Plasmonica e trasmissione “straordinaria” della luce

Universit`
a degli Studi di Pisa
` DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI
FACOLTA
Corso di Laurea in Fisica
Tesi di laurea triennale
Plasmonica e
trasmissione “straordinaria” della luce
Candidato
Relatore
Pietro Marino
Andrea Macchi
Anno Accademico 2009–2010
Eppur si muove
Indice
Introduzione
1
1 Plasmoni di Superficie: proprietà fondamentali
1.1 Superficie tra due solidi semi-infiniti . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.1.1 Estensione del campo EM e lunghezza di propagazione per i
plasmoni di superficie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2 Sistema a strati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3 Eccitazione dei plasmoni di superficie attraverso un’onda EM esterna
1.3.1 Modifiche della relazione di dispersione per una superficie non
piana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4 Plasmoni di superficie localizzati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4.1 Nanosfera metallica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4.2 Nanocavità dielettriche in un metallo . . . . . . . . . . . . . .
3
3
10
11
11
13
2 Trasmissione “straordinaria” della luce
2.1 Teoria della diffrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2 Apertura singola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.3 Array di aperture . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
15
15
17
20
3 Ulteriori sviluppi
25
Bibliografia
27
Ringraziamenti
29
iii
5
6
9
Introduzione
I plasmoni di superficie hanno suscitato, grazie alle possibili applicazioni, un
grande interesse in molti campi come, ad esempio, nella chimica, nella fisica e nella
biologia. Il loro interesse è stato rinnovato, soprattutto, con le moderne tecniche di
fabbricazione su scale nanometriche, le quali hanno aperto un nuovo capitolo nella
ricerca dell’interazione radiazione-materia portando a quella branca della fotonica
nota come plasmonica.
Uno degli aspetti più attraenti, dei suddetti plasmoni, è il modo in cui possono
concentrare e convogliare la luce usando strutture al di sotto della lunghezza d’onda
considerata, per questo sono i principali candidati per poter miniaturizzare i circuiti
fotonici. Infatti, sebbene i circuiti elettronici possono essere fabbricati a dimensioni al di sotto di 100 nm, non è possibile fare altrimenti con i dispositivi fotonici,
in quanto, la lunghezza d’onda utilizzata è dell’ordine di 1000 nm, e quando le dimensioni del dispositivo sono circa dell’ordine della lunghezza d’onda o addirittura
inferiori, la propagazione delle luce è ostacolata dalla diffrazione.
La tesi tratta le proprietà fondamentali dei plasmoni e in particolare il ruolo
chiave che essi hanno nella trasmissione della luce in strutture di dimensioni al di
sotto della lunghezza d’onda.
Nella prima parte si sono analizzate le proprietà fondamentali dei plasmoni di
superficie, i quali sono onde elettromagnetiche, che si propagano lungo la superficie
di un conduttore. Per caratterizzare tali plasmoni si ricava la loro relazione di
dispersione in diverse geometrie: prima all’interfaccia metallo/dielettrico, in seguito
si analizzano i possibili modi plasmoni in un sistema a strati. Si è poi analizzato
come sia possibile eccitare i plasmoni di superficie, in quanto, come vedremo, bisogna
raccordare i quadrivettori d’onda tra onda elettromagnetica e di superficie cosa
che può essere soddisfatta in un mezzo con proprietà periodiche (reticolo) lungo
la direzione di propagazione in quanto, per esso si richiede che i vettori d’onda
siano uguali a meno del vettore d’onda del reticolo. Si è, così, visto il caso di un
corrugamento periodico della superficie per poter far accoppiare la luce ai modi
plasmonici.
Infine, per quanto riguarda la parte sui plasmoni, si sono analizzati i cosiddetti
plasmoni di superficie localizzati, i quali si presentano in particolari situazioni, come
ad esempio, sulla superficie di un conduttore sferico di raggio non grande rispetto
alla lunghezza d’onda.
Nella seconda parte della tesi si è voluto studiare il fenomeno della trasmissione
della luce per strutture di dimensioni caratteristiche minori della lunghezza d’onda
della luce incidente. Dopo una breve riassunto della fisica che sta alla base della
trasmissione, secondo cui la dipendenza del coefficiente di trasmissione è (r/λ)4 ; si
1
Introduzione
è visto come la situazione reale sia ben diversa. Infatti nella trasmissione attraverso
aperture più piccole della lunghezza d’onda si hanno addirittura dei picchi. Inoltre
la trasmissione può essere accentuata, tale da essere definita “straordinaria”, usando
un array di aperture come osservato originariamente da [Ebbesen et al., 1998].
Questa straordinaria trasmissione può essere spiegata tramite l’eccitazione dei
plasmoni superficiali. Infatti, nel caso di un array di aperture, si ha tale accrescimento nella trasmissione proprio grazie all’accoppiamento della radiazione incidente
con i modi plasmonici. Invece nell’apertura singola non potendo eccitare i plasmoni
superficiali in quanto non viene fornito nessun momento aggiuntivo, il picco nella trasmissione è spiegato dall’eccitazione di modi plasmonici localizzati, i quali
possono essere eccitati dalla luce senza aver bisogno di aggiustare il momento.
2
Capitolo 1
Plasmoni di Superficie:
proprietà fondamentali
I Plasmoni di Superficie (PS), conosciuti anche come plasmoni-polaritoni di superficie, sono onde elettromagnetiche che si propagano lungo la superficie di un
conduttore. Questi si presentano in particolari condizioni soprattutto all’interfaccia
di separazione tra un conduttore e un dielettrico. Per caratterizzare queste onde iniziamo a calcolare, dapprima, la relazione di dispersione. In seguito caratterizzeremo
i PS analizzando le loro principali proprietà.
1.1
Superficie tra due solidi semi-infiniti
Consideriamo una superficie di separazione tra due mezzi, posta nel piano z = 0,
con costanti dielettriche ε1 per z < 0 e ε2 per z > 0, con i due mezzi infinitamente
ˆ . Scriviamo i campi nei due mezzi nel
estesi. Inoltre non c’è dipendenza lungo y
seguente modo, dove stiamo considerando onde in polarizzazione P:
ˆ + Ez1 ˆz ei(kx1 x−kz1 z−ωt)
E1 = Ex1 x
z<0
ˆ ei(kx1 x−kz1 z−ωt) ,
B 1 = B1 y
ˆ + Ez2 ˆz ei(kx2 x+kz2 z−ωt)
E2 = Ex2 x
z>0
ˆ ei(kx2 x+kz2 z−ωt) .
B 2 = B2 y
Dalle equazioni di Maxwell sappiamo che, alla superficie di separazione, la componente tangenziale del campo elettrico e la componente tangenziale del campo
magnetico sono continue, dunque dobbiamo imporre che:
k
k
E1 (z = 0) = E2 (z = 0)
B1 (z = 0) = B2 (z = 0);
ottenendo
B1 = B2
Ex1 = Ex2 = Ex
kx1 = kx2 = kx .
