File - Parrocchia di San Lorenzo Martire in Zogno

TERZA DI PASQUA
19.4.2015
1. SACRA PAGINA
Dagli Atti degli Apostoli
3,13-15.17-19
In quei giorni, Pietro disse al popolo: 13«Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di
Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete
consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo;
14voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse
graziato un assassino. 15Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai
morti: noi ne siamo testimoni. 17Ora, fratelli, io so che voi avete agito per
ignoranza, come pure i vostri capi. 18Ma Dio ha così compiuto ciò che aveva
preannunciato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo doveva soffrire.
19Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati».
Parola di Dio
Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto. Sal 4
Quando t’invoco, rispondimi, Dio della mia giustizia!
Nell’angoscia mi hai dato sollievo;
pietà di me, ascolta la mia preghiera.
Sappiatelo: il Signore fa prodigi per il suo fedele;
il Signore mi ascolta quando lo invoco.
Molti dicono: «Chi ci farà vedere il bene,
se da noi, Signore, è fuggita la luce del tuo volto?».
In pace mi corico e subito mi addormento,
perché tu solo, Signore, fiducioso mi fai riposare.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo
2,1-5
1Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha
peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. 2È lui la
vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per
quelli di tutto il mondo. 3Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i
suoi comandamenti. 4Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi
comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità. 5Chi invece osserva la sua
parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto. Parola di Dio
1
Alleluia, alleluia.
Signore Gesù, facci comprendere le Scritture;
arde il nostro cuore mentre ci parli.
(Lc 24,32)
Dal Vangelo secondo Luca
24,35-48
In quel tempo, 35[i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli
Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come
avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane. 36Mentre essi parlavano di
queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!».
37Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. 38Ma egli disse
loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39Guardate
le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non
ha carne e ossa, come vedete che io ho». 40Dicendo questo, mostrò loro le mani e
i piedi. 41Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore,
disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». 42Gli offrirono una porzione di
pesce arrostito; 43egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. 44Poi disse: «Sono
queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si
compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei
Salmi». 45Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro:
46«Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo
nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati,
cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni». Parola del
Signore
2. LECTIO
Un motivo conduttore guida la scelta dei testi biblici di questa domenica:
il messaggio pasquale di salvezza in rapporto particolare con la conversione e il
perdono dei peccati.
Gesù risorto appare ai discepoli turbati, si fa riconoscere e affida loro la
missione di testimoni della salvezza per tutte le genti (vangelo+versetto
alleluiatico). Dio è stato fedele al suo piano nonostante l’incoerenza del suo
popolo (Israele): questi è invitato a pentirsi per la remissione dei peccati (1a
lettura) e il fedele si augura da Dio una testimonianza trasparente (salmo
responsoriale). Il credente conosce il peccato ma anche il perdono in Gesù Cristo
per una vita nuova (2a lettura).
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a/ LE APPARIZIONI DEL RISORTO
Il passo evangelico odierno (Lc 24,35-48) è parte dell’ultimo capitolo del
III vangelo in cui sono presentati le donne e Pietro al sepolcro aperto (vv. 1-12), i
discepoli di Emmaus (vv. 13-36), l’apparizione agli Undici e agli altri (vv. 37-49)
e l’ascensione (vv. 50-61). Nell’arco di tempo di una giornata («il primo giorno
dopo il sabato», v. 1, è il giorno della Pasqua cristiana) vengono esposti i fatti
relativi alla risurrezione di Gesù.
I vv. 35-48 (3a lettura) formano una pericope un pò artificiale: si parte dal
v. 35 (la conclusione del racconto dei discepoli di Emmaus) per individuare il
primo soggetto del v. 36; si omette il v. 49 (il dono dello Spirito) per non cadere
nel messaggio della Pentecoste; si focalizza l’attenzione sull’apparizione (vv. 3643) e sulla missione (vv. 44-48).
L’apparizione del Risorto alla prima chiesa (vv. 36-43; cf v. 33 “gli
Undici e gli altri”, cioè la comunità strutturata) si svolge secondo lo schema
comune delle cristofanie: Gesù viene di sua iniziativa e saluta con
l’affermazione/augurio della salvezza compiuta (= «pace a voi»); i discepoli sono
turbati/impauriti per la sorpresa di trovarsi davanti a un evento/personaggio più
grande di loro; Gesù li rassicura indirizzando loro la sua parola; essi dubitano
della vera identità e della presenza fisica di Gesù, che si fa allora riconoscere coi
segni della crocifissione e anche nel mangiare del loro pesce arrostito. E allo
stupore-paura succede lo stupore-gioia.
Questo racconto, così vivo e concreto, ha uno scopo pedagogicoapologetico e teologico insieme: mostrare (più che di-mostrare) la concretezza e
densità della presenza comunicativa di Gesù nella chiesa dopo la (e grazie alla)
sua risurrezione, grazie al suo corpo glorioso. Tale concretezza narrativa,
pertinente in una polemica antidocetica, potrebbe disorientare, cioè far
immaginare il corpo risorto come un corpo rianimato (cf la figlia di Giairo, 8,55),
materializzandolo al punto da far dimenticare la diversità rispetto al nostro corpo
attuale (cf vv. 36.51: il corpo risorto appare improvvisamente e si eleva in alto; v.
44: si distingue tra un prima e un poi).
Le apparizioni sono il segno-conseguenza della risurrezione: senza che
sbiadisca minimamente la densità della sua identità personale, Gesù risorto
detiene la possibilità di comunicazione salvifica concreta. È ciò che, grazie a lui,
speriamo anche per il nostro corpo risorto: che non sia più un limite ma un dono
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per il comunicare salvifico, per le espressioni di vita-amore reciproche.
b/ ISTRUZIONE E MISSIONE DEI PRIMI DISCEPOLI
Dopo aver parlato dei segni della risurrezione di Gesù (la tomba
aperta/vuota e le apparizioni), nella seconda parte dell’odierno brano evangelico
(vv. 44-48) Luca parla del «fatto» stesso della risurrezione, senza descriverlo
direttamente (perché di esso nessuno è stato spettatore!), ma riferendo al riguardo
le parole della Scrittura (e di Gesù stesso).
Gesù ricorda ai primi discepoli ciò che aveva detto loro durante la sua vita
terrestre (cf 9,22; 18,31-33; 24,25-27): tutta la Scrittura ebraica (= l’AT dei
cristiani) nelle sue tre parti (Legge, Profeti, Salmi/Scritti, v. 44) ha presentato e
giustificato il mistero di Gesù Cristo; la risurrezione di Gesù è così ancorata nella
Scrittura, in Dio. Anzi, la stessa predicazione, a tutti i popoli (cf Is 49,6; Mt 28,1920 par.) partendo dai Giudei (cf Is 2,2ss; Mi 4,1ss; Gv 4,22), della conversione e
del perdono dei peccati è parte del disegno divino: è la “buona notizia”
dell’avvenuta e possibile riconciliazione e pace di Dio con gli uomini tutti, in
Gesù Cristo. Di questa amicizia la chiesa sarà testimone in tutto il mondo: questa
è la missione che la chiesa ha ricevuto da Gesù risorto, la continuazione della sua
stessa missione.
