TERZA DI PASQUA 19.4.2015 1. SACRA PAGINA Dagli Atti degli Apostoli 3,13-15.17-19 In quei giorni, Pietro disse al popolo: 13«Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; 14voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino. 15Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni. 17Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi. 18Ma Dio ha così compiuto ciò che aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo doveva soffrire. 19Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati». Parola di Dio Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto. Sal 4 Quando t’invoco, rispondimi, Dio della mia giustizia! Nell’angoscia mi hai dato sollievo; pietà di me, ascolta la mia preghiera. Sappiatelo: il Signore fa prodigi per il suo fedele; il Signore mi ascolta quando lo invoco. Molti dicono: «Chi ci farà vedere il bene, se da noi, Signore, è fuggita la luce del tuo volto?». In pace mi corico e subito mi addormento, perché tu solo, Signore, fiducioso mi fai riposare. Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo 2,1-5 1Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. 2È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo. 3Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. 4Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità. 5Chi invece osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto. Parola di Dio 1 Alleluia, alleluia. Signore Gesù, facci comprendere le Scritture; arde il nostro cuore mentre ci parli. (Lc 24,32) Dal Vangelo secondo Luca 24,35-48 In quel tempo, 35[i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane. 36Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 37Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. 38Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». 40Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». 42Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; 43egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. 44Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». 45Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: 46«Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni». Parola del Signore 2. LECTIO Un motivo conduttore guida la scelta dei testi biblici di questa domenica: il messaggio pasquale di salvezza in rapporto particolare con la conversione e il perdono dei peccati. Gesù risorto appare ai discepoli turbati, si fa riconoscere e affida loro la missione di testimoni della salvezza per tutte le genti (vangelo+versetto alleluiatico). Dio è stato fedele al suo piano nonostante l’incoerenza del suo popolo (Israele): questi è invitato a pentirsi per la remissione dei peccati (1a lettura) e il fedele si augura da Dio una testimonianza trasparente (salmo responsoriale). Il credente conosce il peccato ma anche il perdono in Gesù Cristo per una vita nuova (2a lettura). 2 a/ LE APPARIZIONI DEL RISORTO Il passo evangelico odierno (Lc 24,35-48) è parte dell’ultimo capitolo del III vangelo in cui sono presentati le donne e Pietro al sepolcro aperto (vv. 1-12), i discepoli di Emmaus (vv. 13-36), l’apparizione agli Undici e agli altri (vv. 37-49) e l’ascensione (vv. 50-61). Nell’arco di tempo di una giornata («il primo giorno dopo il sabato», v. 1, è il giorno della Pasqua cristiana) vengono esposti i fatti relativi alla risurrezione di Gesù. I vv. 35-48 (3a lettura) formano una pericope un pò artificiale: si parte dal v. 35 (la conclusione del racconto dei discepoli di Emmaus) per individuare il primo soggetto del v. 36; si omette il v. 49 (il dono dello Spirito) per non cadere nel messaggio della Pentecoste; si focalizza l’attenzione sull’apparizione (vv. 3643) e sulla missione (vv. 44-48). L’apparizione del Risorto alla prima chiesa (vv. 36-43; cf v. 33 “gli Undici e gli altri”, cioè la comunità strutturata) si svolge secondo lo schema comune delle cristofanie: Gesù viene di sua iniziativa e saluta con l’affermazione/augurio della salvezza compiuta (= «pace a voi»); i discepoli sono turbati/impauriti per la sorpresa di trovarsi davanti a un evento/personaggio più grande di loro; Gesù li rassicura indirizzando loro la sua parola; essi dubitano della vera identità e della presenza fisica di Gesù, che si fa allora riconoscere coi segni della crocifissione e anche nel mangiare del loro pesce arrostito. E allo stupore-paura succede lo stupore-gioia. Questo racconto, così vivo e concreto, ha uno scopo pedagogicoapologetico e teologico insieme: mostrare (più che di-mostrare) la concretezza e densità della presenza comunicativa di Gesù nella chiesa dopo la (e grazie alla) sua risurrezione, grazie al suo corpo glorioso. Tale concretezza narrativa, pertinente in una polemica antidocetica, potrebbe disorientare, cioè far immaginare il corpo risorto come un corpo rianimato (cf la figlia di Giairo, 8,55), materializzandolo al punto da far dimenticare la diversità rispetto al nostro corpo attuale (cf vv. 36.51: il corpo risorto appare improvvisamente e si eleva in alto; v. 44: si distingue tra un prima e un poi). Le apparizioni sono il segno-conseguenza della risurrezione: senza che sbiadisca minimamente la densità della sua identità personale, Gesù risorto detiene la possibilità di comunicazione salvifica concreta. È ciò che, grazie a lui, speriamo anche per il nostro corpo risorto: che non sia più un limite ma un dono 3 per il comunicare salvifico, per le espressioni di vita-amore reciproche. b/ ISTRUZIONE E MISSIONE DEI PRIMI DISCEPOLI Dopo aver parlato dei segni della risurrezione di Gesù (la tomba aperta/vuota e le apparizioni), nella seconda parte dell’odierno brano evangelico (vv. 44-48) Luca parla del «fatto» stesso della risurrezione, senza descriverlo direttamente (perché di esso nessuno è stato spettatore!), ma riferendo al riguardo le parole della Scrittura (e di Gesù stesso). Gesù ricorda ai primi discepoli ciò che aveva detto loro durante la sua vita terrestre (cf 9,22; 18,31-33; 24,25-27): tutta la Scrittura ebraica (= l’AT dei cristiani) nelle sue tre parti (Legge, Profeti, Salmi/Scritti, v. 44) ha presentato e giustificato il mistero di Gesù Cristo; la risurrezione di Gesù è così ancorata nella Scrittura, in Dio. Anzi, la stessa predicazione, a tutti i popoli (cf Is 49,6; Mt 28,1920 par.) partendo dai Giudei (cf Is 2,2ss; Mi 4,1ss; Gv 4,22), della conversione e del perdono dei peccati è parte del disegno divino: è la “buona notizia” dell’avvenuta e possibile riconciliazione e pace di Dio con gli uomini tutti, in Gesù Cristo. Di questa amicizia la chiesa sarà testimone in tutto il mondo: questa è la missione che la chiesa ha ricevuto da Gesù risorto, la continuazione della sua