CO R RI ER ECO NO M I A 11 LUNEDÌ 31 MARZO 2014 Un anno dopo Mercato Il bilancio della legge sulla parità di genere Rivoluzioni In Piazza Affari la presenza femminile è destinata a crescere ancora. Attesa per le scelte dei big pubblici dai vertici troppo maschili Consigli La carica delle donne indipendenti Oggi sono il 70% dei «cani da guardia» delle società quotate. E nella prossima stagione assembleare .... L’ immagine della figura femminile capovolta che è contenuta nel grafico qui sotto spiega da sola cosa è successo nel giro di pochi anni in Italia. In sei anni le donne presenti nei consigli di amministrazione sono passate dall’essere in prevalenza consiglieri non indipendenti (di solito componenti della famiglia proprietaria) a essere nella stragrande maggioranza dei casi consiglieri indipendenti. Il ruolo più scomodo di un Cda, potremmo dire, stante che ai consiglieri indipendenti è affidato il compito di fare il «cane da guardia» a tutela so- A Milano attese 50 nuove consigliere e 80 sindache prattutto degli azionisti di minoranza È uno dei dati contenuti in un libro di prossima uscita in Gran Bretagna (Women Directors, the Italian way and beyond , di Paola Profeta, Livia Amidani Aliberti, Alessandra Casarico, Marilisa D’Amico e Anna Puccio, Ed Palgrave McMillan) e che racconta la legge sulle quote di genere italiane. Si tratta di un elemento da sottolineare perché significa porre «grande attenzione sulla scelta delle donne e questo a sua volta attiva un circolo virtuoso anche per gli uomini», dice Livia Amidani Aliberti, fondatrice di Aliberti Governance Advisors. Un dato che sfata le paure iniziali di questa legge. Va detto che si tratta di prime analisi perché la legge ha solo un anno di vita vera alle spalle, essendo stata approvata a luglio 2012 per diventare vincolante nel 2013. La tornata di assemblee delle prossime settimane confermerà o meno i primi risultati. Secondo un’analisi di Spencer Stuart, ricorda Amidani Aliberti, «delle 61 donne entrate per la prima volta in un Cda lo scorso anno, 11 sono non indipendenti, in quanto collegate in modo diretto o indiretto alla proprietà o al management o all’azienda. Si tratta di un dato bellissimo, considerando che la media dei consiglieri non indipendenti sul totale è del 33%. Se si fosse rispettata la percentuale del mercato, dunque, le non indipendenti elette avrebbero dovuto essere 20, non 11». Numeri Molto si è discusso sulla possibilità meglio sul timore che le cariche si concentrassero su pochi nomi. Che si affermassero, cioè, quelle che vengono chiamate «golden skirts» (gonne d’oro). I numeri 1 to di assumere o esercitare cariche in imprese, o gruppi di imprese, concorrenti, operanti nei mercati del credito, assicurativo e finanziario). Reti Tesoro Il ministro Pier Carlo Padoan: le grandi aziende pubbliche devono ancora adeguarsi alle «quote» dicono che questo, finora, non è avvenuto. Il confronto con Gran Bretagna (Paese nel quale non esistono quote di genere), Finlandia e Norvegia (dove, invece, le quote esistono) mostra, infatti, che nel 90,5% dei casi le donne siedono in un solo consiglio di am- ministrazione. Meno del 10% ha da due a tre Cda. Questi numeri sicuramente si modificheranno almeno un po’ dopo le nomine di questa primavera, anche se un freno al cumulo di cariche (per donne e uomini) è dato in Italia dall’interlocking (ovvero, il divie- Per capire l’efficacia della legge delle quote bisogna analizzare, secondo Amidani Aliberti, le reti nel tempo. «A oggi — dice — la rete femminile si appoggia ancora su quella maschile. Ma è troppo presto per dare un giudizio, ripeteremo le analisi dopo le prossime nomine. Potrebbero essere nominate donne forti e connesse». Reti e numero di consigli in cui si è inseriti sono temi connessi. Ma le golden skirts sono un male o un bene? Tommaso Arenare, partner di Egon Zehnder, contesta in partenza la stessa definizione di golden skirts, «ha le stesse connotazioni