La “buona novella” viene espressa con due termini coordinati e
nell’ordine dato: “La conversione e il perdono dei peccati” (v. 47). Quale debba
essere il valore della “e” (per, quindi, cioè) non è facile dirlo. In ogni caso è già
significativa la successione. Il contesto kerigmatico del brano consiglia di leggervi
la conversione di Dio (dall’ira alla misericordia) in Gesù Cristo o il cambiamento
operato nel credente dal perdono dei peccati, dall’annuncio grazioso e
sorprendente di un dono (e non dall’impegno di una scalata moralistica).
Il “fatto” della risurrezione di Gesù è così inseparabilmente legato al suo
«senso»: si tratta di un “fatto di fede”, di un fatto cristico ed ecclesiale (cioè
universale, “cattolico”), di una testimonianza (cioè un fatto da mostrare in una
missione da realizzare).
c/ LA FEDELTÀ DI DIO E L’INFEDELTÀ DEL POPOLO
La 1a lettura (At 3,13-15.17-19) è tratta dal discorso di Pietro (3,11-26) a
“uomini d’Israele” (v. 12), cioè a un gruppo di Giudei che erano rimasti stupiti
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dalla guarigione dello storpio (3,1-10). La struttura del discorso non è così lineare
come altrove negli Atti, ma trasparente ne è la tematica: il rapporto tra il
giudaismo e il cristianesimo, tra la sinagoga e la chiesa. È ciò che nella sua
essenzialità recepisce la pericope liturgica, la quale lascia cadere i richiami diretti
al racconto di guarigione (vv. 12 e 16).
I vv. 13-15 iniziano con una composizione di due testi dell’AT (Es 3,6.15
e Is 52,13), che vengono applicati a Gesù per affermare/annunciare che la
redenzione/liberazione d’Israele da parte di Yhwh si è realizzata nella morterisurrezione di Gesù. A proposito, Pietro evidenzia il contrasto tra il
comportamento di Dio e quello dei Giudei con un mirabile intreccio di
opposizioni, con lo scopo - apologetico e missionario insieme - di mostrare
l’incoerenza-peccato dei Giudei: Dio glorifica, libera, risuscita Gesù; i Giudei, suo
popolo, denunciano, rinnegano, uccidono Gesù (graziano un assassinio e
ammazzano l’autore della vita).
Sono pure da notare i titoli di origine veterotestamentaria attribuiti a Gesù
per sottolineare il suo particolare rapporto con Dio: vi si intravede il primo
tentativo di una riflessione cristologico-salvifica. Gesù “il servo (di Dio)” (vv. 13)
rimanda al Deuteroisaia (Is 52,13; 53,10-12): è il servo glorificato da Dio perché
solidale col popolo e fedele a Dio fino alla morte. Gesù “il Santo” (v. 14) richiama
una prerogativa tipica del mistero di Dio, la sua distanza-diversità-esemplarità
rispetto all’uomo (cf Is 6,3; Lv 19,2; 1Pt 1,15; 1Cor 1,2). Gesù “il Giusto” (v. 14)
riprende un titolo messianico dell’AT e del giudaismo (cf Is 53,11; Enoc 38,2;
53,6). Gesù “l’autore della vita” (v. 15) o “il principe/capo/re della vita” è come il
nuovo Mosè (cf 3,22 e 7,27.35) che attraverso la sua morte-risurrezione
libera/salva i credenti in lui donando loro la libertà e la vita, guidandoli verso una
vita libera e nuova.
Nei vv. 17-19 Pietro passa alla parenesi. Sembra (v. 17) mostrarsi
comprensivo verso gli uditori Giudei (popolo e capi); in realtà li accusa di essere
ignoranti delle Scritture e quindi colpevoli di infedeltà al piano salvifico di Dio.
Ma (v. 18) Dio non è stato messo in scacco e ha compiuto le sue promesse proprio
attraverso la morte di Gesù che essi hanno causato: si noti la forza del “così”, in
greco messo alla fine della frase. Dalla morte di Gesù scaturisce (v. 19), come
possibilità e impegno per tutti, il ravvedersi e il ritornare su se stessi (= verso
Dio), di modo che siano cancellati (da Dio) i propri peccati: sono le tre fasi del
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processo “negativo” della salvezza; il positivo è la vita “interrotta” che riprende
nel suo rigoglio creativo.
d/ IL CREDENTE È UN TESTIMONE
Il Sal 4 è un canto di attestazione ed esortazione alla fiducia in Dio. L’uso
liturgico lascia cadere i vv. 3, 5 e 8 per sostare forse sulle espressioni più positive,
intercalandole col v. 7b quale ritornello.
La prima strofa (v. 2) è una invocazione (certa dell’esaudimento) a Dio
salvatore, affinché faccia giustizia e liberi il fedele dalle strettoie della vita,
esaudendone la preghiera («hai liberato» è un perfetto precativo: esprime/anticipa
l’intervento futuro di Dio). La seconda strofa (vv. 7.9) si apre con una domanda
globale di senso di vita: “Chi ci mostrerà ciò che è bene?”, e risponde subito in
forma invocativa che è solo il Signore che può donare la luce/salvezza per l’uomo.
In effetti (v. 9), il salmista può testimoniare (con verità perché per esperienza) la
felicità-serenità (= pace) della vita: per lui riposo sicuro è il Signore.
Nel contesto cristiano questa gioia salvifica è prima di tutto quella di
Gesù: è lui il primo “uomo nuovo”. E in lui e di lui tutti i cristiani sono testimoni
per il bene loro e degli altri (cf At 3,15). Il tutto vissuto come dono,
nell’invocazione del ritornello.
e/ PECCATO, PERDONO, VITA
La delimitazione del testo della 2a lettura (vv. 1-5a) è stata dettata dalla
tematica liturgica odierna, che ruota attorno al rapporto tra il peccato dell’uomo e
la salvezza in Cristo.
L’autore apre il suo discorso rivolgendosi affettuosamente ai destinatari
come a suoi “figlioli” (v. 1), cioè a persone che godono di un riferimento
particolare a lui nella fede; forse si tratta del loro evangelizzatore, il fondatore
della loro comunità. Ebbene, a loro - cui sta parlando del loro peccato, 1,10 ricorda in forma di parentesi che lo scopo vero del suo discorso è di portarli a
“non peccare”. In ogni caso, anche se essi hanno peccato, hanno la fortuna di
possedere un “Paraclito”: tipico termine giovanneo (cf Gv 14,16; in particolare
attribuito allo Spirito, ma anche indirettamente al Gesù terrestre, 14,16) che
potrebbe essere tradotto con “intercessore o/e “avvocato difensore”.
Nel nostro testo si tratta di Gesù vivente presso il Padre. Egli, per la sua
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qualità di “giusto”, (= senza peccato, cf Sap 18,21; Eb 9,14), può perorare la causa
di perdono a favore dei cristiani-peccatori, che come lui restano figli dello stesso
Padre. Questa mediazione di Cristo è radicata nell’opera di redenzione da lui
attuata con la sua morte e risurrezione (v. 2): un’opera di perdono (hilasmós =
propiziazione, espiazione; il termine è qui riferito come titolo al Cristo per quanto
ha fatto per gli uomini e che lo rende gradito a Dio) che esprime al massimo il
dono salvifico nella sua gratuità e universalità.
Con i vv. 3-5a si prospetta piuttosto la dimensione positiva della vita
cristiana. Il vocabolario è quello di tipo (anti) gnostico-sapienziale: conoscere =
amare; menzogna/verità = non osservare/osservare i comandamenti di Dio. Così il
vero criterio di vita cristiana non è attestazione astratta e teorica, ma
l’attualizzazione fattiva e concreta della parola di Dio; non una consapevolezza
interiore e statica, ma l’osservanza dei comandamenti divini.
