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 stabilisce che l’Iva – in presenza dei relativi
presupposti (soggettivo, oggettivo e territoriale) – è dovuta dal cedente dei beni o dal prestatore dei servizi
imponibili, i quali provvedono, pertanto, ad addebitarla in fattura, procedendo, poi, al conseguente
versamento all’Erario, nei termini ordinari, cumulativamente all’imposta riguardante le altre operazioni
attive, al netto di quella detraibile ai sensi del successivo art. 19 del predetto Decreto.
Tale criterio è, tuttavia, espressamente derogato – con l’effetto che trova applicazione il c.d. reverse
charge, ovvero l’Iva non viene addebitata in fattura (essendo riportata la dicitura “Inversione contabile”),
ma deve essere assolta direttamente dal cessionario o committente, mediante l’integrazione della stessa,
ai sensi dell’art. 17, co. 5, del D.P.R. n. 633/1972 – quando ricorrono alcune specifiche fattispecie
individuate dall’art. 17 del D.P.R. n. 633/1972, come, ad esempio:
• le cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non
residenti nei confronti di soggetti passivi stabiliti in Italia, compresi gli enti, le associazioni e le altre
organizzazioni di cui all’art. 4, co. 4, del D.P.R. n. 633/1972 – anche quando agiscono al di fuori delle
attività commerciali od agricole – e gli enti, le associazioni e le altre organizzazioni, non soggetti passivi,
identificati ai fini Iva (art. 7-ter, co. 2, lett. b) e c), del D.P.R. n. 633/1972). A questo proposito, si
ricorda che se il cedente o il prestatore è un soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro
dell’Unione Europea, il cessionario o committente deve assolvere gli obblighi di fatturazione e
registrazione previsti dagli artt. 46 e 47 del D.L. 30 agosto 1993, n. 331 (art. 17, co. 2, del D.P.R. n.
633/1972);
• le prestazioni di servizi, compresa la manodopera, diversi da quelli di cui all’art. 17, co. 6, lett. a-
ter), del D.P.R. n. 633/1972 – disposizione introdotta dall’art. 1, co. 629, lett. a), n. 2), della Legge
23 dicembre 2014, n. 190, con effetto dal 1° gennaio 2015, come meglio illustrato nel prosieguo – resa
nel settore edile da soggetti subappaltatori nei confronti delle imprese che svolgono l’attività
di costruzione o ristrutturazione di immobili, ovvero dell’appaltatore principale o di un altro
subappaltatore. Sul punto, si ricorda che tale norma non è applicabile alle prestazioni di servizi rese a
beneficio di un contraente generale a cui venga affidata dal committente la totalità dei lavori (art. 17,
co. 6, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972);
• le cessioni di fabbricati, o porzioni degli stessi, di natura abitativa o strumentale, per le quali il
cedente – nel relativo atto di compravendita – abbia optato per l’applicazione dell’Iva (art. 17, co.
6, lett. a-bis), del D.P.R. n. 633/1972), salvo il caso in cui il cessionario sia un privato, oppure un
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soggetto passivo Iva che, con riferimento a tale operazione, agisca al di fuori dell’esercizio dell’impresa
o di arti o professioni (C.M. 28 giugno 2013, n. 22/E, par. 5.3).
A partire dal 1° gennaio 2015, come anticipato, a tali fattispecie derogatorie se ne sono aggiunte altre –
per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 1, co. 629, lett. a), della Legge n. 190/2014 – che ha introdotto
ulteriori ipotesi di applicazione obbligatoria del reverse charge, nell’ambito dell’art. 17, co. 6, del D.P.R. n.
633/1972:
• lett. a-ter): prestazioni di servizi di pulizia, demolizione, installazione di impianti e completamento relative agli edifici;
• lett. d-bis): trasferimenti di quote di emissioni di gas ad effetto serra definite dall’art. 3 della Direttiva
2003/87/CE, trasferibili ai sensi del successivo art. 12 della medesima Direttiva;
• lett. d-ter): trasferimenti di altre unità che possono essere utilizzate dai gestori per conformarsi alla
citata Direttiva 2003/87/CE, e di certificati relativi al gas e all’energia elettrica;
• lett. d-quater): cessioni di gas ed energia elettrica ad un soggetto passivo-rivenditore ai sensi
dell’art. 7-bis, co. 3, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972, ovvero la cui attività principale è costituita dalla
rivendita di tali beni, ed il cui consumo personale è trascurabile;
• lett. d-quinquies): cessioni di beni effettuate nei confronti degli ipermercati (codice attività 47.11.1),
dei supermercati (codice attività 47.11.2) e dei discount alimentari (codice attività 47.11.3). L’efficacia
di tale disposizione è subordinata al rilascio, da parte del Consiglio dell’Unione Europea, di una
preventiva autorizzazione ai sensi dell’art. 395 della Direttiva 2006/112/CE.
L’art. 1, co. 631, della Legge n. 190/2014 ha, inoltre, stabilito che le predette disposizioni di cui alle lett.
d-bis), d-ter), d-quater) e d-quinquies) dell’art. 17, co. 6, del D.P.R. n. 633/1972 sono applicabili
per un periodo di 4 anni.
L’art. 1, co. 629, lett. d), della Legge n. 190/2014 ha altresì modificato l’art. 74, co. 7, del D.P.R. n.
633/1972, estendendo il meccanismo dell’inversione contabile anche alle cessioni di bancali in legno
(pallets) recuperati ai cicli di utilizzo successivi al primo.
Le predette novità normative in ambito di reverse charge hanno formato oggetto di un primo esame da
parte dell’Agenzia delle Entrate, che ha fornito diversi chiarimenti con la C.M. 27 marzo 2015, n. 14/E
– seppure con notevole ritardo rispetto all’entrata in vigore delle relative disposizioni (1° gennaio 2015,
con riferimento alla data di effettuazione dell’operazione, individuata a norma dell’art. 6 del D.P.R.
n. 633/1972) – distinguendo l’analisi della disciplina in base al settore interessato, ovvero edile, energetico
e dei pallets recuperati ai cicli di utilizzo successivi al primo, per poi illustrare i principali rapporti della
stessa con alcuni specifici istituti (split payment, Iva per cassa, nuovo regime forfetario, ecc.).