stessa missione. La “buona novella” viene espressa con due termini coordinati e nell’ordine dato: “La conversione e il perdono dei peccati” (v. 47). Quale debba essere il valore della “e” (per, quindi, cioè) non è facile dirlo. In ogni caso è già significativa la successione. Il contesto kerigmatico del brano consiglia di leggervi la conversione di Dio (dall’ira alla misericordia) in Gesù Cristo o il cambiamento operato nel credente dal perdono dei peccati, dall’annuncio grazioso e sorprendente di un dono (e non dall’impegno di una scalata moralistica). Il “fatto” della risurrezione di Gesù è così inseparabilmente legato al suo «senso»: si tratta di un “fatto di fede”, di un fatto cristico ed ecclesiale (cioè universale, “cattolico”), di una testimonianza (cioè un fatto da mostrare in una missione da realizzare). c/ LA FEDELTÀ DI DIO E L’INFEDELTÀ DEL POPOLO La 1a lettura (At 3,13-15.17-19) è tratta dal discorso di Pietro (3,11-26) a “uomini d’Israele” (v. 12), cioè a un gruppo di Giudei che erano rimasti stupiti 4 dalla guarigione dello storpio (3,1-10). La struttura del discorso non è così lineare come altrove negli Atti, ma trasparente ne è la tematica: il rapporto tra il giudaismo e il cristianesimo, tra la sinagoga e la chiesa. È ciò che nella sua essenzialità recepisce la pericope liturgica, la quale lascia cadere i richiami diretti al racconto di guarigione (vv. 12 e 16). I vv. 13-15 iniziano con una composizione di due testi dell’AT (Es 3,6.15 e Is 52,13), che vengono applicati a Gesù per affermare/annunciare che la redenzione/liberazione d’Israele da parte di Yhwh si è realizzata nella morterisurrezione di Gesù. A proposito, Pietro evidenzia il contrasto tra il comportamento di Dio e quello dei Giudei con un mirabile intreccio di opposizioni, con lo scopo - apologetico e missionario insieme - di mostrare l’incoerenza-peccato dei Giudei: Dio glorifica, libera, risuscita Gesù; i Giudei, suo popolo, denunciano, rinnegano, uccidono Gesù (graziano un assassinio e ammazzano l’autore della vita). Sono pure da notare i titoli di origine veterotestamentaria attribuiti a Gesù per sottolineare il suo particolare rapporto con Dio: vi si intravede il primo tentativo di una riflessione cristologico-salvifica. Gesù “il servo (di Dio)” (vv. 13) rimanda al Deuteroisaia (Is 52,13; 53,10-12): è il servo glorificato da Dio perché solidale col popolo e fedele a Dio fino alla morte. Gesù “il Santo” (v. 14) richiama una prerogativa tipica del mistero di Dio, la sua distanza-diversità-esemplarità rispetto all’uomo (cf Is 6,3; Lv 19,2; 1Pt 1,15; 1Cor 1,2). Gesù “il Giusto” (v. 14) riprende un titolo messianico dell’AT e del giudaismo (cf Is 53,11; Enoc 38,2; 53,6). Gesù “l’autore della vita” (v. 15) o “il principe/capo/re della vita” è come il nuovo Mosè (cf 3,22 e 7,27.35) che attraverso la sua morte-risurrezione libera/salva i credenti in lui donando loro la libertà e la vita, guidandoli verso una vita libera e nuova. Nei vv. 17-19 Pietro passa alla parenesi. Sembra (v. 17) mostrarsi comprensivo verso gli uditori Giudei (popolo e capi); in realtà li accusa di essere ignoranti delle Scritture e quindi colpevoli di infedeltà al piano salvifico di Dio. Ma (v. 18) Dio non è stato messo in scacco e ha compiuto le sue promesse proprio attraverso la morte di Gesù che essi hanno causato: si noti la forza del “così”, in greco messo alla fine della frase. Dalla morte di Gesù scaturisce (v. 19), come possibilità e impegno per tutti, il ravvedersi e il ritornare su se stessi (= verso Dio), di modo che siano cancellati (da Dio) i propri peccati: sono le tre fasi del 5 processo “negativo” della salvezza; il positivo è la vita “interrotta” che riprende nel suo rigoglio creativo. d/ IL CREDENTE È UN TESTIMONE Il Sal 4 è un canto di attestazione ed esortazione alla fiducia in Dio. L’uso liturgico lascia cadere i vv. 3, 5 e 8 per sostare forse sulle espressioni più positive, intercalandole col v. 7b quale ritornello. La prima strofa (v. 2) è una invocazione (certa dell’esaudimento) a Dio salvatore, affinché faccia giustizia e liberi il fedele dalle strettoie della vita, esaudendone la preghiera («hai liberato» è un perfetto precativo: esprime/anticipa l’intervento futuro di Dio). La seconda strofa (vv. 7.9) si apre con una domanda globale di senso di vita: “Chi ci mostrerà ciò che è bene?”, e risponde subito in forma invocativa che è solo il Signore che può donare la luce/salvezza per l’uomo. In effetti (v. 9), il salmista può testimoniare (con verità perché per esperienza) la felicità-serenità (= pace) della vita: per lui riposo sicuro è il Signore. Nel contesto cristiano questa gioia salvifica è prima di tutto quella di Gesù: è lui il primo “uomo nuovo”. E in lui e di lui tutti i cristiani sono testimoni per il bene loro e degli altri (cf At 3,15). Il tutto vissuto come dono, nell’invocazione del ritornello. e/ PECCATO, PERDONO, VITA La delimitazione del testo della 2a lettura (vv. 1-5a) è stata dettata dalla tematica liturgica odierna, che ruota attorno al rapporto tra il peccato dell’uomo e la salvezza in Cristo. L’autore apre il suo discorso rivolgendosi affettuosamente ai destinatari come a suoi “figlioli” (v. 1), cioè a persone che godono di un riferimento particolare a lui nella fede; forse si tratta del loro evangelizzatore, il fondatore della loro comunità. Ebbene, a loro - cui sta parlando del loro peccato, 1,10 ricorda in forma di parentesi che lo scopo vero del suo discorso è di portarli a “non peccare”. In ogni caso, anche se essi hanno peccato, hanno la fortuna di possedere un “Paraclito”: tipico termine giovanneo (cf Gv 14,16; in particolare attribuito allo Spirito, ma anche indirettamente al Gesù terrestre, 14,16) che potrebbe essere tradotto con “intercessore o/e “avvocato difensore”. Nel nostro testo si tratta di Gesù vivente presso il Padre. Egli, per la sua 6 qualità di “giusto”, (= senza peccato, cf Sap 18,21; Eb 9,14), può perorare la causa di perdono a favore dei cristiani-peccatori, che come lui restano figli dello stesso Padre. Questa mediazione di Cristo è radicata nell’opera di redenzione da lui attuata con la sua morte e risurrezione (v. 2): un’opera di perdono (hilasmós = propiziazione, espiazione; il termine è qui riferito come titolo al Cristo per quanto ha fatto per gli uomini e che lo rende gradito a Dio) che esprime al massimo il dono salvifico nella sua gratuità e universalità. Con i vv. 3-5a si prospetta piuttosto la dimensione positiva della vita cristiana. Il vocabolario è quello di tipo (anti) gnostico-sapienziale: conoscere = amare; menzogna/verità = non osservare/osservare i comandamenti di Dio. Così il vero criterio di vita cristiana non è attestazione astratta e teorica, ma l’attualizzazione fattiva e concreta della parola di Dio; non una consapevolezza interiore e statica, ma l’osservanza dei comandamenti divini. Alla ricezione del dono del perdono/salvezza di Gesù Cristo corrisponde (deve corrispondere, per coerenza e concretezza) la risposta esigente dell’uomo che mette in atto le implicanze legate al dono. Nel fare di Dio scaturisce il fare dell’uomo: appunto, l’”amore di Dio”, cioè di Dio verso l’uomo (genitivo soggettivo) e dell’uomo verso Dio (genitivo oggettivo). Ed è in questo circolo completo che sta la perfezione, la pienezza di vita cristiana: l’amore concreto e fattivo di Dio e del credente, grazie alla testimonianza umana del Cristo. 