Alla ricezione del dono del perdono/salvezza di Gesù Cristo corrisponde
(deve corrispondere, per coerenza e concretezza) la risposta esigente dell’uomo
che mette in atto le implicanze legate al dono. Nel fare di Dio scaturisce il fare
dell’uomo: appunto, l’”amore di Dio”, cioè di Dio verso l’uomo (genitivo
soggettivo) e dell’uomo verso Dio (genitivo oggettivo). Ed è in questo circolo
completo che sta la perfezione, la pienezza di vita cristiana: l’amore concreto e
fattivo di Dio e del credente, grazie alla testimonianza umana del Cristo.
3. MEDITATIO
a/ “PERCHÉ SIETE TURBATI?”
Di fronte ad un assassinio (non passa giorno che non ci arrivi questa
amara notizia) le reazioni più vive e profonde sono due. La prima è una reazione
di sconforto, quasi di impotenza. E se ne cercano i segni sul volto e nelle parole
innanzitutto degli altri per sentirsi poi contagiati e giustificati a nostra volta.
L’altra reazione è quella che si esprime nella volontà di resistere, di opporre alla
violenza del male la ragione del bene. R. Guardini, in un suo bel saggio, dice che
queste due reazioni insieme compongono il ritratto della malinconia:
“Ciò che noi chiamiamo vita non è affatto una cosa univoca, a
significato unico. Ciò che noi chiamiamo vita è piuttosto dominato da una
coppia di impulsi fondamentali ed opposti; il primo, una volontà di esistere, di
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affermarsi, di svilupparsi, di elevarsi; il secondo, una volontà di togliersi di
mezzo, di perire” (“Ritratto della malinconia”, in Pensatori religiosi, p. 93).
Reazione di sconforto per cui “non c’è nulla per cui valga la pena di
esistere [...], che sia degno che noi ce ne occupiamo” da una parte; e dall’altra il
sentimento profondo e vivo, mortificato ma non vinto, di quanto la vita sia piena
di significato, di ricchezza e di bellezza per cui “vale la pena di resistere”.
Sarebbero questi i tratti dell’uomo malinconico”.
Non è da escludere che questi tratti componessero lo stato d’animo dei
discepoli di Gesù all’indomani della sua morte violenta. Ne danno testimonianza
quanto mai esplicata i due discepoli di Emmaus in fuga dalla città: “Speravamo
che fosse lui a liberare Israele...” (Lc 24,21). Il dubbio sulla efficacia liberante del
vangelo di Gesù non alimentava solo la malinconia dei due discepoli di Emmaus,
ma anche quella degli apostoli, di Pietro e di Giovanni. Non è da escludere che
possa continuare ad alimentare quella dei discepoli venuti dopo, anche ai nostri
giorni.
Ma, come allora anche oggi, al superamento (ma forse è meglio dire alla
“conversione”) di questa radicale malinconia del discepolo è teso il messaggio di
Pasqua. Proviamo a fissare insieme alcuni aspetti di questa “conversione”
pasquale del cristiano dalla malinconia alla gioia.
b/ CONVERSIONE COME “CONOSCENZA DI SÉ”
Un primo aspetto di questa “conversione” si chiama “conoscenza di sé”.
Fare Pasqua è innanzitutto il cammino di chi impara a conoscersi, a ritrovarsi, a
non sfuggire a se stesso: “l’arte di ritrovarsi” (Paolo VI).
“Strani questi uomini
- scriveva sant’Agostino all’indomani della sua
conversione -: girano il mondo per ammirare le vette dei monti, scandagliare
gli abissi del mare [...] e trascurano se stessi, non conoscono se stessi”.
(Confessioni, X, 8,16)
Conoscersi, scoprirsi per quello che si è, trovare il nostro vero volto, alla
luce di Dio: è questo il primo passo di chi vuol fare Pasqua. Conoscersi alla luce
di Dio significa conoscersi alla luce della croce, che del mistero di Dio è
rivelazione suprema.
È quanto esorta a fare l’apostolo Pietro rivolgendosi al popolo: “Il Dio di
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Abramo, di Israele e di Giacobbe [...] ha glorificato il suo servo Gesù che voi
avete consegnato e rinnegato [...]. Pentitevi dunque e cambiate vita, perché
siano cancellati i vostri peccati” (1a lettura, vv. 13.19). La croce di Cristo invita gli
uomini innanzi tutto a spogliarsi della toga di giudici universali, ad essi non
adatta. Invita gli uomini ad aprire gli occhi sul loro personale peccato, sulla loro
personale complicità nei confronti dell’ingiustizia pubblica. Invita gli uomini a
pentirsi davanti a Dio.
Era questo - se ci si pensa bene - il significato di quel gesto sacramentale
della confessione a cui invitava la Pasqua. Confessarci davanti a Dio nella chiesa è
appunto quest’arte di conoscerci, di ritrovare la verità di noi stessi, a partire da
quella dei nostri stessi errori.
c/ CONVERSIONE COME RITORNO ALLA SPERANZA
L’altro aspetto per cui la Pasqua è luce di conversione si chiama
“conoscenza del proprio destino”.
In un romanzo di Ferruccio Parazzoli compare questa osservazione:
“Perché nessuno scrive sui muri di tutte le strade che il nostro corpo, proprio
questo corpo dalla testa ai piedi, ritornerà?”.
L’insistenza di questo aspetto è evidente nei vangeli, in particolare nel
vangelo di oggi, scritto non sui muri ma riflesso nell’animo dei discepoli “stupiti e
spaventati” di fronte al Signore risorto “credendo di vedere un fantasma”. “Perché
siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i
miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne ed
ossa come vedete che io ho!” (vv. 35-37).
Dunque ha ragione un teologo che dice: “Custodite la parola risurrezione! Non
scambiatela con nessun’altra! Non con sopravvivenza, non con immortalità, non
con trasformazione, neanche con progresso, non con riforma, neppure con
rivoluzione. Custodite la parola risurrezione, anche se supera, come supera,
ogni vostra capacità di immaginazione” (Paolo Ricca)
Paradossalmente si può dire che è dalla risurrezione che scaturisce il
principio della nostra identità e responsabilità nei confronti della stessa vita
presente.
Gioia e dolore non si comprendono se non proiettati in questa dimensione.
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E viceversa l’ignoranza, più o meno colpevole, di questo esito della nostra vita
non può che essere una delle radici dell’attuale violenza. Perché essa è così
diffusa, oggi?
In una lettera mandata a “La Repubblica” un’eroinomane ha scritto:
“Ormai non spero più di riuscire a vivere come vorrei, e allora, per lo meno, vorrei
morire come mi pare”. L’istinto di morte, quando non agisce all’esterno sugli altri
(violenza) opera la sua disgregazione nel soggetto, dall’interno su di sé
(disperazione).
In questa situazione noi credenti abbiamo una grande responsabilità.
Siamo comandati a sperare. Ce lo ricorda l’apostolo Pietro: “Dovete essere sempre
pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”
(1Pt 3,15). E per questo abbiamo pregato all’inizio di questa assemblea: “Esulti
sempre il tuo popolo, o Padre, per la rinnovata giovinezza dello Spirito, e come
ora si allieta per il dono della dignità filiale, così pregusti nella speranza il giorno
glorioso della Risurrezione,” (“colletta”).