Inoltre dall’equazione per il rotore di B, otteniamo la continuità di
1 ∂B1 1 ∂B2 =
ε1 ∂z z=0 ε2 ∂z z=0
3
1 Plasmoni di Superficie: proprietà fondamentali
ovvero sia ha:
kz
kz1
B1 = 2 B2 ;
(1.1)
ε1
ε2
mettendo quest’ultima a sistema con la continuità del campo magnetico, arriviamo
al seguente sistema per B1 e B2 ,
−



B1 − B2 = 0
kz
kz

 1 B1 + 2 B2 = 0
ε1
ε2
(1.2)
Affinché il sistema (1.2) ammetta soluzione non banale si deve annullare il
determinante cioè
kz1
kz
+ 2 = 0;
(1.3)
ε1
ε2
la (1.3) è la relazione di dispersione, per il sistema in esame, in forma implicita.
Per esplicitare la relazione di dispersione e trovare ω(k) possiamo procedere nel
modo seguente. Il campo magnetico deve soddisfare l’equazione di Helmholtz
∇2 B + εi
ω2
B=0
c2
(i = 1, 2)
(1.4)
sostituendo il campo magnetico nella (1.4) si ottiene
kx2 + kz2i = εi
ω 2
(i = 1, 2)
c
(1.5)
Dalla (1.3) quadrando abbiamo
kz1
ε1
2
=
kz2
ε2
2
,
(1.6)
ricavando kzi dalla (1.5) e sostituendo nella (1.6) si ha la seguente relazione di
dispersione:
s
ε1 + ε2
kx c
(1.7)
ω(k) =
ε1 ε2
Per avere propagazione del modo plasmonico si deve avere un kx2 > 0: ciò è
realizzabile, visto la (1.7), quando ε1 +ε2 < 0, infatti per la (1.3) si ha che ε1 ε2 < 0.1
Una possibile scelta dei mezzi, che soddisfano le proprietà sopra, può essere il
caso particolare in cui il mezzo 2 sia un dielettrico con costante dielettrica ε2 e il
mezzo 1 sia un metallo con ε1 (ω) = 1 − ωp2 /ω 2 , dove ωp2 = ne e2 /ε0 m, con ne densità
elettronica del metallo; si ha la seguente relazione di dispersione:
kx =
ω
c
ε2 ω 2 − ωp2
(ε2 + 1)ω 2 − ωp2
!1/2
(1.8)
√
e possiamo vedere che per ω → ωp / 1 + ε2 , kx → ∞; e per ω → 0, kx → k0 =
√
ε2 ω/c. La curva di dispersione è riportata nella figura 1.1; si osservi che la curva
kz i
Si noti che i kzi sono, qui, immaginari puri, infatti dalla (1.5) con kx c > ω; dunque kzi = ıe
con e
kzi > 0.
1
4
1.1 Superficie tra due solidi semi-infiniti
ω
√
kx c/ ε2
√
ωp
1 + ε2
kx
Figura 1.1 Relazione di dispersione per un’onda di superficie data dalla separazione
dielettrico/metallo.
giace a destra della “linea della luce” nel dielettrico, da qui il carattere non radiativo
dei plasmoni di superficie.
Si noti che abbiamo potuto scrivere la (1.8) in quanto abbiamo considerato ε1
reale; in generale si avrà anche una dissipazione da parte del metallo dunque avremo
un ε1 complesso, ovvero ε1 = ε′1 + iε′′1 . Così, supponendo ω reale e ε′′1 < |ε′1 |, si avrà
un kx complesso (kx = kx′ + ikx′′ ) dato da:
kx =
ω ε′ ε 1/2
1 2
c
ε′1 + ε2
"
+i
ω ε′ ε 3/2
1 2
c
ε′1 + ε2
ε′′1
2(ε′1 )2
#
(1.9)
Nel seguito si scriverà per comodità kx al posto di kx′ .
1.1.1
Estensione del campo EM e lunghezza di propagazione per i
plasmoni di superficie
Le perdite ohmiche nel metallo fanno sì che l’energia trasportata dal PS decada
esponenzialmente quando questo si propaga lungo l’interfaccia dielettrico-metallo
ˆ ). La distanza dopo la quale l’intensità dei campi diminuisce di
(nella direzione x
1/e del suo valore massimo è detta lunghezza di propagazione (LPS ) ed è legata a
kx′′ nel seguente modo
1
(1.10)
LPS = ′′ .
2kx
Un altro parametro importante da introdurre è l’estensione spaziale del campo
ˆ) per la quale
EM nel dielettrico e nel metallo, δ, che rappresenta la distanza (lungo z
l’intensità del campo si riduce di 1/e del suo valore massimo (assunto in prossimità
dell’interfaccia):
1
ovvero
(1.11)
δ=
|kz |
5
1 Plasmoni di Superficie: proprietà fondamentali
nel dielettrico con ε2 :
λ
δd =
2π
nel metallo con ε1 :
λ
δm =
2π
s
s
ε′1 + ε2
,
ε22
ε′1 + ε2
.
ε′2
1
Dove con λ abbiamo indicato 2πc/ω. Nella tabella 1.1 sono riportati alcuni
valori di LPS , δm e δd nel caso in cui il dielettrico sia l’aria.
Tabella 1.1 Valori di LPS , δm e δd nel caso in cui il dielettrico sia l’aria.
(a)
Alluminio
Argento
(b)
λ
(nm)
LPS
(µm)
500
500
2
20
Argento
Oro
λ
δm
(nm)
δd
600
600
24
31
390
280
(c)
Argento
λ
LPS
(µm)
δd
0.45
1.5
16
1080
0.18
2.6
Dalla tabella 1.1c si nota che più un plasmone è confinato minore è la sua
lunghezza di propagazione e viceversa; ciò si capisce in quanto l’essere più confinato comporta un maggiore smorzamento, dunque la lunghezza di propagazione è
proporzionale alla lunghezza di penetrazione (L ∝ δ).
Infine diamo anche l’espressione per la lunghezza d’onda dei PS; la lunghezza
d’onda è definita da λPS = 2π/kx , dunque:
λPS
1.2
2πc
=
ω
s
ε′1 + ε2
.
ε′1 ε2
(1.12)
Sistema a strati
Discutiamo adesso la relazione di dispersione nel caso in cui abbiamo due interfacce, dovute ad una lastra metallica di larghezza d, come mostrato nella figura 1.2.