3. MEDITATIO a/ “PERCHÉ SIETE TURBATI?” Di fronte ad un assassinio (non passa giorno che non ci arrivi questa amara notizia) le reazioni più vive e profonde sono due. La prima è una reazione di sconforto, quasi di impotenza. E se ne cercano i segni sul volto e nelle parole innanzitutto degli altri per sentirsi poi contagiati e giustificati a nostra volta. L’altra reazione è quella che si esprime nella volontà di resistere, di opporre alla violenza del male la ragione del bene. R. Guardini, in un suo bel saggio, dice che queste due reazioni insieme compongono il ritratto della malinconia: “Ciò che noi chiamiamo vita non è affatto una cosa univoca, a significato unico. Ciò che noi chiamiamo vita è piuttosto dominato da una coppia di impulsi fondamentali ed opposti; il primo, una volontà di esistere, di 7 affermarsi, di svilupparsi, di elevarsi; il secondo, una volontà di togliersi di mezzo, di perire” (“Ritratto della malinconia”, in Pensatori religiosi, p. 93). Reazione di sconforto per cui “non c’è nulla per cui valga la pena di esistere [...], che sia degno che noi ce ne occupiamo” da una parte; e dall’altra il sentimento profondo e vivo, mortificato ma non vinto, di quanto la vita sia piena di significato, di ricchezza e di bellezza per cui “vale la pena di resistere”. Sarebbero questi i tratti dell’uomo malinconico”. Non è da escludere che questi tratti componessero lo stato d’animo dei discepoli di Gesù all’indomani della sua morte violenta. Ne danno testimonianza quanto mai esplicata i due discepoli di Emmaus in fuga dalla città: “Speravamo che fosse lui a liberare Israele...” (Lc 24,21). Il dubbio sulla efficacia liberante del vangelo di Gesù non alimentava solo la malinconia dei due discepoli di Emmaus, ma anche quella degli apostoli, di Pietro e di Giovanni. Non è da escludere che possa continuare ad alimentare quella dei discepoli venuti dopo, anche ai nostri giorni. Ma, come allora anche oggi, al superamento (ma forse è meglio dire alla “conversione”) di questa radicale malinconia del discepolo è teso il messaggio di Pasqua. Proviamo a fissare insieme alcuni aspetti di questa “conversione” pasquale del cristiano dalla malinconia alla gioia. b/ CONVERSIONE COME “CONOSCENZA DI SÉ” Un primo aspetto di questa “conversione” si chiama “conoscenza di sé”. Fare Pasqua è innanzitutto il cammino di chi impara a conoscersi, a ritrovarsi, a non sfuggire a se stesso: “l’arte di ritrovarsi” (Paolo VI). “Strani questi uomini - scriveva sant’Agostino all’indomani della sua conversione -: girano il mondo per ammirare le vette dei monti, scandagliare gli abissi del mare [...] e trascurano se stessi, non conoscono se stessi”. (Confessioni, X, 8,16) Conoscersi, scoprirsi per quello che si è, trovare il nostro vero volto, alla luce di Dio: è questo il primo passo di chi vuol fare Pasqua. Conoscersi alla luce di Dio significa conoscersi alla luce della croce, che del mistero di Dio è rivelazione suprema. È quanto esorta a fare l’apostolo Pietro rivolgendosi al popolo: “Il Dio di 8 Abramo, di Israele e di Giacobbe [...] ha glorificato il suo servo Gesù che voi avete consegnato e rinnegato [...]. Pentitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati” (1a lettura, vv. 13.19). La croce di Cristo invita gli uomini innanzi tutto a spogliarsi della toga di giudici universali, ad essi non adatta. Invita gli uomini ad aprire gli occhi sul loro personale peccato, sulla loro personale complicità nei confronti dell’ingiustizia pubblica. Invita gli uomini a pentirsi davanti a Dio. Era questo - se ci si pensa bene - il significato di quel gesto sacramentale della confessione a cui invitava la Pasqua. Confessarci davanti a Dio nella chiesa è appunto quest’arte di conoscerci, di ritrovare la verità di noi stessi, a partire da quella dei nostri stessi errori. c/ CONVERSIONE COME RITORNO ALLA SPERANZA L’altro aspetto per cui la Pasqua è luce di conversione si chiama “conoscenza del proprio destino”. In un romanzo di Ferruccio Parazzoli compare questa osservazione: “Perché nessuno scrive sui muri di tutte le strade che il nostro corpo, proprio questo corpo dalla testa ai piedi, ritornerà?”. L’insistenza di questo aspetto è evidente nei vangeli, in particolare nel vangelo di oggi, scritto non sui muri ma riflesso nell’animo dei discepoli “stupiti e spaventati” di fronte al Signore risorto “credendo di vedere un fantasma”. “Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne ed ossa come vedete che io ho!” (vv. 35-37). Dunque ha ragione un teologo che dice: “Custodite la parola risurrezione! Non scambiatela con nessun’altra! Non con sopravvivenza, non con immortalità, non con trasformazione, neanche con progresso, non con riforma, neppure con rivoluzione. Custodite la parola risurrezione, anche se supera, come supera, ogni vostra capacità di immaginazione” (Paolo Ricca) Paradossalmente si può dire che è dalla risurrezione che scaturisce il principio della nostra identità e responsabilità nei confronti della stessa vita presente. Gioia e dolore non si comprendono se non proiettati in questa dimensione. 9 E viceversa l’ignoranza, più o meno colpevole, di questo esito della nostra vita non può che essere una delle radici dell’attuale violenza. Perché essa è così diffusa, oggi? In una lettera mandata a “La Repubblica” un’eroinomane ha scritto: “Ormai non spero più di riuscire a vivere come vorrei, e allora, per lo meno, vorrei morire come mi pare”. L’istinto di morte, quando non agisce all’esterno sugli altri (violenza) opera la sua disgregazione nel soggetto, dall’interno su di sé (disperazione). In questa situazione noi credenti abbiamo una grande responsabilità. Siamo comandati a sperare. Ce lo ricorda l’apostolo Pietro: “Dovete essere sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15). E per questo abbiamo pregato all’inizio di questa assemblea: “Esulti sempre il tuo popolo, o Padre, per la rinnovata giovinezza dello Spirito, e come ora si allieta per il dono della dignità filiale, così pregusti nella speranza il giorno glorioso della Risurrezione,” (“colletta”). COLLATIO 1/ Si faccia innanzitutto attenzione al ritorno dei due discepoli da Emmaus dopo l’incontro con il Signore risorto. Anche questo ritorno può essere qualificato come un cammino di conversione, come quello del figlio prodigo, di Agostino nelle Confessioni, di Charles de Foucauld quando, in cerca dell’abbé Huvelin, capita nella chiesa di S. Sévérin a Parigi. 