COLLATIO
1/ Si faccia innanzitutto attenzione al ritorno dei due discepoli da
Emmaus dopo l’incontro con il Signore risorto. Anche questo ritorno può essere
qualificato come un cammino di conversione, come quello del figlio prodigo, di
Agostino nelle Confessioni, di Charles de Foucauld quando, in cerca dell’abbé
Huvelin, capita nella chiesa di S. Sévérin a Parigi.
2/ Ma poi al cuore del cammino di conversione sta la buona notizia. È
questa la notizia o annuncio del perdono che ha sorpreso i discepoli al loro rientro.
Ha sorpreso anche Charles de Foucauld quando, trovato il prete che cercava - con
il quale pensava innanzitutto di discutere i suoi dubbi -, si sente dire: “Prima cosa,
inginocchiati e confessati”. “Confessarsi” è questo rientrare in se stessi, imparare
a conoscersi per quello che si è. Non è tuttavia un avvilupparsi incupiti e rattristati
su di sé e sul proprio passato, ma un ritrovare gioiosi e liberi le ragioni ideali del
vivere, riprendendo in positivo il cammino della speranza.
3/ Verso quale speranza? Che cosa sono io? Che cosa valgo? Che cosa
conto se penso alla folla incalcolabile di uomini che sono venuti prima di me e
verranno dopo? Sono questi alcuni interrogativi che l’attuale società rende più
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acuti con i suoi caratteri di burocratizzazione, robotizzazione, anonimato.
Problema angoscioso questo della difesa della propria identità che viene vissuto
oggi in forme nevrotiche. “Sono proprio io! - assicura il Risorto -. Toccatemi e
guardate! Un fantasma non ha carne ed ossa come vedete che io ho” (v. 39). In
questa luce il cammino della nostra vita non procede verso il vuoto, il nulla o il
gran grembo della materia dove tutto è smemoratezza e incoscienza, bensì verso
Qualcuno.
4. ORATIO
a/ “RISPLENDA SU DI NOI LA LUCE DEL TUO VOLTO”
“Toccatemi e guardate: sono proprio io!” (Lc 24,39).
- “Sulla realtà del suo corpo, cosa c’è di più chiaro?... Volendo essere
creduto così come lo avevano ritenuto, confermava di essere quello che essi
avevano pensato, cioè il Cristo del creatore, il redentore di Israele” (Tertulliano,
Contro Marc. IV,43,6.5).
- La gioia di vederti ci impedisce di riconoscerti: Signore Gesù,
manifestati, vieni e guarisci la nostra cecità.
- Tu che hai detto: “Io sono la luce del mondo” (Gv 8,12): facci
comprendere le Scritture; arde il nostro cuore mentre ci parli (cf Lc 24,32).
- “Tu che fai splendere il volto del sole sui buoni e sui malvagi, fa
risplendere il tuo volto su di noi, fa sì che quanto ci era nascosto divenga
manifesto, e ciò che esisteva, ma per noi era celato, ci sia rivelato, cioè appaia
in piena luce” (Agostino, Sul Salmo 66,4).
- “Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto” (Sal 26,8-9).
- “Contempliamola incessantemente questa immagine di Dio, affinché
possiamo trasformarci a sua somiglianza” (Origene, Sulla Genesi 1,13).
- “Con perseveranza insisterò in questa ricerca; non cercherò qualcosa
di poco conto, ma il tuo volto, Signore, per amarti gratuitamente, dato che non
trovo niente di più prezioso”
(Agostino, Sul Salmo 26,1,8).
- “Il Signore è la mia luce e mia salvezza” (Sal 26,1).
- “Egli mi illumina, vadano indietro le tenebre; egli mi salva, si allontani
la debolezza; procedendo saldo nella luce, chi temerò? [...] Il Signore illumina, noi
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siamo illuminati; il Signore salva, noi siamo salvati” (Agostino, Sul Salmo
26,11,3).
- Apri, Signore, il nostro cuore, e comprenderemo le parole del Figlio
tuo! “Se hai accolto in te la parola di Dio, se hai ricevuto da Gesù “acqua viva”
e l’hai ricevuta con fedeltà, anche in te si farà una fonte di acqua viva che sale
fino alla vita eterna” (Origene, Sulla Genesi 12,40.43).
- Luce dei viventi, che mostri agli erranti il cammino, spezza per noi il
pane della tua Parola, perché possiamo lodarti nelle tue meraviglie.
- “È impressa in noi la luce del tuo volto, Signore”. Questa luce è il
completo e vero bene dell’uomo, che si vede non con gli occhi ma con lo spirito
[...]. Non dobbiamo dunque cercare la gioia fuori, presso coloro che, ancora
duri di cuore, amano la vanità e ricercano la menzogna, ma dentro, ove è
impressa la luce del volto di Dio [...] cioè in quel recesso in cui si deve pregare”
(Agostino, Sul Salmo 4,8).
- “Immoliamo una vittima di giubilo, immoliamo una vittima di gioia,
immoliamo una vittima di riconoscenza, una vittima di azione di grazie, quella che
le parole non possono esprimere” (Agostino, Sul Salmo 26,11,12).
b/ “PACE A VOI”
- “Entrando disse: “Pace!” (Lc 24,36).
- Pace a voi, che siete lontani; pace a voi, che siete vicini. “Io vi guarirò,
dice il Signore (cf Is 57,19).
- “Questo è il primo saluto che egli rivolse ai discepoli dopo la
risurrezione [...]. Dopo aver posto fine alla tristezza di tutti, annuncia le gloriose e
mirabili opere della croce, che consistono nella pace” (Giovanni Crisostomo, Su
Gv 86,3).
- “Quale pace dà Dio? Quella che dà il mondo? Il Cristo dice che non è
questa che egli dà [...]. Se la terra è buona - quella che porta come frutto il
cento o il sessanta o il trenta - riceverà da Dio quella pace [...], la pace di Dio
che supera ogni intelligenza. Questa è dunque la pace che Dio dà sulla nostra
terra” (Origene, Sul Lv 16,5).
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- “Prima di ascendere al cielo [...] Gesù lasciò a noi tutti, per mezzo degli
apostoli, la pace come nostro riparo [...]. La pace è stata data a tutti i cristiani, e
perciò, nel definirla “mia”, è chiaro che essa è un dono di Dio; e in quanto Gesù
dichiara: “Io la do a voi”, non solo intese dire che essa era “sua”, ma che
apparteneva a tutti coloro che credono in lui” (Ottato, La vera chiesa, I,1).
“Ai poveri porta l’annuncio: saranno i primi nel regno dei cieli, saranno
chiamati popolo di Dio, farà con loro un’alleanza eterna” (Inno dell’Avvento,
Ufficio di Valserena).
- “Io sono con voi tutti i giorni” (Mt 28,20).
“È il tempo in cui il Signore promette ai suoi discepoli e alla sua chiesa
una veglia eterna” (Cromazio di Aquileia, Su Mt 52,5).
“Infatti vuole abitare in questo corpo della sua chiesa, e in queste membra
del suo popolo [...] per averne tutti i movimenti e tutte le opere secondo la sua
volontà” (Origene).
“Nel tabernacolo del grembo di Maria, Cristo dimorò nove mesi; nel
tabernacolo della fede della chiesa, sino alla fine del mondo; nella conoscenza
e nell’amore dell’anima fedele, per l’eternità” (Isacco della Stella, Serm. 51).