ˆ e i mezzi 2 e 3 sono semi infiniti. Allora
Come prima non c’è dipendenza lungo y
scriviamo il campo magnetico nel seguente modo:2

ˆ e−kz2 z ei(kx x−ωt)

B2 y


e1 e−kz1 z y
ˆ ei(kx x−ωt)
B1 ekz1 z + B
B=



ˆ ekz3 z ei(kx x−ωt)
B3 y
2
se z >
d
2
se − d2 < z <
d
2
(1.13)
se z < − d2
Si noti che, al contrario della sezione 1.1, adesso abbiamo esplicitato il fatto che le onde si
smorzano lungo ˆ
z, dunque adesso i kzi > 0.
6
1.2 Sistema a strati
z
ε2
d
2
ε1
x
− d2
ε3
Figura 1.2 Sistema a tre strati costituito da una lastra in mezzo a due semispazi infiniti.
Anche qui vale la relazione analoga alla (1.5), basta, infatti, sostituire il campo
magnetico nell’equazione di Helmholtz ottenendo:
kx2 − kz2i = εi
ω2
c2
(i = 1, 2).
(1.14)
Procedendo come prima, si deve imporre che


B
sia continuo e che
1 ∂B


εi ∂z
(1.15)
sia continuo.
Imponendo le condizioni (1.15) in z = ±d/2, si ottiene il sistema seguente:











e1 e−α1 = 0
B2 e−α2 − B1 eα1 − B
e1 eα1 − B3 e−α3 = 0
B1 e−α1 + B
kz
kz2
e1 e−α1 = 0
B2 e−α2 + 1 B1 eα1 − B


ε2
ε1





k

e1 eα1 − kz3 B3 e−α3 = 0
 z1 B1 e−α1 − B

ε1
ε3
(1.16)
dove abbiamo posto αi = kzi d/2. Affinché il sistema (1.16) ammetta soluzione non
banale si deve annullare il determinante; svolgendo i calcoli abbiamo
kz2
kz
− 1
ε2
ε1
kz1
kz
− 3
ε1
ε3
+
kz2
kz
+ 1
ε2
ε1
kz1
kz
+ 3 e4α1 = 0.
ε1
ε3
(1.17)
La (1.17), proprio come la (1.3), esprime la relazione di dispersione, in forma
implicita, del sistema in figura 1.2.
Caso simmetrico Risulta interessante il caso in cui ε1 = ε3 , infatti può
rappresentare il caso di un sottile strato di metallo immerso in un dielettrico, per
esempio l’aria; dunque avremo kz1 = kz3 questo implica che:
kz
kz1
− 2
ε1
ε2
2
−
kz1
kz
+ 2
ε1
ε2
2
e4α1 = 0,
7
1 Plasmoni di Superficie: proprietà fondamentali
ω/ωp
1.0
kc
+
0.8
0.6
−
0.4
0.2
0.0
0.5
1.0
1.5
2.0
2.5
3.0
k/kp
Figura 1.3 Relazione di dispersione per i plasmoni su una lamina sottile per differenti
spessori d. Le due curve nere rappresentano il modo simmetrico (−) e quello antisimmetrico
(+) per kp d = 0.5, dove kp = 2π/λp = ωp /c. La curva grigia si ha per kp d = 20 e
rappresenta una lastra davvero spessa, dato che i due modi sono sovrapposti e la curva è
identica alla relazione di dispersione della singola interfaccia.
ovvero
kz1
kz1
kz
kz
+ 2 e2α1 = ±
− 2 .
ε1
ε2
ε1
ε2
(1.18)
La (1.18) ci dice che abbiamo due relazioni possibili, cioé
d
=0
2
d
+ ε2 kz1 coth kz1
=0
2
+:
ε1 kz2 + ε2 kz1 tanh kz1
−:
ε1 kz2
(1.19a)
(1.19b)
L’esistenza di due soluzioni viene fuori dall’accoppiamento dei due plasmoni,
identici, alle superfici di separazione (ε2 /ε1 e ε1 /ε2 ) che porta a i due modi di cui
sopra, dei quali
− uno antisimmetrico (+), in cui le cariche di segno opposto sono in corrispondenza dello stesso punto x, cosicché il campo elettrico è antisimmetrico rispetto
al piano z = 0 (cioè Ex è dispari rispetto a z = 0) e
− uno simmetrico (−), nel quale si hanno con la stessa ascissa cariche dello stesso
segno e dunque il campo elettrico è simmetrico rispetto al piano z = 0 (cioè
Ex è pari rispetto a z = 0).
Si osservi, invece, che nel caso d sia molto grande, ovvero kz1 d ≫ 1, la (1.19a)
e la (1.19b) si riducono alla (1.3), infatti per una lastra molto spessa i PS ai due
lati sono disaccoppiati e la relazione di dispersione è identica a quella della singola
interfaccia dielettrico/metallo, vista nella sezione 1.1.
Nella figura 1.3 è rappresentata la curva di dispersione nel caso in cui si ha una
lastra di metallo con ε1 = 1 − ωp2 /ω 2 immersa in aria, dunque ε2 = 1. Si notino i
due modi descritti precedentemente e il limite per d molto grande.
8
1.3 Eccitazione dei plasmoni di superficie attraverso un’onda EM esterna
Inoltre per grandi kx (kz1 = kz2 = kx ) le (1.19) diventano:
ε1 + ε2
= ±e−kx d ,
ε1 − ε2
(1.20)
che nel caso di ε2 = 1 e ε1 = 1 − ωp2 /ω 2 conducono a:
ωp p
ω± = √
1 ± e−kx d .
2
(1.21)
Dall’equazione sopra si vede che i due modi (simmetrico e antisimmetrico) hanno
frequenze limite differenti e ω+ > ω− , come è ben visibile dalla figura 1.3 nella
pagina precedente.
Caso d → 0 Può essere interessante discutere il caso in cui la dimensione della
lamina metallica tenda a zero, ovvero d → 0, ma mantenendo costante il prodotto
ne d, dove ne è la densità elettronica del metallo.
Nel caso della (1.19b), modo simmetrico, facendo il suddetto limite (con ε1 =
1 − ωp2 /ω 2 e ε2 = 1) otteniamo la seguente equazione:
ω 4 + Ω2 ω 2 − kx2 c2 Ω2 = 0
con
Ω=
ωp2 d
.
2c
(1.22)
Risolvendo la (1.22) abbiamo la seguente soluzione,
"
v
u
u
Ω2
− 1 + t1 +
ω2 =
2
2kx c
Ω
2 #
(1.23)
Invece, effettuando il limite per il modo antisimmetrico si vede che la (1.19a)
tende alla relazione di dispersione di un’onda piana nel dielettrico, ovvero come se
la lamina non fosse più presente.
1.3
Eccitazione dei plasmoni di superficie attraverso
un’onda EM esterna
L’eccitazione dei plasmoni tramite onde elettromagnetiche incontra delle difficoltà in quanto la loro relazione di dispersione giace a destra della “linea della luce” nel
√
dielettrico, ovvero kc/ ε1 ; visto ciò ad un fotone di energia ~ω e momento ~ω/c si
deve dare un momento addizionale, parallelo alla superficie, per poter “trasformare”
il fotone in dei PS.