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2. Estensione del reverse charge nel settore edile
L’art. 1, co. 629, lett. a), n. 2), della Legge n. 190/2014, come anticipato, ha introdotto la lett. a-ter)
dell’art. 17, co. 6, del D.P.R. n. 633/1972, per effetto della quale è obbligatorio applicare l’inversione
contabile nel caso di prestazioni di servizi di pulizia, demolizione, installazione di impianti e completamento
relative ad edifici. Il fondamento giuridico della novità normativa è rappresentato dall’art. 199, lett. a),
della Direttiva n. 2006/112/CE secondo cui “gli Stati membri possono stabilire che il debitore d’imposta
sia il soggetto passivo nei cui confronti sono effettuate prestazioni di servizi di costruzione, inclusi i servizi
di riparazione, pulizia, manutenzione, modifica e demolizione relative a beni immobili”. Tale fonte
comunitaria, peraltro, era stata in parte già recepita in passato, con la previsione della lett. a) dell’art 17,
co. 6, del D.P.R. n. 633/1972, riguardante il reverse charge relativo al subappalto in edilizia,
soggetto alla sussistenza di specifici presupposti applicativi (C.M. 29 dicembre 2006, n. 37/E):
• i soggetti subappaltatori svolgono, anche se in via non esclusiva o prevalente, attività identificate dalla
sezione F della classificazione Ateco, e rendono servizi ad imprese del comparto dell’edilizia, che si
pongono quali appaltatori o, a propria volta, subappaltatori, in relazione alla realizzazione dell’intervento
edilizio;
• i servizi forniti ai soggetti appaltatori, oppure ad altri subappaltatori, assumono rilevanza non soltanto
se resi sulla base di un contratto riconducibile alla tipologia dell’appalto, ma anche se effettuati in virtù
di un contratto di prestazione d’opera. Diversamente, il regime dell’inversione contabile non si applica
alle prestazioni rese direttamente, in forza di contratti d’appalto, nei confronti di imprese di costruzione
o ristrutturazione. Tale meccanismo non si applica neppure alle prestazioni di servizi rese nei confronti
di un contraente generale a cui venga affidata dal committente la totalità dei lavori.
La novità normativa in vigore dal 1° gennaio 2015, come segnalato in precedenza ed osservato anche
dall’Agenzia delle Entrate (C.M. n. 14/E/2015, par. 1), riguarda attività relative al comparto edile
(demolizioni, installazione di impianti e completamento di edifici) già interessate dal reverse charge, in
presenza delle condizioni di cui al previgente art. 17, co. 6, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972, ma non solo:
contestualmente, il legislatore ha esteso l’obbligo di inversione contabile anche alle prestazioni di servizi
di pulizia inerenti agli edifici, che interessano, quindi, nuovi settori collegati non rientranti nel comparto
edile propriamente inteso. Il contenuto della lett. a-ter) è, pertanto, oggettivamente contiguo e
complementare a quello della lett. a), ma al contempo – come precisato anche dall’Amministrazione
Finanziaria – se ne differenzia per molteplici aspetti, sotto il profilo dei presupposti e dell’ambito applicativo.
2.1. Soggetti esclusi
L’applicazione del reverse charge, come anticipato, comporta che il prestatore emetta la fattura senza
l’addebito dell’Iva, con l’indicazione della dicitura “Inversione contabile”: il committente è, poi, tenuto a
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procedere all’integrazione della stessa, con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta, e alla
conseguente annotazione nel registro delle fatture emesse o in quello dei corrispettivi (artt. 23 e 24 del
D.P.R. n. 633/1972) – entro il mese di ricevimento, ovvero anche successivamente, ma comunque entro
15 giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese – nonché, ai fini della detrazione, nel registro
degli acquisti di cui al successivo art. 25 del predetto Decreto Iva (C.M. n. 37/E/2006). Conseguentemente,
il reverse charge non è applicabile alle prestazioni di servizi rese nei confronti di soggetti che,
beneficiando di particolari regimi fiscali, sono esonerati dagli adempimenti previsti dal D.P.R. n.
633/1972 (annotazione delle fatture, tenuta del registro dei corrispettivi e di quello degli acquisti), come,
ad esempio (C.M. n. 14/E/2015, par. 10):
• i produttori agricoli con volume di affari non superiore ad euro 7.000 (art. 34, co. 6, del D.P.R. n.
633/1972);
• gli esercenti attività di intrattenimento di cui alla Tariffa allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640
ai quali, agli effetti dell’Iva, si applicano le disposizioni previste dall’art. 74, co. 6, del D.P.R. n. 633/1972;
• gli enti che hanno optato per l’applicazione delle norme stabilite dalla Legge 16 dicembre 1991, n. 398;
• i soggetti che effettuano spettacoli viaggianti, nonché quelli che svolgono le altre attività di cui alla
Tabella C allegata al D.P.R. n. 633/1972 che, nell’anno solare precedente, hanno realizzato un volume
di affari non superiore ad euro 25.822,84 (art. 74-quater, co. 5, del D.P.R. n. 633/1972).
2.2. Presupposti applicativi
Ai fini dell’individuazione delle prestazioni soggette alla disciplina prevista dalla lett. a-ter) dell’art. 17, co.
6, del D.P.R. n. 633/1972 (servizi di pulizia, demolizione, installazione di impianti e completamento di
edifici), la C.M. n. 14/E/2015, par. 1.1 ha confermato l’orientamento della dottrina prevalente,
secondo cui – in una logica di semplificazione e allo scopo di evitare incertezze interpretative – è necessario
fare riferimento esclusivamente ai codici attività della tabella Ateco 2007, coerentemente con i criteri
adottati in sede di Relazione Tecnica alla Legge n. 190/2014. Tale documento aveva, infatti,
precisato che:
• l’art. 17, co. 6, lett. a-ter), del D.P.R. n. 633/1972 opera in determinati settori che, secondo
l’esperienza degli Stati, sono ritenuti ad elevato rischio, prevedendo il trasferimento dell’obbligo di
versare l’Iva al destinatario della cessione di beni o della prestazione di servizi;
• la stima del maggior gettito derivante dall’entrata in vigore della predetta disposizione, in via
prudenziale, fa unicamente riferimento all’introduzione del reverse charge per le prestazioni di servizi
di pulizia (codice Ateco 81.2), nonché per quelle di demolizione, installazione di impianti e
completamento (codice Ateco 43, edilizia specializzata).