2/ Ma poi al cuore del cammino di conversione sta la buona notizia. È questa la notizia o annuncio del perdono che ha sorpreso i discepoli al loro rientro. Ha sorpreso anche Charles de Foucauld quando, trovato il prete che cercava - con il quale pensava innanzitutto di discutere i suoi dubbi -, si sente dire: “Prima cosa, inginocchiati e confessati”. “Confessarsi” è questo rientrare in se stessi, imparare a conoscersi per quello che si è. Non è tuttavia un avvilupparsi incupiti e rattristati su di sé e sul proprio passato, ma un ritrovare gioiosi e liberi le ragioni ideali del vivere, riprendendo in positivo il cammino della speranza. 3/ Verso quale speranza? Che cosa sono io? Che cosa valgo? Che cosa conto se penso alla folla incalcolabile di uomini che sono venuti prima di me e verranno dopo? Sono questi alcuni interrogativi che l’attuale società rende più 10 acuti con i suoi caratteri di burocratizzazione, robotizzazione, anonimato. Problema angoscioso questo della difesa della propria identità che viene vissuto oggi in forme nevrotiche. “Sono proprio io! - assicura il Risorto -. Toccatemi e guardate! Un fantasma non ha carne ed ossa come vedete che io ho” (v. 39). In questa luce il cammino della nostra vita non procede verso il vuoto, il nulla o il gran grembo della materia dove tutto è smemoratezza e incoscienza, bensì verso Qualcuno. 4. ORATIO a/ “RISPLENDA SU DI NOI LA LUCE DEL TUO VOLTO” “Toccatemi e guardate: sono proprio io!” (Lc 24,39). - “Sulla realtà del suo corpo, cosa c’è di più chiaro?... Volendo essere creduto così come lo avevano ritenuto, confermava di essere quello che essi avevano pensato, cioè il Cristo del creatore, il redentore di Israele” (Tertulliano, Contro Marc. IV,43,6.5). - La gioia di vederti ci impedisce di riconoscerti: Signore Gesù, manifestati, vieni e guarisci la nostra cecità. - Tu che hai detto: “Io sono la luce del mondo” (Gv 8,12): facci comprendere le Scritture; arde il nostro cuore mentre ci parli (cf Lc 24,32). - “Tu che fai splendere il volto del sole sui buoni e sui malvagi, fa risplendere il tuo volto su di noi, fa sì che quanto ci era nascosto divenga manifesto, e ciò che esisteva, ma per noi era celato, ci sia rivelato, cioè appaia in piena luce” (Agostino, Sul Salmo 66,4). - “Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto” (Sal 26,8-9). - “Contempliamola incessantemente questa immagine di Dio, affinché possiamo trasformarci a sua somiglianza” (Origene, Sulla Genesi 1,13). - “Con perseveranza insisterò in questa ricerca; non cercherò qualcosa di poco conto, ma il tuo volto, Signore, per amarti gratuitamente, dato che non trovo niente di più prezioso” (Agostino, Sul Salmo 26,1,8). - “Il Signore è la mia luce e mia salvezza” (Sal 26,1). - “Egli mi illumina, vadano indietro le tenebre; egli mi salva, si allontani la debolezza; procedendo saldo nella luce, chi temerò? [...] Il Signore illumina, noi 11 siamo illuminati; il Signore salva, noi siamo salvati” (Agostino, Sul Salmo 26,11,3). - Apri, Signore, il nostro cuore, e comprenderemo le parole del Figlio tuo! “Se hai accolto in te la parola di Dio, se hai ricevuto da Gesù “acqua viva” e l’hai ricevuta con fedeltà, anche in te si farà una fonte di acqua viva che sale fino alla vita eterna” (Origene, Sulla Genesi 12,40.43). - Luce dei viventi, che mostri agli erranti il cammino, spezza per noi il pane della tua Parola, perché possiamo lodarti nelle tue meraviglie. - “È impressa in noi la luce del tuo volto, Signore”. Questa luce è il completo e vero bene dell’uomo, che si vede non con gli occhi ma con lo spirito [...]. Non dobbiamo dunque cercare la gioia fuori, presso coloro che, ancora duri di cuore, amano la vanità e ricercano la menzogna, ma dentro, ove è impressa la luce del volto di Dio [...] cioè in quel recesso in cui si deve pregare” (Agostino, Sul Salmo 4,8). - “Immoliamo una vittima di giubilo, immoliamo una vittima di gioia, immoliamo una vittima di riconoscenza, una vittima di azione di grazie, quella che le parole non possono esprimere” (Agostino, Sul Salmo 26,11,12). b/ “PACE A VOI” - “Entrando disse: “Pace!” (Lc 24,36). - Pace a voi, che siete lontani; pace a voi, che siete vicini. “Io vi guarirò, dice il Signore (cf Is 57,19). - “Questo è il primo saluto che egli rivolse ai discepoli dopo la risurrezione [...]. Dopo aver posto fine alla tristezza di tutti, annuncia le gloriose e mirabili opere della croce, che consistono nella pace” (Giovanni Crisostomo, Su Gv 86,3). - “Quale pace dà Dio? Quella che dà il mondo? Il Cristo dice che non è questa che egli dà [...]. Se la terra è buona - quella che porta come frutto il cento o il sessanta o il trenta - riceverà da Dio quella pace [...], la pace di Dio che supera ogni intelligenza. Questa è dunque la pace che Dio dà sulla nostra terra” (Origene, Sul Lv 16,5). 12 - “Prima di ascendere al cielo [...] Gesù lasciò a noi tutti, per mezzo degli apostoli, la pace come nostro riparo [...]. La pace è stata data a tutti i cristiani, e perciò, nel definirla “mia”, è chiaro che essa è un dono di Dio; e in quanto Gesù dichiara: “Io la do a voi”, non solo intese dire che essa era “sua”, ma che apparteneva a tutti coloro che credono in lui” (Ottato, La vera chiesa, I,1). “Ai poveri porta l’annuncio: saranno i primi nel regno dei cieli, saranno chiamati popolo di Dio, farà con loro un’alleanza eterna” (Inno dell’Avvento, Ufficio di Valserena). - “Io sono con voi tutti i giorni” (Mt 28,20). “È il tempo in cui il Signore promette ai suoi discepoli e alla sua chiesa una veglia eterna” (Cromazio di Aquileia, Su Mt 52,5). “Infatti vuole abitare in questo corpo della sua chiesa, e in queste membra del suo popolo [...] per averne tutti i movimenti e tutte le opere secondo la sua volontà” (Origene). “Nel tabernacolo del grembo di Maria, Cristo dimorò nove mesi; nel tabernacolo della fede della chiesa, sino alla fine del mondo; nella conoscenza e nell’amore dell’anima fedele, per l’eternità” (Isacco della Stella, Serm. 51). - Noi ti ringraziamo, Signore, per il tuo regno di pace stabilito nella nostra