- Noi ti ringraziamo, Signore, per il tuo regno di pace stabilito nella nostra
terra. Guariscici da ogni incredulità, perché possiamo fruire della tranquillità e del
riposo eterno che ci hai portato.
- Noi ti ringraziamo, Signore, per il dono della pace. Il tuo “sole di
giustizia” splenda davvero nei nostri cuori, e la nostra pace si estenda “fino ai
confini della terra” (Ml 4,2; cf Mi 5,3).
- Noi ti ringraziamo, Signore, perché tu che sei la nostra pace, per donarci
la pace non disdegni le porte chiuse dei nostri egoismi e delle nostre paure. “Fa
risplendere su di noi la pace del tuo volto”, sicché il nostro desiderio di trovarti
abbia in te stabilità e riposo.
Tu, Signore, sei la nostra pace. Tu il riposo da ogni nostra fatica. Lode a te
nei secoli!
“Preghiamo [...] che Gesù regni su di noi e la nostra terra abbia riposo
dalle guerre; [...] allora ognuno riposerà sotto la sua vite, il suo fico e il suo ulivo.
Infatti l’anima che ha ricuperato in sé la pace della carne e dello spirito, riposa
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all’ombra del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Origene).
- “Signore, tu ci concederai la pace” (Is 26,12). Allora “la nostra terra darà
il suo frutto” (Sal 85,14).
c/ “AVETE... DA MANGIARE?”
- “Preparerà il Signore [...] un banchetto di cibi succulenti, di vini raffinati
[...]. E si dirà in quel giorno: “Ecco il nostro Dio; [...] questi è il Signore in cui
abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo” (Is 25,1.9).
- “Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato?” (Sal 116,12).
- “Sono davanti a te come terra riarsa” (Sal 143,6).
- Tu mi nutri e mi chiedi di saziarti.
- Tu mi appari, mi dai la pace - e la gioia della tua presenza mi intimidisce
e mi spaventa.
- Tu mi inviti al banchetto - e già porti alla mia mensa la tua amicizia.
Signore, tu mi precedi sempre. Non ho che il mio piccolo pesce da offrirti:
quello che tu stesso mi hai donato perché lo distribuissi...
E tu, “pesce grandissimo e puro” (Abercio), te ne cibi, lo trasformi e me lo
rendi moltiplicato, perché, a mia volta, possa distribuirlo moltiplicato ed
ingrandito a chi, come me, ha fame di te e della tua parola.
- Tu sei Pane disceso dal cielo: io ti ringrazio, o Signore.
- Tu sei Pesce che ti doni: ogni giorno ti offri per diventare mia carne e
mio cibo: io ti ringrazio, Signore.
- Tu sei l’Agnello immolato: togli il mio peccato; togli il peccato del
mondo, tu che, come nostra Pasqua, sei stato immolato.
Quando si strappa dalla terra la speranza dell’anima e la si proietta nei
cieli collocandola nelle realtà che occhio non vide, orecchio non udì, e non sono
salite al cuore dell’uomo, tutte queste cose sono le carni del Verbo di Dio. Chi può
cibarsene con intelligenza perfetta e cuore purificato, costui immola veramente il
sacrificio della festa di Pasqua, e celebra un giorno festivo con Dio e i suoi angeli”
(Origene) .
5. OPERATIO
a/ ITINERARIO DI EMMAUS
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È giusto affermare, come si suggerisce nella meditatio, che noi cristiani
abbiamo una grande responsabilità: siamo “condannati” alla speranza.
Le liturgie di queste domeniche pasquali tracciano itinerari di fede. Il
brano evangelico ci mette sulle orme dei discepoli di Emmaus, quando ormai sono
in dirittura d’arrivo. “L’itinerario dischiuso dalla parola di Gesù incrocia lo
sconsolato viaggio di ritorno dei due discepoli e lo fa diventare un cammino di
speranza, un progressivo avvicinamento ai progetti di Dio, un pellegrinaggio
verso la Pasqua, l’eucaristia, la chiesa, la missione fino agli estremi confini
della terra” (C.M. Martini, In principio la Parola, n. 2).
Il momento finale è il riconoscimento di Cristo risorto e vivo.
b/ DENTRO LA COMUNITÀ
Ma dentro la comunità non tutto corre liscio. C’è ancora spavento, stupore
e turbamento. La pazienza di Gesù ha del sorprendente. Passa dal “toccare” al
“mangiare”, dal “Messia che doveva patire” fino allo slancio finale: “Di questo mi
sarete testimoni” (v. 48). Agli apostoli, ancora nel timore di finire come il
condannato a morte, chiede di uscire allo scoperto.
La 1a lettura (v. 13) ci riporta una coraggiosa “omelia” di Pietro, da
spaurito “fondamento” della chiesa, a testimone di risurrezione.
Il cammino pastorale delle nostre comunità è, talora, incerto:
programmato, rifinito, ma aritmico. Si sofferma, quando non si arena, a
programmare catechesi a tutti i livelli. Celebra eucaristie degne delle più belle
tradizioni, ma quando la comunità esce di chiesa, pare che non abbia “buone
notizie” da dare. Al massimo se ne incaricano gli “addetti ai lavori”.
L’esortazione del papa: Christifideles laici è venuta a confermare, a
vent’anni dal concilio, “la vocazione e la missione dei laici nella chiesa e nel
mondo”. “Il Signore affida ai fedeli laici, in comunione con gli altri membri del
popolo di Dio, una grande parte di responsabilità” (n. 32). La Nota CEI: La
chiesa italiana dopo Loreto ha sintetizzato: “Missione è avere il coraggio di
amare senza riserva” (n. 51). Parla anche di “soprassalto”, ma non pare che di
scossoni se ne siano constatati tanti.
La parola di Dio è ancora uno stimolo ripetuto. Sentire proclamare: “Di
questo mi sarete testimoni” (v. 48) e rimanere indifferenti, come se non fossimo
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interpellati, sa di anacronistica appartenenza ad una chiesa per sua natura
missionaria.
c/ COME ESSERE TESTIMONI
Chi ha fatto esperienza autentica di Cristo, come Tommaso, come i
discepoli di Emmaus, come la comunità titubante e poi rinfrancata di
Gerusalemme, non può che essere contagioso, perché è testimone. È ciò che
ricorda Paolo VI nella Evangelii nuntiandi (n. 21) con quella serie martellante di
“ecco”, in un crescendo coinvolgente e che sintetizza al n. 41: “L’uomo
contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, e se ascolta i
maestri lo fa perché sono dei testimoni”.
Il documento CEI, Comunione e comunità missionaria, indica le vie
principali che una efficace missione della chiesa nel mondo deve percorrere. Si
possono raccogliere in sintesi, anche così:
1/ Nuovo stile di vita (n. 34). La via del cambiamento interiore è
essenziale alla missione della chiesa, perché conduce il credente a irradiare la fede
attraverso i suoi comportamenti coerenti: di adorazione e fedeltà a Dio, di
adesione personale a Cristo e dunque di solidarietà e di servizio al prossimo, di
coraggio nella prova, di fiducia nel bene, di dominio di sé di fronte al male
ricevuto e alla violenza subita, di temperanza nell’uso dei beni terreni. E quando
sarà chiamato a svolgere la sua azione nelle strutture comunitarie e pubbliche, in
coerenza con la fede e la morale cristiana, il cristiano dovrà dare garanzia di
competenza, di moralità, di chiarezza e di collaborazione dialogante (cf La chiesa
italiana e le prospettive del paese, n. 35).