L’Agenzia delle Entrate ha, inoltre, osservato che i soggetti passivi Iva che rendono le prestazioni di servizi
indicate dall’art. 17, co. 6, lett. a-ter), del D.P.R. n. 633/1972, a beneficio di committenti “business”,
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devono applicare il reverse charge indipendentemente dalla circostanza che le prestazioni di servizi
siano rese:
• da soggetti operanti nel settore edile, ovvero che svolgono un’attività economica compresa nei
codici della sezione F della classificazione Ateco 2007;
• dal subappaltatore nei confronti delle imprese che svolgono l’attività di costruzione o ristrutturazione di immobili, ovvero dell’appaltatore principale o di un altro subappaltatore;
• a favore di un contraente generale a cui venga affidata dal committente la totalità dei lavori.
In tal senso, si era espressa anche la Fondazione Nazionale dei Commercialisti, con la Circolare del
30 gennaio 2015, par. 3.
Analogamente, le predette prestazioni individuate dalla lett. a-ter) comportano l’obbligo di inversione
contabile a prescindere dal rapporto contrattuale stipulato dalle parti e dalla tipologia dell’attività
esercitata: l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate è, pertanto, allineato con la Relazione Tecnica alla
Legge n. 190/2014, secondo cui l’applicazione del reverse charge non interessa soltanto le opere effettuate
nei contratti di subappalto, bensì tutte le prestazioni rese nei rapporti tra soggetti passivi Iva,
anche nei confronti di committenti che non agiscono nel settore edile o dei contraenti generali.
Il meccanismo dell’inversione contabile è obbligatorio pure se il prestatore svolge sistematicamente
attività ricomprese nelle classificazioni Ateco relative alle prestazioni di pulizia, demolizione, installazione
di impianti e completamento relative ad edifici, che non sono state comunicate all’Amministrazione
Finanziaria ai sensi dell’art. 35, co. 3, del D.P.R. n. 633/1972 (C.M. n. 14/E/2015, par. 1.1): al ricorrere
di tale ipotesi, il contribuente è altresì tenuto all’adeguamento del codice Ateco (R.M. 13 luglio 2007, n.
172/E).
Alla luce di quanto sopra riportato, l’art. 17, co. 6, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972 continua, invece, ad
essere applicato esclusivamente alle ipotesi di subappalto relativamente alle attività identificate dalla
sezione F della classificazione Ateco, diverse da quelle di installazione di impianti, demolizione e
completamento di edifici. In altri termini, devono ritenersi soggette all’applicazione del reverse charge, in
base alla successiva lett. a-ter), le prestazioni di completamento di un edificio rese, sulla base di un
contratto di appalto, nei confronti di una società di costruzione, così come il servizio di pulizia prestato
da un’impresa a favore di uno studio professionale.
Diversamente, nel caso di attività di costruzione di un edificio, il reverse charge rimane applicabile – ai
sensi dell’art. 17, co. 6, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972 – unicamente in presenza di prestazioni dipendenti
da un rapporto di subappalto, rese nei confronti di un appaltatore.
Fermo restando che, in ogni caso, sono escluse dall’inversione contabile le forniture di beni con posa
in opera, in quanto tali operazioni costituiscono, ai fini Iva, delle mere cessioni di beni e non delle
prestazioni di servizi, in virtù della considerazione che la posa in opera assume una funzione accessoria
rispetto alla vendita del bene (C.M. 29 dicembre 2006, n. 37/E, RR.MM. 13 luglio 2007, n. 172/E, 11 luglio
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2007, n. 164/E e 28 giugno 2007, n. 148/E), ovvero l’obbligazione di dare – rappresentata dalla cessione
– prevale su quella di fare, costituita dalla prestazione di servizi (R.M. 6 marzo 2015, n. 25/E).
Analogamente, il reverse charge non si applica alle prestazioni di servizi di pulizia, installazione di
impianti, demolizione e completamento relativo a beni mobili.
2.3. Nozione di “edificio”
L’art. 17, co. 6, lett. a-ter), del D.P.R. n. 633/1972 presuppone, ai fini dell’applicazione del reverse charge,
che la prestazione di servizi riguardi la pulizia, la demolizione, l’installazione di impianti o il completamento
relativi ad “edifici”. Questi ultimi, tuttavia, non sono puntualmente definiti in ambito Iva, costringendo
l’interprete a fare affidamento su altri parametri di valutazione: a questo proposito, secondo l’orientamento
dell’Agenzia delle Entrate, soccorre l’art. 2 del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192, che definisce l’edificio
come “un sistema costituito dalle strutture edilizie esterne che delimitano uno spazio di volume
definito, dalle strutture interne che ripartiscono detto volume e da tutti gli impianti e dispositivi
tecnologici che si trovano stabilmente al suo interno; la superficie esterna che delimita un edificio può
confinare con tutti o alcuni di questi elementi: l’ambiente esterno, il terreno, altri edifici; il termine può
riferirsi a un intero edificio ovvero a parti di edificio progettate o ristrutturate per essere utilizzate come
unità immobiliari a sé stanti”. Tale nozione è, infatti, coerente con i chiarimenti già forniti dalla R.M. 26
maggio 1998, n. 46/E, mediante la quale – riprendendo la Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici del
23 luglio 1960, n. 1820 – fu precisato che per “edificio e fabbricato si intende qualsiasi costruzione
coperta isolata da vie o da spazi vuoti, oppure separata da altre costruzioni mediante muri che si
elevano, senza soluzione di continuità, dalle fondamenta al tetto, che disponga di uno o più liberi accessi
sulla via, e possa avere una o più scale autonome”. In virtù di tale normativa e prassi, l’Amministrazione
Finanziaria – confermando, peraltro, quanto già sostenuto dalla dottrina – ritiene che il legislatore,
utilizzando il riferimento alla nozione di “edificio”, abbia sostanzialmente voluto limitare l’applicazione
dell’art. 17, co. 6, lett. a-ter), del D.P.R. n. 633/1972 ai “fabbricati”, come risultanti dalle suddette
fonti, e non alla più ampia categoria dei beni immobili. La C.M. n. 14/E/2015, par. 1.2 ha, inoltre,
precisato che tale disposizione deve intendersi riferita ai seguenti edifici:
• fabbricati abitativi e strumentali, compresi quelli di nuova costruzione, e parti di essi, come,
ad esempio, il singolo locale di un edificio;
• edifici in corso di costruzione, rientranti nella categoria catastale F3;
• “unità in corso di definizione”, comprese nella categoria catastale F4.