negative inconsce del termine “quote rosa”, un chiaro esempio di pregiu- dizio. Ci possono essere donne che assumono troppe posizioni nei Cda, esattamente come gli uomini. È un fatto che non ha niente a che vedere né con il genere né con la legge, però a nessuno è venuto in mente di usare una espressione simile per gli uomini». Nel merito della questione, Arenare dice che il talento femminile è abbonante e non si corre il rischio che ci siano donne che facciano incetta di incarichi. Anzi, «nella mia esperienza personale — dice — ho incontrato soprattutto donne estremamente attente a non eccedere nel numero di consigli. Hanno affrontato questo compito con maggior consapevolezza, innalzando gli standard di qualità». Aprile e maggio saranno due mesi centrali per verificare la tenuta della legge, la cui approvazione si deve alle deputate Lella Golfo, presidente della Fondazione Bellisario, e Alessia Mosca. Si svolgeran- Il confronto In quanti Cda siedono le donne (consiglieri non esecutivi) % di consiglieri donna non esecutivi Nelle società quotate italiane Non indipendenti Indipendenti Dati in % 2006 2010 23% Italia Inghilterra Finlandia Norvegia 1 90,5% 86% 83% 83% Da 2 a 3 9,2% 14% 16% 15% Più di 4 0,3% 0,0% 0,0% 2,0% N° posizioni massime 5,0% 3,0% 3,0% 8,0% N° di posti 77% 2013 31% 69% Fonte: "Women Directors, the Italian way and beyond" (2014) Profeta P., Amidani Aliberti L., Casarico,A., D'Amico, M., Puccio, A., Ed Palgrave McMillan 70% 30% Pparra DI MARIA SILVIA SACCHI no, infatti, questa primavera le assemblee che dovranno rinnovare 65 consigli di amministrazione e 73 collegi sindacali di società quotate in Borsa, portando - se i consigli manterranno le dimensioni attuali - altre 50 consigliere di amministrazione e 80 sindache. La grande scommessa saranno le società pubbliche. Colossi come Eni, Enel, Finmeccanica, Terna, finora solo maschili, dovranno, necessariamente, riservare il 20% dei Cda e dei collegi sindacali al genere meno rappresentato (a partire dal secondo rinnovo la quota salirà al 33%). Complessivamente (quindi considerando anche le quotate), nel campo pubbli- Le aziende di Stato ora riservano il 20% al genere meno presente co sono da rinnovare i vertici di 14 società controllate direttamente e 35 indirettamente. Il precedente governo aveva affidato a due società di executive search (Spencer Stuart e Korn Ferry) la stesura di una lista unica di tutte le candidature. Sul sito del Tesoro era disponibile anche una casella di posta alla quale far arrivare le proprie candidature. C’è chi dice che in poche si siano candidate. Su questo specifico punto, tre considerazioni: la prima è che la possibilità di autocandidarsi non è stata molto pubblicizzata; la seconda è che in una selezione così delicata non è facile inviare il proprio curriculum quasi«a caso»; la terza è che chi ci ha provato talvolta è stato rimandato indietro perché la casella era bloccata. Sarà però interessante sapere anche quanti professionisti uomini si saranno auto-candidati. © RIPRODUZIONE RISERVATA Brand La storia del gruppo di Carpi: da produttori all’ingrosso di maglieria ora titolari di un marchio che rende il 15% l’anno Liu Jo Vista su Piazza Affari Il dilemma dei fratelli Marchi Carpi I fratelli Marco e Vannis Marchi, fondatori e proprietari del marchio di abbigliamento Liu-Jo. L’azienda della provincia di Modena potrebbe approdare alla quotazione in Borsa I fondatori non si pronunciano, ma quotazione probabile Il gruppo ha numeri importanti e forte presenza in Cina S i quota, non si quota? Marco Marchi fa dire che no, Liu Jo non si quota, mentre sul mercato molti scommettono che la società di Carpi arriverà presto al listino e si stia preparando per questo. D’altra parte, i numeri per andare in Borsa ci sono tutti. Nel 2012 (ultimo bilancio disponibile), l’azienda posseduta da Marco Marchi e dal fratello Vannis, ha realizzato 252,9 milioni di euro, con un margine operativo lordo di 54,8 milioni