2/ La promozione dei valori morali (Com. e com. missionaria, n.
49). Molta gente ricerca una superiore qualità di vita, ha nostalgia di valori umani,
ma non osa o non osa più chiamarli con il loro vero nome. Compito primario della
missione della chiesa e di ogni cristiano è quello di risvegliare nelle coscienze
personali e in quella nazionale, il vero senso della dignità della persona umana.
3/ La presenza testimoniante della comunità (n. 35). Là dove la
comunità esiste è già di per se stessa una proclamazione silenziosa, forte e
stimolante della buona novella. Tentare da navigatori solitari c’è il rischio di finire
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naufraghi senza speranza di ritorno e di perdere la rotta. Modello sempre attuale di
questa testimonianza è, con i suoi difetti, la chiesa di Gerusalemme: assidua
nell’”ascoltare l’insegnamento degli apostoli”, nell’”unione fraterna”, nella
“frazione del pane” e nelle “preghiere”. “Essa godeva della stima di tutto il
popolo” (At 2,48).
Eppure c’è la sensazione che, in questo campo, si stia andando verso una
fase di riflusso, di stanchezza e di ritorno alla comoda delega. Per i parroci il
discorso della partecipazione e della corresponsabilità non è accondiscendenza a
una moda innovativa o al mimetico tatticismo. I discepoli di Emmaus, entrati in
comunità ancora indefinita e disfatta, portano la loro certezza di avere incontrato il
Cristo risorto. All’interno della comunità trovano conferma dall’insegnamento
diretto del Maestro e rinverdiscono le loro speranze. Ci sono tutte le condizioni
per essere mandati a dare testimonianza.
La risurrezione è il punto centrale e costituisce la specificità di tutto il
cristianesimo. Si può ruotare attorno finché si vuole, per aggirare ipotetici ostacoli
o prendere inutili scorciatoie. Fino a quando questa verità unica, centrale e
discriminante non viene accettata nella potenza squassante che contiene, si girerà
a vuoto, in cerca di spiegazioni che non giustificano e non soddisfano, soltanto
perché non esistono.
La nuova evangelizzazione che porta a nuove comunità, attende ancora di
essere presentata nella giusta luce, per cambiare quella mentalità di contenimento,
che il concilio ha spazzato via almeno da ormai venticinque anni.
SONO IO, IN PERSONA! TOCCATEMI E GUARDATE 24,36-49
35 Ed essi raccontarono le cose lungo la via
e come fu riconosciuto da loro nello spezzare del pane.
36 Ora, mentre essi parlavano di queste cose;
egli stette in mezzo a loro
e dice loro: Pace a voi.
37 Ora, terrorizzati e impauriti,
pareva loro di vedere uno spirito.
38 E disse loro: Perché siete turbati,
per quale motivo salgono ragionamenti nel vostro cuore?
39 Guardate le mie mani e i miei piedi:
17
Sono io, in persona!
Toccatemi e guardate,
perché uno spirito
non ha carne e ossa
come vedete che io ho.
40 E, detto questo, mostrò loro le mani e i piedi.
41 Ora, non credendo essi ancora per fa gioia
e meravigliandosi,
disse loro: Avete qui qualcosa da mangiare?
42 Ed essi gli diedero una porzione di pesce arrosto.
43 E, preso, davanti ai loro occhi mangiò.
44 Ora disse loro: Queste le mie parole
che dissi a voi mentre ero ancora con voi:
Bisogna che sia compiuto
tutto quanto è scritto
nella legge di Mosè e nei profeti e nei salmi su di me.
45 Allora spalancò la loro mente
per intendere le Scritture.
46 E disse loro: Così è scritto:
Avrebbe patito il Cristo
e si sarebbe levato dai morti il terzo giorno
47 e sarebbe stata proclamata nel suo nome
la conversione e la remissione dei peccati
a tutte le nazioni iniziando da Gerusalemme.
48 Voi testimoni di queste cose.
1. Messaggio nel contesto
«Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete!» (10,23). È la santa
invidia nostra e di Luca per i primi discepoli, che videro colui che ci testimoniarono.
Qui ci narra come anch’essi, pur avendolo visto e toccato, devono, come noi,
riconoscerlo e credergli attraverso la memoria della sua parola e il suo banchetto (vv.
36-45).
La Parola e il pane sono la presenza costante del Risorto nella sua chiesa. Con
la prima ci spiega la promessa di Dio e ci tocca scaldandoci il cuore; con il secondo ci
apre gli occhi sulla sua realizzazione e si fa vedere nel dono di sé (vv. 13-35). In
questo modo anche noi sperimentiamo in prima persona la verità di quanto ci hanno
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trasmesso i testimoni oculari (1,2) e facciamo nostro il loro grido di meraviglia per la
grande opera di Dio: «Veramente il Signore è risorto, e fu visto da Simone» (v. 34).
In questo brano Luca collega direttamente il nostro riconoscerlo con
l’esperienza di Simone e degli altri con lui. La differenza tra noi e loro sta nel fatto
che essi contemplarono e toccarono la sua carne anche fisicamente, noi invece la
contempliamo e tocchiamo solo spiritualmente, attraverso la testimonianza della loro
parola e il memoriale eucaristico (cf. 1Gv 1,1ss).
Luca insiste molto sulla corporeità del Signore risorto. È in polemica con
l’ambiente ellenistico, che credeva all’immortalità dell’anima, ma non alla
risurrezione dei corpi (At 17,18.32; 26,8.24). Con questa sta o cade sia la promessa di
Dio che la speranza stessa dell’uomo di superare il nemico ultimo, la morte (1Cor
15,26). Questa vittoria è frutto dell’albero della croce, dove ci è offerta la solidarietà
di Dio col nostro male.
Chiave di lettura e sintesi delle Scritture («così è scritto», v. 46) è il
Crocifisso, che ci offre la visione di un Dio che è amore e misericordia infinita. La sua
risurrezione è quasi un corollario, che conferma da una parte la sua divinità e dall’altra
il dono che è venuto a portarci.
Nel suo nome si annuncia a tutti la conversione e la remissione dei peccati (v.
47). In lui infatti vediamo la verità di colui dal quale la menzogna ci fece allontanare,
e torniamo a volgerci a lui, che è la nostra vita. Ai piedi della croce cessa la nostra
paura di Dio e la nostra fuga da lui, perché vediamo che lui da sempre è rivolto a noi e
per sempre ci perdona. I discepoli saranno testimoni di questo (v. 48): faranno
conoscere a tutti i fratelli il Signore Gesù come nuovo volto di Dio e salvezza
dell’uomo.
La forza di questa testimonianza è lo Spirito santo, la potenza dall’alto (v.
49). Come scese su Maria, scenderà su di loro (1,35; At 1,8; 2,1ss.33). L’incarnazione
di Dio nella storia non solo continua, ma giunge così al suo stadio definitivo. Siamo
negli ultimi giorni (At 2,17), in cui si vive ciò che è per sempre. Dio ha reso perfetta la
sua solidarietà con l’uomo: al tempo degli antichi fu «davanti a noi» come legge per
condurci alla terra promessa; al tempo di Gesù fu «con noi» per aprirci e insegnarci la
strada al Padre; ora, nel tempo della chiesa, è «in noi» come vita nuova. Il Padre nel
suo amore ci ha donato il Figlio; il Figlio, nello stesso amore, ci ha donato il suo
Spirito; ora lo Spirito è la nostra vita piena nel Figlio, in cui amiamo il Padre e i
fratelli. Il seme già è piantato e germogliato. Deve crescere e portare la pienezza del
suo frutto, fino a quando Dio sarà tutto in tutti (1Cor 15,28). Allora sarà la festa del
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raccolto.