Conseguentemente, non rientrano nella nozione di edificio – e sono, quindi, escluse dall’applicazione
del reverse charge a norma dell’art. 17, co. 6, lett. a-ter), del D.P.R. n. 633/1972 – le prestazioni di servizi
di pulizia, demolizione, installazione di impianti e completamento aventi ad oggetto terreni, parti del
suolo, parcheggi, piscine e giardini, salvo che costituiscano un elemento integrante dell’edificio stesso,
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come nel caso delle piscine collocate sui terrazzi, dei giardini pensili o degli impianti fotovoltaici collocati
sui tetti.
2.4. Servizi di pulizia
L’Agenzia delle Entrate è, poi, entrata nel merito delle specifiche tipologie di prestazioni richiamate dall’art.
17, co. 6, lett. a-ter), del D.P.R. n. 633/1972, ai fini dell’obbligatoria applicazione del reverse charge, a
partire dai servizi di pulizia: in primo luogo, coerentemente con la formulazione letterale della disposizione,
è stato confermato che l’unica condizione richiesta per l’inversione contabile è rappresentata dalla
relazione di tali prestazioni con un edificio. È il caso, ad esempio, dei servizi di pulizia resi da
un’impresa nei confronti di società o di uno studio di professionisti (C.M. n. 14/E/2015, par. 1.3).
In tale sede, è stato altresì ribadito che tali prestazioni possono essere individuate sulla base delle attività,
classificate come servizi di pulizia, ricomprese nei codici attività della tabella Ateco 2007, purchè si tratti
di servizi di pulizia riferiti esclusivamente ad edifici:
• 81.21.00 – Pulizia generale (non specializzata) di edifici;
• 81.22.02 – Altre attività di pulizia specializzata di edifici e di impianti e macchinari industriali. Devono
intendersi escluse dall’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile le attività di pulizia
specializzata di impianti e macchinari industriali, in quanto non rientranti nella nozione di edifici.
2.5. Servizi di demolizione, installazione di impianti e completamento
L’Agenzia delle Entrate ritiene che il medesimo criterio di individuazione utilizzato per le prestazioni di
pulizia, fondato sulla classificazione del servizio nell’ambito delle attività economiche Ateco 2007, possa
essere impiegato anche per identificare le altre prestazioni previste dall’art. 17, co. 6, lett. a-ter), del D.P.R.
n. 633/1972. In particolare, la C.M. n. 14/E/2015, par. 1.4 ha segnalato che le attività di “demolizione,
installazione di impianti e completamento di edifici” sono espressamente menzionate dalle seguenti voci
della Tabella Ateco 2007:
Demolizione
• 43.11.00 – Demolizione
Installazione di impianti relativi ad edifici
• 43.21.01 – Installazione di impianti elettrici in edifici o in altre opere di costruzione (inclusa
manutenzione e riparazione)
• 43.21.02 – Installazione di impianti elettronici (inclusa manutenzione e riparazione)
• 43.22.01 – Installazione di impianti idraulici, di riscaldamento e di condizionamento dell’aria (inclusa
manutenzione e riparazione) in edifici o in altre opere di costruzione
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• 43.22.02 – Installazione di impianti per la distribuzione del gas (inclusa manutenzione e riparazione)
• 43.22.03 – Installazione di impianti di spegnimento antincendio (inclusi quelli integrati e la manutenzione e riparazione)
• 43.29.01 – Installazione, riparazione e manutenzione di ascensori e scale mobili
• 43.29.02 Lavori di isolamento termico, acustico o antivibrazioni
• 43.29.09 Altri lavori di costruzione e installazione n.c.a. (limitatamente alle prestazioni riferite ad edifici)
Completamento di edifici
L’Agenzia delle Entrate ritiene che tale termine sia utilizzato dal legislatore in modo “atecnico”, sul
presupposto che l’art. 3 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 non menziona la nozione di completamento, ma
fa riferimento ad interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo,
ristrutturazione edilizia, ecc. (contra Fondazione Nazionale dei Commercialisti, Circolare del 30 gennaio
2015, par. 3). La nozione di “completamento”, peraltro, non è rinvenibile neppure dalle fonti comunitarie
(Direttiva n. 2006/112/CE e Regolamento di esecuzione UE n. 1042/2013). A questo proposito, si osservi
che, secondo quando riportato nella descrizione del gruppo 43 della tabella Ateco 2007, i lavori di
completamento comprendono le attività che contribuiscono alla finitura di una costruzione: posa in opera
di vetrate, intonacatura, tinteggiatura, imbiancatura, lavori di rivestimento di muri e pavimenti o con altri
materiali (parquet, moquette, carta da parati, ecc.), levigatura di pavimenti, lavori di carpenteria per
finitura o di isolamento termico.
In tal senso, la C.M. n. 14/E/2015, par. 1.4 ritiene opportuno fare nuovamente affidamento alle
classificazioni Ateco 2007, e precisamente ai seguenti codici attività:
• 43.31.00 – Intonacatura e stuccatura;
• 43.32.01 – Posa in opera di casseforti, forzieri, porte blindate;
• 43.32.02 – Posa in opera di infissi, arredi, controsoffitti, pareti mobili e simili. La posa in opera di
“arredi” deve intendersi esclusa dall’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile, in quanto
non rientra nella nozione di completamento relativo ad edifici;
• 43.33.00 – Rivestimento di pavimenti e di muri;
• 43.34.00 – Tinteggiatura e posa in opera di vetri;
• 43.39.01 – Attività non specializzate di lavori edili – muratori (limitatamente alle prestazioni afferenti
gli edifici);
• 43.39.09 – Altri lavori di completamento e di finitura degli edifici n.c.a. “completamento di edifici”.