terra. Guariscici da ogni incredulità, perché possiamo fruire della tranquillità e del riposo eterno che ci hai portato. - Noi ti ringraziamo, Signore, per il dono della pace. Il tuo “sole di giustizia” splenda davvero nei nostri cuori, e la nostra pace si estenda “fino ai confini della terra” (Ml 4,2; cf Mi 5,3). - Noi ti ringraziamo, Signore, perché tu che sei la nostra pace, per donarci la pace non disdegni le porte chiuse dei nostri egoismi e delle nostre paure. “Fa risplendere su di noi la pace del tuo volto”, sicché il nostro desiderio di trovarti abbia in te stabilità e riposo. Tu, Signore, sei la nostra pace. Tu il riposo da ogni nostra fatica. Lode a te nei secoli! “Preghiamo [...] che Gesù regni su di noi e la nostra terra abbia riposo dalle guerre; [...] allora ognuno riposerà sotto la sua vite, il suo fico e il suo ulivo. Infatti l’anima che ha ricuperato in sé la pace della carne e dello spirito, riposa 13 all’ombra del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Origene). - “Signore, tu ci concederai la pace” (Is 26,12). Allora “la nostra terra darà il suo frutto” (Sal 85,14). c/ “AVETE... DA MANGIARE?” - “Preparerà il Signore [...] un banchetto di cibi succulenti, di vini raffinati [...]. E si dirà in quel giorno: “Ecco il nostro Dio; [...] questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo” (Is 25,1.9). - “Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato?” (Sal 116,12). - “Sono davanti a te come terra riarsa” (Sal 143,6). - Tu mi nutri e mi chiedi di saziarti. - Tu mi appari, mi dai la pace - e la gioia della tua presenza mi intimidisce e mi spaventa. - Tu mi inviti al banchetto - e già porti alla mia mensa la tua amicizia. Signore, tu mi precedi sempre. Non ho che il mio piccolo pesce da offrirti: quello che tu stesso mi hai donato perché lo distribuissi... E tu, “pesce grandissimo e puro” (Abercio), te ne cibi, lo trasformi e me lo rendi moltiplicato, perché, a mia volta, possa distribuirlo moltiplicato ed ingrandito a chi, come me, ha fame di te e della tua parola. - Tu sei Pane disceso dal cielo: io ti ringrazio, o Signore. - Tu sei Pesce che ti doni: ogni giorno ti offri per diventare mia carne e mio cibo: io ti ringrazio, Signore. - Tu sei l’Agnello immolato: togli il mio peccato; togli il peccato del mondo, tu che, come nostra Pasqua, sei stato immolato. Quando si strappa dalla terra la speranza dell’anima e la si proietta nei cieli collocandola nelle realtà che occhio non vide, orecchio non udì, e non sono salite al cuore dell’uomo, tutte queste cose sono le carni del Verbo di Dio. Chi può cibarsene con intelligenza perfetta e cuore purificato, costui immola veramente il sacrificio della festa di Pasqua, e celebra un giorno festivo con Dio e i suoi angeli” (Origene) . 5. OPERATIO a/ ITINERARIO DI EMMAUS 14 È giusto affermare, come si suggerisce nella meditatio, che noi cristiani abbiamo una grande responsabilità: siamo “condannati” alla speranza. Le liturgie di queste domeniche pasquali tracciano itinerari di fede. Il brano evangelico ci mette sulle orme dei discepoli di Emmaus, quando ormai sono in dirittura d’arrivo. “L’itinerario dischiuso dalla parola di Gesù incrocia lo sconsolato viaggio di ritorno dei due discepoli e lo fa diventare un cammino di speranza, un progressivo avvicinamento ai progetti di Dio, un pellegrinaggio verso la Pasqua, l’eucaristia, la chiesa, la missione fino agli estremi confini della terra” (C.M. Martini, In principio la Parola, n. 2). Il momento finale è il riconoscimento di Cristo risorto e vivo. b/ DENTRO LA COMUNITÀ Ma dentro la comunità non tutto corre liscio. C’è ancora spavento, stupore e turbamento. La pazienza di Gesù ha del sorprendente. Passa dal “toccare” al “mangiare”, dal “Messia che doveva patire” fino allo slancio finale: “Di questo mi sarete testimoni” (v. 48). Agli apostoli, ancora nel timore di finire come il condannato a morte, chiede di uscire allo scoperto. La 1a lettura (v. 13) ci riporta una coraggiosa “omelia” di Pietro, da spaurito “fondamento” della chiesa, a testimone di risurrezione. Il cammino pastorale delle nostre comunità è, talora, incerto: programmato, rifinito, ma aritmico. Si sofferma, quando non si arena, a programmare catechesi a tutti i livelli. Celebra eucaristie degne delle più belle tradizioni, ma quando la comunità esce di chiesa, pare che non abbia “buone notizie” da dare. Al massimo se ne incaricano gli “addetti ai lavori”. L’esortazione del papa: Christifideles laici è venuta a confermare, a vent’anni dal concilio, “la vocazione e la missione dei laici nella chiesa e nel mondo”. “Il Signore affida ai fedeli laici, in comunione con gli altri membri del popolo di Dio, una grande parte di responsabilità” (n. 32). La Nota CEI: La chiesa italiana dopo Loreto ha sintetizzato: “Missione è avere il coraggio di amare senza riserva” (n. 51). Parla anche di “soprassalto”, ma non pare che di scossoni se ne siano constatati tanti. La parola di Dio è ancora uno stimolo ripetuto. Sentire proclamare: “Di questo mi sarete testimoni” (v. 48) e rimanere indifferenti, come se non fossimo 15 interpellati, sa di anacronistica appartenenza ad una chiesa per sua natura missionaria. c/ COME ESSERE TESTIMONI Chi ha fatto esperienza autentica di Cristo, come Tommaso, come i discepoli di Emmaus, come la comunità titubante e poi rinfrancata di Gerusalemme, non può che essere contagioso, perché è testimone. È ciò che ricorda Paolo VI nella Evangelii nuntiandi (n. 21) con quella serie martellante di “ecco”, in un crescendo coinvolgente e che sintetizza al n. 41: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, e se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”. Il documento CEI, Comunione e comunità missionaria, indica le vie principali che una efficace missione della chiesa nel mondo deve percorrere. Si possono raccogliere in sintesi, anche così: 1/ Nuovo stile di vita (n. 34). La via del cambiamento interiore è essenziale alla missione della chiesa, perché conduce il credente a irradiare la fede attraverso i suoi comportamenti coerenti: di adorazione e fedeltà a Dio, di adesione personale a Cristo e dunque di solidarietà e di servizio al prossimo, di coraggio nella prova, di fiducia nel bene, di dominio di sé di fronte al male ricevuto e alla violenza subita, di temperanza nell’uso dei beni terreni. E quando sarà chiamato a svolgere la sua azione nelle strutture comunitarie e pubbliche, in coerenza con la fede e la morale cristiana, il cristiano dovrà dare garanzia di competenza, di moralità, di chiarezza e di collaborazione dialogante (cf La chiesa italiana e le prospettive del paese, n. 35). 