Gesù ha terminato la sua missione. Noi la continuiamo nello spazio e nel
tempo. In lui e come lui, ci facciamo prossimi a tutti i fratelli, condividendo con loro
la parola e il pane, curando con l’olio e il vino le loro ferite mortali. Da Gerusalemme
fino agli estremi confini della terra, l’universo e quanto contiene, tutto sarà ricolmo
della Gloria. Allora l’uomo avrà ritrovato pienamente se stesso. E sarà salvo, lui e la
sua storia.
2. Lettura del testo
v. 35: «raccontarono le cose lungo la via, e come fu riconosciuto». Colui che «fu
visto da Simone» è il medesimo che anche noi «riconosciamo». Il Vivente ci è venuto
incontro mentre scendevamo da Gerusalemme. Ci ha visto: ci si è fatto vicino, ci ha
medicato con il suo olio e il suo vino. Il nostro cuore ha ricominciato ad ardere,
intuendo nella sua parola la verità nostra e di Dio; i nostri occhi si sono spalancati,
riconoscendolo nel pane. Ormai lui è in noi e noi in lui. Il nostro cammino diventa il
suo. L’eucaristia si fa missione: diventiamo suoi testimoni, iniziando da Gerusalemme
fino agli estremi confini della terra. La nostra vita è la sua stessa: quella del Figlio che
va verso i fratelli. Avendo sperimentato la cura del Samaritano per noi, possiamo
obbedire al suo comando che ci dà la vita eterna; «Va, e anche tu fa lo stesso» (10,37).
L’incontro con lui attraverso la Parola e il pane continuamente ci guarisce: i nostri
piedi si volgono dalla fuga al suo stesso cammino, il nostro volto passa dall’oscurità
della tristezza alla luce della gioia, la nostra testa, senza cervello, si dischiude alla
comprensione, il nostro cuore, raggelato e lento, comincia a pulsare e ardere, i nostri
occhi, appannati dalla paura, si aprono a contemplare lui, e la nostra bocca, indurita
nel litigio col fratello, canta lo stesso alleluia di tutti i salvati della storia. Siamo nati, e
continuamente nasciamo, come uomini nuovi.
v. 36: «mentre parlavano essi di queste cose». La Parola e lo spezzare del pane
mettono i due discepoli pellegrini in comunione con quelli di Gerusalemme. La loro
esperienza si confronta ed entra in dialogo anzi in comunione con quella di Simone e
degli altri, che ora verrà descritta. Anche Paolo, che incontrò il Risorto sulla via da
Gerusalemme a Damasco, tornerà «a Gerusalemme a consultare Cefa», per non
trovarsi «nel rischio di correre o di aver corso invano» (Gal 1,18: 2,2). Ogni credente
è chiamato a verificare la propria esperienza su quella dei primi, e a unirsi ad essa.
Quando essi lo videro, fu anche per tutti gli altri, che, attraverso la loro testimonianza,
crederanno, lo riconosceranno e lo ameranno pur senza vederlo (Gv 20,29; 1Pt 1,8;
20
1Gv 1,14).
«stette in mezzo a loro». La sua presenza è ovunque se ne parla. Non è impedita
nella sua azione da leggi spazio-temporali. È il Signore sia di chi è per via, sia di chi è
in casa. Si fa vicino a tutti; nessuno è sottratto alla sua azione salvifica. Egli ora si
pone definitivamente al centro della cerchia dei suoi.
«Pace a voi». Shalóm è il baciarsi di ogni desiderio dell’uomo con la promessa di
Dio. È il suo dono definitivo. Cantata dagli angeli sul presepio, è ora donata dal
Crocifisso risorto a tutti gli uomini. L’annuncio della pace fa da inclusione alla sua
vita, che ne è la rivelazione e il dono pieno. Gesù infatti è l’Amen totale di Dio
all’uomo e dell’uomo a Dio (cf. 2Cor 1,20). La pace, segno indubitabile della
presenza di Dio, è l’insieme armonico dei molteplici aspetti dell’unico frutto dello
Spirito.
v. 37: «terrorizzati e impauriti». La pace di Dio eccede talmente la nostra piccolezza,
che dapprima ci sconvolge. Rompe e dilata il nostro cuore, per farne il recipiente
capace di contenerla.
«pareva loro di vedere uno spirito». Per un greco lo spirito è in contrapposizione al
corpo. Paolo invece parla di «corpo spirituale» (1Cor 15,44). Non è qualcosa di
incorporeo o un fantasma (cf. Mc 6,49), ma un corpo materiale vivificato dallo Spirito
di Dio. Un corpo si differenzia in vegetale, animale, umano o spirituale secondo il
diverso principio vitale che lo anima, che è rispettivamente vegetativo, animale,
razionale o divino. Su queste cose e su come sarà il corpo glorioso vedi 1Cor 15,3558.
v. 38: «Perché siete turbati». Anche Maria rimase perturbata circa il significato
dell’annuncio dell’angelo (1,29). I discepoli però sono turbati perché pensano che lui
non sia il Risorto in persona, ma il suo fantasma di morto.
«per quale motivo salgono ragionamenti nel vostro cuore?». Dal cuore salgono i
ricordi. Ma ogni memoria passata è necessariamente di morte. La risurrezione è una
sorpresa incredibile. Ai discepoli sembra di sognare (cf. Sal 126,1). Dio realizza la sua
promessa: «Ecco, io creo nuovi cieli e nuova terra. Ecco, faccio una cosa nuova;
proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Non risalgano più dal vostro cuore le
antiche paure» (Is 65,17; 43,19; 65,16 LXX).
v. 39: «Guardate le mie mani e i miei piedi». Le mani e i piedi, segnati dai chiodi,
fanno innanzitutto vedere l’identità del Risorto con il Crocifisso, la continuità storica
tra croce e risurrezione. Il corpo, che è loro presente, è quello stesso che è assente dal
sepolcro. I segni di vittoria della morte sono ora segni della sua sconfitta. Contro ogni
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falso spiritualismo (docetismo), il corpo è molto importante: «Ogni spirito che
riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne è da Dio» (1Gv 4,3). È vero che il
Crocifisso è risorto. Ma il vero mistero è che il Risorto è il Crocifisso. Questo è
quanto vogliono chiarire i Vangeli, e quanto i discepoli sono da sempre portati a
ignorare.
«Sono io». «Sono io» = JHWH: è il nome di Dio. Le mani, i piedi (e il costato) sono
i segni di colui che è stato trafitto. Ci fanno vedere il Signore (cf. Gv 19,37; 20,20).