Alla luce di quanto riportato nel predetto elenco, l’Amministrazione Finanziaria ritiene che le prestazioni
consistenti nel rifacimento della facciata di un edificio possano ricomprendersi fra i servizi di
completamento, con conseguente assoggettamento al reverse charge, a norma dell’art. 17, co. 6,
lett. a-ter), del D.P.R. n. 633/1972. Diversamente, sono, naturalmente, escluse le prestazioni di servizi
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relative alla preparazione del cantiere (codice Ateco 43.12), in quanto non sono riferibili alla fase
del completamento, bensì a quella propedeutica della costruzione.
La C.M. n. 14/E/2015, par. 1.4 ha, inoltre affrontato la tematica dell’unico contratto, contenente alcune
prestazioni di servizi soggette al reverse charge, e altre escluse: è necessario procedere alla
scomposizione delle operazioni, individuando le singole prestazioni da assoggettare all’inversione contabile,
poiché tale meccanismo, in virtù della propria finalità antifrode, costituisce la regola prioritaria. In altri
termini, tali prestazioni devono essere distinte da quelle soggette ad Iva, in modo da procedere
correttamente alla fatturazione. È il caso, ad esempio, del contratto che prevede l’installazione di impianti,
unitamente allo svolgimento di altre generiche prestazioni di servizi non rientranti nel meccanismo
dell’inversione contabile: in tale circostanza, il prestatore deve, pertanto, scomporre le operazioni
oggetto del contratto, distinguendo le singole prestazioni soggette al reverse charge – ad esempio, il
servizio di installazione di impianti – da quelle comportanti l’applicazione dell’Iva secondo le regole
ordinarie. Tali indicazioni potrebbero risultare di difficile applicazione, in virtù della complessità delle
tipologie contrattuali riscontrabili nel settore edile, come nell’ipotesi del contratto unico di appalto –
comprensivo anche di prestazioni soggette al reverse charge, ai sensi dell’art. 17, co. 6, lett. a-ter), del
D.P.R. n. 633/1972 – avente ad oggetto la costruzione di un edificio ovvero interventi di restauro, di
risanamento conservativo e interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3, co. 1, lett. c) e d), del
D.P.R. n. 380/2001. Al ricorrere di tali ipotesi, l’Agenzia delle Entrate, in una logica di semplificazione
ritiene che – anche con riguardo alle prestazioni riconducibili all’art. 17, co. 6, lett. a-ter), del D.P.R. n.
633/1972 – trovino applicazione le regole ordinarie, e non il reverse charge. Conseguentemente,
in presenza di un contratto avente ad oggetto la ristrutturazione di un edificio in cui è prevista anche
l’installazione di uno o più impianti, non si dovrà procedere alla scomposizione del contratto, distinguendo
l’installazione di impianti dagli interventi, ma si applicherà l’Iva secondo le modalità ordinarie
all’intera fattispecie contrattuale. (C.M. n. 14/E/2015, par. 1.4).
3. Estensione del reverse charge al settore energetico
L’art. 1, co. 629, lett. a), della Legge n. 190/2014, come anticipato, ha stabilito alcune ipotesi di
obbligatoria applicazione del reverse charge nell’ambito del settore energetico, introducendo alcune
apposite fattispecie – applicabile temporaneamente, per un periodo di 4 anni, ovvero sino al 31
dicembre 2018 – nell’art. 17, co. 6, del D.P.R. n. 633/1972:
• lett. d-bis): trasferimenti di quote di emissioni di gas ad effetto serra definite dall’art. 3 della Direttiva
2003/87/CE, trasferibili ai sensi del successivo art. 12 della medesima Direttiva;
• lett. d-ter): trasferimenti di altre unità che possono essere utilizzate dai gestori per conformarsi alla
citata Direttiva 2003/87/CE, e di certificati relativi al gas e all’energia elettrica;
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• lett. d-quater): cessioni di gas ed energia elettrica ad un soggetto passivo-rivenditore ai sensi
dell’art. 7-bis, co. 3, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972, ovvero la cui attività principale è costituita dalla
rivendita di tali beni, ed il cui consumo personale è trascurabile.
Con riguardo alla prima novità, relativa all’obbligo di reverse charge per i trasferimenti di quote di
emissioni di gas a effetto serra di cui all’art. 3 della Direttiva n. 2003/87/CE (art. 17, co. 6, lett. d-bis),
del D.P.R. n. 633/1972), l’Agenzia delle Entrate si è limitata a ricordare che la predetta fonte comunitaria
ha istituito un sistema per lo scambio comunitario di tali quote, che permette agli Stati membri
dell’Unione Europea di adempiere agli obblighi di riduzione delle emissioni attraverso un meccanismo di
acquisto o di vendita di quote di emissione: le norme comunitarie in parola sono state recepite dall’Italia
con più atti legislativi, tra cui il D.Lgs. 4 aprile 2006, n. 216, e il D.Lgs. 13 marzo 2013, n. 30.
L’art. 17, co. 6, lett. d-ter), del D.P.R. n. 633/1972 ha, invece, stabilito l’obbligo di inversione
contabile per i trasferimenti di altre unità che possono essere utilizzate dai gestori per conformarsi alla
citata Direttiva n. 2003/87/CE e di certificati relativi al gas e all’energia elettrica: la disciplina interessa,
pertanto, anche i certificati che hanno finalità di incentivazione dell’efficienza energetica o della
produzione di energia da fonti rinnovabili, in conformità alle finalità e agli obiettivi della Direttiva n.
2003/87/CE, come, ad esempio (C.M. n. 14/E/2015, par. 2):
• i certificati verdi di cui al D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79;
• i titoli di efficienza energetica (c.d. certificati bianchi), introdotti con i Decreti Ministeriali del 20
luglio 2014, “gas” e “energia elettrica”, come modificati successivamente dal D.M. 21 dicembre 2007 e
dal D.M. 28 dicembre 2012;
• le garanzie di origine, inserite nel nostro ordinamento mediante il D.Lgs. 3 marzo 2011, n. 28 – a
recepimento della Direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili – con
l’esclusiva finalità di consentire ai fornitori di energia elettrica di provare ai clienti finali la quota o la
quantità di energia derivante da fonti rinnovabili nel proprio mix energetico.