e un utile netto di 32,7 milioni. Il Roe, l’indicatore della performance aziendale, è stato del 15,62%. In riduzione rispetto al 2011, quando era stato del 17,69%, ma a causa — spiega la relazione al bilancio — «dell’incremento del patrimonio netto aziendale a seguito della politica aziendale di non distribuire dividendi nel corso degli ultimi anni. Per cui tale indice non peggiora per effetto di una riduzione di utile, che al contrario si incrementa in valore assoluto e rimane pressoché invariato in percentuale sul fatturato, ma per effetto della crescita del capitale proprio». I primi mesi dell’esercizio 2013 — scrivevano gli amministratori nella relazione — Il fatturato è di 252,9 milioni e il margine operativo lordo di 54,8 «danno segnali di prospettive positive che confermano l’andamento positivo degli ultimi anni». A fine 2012 la società aveva un patrimonio netto di 209 milioni di euro. La storia di Liu Jo inizia nel ‘95 quando Marchi, già da tempo nel tessile come produttore all’ingrosso, capisce che continuare a fare capi senza marca non avrebbe portato lontani. Sottopone così all’attenzione di Sanzio Zappieri (grande scopritore di talenti, scomparso lo scorso gennaio) una collezione di maglieria: «Avevo visto il marchio Kookai, tenuto in Francia a un livello basso e, invece, esaltato in Italia da una distribuzione vincente», raccontava alcuni anni fa l’imprenditore. Il capitale della Liu Jo al- l’inizio è diviso tra Marco Marchi, oggi 51 anni, e il fratello Vannis, 66 anni: 55% al primo, 45% al secondo. Le quote restano immutate fino all’estate del 2010, quando entrambi le limano scendendo Marco al 50,82% e Vannis al 41,58%. I documenti della Camera di Commercio dicono che Vannis, da allora, è sceso ancora e oggi è arrivato al 36,80%, mentre la quota di azioni proprie della società è contestualmente salita al 12,38%. Marco Marchi è invece fermo al 50,82% (almeno alla data del- l’ultimo deposito di bilancio avvenuto nell’estate dell’anno scorso). Cosa significa la progressiva riduzione di quote di Vannis Marchi? Purtroppo la società non ha dato risposta e quindi non si può sapere. A volte si cedono le azioni alla società quando c’è eccesso di liquidità: lo aveva fatto, per esempio, la Giorgio Armani nel 2006 riacquistando azioni proprie pari al 5% del capitale «per ridurre l’eccesso di liquidità». A volte le si cedono quando si vuole uscire o comunque ridurre la propria partecipazione, come era stato nel caso di alcuni componenti della famiglia Ferragamo prima della quotazione. Come detto, la famiglia Marchi non ha risposto, quindi si resta nel campo delle illazioni. Quel che è certo è che il gruppo di Carpi da tempo continua a fare numeri importanti. Gli ultimi anni sono stati dedicati all’internazionalizzazione, con la creazione di organizzazioni dirette e lo sviluppo della distribuzione diretta e del franchising. Lo scorso anno, per esempio, do- po aver aperto uno shop in shop all’interno del più celebre grande magazzino di Mosca, lo Tsum, a settembre l’azienda ha firmato un accordo con China Resources Holdings (al 177esimo posto nel ranking 2013 di Fortune 500, possiede oltre 20 aziende della moda) che porterà all’apertura di 200 punti vendita in cinque anni. A fine 2013 l’amministratore delegato di Borsa Italiana, Raffaelle Jerusalmi, aveva anticipato che c’erano quattro o cinque società della moda e del lusso che si stavano preparando alla quotazione «nel primo semestre del 2014». Non ne aveva fatto i nomi, ma tra quelli circolati c’era naturalmente anche quello di Liu Jo. «Milano - aveva detto Jarusalmi - ha tutte le possibilità per diventare il mercato di riferimento del lusso». Piazza Affari «è tra i primissimi listini a livello mondiale per capitalizzazione nel settore del luxury e vanta il 50% delle Ipo del comparto negli ultimi quattro anni». M. S. S. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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