2/ La promozione dei valori morali (Com. e com. missionaria, n. 49). Molta gente ricerca una superiore qualità di vita, ha nostalgia di valori umani, ma non osa o non osa più chiamarli con il loro vero nome. Compito primario della missione della chiesa e di ogni cristiano è quello di risvegliare nelle coscienze personali e in quella nazionale, il vero senso della dignità della persona umana. 3/ La presenza testimoniante della comunità (n. 35). Là dove la comunità esiste è già di per se stessa una proclamazione silenziosa, forte e stimolante della buona novella. Tentare da navigatori solitari c’è il rischio di finire 16 naufraghi senza speranza di ritorno e di perdere la rotta. Modello sempre attuale di questa testimonianza è, con i suoi difetti, la chiesa di Gerusalemme: assidua nell’”ascoltare l’insegnamento degli apostoli”, nell’”unione fraterna”, nella “frazione del pane” e nelle “preghiere”. “Essa godeva della stima di tutto il popolo” (At 2,48). Eppure c’è la sensazione che, in questo campo, si stia andando verso una fase di riflusso, di stanchezza e di ritorno alla comoda delega. Per i parroci il discorso della partecipazione e della corresponsabilità non è accondiscendenza a una moda innovativa o al mimetico tatticismo. I discepoli di Emmaus, entrati in comunità ancora indefinita e disfatta, portano la loro certezza di avere incontrato il Cristo risorto. All’interno della comunità trovano conferma dall’insegnamento diretto del Maestro e rinverdiscono le loro speranze. Ci sono tutte le condizioni per essere mandati a dare testimonianza. La risurrezione è il punto centrale e costituisce la specificità di tutto il cristianesimo. Si può ruotare attorno finché si vuole, per aggirare ipotetici ostacoli o prendere inutili scorciatoie. Fino a quando questa verità unica, centrale e discriminante non viene accettata nella potenza squassante che contiene, si girerà a vuoto, in cerca di spiegazioni che non giustificano e non soddisfano, soltanto perché non esistono. La nuova evangelizzazione che porta a nuove comunità, attende ancora di essere presentata nella giusta luce, per cambiare quella mentalità di contenimento, che il concilio ha spazzato via almeno da ormai venticinque anni. SONO IO, IN PERSONA! TOCCATEMI E GUARDATE 24,36-49 35 Ed essi raccontarono le cose lungo la via e come fu riconosciuto da loro nello spezzare del pane. 36 Ora, mentre essi parlavano di queste cose; egli stette in mezzo a loro e dice loro: Pace a voi. 37 Ora, terrorizzati e impauriti, pareva loro di vedere uno spirito. 38 E disse loro: Perché siete turbati, per quale motivo salgono ragionamenti nel vostro cuore? 39 Guardate le mie mani e i miei piedi: 17 Sono io, in persona! Toccatemi e guardate, perché uno spirito non ha carne e ossa come vedete che io ho. 40 E, detto questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41 Ora, non credendo essi ancora per fa gioia e meravigliandosi, disse loro: Avete qui qualcosa da mangiare? 42 Ed essi gli diedero una porzione di pesce arrosto. 43 E, preso, davanti ai loro occhi mangiò. 44 Ora disse loro: Queste le mie parole che dissi a voi mentre ero ancora con voi: Bisogna che sia compiuto tutto quanto è scritto nella legge di Mosè e nei profeti e nei salmi su di me. 45 Allora spalancò la loro mente per intendere le Scritture. 46 E disse loro: Così è scritto: Avrebbe patito il Cristo e si sarebbe levato dai morti il terzo giorno 47 e sarebbe stata proclamata nel suo nome la conversione e la remissione dei peccati a tutte le nazioni iniziando da Gerusalemme. 48 Voi testimoni di queste cose. 1. Messaggio nel contesto «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete!» (10,23). È la santa invidia nostra e di Luca per i primi discepoli, che videro colui che ci testimoniarono. Qui ci narra come anch’essi, pur avendolo visto e toccato, devono, come noi, riconoscerlo e credergli attraverso la memoria della sua parola e il suo banchetto (vv. 36-45). La Parola e il pane sono la presenza costante del Risorto nella sua chiesa. Con la prima ci spiega la promessa di Dio e ci tocca scaldandoci il cuore; con il secondo ci apre gli occhi sulla sua realizzazione e si fa vedere nel dono di sé (vv. 13-35). In questo modo anche noi sperimentiamo in prima persona la verità di quanto ci hanno 18 trasmesso i testimoni oculari (1,2) e facciamo nostro il loro grido di meraviglia per la grande opera di Dio: «Veramente il Signore è risorto, e fu visto da Simone» (v. 34). In questo brano Luca collega direttamente il nostro riconoscerlo con l’esperienza di Simone e degli altri con lui. La differenza tra noi e loro sta nel fatto che essi contemplarono e toccarono la sua carne anche fisicamente, noi invece la contempliamo e tocchiamo solo spiritualmente, attraverso la testimonianza della loro parola e il memoriale eucaristico (cf. 1Gv 1,1ss). Luca insiste molto sulla corporeità del Signore risorto. È in polemica con l’ambiente ellenistico, che credeva all’immortalità dell’anima, ma non alla risurrezione dei corpi (At 17,18.32; 26,8.24). Con questa sta o cade sia la promessa di Dio che la speranza stessa dell’uomo di superare il nemico ultimo, la morte (1Cor 15,26). Questa vittoria è frutto dell’albero della croce, dove ci è offerta la solidarietà di Dio col nostro male. Chiave di lettura e sintesi delle Scritture («così è scritto», v. 46) è il Crocifisso, che ci offre la visione di un Dio che è amore e misericordia infinita. La sua risurrezione è quasi un corollario, che conferma da una parte la sua divinità e dall’altra il dono che è venuto a portarci. Nel suo nome si annuncia a tutti la conversione e la remissione dei peccati (v. 47). In lui infatti vediamo la verità di colui dal quale la menzogna ci fece allontanare, e torniamo a volgerci a lui, che è la nostra vita. Ai piedi della croce cessa la nostra paura di Dio e la nostra fuga da lui, perché vediamo che lui da sempre è rivolto a noi e per sempre ci perdona. I discepoli saranno testimoni di questo (v. 48): faranno conoscere a tutti i fratelli il Signore Gesù come nuovo volto di Dio e salvezza dell’uomo. La forza di questa testimonianza è lo Spirito santo, la potenza dall’alto (v. 49). Come scese su Maria, scenderà su di loro (1,35; At 1,8; 2,1ss.33). L’incarnazione di Dio nella storia non solo continua, ma giunge così al suo stadio definitivo. Siamo negli ultimi giorni (At 2,17), in cui si vive ciò che è per sempre. Dio ha reso perfetta la sua solidarietà con l’uomo: al tempo degli antichi fu «davanti a noi» come legge per condurci alla terra promessa; al tempo di Gesù fu «con noi» per aprirci e insegnarci la strada al Padre; ora, nel tempo della chiesa, è «in noi» come vita nuova. Il Padre nel suo amore ci ha donato il Figlio; il Figlio, nello stesso amore, ci ha donato il suo Spirito; ora lo Spirito è la nostra vita piena nel Figlio, in cui amiamo il Padre e i fratelli. Il seme già è piantato e germogliato. Deve crescere e portare la pienezza del suo frutto, fino a quando Dio sarà tutto in tutti (1Cor 15,28). Allora sarà la festa del 19 raccolto. Gesù ha terminato la sua missione. Noi la continuiamo nello spazio e nel tempo. In lui e come lui, ci facciamo prossimi a tutti i fratelli, condividendo con loro la parola e il pane, curando con l’olio e il vino le loro ferite mortali. Da Gerusalemme fino agli estremi confini della terra, l’universo e quanto contiene, tutto sarà ricolmo della Gloria. Allora l’uomo avrà ritrovato pienamente se stesso. E sarà salvo, lui e la sua storia. 