In tale sede, l’Amministrazione Finanziaria ha precisato che tali titoli, in virtù della loro natura e della
relativa funzione svolta, devono essere qualificati come certificati collegati al settore dell’energia
elettrica e del gas, in quanto consentono agli operatori del settore di ottemperare agli obblighi relativi
al rispetto ambientale: è stato altresì chiarito che l’art. 17, co. 6, lett. d-ter), del D.P.R. n. 633/1972 si
applica anche alle unità di riduzione delle emissioni (ERU) e alle riduzioni certificate delle emissioni (CER).
L’ultima novità riguardante il settore energetico è rappresentata, come anticipato, dall’estensione –
prevista dall’art. 17, co. 6, d-quater), del D.P.R. n. 633/1972 – dell’obbligo di reverse charge alle cessioni
di gas e di energia elettrica al “soggetto passivo-rivenditore”, intendendosi per tale quello la cui principale
attività, in relazione all’acquisto di gas ed energia elettrica, è costituita dalla rivendita di tali beni, e il cui
consumo personale degli stessi è trascurabile (art. 7-bis, co. 3, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972). Sul punto,
l’Agenzia delle Entrate ha richiamato la precedente C.M. 23 dicembre 2004, n. 54/E, secondo cui – ai
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fini della individuazione, in capo al soggetto passivo-rivenditore, del requisito dell’acquisto e della rivendita,
in via principale, di gas e di elettricità – non è necessario avere riguardo al complesso delle attività svolte
dal soggetto interessato, ma bisogna esaminare il comportamento del soggetto in relazione ai singoli
acquisti di gas ed elettricità. In tale occasione, era stato osservato che non fa venir meno la qualificazione
di “rivenditore” la circostanza che una parte del prodotto acquistato possa essere destinato a sopperire
agli immediati bisogni del soggetto stesso, nell’ambito ovviamente dell’esercizio della sua attività
economica, a condizione che tale uso e consumo sia di trascurabile entità (C.M. n. 14/E/2015, par. 2).
Naturalmente, qualora il cessionario di gas ed energia elettrica non sia qualificabile, in base ai predetti
parametri, come “soggetto passivo-rivenditore”, l’Iva deve essere applicata secondo le regole ordinarie:
analogamente, l’art. 17, co. 6, lett. d-quater), del D.P.R. n. 633/1972 non è applicabile se le cessioni di
gas ed energia elettrica sono effettuate nei confronti di un consumatore finale.
L’Agenzia delle Entrate ha, inoltre, osservato che il generico riferimento della disposizione alle “cessioni di
gas” comporta l’esclusione dall’obbligo di reverse charge nel caso di cessioni aventi ad oggetto il Gas di
Petrolio Liquefatto (GPL), in quanto tale sostanza presenta caratteristiche più simili agli oli minerali che
non ai gas vettoriati tramite sistemi o reti di gas naturale: tale orientamento, a parere dell’Amministrazione
Finanziaria, è confermato dall’art. 199-bis, par. 1, lett. e), della Direttiva 2006/112/CE, secondo
cui l’inversione contabile è applicabile, tra l’altro, alle ”cessioni di gas e di energia elettrica a un soggetto
passivo-rivenditore ai sensi dell’articolo 38, paragrafo 2”. Quest’ultima disposizione – fedelmente recepita
dall’Italia nel citato art. 7-bis, co. 3, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972 – attribuisce la qualifica di
“rivenditore” al soggetto passivo la cui principale attività in relazione all’acquisto di gas, di energia elettrica,
di calore o di freddo è costituita dalla rivendita di tali prodotti e il cui consumo personale dei medesimi è
trascurabile: si consideri, inoltre, che tale definizione è dettata dall’art. 38, par. 1, della Direttiva Iva, per
la delimitazione del presupposto territoriale dell’imposta, relativamente alle cessioni di gas che avvengono
“attraverso un sistema del gas naturale situato nel territorio della Comunità o qualsiasi rete connessa a un
siffatto sistema”. Il predetto disposto consente, pertanto, di escludere l’applicazione del reverse
charge alle cessioni di GPL, in quanto le stesse non avvengono tramite un sistema di gas naturale o
reti connesse allo stesso.
4. Estensione del reverse charge alle cessioni di pallets
L’art. 1, co. 629, lett. d), della Legge n. 190/2014, come anticipato, ha modificato l’art. 74, co. 7, del
D.P.R. n. 633/1972, estendendo il meccanismo dell’inversione contabile alle cessioni – effettuate dal 1°
gennaio 2015, a norma dell’art. 6 del D.P.R. n. 633/1972 – di bancali in legno (pallets) recuperati ai cicli
di utilizzo successivi al primo. Sul punto, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che, a tale fine, non è richiesta
– come nel caso dei rottami – la condizione che i beni in questione (pallets) siano inutilizzabili rispetto alla
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loro originaria destinazione se non attraverso una fase di lavorazione e trasformazione, essendo sufficiente
che il pallet sia ceduto in un ciclo di utilizzo successivo al primo (C.M. n. 14/E/2015, par. 3). È stato,
inoltre, chiarito che con la locuzione “cicli di utilizzo successivi al primo” il legislatore ha inteso fare
riferimento a tutte le fasi successive alla prima immissione in commercio del pallet nuovo,
poiché il bene – essendo normalmente sottoposto a trasporto, magazzinaggio, selezione, ecc. – è di fatto
recuperato ad un ciclo di utilizzo successivo al primo: conseguentemente, tutte le fasi di rivendita
successive alla prima devono essere assoggettate al regime dell’inversione contabile.