Un modo per fare accoppiare la luce al plasmone è l’uso di reticoli; supponendo
di avere una superficie metallica con una modulazione di periodo a sulla quale incida
un fascio di luce ad un angolo θ0 , avremo per la componente parallela alla superficie
del vettore d’onda della luce incidente:
kx =
ω
2π
sin θ0 ± ν ,
c
a
(1.24)
9
1 Plasmoni di Superficie: proprietà fondamentali
ω
√
kx c/ ε2
PS
1
2
kx
kx′
Figura 1.4 Eccitazione dei plasmoni tramite l’accoppiamento con un reticolo: il processo
1 → 2 descrive l’accoppiamento della radiazione incidente, con vettore d’onda kx′ , con i PS;
la freccia 1 → 2 rappresenta la quantità di momento acquistata tramite il reticolo, ∆kx .
dove ν è un intero. Se il vettore d’onda dato dalla (1.24) uguaglia il vettore d’onda
del plasmone kPS dato dalla (ormai ben nota) relazione di dispersione
kPS =
ω
c
r
ε1 ε2
,
ε1 + ε2
(1.25)
si può avere l’eccitazione di modi plasmonici sulla superficie.3
Più in generale, nel caso di una generica perturbazione della superficie metallica,
si può scrivere:
ω
kx = sin θ0 ± ∆kx = kPS ,
(1.26)
c
dove ∆kx tiene conto della variazione di momento introdotta dalla modulazione della
superficie liscia del metallo, e per ∆kx = 0 non si hanno soluzioni per la (1.26).
Si osservi che anche il fenomeno inverso è possibile: un PS che si propaghi
attraverso una superficie corrugata può ridurre, proprio a causa della modulazione,
il suo vettore d’onda di una quantità ∆kPS in modo da trasformarsi in luce; processo
inverso rispetto a quello rappresentato in figura 1.4.
1.3.1
Modifiche della relazione di dispersione per una superficie
non piana
Nella sezione precedente si è usata la relazione di dispersione dei plasmoni per
una superficie piana, anche se la superficie non lo era più, in quanto abbiamo aggiunto ad essa un corrugamento, per fare accoppiare i PS alla luce. Il corrugamento
periodico della superficie metallica può portare alla formazione di una complessa
3
Si noti che abbiamo usato per una superficie modulata la relazione di dispersione per una superficie perfettamente liscia; ciò è corretto nel limite in cui h/a ≪ 1, dove h è l’altezza caratteristica
della modulazione. Per una generica modulazione bisogna prima andare a considerare come viene
modificata la relazione di dispersione. Si veda la sottosezione 1.3.1
10
1.4 Plasmoni di superficie localizzati
(a)
(b)
Figura 1.5 (a) Relazione di dispersione per una superficie con profilo sinusoidale di periodo a. (b) Le due onde stazionarie dovute al profilo della superficie. Immagini tratte
da [Barnes et al., 2003]
struttura a bande. Se, per semplicità, supponiamo che la superficie abbia il profilo di una sinusoide di periodo a, allora si ottiene, per i plasmoni di superficie, la
relazione di dispersione in figura 1.5a.
Come per gli elettroni nei solidi cristallini, ci sono due onde stazionarie, con la
stessa lunghezza d’onda, ma avendo differenti configurazione di cariche alla superficie, hanno differenti frequenze. Il modo a frequenza più alta, ω1 , ha un energia
maggiore a causa della più grande distanza tra le cariche della superficie, come
mostrato schematicamente in figura 1.5b. Invece, non possono esistere modi plasmonici con frequenze comprese tra i due bordi della banda, ovvero ω1 e ω2 , dunque
questo intervallo di frequenze è una banda proibita per i PS. Per maggiori dettagli
sull’origine di tali bande, si veda, per esempio, [Barnes et al., 1996].
1.4
Plasmoni di superficie localizzati
Se la perturbazione della superficie del metallo è sufficientemente profonda la
propagazione dei plasmoni superficiali provoca degli accumuli localizzati di densità
di campo elettromagnetico più elevati di quelli causati da un PS che si propaga su
una superficie liscia o con perturbazione ridotta. Si ottengono cioè delle eccitazioni
superficiali confinate che prendono il nome di plasmoni superficiali localizzati e che
si sviluppano grazie all’accentuata modulazione del metallo, oppure possono aver
luogo in particolari strutture dalla geometria confinata, quali ad esempio particelle
metalliche immerse nel dielettrico. Inoltre, un’altra conseguenza della curvatura
della superficie è che questi plasmoni localizzati, a differenza dei PS, possono essere
eccitati direttamente dalla luce, senza aver bisogno di aggiustare il momento.
1.4.1
Nanosfera metallica
Si consideri una nanosfera metallica omogenea ed isotropa di raggio a e costante
dielettrica εm (ω), posta nell’origine, e immersa in un mezzo dielettrico, anch’esso
isotropo, di costante dielettrica εd . Si supponga che la sfera sia molto più piccola
della lunghezza d’onda della luce nel mezzo che la circonda; ovvero, se λ è la lun11
1 Plasmoni di Superficie: proprietà fondamentali
ghezza d’onda nel dielettrico, intorno alla sfera, stiamo supponendo che λ ≫ 2a. In
questo modo possiamo considerare il campo EM costante su tutto il volume della
sfera, potendo così trattare il problema come se la sfera fosse posta in un campo
elettrostatico.
Allora, in accordo con le assunzioni sopra, siamo interessati ad una soluzione
dell’equazione di Laplace
∇2 φ = 0,
(1.27)
dove φ è il potenziale elettrostatico. Visto la simmetria sferica il potenziale può
essere scritto nella seguente forma [Jackson, 1999]:
φ(r, θ, ϕ) =
∞ X
l
h
X
i
Alm r l + Blm r −(l+1) Ylm (θ, ϕ),
l=0 m=−l
(1.28)
dove Ylm (θ, ϕ) sono le armoniche sferiche. A causa della richiesta che il potenziale
sia finito nell’origine e che tenda a zero per r → ∞, i potenziali all’interno, φin , e
all’esterno, φout , della sfera divengono:
φin (r, θ, ϕ) =
∞ X
l
X
Alm r l Ylm (θ, ϕ)
l=0 m=−l
φout (r, θ, ϕ) =
∞ X
l
X
per 0 ≤ r ≤ a
Blm r −(l+1) Ylm (θ, ϕ)
l=0 m=−l
per r ≥ a
imponendo le condizione al contorno sulla superficie della sfera, cioè la continuità
∂φ
in r = a otteniamo che
di φ e di ε
∂r
(
Alm a2l+1 = Clm
εm lAlm a2l+1 = −εd (l + 1)Clm
(1.29)
Il sistema (1.29) ammette soluzione non banale soltanto se
εm (ω) l + 1
+
=0
εd
l
(l = 1, 2, 3, . . . ).