2. Lettura del testo v. 35: «raccontarono le cose lungo la via, e come fu riconosciuto». Colui che «fu visto da Simone» è il medesimo che anche noi «riconosciamo». Il Vivente ci è venuto incontro mentre scendevamo da Gerusalemme. Ci ha visto: ci si è fatto vicino, ci ha medicato con il suo olio e il suo vino. Il nostro cuore ha ricominciato ad ardere, intuendo nella sua parola la verità nostra e di Dio; i nostri occhi si sono spalancati, riconoscendolo nel pane. Ormai lui è in noi e noi in lui. Il nostro cammino diventa il suo. L’eucaristia si fa missione: diventiamo suoi testimoni, iniziando da Gerusalemme fino agli estremi confini della terra. La nostra vita è la sua stessa: quella del Figlio che va verso i fratelli. Avendo sperimentato la cura del Samaritano per noi, possiamo obbedire al suo comando che ci dà la vita eterna; «Va, e anche tu fa lo stesso» (10,37). L’incontro con lui attraverso la Parola e il pane continuamente ci guarisce: i nostri piedi si volgono dalla fuga al suo stesso cammino, il nostro volto passa dall’oscurità della tristezza alla luce della gioia, la nostra testa, senza cervello, si dischiude alla comprensione, il nostro cuore, raggelato e lento, comincia a pulsare e ardere, i nostri occhi, appannati dalla paura, si aprono a contemplare lui, e la nostra bocca, indurita nel litigio col fratello, canta lo stesso alleluia di tutti i salvati della storia. Siamo nati, e continuamente nasciamo, come uomini nuovi. v. 36: «mentre parlavano essi di queste cose». La Parola e lo spezzare del pane mettono i due discepoli pellegrini in comunione con quelli di Gerusalemme. La loro esperienza si confronta ed entra in dialogo anzi in comunione con quella di Simone e degli altri, che ora verrà descritta. Anche Paolo, che incontrò il Risorto sulla via da Gerusalemme a Damasco, tornerà «a Gerusalemme a consultare Cefa», per non trovarsi «nel rischio di correre o di aver corso invano» (Gal 1,18: 2,2). Ogni credente è chiamato a verificare la propria esperienza su quella dei primi, e a unirsi ad essa. Quando essi lo videro, fu anche per tutti gli altri, che, attraverso la loro testimonianza, crederanno, lo riconosceranno e lo ameranno pur senza vederlo (Gv 20,29; 1Pt 1,8; 20 1Gv 1,14). «stette in mezzo a loro». La sua presenza è ovunque se ne parla. Non è impedita nella sua azione da leggi spazio-temporali. È il Signore sia di chi è per via, sia di chi è in casa. Si fa vicino a tutti; nessuno è sottratto alla sua azione salvifica. Egli ora si pone definitivamente al centro della cerchia dei suoi. «Pace a voi». Shalóm è il baciarsi di ogni desiderio dell’uomo con la promessa di Dio. È il suo dono definitivo. Cantata dagli angeli sul presepio, è ora donata dal Crocifisso risorto a tutti gli uomini. L’annuncio della pace fa da inclusione alla sua vita, che ne è la rivelazione e il dono pieno. Gesù infatti è l’Amen totale di Dio all’uomo e dell’uomo a Dio (cf. 2Cor 1,20). La pace, segno indubitabile della presenza di Dio, è l’insieme armonico dei molteplici aspetti dell’unico frutto dello Spirito. v. 37: «terrorizzati e impauriti». La pace di Dio eccede talmente la nostra piccolezza, che dapprima ci sconvolge. Rompe e dilata il nostro cuore, per farne il recipiente capace di contenerla. «pareva loro di vedere uno spirito». Per un greco lo spirito è in contrapposizione al corpo. Paolo invece parla di «corpo spirituale» (1Cor 15,44). Non è qualcosa di incorporeo o un fantasma (cf. Mc 6,49), ma un corpo materiale vivificato dallo Spirito di Dio. Un corpo si differenzia in vegetale, animale, umano o spirituale secondo il diverso principio vitale che lo anima, che è rispettivamente vegetativo, animale, razionale o divino. Su queste cose e su come sarà il corpo glorioso vedi 1Cor 15,3558. v. 38: «Perché siete turbati». Anche Maria rimase perturbata circa il significato dell’annuncio dell’angelo (1,29). I discepoli però sono turbati perché pensano che lui non sia il Risorto in persona, ma il suo fantasma di morto. «per quale motivo salgono ragionamenti nel vostro cuore?». Dal cuore salgono i ricordi. Ma ogni memoria passata è necessariamente di morte. La risurrezione è una sorpresa incredibile. Ai discepoli sembra di sognare (cf. Sal 126,1). Dio realizza la sua promessa: «Ecco, io creo nuovi cieli e nuova terra. Ecco, faccio una cosa nuova; proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Non risalgano più dal vostro cuore le antiche paure» (Is 65,17; 43,19; 65,16 LXX). v. 39: «Guardate le mie mani e i miei piedi». Le mani e i piedi, segnati dai chiodi, fanno innanzitutto vedere l’identità del Risorto con il Crocifisso, la continuità storica tra croce e risurrezione. Il corpo, che è loro presente, è quello stesso che è assente dal sepolcro. I segni di vittoria della morte sono ora segni della sua sconfitta. Contro ogni 21 falso spiritualismo (docetismo), il corpo è molto importante: «Ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne è da Dio» (1Gv 4,3). È vero che il Crocifisso è risorto. Ma il vero mistero è che il Risorto è il Crocifisso. Questo è quanto vogliono chiarire i Vangeli, e quanto i discepoli sono da sempre portati a ignorare. «Sono io». «Sono io» = JHWH: è il nome di Dio. Le mani, i piedi (e il costato) sono i segni di colui che è stato trafitto. Ci fanno vedere il Signore (cf. Gv 19,37; 20,20). «Toccatemi e guardate». Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete! Beate le mani che toccano quello che voi toccate! Anche noi, attraverso la loro testimonianza, siamo invitati con loro a toccare e vedere il Signore per partecipare alla loro stessa gioia (cf. 1Gv 1,14). C’è un palpare e vedere più profondo di quello fisico, un tocco e una vista spirituale, un gusto interiore, con pace e sbigottimento, adorazione ed esultanza grande. Principio è l’ascolto della Parola, più dolce del miele (Sal 119,103); apice è la comunione eucaristica, in cui riceviamo il pane dal cielo, «capace di procurare, ogni delizia e soddisfare ogni gusto» (Sap 16,20) v. 40: «mostrò loro le mani e i piedi». È il mostrarsi di «Sono-io» in persona. Le mani e i piedi, con le ferite del suo amore crocifisso, sono l’ostensione che Dio fa di sé al mondo. E noi gioiamo. come i discepoli (Gv 20,20), perché vediamo il Signore direttamente così com’è in sé: amore per noi. v. 41: «non credendo... per la gioia». Si può non credere per delusione, come i due di Emmaus. Ma anche per paura di illusione, come questi: «È troppo bello per essere vero!». Il mestiere di Dio è proprio fare quell’impossibile che all’uomo risulta necessariamente incredibile. Il suo dono supera sempre ogni attesa. «Avete qui qualcosa da mangiare?». Luca presenta gran parte dell’attività di Gesù a tavola o in cammino. Egli insiste molto sul mangiare di Gesù risorto per indicare la sua corporeità. La chiesa ne fece subito una lettura eucaristica. v. 42: «pesce arrosto». Richiama Giovanni, dove si dice che nessuno più osava chiedergli: «Chi sei?», poiché sapevano bene che era il Signore (Gv 21,12). infatti il suo corpo, realmente risorto, ha già aperto anche il nostro sepolcro: «Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe» (Ez 37,13). Già prima di morire aveva preso, spezzato e dato il pane e il pesce (9,10ss). Ora, risorto, condivide il pane con quelli di Emmaus e il pesce con questi. Nel pesce arrosto si vide un’allusione al Cristo morto e risorto: piscis assus, Christus passus. Il pesce vive negli abissi: catturato e cotto, diviene alimento dell’uomo. Anche il Cristo viene dall’abisso di Dio e vive in quello della morte: catturato e cotto sul legno della croce (in ara crucis 22 torridum), si fa nostro cibo di vita. Dei codici aggiungono: «un favo di miele», simbolo della parola di Dio (cf. Sal 119,103). Si completa così l’interpretazione eucaristica, con la duplice mensa in cui il Signore si fa riconoscere pienamente. v. 43: «mangiò». È una dimostrazione della realtà corporea della risurrezione. il corpo, tempio dello Spirito, è destinato a rivelare la gloria dei figli di Dio. Le prove con cui Gesù si mostrò vivo sono il farsi vedere e palpare, parlare e mangiare (cf. At 1,34). Esplicitando il senso eucaristico, dei codici aggiungono: «e, presi i resti, li diede loro». v. 44: «Queste le mie parole». Richiama l’inizio del Deuteronomio, con il testamento di Mosè. Questo è il testamento nuovo, del nuovo Mosè. «mentre ero ancora con voi». «Era con» noi. Ora invece «è in» noi con il dono del suo Spirito. «bisogna che sia compiuto tutto quanto è scritto... su di me». Il Risorto ci ricorda le parole che disse prima di morire e ci fa comprendere il mistero pasquale come compimento delle Scritture. Tutto quanto c’è nella Bibbia, dice Gesù, «è scritto su di me», e si compie nella sua morte e risurrezione. La Scrittura tutta parla di lui, morto e risorto, e trova in lui la verità di ciò che dice. v. 45. «spalancò la loro mente». Il Risorto, come apre le Scritture alla mente (v. 27), così apre, la mente alle Scritture: le spiega e piega la nostra durezza a comprenderle. È il grande prodigio che ci guarisce dalla nostra cecità. Il Risorto finalmente compie il miracolo che non gli era riuscito in vita: illuminare i discepoli come il cieco di Gerico (cf. l’inizio e la fine della sua catechesi sul Figlio dell’uomo: 9,45; 18,34). L’Agnello immolato toglie il duplice sigillo: sia quello che c’è sulla Scrittura, che rivela ciò che nessuno mai vide (1Cor 2,9), sia quello che c’è sul cuore (2Cor 3,15), che è velato dalla menzogna antica. Finalmente è levata la maledizione di Isaia: «Per voi ogni visione sarà come le parole di un libro sigillato: si dà a uno che sappia leggere, dicendogli: “Leggilo”, ma quegli risponde: “Non posso perché è sigillato”. Oppure si dà il libro a uno che non sa leggere, dicendogli: “Leggilo”, ma quegli risponde: “Non so leggere”» (Is 29,11s). Ora, «noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2Cor 3,18). v. 46: «Così è scritto, ecc.». Dopo questo miracolo, che spalanca la mente, tutta la Scrittura diventa spiegazione della morte/risurrezione del Signore, centro della rivelazione e dell’annuncio. Anche chi lo ha visto giungerà alla fede - come quella di Emmaus e quanti verranno dopo - attraverso la sua parola e il suo cibo, che 23 guariscono gli occhi e il cuore. v. 47: «e sarebbe stata proclamata nel suo nome». L’annuncio per Luca diventa un articolo di fede. Esso è fatto nel nome, cioè, nella persona stessa di Gesù, l’annunciato. Il discepolo presta la sua bocca a lui, che è presente, vivo e operante nella parola su di lui. L’annuncio del Signore morto e risorto dilata la salvezza pasquale nello spazio e nel tempo. «la conversione e la remissione dei peccati». È il frutto della predicazione che ci presenta il Signore morto e risorto. In lui finalmente possiamo volgerci a Dio, perché abbiamo compreso che ci vuol bene e fu un errore fuggire da lui. Questa è la vera conversione. Il Crocifisso ci mostra che Dio è amore e perdono; il Risorto ci mostra che l’amore crocifisso e perdonante è Dio. «a tutte le nazioni». Luca è «cattolico» (= universale). Nessun figlio può essere escluso dall’amore del Padre. Chi si chiude a uno, non conosce il Padre ed esclude sé e, con sé, anche il Figlio, che si è fatto ultimo di tutti per salvare tutti, anche chi, escludendo gli altri, esclude se stesso. «iniziando da Gerusalemme». Il Vangelo presenta Gesù che va a Gerusalemme. Gli Atti presentano i discepoli che vanno da Gerusalemme fino agli estremi confini della terra. Ma unica è la missione: quella del Figlio ai fratelli, per far loro conoscere il Padre. In Gerusalemme è la sorgente. Da lì esce l’acqua che sazia la sete di tutta la terra. v. 48: «Voi testimoni di queste». In At 1,8 Gesù dice: «Mi sarete testimoni». Egli si identifica con l’annuncio. Testimone (in greco mártyr) significa uno che ricorda. Il discepolo ricorda il maestro: lo tiene davanti agli occhi e nel cuore, e lo vive nella quotidianità della vita, fino alla morte. Il Regno altro non è che questo «martirio» di chi cammina come lui ha camminato, continuando a fare e dire ciò che lui per primo cominciò a fare e a insegnare (At 1,1). 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera. b. Mi raccolgo nel cenacolo insieme agli apostoli e ai discepoli. c. Chiedo ciò che voglio: gioire sempre poiché il Signore è risorto. d. Contemplo la scena 4. Passi utili Gv 20,19-29; 16,5-15; Ap 5. 24 25
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