5. Reverse charge e split payment
L’istituto della c.d. scissione dei pagamenti è stato anch’esso introdotto nel nostro ordinamento dalla Legge
n. 190/2014, prevedendo una disposizione specifica, rappresentata dall’art. 17-ter del D.P.R. n. 633/1972,
in base alla quale l’Iva è versata dal cliente (cessionario o committente), qualora sia relativa a cessioni
di beni o prestazioni di servizi – per le quali il cessionario o committente non sono debitori
d’imposta ai fini della disciplina Iva – effettuate nei confronti di uno dei seguenti soggetti:
• Stato oppure organi dello stesso, ancorché dotati di personalità giuridica, compresi, ad esempio, le
istituzioni scolastiche e quelle per l’alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM). Tali
soggetti, infatti, ancorché dotati di personalità giuridica, devono considerarsi a tutti gli effetti
amministrazioni statali, in quanto del tutto compenetrati nella organizzazione dello Stato in ragione di
specifici elementi distintivi (Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento della Ragioneria
Generale dello Stato, Circolare 20 marzo 2003, n. 16, e Avvocatura dello Stato, parere 5 febbraio 2001,
n. 14720);
• enti pubblici territoriali (Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane) e consorzi tra essi,
costituiti ai sensi dell’art. 31 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267. A questo proposito, l’Agenzia delle
Entrate ritiene che siano riconducibili in tale categoria anche gli altri enti locali indicati dall’art. 2 del
predetto Decreto, ovvero Comunità montane, Comunità isolane e Unioni di Comuni: si tratta,
infatti, di enti pubblici costituiti per l’esercizio associato di una pluralità di funzioni o di servizi comunali
in un determinato territorio, i quali, pertanto, in relazione ad essi, si sostituiscono agli stessi Comuni
associati (C.M. n. 1/E/2015, par. 1);
• camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, incluse le Unioni regionali delle stesse;
• istituti universitari;
• aziende sanitarie locali, compresi gli enti pubblici appositamente costituiti per il subentro, in luogo
dei soggetti del servizio sanitario nazionale, nell’esercizio di una pluralità di funzioni amministrative e
tecniche, come l’approvvigionamento di beni e servizi;
• enti ospedalieri, ad eccezione degli enti ecclesiastici che esercitano assistenza ospedaliera, i quali,
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ancorché dotati di personalità giuridica, operano in regime di diritto privato;
• enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico (IRCCS);
• enti pubblici di assistenza e beneficenza, ovvero Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficienza
(IPAB) ed Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona (ASP);
• enti pubblici di previdenza (Inps e fondi pubblici di previdenza).
Il meccanismo della scissione dei pagamenti si applica alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi di
cui agli artt. 2 e 3 del D.P.R. n. 633/1972 effettuate, nel territorio dello Stato, nei confronti delle predette
pubbliche amministrazioni, documentate mediante fattura emessa dai fornitori, ai sensi dell’art. 21 del
D.P.R. n. 633/1972. Tali operazioni, peraltro, sono soggette allo split payment soltanto qualora “il
corrispettivo sia stato pagato dopo il 1° gennaio 2015 e sempre che le stesse non siano state già
fatturate anteriormente alla predetta data” (C.M. 9 febbraio 2015, n. 1/E).
In presenza dei suddetti presupposti, trova, pertanto, applicazione la predetta scissione dei pagamenti,
consistente in una speciale modalità di versamento dell’Iva – direttamente da parte dell’ente pubblico
cessionario o committente, che eroga, pertanto, al fornitore del bene o del servizio il corrispettivo pattuito
al netto dell’imposta sul valore aggiunto – in relazione alle operazioni effettuate nei confronti dei suddetti
soggetti pubblici, per le ipotesi in cui questi ultimi non risultino essere debitori di imposta. Lo split payment,
quindi, non è prospettabile nel caso in cui l’ente pubblico cessionario o committente, in qualità di
soggetto passivo Iva, debba applicare il reverse charge. La C.M. n. 14/E/2015, par. 4 ha, inoltre, precisato
che i servizi in commento resi alla Pubblica Amministrazione, soggetti al meccanismo dell’inversione
contabile, sono esclusivamente quelli che vengono acquistati da quest’ultima nell’esercizio della propria
attività economica.
Il versamento dell’Iva, da parte dell’ente pubblico cessionario o committente, deve essere effettuato
secondo le modalità e i termini fissati dal D.M. 23 gennaio 2015.
6. Consorzi
L’Agenzia delle Entrate ha altresì affrontato la peculiare ipotesi in cui intervengano organismi di natura
associativa, richiamando la C.M. 4 aprile 2007, n. 19/E, in virtù della quale le prestazioni rese dai
consorziati al consorzio assumono la medesima valenza delle prestazioni rese dal consorzio ai terzi, in
analogia con quanto previsto dall’art. 3, co. 3, del D.P.R. n. 633/1972, con riferimento al mandato senza
rappresentanza. Conseguentemente, qualora il consorzio agisca sulla base di un contratto assoggettabile
alla disciplina del reverse charge, tale modalità di fatturazione – esplicando i propri effetti anche nei
rapporti interni – è applicabile anche dalle società consorziate per le prestazioni rese al consorzio: tale
orientamento deve, pertanto, ritenersi applicabile a tutte le fattispecie soggette al meccanismo
dell’inversione contabile, comprese quelle introdotte dall’art. 1, co. 629, 631 e 632, della Legge n.
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190/2014, oggetto della presente Circolare.
7. Reverse charge e Iva per cassa
L’art. 32-bis del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 riconosce la possibilità di optare per il differimento
dell’esigibilità dell’Iva, limitatamente ai soggetti passivi che, nell’anno solare precedente hanno realizzato
un volume d’affari non superiore a 2 milioni di euro, ed effettuano cessioni di beni e prestazioni di servizi
“B2B”. Conseguentemente, tale regime non può essere applicato dal cedente o prestatore di
operazioni soggette al reverse charge, in quanto il soggetto tenuto al versamento dell’imposta a
debito è colui che ha ricevuto il bene o il servizio (C.M. 26 novembre 2012, n. 44/E): in altri termini,
non può più applicare il regime dell’Iva per cassa il soggetto passivo che vi abbia optato, ponendo, poi, in
essere – dal 1° gennaio 2015 – operazioni che, in virtù delle novità introdotte dalla Legge n. 190/2014,
rientrano nell’obbligo di inversione contabile (C.M. n. 14/E/2015, par. 6). Fermo restando che le
operazioni effettuate, a norma dell’art. 6 del D.P.R. n. 633/1972, sino al 31 dicembre 2014
rimangono soggette al regime dell’Iva per cassa, ancorché dal 1° gennaio 2015 siano divenute soggette
al reverse charge.
8. Reverse charge e nuovo regime forfetario
I contribuenti che applicano il nuovo regime forfetario previsto dall’art. 1, co. 54-89, della Legge n.
190/2014 sono esonerati dal versamento dell’imposta e da tutti gli altri obblighi previsti dal D.P.R. n.