(1.30)
La (1.30) dà i modi di oscillazione per un plasmone localizzato. Nel caso in cui
si abbia una sfera, con costante dielettrica εm (ω) = 1 − ωp2 /ω 2 , immersa in aria si
hanno le seguenti frequenze di oscillazione, al variare di l:
ω = ωp
s
l
.
2l + 1
(1.31)
√
Per l = 1 si ottiene il plasmone con la più bassa frequenza, ovvero ω1 = ωp / 3;
questo modo è chiamato plasmone di superficie dipolare, poiché il campo elettromagnetico risultante da questa oscillazione ha una configurazione di dipolo. Il modo
con l = 1 è mostrato in figura 1.6 nella pagina successiva. Si noti che dalla figura è
intuitivo vedere che il campo elettrico generato per tale modo è un campo di dipolo.
12
1.4 Plasmoni di superficie localizzati
Figura 1.6 Rappresentazione schematica del modo plasmonico con l = 1.
1.4.2
Nanocavità dielettriche in un metallo
Modi simili a quelli ottenuti per una sfera metallica immersa in un dielettrico,
possono essere ottenuti per una cavità dielettrica in un corpo metallico omogeneo.
La più semplice struttura è quella di un sfera dielettrica incastonata in un corpo
metallico. Per trovare i modi plasmonici di tale struttura basta scambiare εm con
εd nella (1.30), ottenendo
l
εm (ω) = −
εd ,
(1.32)
l+1
che nel caso in cui εd = 1 e εm sia la solita (dunque una “bolla d’aria” in un corpo
metallico), abbiamo le frequenze
ω = ωp
s
l+1
.
2l + 1
(1.33)
Si noti che qui, a differenza della (1.31), si ha anche il valore l = 0, a cui corrisponde un modo di frequenza ω0 = ωp , che vieni chiamato modo di “respiro” [Raether, 1980]. Questi modi, come vedremo, sono molto simili a quelli responsabili
della trasmissione attraverso un’apertura, soltanto che nel caso di un’apertura è
differente la geometria, in quanto, non più sferica ma cilindrica o rettangolare.
13
Capitolo 2
Trasmissione “straordinaria”
della luce attraverso strutture al
di sotto della lunghezza d’onda
Si vuole, adesso, discutere il problema della trasmissione della radiazione attraverso delle aperture su dei film metallici. Per porre le basi di questa discussione
iniziamo con un breve riassunto della fisica che sta alla base della trasmissione. Poi
vedremo come la trasmissione attraverso un’apertura su di un film metallico non
sia così debole come ci si poteva aspettare; infine vedremo come si possa ottenere
una “straordinaria” trasmissione della luce utilizzando un array di aperture. Inoltre osserveremo come ciò può essere spiegato grazie l’accoppiamento dei plasmoni
superficiali (PS) con la radiazione incidente.
2.1
Teoria della diffrazione
A causa della natura ondulatoria della luce, la trasmissione attraverso un apertura su uno schermo opaco è accompagnata dalla diffrazione. Pertanto, vista la
complessità del processo, anche nelle più semplici geometrie, le descrizioni teoriche
sono soggette a delle approssimazione abbastanza stringenti. Infatti il problema è
risolto, con discreto successo, per il caso di una geometria molto semplice come un
apertura circolare di raggio r su uno schermo perfettamente conduttore (conducibilità infinita) infinitamente sottile, su cui incide un’onda piana. Il sistema in esame
è rappresentato in figura 2.1a.
Il problema è risolubile usando la teoria scalare della diffrazione di Kirchhoff
[Jackson, 1999]. Il metodo di Kirchhoff sfrutta il teorema di Green per esprimere
un campo scalare (una componente di E o B) dentro un volume V in termini
dei valori del campo e della sua derivata normale sulla superficie che racchiude
V . Considerando la figura 2.1a nella pagina seguente, cerchiamo una soluzione per
l’equazione d’onda scalare nel buco a z = 0 e nello spazio a destra dello schermo.
Assumiamo che la soluzione sia della forma Ψ(r, t) = ψ(r)e−iωt , dove r 2 = x2 +y 2 +z 2
e ω = 2πc/λ0 , λ0 è la lunghezza d’onda dell’onda incidente. Il campo ψ soddisfa
l’equazione di Helmholtz,
∇2 ψ + k02 ψ = 0;
(2.1)
15
2 Trasmissione “straordinaria” della luce
x
onda incidente
θ
z
(a)
(b)
Figura 2.1 (a) Onda piana incidente su uno schermo, posto nel piano xy a z = 0, con un
apertura circolare di raggio r. (b) Figura di diffrazione data da un foro circolare.
che attraverso il teorema di Green possiamo scrivere
ψ(r) =
1
4π
Z S
∂ eik0 r
∂ψ eik0 r
−ψ
∂n r
∂n
r
ds,
(2.2)
dove S è l’intera superficie supponendo che si estenda all’infinito lungo ±x, ±y. Si
può, anche, immaginare che lo spazio a destra dello schermo sia chiuso unendo i
due bordi dello schermo che si estendono all’infinito. Così il segno del versore n,
normale alla superficie S sarà positivo se punta verso l’esterno del volume racchiuso
dalla superficie stessa.
Se conosciamo il valore di ψ o il valore di ∂n ψ sulla superficie S, allora il valore
di ψ è noto in tutti i punti interni alla superficie (lato destro dello schermo). Ma
a meno che non abbiamo risolto il problema in maniera diversa, questi valori non
sono noti, a priori. L’approccio di Kirchhoff era quello di approssimare il valore
di ψ e ∂n ψ sulla superficie dell’apertura in modo da calcolare un’approssimazione
dell’onda diffratta; l’approssimazione di Kirchhoff consiste nelle seguenti assunzioni:
− ψ e ∂n ψ sono nulle su tutto il lato sinistro dello schermo, tranne che nell’apertura,
− invece sull’apertura i valori di ψ e della sua derivata sono posti uguali ai valori
dell’onda incidente in assenza dello schermo.
Con questo approccio, per incidenza normale, si ha che l’intensità trasmessa per
unità di angolo solido è:
I(θ) ∼
= I0
(kr)2 2J1 (kr sin θ) 2
,
4π kr sin θ (2.3)
dove I0 è l’intensità totale incidente sull’area dell’apertura. La figura di interferenza
che descrive la (2.3) è mostrata nella figura 2.1b.
16
2.2 Apertura singola
Malgrado ci siano delle incongruenze matematiche (non è possibile usare il teorema di Green se la superficie di integrazione presenta una discontinuità) questo
approccio funziona abbastanza bene se r ≫ λ0 , infatti in tali casi la radiazione che
attraversa l’apertura è quasi tutta quella incidente e ciò si avvicina alle assunzioni
fatte.