«Toccatemi e guardate». Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete! Beate le
mani che toccano quello che voi toccate! Anche noi, attraverso la loro testimonianza,
siamo invitati con loro a toccare e vedere il Signore per partecipare alla loro stessa
gioia (cf. 1Gv 1,14). C’è un palpare e vedere più profondo di quello fisico, un tocco e
una vista spirituale, un gusto interiore, con pace e sbigottimento, adorazione ed
esultanza grande. Principio è l’ascolto della Parola, più dolce del miele (Sal 119,103);
apice è la comunione eucaristica, in cui riceviamo il pane dal cielo, «capace di
procurare, ogni delizia e soddisfare ogni gusto» (Sap 16,20)
v. 40: «mostrò loro le mani e i piedi». È il mostrarsi di «Sono-io» in persona. Le
mani e i piedi, con le ferite del suo amore crocifisso, sono l’ostensione che Dio fa di
sé al mondo. E noi gioiamo. come i discepoli (Gv 20,20), perché vediamo il Signore
direttamente così com’è in sé: amore per noi.
v. 41: «non credendo... per la gioia». Si può non credere per delusione, come i due
di Emmaus. Ma anche per paura di illusione, come questi: «È troppo bello per essere
vero!». Il mestiere di Dio è proprio fare quell’impossibile che all’uomo risulta
necessariamente incredibile. Il suo dono supera sempre ogni attesa.
«Avete qui qualcosa da mangiare?». Luca presenta gran parte dell’attività di Gesù
a tavola o in cammino. Egli insiste molto sul mangiare di Gesù risorto per indicare la
sua corporeità. La chiesa ne fece subito una lettura eucaristica.
v. 42: «pesce arrosto». Richiama Giovanni, dove si dice che nessuno più osava
chiedergli: «Chi sei?», poiché sapevano bene che era il Signore (Gv 21,12). infatti il
suo corpo, realmente risorto, ha già aperto anche il nostro sepolcro: «Riconoscerete
che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe» (Ez 37,13). Già prima di morire
aveva preso, spezzato e dato il pane e il pesce (9,10ss). Ora, risorto, condivide il pane
con quelli di Emmaus e il pesce con questi. Nel pesce arrosto si vide un’allusione al
Cristo morto e risorto: piscis assus, Christus passus. Il pesce vive negli abissi:
catturato e cotto, diviene alimento dell’uomo. Anche il Cristo viene dall’abisso di Dio
e vive in quello della morte: catturato e cotto sul legno della croce (in ara crucis
22
torridum), si fa nostro cibo di vita. Dei codici aggiungono: «un favo di miele»,
simbolo della parola di Dio (cf. Sal 119,103). Si completa così l’interpretazione
eucaristica, con la duplice mensa in cui il Signore si fa riconoscere pienamente.
v. 43: «mangiò». È una dimostrazione della realtà corporea della risurrezione. il
corpo, tempio dello Spirito, è destinato a rivelare la gloria dei figli di Dio. Le prove
con cui Gesù si mostrò vivo sono il farsi vedere e palpare, parlare e mangiare (cf. At
1,34). Esplicitando il senso eucaristico, dei codici aggiungono: «e, presi i resti, li
diede loro».
v. 44: «Queste le mie parole». Richiama l’inizio del Deuteronomio, con il
testamento di Mosè. Questo è il testamento nuovo, del nuovo Mosè.
«mentre ero ancora con voi». «Era con» noi. Ora invece «è in» noi con il dono del
suo Spirito.
«bisogna che sia compiuto tutto quanto è scritto... su di me». Il Risorto ci
ricorda le parole che disse prima di morire e ci fa comprendere il mistero pasquale
come compimento delle Scritture. Tutto quanto c’è nella Bibbia, dice Gesù, «è scritto
su di me», e si compie nella sua morte e risurrezione. La Scrittura tutta parla di lui,
morto e risorto, e trova in lui la verità di ciò che dice.
v. 45. «spalancò la loro mente». Il Risorto, come apre le Scritture alla mente (v. 27),
così apre, la mente alle Scritture: le spiega e piega la nostra durezza a comprenderle. È
il grande prodigio che ci guarisce dalla nostra cecità. Il Risorto finalmente compie il
miracolo che non gli era riuscito in vita: illuminare i discepoli come il cieco di Gerico
(cf. l’inizio e la fine della sua catechesi sul Figlio dell’uomo: 9,45; 18,34). L’Agnello
immolato toglie il duplice sigillo: sia quello che c’è sulla Scrittura, che rivela ciò che
nessuno mai vide (1Cor 2,9), sia quello che c’è sul cuore (2Cor 3,15), che è velato
dalla menzogna antica. Finalmente è levata la maledizione di Isaia: «Per voi ogni
visione sarà come le parole di un libro sigillato: si dà a uno che sappia leggere,
dicendogli: “Leggilo”, ma quegli risponde: “Non posso perché è sigillato”. Oppure si
dà il libro a uno che non sa leggere, dicendogli: “Leggilo”, ma quegli risponde: “Non
so leggere”» (Is 29,11s). Ora, «noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno
specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di
gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2Cor 3,18).
v. 46: «Così è scritto, ecc.». Dopo questo miracolo, che spalanca la mente, tutta la
Scrittura diventa spiegazione della morte/risurrezione del Signore, centro della
rivelazione e dell’annuncio. Anche chi lo ha visto giungerà alla fede - come quella di
Emmaus e quanti verranno dopo - attraverso la sua parola e il suo cibo, che
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guariscono gli occhi e il cuore.
v. 47: «e sarebbe stata proclamata nel suo nome». L’annuncio per Luca diventa
un articolo di fede. Esso è fatto nel nome, cioè, nella persona stessa di Gesù,
l’annunciato. Il discepolo presta la sua bocca a lui, che è presente, vivo e operante
nella parola su di lui. L’annuncio del Signore morto e risorto dilata la salvezza
pasquale nello spazio e nel tempo.
«la conversione e la remissione dei peccati». È il frutto della predicazione che ci
presenta il Signore morto e risorto. In lui finalmente possiamo volgerci a Dio, perché
abbiamo compreso che ci vuol bene e fu un errore fuggire da lui. Questa è la vera
conversione. Il Crocifisso ci mostra che Dio è amore e perdono; il Risorto ci mostra
che l’amore crocifisso e perdonante è Dio.
«a tutte le nazioni». Luca è «cattolico» (= universale). Nessun figlio può essere
escluso dall’amore del Padre. Chi si chiude a uno, non conosce il Padre ed esclude sé
e, con sé, anche il Figlio, che si è fatto ultimo di tutti per salvare tutti, anche chi,
escludendo gli altri, esclude se stesso.
«iniziando da Gerusalemme». Il Vangelo presenta Gesù che va a Gerusalemme.
Gli Atti presentano i discepoli che vanno da Gerusalemme fino agli estremi confini
della terra. Ma unica è la missione: quella del Figlio ai fratelli, per far loro conoscere
il Padre. In Gerusalemme è la sorgente. Da lì esce l’acqua che sazia la sete di tutta la
terra.
v. 48: «Voi testimoni di queste». In At 1,8 Gesù dice: «Mi sarete testimoni». Egli si
identifica con l’annuncio. Testimone (in greco mártyr) significa uno che ricorda. Il
discepolo ricorda il maestro: lo tiene davanti agli occhi e nel cuore, e lo vive nella
quotidianità della vita, fino alla morte. Il Regno altro non è che questo «martirio» di
chi cammina come lui ha camminato, continuando a fare e dire ciò che lui per primo
cominciò a fare e a insegnare (At 1,1).
3. Preghiera del testo
a. Entro in preghiera.
b. Mi raccolgo nel cenacolo insieme agli apostoli e ai discepoli.
c. Chiedo ciò che voglio: gioire sempre poiché il Signore è risorto.
d. Contemplo la scena
4. Passi utili
Gv 20,19-29; 16,5-15; Ap 5.
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