633/1972, ad eccezione degli obblighi di numerazione e conservazione delle fatture di acquisto e delle
bollette doganali, di certificazione dei corrispettivi e conservazione dei relativi documenti. Per tali soggetti
rimane, quindi, obbligatoria l’emissione della fattura – senza addebito dell’Iva a titolo di rivalsa – che dovrà
riportare l’annotazione “operazione in franchigia da Iva”, con l’indicazione del riferimento normativo:
conseguentemente, sulle fatture d’acquisto non potrà essere esercitato il diritto alla detrazione dell’Iva.
Non trova neppure applicazione il reverse charge, in relazione alle cessioni di beni e prestazioni di
servizi effettuati dai soggetti che applicano il regime forfetario (C.M. n. 14/E/2015, par. 7), come già
chiarito in passato dall’Agenzia delle Entrate, con la C.M. n. 37/E/2006: diversamente, per gli acquisti
di beni e servizi soggetti all’applicazione del reverse charge, il contribuente agevolato deve assolvere
l’Iva, mediante l’inversione contabile, e procedere al versamento dell’imposta a debito, non potendo
esercitare la detrazione.
I suddetti principi devono ritenersi validi anche per i soggetti aderenti al regime dei nuovi contribuenti
minimi (art. 27, co. 1 e 2, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98), la cui proroga è stata disposta dall’art. 10, co.
12-undecies, del D.L. 31 dicembre 2014, n. 192.
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9. Acquisti di servizi promiscui dell’ente non commerciale
Nel caso in cui il committente sia un ente non commerciale e acquisti un servizio destinato soltanto in
parte all’esercizio della propria attività commerciale e, quindi, per la restante quota al fine dello svolgimento
dell’attività istituzionale, le modalità di applicazione del tributo devono essere individuate sulla base
di criteri oggettivi. In particolare, per distinguere la quota di servizi da imputare alla gestione
commerciale dell’ente, assoggettabile al reverse charge, occorre considerare, ad esempio, gli accordi
contrattuali tra le parti, l’entità del corrispettivo pattuito e il carattere dimensionale degli edifici
interessati (C.M. n. 14/E/2015, par. 8).
Esempio
Un’associazione culturale acquista, al costo di euro 10.000, un servizio di pulizia dei propri locali, costituiti
da una superficie di mq 400, di cui mq 30 destinati all’esercizio di attività commerciali – si supponga
un bar – e i restanti mq 370 adibiti allo svolgimento della propria attività istituzionale non commerciale.
La superficie del locale riservato all’attività commerciale (mq 30) rappresenta, pertanto, il 7,50% del
totale (mq 400): lo spazio adibito all’attività istituzionale è, pertanto, pari al 92,50% dell’area oggetto del
contratto.
I predetti coefficienti possono, quindi, essere utilizzati – a parere dell’Amministrazione Finanziaria – come
parametri oggettivi per stimare la quota di corrispettivo del servizio di pulizia imputabile alle due tipologie
di attività:
• commerciale: euro 10.000 * 7,50% = euro 750
• istituzionale: euro 10.000 * 92,50% = euro 9.250
Analogamente, in presenza di un unico corrispettivo riferibile ad un contratto, comprensivo di
servizi, alcuni dei quali soggetti al reverse charge e altri soggetti all’applicazione dell’Iva nelle modalità
ordinarie, si dovrà procedere ad individuare – sempre sulla base di criteri oggettivi – la parte di corrispettivo
relativa ai servizi rientranti nell’inversione contabile e la quota riguardante le prestazioni soggette all’Iva
secondo le regole ordinarie.
Il predetto orientamento dell’Agenzia delle Entrate è stato, peraltro, criticato dalla Fondazione
Nazionale dei Commercialisti, con la Circolare del 31 marzo 2015, par. 5, in quanto l’adozione di
un criterio di fatturazione “pro-quota” renderebbe pressoché impossibile per i fornitori degli enti non
commerciali operare nella certezza di aver correttamente applicato il reverse charge: i parametri per
un’oggettiva imputazione percentuale del servizio acquistato ad uso promiscuo, da parte dell’ente non
commerciale, spesso non sono conosciuti dal fornitore, che si trova, pertanto, costretto a fidarsi dei
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valori indicatigli dal committente.
10. Utilizzo del plafond
L’Agenzia delle Entrate ha affrontato anche il caso particolare della dichiarazione d’intento inviata
dall’esportatore abituale per effettuare acquisti senza applicazione dell’Iva (art. 8, co. 1, lett. c), del D.P.R.
n. 633/1972), con riferimento ad operazioni soggette al reverse charge, a norma dell’art. 17, co. 6,
del D.P.R. n. 633/1972: al ricorrere di tale ipotesi, trova applicazione il meccanismo dell’inversione
contabile, in quanto – in virtù della propria finalità antifrode – costituisce la regola prioritaria. Il cedente
o prestatore dovrà, quindi, procedere all’emissione della fattura, ai sensi dell’art. 17, co. 6, del D.P.R.
n. 633/1972 – e non del precedente art. 8, co. 1, lett. c), del Decreto Iva – con l’effetto che non potrà
essere utilizzato il plafond (C.M. n. 14/E/2015, par. 9).
Diversamente, qualora l’esportatore abituale riceva una fattura dal proprio fornitore che non consenta
di scindere agevolmente – anche per ragioni di formulazione del contratto – la parte soggetta al reverse
charge, e quella all’applicazione dell’Iva secondo le regole ordinarie, è necessario procedere alla
scomposizione delle operazioni, individuando le singole prestazioni assoggettabili all’inversione contabile
(demolizione, installazione di impianti, opere di completamento, ecc.), che costituisce, come anticipato, la
regola prioritaria.
11. Clausola di salvaguardia
L’Agenzia delle Entrate ha, infine, precisato che – in considerazione della circostanza che le novità
introdotte dalla Legge n. 190/2014 in materia di reverse charge, come anticipato, sono applicabili alle
operazioni effettuate dal 1° gennaio 2015 e che, in assenza di chiarimenti, le stesse potevano presentare
profili di incertezza (art. 6, co. 2, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472), nonché in ossequio ai principi
dello Statuto del contribuente (art. 10 della Legge 27 luglio 2000, n. 212) – sono fatti salvi eventuali
comportamenti difformi adottati dai soggetti passivi Iva, anteriormente al 27 marzo 2015, con conseguente
mancata applicazione di sanzioni.
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