La descrizione, comunque, fallisce in modo drastico quando il raggio r dell’apertura diviene molto più piccolo della lunghezza d’onda della luce; in questi casi si
parla di strutture al di sotto della lunghezza d’onda.
Il problema è stato risolto analiticamente, per un schermo perfettamente conduttore e infinitamente sottile, da Bethe [Bethe, 1944]; egli prima trovo i campi
all’interno dell’apertura, usando le condizioni al bordo e considerando che fossero
costanti su tutta l’area del foro; trovo che
1
1
E0 (x, y, z = 0− )
Hk (foro) = H0 (x, y, z = 0− ).
2
2
dove E0 e H0 sono i campi dell’onda incidente.
Il passo successivo fu quello di trovare i campi nel lato destro dello schermo
che fossero consistenti con le equazioni di Maxwell per un conduttore perfetto, cioè
E⊥ (x, y, 0) = Hk (x, y, 0) = 0. Siccome queste condizioni devono essere soddisfatte su tutto lo schermo ma non nel foro, allora E⊥ ed Hk saranno discontinui nel
passaggio dallo schermo all’apertura. Per soddisfare queste proprietà si può immaginare che i campi nell’apertura e la relativa discontinuità su di essa siano generate
da cariche e correnti magnetiche. Per incidenza normale, l’apertura può essere descritta come un dipolo magnetico situato nel piano del foro. Dunque, il coefficiente
di trasmissione (normalizzato alla area dell’apertura), definito da
E⊥ (foro) =
T =
It
,
Ii S
(2.4)
dove S è la superficie dell’apertura e Ii , It sono rispettivamente l’intensità incidente
e quella trasmessa, è, secondo la teoria di Bethe, uguale a
T =
64
(kr)4 ∝
27π 2
r
λ0
4
(2.5)
Vista la dipendenza del coefficiente di trasmissione da (r/λ0 )4 la radiazione
totale trasmessa sarà molto debole per una foro al di sotto della lunghezza d’onda.
Ma la teoria di Bethe è troppo semplicistica per descrivere una situazione reale;
infatti le evidenze sperimentali sono ben diverse.
2.2
Apertura singola
Una apertura reale è molto differente rispetto alla schematizzazione fatta sopra,
in quanto sia lo spessore che la finitezza della conduttività del metallo hanno significative conseguenze le quali non sono ancora ben capite. Per esempio, consideriamo
la semplice apertura circolare, prodotta su una lamina di Ag, mostrata in figura 2.2a
nella pagina seguente. Essa ha un spettro di trasmissione non semplice in cui compare anche un un picco (se lo spessore h della lamina è abbastanza piccolo) come è
mostrato in figura 2.2b, non previsto dall’equazione (2.5).
17
2 Trasmissione “straordinaria” della luce
(a)
(b)
Figura 2.2 (a) Immagine di un’apertura in un film d’argento. (b) Spettro di trasmissione
per incidenza normale su un’apertura cilindrica di diametro d = 270 nm, per vari spessori
del film h. Ogni curva è una media di vari spettri di una serie di aperture delle stesse
dimensioni. Immagini tratte da [Degiron et al., 2004].
Tale picco può essere spiegato come l’eccitazione dei plasmoni localizzati sui bordi dell’apertura, come viene sancito in un recente articolo [Degiron et al., 2004]. Vediamo come sia possibile spiegare il picco nella trasmissione attraverso l’eccitazione
dei plasmoni.
Si noti, innanzitutto, che stiamo considerando l’apertura a lunghezze d’onda tali
da non permettere modi propaganti. Infatti, la risonanza in figura 2.2b è ad una
lunghezza d’onda tale per cui λ > 2d, dove d è il diametro dell’apertura; quindi vista
la non esistenza di modi propaganti la risonanza è da attribuirsi ad un fenomeno
superficiale, localizzato alle interfacce del film. Tali fenomeni li possiamo identificare
con i plasmoni di superficie localizzati (PSL).
Per confermare questa assunzione si inducono dei plasmoni localizzati sui bordi
dell’apertura e se ne studia l’emissione, confrontandola in seguito con il picco della
trasmissione, stabilendo così il loro legame. Per “attivare” i PSL possiamo usare
dei fasci di elettroni ad alta energia. La figura 2.3a mostra la luce emessa, usando
queste tecniche, per due diverse polarizzazioni. Come si vede, in entrambi i casi,
il pattern dell’intensità, dovuta ai PSL, mostra due lobi perpendicolari al campo
elettrico, ciò rivela la presenza di un dipolo magnetico, posto nel piano del foro e
parallelo ai lobi. Analizzandone lo spettro si ottiene il picco in figura 2.3b. Tale
picco è uguale a quello trovato nella trasmissione, tenendo conto del fatto che nello
spettro di trasmissione (figura 2.2b) si ha un fondo dovuto alla luce trasmessa senza
accoppiamento con il dipolo.
Visti questi risultati, la risonanza della figura 2.2b viene identificata come un
modo plasmonico di superficie localizzato.
Per chiarire come vengono eccitati tali modi, esaminiamo il caso di un apertura rettangolare (figura 2.4). L’analisi dello spettro di trasmissione per una tale
apertura fatta in un film di Ag di spessore h = 700 nm, variando l’angolo tra la
polarizzazione (lineare) dell’onda incidente e la dimensione longitudinale dell’apertura, è mostrata in figura 2.4b nella pagina successiva. In essa sono ben visibili
18
2.2 Apertura singola
(a)
(b)
Figura 2.3 Plasmone localizzato indotto da un fascio di elettroni in un’apertura cilindrica (d = 270 nm). (a) Immagini dell’intensità emessa per due diverse polarizzazioni.
(b) Spettro della luce mostrata in (a). Immagini tratte da [Degiron et al., 2004].
(a)
(b)
Figura 2.4 Trasmissione attraverso un’apertura rettangolare in un film d’argento. (a) Immagine dell’apertura. (b) Spettro di trasmissione per l’apertura in (a) per polarizzazione
lineare incidente a differenti angoli (h = 700 nm, x = 310 nm, y = 210 nm). Immagini tratte
da [Degiron et al., 2004].
due picchi, uno intorno ai 450 nm e l’altro intorno ai 700 nm, e variando θ, l’angolo tra la polarizzazione dell’onda incidente e la dimensione longitudinale (x) del
rettangolo, si passa da un picco all’altro. Visto che i PSL oscillano lungo un asse
normale alla polarizzazione, poiché essi sono dei dipoli magnetici, si può concludere
che i modi plasmonici sono localizzati ai bordi perpendicolari al campo elettrico. In
altre parole, un’apertura rettangolare ha due modi: uno longitudinale, corrispondente al picco con lunghezza d’onda maggiore, e uno trasversale, dato dal picco con
lunghezza d’onda minore.
In generale, il numero di modi dipende dalla particolare forma dell’apertura;
se per esempio i bordi dell’apertura sono identici (come un quadrato, o triangolo
equilatero) i PSL lungo i vari bordi sono gli stessi. Proprio per questo, nell’apertura
circolare, la trasmissione è indipendente dalla polarizzazione.
19
2 Trasmissione “straordinaria” della luce
2.3
Array di aperture
Se per una singola apertura la trasmissione non è così debole come ci si poteva
aspettare, nel caso di un array di aperture la trasmissione è da considerarsi straordinaria. Infatti, come viene affermato in [Ebbesen et al., 1998], la trasmissione è
ordini di grandezza maggiore rispetto a quanto previsto dalla (2.5). Come avevamo
detto nella sezione 1.3 a pagina 9, una struttura periodica fornisce quel momento
aggiuntivo necessario all’accoppiamento della luce ai PS. Non è pertanto sorprendente che un array di aperture periodico possa sostenere dei modi plasmonici, i quali
portano ad un accrescimento della trasmissione. La questione è come questi modi
plasmonici agiscono nell’aumentare la trasmissione della luce.
Vediamo, dunque, di analizzare più in dettaglio la trasmissione attraverso un
array periodico di aperture circolari. L’array è fabbricato depositando inizialmente
un sottile strato di Ag su un sottostrato di quarzo, in seguito le aperture cilindriche
vengono realizzate tramite sputtering sul film. Lo spettro di trasmissione per un
array quadrato di aperture circolari di diametro d = 150 nm, con periodo a0 =
900 nm in un film di Ag di spessore h = 200 nm, è mostrato in figura 2.5a. Facciamo
notare che lo spessore del film è molto più grande della lunghezza di pelle (∼ 20 nm)
e che anche qui stiamo trattando delle aperture in cui non sono possibili modi
propaganti in quanto λ > 2d.
A parte il picco alla lunghezza d’onda λ = 326 nm dovuto ad un plasmone di
volume, il quale scompare all’aumentare dello spessore del film; è da notare i vari
picchi che aumentano d’intensità ad aumentare della lunghezza d’onda. La massima
intensità trasmessa si ha ad una lunghezza d’onda di 1370 nm, circa dieci volte il
diametro di un’apertura; ancora più sorprendente è che il coefficiente di trasmissione
(a)
(b)
Figura 2.5 (a) Spettro di trasmissione per un film di Ag con a0 = 900 nm, d = 150 nm,
h = 200 nm. (b) Spettri di vari array in funzione di λ/a0 . Linea continua: Ag, a0 = 600 nm,
d = 150 nm, h = 200 nm; la linea tratteggiata: Au, a0 = 1.0 µm, d = 350 nm, h = 300 nm; la
linea tratto-punto: Cr, a0 = 1.0 µm, d = 500 nm, h = 100 nm. Immagini tratte da [Ebbesen
et al., 1998].
20
2.3 Array di aperture
normalizzato alla superficie dell’apertura, come definito dalla (2.4), è maggiore di
2 nel massimo, in altre parole, viene trasmessa più di due volte la luce incidente
sull’apertura, dunque anche la luce che incide sulle parti opache del film, dove non ci
sono le aperture, viene “canalizzata” attraverso di esse. Si tenga conto che secondo
la (2.5) il coefficiente di trasmissione dovrebbe essere dell’ordine di 10−3 . Inoltre
lo spettro è identico sia se la luce incide all’interfaccia aria-metallo sia a quella
quarzo-metallo.
Per capire le origini del fenomeno si analizzano le dipendenze delle possibili
variabili. Per esempio, dalla figura 2.5b nella pagina precedente si deduce che la
posizione dei massimi è determinata dalla periodicità dell’array, infatti i massimi
scalano esattamente con la periodicità, non dipendendo dal tipo di metallo (Ag, Au,
Cr), dal diametro dei fori e dallo spessore del film.
Questa caratteristica può essere spiegata dall’eccitazione dei PS; infatti, i massimi nella trasmissione sono il risultato della interazione della luce incidente con i PS
su entrambi le superfici del film. Ma l’eccitazione dei PS è possibile soltanto se riusciamo a raccordare il momento dell’onda incidente con quello dei modi plasmonici,
ovvero se
kPS = k0 sin θ ± iGx ± jGy ,
(2.6)
dove kPS è il vettore d’onda dei plasmoni di superficie, k0 è il vettore d’onda incidente, θ l’angolo di incidenza, Gx e Gy sono i vettori di Bragg associati con le due
periodicità dell’array, dunque |Gx | = |Gy | = 2π/a0 , e i, j sono due interi. Per fare
un confronto con i dati, usiamo la relazione di dispersione per una superficie piana
come abbiamo ricavato nella sezione 1.1 a pagina 3, ignorando in prima approssimazione il fatto che le aperture possono modificare significativamente la relazione
di dispersione, allora sarà
r
εm εd
ω
,
(2.7)
|kPS | =
c εm + εd
dove εm (εd ) è la costante dielettrica del metallo (dielettrico). Per incidenza normale,
il caso in esame, si ha θ = 0, di conseguenza l’equazione (2.6) e la (2.7) si riducono
a
r
q
εm εd
λ i2 + j 2 = a0
,
(2.8)
εm + εd
dove λ = 2πc/ω. I massimi della trasmissione sorgono alle lunghezze d’onda che
soddisfano la (2.8), dove variando i e j otteniamo i vari picchi. In figura 2.6 sono
riportate le posizioni dei picchi al variare di i e j, secondo la (2.8). Ovviamente,
secondo la schematizzazione sopra, ci sono due gruppi di massimi a seconda su quale
interfaccia facciamo incidere la luce, infatti nella (2.8) dovremmo sostituire εd = 1
nel caso dell’aria, e εd = 2.16 nel caso del quarzo, portando così a dei differenti
massimi dell’intensità. Ma come abbiamo detto prima, lo spettro di trasmissione
è indipendente da quale lato incida la luce; del resto la nostra equazione non tiene
conto delle aperture sulla superficie (abbiamo usato la relazione di dispersione per
una superficie piana), quindi non c’è da meravigliarsi se non abbiamo ottenuto ciò.
Comunque il discreto accordo con i dati ci suggerisce che i PS sono un soluzione su
cui vale la pena scommettere.
Un’altra caratteristica del fenomeno che fa pensare al ruolo chiave dei PS è la
dipendenza angolare dello spettro di trasmissione. Infatti variando θ è misurando
21
2 Trasmissione “straordinaria” della luce
Figura 2.6 Spettro di trasmissione per un film di Ag (a0 = 600 nm, d = 150 nm,
h = 200 nm). Le linee verticali indicano la lunghezza d’onda dei massimi secondo l’equazione (2.8), per l’interfaccia con il quarzo o quella con l’aria (rispettivamente, il gruppo
di linee sopra e sotto). Immagine tratta da [Ghaemi et al., 1998]
l’energia dei picchi si ottiene la relazione di dispersione del sistema sotto esame, in
funzione di kx = |k0 | sin θ, come mostrato in figura 2.7a nella pagina successiva.
Si vede subito che la relazione di dispersione mostra la struttura a bande per i PS
come si è visto nella sottosezione 1.3.1 a pagina 10. Inoltre, facciamo notare che,
come si vede dalla figura 2.7b, al variare dell’angolo di incidenza cambia l’intensità
dei picchi e si dividono in nuovi picchi; questo caratteristica è uguale a quella che si
ha quando si fanno esperimenti di riflessione su reticoli, in cui si ha l’accoppiamento
della luce ai PS. Anche queste caratteristiche derivano dalla (2.6), infatti, se variamo
θ si ha l’eccitazione di diversi modi plasmonici, che è proprio quello che si vede in
figura 2.7b.
Nella figura 2.7a le curve con i punti più piccoli corrispondono a dei picchi la
cui ampiezza è molto debole. Visto che queste curve sono quasi indipendenti da
kx , infatti sono quasi rette, esse possono rappresentare l’eccitazione di plasmoni di
superficie localizzati che, come avevamo detto nella sezione 1.4 a pagina 11, possono
essere eccitati direttamente dalla luce. Inoltre i plasmoni localizzati visto la loro
natura molto più confinata, hanno un grande smorzamento, quindi si può intuire
che la radiazione trasmessa associata ad essi è minore rispetto a quella associata ai
PS, il che torna con le curve (quelle con i puntini) che sono associate a picchi di
trasmissione meno energetici.
Riassumiamo, qui, i punti chiave della trasmissione attraverso un array di aperture al di sotto della lunghezza d’onda:
− Si una trasmissione inaspettata, infatti, visto che non ci sono modi propaganti
i campi possono propagarsi soltanto grazie ad onde evanescenti, per effetto
tunnel, è dunque ci si aspetterebbe una trasmissione davvero debole;
− lo spettro è indipendente da qual è l’interfaccia su cui incide la luce, dunque questo ci suggerisce che c’è un forte accoppiamento tra i modi alle due
interfacce, malgrado il fatto che le due parti hanno costante dielettrica diversa;
22
2.3 Array di aperture
(a)
(b)
Figura 2.7 Dipendenza angolare del sistema. (a) Curva di dispersione per l’array quadrato
in (a), kx è normalizzato a 2π/a0 . (b) Spettro di trasmissione in funzione dell’angolo di
incidenza; lo spettro è misurato ogni 2◦ per un array quadrato di aperture (a0 = 900 nm, d =
150 nm, h = 200 nm). Immagini tratte da [Ebbesen et al., 1998].
− la posizione dei massimi dipende dalla periodicità dell’array, come mostrato,
consistente con i modi plasmonici;
− la dipendenza angolare dello spettro mostra il tipico comportamento dei PS,
con una relazione di dispersione molto simile;
Per concludere, possiamo dire che l’aumentare della trasmissione della luce, nelle strutture descritte sopra, è dovuto all’eccitazione dei plasmoni di superficie, che
possono prende luogo nel seguente modo: la luce incidente si accoppia con i PS
supportati dall’interfaccia su cui incide, l’accrescimento del campo dovuto ai PS
incrementa la probabilità di trasmissione attraverso le aperture, favorendo l’accoppiamento con i modi plasmonici dall’altro lato del film; successivamente quest’ultimi
“decadono” in fotoni emettendo la luce dall’altra parte del film.
23
Capitolo 3
Ulteriori sviluppi
Qui si vuole dare un cenno ad altre interessanti caratteristiche che coinvolgono
i plasmoni superficiali, che andavano oltre lo scopo di questa tesi. In particolare si
volevano far presente i seguenti due aspetti.
Per esempio, abbiamo visto che lo spettro di trasmissione viene incrementato se
si usa un’array di aperture, ma questo non è l’unico modo per accoppiare la luce ai
plasmoni. Infatti è stato mostrato in [Thio et al., 2001] che un corrugamento periodico della superficie intorno ad una singola apertura, incrementa la trasmissione
fornendo il momento necessario per l’eccitazione dei plasmoni superficiali. Come si
vede dalla figura 3.1 anche qui si ha un coefficiente di trasmissione, normalizzato
alla superficie dell’apertura, maggiore di 1. Dalla figura si nota anche che l’altezza h
del corrugamento responsabile dell’accoppiamento con i PS ne determina l’efficenza.
Figura 3.1 Spettro di trasmissione per una singola apertura (d = 440 nm), in un film di Ag
spesso 430 nm, circondata da (A) anelli concentrici con un profilo sinusoidale e in (B) da
un array quadrato di “fossette”. f è la superficie dell’apertura. Le linee solide sono il fit dei
dati. Immagine tratta da [Thio et al., 2001].
25
3 Ulteriori sviluppi
Figura 3.2 A Immagine di un’apertura, in un film di Ag spesso 300 nm, circondata da scanalature concentriche. B Spettro di trasmissione misurato a diversi angoli, dimostrando la
piccola divergenza del fascio emesso (profondità delle scanalature 60 nm, periodicità delle
scanalature 600 nm, diametro dell’apertura 300 nm). C Immagine del fascio uscente dall’illuminazione del sistema in A, alla lunghezza d’onda del massimo della trasmissione. D
Distribuzione angolare dell’intensità del fascio uscente alla lunghezza d’onda del massimo
della trasmissione. Immagini tratte [Lezec et al., 2002].
Inoltre, come visto in [Lezec et al., 2002], se al corrugamento sulla faccia di
incidenza della luce, facciamo un altro corrugamento dal lato di uscita si genera
un fascio uscente, sorprendentemente, collimato, con una divergenza di pochi gradi
(vedi figura 3.2). Questo si ha poiché la luce uscente dal foro si accoppia con la
struttura periodica della superficie di uscita e con i modi esistenti nelle scanalature,
quest’ultimi “decadono” in fotoni generando il fascio di cui sopra.
26
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vol. 26 (24), p. 1972–1974.
27
Ringraziamenti
Lo sanno tutti che non sono bravo con le parole, quindi mi perdonerete per
questi ringraziamenti così magri.
Dedico questo lavoro alla mia famiglia e la ringrazio, soprattutto i miei genitori
i quali non hanno mai dubitato di me e senza i quali non sarei arrivato qui.
Ringrazio inoltre chi ha sopportato in questi tre anni le mie continue lamentele e
cali di autostima. Mi scuso se non vi elenco tutti, comunque grazie. PS (che questa
volta non sta per “plasmoni di superficie”): spero che continuiate a sopportarmi
anche nei prossimi anni.
Infine un ringraziamento va al relatore per la completa disponibilità, nonostante
eravamo in tanti.
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